L'anima e la danza
Di Paul Valéry
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Paul Valéry
One of the major figures of twentieth-century French literature, Paul Valéry was born in 1871. After a promising debut as a young symbolist in Mallarmé’s circle, Valéry withdrew from public view for almost twenty years, and was almost forgotten by 1917 when the publication of the long poem La Jeune Parque made him an instant celebrity. He was best known in his day for his small output of highly polished lyric poetry, and posthumously for the 27,000 pages of his Notebooks. He died in 1945.
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Anteprima del libro
L'anima e la danza - Paul Valéry
Intro
L’anima e la danza , pubblicato in Francia nel 1923, venne scritto da Paul Valéry nella forma di dialogo platonico
, infatti i tre personaggi in scena sono il filosofo Socrate, Fedro e il medico Erissimaco, che discutono del rapporto fra la danza e la bellezza, la danza e la poesia, la danza e l’amore.
DEDICA DEL TRADUTTORE
Per Ada Negri
Consentite, Amica mia, che io dedichi al dono prezioso della Vostra amicizia la traduzione italiana di questo Dialogo, in cui sembra rivivere attraverso i secoli (per virtù di un grande Poeta, nostro contemporaneo) il prodigio del Simposio platonico.
In una pagina del Protagora , Platone beffeggia quei poveri di spirito che, terminato il syndeipnon e iniziandosi il sympotos , a corto di argomenti filosofici, ricorrono ai servigi mercenarii di una citarista o d’una danzatrice, perché diano la cadenza al ritmo delle loro libagioni. Ma, certo, egli non confonderebbe con quei poveri di spirito questi personaggi dai nomi suoi redivivi: Socrate, Erissimaco, Fedro. Sazi di banchettare, una invincibile nausea li prende, E hanno fame di cibo spirituale; sitiscono nettare di pensiero. S’abbandonano anche loro, a uno sciame di danzatrici. Ma la corifea che le comanda si definisce (e definisce anche le sue nove coreute) col significato del proprio nome: Athikté, e cioè l’Intangibile. Se il gesto di una mano impura, se perfino l’accenno di uno sguardo men che pudico s’attentassero di sfiorare quelle creature di sogno, si dissolverebbero di scatto, rovesciandosi in cenere grigia. Non voluttà ai sensi. Ma delizia allo spirito. Ma stimolo e insieme, nell’atto del danzare, oggetto del pensiero. Il quale, messo in moto per entro i personaggi del Dialogo dalla fantasia di un Poeta, nel linguaggio non dei filosofi ma dei poeti s’esprime. In un ritmo vario di immagini: a volte concitato; ma più spesso retto in freno dalla intelligenza lucida di Valéry. In un ritmo, che estua tra caute sottigliezze dialettiche e dismemori beatitudini di canto, a creare il mito della divina danzatrice Athikté.
Diceva un giorno Paul Valéry a Frédéric Lefèvre: «J’estime qu’une œuvre une fois publiée, l’auteur n’a pas plus d’autorité que qui que soit d’entre ses lecteurs pour interpréter ce qu’ il a écrit. L’écrit est un fait, l’écrit est une chose. Il est désormais hors du pouvoir de celui qui l’a engendré d’imposer une signification ou une valeur quelquonque à cet objet. Voilà ce qu’il faut bien comprendre, et qui généralement n’est pas compris».
Ebbene. Liberamente interpretando, io ravviso in Athikté, che si stacca dall’inferno della realtà per librarsi nell’empireo della Danza a guarir dalla noia di vivere , un simbolo dell’anima umana balzante anch’essa, a guarire la noia di vivere, dall’inferno della vita nell’empireo della Poesia. La Danza è qui, insomma, metafora di Poesia; più in genere, metafora di Arte. La quale ha in sé la virtù sublime di non guarir soltanto il creatore: ma anche