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Marika Affinito

    Marika Affinito

    Il presente lavoro si propone di esaminare criticamente, alla luce dei principi di diritto penale di uno Stato sociale di diritto, quale il nostro, le più recenti normative penalistiche (già adottate o in procinto di essere adottate dal... more
    Il presente lavoro si propone di esaminare criticamente, alla luce dei principi di diritto penale di uno Stato sociale di diritto, quale il nostro, le più recenti normative penalistiche (già adottate o in procinto di essere adottate dal legislatore), aventi ad oggetto fenomeni di violenza di ‘genere’.
    Il riferimento è, in particolare, agli interventi normativi basati sul riconoscimento del cosiddetto ‘femminicidio’ e di quegli atti criminosi individuati come fenomeni di ‘omofobia e transfobia’ (fermi sul piano della proposta di legge).
    In entrambi i casi, il legislatore riconosce un disvalore maggiore della condotta, in ragione dell’atteggiamento soggettivo dell’autore del reato e, quindi, del genere (femminile) della vittima, o dell’orientamento sessuale della vittima (omosessuale o bisessuale), o, ancora, della sua identità di genere (transessuale).
    In effetti, da un lato il movimento femminista, dall’altro il movimento a favore dei diritti LGBT, portano avanti, ormai da anni, una battaglia sul ‘genere’ e contro i ruoli di genere, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica dinanzi ai numerosi e disdicevoli eventi di violenza contro donne, omosessuali, transessuali, perpetrati in ragione dell’ ‘essere donna’, dell’ ‘essere gay’, dell’ ‘essere transgender’ e così via.
    La denuncia sociale è divenuta propaganda sul piano penalistico: misure ad hoc sono state adottate, innanzitutto, sul piano europeo ed internazionale; in seguito sul piano nazionale, attraverso il decreto-legge n. 93/2013, convertito in legge 119/2013, ‘Prevenzione e contrasto della violenza di genere’, ed altre misure sanzionatorie, volte all’estensione della disciplina prevista dalla legge Mancino-Reale (d.l. n. 122/1993, conv. in l. n. 205/1993) ai casi di omofobia e transfobia, sono state presentate e divenute proposte di legge.
    Partendo dall’analisi, per così dire, tecnica, di tali interventi normativi, l’intento è stato, innanzitutto, quello di denunciare l’abuso dello strumento del decreto-legge, in una materia, quale quella di diritto penale, che si basa sul principio di legalità e sulla riserva assoluta di legge; ma anche l’inopportunità di un modus operandi del legislatore penale che, in fin dei conti, svilisce la funzione della pena e, più in generale, del diritto penale, attraverso la previsione di pacchetti normativi ‘emergenziali’, fortemente simbolici, contingenti, dal carattere repressivo-deterrente, senza preoccuparsi, seriamente, delle cause strutturali dei fenomeni criminosi.
    L’analisi prosegue attraverso la messa in evidenza dei punti critici delle misure legislative adottate (o solo proposte), in particolar modo , alla luce dei principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, materialità ed offensività del reato, personalità della responsabilità penale, funzione ‘rieducativa’ (in senso non eticizzante) della pena, concetto di ‘bene giuridico’ costituzionalmente rilevante e, dunque, alla luce di quello che è, o dovrebbe essere, il volto dell’illecito penale nel nostro sistema positivo, costituzionalmente orientato.
    Sulla base di questi ultimi, sarà chiaro il motivo per cui parliamo di ‘problema’ del riconoscimento dei delitti di genere, come fattispecie a sé stanti di reato o surplus della sanzione penale, ponendo l’accento sulle scelte incoerenti degli istituti di parte speciale con quelli di parte generale del diritto penale italiano.
    Tuttavia, non si vuol minimizzare, né si pretende di escludere l’esistenza di tali problematiche dal punto di vista etico e sociale; piuttosto, denunciata la deriva dell’attuale sistema penalistico e, quindi, la necessità di un lavoro di riforma che possa eliminare tutto quanto vi è di superfluo, incostituzionale o controproducente, ci si aspetta che problematiche sociali, così profondamente radicate nella cultura della società, possano meglio (e, solo, probabilmente) essere affrontate al di fuori del raggio d’azione del diritto penale, analizzandone e comprendendone le motivazioni storiche, economiche e sociologiche, ed attuando una politica sociale seria e non banalmente propagandistica, chiamando in causa l’educazione, l’insegnamento, la scuola, la scienza, il confronto, il dialogo e la discussione pubblica.
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