Napoli e il paradosso del calabrone
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Geo Nocchetti è giornalista e scrittore.
Dopo la laurea in Giurisprudenza e la specializzazione in Diritto Amministrativo, comincia a lavorare come inviato speciale del «Diario di Napoli», collabora quindi con il quotidiano «Il Mattino» e infine approda in Rai come inviato speciale, prima a Potenza, poi, a partire dal 1988, a Napoli.
Si occupa di criminalità organizzata e di cronaca giudiziaria e nera, seguendo anche la cultura e gli spettacoli.
Lavora, sia in Italia che all’estero, per trasmissioni come «Samarcanda», «Piacere Raiuno», «Uno Mattina», «Italie» e «Serata Tg1». Dal 1988 al 1996 è corrispondente del settimanale «Famiglia Cristiana», dal 1996 al 2002 è inviato per «La cronaca in diretta», trasmissione per la quale realizza oltre 900 dirette. Dal 2000 al 2002 effettua servizi e collegamenti per la trasmissione «Porta a Porta».
Dal 2008 è editorialista del «Corriere del Mezzogiorno», l’edizione campana del «Corriere della Sera», e attualmente è vice caporedattore del TGR Campania.
Ha pubblicato diversi saggi di Diritto Amministrativo e due biografie: Peppino Di Capri. Il sognatore (Rai-Eri, 2004) e Napoli solo andata… Il mio lungo viaggio (Sperling & Kupfer, 2005), sulla vita di Mario Merola.
Con la Tullio Pironti Editore ha pubblicato nel 2010 il romanzo Saldi di fine emozione, seguito nel 2014 dal pamphlet Gesù non aveva amici (e neppure una famiglia), con prefazione di Vittorio Sgarbi.
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Anteprima del libro
Napoli e il paradosso del calabrone - Geo Nocchetti
Geo Nocchetti
Napoli e il paradosso
del calabrone
© Lastarìa Edizioni srls, 2021
Tutti i diritti riservati
Lastarìa Edizioni
Viale Libia 167 - 00199 Roma
info@lastaria.it
www.lastaria.it
I Edizione: dicembre 2021
Isbn: 9788899706xxx
Finito di stampare nel mese di dicembre 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Published by arrangement with Delia Agenzia Letteraria
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri
Napoli e il paradosso
del calabrone
A Jack, per il quale non ho più lacrime.
A Carlo Amir, per il quale avrò sempre sorrisi.
Introduzione
«E la targa, avvocato, come la volete? Pari o dispari?».
Fresco di teoria giuridica post universitaria, la domanda del venditore di auto usate mi spiazza. Un privato cittadino mi sta forse dicendo che può decidere dell’assegnazione di una targa, assegnazione notoriamente di competenza della Motorizzazione Civile? Non replico, perché il siparietto avviene nello studio del mio maestro civilista, un mix di umanità e sapienza forense.
Correva l’anno 1981. Quell’auto, poi, non l’ho più comprata, e di quel venditore ho perso le tracce. Almeno fino al 1988… Quando un brillante e giovane capitano dei Carabinieri viene chiamato a dirigere la compagnia del quartiere napoletano in cui vivo. Iniziamo a frequentarci, instaurando un rapporto di grande cordialità e reciproca stima. Una sera, riferendomi dei suoi titanici sforzi per ripristinare una legalità apparentemente secondaria – sgombero delle merci degli ambulanti dai marciapiedi, rimozione delle auto in sosta, cattura di piccoli spacciatori, controllo dei locali equivoci, tanto per fare qualche esempio – mi racconta di avere scoperto che il piazzale adiacente alla caserma, occupato da un commerciante, in realtà appartiene al demanio pubblico e che, di fatto, è di pertinenza della caserma stessa. Nessuno, fino a quel momento, si era posto il problema dell’appartenenza o dell’attribuzione di quegli spazi. E nessuno si era accorto – strano a dirsi, per un’Arma sempre tanto attenta – che il negoziante si era finanche allacciato alla linea elettrica della caserma, addebitando alla Benemerita la bolletta mensile…
Il giovane capitano aveva immediatamente contestato al commerciante l’illecito penale. Aveva rimosso l’allaccio abusivo e dato il via alla procedura per rientrare in possesso dell’area. Il tutto in 24 ore. E, proprio 24 ore dopo, alla porta del suo ufficio si era presentato il consigliere comunale di un partito oramai scomparso – come lo stesso consigliere, del resto. Senza tanti giri di parole, il politico aveva redarguito il capitano per aver trattato tanto duramente il povero
esercente, che si era reso disponibile a venire incontro alle esigenze dell’Arma e a corrispondere un fitto mensile per lo spazio da lui indebitamente occupato. Quell’uomo, con buona pace del suo amico consigliere, fu infine sfrattato.
