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8 Freud

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SIGMUND FREUD E LA PSICOANALISI

La seconda metà dell’Ottocento rappresenta una svolta nella storia della cultura europea, frutto di una crisi senza
precedenti, che travolge larghi strati della popolazione, in particolare quelli borghesi, ridotti ormai ad anonimo “ceto
medio”. Borghesi in preda ad un profondo senso di smarrimento, frutto della perdita di vecchi valori, di antiche
certezze: “dio è morto”. Ne consegue un pessimismo radicale, che spesso sconfina in un vero e proprio catastrofismo,
come nello scritto del tedesco Oswald Splengler, dal titolo Il tramonto dell’Occidente, un best seller di questi anni:

Una cultura nasce nell'attimo in cui una grande anima si desta dallo stato psichico originario dell'eternità eternamente
fanciulla e se ne distacca, come una forma da ciò che è privo di forma, come qualcosa di limitato e di perituro
dall'illimitato e dal permanente. Essa fiorisce sulla base di un territorio delimitabile in modo preciso, al quale rimane
vincolata come una pianta. Una cultura perisce quando quest'anima ha realizzato l'intera somma delle sue possibilità
sotto forma di popoli, di lingue, di dottrine religiose, di arti, di stati e di scienze, ritornando quindi nel grembo della
spiritualità originaria.

L’Europa si è dunque smarrita, avendo ormai esaurito “l’intera somma delle sue possibilità”. La tematica dello
smarrimento si riscontra in numerosi autori di questi anni, soprattutto di lingua tedesca, come Robert Musil, autore de
L’uomo senza qualità. Musil denuncia i processi di massificazione e livellamento, contesta l’etica del profitto e il
materialismo dilaganti. Ma la polemica tende a coinvolgere ogni aspetto di quel progresso tanto celebrato nei decenni
precedenti. Di qui le violente critiche alle istituzioni democratiche e al socialismo della maggior parte delle cosiddette
avanguardie artistico-letterarie del periodo, in primo luogo i futuristi.
Ma ad essere malato non è il sistema in cui tali autori vivono. Al contrario, il capitalismo gode di ottima salute, avendo
reagito prontamente alla sfida del 1873, e ora promuove un nuovo ed ancora più poderoso progresso. Ma questa volta a
rimanere vittime dello sviluppo sono proprio quelle classe sociali che avevano promosso il progresso precedente: i ceti
borghesi. Il matrimonio tra capitalismo e borghesia aveva avuto luogo tra Quattrocento e Cinquecento. Un matrimonio
fecondo, che cambia il volto del pianeta, trascinandolo rapidamente fuori dalle paludi medievali. La logica capitalistica si
era perfettamente coniugata, allora, con l’etica austera delle classi borghesi. Capitalismo, borghesia e progresso
costituirono allora un trinomio inscindibile, destinato a dare l’assalto all’ultima roccaforte dell’Ancien Regime: il potere
politico. Il 14 luglio 1789 rappresenta una svolta epocale nella vita non solo europea: la borghesia conquista il potere
politico e si avvia ad edificare un nuovo sistema. Un sistema straordinariamente efficace, capace di mutare la faccia del
pianeta come mai era accaduto in passato, come evidenziato anche da Karl Marx. Ma lo stesso Marx aveva messo in
guardia la borghesia: la logica capitalistica è spietata con tutti e finirà per emarginare gran parte dei borghesi,
trascinandoli gradualmente nei ranghi più bassi della gerarchia sociale, al fianco delle classi popolari e proletarie. La
sollevazione popolare del 1848 rappresenta il primo assalto al cielo delle classi proletarie, ma i tempi non sono ancora
maturi. Piccoli, medi e grandi borghesi si uniscono (insieme agli aristocratici) per respingere la minaccia. Ma la crisi è
solamente rimandata. Per venticinque anni il capitalismo assicura benessere alle classi borghesi, aumentando tuttavia il
peso del ceto proletario. Poi, nel 1873, le contraddizioni esplodono: la prima crisi di sovrapproduzione della storia
rappresenta il divorzio tra capitalismo e ceti borghesi. Il capitalismo si libera di tutti i fardelli del passato, anche di quelli
più recenti. Per potere mantenere in equilibrio la dinamica tra domanda e offerta ha bisogno di ampliare a dismisura i
mercati. La borghesia tradizionale, con la sua etica austera e i suoi numeri estremamente ridotti, non può servire alla
causa, non da sola almeno. D’altro canto, il nuovo sistema fa perno non sulle piccole e medie imprese a conduzione
familiare, ma sulle grandi industrie e i grandi gruppi finanziari. Un capitalismo anonimo, trainato da un ceto sicuramente
borghese, ma profondamente diverso da quello precedente: una “nuova aristocrazia”, che non si reca in fabbrica per
controllare il lavoro degli operai e che forse nemmeno conosce le fabbriche che possiede; che non disdegna di ostentare
il lusso e che gioca con il denaro per accrescerne il valore. Una piccola élite che trasforma il capitalismo in una fitta rete
di monopoli, aumentando a dismisura la produzione di beni, anche non primari. Un capitalismo che non solo va a caccia
di nuovi consumatori ma che genera di continuo nuovi bisogni. Di conseguenza, la produzione non punta più sulla
qualità dei prodotti, bensì sulla quantità: una produzione in serie, massificata. Tramonta l’austerità borghese dei secoli
precedenti, lasciando spazio ad un’etica del consumo che attraversa trasversalmente i ceti, penetrando a fondo,
gradualmente, anche in quelli popolari. La concentrazione del capitale rende altresì inevitabile la crescita del
proletariato, polarizzando la società, come previsto da Marx. Non c’è più posto per la borghesia tradizionale, il cui
impoverimento, economico e culturale, è inevitabile. Smarrita e frastornata, la borghesia cerca di evitare la
marginalizzazione alleandosi ora con l’una ora con l’altra forza, trovando alla fine una “terza via” prima nel nazionalismo
e poi nel fascismo (entrambi tuttavia perfettamente funzionali al capitalismo finanziario e industriale). Smarrita e
frastornato, il borghese cerca di continuo risposte a questo vero e proprio “male di vivere”. Sarà un altro autore di
lingua tedesca a fornirle: Sigmund Freud.

