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Musica una breve introduzione – Nicholas Cook

1. Valori musicali
I moderni mezzi di comunicazione e le tecniche di riproduzione del suono hanno fatto diventare il pluralismo musicale parte della nostra quotidianità ma il nostro modo di pensare la musica non ri ette questa
situazione.
31 agosto 1997 alle selezioni nali del Mercury Music Prize gruppi pop furono messi in composizione con compositori “classici” → le barriere che separavano gli sAli e le tradizioni musicali iniziavano a
sgretolarsi.
La musica è radicata nella cultura umana: non esiste una cultura priva di linguaggio così come non esiste una cultura priva di musica. La gente pensa per mezzo della musica, decide chi essere e si esprime
con la musica.
Spot pubblicitario Prudential 1992 - “vorrei essere ...un musicista”: usa la musica come simbolo di aspirazione e autorealizzazione, di desiderio di essere ciò che vorresti, ed usa il rock per raggiungere una
parte della società in particolare, il pubblico dei ventenni.
• ROCK: = gioventù, libertà, spontaneità → autenticità.
• CLASSICA = maturità, esigenza di assumersi responsabilità.
Messaggio PRUDENTIAL= puoi aprire un piano providenziale senza rinunciare ad essere giovane, libero e spontaneo.
MUSICA: insieme di suoni generati dall'uomo (escluso vento/canto degli uccelli), piacevoli da ascoltare, tali in sé e non per il messaggio che trasmettono (esclude il discorso).
La musica è simbolo di identità nazionale o regionale. → La musica, soprattutto il rythm 'n' blues e il rock 'n' roll, giocò un ruolo fondamentale nella creazione della cultura giovanile degli anni Sessanta → per
la prima volta i teenagers europei e americani adottarono uno stile di vita e un sistema di valori contrapposti a quelli dei genitori. La musica può essere usata come forma di riconoscimento identitario dei
gruppi.

OGGI LA SOCIETA’ → è divisa in sottoculture e ognuna di esse ha una propria identità musicale: decidere che musica ascoltare signi ca decidere e manifestare chi si vuole essere e chi si è.
Parlando di musica si parla di tante attività ed esperienze ma c'è una gerarchia secondo cui consideriamo alcune esperienze ed attività più “musicali” di altre.

1.2. Autenticità in musica


Alla base dello spot Prudential c'è l'idea di autenticità: rimanere spontanei anche dopo essere cresciuti e aver preso il proprio posto nella società → ecco perchè c'è il rock: l'idea di autenticità sta nel nostro
modo di pensare al rock.
ORIGINI DEL ROCK: nei blues cantati e suonati dai neri americani: i loro blues erano considerati autentica espressione di una razza oppressa, una musica che veniva dal cuore e dall'anima (soul) in
contrapposizione al formalismo della musica classica da concerto o da opera.
L'idea che certa musica sia naturale e altra arti ciale rimanda a ROUSSEAU: criticava la natura arti ciale della musica francese ed elogiava la musica italiana: libera, naturale e in grado di esprimere
immediatamente emozioni e sentimenti. La musica vera è quella suonata con il cuore, non l'esercizio di un arti cio. (Emilio)
Confronto tra Paganini e Ry Cooder:
- Paganini non sa suonare senza lo spartito davanti, riesce a suonare solo scale.
- Ry Cooder “suona dal cuore” improvvisando.
L'idea di autenticità ha un aspetto etico collegato alla commercilizzazione del blues urbano, il rythm 'n' blues, negli anni Cinquanta e Sessanta → per la prima volta case discogra che e compagnie
radiofoniche americane videro i pontenziali di mercato della musica nera nel pubblico bianco: invece di commercializzare direttamente le incisioni dei neri, fecero re-incidere le canzoni da musicisti bianchi → il
rock 'n' roll è la versione bianca del rythm 'n' blues (Elvis Presley). Con le cover evitavano di pagare i diritti di autore agli artisti originali.
Quando il movimento per i diritti civili dei neri prese campo, l'idea delle cover fu considerata disonorevole → scandalo → si iniziò a vedere il rock come qualcosa di disonesto.

Ci si aspettava che le band scrivessero da sole la propria musica e il proprio stile e soprattutto ci si aspettava che si formassero spontaneamente e non create dagli impresari dell'industria della musica → il
successo dei The Monkees, gruppo americano inventato dalla NBC-TV che non scrivevano la propria musica e “non suonavano i propri strumenti”: visto come qualcosa di sintetico, arti ciale, trasgressione del
principio dell'autenticità. Questo sistema di valori resta ancora oggi.

ANNI 80/90: ci fu la ristampa dei capolavori del rock in CD e si sviluppò una tendenza critica che mirava a giusti care lo status di capolavoro degli album delle band classiche: fu dimostrato che non si limitavano
a riprodurre ma creavano qualcosa di nuovo, di proprio e che la musica non ri etteva i gusti del pubblico o dell'industria ma in realtà i rapporti tra band classiche e industria discogra ca erano stretti → la
distinzione tra creazione e riproduzione è di cile da fare.
Oggi il nostro modo di pensare alla musica classica si basa sull'idea di un “grande musicista” = artista la cui abilità tecnica data per scontata e la cui arte è nella personale visione che è in grado di
elaborare. Le case discogra che di solito non vendono Beethoven ma l'interpretazione migliore di un esecutore → gli esecutori diventano star, come nella musica pop. la gerarchia musicale pone i
creatori della musica (o compositori) al di sopra di chi la riproduce meramente (o esecutori). L’industria della musica classica promuove i grandi interpreti nel loro ruolo di creatori o “autori”,
Musicisti rock suonano dal vivo, creano la loro musica e modellano la loro identità; insomma, hanno il controllo del proprio destino. I musicisti pop, invece, sono marionette manovrate dall’industria
discogra ca. Di conseguenza a questa considerazione la musica rock, per la propria autenticità, viene posta ad un gradino superiore rispetto alla musica pop. Nella nostra cultura è attivo un
sistema di valori che antepone l’innovazione alla tradizione, la creazione alla riproduzione, l’espressione personale alle abitudini correnti.
Pensare alla musica classica è incentrarsi sull’idea del grande musicista, de nito come un artista la cui abilità tecnica è data per scontata, ma la cui arte sta nella personale visione che lui è in
grado di elaborare.
I critici della musica pop generalmente ignorano i gruppi “look-alike”, il cui obiettivo è imitare l’aspetto e il sound delle grandi band del passato, più che sviluppare uno stile proprio (Spice Girls → è possibile
manipolare il successo nella musica pop, purché si sia in possesso della “formula giusta”)
La musica deve essere autentica, altrimenti sarebbe a malapena musica.

1.3. Parole e Musica


I linguaggi musicali, le storie che raccontiamo sulla musica aiutano a determinare che cosa è la musica. Abbiamo ereditato dal passato un modo di pensare la musica che non rende giustizia alla molteplicità di
esperienze musicali che ci sono. Per noi la parola “musica” rimanda alla tradizione europea incentrata su maestri come Bach, Beethoven etc.
La musica veniva pensata come basata sulla produzione di composizioni destinate ad essere eseguite e fruite: la cultura musicale era quindi vista come un processo di creazione, distribuzione e consumo
di quelli che all'inzio del 19° secolo venivano chiamati “lavori” musicali → termine collegato al mondo dell'economia: principio fondamentale del capitalismo è che il lavoro si possa immagazzinare e
scambiare → la musica non fu più pensata come qualcosa che svanisce appena è nita di suonare perchè le esecuzioni musicali hannno luogo in un tempo de nito, ma il lavoro resta → la musica diventa
“capitale estetico”: oggi lo chiamiamo “repertorio”.
Le tre categorie della cultura musicale del 19° secolo (produzione, distribuzione e consumo) sono simili a quelle su cui si basano il British NaHonal Curriculum e il programma del GCSE (General
Certi cate of Secondary Education):
1. Comporre
2. Eseguire
3. Apprezzare (apprezzamento = ascolto + ri essione con un briciolo di valutazione).
I funzionari del British usano i verbi e non i sostantivi (comporre e non composizione) per far capire che queste sono atività che tutti gli studenti possono fare nel corso dei loro studi (prima l'idea che gli studenti
potessero comporre non era pensata, al massimo veniva concesso loro di imitare).
Però è nella natura delle cose che comporre, eseguire e apprezzare, siano una sequenza cronologica → ciò che comincia con una cronologia si trasforma poi in una gerarchia di valori (ci sono però anche
repertori in cui è di cile fare distinzioni tra le tre fasi: dance music prodotta in studio).
I compositori creano la materia prima, gli esecutori sono mediatori e gli ascoltatori sono consumatori ←ruolo passivo nel processo culturale che, in termini economici, è sostenuto proprio da loro. È una
particolare caratteristica della musica l’apparire un prodotto della natura, ma è un’apparenza illusoria.

