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Relazione del tutor Prof. Mario Micheletti sulla tesi di dottorato di David Micheletti: Indagini sulla genealogia ebraica di Carlo Michelstaedter. La tesi non si propone lo scopo immediato di offrire un’ennesima lettura e... more
Relazione del tutor Prof. Mario Micheletti sulla tesi di dottorato di David Micheletti: Indagini sulla genealogia ebraica di Carlo Michelstaedter.
La tesi non si propone lo scopo immediato di offrire un’ennesima lettura e interpretazione de La persuasione e la rettorica, bensì quello di scavare a fondo in alcuni aspetti del pensiero di Michelstaedter, trattati finora superficialmente o ignorati dalla critica, in modo da ricavarne elementi importanti per accedere in modo nuovo al pensiero del filosofo goriziano: il rapporto con l’ebraismo, la tesi circa “il razionalismo delle menti ebraiche”, i criteri di lettura del libro dell’Ecclesiaste, l’individuazione e l’interpretazione dei riferimenti espliciti, e soprattutto impliciti, a Spinoza. In questa esplorazione, David Micheletti utilizza ampiamente non solo l’epistolario e gli scritti editi di Michelstaedter, ma anche i manoscritti inediti, e fonti raramente o, in certi casi, mai utilizzate negli studi sul filosofo goriziano, come le opere degli avi di Carlo Michelstaedter, Avraham Vita Reggio e Isacco Samuele Reggio, un testo del padre, Alberto Michelstaedter, La Menzogna, manoscritti del fondo Gandus-Michelstaedter, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano).
Il rapporto con l’ebraismo di Carlo Michelstaedter, di questo ebreo “assimilato” ma non ignaro delle sue radici, è stato più volte evocato o discusso dagli studiosi in sede biografica o nell’interpretazione del suo pensiero. Ma nella sua tesi David Micheletti, anche in virtù della sua singolare padronanza della cultura e della tradizione ebraica, fa del contesto ebraico familiare e goriziano di Carlo Michelstaedter, del grado della sua conoscenza dell’ebraico e del tipo di edizioni usate, ad esempio, nella lettura del libro dell’Ecclesiaste, della “genealogia dei Michelstaedter”, della “sindrome ebraica”, ed infine di tutti i riferimenti all’ebraismo nelle opere del filosofo goriziano, l’oggetto diretto e specifico della ricerca. In particolare, il rapporto col padre è delineato con attenzione e con risultati interessanti, non solo per il contributo offerto alla ricostruzione della biografia e della personalità del filosofo, ma anche per la chiarificazione di taluni temi de La Persuasione e la rettorica, che può derivare dal confronto testuale di significativi passi sulla retorica nell’opera di Carlo Michelstaedter con la conferenza del padre, Alberto, su La Menzogna.
David Micheletti affronta con decisione i singoli argomenti della tesi, pervenendo a conclusioni interessanti riguardo a ciascuno di essi. Ma naturalmente non trascura il rapporto che sussiste tra i vari temi. Ad esempio mostra come il confronto diretto di Carlo Michelstaedter con quella che il filosofo goriziano chiama la «rettorica delle traduzioni» a riguardo del libro dell’Ecclesiaste abbia a che fare con il radicale distacco di Carlo dalle illusioni circa gli “dèi” del padre Alberto, la razionalità calcolante, la mitologia del progresso, e come il risultato di questo confronto col padre (quanto di ebraico riesce a riattivare in sé Michelstaedter) siano “l’antimistica e l’antiapocalittica di Qohelet che lo affrancano da ogni rettorica, da ogni speranza”. Anche l’interpretazione che Michelstaedter dà della figura di Cristo, a partire da quelle pagine famose de La persuasione e la rettorica in cui la sequela Christi è distinta dalla imitatio Christi, anzi contrapposta ad essa, e il Cristo è quello della Theologia crucis, ma senza resurrezione, la sua salvezza una forma di tragicamente negativa autosalvazione, è esaminata a partire dalla lettura michelstaedteriana dell’Ecclesiaste. “Questa apocalittica – osserva David Micheletti – non solo è antimistica”, ma nulla la distingue più dall’antiapocalittica che prende forma in Qohelet. In questo contesto, sono interessanti le pagine della tesi in cui viene presentata e discussa l’interpretazione degli scritti di Carlo Michelstaedter data da un cugino di Carlo, Elia Giacomo Silvio Michelstaedter, in alcuni manoscritti inediti, nei quali viene prospettato un possibile esito gnostico della Persuasione. Secondo David Micheletti, ciò che riattiva in Michelstaedter la “novità ebraica”, sullo sfondo della “critica all’ottimismo della Bibbia” in rapporto alla sua lettura dell’Ecclesiaste nonché dell’apprezzamento del rigore dell’etica socratica raccordata all’ontologia parmenidea (Parmenide, Socrate, Qohelet, Cristo figurano tutti fra i maestri della persuasione nella Prefazione alla Persuasione), è anche ciò che lo mette nella condizione di “attivare un Cristo gnostico negli stessi Vangeli canonici”.