Fu così che sette anni dopo mi ritrovai faccia a faccia con quello strano venditore di auto usate: era proprio lui il commerciante abusivo e ladro con cui si era scontrato l’onesto capitano. E allora?
E allora, se prendiamo in considerazione gli ultimi 120 anni di storia cittadina, possiamo constatare che Napoli non ha avuto alcuna trasformazione urbanistica, sociale o economica di rilievo. In compenso ha conservato alcune piaghe cittadine, quasi fosse una sorta di contenitore crioscopico globale. Prendiamo la camorra, ad esempio.
Nel novembre del 1900 l’allora primo ministro Giuseppe Saracco nomina regio commissario straordinario di Napoli Giuseppe Saredo, senatore del Regno, studioso e accademico del diritto. La nomina è la conseguenza di una serie di articoli apparsi sui giornali dell’epoca, nonché di numerose segnalazioni che denunciavano che la realtà politica, amministrativa ed economica di Napoli era nelle mani della camorra.
Saredo non fa altro che fotografare la Napoli di quel tempo in cui la criminalità organizzata ha in mano non soltanto i traffici illeciti, ma tiene finanche in scacco l’allora sindaco Celestino Summonte, numerosi consiglieri comunali, professionisti, membri delle forze dell’ordine e magistrati. Senza contare che la malavita controllava anche buona parte dell’economia cittadina che si basava sul commercio, sulla cosiddetta manomorta
– ovvero la proprietà immobiliare – e sull’artigianato. E, naturalmente – come sottolineava il rapporto – quella camorra non era affatto altro
rispetto a quelli che oggi chiameremmo colletti bianchi
.
Già 120 anni orsono, dunque, Napoli era preda della delinquenza, tanto di quella comune che di quella organizzata. E fino a oggi, 2020, cosa hanno svelato inchieste giudiziarie, reportage giornalistici, ricerche universitarie? Cosa dicono ogni sei mesi le relazioni che la DIA prepara per il Parlamento, ovvero per la Commissione bicamerale antimafia?
Camorra e professionisti hanno perpetuato e perpetuano un rapporto incestuoso con la Napoli che delinque, mentre magistrati, forze dell’ordine e studiosi continuano a ripetere che la cosiddetta camorra imprenditrice
non esisterebbe se non ci fossero professionisti che si prestano ad affiancarla – e in alcuni casi a conviverci – con reciproco vantaggio. L’artigianato non è più così fiorente, ma il commercio e la ristorazione sono ancora saldamente nelle mani della criminalità, sovente attraverso catene di prestanomi, tanto con l’imposizione di forniture di vario genere che con l’intimazione del pagamento di tangenti. Gli immobili, una volta di nobili e maggiorenti, sono passati ai figli dei grandi evasori fiscali del boom e dopo boom
economico – notai, medici, avvocati, commercianti – che compravano case su case con rotoli di banconote. Una rendita eterna e vantaggiosa per pochi sfaccendati ereditieri, una piaga purulenta per l’asfittica economia cittadina, se economia
vogliamo definirla.
I Bebbé, le Bebe, le Tatti, le Nanà, le Dadà, che funestano le cronachette mondane cittadine, tra un compleanno con dj set, un’abbuffata camuffata da serata di beneficenza, una presentazione del libro del caro amico
, non hanno mai cacciato una lira prima – e non cacciano un euro oggi – per rendere le loro innumerevoli proprietà quantomeno abitabili. Inutile dire che le stesse persone sperperano fortune al tavolo verde, nei ristoranti, nelle vacanze, tutto fuorché in quello che potrebbe