2. Ritorno a Beethoven: Gioia attraverso la so erenza


L’inizio del XIX secolo in Europa è il periodo nel quale il modello capitalista di produzione, distribuzione e consumo si radicò profondamente nella società; le arti esaltavano il mondo interiore delle emozioni e dei
sentimenti: la musica in particolare. Capitali della musica nell’Europa settentrionale 19° secolo: (Londra, Parigi, Berlino e Vienna).
Grazie alla sua e cacia nel rappresentare emozioni e sentimenti in maniera diretta: la musica occupò una posizione privilegiata nel Romanticismo (così era de nito il nuovo stato d’animo comune alle arti).
Per tutta l’Europa era in corso un processo di urbanizzazione, e nelle arti (soprattutto in letteratura, pittura e musica) si sviluppò il soggettivismo borghese: le arti esaltavano il mondo
interiore dei sentimenti e delle emozioni; la musica soprattutto era espressione personale
con larghe fasce della popolazione che emigravano dalle campagne, in cerca di impiego nell’industria, mentre nelle città le classi medie (la borghesia) continuavano ad accrescere il proprio
ruolo politico, economico e culturale.
PRIMO 800 - epoca di Rossini e Beethoven. (De nita così dal musicologo tedesco Carl Dahlhaus).
BEETHOVEN: condizionò la ri essione sulla musica in quanto: ri utava di assumere un ruolo, una condizione impiegatizia, scriveva musica che voleva e quando voleva, era una musica diversa dalle aspettative
convenzionali e si rivolgeva direttamente ed individualmente ad ogni ascoltatore. ha sempre ri utato di assumere una condizione impiegatizia a di erenza di Bach che era organista della chiesa di
S.Tommaso. B.Scriveva la musica che voleva e quella che voleva (in contrasto con Bach che scriveva per obbligo).Egli voleva rivolgersi direttamente e individualmente a ciascun ascoltatore.
Egli potè compiere la Nona Sinfonia e la Sonata Hammerklavier (anni 20 dell’800 ) ottenendo successo poiché la sua gura si era già a ermata come miglior compositore del tempo. I fedeli ascoltatori
cercarono così di capire la sua musica e ne risultarono commenti critici che puntavano a spiegare l’apparente incoerenza della sua musica. L’inizio del XIX secolo in Europa rappresenta la vittoria di Beethoven
sulla sua sciagura e, in generale, la capacità della gioia di scon ggere la so erenza. La sordità di B. venne impiegata a scopo interpretativo = chiave per rivelare i signi cati i nascosti della musica, dare
all’ascoltatore accesso diretto al messaggio del compositore.

Ogni compositore doveva relazionarsi con Beethoven (cinquant'anni dopo, Brahms a ermò di avvertire i passi di un gignate dietro le proprie spalle).

discontinuità, contraddizione e brusche transizioni che distinguono la musica di Beethoven da quella dei suoi predecessori (e segnatamente da Haydn e Mozart).
Cambini scrisse delle sinfonie di Beethoven “Ora spicca il volo con la maestosità dell'aquila; ora striscia per senAeri groIeschi”. → si riferiva all discontinuità e alle contraddizioni della musica di Beethoven.
Questo commento è una parafrasi di quello del compositore Webern “nota acuta seguita da una nota grave”. Anche gli ascoltatori di Beethoven arrivarono alla stessa conclusione: quella era musica di un
pazzo o di un grande compositoreal quale la sordità aveva distorto l'immaginazione e forse anche compromesso l'equilibrio mentale.

Franz Joseph Froehlich vedeva nel primo movimento della Nona Sinfonia un autoritratto in musica, con la sua caleidoscopica successione di sonorità contrastanti a rappresentare le contraddittorie emozioni che
de nivano il quadro della complessa personalità di Beethoven. E vedeva nell’insieme della Sinfonia una rappresentazione della lotta di Beethoven per avere la meglio sulla devastante disgrazia della propria
sordità.
Romain Rolland elevò Beethoven al ruolo di modello di riferimento, come esempio di sincerità personale, altruismo e abnegazione: di autenticità. (L’Inno alla Gioia è oggi l’inno europeo).GIOIA ATTRAVERSO LA
SOFFERENZA: frase presa dalle lettere di Beethoven ma con la quale in realtà lui si riferiva ad uno scomodo viaggio in carrozza → divenne la “parola d'ordine” del culto di Beethoven nella prima metà
del 20° secolo.

2.1 Dalla parte degli angeli


Il culto di Beethoven ha origine all'inizio del 19° secolo ed è il caposaldo della cultura della musica classica. Molte delle idee del nostro modo di pensare alla musica risalgono alle idee che circondarono la
musica di Beethoven. Inizialmente si era a ermato il concetto di musica come merce,che assegna automaticamente al compositore una posizione di centralità, in quanto creatore del prodotto. Ma con
Beethoven si a ermano altre due idee:
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I rapporti di autorità che permeano la cultura musicale. La capacità della musica di trascendere i con ni del tempo e dello spazio.
Il concetto di musica come merce da al compositore un ruolo centrale. L'idea La sordità di Beethoven è il punto di partenza per spiegare questa idea. La sua sordità è simbolo di indipendenza ed
che si sviluppò con Beethoven, cioè che ascoltarla signi cava entrare in estraniamento di Beethoven dalla società. Ci sono molte distorsioni riguardo il mito di Beethoven e ognuna ri ette i valori e gli
comunicazione con il compositore stesso mise in primis il ruolo del compositore interessi di chi ha costruito il mito.
come autore o generatore della musica → questa è la fonte dell'autorità • Una delle distorsioni è la pretesa che Beethoven fosse un genio incompreso → due funzioni culturali:
connessa al compositore. Il compositore è un autore, generatore di musica al 1. La mancanza di successo dimostra l'autenticità di Beethoven attraverso il suo ri uto di seguire i gusti del pubblico;
quale spetta l’autorità. Si viene a creare quindi una gerarchia tra compositore, 2. La costruzione di un punto di osservazione privilegiato dal quale noi cogliamo ciò che i contemporanei non riuscivano
esecutore e apprezzatore. a cogliere: il pregio della sua musica, non composta per il suo tempo ma per ogni epoca.
Questa autorità può diventare autoritarismo. Nel 19° secolo Hans von Bulow Il mito di Beethoven e il conseguente modo di pensare la musica sostengono l'idea che la musica sia un investimento
eseguiva la musica per pianoforte di Beethoven e nel farlo “cancellava sé stesso” estetico : qualcosa che possa essere conservata per un piacere futuro. Beethoven è stato uno dei primi compositori a pensare
→ come se i migliori esecutori fosse quelli di cui non ci si accorge nemmeno. Il al ruolo che la sua musica avrebbe potuto avere dopo la propria morte. Verso la ne della vita cercò invano di interessare
nostro modo di vedere la musica mette l'esecutore in una posizione subordinata, editori per un'edizione autorevole e completa dei suoi lavori.
in contraddizione con l'esaltazione che invece ne fa il mercato → struttura • Dopo la sua morte nasce la metafora del museo musicale: agli oggetti veniva tolta la condizione d'uso per essere valutati
autoritaria di potere: idea che il ruolo dell'esecutore sia di riprodurre ciò che il secondo un unico e universale criterio di bellezza intrinseca → collegamento con il colonialismo: gli oggetti spesso
compositore ha creato. venivano dalle colonie ma i criteri di bellezza erano quelli dei colonizzatori.
• Il terzo termine “apprezzare” → l'autoritarismo è maggiore → via via che • Nel 1835 il pianista virtuoso e compositore Franz Liszt auspicò la fondazione di una simile isBtuzione (un MUSEO
nelle scuole si insegnava il “modo corretto” di ascoltare la musica: MUSICALE).
insegnavano a collegare ciò che ascoltavano nella musica a dati biogra ci • Lydia Goehr → “l'immaginario museo delle opere musicali” in cui esporre la musica del passato come una collezione
dell'autore o dello sviluppo dello stile musicale → sotto l'autorità permanente ma invisibile. che raccogliesse i canoni.
dell'insegnante, l'ascoltatore-studente è al punto più basso della Canone = musica di repertorio, ovvero la musica selezionata per essere ammessa al museo musicale e quindi essere
gerarchia musicale. eseguita anche dopo la morte del compositore. Questa idea si a erma solo dopo la morte di Beethoven.
• Un obiettivo del British National Curriculum / GCSE = controbilanciare • Quello che si chiama “repertorio” rappresenta la musica selezionata per essere ammessa nel museo musicale. Con la
questa sminuita considerazione del ruolo dell'ascoltatore → incoraggiano gli fondazione del museo musicale diventò corrente il termine “musica classica” → termine in prestito dall' arte “classica” di
studenti a prendere in mano la musica, ricollegando l'apprezzare al comporre Grecia e Roma, vista come l'espressione di modelli di bellezza universali da usare come modelli di valutazione.
e all'eseguire.

2.2. Il regno dello spirito


1. Schenker (pianista e insegnante a Vienna) - saggio sulla “Sinfonia” in sol minore di Mozart scrisse che la musica dei geni è “indi erente alle generazioni e ai loro tempi”. Dimostrò che la maggior parte
delle composizioni si può considerare basata sul modello di un’unica frase musicale, enormemente ampli cata per mezzo di una serie di elaborazioni.
→ METODO ANALITICO = eliminare via via le elaborazioni per ricondurre la musica al modello che c'è sotto. Per lui i “geni” sono i compositori ammessi nel museo della musica e a erma che i loro lavori vivono
indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui hanno avuto origine.
→ MUSICA per lui = intromissione, nel mondo umano, di una realtà superiore. Secondo lui la musica usa il compositore-genio come mezzo → i compositori normali si limitano a scrivere ciò che vogliono ma
nel compositore genio è la “forza superiore della verità – della Natura-“ che guida la penna senza preoccuparsi se l'artista avesse voluto fare proprio ciò che ha fa4o. Il compositore-genio parla con la voce della
Natura. È un innalzamento “un’elevazione dello spirito, di carattere quasi religioso, a Dio e ai geni attraverso i quali egli opera”.
• Questa idea, intuizione che la musica sia una specie di nestra aperta su un mondo esoterico che sta al di là della conoscenza ordinaria, è precedente all’era cristiana e si risconta in civiltà
distanti tra di loro - si fonda in Occidente a seguito della scoperta di Pitagora che le note della scala musicale corrispondono a semplici proporzioni di numeri interi e che forse tutto l'universo è
costruito sugli stessi principi matematica e che quindi la musica è una “versione udibile” dell'armonia tra terra, sole e stelle → l’mpercettbile ma onnipresente “musica delle sfere”.
• Simili convinzioni anche in Cina: terremo7 e altri disastri portarono allo studio sull'intonazione delle note per vedere se la causa fosse un disallineamento tra la musica di questo mondo e il suo
equivalente cosmico.
È nella sala da concerto che si può assistere alla più spettacolare celebrazione del potere della musica

