Ed è subito sera
Di Tonino Scala
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Anteprima del libro
Ed è subito sera - Tonino Scala
produce.
6 dicembre 2004
6 dicembre 2004
Uno
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.
Chissà dov’era Salvatore Quasimodo quando scrisse questo componimento. Forse a Napoli, forse no, eppure mai parole furono più appropriate per questa ordinaria serata napoletana.
I grattacieli del Centro Direzionale guardano dall’alto la ferrovia, casba di una città eterna e maledetta. Gli ascensori, in un tunnel verticale di vetro trasparente, salgono verso il cielo. Non hanno funi di traino ma solo pistoni. Quel sistema idraulico e lento, attraverso i vetri, lo vedi dalla strada, da quelle cabine che sembrano razzi in orbita verso il firmamento. Gli ultimi ospiti di una giornata come tante riescono a vedere le luci delle case che si accendono; di sicuro immaginano il calore familiare, le luminarie, i primi addobbi di un Natale vicino. L’ascensore dà uno sguardo sul mare, sul porto, sulla Vicaria, sul centro storico. La città è stretta, i vicoli sanno di storia e di sale. Un cane piscia vicino allo pneumatico di una macchina parcheggiata lungo Corso Arnaldo Lucci.
Sulla superstrada che collega il Centro Direzionale all’autostrada e all’Asse Mediano, è sera. Dall’alto si vedono i grattacieli e il palazzo della Procura della Repubblica.
Buio, buio pesto.
All’imbocco della Statale ci sono quattro prostitute. Non fa molto freddo, anche se siamo nel mese di dicembre: il 6 dicembre.
Le ragazze venute dall’Est hanno acceso dei falò con dei vecchi secchi di ferro che contenevano pittura. Quel fuoco, quella luce, illumina il loro volto. Sono belle, giovani, alcune di loro di sicuro sono minorenni, bionde, scure, occhi che parlano.
Il suono di una sirena rompe quel silenzio.
Dalla Procura escono tre macchine con i lampeggianti: corrono, sfrecciano ad altissima velocità. Nella prima e nella terza auto ci sono gli uomini della scorta. Nella seconda, quella centrale, alla guida c’è un uomo sulla quarantina. Sul sedile posteriore una valigetta di pelle e un impermeabile: ha più di sessant’anni, la testa brizzolata poggiata al vetro del finestrino fumé. Il suo nome è Rosario. È pensieroso, preoccupato, teso. Le macchine continuano a sfrecciare, le sirene si fanno insistenti e riempiono quel silenzio di una periferia fattasi città, una periferia che racchiude un mondo.
Nel frattempo le auto sono sulla Statale. Direzione: periferia nord di Napoli. Lo sguardo dell’uomo, un magistrato, è assorto; guarda il paesaggio, l’area industriale oramai abbandonata, le baracche degli scassi, le prostitute che lavorano, i loro clienti.
Poche le auto, gli uffici sono chiusi e i lavoratori sono a casa. Uno sguardo sulla città, pronta per la prima delle feste natalizie: l’Immacolata.
Le luminarie illuminano i balconi delle case, s’intravedono alberi di Natale all’interno delle singole abitazioni.
Silenzio. Solo le sirene riempiono quel vuoto, mentre gli occhi del magistrato vagano nel nulla più assoluto. Poi una telefonata. È il suo cellulare.
«Hanno ucciso un ragazzo. Avrà sui venticinque, massimo ventisei anni. Era su una moto, una SH della Honda, targata NA 000…»
Il magistrato spegne il telefono e inizia a prendere a testate il finestrino.
«Cazzo, cazzo, cazzo!»
La città va per i fatti suoi.
Una delle prostitute, la più piccola, bionda, avvolta da un tubino nero, con un push-up che fa sembrare quel piccolo seno una cosa enorme e trasbordante, sale nell’auto di un cliente, il primo di una lunga serie di quella che si presenta come un’intensa notte di lavoro. Gli anabbaglianti di quell’utilitaria nera illuminano le strade. Quei fari inconsapevoli sembrano voler dare un ultimo sguardo sulla città, sulle case, sulle auto, sulle luminarie.
