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Lukács e Spengler

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Ma la voce più autorevole nella ricezione di Spengler a sinistra fu senz’altro quella del filosofo

marxista, nato in Ungheria da famiglia ebrea tedesca, Georg Bernhard Löwinger von Szegedin,
meglio conosciuto con il nome magiarizzato di György Lukács120; la quale costituisce la più
completa critica marxista di Preußentum und Sozialismus. Egli aveva già recensito quest’opera nel
1920121, inscrivendo Spengler nel novero dei presunti ‘superatori’ di Marx, tacciando Der Untergang
des Abendlandes di dilettantismo («im wesentlichen aber durch und durch dilettantisches Buch»),
facendo una stringata sintesi delle tesi dell’opera, e additandole come prive di valore («Lohnt es
sich, solche Schriften zu kritisieren?»), commentava infine:

«Sie sind als Symptome nicht uninteressant. es beweist nur die


grenzenlose Unwissenheit des Herrn Spengler in Fragen des Marxismus,
das sein einziges Zitat von Herrn Lensch stammt (49), sondern es zeigt
auch, wohin Theorie und Praxis der deutschen Rechtssozialisten
notwendig führen mußten.»
Un giudizio più ponderato, alla luce dello sviluppo dei movimenti fascisti in Europa, è contenuto
però nell’imponente opera del 1953, Die Zerstörung der Vernunft122 in cui Lukács tracciò le tappe più
importanti dello sviluppo dell’irrazionalismo all’interno della ‘filosofia reazionaria borghese’,
seguendo un percorso ideale da Schelling al Drittes Reich123, all’interno del quale, con intransigenza
da inquisitore124, stabilisce un nesso diretto tra gli eventi storici e l’avanzata del progresso sociale
da una parte, e il regresso del livello filosofico dell’irrazionalismo dall’altra, dovuto alla stretta
consequenzialità tra struttura economica e sovrastruttura filosofica, per cui all’indebolimento
della borghesia come classe di fronte all’avanzata del proletariato, non può che rarefarsi anche il
pensiero borghese di fronte al progresso della dialettica marxista.

Il quadro è limitato all’irrazionalismo tedesco, in quanto esso è stato il più influente a livello
internazionale. In una sequenza che prende le mosse a partire da Schelling, Schopenhauer,
Kierkegaard e Nietzsche, per sfociare nell’ideologia nazionalsocialista, Oswald Spengler è

120 György Lukács (1885 – 1971), nato in Ungheria, studiò in Germania, divenne marxista e poi leninista,
teorico di spicco del marxismo occidentale; commissario per l’educazione e la cultura nella Repubblica
Sovietica Ungherese nel 1918, esule in Germania e in URSS, dove sopravvisse alle purghe staliniane, per
poi assumere un ruolo dirigenziale nella Repubblica Popolare Ungherese nel 1945; accusato di repressione
nei confronti degli intellettuali non allineati, nel 1956 si schierò con i rivoluzionari, rivestendo incarichi
importanti.
121 G. Lukács, Notizen, 1920.

122 G. Lukács, Die Zerstörung der Vernunft, Aufbau-Verlag, Berlin, 1953; in G. Lukács, Werke : Band 9,

Luchterand, Berlin-Spandau, 1962.


123 “Il nostro argomento è pertanto la via della Germania ad Hitler nel campo della filosofia”, ibidem, p. 10.

124 esemplificata da frasi quali “Una delle tesi fondamentali di questo libro è che non c’è nessuna

Weltanschauung «innocente».” oppure “Il semplice fatto dei nessi che qui si sono mostrati deve di necessità
costituire un discite moniti di grande importanza per ogni intellettuale onesto dell’Occidente. Esso prova che
la possibilità di una ideologia fascista aggressiva e reazionaria è contenuta obbiettivamente in ogni
espressione filosofica dell’irrazionalismo.”, ibidem, pp. 10 e 34; cfr. anche C. Mutti, Il vangelo secondo Lukács,
da http://www.claudiomutti.com.
collocato nella Lebensphilosophie immediatamente precedente a quest’ultima. Infatti, pur operando
le giuste distinzioni tra Spengler e il nazionalsocialismo, ovvero le differenti concezioni sulla razza
e sul ceto dominante, Lukács non esita nel chiudere il capitolo su Spengler commentando così125:

