Caleidoscopio
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Anteprima del libro
Caleidoscopio - Maria Teresa Landi
2012)
Troppe donne, troppi briganti
Nicolao procedeva lento davanti ai suoi uomini, ripassando mentalmente tutti gli epiteti del suo pur nutrito vocabolario all’indirizzo dei maledetti bracconieri che gli avevano soffiato un altro cinghiale. La scia di sangue parlava chiaro: l’animale abbattuto era stato trascinato fuori dalla boscaglia, poi caricato su un carro e portato via. Il terzo in dieci giorni! Così, sotto il mio naso, spudoratamente. Non si sono nemmeno curati di nascondere le tracce delle ruote, quei figli di buona donna!
Direzione nord-ovest: verso Ceserana, dunque. Ma no: possibile che il vecchio Guidubaldo si diverta a farmi un tale spregio?
Non che fossero amici, certo che no: beghe sui confini, sulle decime per l’uso del ponte sul torrente e il possesso del mulino…
Il matrimonio della sorella invece di risolvere i contrasti li aveva accentuati.
Lei rivendicava la parte di eredità assegnatale dal padre: ingiustamente però, perché quella roba era stata tolta a lui, il primogenito. Era proprio rimbambito, povero vecchio! Ma per fortuna l’aveva aiutato il notaio di famiglia, un furbacchione che ne sapeva una più del diavolo. Mi sono fatto giustizia da me, perdinci, e quel mulino non lo mollerò neanche morto!
Rabbrividì a un tratto, memore delle maledizioni che Fiammetta gli aveva vomitato addosso: Che Dio ti fulmini! Per il vostro sporco interesse tu e nostro padre mi avete fatto sposare un vecchio tirchio e bavoso, e poi non mi avete dato nemmeno quello che mi spetta. Lui ha cercato di rimediare sul letto di morte, ma tu no, non potevi accettarlo, vero? Ti sei tenuto tutto, che il diavolo ti porti con sé all’inferno!
Vecchie storie che da anni avvelenavano i rapporti tra le due famiglie, ma insomma, se quella era davvero una provocazione, Guidubaldo stava esagerando, testaccia dura come le pietre aspre di quei monti. Ma forse no; forse era solo gente che voleva riempirsi la pancia a spese sue: che il boccone gli andasse di traverso, perdio! Se gli avesse messo le mani addosso… Un pensiero improvviso: e se il farabutto fosse il Moro? Ma perché? D’accordo, gliel’aveva fatta grossa, ma era successo tanto tempo fa, lui ancora giovane e il Moro poco più di un ragazzo…
Era bella Margherita, una morona procace e spavalda, occhi di cerbiatta che mandavano il sangue alla testa ai giovanotti del paese. Pure Nicolao s’era fatto avanti, ma niente: lei, la scervellata, non vedeva altri che il Robin Hood della Garfagnana, il rampollo dei Mazzei, un bandito da strapazzo che la gentaglia già allora si ostinava a considerare un eroe. Cosa poteva aspettarsi da lui, una fuga romantica? Fare l’amore sotto le stelle? Solo quello, ma già: fantasie di donna innamorata. Conclusione: di fronte all’ennesimo rifiuto della ragazza, a Nicolao era saltata la mosca al naso: ne andava del suo orgoglio di uomo e di nobile. Sapeva aspettare e finalmente l’occasione giusta era arrivata. Penetrato in casa di notte con la complicità di un servo corrotto, neutralizzata la balia, era scivolato al capezzale della giovane. Neppure il tempo di gridare; le aveva insegnato l’educazione e come! L’aveva lasciata a brandelli, un fiume di lacrime ai suoi piedi: Guai a te se parli! È stato il Moro, questo dirai a tuo padre, altrimenti vi ucciderò tutti. Se invece farai come ti dico e ti comporterai bene,
aveva aggiunto allungando una mano per carezzarle i capelli, un ghigno beffardo stampato sulla faccia: Beh, ti darò una mano a trovare marito
.
Proprio così e il gobbo nero era finito addosso al Moro. Che fosse venuto a sapere la verità? E da chi? Possibile? Scosse la testa, incredulo.