Freud nasce a Freiberg, una cittadina della Moravia sotto il dominio austriaco, il 6 maggio 1856 da una famiglia piccolo
borghese di origine ebraica. La famiglia si trasferisce a Vienna quando Sigmund è ancora un bambino. Vienna è un
centro culturale molto vivo, soprattutto in ambito scientifico. Ed è in questo ambito che Freud trova le maggiori
soddisfazioni. Terminati gli studi liceali, il giovane Freud si iscrive a Medicina, conseguendo la laurea nel 1881. Entra
quindi nell’Ospedale Generale di Vienna, dove studia gli effetti di una sostanza ancora poco conosciuta, la cocaina, di cui
diviene un consumatore assiduo. Freud constata sulla sua stessa persona gli effetti benefici e decide di farne un uso
terapeutico. Ernst Fleischl è un amico di Freud, da tempo dipendente dalla morfina, assunta in seguito ad una malattia.
Freud è convinto che la cocaina possa liberarlo da questa dipendenza. Ed è quello che accade, ma con un inatteso
effetto collaterale: Fleischl diventa dipendente dalla cocaina. Un insuccesso clamoroso, che tuttavia non gli impedisce di
fare carriera: nel 1885 Freud ottiene la libera docenza. Abbandonati gli studi sulla cocaina (e ridotti i consumi personali),
Freud è ora particolarmente interessato alla psiche umana. Si reca a Parigi per studiare l’ipnoterapia, allora praticata
con successo dal dottor Jean Martin Carchot. Tornato in patria, Freud decide di applicarla sui suoi pazienti insieme al
collega ed amico Joseph Breuer. La collaborazione tra i due studiosi è una delle più proficue nella storia della medicina. Il
successo dell’ipnoterapia convincono i due studiosi a pubblicare un saggio: Studi sull’Isteria. È il 1895. Particolarmente
interessante il caso di una ragazza, Anna O., da tempo affetta da idrofobia psicogena di cui si ignorano le cause.
L’ipnoterapia riesce laddove tutte le cure precedenti avevano fallito, lanciando Freud e Breuer agli onori della cronaca.
Ma poi i due decidono di seguire ognuno la propria strada. Freud pubblica il primo di una lunga serie di successi:
L’interpretazione dei sogni. Significativo e assolutamente non casuale che il libro, sebbene nelle librerie già dal 1899,
venga pubblicato con la data del 1900. Freud ha infatti fatto una scoperta clamorosa, quella dell’Inconscio, che
rappresenta la nascita della Psicoanalisi. E tuttavia l’autore non manca di ricordare il contributo dell’ex collega Breuer.
Ma che cos’è la psicoanalisi? Si tratta di “un procedimento per l’indagine di processi mentali che sono altrimenti
inaccessibili per altra via”. L’opera ha un successo straordinario: davanti alle librerie i lettori fanno la fila per
accaparrarsene una copia. Freud è ormai un uomo di successo e il suo studio sempre più affollato. La Psicoanalisi è
diventata una moda. Nel 1901 esce Psicopatologia della vita quotidiana, un altro straordinario successo letterario.
L’inconscio è sempre il principale l’oggetto di studio di Freud, che, nel tentativo di chiarirne tutti gli aspetti, comincia ad
interessarsi sempre più alle questioni sessuali. Nel 1905 escono i Tre saggi sula vita sessuale (1905), nel 1912 Totem e
Tabù e nel 1920 Al di là del principio del piacere, tutti best seller. E tuttavia le indagini sessuali di Freud contribuiscono
alla rottura della Società di Psicoanalisi internazionale: non pochi colleghi lo accusano di sopravvalutare il ruolo del sesso
nei processi psichici. Ma è Freud, almeno in questo momento, ad avere la meglio, se non nella comunità scientifica,
sicuramente presso il grande pubblico. Nel 1929 pubblica Il disagio della civiltà, un altro straordinario successo. È l’anno
della grande crisi, che presto trascinerà il pianeta verso un nuovo ed ancora più sanguinoso conflitto. Quattro anni più
tardi Hitler conquista il potere. Nell’Austria dell’ebreo Freud, i seguaci del dittatore tedesco si fanno sempre più
aggressivi. Le sue opere vengono bruciate insieme a quelle di un altro ebreo, Karl Marx. Freud comprende allora che è
arrivato il momento di abbandonare il paese. Pochi mesi dopo, il III Reich si annette l’Austria. Il padre della Psicoanalisi si
spegne il 23 settembre 1939 a Londra. Il 1 settembre era scoppiata la II Guerra Mondiale.