Un aspetto interessante della tesi, come ho già ricordato, è il confronto dell’opera principale di Carlo Michelstaedter con un modesto scritto del padre Alberto, La menzogna: David Micheletti scopre nel testo del padre molti dei temi che Carlo discuterà nella sua tesi di laurea; esattamente scopre che tutto ciò che il figlio dirà rettorica è già stato preannunciato dal padre come ‘menzogna’, mentre “lo stesso non si può dire di ciò che Alberto ha detto ‘verità’ e Carlo, invece, dirà persuasione”.
Ma un punto cruciale della tesi è la discussione della famosa affermazione di Michelstaedter, secondo cui «la ragione dell’antisemitismo filosofico (Schopenhauer e Nietzsche) è il razionalismo della religione e della letteratura ebraica» (con un curioso contemporaneo riferimento al Pentateuco e a Spinoza) insieme alla «mancanza dell’elemento mistico nelle menti ebraiche». Allargando il discorso a tutti gli scritti di Michelstaedter, compresi gli inediti, e al confronto con le posizioni di Isacco Samuele Reggio, con il suo razionalismo che riduce gli elementi mistici allo stretto necessario, e con quelle del trisavolo Abraham Vita Reggio, David Micheletti nega che contro il razionalismo riscontrabile nel Giudaismo antico e moderno Michelstaedter intenda far valere l’elemento mistico della qabbalah di Abraham Vita Reggio o una diversa tradizione ebraica imperniata su presunti valori irrazionali del misticismo. Se Michelstaedter può condividere il biasimo nei confronti del «razionalismo della religione e della letteratura ebraica», non può tuttavia condividerlo, come certe interpretazioni suggeriscono, a partire da quell’antisemitismo che trova le sue ragioni filosofiche nella mancanza dell’elemento mistico nelle menti ebraiche. Qui si inserisce una discussione critica del rapporto con Schopenhauer e Nietzsche, un rapporto molto complesso. In particolare David Micheletti indica le ragioni che portano Michelstaedter a ritrovarsi, con Schopenhauer, nella posizione filosofica di criticare l’ottimismo della Bibbia e a cogliere, insieme, “la disonestà mistica del pessimismo di Schopenhauer” (ancora una volta è decisivo il rapporto con l’Ecclesiaste, nel senso che Qohelet è stato capace di un pessimismo perfetto, “ossia di non far scadere la vanificazione del mondo in una ‘professione di pessimismo’, come accade invece a Schopenhauer” – la ragione per cui Qohelet compare nel canone dei “persuasi” e Schopenhauer no, nonostante l’indubbio influsso esercitato dal pensatore tedesco su Michelstaedter, e inoltre la ragione per cui non c’è in Michelstaedter nulla che corrisponda alla “positività mistica” presente nella Noluntas schopenhaueriana). Per quanto riguarda Nietzsche, David Micheletti mostra come Michelstaedter, al modo di Nietzsche, critichi Platone, anche se “lo critica perché ha tradito la radicalità del maestro, non perché si sia fatto corrompere da Socrate”, e, da questo punto di vista, radicalmente socratico, critica anche la morale eroica e il dionisismo di Nietzsche.