CONCERTO: invenzione del 19° secolo → novità del concerto dell’800: prima solo nelle corti o residenze aristocratiche, ora aperto a chiunque potesse pagare il biglietto (fu solo nel 20° secolo con lo sviluppo
della tecnologia della registrazione e della trasmissione, che la musica classica diventò accessibile a chiunque). Lo sviluppo del concerto come forma di pubblico intrattenimento economicamente remunerativa
diede il via alla costruzione di sale da concerto appositamente concepite → l'esecuzione musicale si era trasformata in un rito: rituale di passaggio da un esterno a un interno.
C’E UN ETICHETTA: silenzio e fermi mentre viene eseguita la musica, evitare di battere le mani tra un movimento e l'altro; l'applauso va solo alla ne. Gli esecutori devono stare attenti al loro modo di
vestirsi, e pianisti e cantanti di un recital devono suonare e cantare a memoria. → questa idea dell'imparare a memoria si è sviluppata parallelamente all'idea che le esecuzioni dei solisti dovessero
sembrare spontanee per dare l'impressione di essere letteralmente posseduti dalla musica (si ricollega all'idea che la musica dia accesso a un mondo trascendente o renda udibile la voce della Natura).

“arte-religione”/“religione dell'arte” → si associarono alla musicalità le qualità morali: sincerità personale, fedeltà a se stessi → autenticità. Mentre la religione convenzionale soccombeva all’assalto della
scienza, la musica o riva una strada alternativa alla consolazione dello spirito.
Musica pura = purezza collegata direttamente alla musica, non ai musicisti - nella seconda metà del XIX secolo e nella prima metà del XX: musica che è solo musica. Musica non accompagnata da parole, che
non racconta storie (come i “poemi sinfonici” di Liszt, Smetana o Richard Strauss). Le parole, nella musica, erano viste come una mosca nella minestra: qualcosa che la contamina o che ne diminuisce
il potere spirituale.
Parole in musica = qualcosa che contamina o ne sminuisce il potere spirituale. Nella sala da concerto regnò la musica “pura” nelle sinfonie, nei concerti, nelle sonate per pianoforte e nei quartetti per archi, i
cui e etti di intimità, emozione e consolazione dello spirito sono creati “con mezzi puramente musicali. E questa è un’eredità del XIX secolo poiché già se la musica solo strumentale esisteva già prima di allora,
era però sempre stata pensata come qualcosa di subordinato ai generi in cui la musica accompagna la parola: la cantata, l’oratorio, l’opera. Quindi: estromessa dalla musica, la parola cominciò a riempire
gli spazi attorno alla musica. Si insinuò nel santuario della sala da concerto, sotto forma di programma di sala (altra invenzione dell’800), per non dire delle chiacchiere negli intervalli, nel mondo esterno nelle
guide all'ascolto, nei CD, nei siti web. Il mondo musicale alla cui base c'era la musica di Beethoven aveva generato l'idea di una musica senza parole → paradossalmente però le parole dovevano essere in
relazione alla musica per spiegarla. Paradosso = se la musica ha bisogno di essere spiegata con le parole signi ca che è incompleta.
3 Stato di crisi? Una risorsa globale
- L'idea ottocentesca di “musica pura” - prevedeva che si dovesse comprenderla in sé per sé, al di là di signi cati esterni o dal contesto.
- La tecnologia novecentesca di riproduzione del suono ha permesso di trovare la musica sempre più vicino annullando distanze geogra che e facendoci pensare alla musica come una riserva inesauribile →
questa è l'ultima concrettizzazione dell'idea di musica che si è sviluppata nei primi anni del culto di Beethoven, anni in cui si formava il canone dei capolavori classici.
- Oggi la musica = elemento nella de nizione dello stile di vita personale.
Paradosso = da una parte la tecnologia ha dato alla musica l’autonomia che le veniva reclamata da musicisti ed esteti del XIX secolo (ma in maniera
fraudolenta poiché in realtà la “musica pura” era con nata agli ambienti borghesi della sala da concerto e del salotto) dall’altra ha distrutto alcuni presupposti fondamentali della cultura musicale ottocentesca →
quanto più ci comportiamo come consumatori musicali tanto più il nostro comportamento diventa incompatibile con la concezione ottocentesca dell'autorità del compositore.
Oggi l'idea di “autore” è azzardata se messa in relazione con la produzione in studio → le tecniche di registrazione e trattamento digitale del suono danno al tecnico e al produttore un'incidenza creativa
come quella dell’artista.
La contraddizione tra il mondo musicale di oggi e i modi di pensare ereditata dal 19° secolo è la distinzione tra arte “alta” e arte “bassa”.
Arte alta o musica “d'arte” Arte bassa
= tradizioni scritte delle classi agiate e = tutto il resto, come le tradizioni popolari → se sopravvissuti alla contaminazione dell'industria musicale, si pensava trasmettessero il carattere nazionale delle
soprattutto il repertorio di Bach, Beethoven campagne e dei suoi abitanti ma comunque continuarono ad essere considerata arte bassa → attraverso di loro si poteva ascoltare la voce del popolo ma non
e Brahms. la voce della Musica.

Una distinzione tra arte bassa e alta viene fatta sui libri di storia della musica e nelle guide all'ascolto → raccontano la storia della musica “d'arte” occidentale che dal centro Europa si è espansa al Nord
America, poi nita la storia vera e propria aggiungono uno o due capitoli sulla musica popolare. Signi cativo è anche il trattamento riservato alle tradizioni non-occidentali → ammesso che ci siano, sono a rontate
all'inizio molto velocemente insieme alla spiegazione degli elementi della musica.
Questo sistema poteva essere un atteggiamento comune all'inizio del 20° secolo ma oggi ci o re un punto di partenza inadeguato per comprendere la musica nella società pluralista di oggi.
3.1. Morte e tras gurazione
Spesso si è parlato di crisi della tradizione musicale occidentale → a ermazione eccessiva → È vero che c'è una crisi, ma per la musica “seria” contemporanea (si sottintende che la musica fuori della sala
da concerto non possa essere seria). Questo tipo di musica era totalmente di erente dalla musica classica, era una musica nuova. L’idea che la musica nuova, progressiva, debba essere per de nizione
per pochi è un fenomeno storico e
poca gente stava a sentirla. L'idea che la musica nuova, progressiva possa essere solo per un'élite è un fenomeno storico che risale all'inizio del 20° secolo, quando iniziarono i movimenti
d'avanguardia → per reazione alle convenzioni di un'arte “accademica”, istituzionalmente approvata, giovani pittori svilupparono stili personali e innovativi e pubblicarono manifesti in cui spiegavano che il loro
lavoro preconizzava un movimento artistico nuovo (or smo, vorticismo, futurismo, ecc.)
Schoenberg - compositore viennese: era consapevole del signi cato del suo addio alla tonalità (“linguaggio comune”=la musica si basa su un suono centrale o “tonica”) e della conseguente invenzione del
serialismo.
- Tecnica seriale = costruire una composizione a partire da un'unica sequenza di note da ripetere sistematicamente, ma facendo in modo che i risultati non fossero così banali (la sequenza di note poteva
essere usata all'indietro o capovolta, all'insù o all'ingiù).
→ Il pubblico però riteneva di aver perso i punti di riferimento musicali; pochi la ascoltavano, ma chi la ascoltava ci si appassionava → la musica moderna nì così per ghettizzarsi = il pubblico si allontanava da
chi continuava ad ascoltare il repertorio classico.
I musicisti pensavano si trattasse di una fase transitoria. L'etichetta “musica moderna” è rimasta attaccata alla musica di un periodo sempre più distante storicamente tanto che oggi capita che organizzatori di
concerti ri utino composizioni che risalgono a quando i nostri nonni erano bambini de nendole “troppo moderne”. La “musica moderna” prospera prevalentemente nei luoghi marginali del sussidio di Stato,
dell’Accademia e dell’industria dello spettacolo (horror).
1. forse perchè compositori come Schoenberg credevano troppo nel concetto ottocentesco di autenticità e hanno trattato gli ascoltatori con disprezzo
2. o forse perchè erano convinti che la mancanza di successo di pubblico fosse garanzia di serietà e integrità del lavoro e per questo facevano musica a un pubblico ristretto

Schoenberg fonda a Vienna nel 1918 la Società per le Esecuzioni Musicali Private = ai concerti erano ammessi solo i membri della Società e solo alla condizione di non applaudire e che non apparissero
commenti sulla stampa.