L’ipnosi e la scoperta dell’Inconscio


Anna O. è una ragazza affetta da anni da idrofobia, una patologia che rischia di portarla alla morte. Breuer e Freud
decidono di occuparsi del caso, ricorrendo all’ipnoterapia. Il successo è straordinario. Anna compie un vero e proprio
viaggio a ritroso nel tempo, fino agli anni della sua fanciullezza. E lì, nei meandri più nascosti di quella che un tempo si
chiamava coscienza, gli autori scoprono un episodio apparentemente insignificante nella sua vita: la vista di un cane che
si abbevera dal suo bicchiere. Ecco scoperto il trauma che ha causato l’idrofoba. Sarà pure un episodio di piccola
portata, ma per la paziente ha rappresentato qualcosa di molto doloroso: ecco spiegata la rimozione. Freud è convinto
tuttavia che i processi di rimozione non portino necessariamente a gravi patologie come nel caso di Anna ovvero che la
rimozione sia un processo che riguarda tutti gli esseri umani. Di conseguenza, la Psicoanalisi non dovrà necessariamente
indirizzarsi verso i casi più gravi. L’influenza di Schopenhauer e di Nietzsche è in questo caso evidente: i due autori
avevano sostenuto che il perno della volontà umana non risiede nella vita cosciente bensì in un vasto mondo ancora
tutto da esplorare. Freud si pone ora l’obiettivo di esplorare a fondo questo mondo: l’Inconscio. Egli è convinto che gran
parte della nostra personalità – il famoso “Io” dei filosofi – risulti ancora ignota e comunque frutto di un rapporto
conflittuale con l’esterno, cosa per altro già individuata da Nietzsche. Questo è ancora più vero se si pensa che per Freud
l’Inconscio ha un peso ben maggiore rispetto alla coscienza. Il nostro Io è come un iceberg, dove solamente una piccola
parte risulta visibile, mentre il resto vive sott’acqua.

La psicopatologia della vita quotidiana


Anna O. è un caso limite: il trauma infantile l’ha portata a sviluppare una radicale avversione all’acqua che ne ha
condizionato tutta l’esistenza. La paziente è sicuramente malata, ma questo non significa che chi non abbia sviluppato
gravi patologie possa considerarsi “normale”. Anzi per Freud non esistono persone normali o anormali e questo perché
il grosso della nostra personalità, del nostro Io, ci è totalmente sconosciuto. Compito dello psicoanalista è quindi di
scoprire, per quanto è possibile, i meandri più nascosti della nostra personalità, lacerare cioè – per usare una
terminologia cara a Schopenhauer – il Velo di Maya e penetrare a fondo nel nostro noumeno. La dimostrazione che
l’Inconscio è presente in tutti gli esseri viventi e che condiziona la nostra esistenza sta in tutta una serie di
comportamenti apparentemente insignificanti, di cui non abbiamo, appunto, alcuna coscienza. Freud li analizza nella
sua seconda grande opera, Psicopatologia della vita quotidiana. Si tratta dei cosiddetti “lapsus freudiani”, errori
involontari nel linguaggio, dimenticanze, atti mancanti, insomma sbagli inconsapevoli nelle nostre azioni più semplici,
che tuttavia non sono, per Freud, mai frutto del caso. L’inconscio bussa di continuo alla porta della nostra coscienza e
sebbene tenda a soccombere di fronte ai nostri organi di autocontrollo, qualche volta riesce ad avere la meglio. Per
esempio, che cosa avrà voluto dire l’inconscio di quello spettatore che dopo uno spettacolo di danza dichiara ad un
amico di avere molto apprezzato la “spogliatezza della ballerina” in luogo della sua “spigliatezza”? Non è difficile
immaginarlo: vederla nuda! E che dire di quel patriota che invece di dire “il nostro Stato” parla del “mostro Stato”?
Anche in questo caso è evidente: il patriottismo è solo di facciata e l’inconscio lo ha riportato alla sua vera realtà, al suo
noumeno, quello di chi odia o teme la propria patria. In questi come in tanti altri casi citati nel libro, non si tratta certo di
persone “malate”, tutt’altro. I lapsus sono propri di tutti i soggetti, di tutte le età, di tutti i generi, e sono il risultato della
guerra continua tra il Conscio e l’Inconscio. Rappresentano, in particolare, delle piccole vittorie da parte di quest’ultimo,
immediatamente censurate dai nostri organi di controllo e fatti passare, appunto, come piccoli errori privi di senso.

L’interpretazione dei sogni e le associazioni libere


L’Ipnosi è uno strumento efficace, ma anche pericoloso. Non è un caso che nei decenni precedenti se ne facesse largo
uso nell’oscuro e ambiguo mondo del paranormale o addirittura in qualche circo. D’altro canto, con l’Ipnosi il paziente è
completamente nelle mani di chi la applica. L’Ipnosi è servita a risolvere il caso di Anna O, questo è vero, ma la
psicopatologia quotidiana dimostra che vi possono essere altre vie per penetrare nei meandri nascosti della nostra
coscienza. E tuttavia, l’ipnosi ha anche dimostrato quanto sia vigile la nostra coscienza. Che fare allora? Non resta che
puntare sui quei momenti in cui le nostre difese risultano meno attive, come per esempio durante il sonno. Meno attive
non significa spente e dunque sarà ugualmente dura riuscire a penetrare nell’inconscio. E tuttavia, quando il sonno si fa
più profondo, tali difese si indeboliscono ulteriormente, consentendo all’Inconscio di parlarci attraverso i sogni. I sogni
sono quelli che Freud chiama “via regia” per accedere all’Inconscio. Con L’interpretazione dei sogni Freud conquista un
pubblico straordinario, ancora oggi a dire il vero. E tuttavia interpretare i sogni non è cosa semplice, dato che l’Inconscio
non parla la stessa lingua della nostra coscienza. Il sogno stesso si presenta complesso, generalmente con due contenuti
differenti:

1. Un contenuto manifesto, vale a dire ciò che effettivamente accade e che generalmente ricordiamo (specie nei
sogni più vicini al risveglio) e che spesso ci pare privo di senso;
2. Un contenuto latente, vale a dire il desiderio rimosso che si ripresenta mascherato nelle immagini del
contenuto manifesto. Un contenuto di difficile interpretazione in quanto i meccanismi di controllo e di censura
sono sempre presenti, anche se notevolmente attenutati.