Ormai fuori dal bosco, i tre cavalieri accelerarono l’andatura. Il sentiero che conduceva a Sillico serpeggiava in mezzo a una fitta boscaglia punteggiata di cespugli di rovi, erica e ginestra e gli zoccoli dei cavalli, non più ammorbiditi dal chiacchiericcio delle foglie del sottobosco, scandivano secchi il passo. A una svolta, si trovarono la strada sbarrata da una processione di penitenti incappucciati che cantavano litanie al seguito di un frate che teneva alta una croce.
Chi siete e dove andate?
chiese Nicolao con malcelata irritazione, trattenendo il cavallo per le briglie.
Siamo di Bargecchia e veniamo dal santuario di Caprarola, messere,
rispose il frate. Siamo andati lì per chiedere la grazia.
Quale grazia?
Di tenere lontana da noi la peste. Lo sapete, giù nella piana…
La peste! La morte nera! Solo a sentirla nominare il signore avvertì un brivido di terrore serpeggiare giù per la schiena. Si ritrasse istintivamente poi, brusco: Andate, sbrigatevi!
Grazie, messere, Iddio ve ne renda merito. Pregherò anche per voi e per la vostra famiglia.
Muovetevi, prima che cambi idea, e sgombrate il sentiero!
La processione si rimise in marcia e in breve i tre si trovarono immersi in un mare di cappucci. Pigiati da ogni parte, i cavalli presero a scalpitare nervosi… pochi attimi, poi il caos.
A breve distanza da lì, invisibili tra la folta vegetazione, due occhi neri sgranati per la meraviglia e il raccapriccio seguirono tutta la scena.
Sbucate come per miracolo da sotto i sai, lame scintillanti si levarono, pronte a colpire. Troppo tardi i cavalieri si resero conto dell’agguato: erano già a terra, la gola tagliata, a inondare di sangue riottoso la selva di gambe degli assalitori. Mentre i cavalli imbizzarriti fuggivano via, uno di quegli uomini si accostò al corpo agonizzante di Nicolao, si inginocchiò accanto a lui e con assoluta calma, senza parlare, liberò la testa dal cappuccio, ne incrociò lo sguardo.
Al ragazzo apparve un viso indurito, occhi gelidi, senza espressione. Spaventato, si appiattì ancora di più, se possibile, pregando in cuor suo che tutto finisse presto, che gli assassini se ne andassero via ignari della sua presenza. Impossibile, però, distogliere lo sguardo. Un breve gorgoglio, come di parole strozzate, un sussulto, il corpo del ferito s’irrigidì nell’immobilità senza ritorno.
L’altro uomo a quel punto infilò la mano destra nel colletto dell’ucciso, strappò con decisione, quindi si rialzò stringendo tra le dita un oggetto che fece sparire sotto la veste. Un rapido sguardo attorno, che gelò il sangue nelle vene del testimone invisibile, poi con gesti controllati scosse la polvere dal saio e fece cenno ai suoi di rientrare.
Erano ormai lontani quando il ragazzo riprese a respirare normalmente. Piano piano, senza far più rumore di una biscia, uscì dal nascondiglio guardandosi intorno col cuore in gola; un’occhiata compassionevole e schifata ai cadaveri abbandonati sul sentiero poi via a gambe levate, incurante dei sassi sotto i piedi nudi, desideroso soltanto di scappare lontano con tutta la velocità che le gambe gli permettevano.
A Ceserana, intanto, Fiammetta si lasciava spazzolare nervosa i capelli.
Fa’ piano, che maniera!
Mi perdoni, signora, c’era un nodo. Sono lucidi e profumati, però: oggi sarete bellissima.
A proposito, vai a vedere se è arrivato il messaggio.
La cameriera sollecita sparì per tornare poco dopo con un biglietto che la padrona le strappò dalle mani, impaziente. Lo aprì, lesse avidamente e finalmente un sorriso le illuminò il volto corrucciato.
Tutto bene, signora?
Benissimo. Sbrigati, dai, preparami l’abito azzurro, perché è un gran giorno.