O più semplicemente la musica contemporanea “seria” fu buttata fuori da sviluppi successivi di musica popolare, “leggera”.
Con lo sviluppo e la di usione della tecnologia di riproduzione del suono la musica classica ha raggiunto il pubblico di tutto il mondo in dimensioni più grandi di quanto si sia veri cato in passato. Nell'ultimo
decennio:
• è uscito un video con “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi del violinista Kennedy. A questo video sono state applicate tecniche promozionali della musica pop → Kennedy può essere ritenuto responsabile
per la presenza delle Stagioni nelle segreterie telefoniche.
• I Tre Tenori (Pavarotti, Placido Domingo, Josè Carreras) hanno portato l'opera italiana nelle hit parade pop in seguito all'adozione della loro registrazioni di “Nessuno dorma” di Puccini come inno
u ciale della Coppa del Mondo.
• La Terza Sinfonia del compositore polacco Henryk Gorecki ha sbattuto fuori dalle classi che Madonna dopo essere stata promossa dalla stazione radio londinese Classic FM.
L'industria della musica ha riciclato la musica classica come un lucroso prodotto di punta, nicchia. Ciò che ha mantenuto in vita la musica classica è la trasformazione del suo ruolo sociale e culturale → ma,
la musicologia accademica continua a sostenere una visione in cui la musica classica è morta - la Classic FM ha l'abitudine di estrapolare singoli movimenti di sinfonie classiche
La crisi della musica classica non riguarda quindi la musica in sé, ma il modo di pensarla. Ci sono 2 atteggiamenti radicati nella cultura occidentale che condizionano il nostro modo di vedere la musica:
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1° → Tendenza a minimizzare il tempo che ci porta a pensare alla musica come a un oggetto immaginario, qualcosa che è “nel” tempo ma non “del” tempo.
2° → Tendenza a pensare al linguaggio e ad altre forme di rappresentazione culturale, tra cui la musica, come se fossero una realtà esterna.

4. Un oggetto immaginario: Fermare il corso del tempo


La musica c’è e allo stesso tempo non c’è. Ne abbiamo segni ovunque (spartiti, libri, strumenti), eppure questi segni non sono la musica. La musica non può essere indicata o a errata. I segni (croma,
minima, semiminima) che funzione svolgono nella nostra cultura musicale?
Le notazione musicale assolve a tre funzioni:
• 1° funzione: conservazione fermano il tempo nei loro simboli e danno una forma visibile dell’evanescente.
• 2° funzione: mezzo per la comunicazione, comunicare la musica da una persona all’altra, ma anche dal compositore all’esecutore.
• 3° funzione: concezione della musica: la notazione è parte integrante della concezione della musica, rappresenta ed esprime la concezione della musica per una particolare cultura di riferimento,
esprimendo i modi in cui i compositori, gli esecutori e tutti coloro che lavorano con la musica la immaginano o pensano.La notazione dà alla musica una consistenza tangibile e durevole nel tempo
Molte culture (segnatamente quella egizia, sembrano essere state assillate dal terrore della decadenza e dell’oblio, e perciò tentarono quasi ossessivamente di dare una forma permanente a tutto ciò che
concerneva la loro civiltà, in modo da ssarlo per l’eternità; da qui l’esistenza di capsule del tempo come la tomba di Tutankhamon) - desiderio di dare alla musica una consistenza tangibile e durevole, in modo tale
da non scomparire per sempre ed arrivare no ai giorni nostri, ed è per questo che la notazione è importante. L’unico problema è che ci sono aspetti della musica sui quali la notazione non dice nulla, come la
velocità, il timbro, con o senza vibrato.

•Lo stesso problema riguarda anche la musica più recente. Ad esempio si può credere di sapere in che modo venisse eseguita l’Ave Maria di Gounod (composizione del XIX secolo), ma non è così. C’è una
registrazione del 1904 che fa sorgere dei dubbi; fu realizzata da Alessandro Moreschi (l’ultimo castrato chiamato “l’angelo di Roma”), e risulta insolita all’orecchio moderno per i fruscii e i crepitii presenti e non solo.
È il suono della sua voce (timbro) la cosa che appare più strana: ha una focalizzazione acuta, lamentosa come una specie di urlo sublimato. Non possiamo sapere se il suono fosse leggermente modi cato anche a
causa delle tecniche di incisione di inizio secolo. E non sappiamo neanche no a che punto il modo in cui Moreschi canta l’Ave Maria fosse comune o meno. Il punto è proprio questo: noi non lo possiamo sapere
e non avremo mai modo di saperlo!

La notazione conserva la musica, ma nasconde altrettanto di ciò che rivela. Occorre distinguere due tipi diversi di notazione che possono essere utilizzati in
combinazione:

Rappresentazione dei suoni Rappresentazione delle cose che gli esecutori devono fare per produrre suoni.
La classica notazione occidentale sul pentagramma. Un esempio è l’indicazione “una corda”, che è possibile trovare in un pezzo di pianoforte: signi ca che bisogna abbassare il pedale di sinistra per
Ciascuna gura rappresenta una nota distinta e, quanto far muovere solo una corda, anziché due o tre come avviene normalmente.
acuta o grave sia questa nota, dipende da quanto alta o • “una corda” non descrive il suono ma l’azione che si compie per riprodurlo e questo principio si riferisce al tipo di notazione detto “intavolatura”.
bassa sia la sua posizione nella pagina. Un e cace - Ci sono tanti tipi diversi di intavolatura e il suo vantaggio è quello di essere molto più facile da imparare rispetto alle notazioni su rigo: invece di
riferimento è dato dalle linee orizzontali che formano il rigo su lasciare il compito all’esecutore per stabilire cosa si debba fare per riprodurre quei suoni, mostra semplicemente in che punti della tastiera si
cui sono posizionate le note scritte. La dimensione del tempo debbano mettere le dita. È su ciente eseguire la notazione.
è data dallo scorrimento della lettura da sinistra verso destra. Naturalmente la notazione simbolica per chitarra è molto più limitata rispetto a quella sul pentagramma: non si può usare per scrivere melodie ma
Nella notazione ci sono vari elementi simbolici, il cui solo accordi e non dice neppure se un accordo debba essere suonato una sola volta o ripetuto con uno speci co schema ritmico. Il vero limite
signi cato è ssato convenzionalmente ad esempio le varie dell’intavolatura è che ciascuna intavolatura funziona solo per uno strumento soltanto, poiché le cose da fare per suonare una melodia cambiano da
forme della testa delle note, i segni delle pause e le strumento a strumento. In Occidente le intavolature sono essenzialmente collegate agli strumenti destinati ai dilettanti, e l’adozione nostra
stanghette usate per rappresentare la durata ecc. universale è quella su rigo.

Non c’è da meravigliarsi che, quando i bambini iniziano a prendere lezioni di strumenti, si ritrovino a passare un sacco di tempo lontano da essi e a studiare quella che, con un uso alquanto improprio di
questo termine, viene chiamata “teoria”. Ciò che acquisiscono così è la conoscenza della notazione e, attraverso quella, un’iniziazione alla cultura della musica occidentale.

4. Musica tra le note


Le notazioni musicali sono sempre condizionate da ciò che devono o non devono registrare; funzionano più come ltri o prismi che come registratori che non sono selettivi, nel senso che all’interno di limiti
complessivi di fedeltà registrano tutto.
Alcuni etnomusicologi (studiano etnomusicologia, che è un ramo della musicologia, e studiano le tradizioni musicali orali di tutti i popoli del mondo) sono disposti ad usare la notazione su pentagramma
per trascrivere la musica che studiano per capirla. Il problema è che la notazione su pentagramma tratta qualunque tipo di musica, come fosse fatta di note distinte, in pratica presuppone che tutti gli
strumenti funzionino sul medesimo principio, ma non è così nella realtà (ad esempio nel violino si possono produrre un’in nità di suoni intermedi tra un “si” e un “do”, oppure si può scivolare gradualmente
dall’uno all’altro e non c’è modo di dire dove nisce l’uno e inizia l’altro).
Nella musica indiana e cinese avviene la stessa cosa, ci sono molti suoni “tra le note” a determinare l’e etto della musica. Quindi spesso diventa di cile precisare dove nisca una nota e ne inizi
un’altra, secondo il signi cato di “nota” in termini di notazione su pentagramma. Musica e notazione entrano in con itto.
Questa situazione ha generato controversie tra gli etnomusicologi, creando due correnti di pensiero tra di loro:
1. Coloro che credono che la notazione su pentagramma sia un’arma spuntata, ma indispensabile per comunicare qualcosa della musica di una determinata cultura a lettori che non ne conoscano il
sistema di scrittura.
2. Coloro che assumono la notazione come standard universale.
Nessuno di loro ha pienamente ragione. Il fatto che la notazione non si preoccupi di sottigliezze dinamiche o temporali, non signi ca che noi non ce ne dobbiamo preoccupare, e se la nostra notazione sempli ca la
musica eliminando queste cose è perché la sempli cazione è nella natura dei sistemi di notazione. Se è vero che la notazione su pentagramma distorce la musica non-occidentale, si potrebbe semplicemente
supporre che distorca anche la musica della tradizione occidentale. Nella notazione col pentagramma i dettagli relativi alle durate e alla dinamica non sono trascritti. E questo ci dice qualcosa su ciò che sono le
partiture e su come sono utiizzate.Se trattassimo la notazione allo stesso modo in cui certi cristiani fondamentalisti trattano la Bibbia – se dicessimo che tutto ciò che non è nella partitura non dovrebbe risultare
nell’esecuzione –, a questo punto i sintetizzatori controllati dai computer avrebbero già mandato in pensione gli esecutori: occorre una macchina, per eseguire la musica in maniera letterale, acritca, priva di
espressione.
Una notazione che cercasse di scrivere tutto, nirebbe per essere troppo complicata per essere letta (Charles Seeger, il pioniere dell’ etnomusicologia americana inventò il melografo, uno strumento
per scrivere le minime sottigliezze di durata, dinamica ecc. questo però risultava troppo complesso e non è mai stato utilizzato).
Qualunque notazione quindi omette qualcosa di diverso.
• Lo si può vedere nella musica d’arte occidentale i compositori del XVIII secolo a volte si limitavano a scrivere l’intelaiatura di quanto avevano in mente, lasciando all’esecutore il compito di rivestirla a suo
piacimento; i compositori di oggi invece, generalmente cercano di speci care ciò che vogliono in maniera molto più dettagliata. Ma per no nei casi più estremi rimane spazio per delle varianti. Il modo
migliore per spiegare questo fatto è mettere a confronto i diversi sistemi di notazione delle varie parti del mondo, esempi:
L’intavolatura usata in Cina per la cetra da tavolo mostra come si debba riprodurre ciascuna nota attraverso una serie di dettagli (con il polpastrello, con l’unghia ecc.), ciascuno dei quali ne speci ca la
qualità sonora o il timbro. Ma non speci ca il ritmo, lasciando decidere all’esecutore quali note vadano eseguite più velocemente e quali lentamente.
La notazione su pentagramma non speci ca il timbro ad esempio. Si può a ermare dunque che l’intera arte dell’interpretazione risiede negli interstizi della notazione, in quelle parti della musica che la
partitura non riesce a raggiungere.
La funzione più ovvia della notazione è la conservazione; e il fatto che continuiamo ad usare la notazione tradizionale dimostra quanto siano importanti le sue funzioni. Una partitura stabilisce una
struttura che identi ca come essenziali certi attributi della musica, nel senso che se l’esecuzione non li rispecchia, allora non la si può de nire un’esecuzione di quella musica.
In termini di completezza e fedeltà, nessun altro mezzo di rappresentazione della musica potrebbe competere con un CD (a parte il disco in vinile). La notazione:
• Trasmette delle informazioni dal compositore all’esecutore
• Trasmette un intero modo di concepire la musica
Tra e intorno a queste note trascritte, si estende un vasto campo di possibilità interpretative, grazie alle quali potete scegliere se suonare più lentamente o più velocemente, più forte o più piano,
fraseggiando in un modo oppure in un altro.