Dunque interpretare i sogni è un affare complesso perché complessi sono i sogni. Vero è che Freud pensa che i sogni
siano in qualche modo desideri nascosti o repressi, ma non si presentano mai in maniera semplice. L’opera di Freud,
infatti, non è per nulla di facile lettura e sovente lascia un po’ delusi i lettori più curiosi. È lo stesso Freud a sottoporsi al
metodo appena scoperto, raccontando ai lettori un sogno fatto nella notte tra il 23 e il 24 luglio 1895, “il sogno
dell’iniezione di Irma”:

Un grande salone – stavamo ricevendo numerosi ospiti. - Tra di essi c’è Irma. Io la presi in disparte, come per
rispondere alla sua lettera e rimproverarla di non aver ancora accettato la mia «soluzione». Le dissi: «Se hai ancora dei
dolori è davvero solo colpa tua». Mi rispose: «Se solo tu sapessi che dolori ho ora in gola, nello stomaco e nel ventre,
mi soffocano». Io mi spaventai e la guardai. Era pallida e gonfia. Pensai che dopo tutto dovevo aver trascurato qualche
disturbo organico. La portai vicino alla finestra e le guardai in gola, e lei mostrò una certa riluttanza, come le donne
con la dentiera. Io pensai che veramente non c’era bisogno di farlo. Poi lei aprì bene la bocca e sulla destra trovai una
grande macchia bianca; in un altro punto vidi delle estese croste grigiastre su delle forme notevolmente incurvate, che
imitavano evidentemente le cavità nasali. Chiamai subito il Dr. M. ed egli ripeté l’esame e lo confermò … Il Dr M.
sembrava molto diverso dal solito, era pallido, zoppicava e non aveva la barba … Anche il mio amico Otto era ora
vicino a lei, e il mio amico Leopoldo stava percuotendo il suo petto e diceva: «Ha un’area ottusa in basso a sinistra».
Indicò anche che una parte della pelle sulla spalla sinistra era infiltrata (lo sentii come lui, nonostante il vestito) … M.
disse: «Non c’è dubbio, si tratta di un’infezione, ma non importa: interverrà la dissenteria e le tossine saranno
eliminate» … Noi conoscevamo anche l’origine dell’infezione. Non molto prima, quando lei si sentiva poco bene, il mio
amico Otto le aveva fatto un’iniezione di propile … propili … acido propionico … trimetilammina (e vidi davanti a me la
formula stampata in grassetto)… Iniezioni di quel genere non si dovrebbero fare così sconsideratamente … E
probabilmente la siringa non era pulita.
Irma – come premette l’autore – è un’amica di famiglia ma anche una sua paziente da tempo affetta da isteria. Si tratta
dunque di una relazione ambigua, come d’altro canto quella con “l’amico Otto”, che è anche un collega. Ed è lo stesso
Freud ad ammettere di esserci rimasto male quando Otto ha constatato la non guarigione di Irma. Anche il Dottor M. è
amico e collega al tempo stesso e questo complica ulteriormente lo scenario. D’altro canto, difficilmente un sogno si
presenta con caratteristiche semplici. Ma come procedere all’interpretazione di questo sogno? Innanzitutto analizzando
proprio lo scenario nel suo complesso (e nella sua complessità), nel caso specifico un salone affollato di persone
convenute per festeggiare il compleanno della moglie di Freud. Ma siccome tra loro ci sono pazienti e colleghi, i rapporti
sono a dir poco delicati e alquanto complessi. Freud interpreta il sogno come una reazione del proprio inconscio
all’insuccesso della terapia su Irma. E infatti a Otto viene attribuita una inesistente iniezione pericolosa e al Dottor M. un
altrettanto inesistente parere scientificamente discutibile sulla dissenteria. Insomma, l’inconscio di Freud tende ad
assolvere il pensatore dal suo fallimento professionale, addossando le colpe su altri colleghi. Ma a conferma di come
l’interpretazione dei sogni sia una questione tutt’altro che semplice, Freud scrive:

Non pretendo di avere completamente scoperto il significato di questo sogno o che la sua interpretazione sia priva di
lacune. Potrei passarci più tempo, trarne altre informazioni e discutere nuovi problemi che esso solleva. Io stesso
conosco i punti dai quali si potrebbero seguire nuove catene di pensieri. Ma mi trattiene da continuare questo
lavoro interpretativo il riserbo che si presenta per ogni mio sogno. Se qualcuno si sentisse tentato ad esprimere
un’affrettata condanna alla mia reticenza, io lo inviterei a provarsi ad essere più sincero di me. Per il momento mi
basta avere raggiunto questa nuova conoscenza. Se adottiamo il metodo di interpretare i sogni, scopriremo che essi
hanno davvero un significato e che sono lungi dall’essere espressione dell’attività frammentaria del cervello, come
fonti autorevoli hanno affermato.

Questione delicata, dunqueancor più di fronte ai propri sogni. D’altro canto a vegliare sulle nostre interpretazioni ci
sono pur sempre i meccanismi di autocontrollo, censura e rimozione. In linea di massima è vero quanto comunemente si
crede, e cioè che i sogni rivelino desideri inespressi o censurati, ma non è detto che questi siano attuali. Il sogno
potrebbe infatti rivelare anche desideri del passato, ormai rimossi e non più riconoscibili dal soggetto che li sogna, posto
che sia in grado di comprenderne il significato. Ed è forse anche per questo motivo che Freud afferma che “non tutti i
sogni possono essere interpretati”. Esiste sempre una parte del sogno che rimane oscura e che l’autore chiama
“ombelico del sogno”, nel quale “ci si immerge nell’ignoto”. A monito di coloro che invece credono di avere scoperto il
segreto dei sogni, si legga questo passaggio:

Io credo che quell’imperatore romano che fece uccidere uno dei suoi uomini perché aveva sognato di assassinare
l’imperatore stesso avesse torto. Avrebbe dovuto cominciare con il cercare di scoprire il significato del sogno. Molto
probabilmente il suo significato era diverso da quello che sembrava. E anche se un sogno con un contenuto diverso
contenesse un atto di lesa maestà come significato, non sarebbe forse giusto ricordare il detto di Platone e cioè che
l’uomo virtuoso si accontenta di sognare ciò che un uomo malvagio fa realmente? Credo che la cosa migliore sia
quella di lasciare liberi i sogni.

