Adele
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Anteprima del libro
Adele - Luigi Tortorella
3894541095
Proprietà letteraria riservata
© Marzo 2024 ATILE Edizioni
ISBN 9791256230198
LUIGI TORTORELLA
A D E L E
Atile edizioni
Tienimi per mano al tramonto, quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle... Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto. Tienimi per mano... Portami dove il tempo non esiste… Tienila stretta nel difficile vivere. Tienimi per mano… nei giorni in cui mi sento disorientato… Cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate… Tienimi la mano, e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te… Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…
Hermann Hesse
Dedico questo libro
alla donna che ha accompagnato
i momenti più belli della mia esistenza.
Prefazione
Luigi Tortorella si rimette ancora una volta alla prova come scrittore. Ha talento che doma con sagacia e maestria in ogni sua opera. Anche questo nuovo libro dal titolo Adele
intrattiene il lettore pagina dopo pagina. La storia di un prof delle superiori con un’ambientazione tutta italiana e piacevole nelle sue deliziose tappe, citando fra le varie regioni: Toscana, Lombardia, Liguria e Sardegna. Uno stile fresco e originale che si intreccia fra battute goliardiche strette fra professore e studenti, il tipico ambiente scolastico che fa ridere e sorridere. Dall’altra la storia esistenziale dello stesso insegnante raccontata con garbo e in certi punti anche con la giusta sfrontatezza. O meglio una sana ed elegante sfrontatezza, quella di una relazione amorosa che sa di moderno. Un amore, strano, precario, senza diritti e doveri, senza definizione.
Una storia d’amore fra il professore protagonista e la sua Adele che resta nel cuore di chi legge proprio per la sua particolarità di essere fuori dal coro. Ovvero, un sentimento che sa d’amicizia, quando invece di passione e vero amore, in altri casi di intesa e complicità. Alla fine un legame fra uomo e donna che ha tutto e di più al suo interno. Una simbiosi amorosa che coinvolge un pubblico adulto femminile e maschile perché narra di un amore a tratti autentico nella sua disperazione e a tratti folle nella sua animosità. Il prof combatte contro se stesso per non innamorarsi di Adele, ma forse si è innamorato già fin dall’inizio? Magari è già troppo tardi, è questo il filo su cui resta magneticamente sospeso chi legge. Già, perché il professore ha paura di innamorarsi di una donna irriverente, ribelle e così intensa come lei.
Una matta, come la definisce l’uomo che la ama, e lei è riuscita a dipingere di colori una vita grigia come quella del prof. Perché lei ha quella voglia di fare l’amore, ma al contempo di rimanere libera e non appartenere fino in fondo a nessuno. Ed è questo che fa paura al professore e che attrae come una calamita chi legge. Ogni capitolo è introdotto da aforismi, citazioni, estratti di libri famosi o di grandi classici letterari. Ogni spaccato dell’opera nota citata introduce il nesso psicologico, esistenziale, umano e di ambito sentimentale a cui si riferisce il romanzo nella sua storia fra l’insegnante e Adele.
L’ambientazione temporale parte dagli anni Novanta percorrendo questo mitico periodo storico e sociale che non tornerà più, ahimè. E quelle diecimila lire furono galeotte tra il prof e Adele per l’acquisto di un capo da parte della donna, a cui mancava proprio quella cifra. Qualcosa che si sente di restituire all’uomo e che sarà l’incentivo per rincontrarsi e far scoppiare passione e sentimento. Un amore contrastato fra cuore e anima, tra gli alti e bassi della vita, con un finale che non poteva essere assolutamente differente e che non delude. Una storia da leggere e vivere al contempo, è questo il bello di Tortorella, perché per leggere davvero un libro bisogna saperlo vivere con gli occhi del cuore.
Francesca Ghiribelli
La vita è un’isola in un oceano di solitudine:
le sue scogliere sono le speranze,
i suoi alberi sono i sogni, i suoi fiori sono la vita solitaria, i suoi ruscelli sono la sete. La vostra vita, uomini, miei simili, è un’isola, distaccata da ogni altra isola e regione. Non importa quante siano le navi che lasciano le vostre spiagge per altri climi, non importa quante siano le flotte che toccano le vostre coste: rimanete isole, ognuna per proprio conto, a soffrire le trafitture della solitudine e sospirare la felicità. Siete sconosciuti agli altri uomini e lontani dalla loro comprensione e partecipazione.
Kahil Gibran
T utto iniziò quel mercoledì, era il diciassette aprile 1991, quando improvvisamente la neve scacciò le calde giornate di primavera, riportando l’Italia nel gelo invernale.
Un fenomeno stranissimo, mai successo a memoria d’uomo.
La mattinata era cominciata, come al solito, col sole e il cielo azzurro.