4.1 Il maestro del minimo passaggio


La demarcazione tra ciò che è determinato dalla notazione e ciò che non lo è costituisce una cultura musicale; de nisce non solo il modo in cui la musica viene trasmessa, ma anche il modo in cui si mettono in
relazione i diversi soggetti. Tutto questo determina il modo in cui la gente concepisce la musica nell’ambito di una determinata cultura.
Comporre nell’ambito di una qualunque tradizione data signi ca concepire dei suoni in termini di particolari con gurazioni di determinatezza e indeterminatezza compatibili con quella tradizione. Ci sono due
famose fonti relative al modo in cui Mozart e Beethoven, concepivano la loro musica.
1. In una lettura del XIX secolo (pubblicata nel 1815) Mozart spiegò che le idee musicali gli venivano in modo spontaneo e si sviluppavano nella sua mente (come una statua che prende forma pian
piano) e poi lo riportava su carta, in modo abbastanza rapido. “e di ben rado sulla carta risulta diverso da com’era nella mia immaginazione”.
2. Louis Schlosser pubblicò il resoconto di un suo incontro con Beethoven avvenuto nel 1822. Beethoven diceva che portava i suoi pensieri con sé a lungo, prima di ssarli per iscritto; egli vedeva e
sentiva l’immagine dell’idea fondamentale, in tu4a la sua estensione. Così quando si ssava nella sua mente (quasi fosse uno stampo) la metteva per iscritto in musica, ma era una cosa molto
rapida.

C’è una notevole corrispondenza tra i due: entrambi sottolineano come potevano “vedere” o “immaginare” la musica con uno sguardo e paragonarla ad un’immagine (la statua di Mozart e lo stampo di
Beethoven). Entrambi insistono sul fatto che il vero e proprio lavoro di composizione avvenga mentalmente e il metterlo per iscritto sia una faccenda banale, quindi la notazione per loro non è qualcosa di
intrinseco al processo compositivo, ma avviene dopo. Entrambi ci dicono che concepire la musica è un fatto puramente ideale, una conquista dell’intelletto svincolata dal meccanico scorrere della penna.

In realtà sappiamo che Beethoven portava con sé foglietti e più tardi quaderno tascabili e prendeva appunti delle idee musicali che gli venivano in mente, per non dimenticarsele. A casa teneva quaderni più grandi
in cui ricopiava gli appunti, aggiungeva nuove idee e rimodellava la musica. Ci sono molti appunti in cui Beethoven prova un’idea, poi un’altra, ecc, ed è possibile rendersi conto che i tratti più caratteristici della
sua musica si de niscono solo negli stadi conclusivi del processo compositivo.
Questa discrepanza tra ciò che egli diceva e ciò che invece davvero faceva è dovuta al fatto che gli autori successi si sono inventati quello che Beethoven diceva, ad esempio Schlosser, era stato
ispirato quasi certamente dalla lettera di Rochlitz su Mozart. I contemporanei però credevano alla loro autenticità perché rappresentavano ciò che nell’ottica del XIX secolo i compositori dovevano
aver detto. Ci dicono molto sul pensiero romantico, ma poco su Mozart, Beethoven e il processo compositivo.
La musica per Beethoven, non era un processo immateriale, ma era tutto uno scrivere, riscrivere, cancellare, riabbozzare e non un’idea ssa che non lo abbandonava mai, come asseriva Schlosser. Quando
diciamo che Beethoven “scriveva una sinfonia”, stiamo parlando di un contatto sico con la carta e penna e di un atto creativo che era inseparabile dai dettami della notazione occidentale. I compositori classici
avevano un’altra arma per a rontare la rappresentazione della musica: il pianoforte. Grazie a questo strumento moltissimi compositori si sono aiutati per comporre musica. I compositori sanno che la musica non è
qualcosa che semplicemente accade, ma è qualcosa che si fa.