Insomma, anche ritenendo di avere compreso il significato di un sogno, è bene non trarre conclusioni affrettate. I
desideri sono appunto desideri che non necessariamente sconfinano in azioni. Sognare di volere morta una persona non
fa di quel sognatore un assassino. Sarà forse anche per questi motivi che Freud decide di intraprendere altre vie, come
le associazioni libere. Si tratta in primo luogo di fare rilassare il paziente, magari facendolo sdraiare su un lettino, e
quindi di sottoporgli tutta una serie di parole o di immagini, invitandolo a rispondere con la prima cosa che gli passa per
la mente. Freud pensa che in questo modo le difese tendano ad abbassarsi e che il paziente finisca prima o poi per
“tradirsi” confessando le proprie pulsioni inconsce. Anche in questo caso non si tratta di una valutazione facile.
Rispondere “morte” di fronte alla parola “madre” non significa certo desiderare la morte della propria madre. Se così
fosse, la Psicoanalisi non sarebbe una scienza, ma una buffonata.

La Libido e le Due Topiche


Negli anni successivi Freud intensifica i suoi studi sull’Inconscio, ora identificato come un “impulso primario” che chiama
Libido. Si tratta di un’energia con un raggio d’azione molto ampio e che può dirigersi verso se stessi o verso un oggetto a
noi estraneo. Si tratta di un’energia sessuale alla continua ricerca del piacere. Ma la cosa che suscita scandalo è che
Freud ritiene che la libido si presenti sin dai primissimi giorni di vita dell’uomo. Lo studioso individua così alcune fasi di
crescita dell’essere umano assolutamente rivoluzionarie:

1. Fase Orale: nei primi mesi di vita la libido cerca soddisfazione nella bocca, succhiando il capezzolo della madre
2. Fase Anale: tra i due e i quattro anni il bambino trae piacere dall’evacuare o dal trattenere le proprie feci
3. Fase Fallica: tra i quattro e i cinque anni il bambino concentra la libido nell’organo genitale, rendendosi conto
delle differenze di genere e reagendo in base al proprio sesso: i maschi sviluppano una paura di perdere il pene
(complesso di castrazione) mentre le femmine sviluppano una invidia nei confronti del membro maschile
(invidia del pene)
4. Fase di Latenza: dai sei agli undici anni gli impulsi sessuali sono più meno mascherati fino alla pubertà
5. Fase Genitale: dalla pubertà alla età adulta l’individuo entra nella fase genitale, ella vita sessuale vera e propria

Oggi queste parole sono entrate nel linguaggio comune. Ma allora, in una società ancora fortemente tradizionalista,
dovevano apparire come un pugno in un occhio, come una gravissima provocazione. L’età infantile è sempre stata
definita (e per certi versi continua ad esserlo ancora oggi) come l’età dell’innocenza, appunto perché priva di pulsioni
sessuali. Nessuno prima di Freud aveva pensato al bambino in termini di “essere perverso polimorfo”: perverso perché il
suo unico scopo è di conseguire il piacere e polimorfo perché la ricerca del piacere avviene in direzioni diverse, dalla
bocca ai genitali passando per l’ano. Insomma, una sorta di piccolo animale, privo di qualsiasi cosa che possa essere
chiamata anima e incapace di autocontrollo, di autocensura. Di più, una sorta di assassino potenziale se è vero che
Frued afferma che, tra i due e i cinque anni, il bambino sviluppa una fortissima attrazione nei confronti del genitore di
sesso opposto e una conseguente avversione nei confronti di quello del proprio sesso: si tratta del noto “Complesso di
Edipo”. Siamo in qualche modo tutti malati, e soprattutto perversi, sin dalla nascita, questo è quanto viene recepito del
messaggio freudiano. Hitler, qualche anno più tardi, definirà le scoperte di Freud come “deliri di un ebreo perverso che
vuole convincere tutti di essere perversi”. E tuttavia la scienza ha dimostrato la sostanziale correttezza di tali posizioni.
Come già aveva notato Nietzsche, la fanciullezza rappresenta la fase in cui l’essere umano è ancora libero da
condizionamenti esterni, libero di esprimersi nella sua reale fattezza, quella di un essere naturale. Era stato il filosofo
tedesco a mettere sotto scacco lo stesso concetto di morale, parlando di una sua genealogia assolutamente umana
“troppo umana”. Freud gli dà ragione, affermando che almeno fino ai cinque anni, quando il bambino si sottomette
all’autorità familiare, egli è privo di morale, nel senso che non è in grado di attivare alcun senso di colpa. Per il bambino
dagli 0 ai 5 anni, dunque, tutto avviene spontaneamente, in maniera davvero innocente, ma non nel senso che tale
parola ha assunto nella nostra società. Il bambino non prova cioè alcuna vergogna nel ricercare il piacere nel proprio
corpo o in quello altrui, come avviene con il capezzolo della madre. Il bambino è a tutti gli effetti una sorta di
“Superuomo”, capace di fare qualsiasi cosa, almeno in potenza, perché privo di una coscienza propriamente detta.
Ed è sulla scia di tali considerazioni che Freud sviluppa le cosiddette Due Topiche della mente:

