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Lo Zio Crocifisso

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Lo zio Crocifisso

All’inizio del capitolo IV del romanzo “I Malavoglia”, il più


conosciuto del verista siciliano Giovanni Verga, viene posto il brano
“Lo zio Crocifisso”. Subito dopo che i Malavoglia hanno appreso la
notizia del naufragio della Provvidenza Verga consegna al lettore un
particolare ritratto dell’usuraio del paese, zio Crocifisso. L’ingresso
in scena di tale figura è dovuto ad un prestito che padron ‘Ntoni ha
richiesto all’usuraio per acquistare un carico di Lupini andato poi
perso in mare (I lupini sono infatti trasportati sulla nave della
“Provvidenza” che, ironicamente, naufraga portando con sé non
solo i lupini ma anche Bastianazzo, figlio di padron ‘Ntoni). Il
proverbio “buone parole e mele fradicie”, posto all’inizio del brano,
(uno dei tanti proverbi presenti nel brano che dal dialetto siciliano
vengono italianizzati da Verga) ci fa capire da subito che l’usuraio
non è per niente interessato alle chiacchiere ma esclusivamente ai
fatti, alla restituzione del denaro. Il concetto viene ampliato da uno
dei soprannomi affibbiatigli dalla gente del luogo: “Campana di
legno”, in quanto era sordo alle scuse dei debitori che non erano in
grado di pagare. Parlando più nello specifico del mestiere di zio
Crocifisso possiamo descrivere in cosa consiste e in particolare i
metodi utilizzati. Come abbiamo già detto egli è un usuraio, ossia
presta denaro, attrezzature, cibo e qualsiasi cosa gli possa fruttare
un torna conto che poi gli deve essere restituito con una percentuale
di interesse. Passa la maggior parte del suo tempo nella piazza del
piccolo paesino in cui vive, appoggiato ad un muro della chiesa in
modo da essere sempre visibile a chi ne abbia bisogno (una sorta di
tentazione per i bisognosi). Per assicurarsi una certa sicurezza
richiede al debitore un pegno (ossia un oggetto di valore che faccia
da garanzia in modo da poter forzare il debitore a restituire quanto
dovuto). Tale processo viene espresso dal proverbio “Chi fa
credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno”, ossia che
chi concede un prestito senza pegno rischia di perdere i propri soldi
e cadere in sventura. In particolare nel brano viene messo in
evidenza il rapporto che l’usuraio ha con i pescatori, ai quali presta
barche e attrezzature da pesca chiedendo in cambio un terzo della
pesca, più la parte della barca, che conta come un uomo della
ciurma; in tal modo finisce che i pescatori perdono tutto il guadagno
che invece intasca l’usuraio senza rischiare la vita in mare. Capita
inoltre, qualora ci sia il bisogno, che se un pescatore è in difficoltà
economica zio Crocifisso acquista tutto il suo pescato; patto che
venga il tutto pesato con le bilance farlocche dell’usuraio stesso
(esse infatti sono tarate in modo da mostrare un peso inferiore a
quello reale). In tal modo riusciva ad instaurare un legame con i
pescatori del paese, mostrandosi come una persona benevola pronta
ad aiutare il prossimo. La realtà dei fatti è però ben diversa e si
scopre che l’usuraio compie le proprie azioni solo per un torna
conto personale mostrando, al momento della restituzione dei beni
prestati, tutta la sua natura maligna e priva nella maniera più
assoluta di bontà e umanità. Zio Crocifisso è infatti un vero e
proprio mago nell’arte della dissimulazione ponendosi alle persone
come un buon cristiano pronto ad aiutare il prossimo per semplice
purezza d’animo e volontà di raggiungere il Paradiso. Ciò gli
permetteva di ampliare la cerchia dei suoi clienti, ingannati dalle
sue parole. Le stesse espressioni “Campana di legno” e “Buon
diavolaccio” ci fanno comprendere come Zio Crocifisso utilizzi
quest’arte della dissimulazione per favorire i suoi affari. Non
mancano nel testo toni ironici: si parla infatti dell’usuraio come
Provvidenza per chi è in difficolta, o ancora quando viene detto che
presterebbe anche la camicia per dar conto ai propri affari, per
sottolineare ancora una volta la sua profonda avarizia.
Nonostante il pensiero di Verga non sia esplicitamente espresso nel
testo è comunque intuibile dall’utilizzo che l’autore fa dell’ironia,
indirizzandoci in maniera subliminale verso il pensiero che gli
usurai siano persone maligne e prive di umanità.

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