4.1 Il paradosso della musica


Metafora-base della cultura musicale occidentale: la musica è una sorta di oggetto. Alcuni dei più grandi compositori, l’hanno espressa a meraviglia parlando della musica come di una pittura o di una
statua. L’idea intera di scrivere musica dipende da una metafora: la notazione occidentale su pentagramma mostra la musica “muoversi” su e giù e da sinistra a destra sulla pagina. Ma cos’è il
muoversi? Nulla! Ma diciamo che la musica si muove trattandola come un oggetto immaginario.
• Qui sta il fondamentale paradosso della musica: noi la viviamo in una dimensione temporale, ma per manipolarla e per comprenderla la mettiamo al di fuori del tempo e in questo senso la falsi chiamo. Ma
questa falsi cazione è una parte fondamentale di ciò che la musica è. La cosa importante è riconoscere la falsi cazione per ciò che è e non confondere gli oggetti immaginari della musica con le esperienze
temporali delle quali solo la rappresentazione. Se entrate in un negozio e dite “avete della musica di Sorabji?”, state chiedendo se hanno delle partiture o dei cd; ma la musica è qualcosa di diverso. Questo
accade spesso quando parliamo di musica: non diciamo esattamente ciò che intendiamo o non intendiamo ciò che diciamo. Potremmo vedere la storia della musica come un resoconto del nostro itinerario
nell’immaginario museo dei lavori musicali.; ricordandoci che quando studiamo la musica non stiamo studiando qualcosa di separato da noi, ma stiamo studiando anche noi stessi.
Ma come la mettiamo con il museo immaginario? L’intera idea di museo immaginario non è forse costruita su una confusione di oggetti immaginari e di esperienze temporali? Due risposte possibili:
1. Una meno radicale: se le opere musicali non sono esperienze, ma, per così dire, soltanto i loro surrogati, allora lo stesso può dirsi del contenuto di qualsiasi altro museo:
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1. qualsiasi altro museo: i quadri, ad esempio, sono comprati e venduti (assicurati e rubati pure) come oggetti sici, ma noi andiamo in una galleria per contemplarli non in quanto tali, ma per le esperienze che
ne possiamo ricavare – e ci sono tanti modi di ricavare delle esperienze, quante sono le persone che li contemplano.
2. La risposta più radicale: è suggerita dal biologo Richard Dawkins con la sua immagine, profondamente sconvolgente del “ ume di geni”. Noi pensiamo alla storia dell’umanità e all’evoluzione preistorica della
nostra specie come il risultato di un’immensa successione di individui; generando e incrociandosi, si sono trasmessi i geni, che sono utti di generazione in generazione determinando la costituzione etnica,
sica e mentale della razza umana di oggi. Ma Dawkins capovolge tutto questo: fa dei geni i protagonisti della storia, i suoi veri arte ci, da null’altro motivati che dall’esigenza di riprodursi. In questa visione
della storia, gli umani sono ridotti a provvisorie costellazioni di geni, meri mulinelli nel ume della vita. E forse dovremmo vedere il contenuto del museo della musica nello stesso modo. Infatti la musica è stata
presentata tradizionalmente come una successione di pietre basilari da guardare. Vedremo così i lavori musicali come mere tracce dei processi storici, gusci vuoti in cui si può infondere la vita solo
ricostruendo nell’immaginazione le esperienze musicali che a suo tempo avevano dato loro un senso. E l’immaginazione coinvolta in questo processo è la nostra: potremmo vedere la storia della musica,
essenzialmente come un resoconto del nostro itinerario nell’immaginario museo dei lavori musicali.
La musica è un oggetto immaginario.
5. Una questione di rappresentazione - Due modelli di arte
Filosofo Ludwig Wittgemnstein: paragonò la comprensione di una frase alla comprensione di un tema musicale. Lo fece nel corso di un’argomentazione contro quella che lui de niva teoria “rappresentativa” del
linguaggio. Con ciò si riferiva all’idea che il linguaggio rappresenti una realtà esterna che esiste indipendentemente dal linguaggio – che il linguaggio sia solo un medium, in altre parole.
Il suo assunto era che, mentre si può plausibilmente considerare una frase come "John sta picchiando Mary" come la semplice rappresentazione di un fatto che di per sé non ha nulla a che fare con il
linguaggio, non si può pensare allo stesso modo a un tema musicale: capire un tema musicale è semplicemente capire quel tema, non capire una qualche realtà esterna rappresentata dal tema
musicale.
Ma la teoria “rappresentativa” del linguaggio è profondamente radicata nella cultura occidentale (estetica “classica” è un tentativo di applicare tale teoria alle arti). Le arti visive sono l’esempio più
ovvio. Se lo scopo della pittura o della scultura è la rappresentazione dell’aspetto delle cose come sono realmente, allora ci sono dei parametri assoluto rispetto ai quali valutare l’arte. E questi
parametri non hanno nulla a che fare con le circostanze o i motivi della sua realizzazione: hanno a che fare soltanto con l’opera d’arte in sé. Ne consegue che l’arte dev’essere apprezzata e goduta
per sé stessa, in un atto di contemplazione quasi religiosa. In tal modo l’estetica classica crea la gura dell’autonomo intenditore o critico: qualcuno che è staccato dal processo della creazione
artistica, ma sostiene e applica i parametri senza tempo della verità e della bellezza artistiche.
L’idea di opera d’arte senza tempo, quasi religiosa, si ricollega al pensiero ottocentesco della musica.
L’idea che la musica rappresenti l’armonia cosmica, come microcosmica rappresentazione del macrocosmo è iniziata come minimo da Pitagora, perdurò per tutto il Medioevo e il Rinascimento;
venne poi sostituita, nel XVIII secolo da un’altra idea di imitazione musicale, che conosciamo come teoria degli a etti: “A etto” in questo contesto, signi ca qualcosa a metà strada tra “stato d’animo” e
“sentimento” e, secondo questa teoria, il signi cato della musica deriverebbe dalla sua e cacia nel cogliere e trasmettere a etti quali amore, rabbia e gelosia. In quest’ottica, il potenziale della musica si realizzava
completamente sul palcoscenico dell’opera, dove forniva un fondale emozionale per parole e azioni del dramma.
Era opinione di Wittgenstein che esista un modo alternativo di considerare il signi cato, tanto nella musica quanto nel linguaggio. La sua principale argomentazione era che il linguaggio più che ri ettere
meramente la realtà, la costruisce. Se promettete qualcosa, le vostre parole non sono un resoconto verbale di qualcosa che ha avuto luogo altrove; le parole sono la promessa. In altre parole, dicendo
“prometto” state facendo qualcosa, non vi limitate a relazionare su qualcosa.
Linguisti e antropologi spesso hanno avuto modo di constatare che non è possibile tradurre correttamente nella propria lingua altre lingue di altre culture da loro osservate: le rispettive
categorie non si corrispondono. Il linguaggio non si limita a ri ettere le diverse maniere in cui di erenti culture vedono il mondo, ma le determina. È possibile che il linguaggio costruisca la realtà più
che rappresentarla - Benjamin Lee Whorf - non si limita a ri ettere i diversi modi in cui culture diverse vedono il mondo, ma le determina,
Tutto ciò applicato all'estetica signi ca che l'arte, invece di riprodurre una realtà esterna, deve rendere disponibili nuovi modi di “costruire il nostro senso della realtà” → Van Gogh ha reso
visibili i girasoli, non è che li avessimo visti sempre in quel modo. Il vero signi cato del dipinto sta nel modo di vedere il mondo che ci spinge a costruire. E i valori artistici stanno
nell'esperienza dello spettatore, che diventa così partecipe del processo artistico. I presupposti dell'estetica classica sono ribaltati.
Nell’estetica tale concetto può essere così espresso: invece di riprodurre una realtà esterna e preesistente, è compito dell’arte rendere disponibili nuovi modi di “costruire il nostro senso della realtà”. Una
concezione costruttiviista dell’arte. Non ci sono più parametri estetici assoluti radicati nella realtà esterna, nel modo di essere delle cose. Al contrario, i valori artistici stanno nell’esperienza dello spettatore,
che non è più un elemento staccato dal processo artistico, ma ne diventa partecipe in modo essenziale.
Questo approccio può essere applicato alla musica: rende sensato quel tipo di critica ermeneutica che consiste nell’elaborare illuminanti metafore per speci che composizioni; queste metafore non solo
rappresentano qualcosa che già si è esperito, ma portano a esperire la musica in modo diverso (in altre parole, non si limitano a ri ettere, bensì cambiano il modo di essere delle cose). Ma l’idea che il
signi cato della musica stia più in ciò che fa, che in ciò che essa rappresenta, ha un’applicazione più ampia: rende giustizia al fatto che la musica ha una dimensione di arte esecutiva.
Pensando alla musica come rappresentazione si può dire che l’orchestra classica, con la sua evoluzione nel corso del tempo, riproduce le strutture organizzative della società contemporanea:
Durante il XVIII secolo uno dei membri del team (un violinista o il cembalista) aveva il controllo complessivo dell’operazione, ma all’inizio del XIX secolo questo ruolo direttivo passò a una gura professionale
specializzata (il direttore di orchestra). → l'orchestra classica con la sua evoluzione riproduce le strutture organizzative della società contemporanea. Questo presuppone che stia al di fuori della società
ma ne sta dentro quanto un'impresa edile. La di usione di orchestre senza dire4ore e altri complessi specializzati ha anticipato gli odierni modelli manageriali meno gerarchizzato e ha permesso lo
sviluppo di alternative alle strutture istituzionali tradizionali. Musica come “preavviso sociale”.
Così, direttamente responsabile del successo o del fallimento dell’intera operazione, il manager acquisì uno status del tutto distinto da quello degli altri membri del team, con una remunerazione commisurata.
Un compito della musica è quello di ri ettere una dimensione sociale.
5.1. Un approccio esauriente alla musica
Il contenuto concreto della musica – la disposizione dei segni sulle pagine – non solo ri ette, ma contribuisce a determinare la natura della società, il modo in cui le persone si mettono in relazione le
une con le altre. Ad esempio come i membri di una rock band si mettono in relazione tra di loro e con il pubblico, quando suonano. Come si può applicare questo modo di vedere le cose, alla musica
vera e propria? → continua l'esempio dell'orchestra. Chi suona l'oboe sa che le parti di oboe di Mozart hanno senso compiuto, sono melodicamente autosu cienti e grati canti per chi le suona mentre quelle di
Beethoven sono a volte prive di senso se prese individualmente quindi suonare le parti dell'uno o dell'altro non dà la stessa soddisfazione. Una spiegazione è che le sinfonie di Mozart fanno parte della tradizione
cameristica: musica scritta per il piacere dell'esecutore e dell'ascoltatore; le sinfonie di Beethoven sono fatte per l'e etto che danno nella sala da concerto e i musicisti diventano tecnici e operai.
Il contenuto concreto della musica determina la natura della società e il modo in cui le persone si mettono in relazione le une con le altre → esempio signi cativo: l'inno nazionale del Sudafrica: per
anni cantato come atto di s da all'apartheid e ora, con la ne dell’apartheid , riecheggia come eco di speranze, aspirazioni e preoccupazioni dei nuovi sudafricani e dei loro simpatizzanti. In parte
dipende da un'associazione diretta: quell'inno (Nkosi Sikelel'iAfrica) ci fa pensare al Sudafrica. Poi come tutte le esecuzioni corali implica condivisione e interazione: ciascuno deve ascoltare tutti gli
altri e procedere nella loro stessa direzione, senza che nessuno prevalga sull'altro → non simboleggia l'unità, la realizza.
• In pochi accettano la versione “forte” dell'ipotesi whor ana = il linguaggio è la sola cosa che determina la concettualizzazione. Molti riconoscono che sia una delle cose che la determinano, non la
sola. Analogamente non si può pretendere che la musica possa avere signi cato solo grazie a ciò che fa e non anche a ciò che rappresenta.
Quando le persone cantano l'inno sudafricano non stanno solo costruendo il nuovo sudafrica, stanno anche riproducendo ciò che Sontonga ha scritto. C'è una di erenza. Per chi lo canta o lo ascolta
l'inno è legato al sudafrica ma non altrettano a Sontonga. Quando ascoltiamo musica di Beethoven non ci limitiamo ad ascoltare i suoni, la ascoltiamo come musica di Beethoven, e la mettiamo in
relazione con l'immagine che abbiamo del compositore.
La musica “d'arte” è pensata per la riproduzione, per essere ascoltata come un' “esecuzione di” qualcosa già esistente con una propria storia e una propria identità. E trae anche senso dall'essere un' “esecuzione
di”. Vista così, come dice Schoenber, l'esecutore è super uo tranne per il fatto che le sue interpretazioni rendono comprensibile la musica ad un pubblico non in grado di leggerla. → visione dell'estetica della