1. La Prima Topica è una sorta di “geografia della mente”, la quale si presenta non come elemento unitario, ma
addirittura tripartita:
a) Conscio
b) Inconscio
c) Preconscio (una sorta di zona di confine tra le due precedenti)

2. La Seconda topica, la più celebre, verrà elaborata più tardi, intorno alla metà degli anni Venti, e presenta
anch’essa una tripartizione:
a) Es: si tratta del pronome neutro della lingua tedesca e rappresenta l’Inconscio, il “calderone di istinti
primordiali”
b) Io: è la personalità individuale
c) Super-Io: rappresenta l’autorità e le convenzioni sociali

La differenza tra le due topiche sta non solo nella scelta dei termini, non casuale, ma anche e soprattutto
nell’individuazione del Super-Io, che amplia ulteriormente il campo di indagini della Psicoanalisi. Se nella Prima Topica il
Preconscio si presentava come una sorta di zona di confine tra Conscio e Inconscio, nella Seconda assistiamo ad una
violenta battaglia tra il “calderone degli istinti primordiali”, vale a dire la nostra natura reale, quella che abbiamo sin
dalla nascita, l’Es, e le autorità e le convenzioni sociali, il Super-Io. L’Io è il risultato di tale conflitto. Nessuno prima di
Freud aveva posto l’Io in questi termini. L’Io era stato sempre concepito in maniera unitaria. Semmai il problema
risiedeva nel mondo esterno, solitamente considerato come una realtà complessa e molteplice. Ora, invece, complesso
e molteplice è proprio l’Io, il quale vive una battaglia tremenda tra il suo essere e il dover essere e che è alla base delle
nevrosi. Anche in questo caso l’eredità nietzschiana è evidente. Era stato l’autore tedesco ad individuare la “malattia”
dell’uomo moderno nel contrasto tra i suoi impulsi primordiali e le convenzioni sociali, etichettando la morale come
“istinto del gregge nel singolo”. Tale istinto viene definito da Freud come una sorta di altro Io, che va oltre l’Io
propriamente detto e che lo condiziona di continuo, il Super-Io appunto. Esattamente come pensava Nietzsche, questa
sorta di Io collettivo penetra a fondo nel nostro Io, battendosi duramente contro i nostri istinti primordiali. Il Super-Io si
presenta presto nella vita dell’essere umano, nelle fattezze della madre e del padre, ma almeno fino ai cinque anni l’Es
pare avere la meglio. Due forze sono in lotta per Freud: un “principio del piacere” e un “principio di realtà”. Uno che è
proprio di ogni essere umano e l’altro che è invece proprio del contesto in cui tale essere si trova a vivere. Nessuno può
sottrarsi a questa dialettica. Dunque nessuno può dirsi normale. Per Freud il compito della Psicoanalisi è proprio quello
di riappropriarci del nostro Es. E tuttavia Freud invita anche in questo caso a non farsi illusioni: la Psicoanalisi non
riuscirà mai a realizzare tale obiettivo. D’altro canto, una piena riappropriazione dell’Es farebbe dell’uomo un essere
piuttosto pericoloso per i suoi simili.

Il disagio della civiltà

L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata; è vero
invece che bisogna attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede
nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può magari
sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo
consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo e uccidere. Homo homini lupus:
chi ha il coraggio di contestare quest'affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia? Questa crudele
aggressività è di regola in attesa di una provoca, oppure si mette al servizio di qualche altro scopo, che si sarebbe
potuto raggiungere anche con mezzi meno brutali. In circostanze che le sono propizie, quando le forze psichiche
contrarie che solitamente la inibiscono cessano di funzionare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela
nell'uomo una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto della propria specie.

Si tratta di uno dei passaggi più significativi de Il disagio della civiltà. Sono parole molto chiare, che non lasciano alcun
dubbio su quale sia la posizione di Freud a riguardo: l’uomo è per lui quello già descritto a suo tempo da Hobbes, un
lupo per il suo simile, non un essere “mansueto e bisognoso d’amore”, bensì aggressivo e pericoloso, al quale “è
estraneo il rispetto della propria specie”. Se queste sono le premesse, va da sé che Freud non ritenga affatto un male la
civiltà, con tutto il suo carico di controlli e di censure, ma una, seppur dolorosa, necessità. La civiltà pone dei limiti ben
precisi agli istinti primordiali dell’uomo, sia attraverso la legge sia attraverso meccanismi di censura meno evidenti, ma
altrettanto efficaci, come la riprovazione sociale. Il Super-Io mostra dunque tutta la sua forza, rendendo l’uomo meno
egoista e dirottando la sua aggressività verso pratiche socialmente utili, come il lavoro. La civiltà moderna è tutto un
fiorire di attività in cui l’essere umano può sfogare la propria aggressività. Ma – come aveva messo ben in luce ancora
una volta Nietzsche – l’aggressività che non viene sfogata adeguatamente all’esterno finisce con l’avere effetti
devastanti al proprio interno. Di qui le nevrosi. Freud parla a tale proposito di “patologia delle comunità civili”, di costi
molto pesanti, che aumentano con l’aumentare del grado di civiltà. La conclusione di Freud è molto amara:

Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l'evoluzione
civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttiva
degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presente merita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno
esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino
all'ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c'è da
aspettarsi che l'altra delle due "potenze celesti", l'Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo
avversario parimenti immortale