28 ottobre 2004
Due
Mese di ottobre, periferia, periferia fatta città.
Case, tante case, sembra di stare in un posto già visto, ma dove? Non si sa, potrebbe essere la periferia di una metropoli europea, italiana, o del sud del Paese. Le nuove città si somigliano tutte, sono tutti non luoghi , luoghi senz’anima, luoghi non ben definiti, luoghi tutti uguali. Qui a Partenope poi, i non luoghi sono ancora più non luoghi .
Chi prende il treno ha un’altra visione di Napoli. Non un treno locale, non la Cumana, la Circumvesuviana o la metropolitana, che sono una bolgia infernale. Il treno è per viaggiare, per andare oltre i confini di una metropoli, regione, nazione, Stato: amen. Milano è vicina, e con Freccia Rossa o Italo entri direttamente nel centro della città da bere.
È bello guardare il paesaggio dal finestrino, magari mentre leggi un libro. Un paesaggio bello, che rilassa, da Milano fino ad Aversa, e poi… poi il grigio, il cemento, quello che opprime. I principali problemi di questa Terra sono il cemento e la Camorra. Molti diranno che le due cose sono collegate. Vero! Ed è proprio questo il problema serio.
In quindici anni, in Italia sono stati edificati tre milioni di ettari di territorio, l’equivalente di Lazio e Abruzzo messi insieme. Un territorio assediato da clan e calcestruzzo il miglior investimento per una holding che smercia droga. Case che avanzano come il mare in tempesta, la terra fa gola a potentati edilizi, che nonostante siano sempre più oggetto d’importanti inchieste giornalistiche, e in alcuni casi anche giudiziarie, non mollano l’osso e sembrano passare indenni qualsiasi ostacolo, in un’indifferenza che non si sa più se sia colpevole, disinformata o semplicemente frutto di un’impotenza sconsolata. Del resto, costruire fa crescere il Pil, ma a che prezzo? Fa davvero male: l’Italia è piena di ferite violente, e i cittadini diventano complici se non s’impegnano nel dire no quotidianamente, nel piccolo, a livello locale. Questa è una battaglia di tutti, nessuno escluso.
Oltre ai rifiuti, in Campania anche il cemento abusivo rappresenta un volano economico della Camorra s.p.a. , gestito dai clan. Insieme agli appalti e ai subappalti delle opere pubbliche, l’abusivismo edilizio rappresenta il crocevia di condotte criminali che alimentano connivenze dei pubblici poteri, condizionamenti della vita pubblica e inconfessabili rapporti. Circa il 40% dei comuni sciolti in Campania ha tra le motivazioni il fenomeno dilagante dell’abusivismo edilizio. L’edilizia abusiva rappresenta per i clan anche un modo per riaffermare il controllo del territorio.
Secondigliano, Scampia, e procedendo verso il nord di Napoli, tra il mare di Varcaturo fino ad Afragola, Aversa, Acerra, si attraversa una striscia lunga, senza soluzione di continuità. Immensi dormitori solcati da due ferite: l’Asse Mediano e la Circumvallazione. Intorno, un degrado tangibile. Cemento. Tanto, troppo cemento. Bar, caffè, ristoranti, centri commerciali, supermercati, concessionarie di auto e sexy shop si affacciano sulla strada, intervallati da un numero infinito di statue di Padre Pio. Sacro e profano convivono con la stessa naturalezza con cui si riesce a convivere con gli spari, i furti, il degrado, la monnezza.
Un territorio che racconta passato, presente e futuro di uno spaccato sociale tipico, in cui si nasce e si vive conoscendo solo questa realtà, l’unica di cui ha memoria, e la sola che riesce a tramandare. Per non parlare di Arzano, Casavatore, Casoria, Mugnano, Marano, e potremmo continuare all’infinito.
In un appartamento di un palazzo tutto cemento e infissi anodizzati c'è una riunione. La casa è una di quelle popolari, anche se sembra una reggia. L’arredamento stile barocco, dove il dorato impera, rende quell’angusto spazio di un trash eccessivo. Su un divano in stoffa rosso