rappresentazione. Visione non giusta e inadeguata per pensare la musica classica ma anche per ogni tipo di musica → il mercato della musica ci fa vedere che l'interesse che gran parte della gente ha per la
musica è rivolto alla sua interpretazione.
• Visione artistica dell'estetica classica → basata sull'idea di capolavoro il cui valore è intrinseco e estrinseco, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo apprezzi. I capolavori sono creati dai grandi
compositori e sono riprodotti attraverso l'interpretazione da specialisti dell'esecuzione (certo c'è anche l'esecuzione amatoriale). Quindi se non sei un compositore o un esecutore o qualcuno con una
preparazione musicale, sei un non- musicista. L'estetica classica non ti riconosce. Al contrario un approccio basato sull'esercizio della musica (comporla, suonarla, ascoltarla, odiarla, amarla) fa sì che
chiunque abbia a che fare con la musica, venga considerato.
Tradizionalmente le storie della musica sono state storie delle composizioni musicali: l'enfasi era sulla produzione piuttosto che sulla ricezione della musica. Questo deriva dalla concezione “pittorica” dell'arte
e dai presupposti linguistici → se possiamo spiegare il comporre (primo termine della tripartizione del British), l'eseguire e l'apprezzare si spiegano da soli. La concezione costruttivista dell'arte capovolge:
attribuisce all'arte il ruolo primario di costruire e comunicare nuove modalità di percezione → in questo consiste il processo storico. Vista così, storia dell'arte = storia dei mutamenti del modo in
cui la gente ha visto le cose. In musica: Beethoven e i grandi musicisti del passato hanno dato non nuove cose da sentire ma nuovi modi di sentire cose. In musica è di cile dire cosa sia la
“ricezione” perchè abbiamo a che fare con esecutori e ascoltatori e non solo con spettatori come in pittura. Ma esecutori e ascoltatori sono entrambi coinvolti nello stesso processo di interpretazione
della musica. Quindi se la continuità della storia sta nel racconto di come la gente ha percepito le cose, possiamo dire che l'interpretazione (esecuzione, ascolto, critica) stia al centro della storia della musica.
• Fenomeno del “world beat” = epicentro a Parigi, propose sui nuovi mercati internazionali musica tradizionale africana e di altri luoghi in veste pop anni Ottanta o le interpretazioni del canto gregoriano dei
monaci di Santo Domingo che fruttarono molti guadagni, o la promozione in stile pop della musica mediovale fatto dalla Medieval Bebes. → questo perchè la musica di un tempo e di un luogo può soddisfare
bisogni, desideri e aspirazioni di un altro tempo e luogo. Dalla prospettive della ricezione la materia prima della storia sono i bisogni musicali, i desideri e le aspirazioni la materia prima.
Dobbiamo cercare un'equilibrio, c'è bisogno di entrambe le modalità di approccio:
1. quella basata sulla composizione
2. quella basata sulla ricezione
Entrambe interagiscono → ciò che c'è da ascoltare determina ciò che la gente vuole ascoltare e ciò che la gente vuole ascoltare determina ciò che c'è da ascoltare.
L'approccio basato sulla ricezione è necessario perchè è onnicomprensivo; diversamente da quello distaccato dei libri, dice che il modo migliore per capire la musica è starci dentro. Il punto di partenza deve
essere il modo in cui noi usiamo, interiorizziamo e ci occupiamo della musica. Evita giudizi vincolanti ereditati da un'altra epoca su ciò che noi dobbiamo ascoltare e come. E parte dal presupposto che studiare
musica = studiare come noi ne siamo partecipi. Pensando alla musica come rappresentazione, l’orchestra classica, con l a sua evoluzione, riproduce le strutture organizzative della società contemporanea con le
sue gerarchie facendo parte essa stessa della società.
6. Musica e accademia - Come ci siamo arrivati…
Joseph Kerman - 1985 musicologo: pubblicò un libro intitolato “Contemplating Music"; si trattava di una relazione personale sullo studio accademico della musica (una storia della musicologia attraverso i suoi
più illustri esponenti). Il libro proponeva una specie di storia sociale della musicologia, mettendo in relazione lo sviluppo della disciplina con le linee di tendenza accademiche e istituzionali di quel periodo.
• Medioevo: lo studio della musica occupava un posto d’onore insieme alle scienze matematiche, grammatica e retorica.
• Prima metà del XX secolo: la musica veniva studiata come abilità pratica nei conservatori, ma solo poche università la proponevano.
• Dopo la seconda Guerra Mondiale: espansione delle università e consolidamento della musica come soggetto autonomo. Kerman sosteneva che le nalità della musicologia sono frutto del contesto
istituzionale all’interno del quale si è sviluppata. Egli incoraggiò i musicologi a ri ettere sul perché avessero ciò che avevano fatto, in pratica Kerman invocò un approccio “critico” alla disciplina.
• Trattazione qui della musicologia nei paesi anglofoni: Per gli inglesi e per gli australiani “musicologia” ha un signi cato più ampio: teorici della musica ed etnomusicologi sono considerati tutti musicologi,
mentre gli storici della musica si de niscono tanto musicologi quanto “musicologi storici”.
• In Nordamerica gli storici della musica si de niscono musicologi allo scopo di distinguersi dai teorici della musica e dagli etnomusicologi. Gli studiosi americani si autode niscono in modo assai preciso
come musicologi, teorici della musica o etnomusicologi.Ciò premesso, i musicologi storici costituiscono il gruppo più grande, in termini numerici, e questo dà loro un certo predominio sulla disciplina
nell’insieme.
L’attacco di Kerman era rivolto ai musicologi storici, e seguiva due direttrici principali, corrispondenti alle due aree principali in cui i musicologi sono attivi.
I. Prima area è quella anBcipata da Beethoven quando tentò, senza successo, di interessare gli editori a produrre un’edizione completa e autorevole della sua musica. Sarebbe stata autorevole in
due sensi:
1. Per il fatto di retticare sia gli errori inclusi nelle diverse edizioni in cui in cui i suoi lavori erano apparsi sia le contraddizioni tra queste edizioni.
2. Per il fatto di consentirgli di de nire una volta per tutte le intenzioni ultime circa ciascun suo lavoro.
E per quanto il progetto di Beethoven non sia mai giunto alla realizzazione, di fatto fornì un modello al più ambizioso progetto della musicologia del XX secolo: la produzione di edizioni autorevoli
delle musica, sia di singoli compositori che di repertori nazionali.
Progetto della musicologia del XX secolo: la prima area di attacco di Kerman interessare gli editori a produrre un’edizione autorevole e completa della musica, sia dei singoli compositori più celebri,
sia di repertori nazionali. Questo progetto implica due problemi:
- il primo scaturisce dalla molteplicità delle fonti in cui la maggior parte della musica sopravvive (soprattutto quella antica) e dal fatto che queste fonti sono di solito malridotte, incomplete e contraddittorie; alcuni
manoscritti sono puramente ipotetici, altri sono ricostruiti malamente dai copisti di quel tempo, quindi per ritrovare le sinfonie originali c’è un grande e duro lavoro dietro. La musica spesso sopravvive in più
versioni, ciascuna delle quali, in un modo o nell’altro, ha impresso il marchio del compositore. Bisogna tener conto delle annotazioni, delle correzioni o d elle sempli cazioni a posteriori? Criticava il fatto che
non utilizzassero la conoscenza collocandola all’interno di un contesto storico-sociale studiabile.
- Il secondo problema insorge quando la musica sopravvive in più versioni, ciascuna delle quali reca impresso il marchio dell’autorità del compositore. Ad esempio per un pezzo di pianoforte di Chopin si
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- potrebbero avere: l’autografo del compositore, copie fatte per essere inviate all’editore, bozze di stampa con correzioni autografate, o la prima edizione di stampa basata sulle bozze, ci potrebbero essere tre
edizioni di stampa diverse, inviate a tre editori diversi (uno in Francia, uno in Inghilterra e uno in Germania) e le copie in questione non erano mai identiche; non sappiamo quale fosse l’edizione giusta e quale
quella correttta, quella inviata prima o quella inviata dopo. E risolvere una situazione di questo tipo è impossibile, non c’è un’unica autorevole versione della sua musica.
Ciò che Kerman contestava era il fatto che i musicologi, nita di curare l’edizione di un pezzo, si limitavano semplicemente a passare al successivo, non facendo uso della loro conoscenza della musica come
base di un riesame critico, per una comprensione sia della musica del passato valida, sia del contesto storico e sociale da cui era stata generata. In altre parole i musicologi non trattavano il lavoro di cura
editoriale come qualcosa che potesse contribuire a fare della musicologia una disciplina umanistica.
Seconda area principale dell’attività musicologica, quella che corrisponde alla seconda direttrice dell’attacco condotto da Kerman, de nita quella degli “studi contestuali”. In questo caso l’oggetto
principale non è la musica ma l’insieme delle circostanze storiche e sociali che le hanno dato vita. Ciò può spaziare dalla corretta datazione della musica e dall’identi cazione dell’autore, no alle nalità
pratiche della musica. le sue funzioni in relazione all’economia o alle strutture politiche contemporanee o la posizione del compositore e degli altri musicisti nella società. Proprio come i curatori di edizioni, i
ricercatori d’archivio allargavano le conoscenze, ma senza uno scopo evidente.
A prima vista, è curioso che Kerman rivolgesse lo stesso tipo di critica anche alla teoria musicale, una sottodisciplina della musicologia (o una disciplina parallela) il cui speci co obietivo è a rontare la musica
come musica – ossia in quanto tale e nei suoi propri termini e non in termini di trasmissione di manoscriti, contesto sociale o quant’altro. Non è casuale che l’idea di a rontare la musica in quanto tale e nei
suoi propri termini, riecheggi il pensiero della musica del XIX secolo. La teoria musicale, come la conosciamo oggi, e in particolare la sua applicazione pratica che chiamiamo “ANALISI”, è emersa dal fermento
di idee che circondò la ricezione della musica di Beethoven.
Heinrich Schenker: nella sua analisi del tema dell’Inno alla Gioia Schenker ha fatto una specie di lavoro di costruzione alla rovescia, riducendolo a una serie di schemi melodici e armonici fondamentali e
mostrando come questi schemi elementari fossero stati elaborati nella musica di Beethoven. Il nocciolo della teoria schnekeriana è il complesso di regole che speci ca come passare da un livello all’altro.
Questo tipo di modello di elaborazione non era concepito tanto per rappresentare i vari stadi della composizione della musica, da parte di Beethoven, quanto per consentirne un tipo di comprensione altrimenti
impossibile. Spiegava i momenti di apparente incoerenza come fenomeni puramente super ciali ̧ risultanti dall’elaborazione della struttura sottostante; consentiva di ascoltare “attraverso” la super cie ciò che
stava al di sotto.
In questo caso è all’opera una metafora: la musica di Beethoven è paragonata a una sto a che riveste un’intelaiatura o forse alla pelle di un animale sostenuta dalla muscolatura.
• Teoria di Shenker: secondo lui tutta la musica poteva e doveva essere interpretata nella sua maniera. La sua analisi non si poneva il problema del valore della musica di Bach, Beethoven, ma
presupponeva il valore della musica e cercava di dimostrarlo scavando abbastanza in profondità da poter evidenziare che quella musica era davvero coerente. Era una disciplina apologetica, nel senso di
essere stata studiata per sostenere il valore di un repertorio, per sottoscriverne lo status canonico.
• Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, furono le scienze esatte ad occupare il posto d’onore nelle università americane; discipline marginali come la teoria musicale cercarono di
apparire quanto più esatte possibile, adottando un linguaggio scienti co e un sistema di simboli. Intuizione e linguaggi emotivamente carico furono eliminati senza pietà. e il loro posto fu preso da
tecniche di tipo matematico e computazionale.
Il risultato fu la teoria e l’analisi divennero discipline sempre più tecniche, sempre meno comprensibili a chiunque non fosse uno specialista. Kerman nel suo libro condannava anche questo, e aveva dato
forma alla sensazione, ampiamente condivisa, che la relazione tra musicologi e musica, tra disciplina accademica ed esperienza umana, non fosse propriamente ciò che avrebbe dovuto essere.
Titolo dell’articolo di Kerman: Come siamo arrivati all’analisi e come venirne fuori. I teorici erano colpevoli del ri uto di confrontarsi criticamente con la musica, tanto quanto i musicologi. I teorici
proclamavano che fosse super uo o persino loso camente sospetto tale confronto.
Kerman aveva dato forma alla sensazione, ampiamente condivisa, che la relazione tra musicologia e musica, tra disciplina accademica ed esperienza umana, non fosse propriamente ciò che
avrebbe dovuto

