Urbanism and Ruralism

For a capital city, Chisinau displays an unusual proliferation of vernacular architecture – conceived in relation to the vernacular rather than political landscape. Sandra Parvu examines how the Moldovan government's limited resources to impose urban order have allowed urban rurality to flourish, leading to a harmonious balance between the metropolitan and the pastoral.

a curatorial project in rural Basilicata region on community run gardens and cultivation. Each villages are matched with artists, designers and architects.

https://www.matera-basilicata2019.it/en/programme/themes/utopias-and-dystopias/1411-gardentopia.html

https://www.artribune.com/matera-2019-capitale-europea-cultura/maggio-giugno/2019/04/matera2019-gardentopia-giardini-paesaggio/

https://www.materaevents.it/progetti/51/gardentopia/1

The value placed on rural musicians within discourses originating in urban centres such as New York is a consistent characteristic of several decades of independent popular music culture in the US. Antipathetic to what they saw as excessively industrialised and commercialised popular music, urban fans of folk and rock - even some urban musicians - have since the 1930s recurrently sought satisfaction and inspiration in musics of regions such as the South, the South West, and the Pacific Northwest that were considered archaic or 'primitive.' Later in the twentieth century, this countercultural, anti-commercial ideology explicitly became an aesthetics of anti-modernity and anti-technocracy that conflated musical and geographical distance in its enthusiasm for the culturally peripheral. It even developed an international perspective, both looking to regions such as Scandinavia, the UK, Canada and New Zealand and exporting 'Americana' worldwide. Beginning by tracing the roots of this process in Romanticism and folk revivals, I will examine the cases and receptions of artists such as Leadbelly, The New Lost City Ramblers and Roscoe Halcomb, Hasil Adkins, Daniel Johnston, Beat Happening, Guided By Voices and Sigur Ros, drawing attention to the often difficult dialogues and relationships that emerge when authenticity is sought in rural cultures.

Recensione di Alessandro CATELANI (Università di Siena).
Il nuovo libro di Danilo Breschi tratta un argomento originalissimo, che riguarda le vicissitudini dell'urbanistica e dell'architettura italiane, quali si sono configurate per effetto dell'ideologia vigente in quell'epoca particolare che fu l'entre-deux-guerres. Si prende al riguardo in considerazione il pensiero di Mussolini, che le ha integralmente condizionate. È di grande interesse l'esame delle classi sociali dell'epoca, le quali erano sicuramente diverse, come mentalità e come modo di vita, da quelle attuali. Massimo Severo Giannini ha parlato, per il vecchio Stato liberale, di Stato monoclasse, adottando una definizione di tipo marxista, che si basa su una frontale contrapposizione tra la borghesia e le altre classi sociali. Tale definizione ha avuto grandissimo successo, ed è quasi universalmente accettata dai giuristi. Ma in realtà lo Stato liberale riconosceva i diritti della personalità a chiunque. E le restrizioni censuarie al diritto di voto, e la negazione del voto alle donne, erano limitazioni comuni a tutti gli Stati dell'epoca, ed erano destinate a scomparire con il passare del tempo. La diversità tra le classi esisteva invece indubbiamente da un punto di vista sociologico; ed al riguardo il quadro era indubbiamente più articolato e complesso. È nei confronti di queste classi sociali che si orientò la politica del regime. Mussolini cercò, come qualunque altro dittatore che intenda andare al potere, di procurarsi il consenso di tutti i vari strati della popolazione. Da ciò la presenza di soluzioni non univoche per i problemi urbanistici, che hanno cercato di conciliare un'idealizzata vita dei campi con l'inarrestabile sviluppo delle città. Come viene sottolineato nel libro, vi è una dicotomia nella sua ideologia: da un lato una sensibilità verso i problemi più vivi e recenti della società, quali quelli del mondo operaio e dello sviluppo industriale, che portavano necessariamente ad uno sviluppo delle città, dall'altro una simpatia ormai anacronistica per l'ambiente rurale e contadino, che non avrebbe dovuto essere contaminato dal mondo, considerato corrotto, delle città. La percezione del significato della civiltà moderna è in lui sempre andata di pari passo con il mito di Roma, e con una politica di sviluppo economico che voleva ricordare quello dell'antichità. Così la battaglia del grano e la lotta all'urbanizzazione, considerata con sfavore. Si cercò di conciliare queste due opposte tendenze, avendo anche sempre presente l'esaltazione del regime attraverso opere monumentali.

La révolution agraire a-t-elle fini par promouvoir la prolétarisation et réclamer la fin de la paysannerie ? Nous nous intéressons à expliquer pourquoi, à l’aide d’une analyse discursive, la paysannerie a fini par ne plus faire partie d’une révolution paysanne. La question qui se pose dans le présent travail est de savoir comment le discours de l’État chinois se prononce sur la vie rurale. Notre thèse est que l’État chinois est ruraliste, c’est-à-dire que le discours étatique en Chine dénigre et discrimine contre la paysannerie afin de favoriser l’élite urbaine ainsi que l’urbanisation à l’avantage de l’élite urbaine, toujours pour le bien de la stabilité et de la légitimité politiques. Cet argumentaire permettra d’établir que l’État chinois est un État non des paysans, mais des élites urbaines qui ont intérêt à tirer avantage de la faiblesse politique des paysans pour deux buts fortement reliés : la stabilité politique et l’aisance des classes urbaines.