Sognando un dolce andare Rufina Ruffoni: una grande poetessa dimenticata ~ QuiEdit 2015 ~ Pochissimi veronesi conoscono Rufina Ruffoni, nobildonna vissuta tra l'inizio e la pienezza del Novecento. Condusse infatti la sua vita tra le...
moreSognando un dolce andare Rufina Ruffoni: una grande poetessa dimenticata ~ QuiEdit 2015 ~ Pochissimi veronesi conoscono Rufina Ruffoni, nobildonna vissuta tra l'inizio e la pienezza del Novecento. Condusse infatti la sua vita tra le stanze della villa Pavarana, sulla strada che da Romagnano sale ad Azzago, e tra i fiori e gli alberi secolari del suo giardino, nella devozione alla poesia, alla memoria, all'amore. Il suo unico libro venne pubblicato nel 1950, con il titolo Sognando un dolce andare. L'opera dimenticata e ritrovata si rivela oggi un canzoniere di grande interesse e originalità; intenso, a tratti commovente. Insieme l'eco di un'epoca e la rivelazione di una interiorità mirabile e di un'indole senza dubbio poetica. Rufina deve la sua formazione culturale e letteraria proprio all'aristocratica dimora sulle colline della Valpantena che ospitava intellettuali, poeti e artisti di notevole pregio, aperti all'emozione di nuovi linguaggi, dalle prove più temerarie fino alle più liriche e riposte manifestazioni. Ne rimane testimonianza davvero inaspettata nei versi suggeriti a Rufina dal futurismo e dalle avanguardie europee del primo Novecento. Margherita Lochis, madre di Rufina, animava il generoso cenacolo culturale, rinnovando la lunga tradizione ospitale delle ville nella pittura, nella musica e nella poesia. Era infatti nipote di Alfredo Piatti, il virtuoso del violoncello che conquistò Londra, e apparteneva a quella medesima famiglia Lochis la quale, per tramite del conte Guglielmo, aveva creato la favolosa Pinacoteca nella villa alla Crocetta di Mozzo, sui declivi vicino a Bergamo. Tra le opere d'arte del conte Lochis brillava il San Sebastiano di Raffaello, ora custodito dall'Accademia Carrara. Margherita Lochis volle restituire alla Pavarana quell'ideale del locus amoenus, ereditato dagli antichi e celebrato da Petrarca, Boccaccio, Lorenzo de' Medici e Tasso, che tendeva alla mirabile armonia tra il lavoro dell'uomo e l'incanto della natura, in una visione ampia, serena e rispettosa del mondo creato. Angelo Zamboni, appena diciannovenne ma dal talento già chiaro, decorò la villa assecondando questo ideale e rappresentando il dialogo amoroso tra la dimora e la campagna, tra l'uomo e la natura. Rufina Ruffoni, dolce e sensibile figura, affida ai suoi versi l'esito estremo e definitivo di questa misura ideale, ovvero di una civiltà nella quale la terra abitata non era la proprietà da sfruttare ma il bene da onorare, da vivificare, quale garante della propria esistenza, della propria bellezza. Il segno della possibilità. Un'offerta di canti, dunque. Nonostante tutto.