1 Mimmo Liguoro I Posteggiatori Napoletani 03 La Decadenza
1 Mimmo Liguoro I Posteggiatori Napoletani 03 La Decadenza
1 Mimmo Liguoro I Posteggiatori Napoletani 03 La Decadenza
03. – La Decadenza
di
Mimmo Liguoro
G. DF. S. A. per www.vesuvioweb.co
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Mimmo Liguoro. Posteggiatori. 03-La decadenza
G. DF. S. A. per www.vesuvioweb.co
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La vena comica prevaleva su ogni altro motivo ispiratore, ma era una vena
solcata da una sottile angoscia esistenziale. Eugenio «cu 'e llente» (falsi occhiali
calzati sul naso come un'antica maschera) improvvisava versi ironici e li
pronunciava con ritmo di cantilena, con voce ora nasale, ora profonda:
Io di queste malattie
ne ho curato il mondo intero,
domandate ai miei clienti
stanno tutti al cimitero...
Fu Eugenio l'autore della canzone «Trapanarella», resa famosa dalla
«Nuova Compagnia di Canto Popolare»:
Trapanarella cu 'o trapanaturo
tràpana 'a mamma e 'a figlia pure...
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Famoso per la sua interpretazione dell' antico canto del «Guarracino» era,
fino a pochi anni fa, un posteggiatore ricordato solo con il suo elaborato
soprannome: Gigino «'o 'zzecca-cartielle», cioe «1'attacca cartelli».
Per incontrare gli ultimi samurai della posteggia occorre tener d'occhio, a
Napoli, due punti quasi opposti della città: il Lungomare e piazza Dante. Fra i
tavoli del ristorante «La Bersagliera» suonavano posteggiatori che sembravano
riassumere, nei volti e nei gesti, un intero secolo di arte popolare canora.
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Efisio Pistis faceva scorrere le dita sulle corde della chitarra, trovando
facilmente i motivi delle canzoni, mentre il suo sguardo se ne andava, oltre le
vetrate del locale, verso i gozzi che dondolavano nello specchio d'acqua del
Borgo Marinaro. Giuseppe De Blasio dava alla fisarmonica dolci scossoni, col
sorriso di un vecchio bambino. Donato Faraco faceva vibrare il mandolino,
tenendolo d'occhio con sguardi attenti e premurosi. Sulla loro musica cantava
Vincenzo Improta, voce di tenore-narrante, aiutata da gesti di misurata teatralità.
Quattro vite vissute per la posteggia, passione di tutta un'esistenza.
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Altri posteggiatori giravano ancora per Napoli, anche se il loro numero non
era assolutamente paragonabile alla quantita di «professori» di concertino che
c’era nelle epoche felici della posteggia. E anche il modo di cantare si era
allontanato dallo stile caratteristico dei cantatori dell'Ottocento-Novecento.
L'idea stessa della posteggia è come evaporata. Resta un suo riflesso nello
spirito con cui qualche artista si è proposto al pubblico: i grandi cantanti-
chitarristi come Murolo, Bruni, Cigliano, fino ai più giovani Carlo Missaglia,
Mario Maglione, Pino De Maio. Più di un riflesso della posteggia si poteva
trovare nel canto di moderni «cantastorie» che si esibivano in ristoranti e
«caves» come Alfonso da «Marino» a S. Lucia, o Franco Di Costanzo da
«Umberto», o Gianni Quintiliani, che riproponeva anche in suoi spettacoli toni e
gestualita della posteggia. Nel locale che Aurelio Fierro aveva aperto in piazza
S. Maria La Nova c'era, alla chitarra, Nicola Mormone, mentre a metà della
scalinata S. Giovanni Maggiore, nella propria «taverna», Egisto Sarnelli fondeva
con gli accordi della chitarra la sua voce di tufo, aspra e melodica. Di nuovo
verso il mare, in una «cave» che prendeva il nome da un'antica canzone, Luciano
Rondinella e la figlia Francesca riproponevano melodie classiche, col giusto
contributo di chitarre, pianoforte e «tammorre».
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Si chiama Sergio Minelli quel giovane con chitarra che va su e giù tra
Mergellina e Posillipo, per cantare nelle trattorie con la sua voce dai toni
inconfondibilmente simili a quelli usati, con rigorosa sapienza, da Sergio Bruni.
Nelle ugole, e nel cuore, di questi, e di pochi altri, cantanti «di strada» si è
rifugiato l'esile spirito della posteggia napoletana, sempre più insidiato dallo
sviluppo tecnologico dei mezzi di diffusione della musica e dal fatale cambio dei
gusti del pubblico. Tuttavia, la fiammella, per quanto anemica, non è spenta del
tutto, ed è ancora possibile programmare, per le vie di Napoli, un itinerario
lungo il quale veder riemergere frammenti di un passato che fu ricco di ombre e
luci, in abbondanza.
Del resto, esiste ancora un circuito minore di occasioni per far musica,
connesso all'abitudine di alcuni strati popolari: nessuna ricorrenza familiare,
nessun festino tra amici e parenti senza un'orchestrina che suoni. In questi casi,
il repertorio sfugge a ogni possibile controllo «culturale» ma i complessi
musicali girovaghi costituiscono ancora una sorta di utile scuola di
apprendimento, una pedana da cui, in occasioni sempre più rare, partono verso
l'avventura dell'arte giovani particolarmente dotati di inventiva e istinto
musicale. Come accadde a Pino Daniele, oggi big indiscusso del moderno mondo
musicale, ieri giovane chitarrista in concertini vagabondi. Una matrice di cui
Daniele si ricorda sempre, e a cui attribuisce la dovuta importanza. Un destino
analogo a quello di Enzo Gragnaniello, che dai vicoli del centro storico di
Napoli, e dai giovanili concertini, prese anche lui il via verso l'alto.
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