Parole profetiche. D’altro canto il saggio è stato scritto nel 1929. Freud ha una viva percezione del pericolo imminente
nonché dell’infelicità che pervade la società occidentale. Ma rimane, per così dire, imbrigliato nel suo stesso
pessimismo, che gli impedisce di considerare gli uomini al di là dei profondi istinti autodistruttivi, che tuttavia non sono i
soli, come proprio la lotta antifascista degli anni a seguire e la ricostruzione post-bellica dimostreranno. L’uomo per
Freud rimarrà sempre una “bestia addomesticata solo superficialmente”, un “legno storto”, per dirla alla Kant, che se
cerchi di raddrizzarlo si spezza. Un essere nel quale si battono due demoni, Eros e Thanatos: il primo è il dio dell’amore
sessuale, del desiderio, del piacere, mentre il secondo quello della morte. Infatti, secondo Freud, accanto ad una forte
spinta vitalistica, esiste nell’uomo una pulsione opposta, di morte appunto, che trova espressione non solo nel suicidio,
ma anche nella cosiddetta “coazione a ripetere” tipica della nevrosi, vale a dire nel reiterare ossessivamente i medesimi
gesti, anche se inutili o addirittura dolorosi.
La civiltà, dunque, non può che configurarsi – esattamente come accadeva con Hobbes – come una dolorosa necessità.
Una civiltà che ricalca la figura paterna e/o materna, autoritaria, con il compito di frenare le pulsioni primordiali dei
singoli. Anche Dio altro non è che la personificazione del Super-Io, una sorta di “nevrosi ossessiva”, che spesso sfocia
nella “coazione a ripetere”, come si può riscontrare in molte liturgie.

I critici di Freud
Freud è il padre della Psicoanalisi e nessuno ha mai messo in dubbio tale paternità. E tuttavia ben presto molti dei suoi
seguaci danno vita ad altre correnti, tutte in contrasto con quella ufficiale. Si tratta dei cosiddetti “eretici”, come
ALFRED ADLER, ex amico e collega di Freud, che pur condividendo gran parte dell’impianto del maestro, ne contesta la
centralità data all’aspetto sessuale. Adler è convinto che la nevrosi non sia causata dalla soppressione della libido, ma da
una aggressività generata dal sentirsi sotto qualche aspetto inferiori agli altri. È il celebre complesso di inferiorità.
Vanno dunque riviste tutte le teorie freudiane, come per esempio l’invidia delle donne, che non è affatto indirizzata nei
confronti del pene, bensì del potere che gli uomini esercitano nella società. Le nevrosi maschili, invece, si generano da
una volontà di compensare con manie di grandezza delle deficienze reali o immaginarie. Anche in questo caso il
riferimento a Nietzsche e alla sua volontà di potenza è evidente.
Ben più articolato il pensiero di CARL GUSTAV JUNG, per decenni la più valida alternativa a Freud e fondatore della
cosiddetta Psicologia Analitica. Per Jung la Libido è una “energia psichica indeterminata” che, come tale, può assumere
qualsiasi forma, non necessariamente sessuale. Essa può per esempio esprimersi tramite simboli. Jung è convinto che il
soggetto elabori un insieme di forme mentali ricorrenti, chiamate Archetipi, vale a dire “modelli originari”, che si
ripetono identici in tutte le culture e in tutte le persone, come nel caso del Diluvio o anche nei miti della Grande Madre,
dell’Eroe e via dicendo. Le culture si differenziano nella maniera di utilizzare i medesimi simboli e la stessa cosa accade
per gli individui. Attraverso l’analisi degli archetipi, Jung giunge alla definizione della nota teoria dell’Inconscio
collettivo, vale a dire l’individuazione della sede primordiale dei simboli di tutti gli uomini in tutte le epoche. Ecco come
Jung – sulla falsa riga di Freud – descrive un proprio sogno per spiegare meglio il suo pensiero:

[…] Col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diveniva estraneo
e oscuro. Nella caverna avevo scoperto i resti di una primitiva civiltà, cioè il mondo dell’uomo primitivo in me stesso,
un mondo che solo a stento può essere illuminato dalla coscienza […] Il mio sogno pertanto rappresentava una specie
di diagramma di struttura della psiche umana [...] Il sogno divenne per me un’immagine guida, fu la mia prima
intuizione dell’esistenza, nella psiche personale, di un “a priori” collettivo.