Infine, il confronto con Spinoza diventa qualcosa di più che una curiosità storiografica, perché Spinoza appare addirittura la chiave di lettura che permette di intendere aspetti centrali del pensiero di Michelstaedter. L’analisi che compie Micheletti è molto complessa. Ricordo soltanto il punto di partenza del suo discorso. Michelstaedter non fa alcuna citazione diretta delle opere di Spinoza, anche se Spinoza è menzionato in diversi punti, ma l’esame attento dei suoi scritti rivela non di rado un vocabolario spinoziano, e i riferimenti al suo nome e alla sua filosofia sono tali da indurre a ritenere che la presenza di Spinoza nel pensiero di Michelstaedter sia sotto certi aspetti paragonabile a quella di Schopenhauer. Per valutare la reale portata di questa presenza e comprendere in che modo la critica michelstaedteriana al razionalismo di Spinoza non consista semplicemente in antispinozismo ma, sotto certi aspetti, in uno spinozismo radicale (riattivando fra l’altro Michelstaedter nella ratio spinoziana il pessimismo antimistico di Qohelet), David Micheletti discute dettagliatamente tutti i luoghi in cui, negli scritti di Michelstaedter, è presente Spinoza, tutti i riferimenti più o meno espliciti, e su questa base, confronta fra loro le riflessioni su Dio e sulla figura di Cristo prodotte dalle “menti ebraiche” di Spinoza e Michelstaedter. Secondo David Micheletti, il filosofo goriziano condivide il biasimo schopenhaueriano al razionalismo di Spinoza, riconosce la debolezza etica dell’ottimismo spinoziano, ma non perché esso “coincida con una forma di antimistica”. Nel corso della dissertazione è costante il riferimento alle fonti primarie e ai testi della letteratura secondaria pertinenti all’oggetto specifico della ricerca.
La tesi non si propone lo scopo immediato di offrire un’ennesima lettura e interpretazione de La persuasione e la rettorica, bensì quello di scavare a fondo in alcuni aspetti del pensiero di Michelstaedter, trattati finora superficialmente o ignorati dalla critica, in modo da ricavarne elementi importanti per accedere in modo nuovo al pensiero del filosofo goriziano: il rapporto con l’ebraismo, la tesi circa “il razionalismo delle menti ebraiche”, i criteri di lettura del libro dell’Ecclesiaste, l’individuazione e l’interpretazione dei riferimenti espliciti, e soprattutto impliciti, a Spinoza. In questa esplorazione, David Micheletti utilizza ampiamente non solo l’epistolario e gli scritti editi di Michelstaedter, ma anche i manoscritti inediti, e fonti raramente o, in certi casi, mai utilizzate negli studi sul filosofo goriziano, come le opere degli avi di Carlo Michelstaedter, Avraham Vita Reggio e Isacco Samuele Reggio, un testo del padre, Alberto Michelstaedter, La Menzogna, manoscritti del fondo Gandus-Michelstaedter, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano).
Il rapporto con l’ebraismo di Carlo Michelstaedter, di questo ebreo “assimilato” ma non ignaro delle sue radici, è stato più volte evocato o discusso dagli studiosi in sede biografica o nell’interpretazione del suo pensiero. Ma nella sua tesi David Micheletti, anche in virtù della sua singolare padronanza della cultura e della tradizione ebraica, fa del contesto ebraico familiare e goriziano di Carlo Michelstaedter, del grado della sua conoscenza dell’ebraico e del tipo di edizioni usate, ad esempio, nella lettura del libro dell’Ecclesiaste, della “genealogia dei Michelstaedter”, della “sindrome ebraica”, ed infine di tutti i riferimenti all’ebraismo nelle opere del filosofo goriziano, l’oggetto diretto e specifico della ricerca. In particolare, il rapporto col padre è delineato con attenzione e con risultati interessanti, non solo per il contributo offerto alla ricostruzione della biografia e della personalità del filosofo, ma anche per la chiarificazione di taluni temi de La Persuasione e la rettorica, che può derivare dal confronto testuale di significativi passi sulla retorica nell’opera di Carlo Michelstaedter con la conferenza del padre, Alberto, su La Menzogna.