«Ma ciò non cambia nulla all’importanza di Spengler nella storia della
preparazione del fascismo: egli ha trasformato la filosofia della vita in
una concezione del mondo della reazione militante, e ha compiuto così la
svolta decisiva che, anche se non proprio direttamente, conduce al
fascismo. Gli ideologhi fascisti, nonostante tutte le riserve e le
osservazioni polemiche, hanno riconosciuto sempre questi meriti di
Spengler.»
Sostiene inoltre che «Il livello filosofico di Spengler è nettamente inferiore a quello dei
rappresentanti della filosofia della vita fin qui considerati»126 e proprio per questo avrebbe avuto
una vasta influenza. Critica inoltre il suo «attacco contro lo spirito della scienza in generale,
contro la competenza della ragione a trattare in modo adeguato importanti problemi
dell’umanità.»127, l’affermazione di un relativismo storico e l’estensione di questo approccio
storiografico alle altre scienze, e alla gnoseologia stessa; ritenendo queste tesi una risposta
esplicita volta a negare la concezione marxista della storia, ovvero in particolare lo sviluppo
unitario dell’umanità e la successione delle grandi formazioni economiche. Infine, avvalendosi
della contrapposizione tra Kultur e Zivilisation, Spengler avrebbe giustificato e prospettato il
trionfo della ‘reazione’ sotto forma di «fatale, sempre crescente e incontrastato dominio dei
‘Cesari’, cioè del capitalismo monopolistico, […] sulla massa informe dei fellah proletari»128.

Secondo Lukács è proprio in Preußentum und Sozialismus che questa prospettiva è concretata,
sviluppando idee già presenti negli scritti bellici di Max Scheler129 e di Werner Sombart130. La
novità di Spengler rispetto a Nietzsche starebbe proprio nell’approccio al socialismo:

«Appare qui chiaramente quanto vi è di nuovo in Spengler rispetto a


Nietzsche. Questi attaccava il socialismo, a lui poco noto, direttamente e
frontalmente. Non si può naturalmente affermare che Spengler
conoscesse meglio la letteratura socialista; ma il suo modo di attaccare è
un altro, è un’elusione, un inganno demagogico: il socialismo sarà
vittorioso, ma il socialismo “vero” è il prussianesimo.»131

125 ibidem, p. 415.


126 ibidem, p. 403.
127 ibidem, p. 403.

128 ibidem, p. 413.

129 M. Scheler, Der Genius des Kriegs und der Deutsche Krieg, Verlag der Weissen Bucher, Leipzig, 1915; M.

Scheler, Krieg und Aufbau, Verlag der Weißen Bücher, Leipzig, 1916.
130 W. Sombart, Händler und Helden: Patriotische Besinnungen, Duncker & Humblot, München-Leipzig, 1915.

131 G. Lukács, Die Zerstörung der Vernunft, op. cit., pp. 414-415
Incalza poi affrontando il problema delle differenti concezioni del socialismo esposte in
quest’opera e in Der Untergang des Abendlandes e risolvendolo sommariamente negando ogni
coerenza a Spengler e considerandolo legato alle contingenze del momento.

«Che la prospettiva storica qui tracciata sia essenzialmente diversa da


quella che si trova nel Tramonto dell’Occidente, è interessante solo per
coloro che vogliono vedere in Spengler un pensatore con un sistema
coerente. A noi sembra che ci sia – fra le due prospettive – un
importante nesso sociale. Se nella sua opera principale aveva respinto le
prospettive del socialismo con gli argomenti ricavati dalla morfologia dei
cicli di civiltà, qui vuol salvare teoricamente il capitalismo imperialistico
tedesco, coi suoi tratti militaristici e junker, ribattezzandolo a “vero”
socialismo. Ma in tal modo egli ha già anticipato l’idea fondamentale
della demagogia sociale hitleriana»132
Riassumendo, György Lukács colloca Spengler nella progressione dell’irrazionalismo all’interno
dei Lebensphilosophen come discepolo di Nietzsche e precursore diretto del nazionalsocialismo.
Considera Preußentum und Sozialismus «un’opera particolare, importante per l’ideologia del
fascismo»133, ma nega ogni coerenza di fondo tra questa e Der Untergang des Abendlandes, giacché
attribuisce le idee esposte a due diversi momenti della demagogia sociale della borghesia
capitalista e reazionaria. Tuttavia pare ignorare che non solo le due opere furono composte in
parallelo ma che la seconda parte della prima opera (contenente la parte sul socialismo) fu
pubblicata tre anni dopo la seconda. Inoltre, attribuire a un allora anonimo professore in
pensione quale Spengler un voluto intento di apologia del capitalismo, in un momento in cui,
peraltro, egli non era neanche entrato in contatto con ambienti della grande industria tedesca
(come farà successivamente, negli anni ’20), è quanto meno discutibile.

132 ibidem, p. 415.


133 ibidem, p. 414.

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