Andai al lavoro, come la maggior parte delle altre persone, con abiti leggeri. Avevo indossato una giacca chiara alla sahariana e un pantalone scuro. Il tutto completato con un paio di mocassini senza calze. Alle undici però avvenne qualcosa di molto strano e preoccupante. Si passò rapidamente dai quattordici ai dieci gradi, e subito dopo esplose un forte temporale. Dopo qualche ora, alle diciassette per la precisione, la temperatura scese a quattro gradi. Alle diciassette e trenta, sorprendendo tutti, cominciò a nevicare con fiocchi enormi. La temperatura scese a zero gradi.
Per strada si vedevano le cose più strane. La gente, per difendersi da questo improvviso gelo, si inventò di tutto. Buste di plastica utilizzate come copriscarpe e cappelli. Qualcuno aveva trasformato i grossi sacchi neri della spazzatura in impermeabili, dopo averli bucati per far uscire la testa e le braccia. La neve imbiancò le piante, gli alberi ormai fioriti, le sedie e i tavolini all’aperto allestiti dai locali per soddisfare le richieste dei clienti. Nevicò ininterrottamente fino alle otto del mattino successivo, imbiancando tutto.
Solo qualche giorno prima della nevicata, su una spiaggetta vicino Grosseto, mi ero intrattenuto a parlare piacevolmente con una ragazza del posto, con un delizioso accento toscano. Era una calda giornata di primavera e avevamo deciso (con altri colleghi) di completare in quel posto di mare la gita scolastica a Saturnia e al parco dell’Uccellina. Una buona parte dei ragazzi era sparpagliata.
Era occupata a cercarsi un posto non lontano dalla spiaggia, per andare a pomiciare.
Quei ragazzi pomiciavano sempre; da quando entravano a quando uscivano da scuola.
Ero arrivato in quell’istituto tecnico di Milano, perché nella mia scuola di titolarità ero diventato soprannumerario. Avevo preso servizio quando l’anno scolastico era iniziato da qualche settimana.
La prima impressione che ebbi entrando in quella struttura scatolare, realizzata in maniera identica in altri contesti, secondo i criteri guida degli anni Settanta, fu come un pugno nello stomaco. Vedevo ragazze e ragazzi fuori dalle aule: avvinghiati, sbracati, rumorosi.
La collaboratrice scolastica, che mi stava accompagnando in segreteria per notificare il mio arrivo, notando la mia espressione perplessa, disse: «Non si meravigli. Fra un po’ non ci farà più caso. Qui è sempre stato così. C’è una libertà inconsueta perché la maggior parte dei professori proviene da quel famoso Sessantotto che contestava il sistema scolastico di allora, ritenuto inadeguato ai nuovi bisogni».
«Cazzo» dissi fra me e me. «Anch’io provengo da quella straordinaria esperienza, anche se ero solo un ragazzino quando esplose, ma mi pare che qui si sia confuso l’obiettivo. Mi pare che ci sia libertinaggio più che libertà.»
La bidella, si chiamava Carmela, come se avesse letto il mio pensiero, aggiunse:
«Qui prima di Natale si fa poca lezione».
«Cosa vuol dire?» chiesi.
«In questo istituto si discute, si discute, si discute. Si fanno in continuazione assemblee di classe e d’istituto. Si fanno scioperi per motivi diversi. Molto spesso per motivi banali. Si cerca più una crescita sociale che una crescita culturale e tecnica.»
«Mi sta descrivendo una situazione molto negativa.»
«È così!! È una mia convinzione, ma non lo dica a nessuno.
Qualche giorno fa c’è stato uno sciopero, perché uno studente simpatizzante di destra aveva detto a un compagno di classe simpatizzante di sinistra: Quando ti vedo, mi fai cagare duro
. Questa frase ha causato una riunione e il giorno dopo uno sciopero.»
Arrivati allo sportello della segreteria e, prima che la mia accompagnatrice mi lasciasse, vedo passare un ragazzotto, probabilmente del biennio, perché era molto giovane, al quale avevano attaccato dietro al maglione un biglietto con su scritto: Oggi mi puzza il culo.
Carmela aveva ragione. In quella scuola bisognava discutere e concordare tutto. Soprattutto bisognava tollerare tutto:
-bisognava tollerare i comportamenti licenziosi dei ragazzi in classe durante la lezione;
-bisognava giustificare il voto insufficiente che si dava a una verifica consegnata in bianco;
-bisognava spiegare perché non si poteva andare ai servizi durante le spiegazioni;
-bisognava spiegare perché, allungare la mano fra le gambe di una compagna durante la lezione, era una cosa sconveniente e poco elegante.
Un giorno, durante un’esercitazione in classe per progettare un muro di sostegno, avevo formato dei gruppi di lavoro per favorire la discussione sulla scelta più