David Micheletti affronta con decisione i singoli argomenti della tesi, pervenendo a conclusioni interessanti riguardo a ciascuno di essi. Ma naturalmente non trascura il rapporto che sussiste tra i vari temi. Ad esempio mostra come il confronto diretto di Carlo Michelstaedter con quella che il filosofo goriziano chiama la «rettorica delle traduzioni» a riguardo del libro dell’Ecclesiaste abbia a che fare con il radicale distacco di Carlo dalle illusioni circa gli “dèi” del padre Alberto, la razionalità calcolante, la mitologia del progresso, e come il risultato di questo confronto col padre (quanto di ebraico riesce a riattivare in sé Michelstaedter) siano “l’antimistica e l’antiapocalittica di Qohelet che lo affrancano da ogni rettorica, da ogni speranza”. Anche l’interpretazione che Michelstaedter dà della figura di Cristo, a partire da quelle pagine famose de La persuasione e la rettorica in cui la sequela Christi è distinta dalla imitatio Christi, anzi contrapposta ad essa, e il Cristo è quello della Theologia crucis, ma senza resurrezione, la sua salvezza una forma di tragicamente negativa autosalvazione, è esaminata a partire dalla lettura michelstaedteriana dell’Ecclesiaste. “Questa apocalittica – osserva David Micheletti – non solo è antimistica”, ma nulla la distingue più dall’antiapocalittica che prende forma in Qohelet. In questo contesto, sono interessanti le pagine della tesi in cui viene presentata e discussa l’interpretazione degli scritti di Carlo Michelstaedter data da un cugino di Carlo, Elia Giacomo Silvio Michelstaedter, in alcuni manoscritti inediti, nei quali viene prospettato un possibile esito gnostico della Persuasione. Secondo David Micheletti, ciò che riattiva in Michelstaedter la “novità ebraica”, sullo sfondo della “critica all’ottimismo della Bibbia” in rapporto alla sua lettura dell’Ecclesiaste nonché dell’apprezzamento del rigore dell’etica socratica raccordata all’ontologia parmenidea (Parmenide, Socrate, Qohelet, Cristo figurano tutti fra i maestri della persuasione nella Prefazione alla Persuasione), è anche ciò che lo mette nella condizione di “attivare un Cristo gnostico negli stessi Vangeli canonici”.
Un aspetto interessante della tesi, come ho già ricordato, è il confronto dell’opera principale di Carlo Michelstaedter con un modesto scritto del padre Alberto, La menzogna: David Micheletti scopre nel testo del padre molti dei temi che Carlo discuterà nella sua tesi di laurea; esattamente scopre che tutto ciò che il figlio dirà rettorica è già stato preannunciato dal padre come ‘menzogna’, mentre “lo stesso non si può dire di ciò che Alberto ha detto ‘verità’ e Carlo, invece, dirà persuasione”.