Subito, non vi preoccupate. Messer Guidubaldo resterà abbagliato.
Una smorfia eloquente, poi la giovane chiese: È già tornato?
Non credo. Se volete, vado a vedere.
Non importa. Aiutami, piuttosto; voglio che mi trovi già pronta per uscire. Sai com’è: con tutta la fatica che ho fatto per convincerlo!
Vostro marito è un uomo troppo serio. Le feste non gli piacciono e così la mia povera signora deve starsene sempre chiusa in casa.
È geloso marcio e ha paura che gli uomini mi guardino, cara mia!
Beh, non mi meraviglio. Alla sua età, avere accanto una moglie così giovane e piacente!
Ormai pronta, Fiammetta si esaminò allo specchio con occhio critico, come solo le donne sanno fare: l’azzurro metteva in risalto la delicatezza del carnato, le forme piene di una bella donna nel fiore degli anni e addolciva i lineamenti decisi, spia del carattere puntiglioso e tenace.
Al ricevimento c’è anche lui?
A che pro negare? Teresa le leggeva dentro come un libro aperto. E poi, con chi altri poteva confidarsi? Sì,
rispose incrociando il suo sguardo nello specchio. Si scambiarono un’occhiata d’intesa vecchia di millenni. Non occorreva aggiungere altro.
Mentre Fiammetta era intenta a farsi bella, nella rocca di Castelnuovo in una stanza spoglia, quasi monacale nella sua semplicità, due uomini giocavano a scacchi. Le fiaccole appese ai muri di pietra illuminavano una scacchiera di pregio sul tavolo da campo. I capitani di un’immaginaria battaglia si fronteggiavano sui loro scomodi sgabelli: il commissario, fronte corrucciata, occhi ridotti a una fessura, mani nervose che accarezzavano di continuo la barba nera e folta, fissava come ipnotizzato lo schieramento. L’ospite, un arruffio di barba e capelli da cui spuntavano soltanto il naso adunco e lo sguardo penetrante, sorrideva, il corpo proteso come un leone in agguato. Ecco il Cavallo nero muoversi di due case, saltare l’Alfiere bianco e mangiarsi la Torre nemica; di seguito la Regina trovare un valico con destrezza per mettere in difficoltà il Re bianco, e… Scacco Matto!
Grida trionfali di Guidubaldo, che si alzò di scatto, facendo traballare il tavolo già poco sicuro.
Ahi, ahi! Devo ammettere che lo scolaro ha superato il maestro,
si lamentò l’Ariosto.
Caro Ludovico, è stato facile, un gioco da ragazzi direi; siete troppo distratto stasera. Pagherei denaro sonante per leggere nei vostri pensieri.
Amico mio, avete colto nel segno, come sempre del resto. Non ce la faccio più. Continuo a pensare a Ferrara, alla corte del mio duca, a una donna che mi ha preso il cuore e la ragione.
Ho capito: siete innamorato cotto.
Colpito dall’accento accorato dell’amico, Ariosto lo fissò con intenzione, una lucetta ironica accesa suo malgrado in fondo alle pupille scure: Per carità, lo dite come se fosse una grave malattia!
In un certo senso lo è, infatti. L’amore… per una donna giovane e bella, poi… ma voi lo sapete bene: il vostro Orlando non è forse impazzito per amore?
S’interruppe, come sorpreso da pensieri molesti. Pochi attimi; scacciata la nube passeggera, riprese in tono leggero: Per di più vi mancano gli agi e i divertimenti a cui siete abituato.
Sì sì, cambia discorso, amico mio, ti capisco. Una moglie giovane e bella, ma chiacchierata assai. Se è vera la metà di quel che dicono, altro che mal di fegato!
Non solo quelli, a dire la verità. Quello che mi pesa di più è che non riesco a scrivere. Vedete, scrivere è la mia vita e qui la pagina resta bianca… nemmeno un verso! Ma com’è possibile, ditemi voi, avere l’ispirazione in questa fossa, dove la gente è incolta e aspra come i sassi che l’hanno generata, dove ascolto da mattina a sera accuse, liti e grida, costretto a punire poi una massa di disgraziati, ladri di polli o furfanti da quattro soldi…
Quanto astio nelle vostre parole!
lo interruppe l’altro, agitando una mano nell’aria come a scacciare una mosca fastidiosa.