Un a priori collettivo: ecco che cos’è l’Inconscio collettivo per Jung. Se l’inconscio individuale fonda la propria esistenza
sulle esperienze personali, sebbene rimosse, sui contenuti non accessibili della coscienza, sulle pulsioni e gli istinti
primitivi e segreti, quello collettivo scardina tale limite per acquisire uno spazio che oltrepassa il personale, facendo
confluire le individualità in una impronta che designa tutto il genere umano. I contenuti dell’inconscio collettivo
derivano dalla ereditarietà e da forme e sistemi che hanno eguale validità in ogni cultura, in ogni area geografica e in
ogni periodo storico.
In Tipi psicologici del 1921, Jung si toglie anche lo sfizio di analizzare le personalità di Freud e Adler. Il primo è per lui un
“estroverso”, tipico atteggiamento di chi è completamente e consapevolmente rivolto verso la realtà esterna, ma
inconsapevolmente concentrato sul proprio io, mentre il secondo è un “introverso”, completamente e consapevolmente
rivolto verso se stesso ma inconsapevolmente concentrato sulla realtà esterna. La introversione e la estroversione sono
l’altro grande lascito della filosofia junghiana.
Altro grande esponente del movimento psicoanalitico è Wilhelm Reich. Schierato sin da giovanissimo su posizioni di
estrema sinistra (è iscritto al partito comunista austriaco), Reich critica Freud per gli eccessivi costi delle sue sedute e
così organizza consultori gratuiti, i Sexpol. E tuttavia Reich concorda con Freud nell’individuare tutte le pulsioni umane
nel sesso. Lo scopo del sesso è per Reich quello di scaricare l’energia dell’essere umano. Di qui l’importanza affidata al
momento dell’orgasmo, concepito non come un semplice processo fisico ma come un vero e proprio atto di liberazione.
Le nevrosi sono sempre generate dalla incapacità di raggiungere l’orgasmo e la pulsione di morte di cui parla Freud altro
non è che il risultato della repressione dell’energia sessuale. Di qui la necessità di smantellare le basi della società
sessuofobica, per vivere in maniera piena e competa la propria sessualità, rimuovendo tutte le inibizioni. Da questo
punto di vista, sostiene Reich, vivono molto meglio le società primitive, in quanto sperimentano un sesso molto più
libero rispetto a quelle più evolute. Reich è così convinto della centralità dell’orgasmo sessuale da farne un principio
assoluto, quasi un arché filosofico, a cui dà il nome di Orgone.
Reich è il padre di una rivoluzione sessuale che scoppierà parecchi anni dopo, negli anni Sessanta, quando i giovani
metteranno in pratica molte delle sue teorie. Reich aveva invitato le donne e gli uomini a “togliersi la corazza”, vivendo
finalmente un rapporto libero da repressioni ed oppressioni. I movimenti giovanili degli anni Sessanta e Settanta lo
faranno, non senza costi, quelli derivanti dalla dura reazione delle convenzioni sociali.
Ma Reich è anche tra i primi ad analizzare a fondo il nascente fascismo. In Psicologia di massa del fascismo, scritto
appena un anno dopo la vittoria di Hitler alle elezioni politiche del 1933, l’autore sostiene che alla base del successo dei
fascismi vi siano anche ragioni di tipo sessuale. È soprattutto il represso sessuale a rimanere affascinato dal potere dei
dittatori, di chi usa la forza. La loro aggressività repressa trova dunque modo di sfogarsi nel branco, nel numero, nella
violenza contro i diversi, le minoranze. La manovalanza fascista – scrive Reich – è quella solitamente poco impegnata
politicamente perché ha paura di scoprirsi, di prendere apertamente posizione. La liberazione avviene, per così dire, per
delega: in prima persona tali soggetti non avrebbero il coraggio di fare nulla, ma in gruppo si sentono dei superuomini.
Il represso sessuale, l’insoddisfatto, si riscontra in tutti i ceti, ma è sicuramente nella borghesia, e ancor più in quella
colpita dalla nuova crisi, che la percentuale è decisamente maggiore.

La mentalità fascista è la mentalità dell’“uomo della strada” mediocre, soggiogato, smanioso di sottomettersi ad
un’autorità e allo stesso tempo ribelle. Non è casuale che tutti i dittatori fascisti escano dalla sfera sociale del piccolo
uomo della strada reazionario. Il grande industriale e il militarista feudale approfittano di questa circostanza sociale
per i propri scopi, dopo che questi si sono sviluppati nell’ambito della generale repressione vitale. La civiltà
meccanicistica ed autoritaria raccoglie, sotto la forma di fascismo, solo dal piccolo borghese represso ciò che da secoli
ha seminato, come mistica mentalità del caporale di giornata e automatismo fra le masse degli uomini mediocri e
repressi. Questo piccolo borghese ha copiato fin troppo bene il comportamento del grande e lo riproduce in modo
deformato e ingigantito. Il fascista è il sergente del gigantesco esercito della nostra civiltà profondamente malata e
altamente industrializzata. Non si può far vedere impunemente all’uomo comune il grande tam tam dell’alta politica: il
piccolo sergente ha superato il generale imperialista in tutto: nella musica di marcia, nel passo dell’oca, nel comandare
e nell’obbedire, nella mortale paura di dover pensare, nella diplomazia, nella strategia e nella tattica, nelle divise e
nelle parate, nelle decorazioni e nelle medaglie. Un uomo come l’imperatore Guglielmo si rivelò in tutte queste cose
un miserabile dilettante rispetto a Hitler figlio di un funzionario e morto di fame. Quando un generale “proletario” si
copre il petto da ambo le parti con medaglie, e perché no, dalla gola fino all’ombelico, dimostra cosí al piccolo uomo
comune che non intende essere da meno del “vero” e grande generale.

Come combattere il fascismo?

In quanto medico il mio compito è quello di guarire le malattie. In quanto ricercatore devo svelare processi naturali
sconosciuti. Se mi si presentasse un cialtrone politico per costringermi ad abbandonare i miei malati e il mio
microscopio, non mi farei disturbare, ma lo butterei fuori dalla porta, qualora non se ne andasse di sua spontanea
volontà. Il fatto di dover ricorrere alla violenza per difendere il mio lavoro e i miei studi sulla vita umana dagli intrusi
non dipende da me o dal mio lavoro, ma dal grado di impudenza dell’intruso. Proviamo a immaginare ora che tutti
quelli che svolgono una attività che investe la vita umana riconoscano in tempo utile il cialtrone politico. Non
agirebbero diversamente. Forse questo esempio semplificato può dare una risposta parziale alla domanda sul modo
con cui prima o poi dovrà essere difesa la vita contro gli intrusi e i distruttori.

Reich riesce, come Freud, a fuggire dall’Austria prima che sia troppo tardi, riparando negli Usa. Ma anche qui le sue idee
e il suo attivismo socialista e libertario trovano forti resistenze. Ed è negli Usa che sviluppa la teoria dell’Orgone,
provocando la dura reazione della Food and Drug Administration (FDA). Condotto davanti al giudice per avere
continuato a pubblicare articoli considerati osceni, Reich si becca due anni di reclusione per oltraggio alla corte. Nel
1956 il giudice decide di bruciare tutti i suoi scritti, esattamente come accaduto venti anni prima nella Germania di
Hitler. Reich muore per un attacco cardiaco nel 1957, quando è ancora in prigione. Ma gli Usa stanno cambiando. È
ormai nata la beat generation e di lì a pochi anni nasceranno i movimenti hippies e quelli degli studenti, che faranno di
Reich un vero e proprio mito.

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