Ma un punto cruciale della tesi è la discussione della famosa affermazione di Michelstaedter, secondo cui «la ragione dell’antisemitismo filosofico (Schopenhauer e Nietzsche) è il razionalismo della religione e della letteratura ebraica» (con un curioso contemporaneo riferimento al Pentateuco e a Spinoza) insieme alla «mancanza dell’elemento mistico nelle menti ebraiche». Allargando il discorso a tutti gli scritti di Michelstaedter, compresi gli inediti, e al confronto con le posizioni di Isacco Samuele Reggio, con il suo razionalismo che riduce gli elementi mistici allo stretto necessario, e con quelle del trisavolo Abraham Vita Reggio, David Micheletti nega che contro il razionalismo riscontrabile nel Giudaismo antico e moderno Michelstaedter intenda far valere l’elemento mistico della qabbalah di Abraham Vita Reggio o una diversa tradizione ebraica imperniata su presunti valori irrazionali del misticismo. Se Michelstaedter può condividere il biasimo nei confronti del «razionalismo della religione e della letteratura ebraica», non può tuttavia condividerlo, come certe interpretazioni suggeriscono, a partire da quell’antisemitismo che trova le sue ragioni filosofiche nella mancanza dell’elemento mistico nelle menti ebraiche. Qui si inserisce una discussione critica del rapporto con Schopenhauer e Nietzsche, un rapporto molto complesso. In particolare David Micheletti indica le ragioni che portano Michelstaedter a ritrovarsi, con Schopenhauer, nella posizione filosofica di criticare l’ottimismo della Bibbia e a cogliere, insieme, “la disonestà mistica del pessimismo di Schopenhauer” (ancora una volta è decisivo il rapporto con l’Ecclesiaste, nel senso che Qohelet è stato capace di un pessimismo perfetto, “ossia di non far scadere la vanificazione del mondo in una ‘professione di pessimismo’, come accade invece a Schopenhauer” – la ragione per cui Qohelet compare nel canone dei “persuasi” e Schopenhauer no, nonostante l’indubbio influsso esercitato dal pensatore tedesco su Michelstaedter, e inoltre la ragione per cui non c’è in Michelstaedter nulla che corrisponda alla “positività mistica” presente nella Noluntas schopenhaueriana). Per quanto riguarda Nietzsche, David Micheletti mostra come Michelstaedter, al modo di Nietzsche, critichi Platone, anche se “lo critica perché ha tradito la radicalità del maestro, non perché si sia fatto corrompere da Socrate”, e, da questo punto di vista, radicalmente socratico, critica anche la morale eroica e il dionisismo di Nietzsche.
Infine, il confronto con Spinoza diventa qualcosa di più che una curiosità storiografica, perché Spinoza appare addirittura la chiave di lettura che permette di intendere aspetti centrali del pensiero di Michelstaedter. L’analisi che compie Micheletti è molto complessa. Ricordo soltanto il punto di partenza del suo discorso. Michelstaedter non fa alcuna citazione diretta delle opere di Spinoza, anche se Spinoza è menzionato in diversi punti, ma l’esame attento dei suoi scritti rivela non di rado un vocabolario spinoziano, e i riferimenti al suo nome e alla sua filosofia sono tali da indurre a ritenere che la presenza di Spinoza nel pensiero di Michelstaedter sia sotto certi aspetti paragonabile a quella di Schopenhauer. Per valutare la reale portata di questa presenza e comprendere in che modo la critica michelstaedteriana al razionalismo di Spinoza non consista semplicemente in antispinozismo ma, sotto certi aspetti, in uno spinozismo radicale (riattivando fra l’altro Michelstaedter nella ratio spinoziana il pessimismo antimistico di Qohelet), David Micheletti discute dettagliatamente tutti i luoghi in cui, negli scritti di Michelstaedter, è presente Spinoza, tutti i riferimenti più o meno espliciti, e su questa base, confronta fra loro le riflessioni su Dio e sulla figura di Cristo prodotte dalle “menti ebraiche” di Spinoza e Michelstaedter. Secondo David Micheletti, il filosofo goriziano condivide il biasimo schopenhaueriano al razionalismo di Spinoza, riconosce la debolezza etica dell’ottimismo spinoziano, ma non perché esso “coincida con una forma di antimistica”. Nel corso della dissertazione è costante il riferimento alle fonti primarie e ai testi della letteratura secondaria pertinenti all’oggetto specifico della ricerca.