Astio? No, piuttosto la coscienza che qui la forza insulta la ragione. Ridete forse di me?
No. Sorrido di fronte al vostro impeto, tipico di chi capita da noi e vuol cambiare le cose, ma è un’illusione, credetemi. Le stagioni vanno e vengono e noi siamo qui, sempre uguali. Vedete, si avvicina l’inverno; ieri notte ha nevicato sulle cime più alte e gli alberi mostrano ormai le loro nudità nodose… ma, se vi guardate intorno, tra le foglie dei castagni fa capolino il cibo con cui si scalderanno la pancia i montanari. Poi tornerà la primavera, l’estate e ancora la stagione fredda… tutto uguale a se stesso, in un mondo fuori dal tempo.
L’Ariosto lo fissò a lungo, poi: Siete l’uomo dalle mille sorprese,
constatò sorridendo. Non sapevo che foste anche poeta!
Poeta, io? Ma no, è la saggezza degli anni,
si schermì Guidubaldo ridendo a sua volta, il volto disteso, gli occhi lucidi, allegri.
Chi l’avrebbe mai detto? si stupì Ludovico. In genere l’amico si mostrava severo, duro come un tronco di quercia; nessuna emozione, da bravo giocatore di scacchi, del resto.
Allora,
riprese puntiglioso, secondo voi dico delle assurdità?
Non dico questo. È vero, la gente è scontrosa, diffidente di fronte agli estranei, si fa giustizia da sola… ma cercate di capire, ha visto tanti padroni e nessuno le ha fatto del bene, mai.
Ammettiamolo pure, ma i briganti dove li mettete? Arrivano da tutte le parti: da Lucca, da Firenze, da Modena. Per non parlare del Moro, quel ceffo dalla faccia di santo, che fa il bello e cattivo tempo.
Parlando, il commissario aveva alzato la voce, gli occhi fuori dalle orbite, e giù un pugno sul povero tavolo. Alfieri, Torri, Regine e Re rotearono dimenticati verso terra, per poi giacere in un ammasso informe di bianco e nero.
L’altro aspettò per dargli il tempo di ricomporsi e quando gli parve che l’impeto fosse sbollito commentò pacato: Vi consiglio di lasciar perdere il Moro. Per la gente è un galantuomo. Toglie a noi ricchi per dare ai poveri, ripara alle ingiustizie, un salvatore insomma, e se ricorre alla violenza, dicono, c’è sempre una ragione
.
La ragione della crudeltà, direi. Sapete che cosa mi irrita di più? Che trova sempre il modo di scamparla. Volete che ve lo dimostri? Una volta l’ho rinchiuso nei sotterranei e lui si è fatto portare un coltello da un suo scagnozzo, ha aperto una fessura nel legno della porta ed è riuscito a togliere il catenaccio. Tutto questo senza che nessuna delle guardie si accorgesse di nulla e poi via… uccel di bosco. E tutte le volte che ho scritto al duca per denunciare i suoi misfatti? Cosa ho avuto in risposta? Che dovevo pazientare e piuttosto mandargli acqua dei Bagni e trote da marinare. Vi sembra che mi prenda sul serio? Il mio signore non si rende conto, ve lo dico io, che questa terra è un vulcano che borbotta, ribolle e prima o poi farà un botto colossale. Allora sarà troppo tardi.
Scosse la testa sconsolato, poi continuò ironico: Il Moro è proprio un bravo ragazzo! Ha solo un piccolo difetto: gli piace ammazzare la gente
.
Non tutti. I cattivi, dicono.
I buoni, i cattivi… chi è lui per decidere?
Si sente forse un Dio, ma presto, vedrete, commetterà qualcosa di sbagliato, se non l’ha già fatto, e allora neppure il duca lo grazierà.
"Lo spero. Sapete, mi sono chiesto più di una volta