6.1. .. e come venirne fuori


L’idea-base o storicamente informata) è ingannevolmente semplice: si dovrebbe eseguire la musica del passato nel modo in cui veniva eseguita in origine.
Il movimento dell’esecuzione storica subì una graduale evoluzione, rispetto all’immagine so sticata e un po’ snob che presentava a partire dalla prima metà del XX secolo, passando attraverso le esecuzioni
erudite ma piuttosto pedestri pubblicate dall’etichetta discogra ca tedesca Archivi degli anni Cinquanta e Sessanta, no ad arrivare, negli anni Settanta, a de nirsi come una specie di controcultura musicale.
Come potrebbe esserci una migliore relazione tra musica e accademia?
- risposta delle tendenze esecutive storico- loso che: si dovrebbe eseguire la musica del passato nel modo in cui veniva eseguita in origine.
Gli esecutori storici formano dei gruppi propri, di solito dedicati alla musica del Medioevo e lavorano in tournèe.
- Fu con lo storico David Munrow che l’esecuzione storica cominciò ad attrarre un vasto pubblico, egli aveva viaggiato tanto in Sud America ed era tornato con valigie piene di strumenti etnici,
cominciò ad usarli sul palcoscenico con trasporto, senza curarsi di riprodurre con l’esatto strumento quella musica antica. Ma lui conferì alla musica antica un approccio elastico, che la
avvicinava molto di più al rock contemporaneo che all’atmosfera accademica delle esecuzioni storiche tradizionali.
• Oggi l’esecuzione storica è accolta in ambito accademico, ma la trasformazione non ha avuto luogo senza con itti e polemica sull’autenticità...
- risposta anni ottanta, dibattito sull’autenticità pretesa che l’esecuzione su appropriati strumenti d’epoca basata sulle prassi esecutive storiche fosse “autentica” nel senso di storicamente corretta. Dall’altra
parte il termine “autenticità” metteva in gioco le connotazioni positive come l’idea di sincerità, spontaneità, genuinità. L’esecuzione storica si riferisce sempre di più non solo alla musica eseguita ma anche
all’atteggiamento verso la musica che si esegue: suonare la musica così come il compositore la intendeva. Non essendoci però modo di scoprirlo, dal momento in cui la notazione ssa poco dello stile
esecutivo, l’esecuzione storica consisteva nel suonare musica come avrebbe potuto essere suonata in una buona esecuzione dell’epoca.
Thurskin - professore di Berkeley - fa una critica all’autenticità: non si può sapere come la musica veniva eseguita prima del XX secolo. Il modo in cui gli esecutori storici trattano le registrazioni, ci dà
un’ulteriore prova che la musica antica venga modi cata secondo le in uenze musicali del tempo. A partire dal 1900 si possono ascoltare esecuzioni di un dato periodo, in molti casi del compositore stesso.
Gli esecutori moderni ascoltano queste registrazioni, ma non le limitano, ricreando la musica su quelle basi. Ma è una motivazione piuttosto contorta questa, si spezza la creatività interpretativa.

Taruskin
• ha posto lo stile esecutivo al centro della storia della musica: non sarà più possibile, forse, pubblicare una “storia della musica del XX secolo” che del XX secolo prenda in considerazione solo la composizione,
ignorandone l’interpretazione.Tecniche prese a prestito dalla psicologia sperimentale stanno mettendo musicologi e teorici in condizione di studiare le esecuzioni registrate, più o meno nello stesso modo in cui nora
hanno studiato le partiture, contribuendo così a correggere l’approccio sbilanciato.
Musicologia orientata alla critica di Kerman: È vero che probabilmente i miglior esempi di ciò che Kerman aveva in mente erano i suoi libri su una serie di argomenti diversi quali la musica del XVI secolo, i quartetti di
Beethoven e l’opera. Ciascuno di questi libri metteva assieme una gran varietà di approcci contestuali e analitici, ma ciò che li contraddistingueva era il modo in cui tali approcci erano messi al servizio della musica
stessa: essi miravano a o rire al lettore un modo di apprezzare la musica più informato e sensibile, rispetto a quello che avrebbero trovato altrove. Miravano, come l’analisi ermeneutica (ma con tutti i bene ci
dell’erudizione storica e analitica), a contribuire all’esperienza della musica. In questo modo erano “critici” nel senso della tradizionale critica letteraria.

Per i teorici della musica e i musicologi, l’etnomusicologia è lo studio di quella musica che loro stessi non studiano; per gli etnomusicologi è lo studio di qualsiasi musica nel suo originale contesto
sociale e culturale, che comprende produzione, ricezione e signi cato.A causa dei suoi stretti collegamenti con altre scienze umane, in particolare con l’antropologia, l’etnomusicologia tende più della
musicologia o della teoria musicale a essere permeabile a tendenze esterne alla disciplina, e nel Dopoguerra fu in uenzata non solo dall’orientamento alla “scienza esatta” ma anche dai vari approcci strutturalisti
provenienti, negli anni Settanta dall’Europa.
Negli anni Ottanta, questa disciplina cominciò a sviluppare un nuovo orientamento alla base del quale c’era la consapevolezza che se sei un etnomusicologo occidentale che studia una società non
occidentale non puoi metterti nella posizione dell’osservatore distaccato. La tua stessa condizione di occidentale ti dà un orientamento particolare verso la società che stai osservando. Stando lì
perturbi i fenomeni che stai osservando e devi tenerne di conto nell’interpretazione di ciò che hai sentito e i membri di quella società reagiscono alla tua presenza in modi che cambiano il loro modo
di comportarsi.
Gli etnomusicologi spesso si sono trovaB a lavorare con società impegnate nella trasformazione della loro stessa identità culturale, forse all’inseguimento dell’occidentalizzazione e dell’industrializzazione.
Esempio controverso: il lavoro di Kay Kaufman Shelemay con la comunità etiope Beta Israel. I Beta Israel erano convinti di essere di origine ebraica e su questa base avevano potuto garantirgli l’emigrazione in
Israele per fuggire dagli orrori della guerra civile etiopica. Ma gli studi di Shelemay sulla loro liturgia dimostrarono incontrovertibilmente che le loro origini erano cristiane, non ebraiche; i Beta Israel in realtà non
sono a atto di origine ebraica. Doveva pubblicare i suoi risultati? Farlo, avrebbe potuto danneggiare le relazioni che la comunità aveva stabilito con lo Stato di Israele;
Farlo, avrebbe potuto danneggiare le relazioni che la comunità aveva stabilito con lo Stato di Israele; non farlo, avrebbe compromesso la sua integrità di studiosa.
Situazioni come questa indussero gli etnomusicologi a ri ettere sulla loro stessa posizione e a giudicarla: a diventare non solo critici, ma auto-critici.

7. Musica e genere - Il sesso invisibile


In epoca Thatcher/Reagan era di usa la convinzione che ad avere un’ideologia, fossero gli altri. La democrazia liberale non era un’ideologia, era solo il modo in cui stavano le cose; erano i russi ad avere
un’ideologia e guarda un po’ che gli è capitato, a loro (c’è un’analogia con l’idea che i neri “siano” una razza, i bianchi no, che le donne “siano” un sesso, gli uomini no, ecc.).

IDEOLOGIA: sistema di convinzioni che è trasparente, che rappresenta sé stesso semplicemente come “il modo in cui stanno le cose” e, da questo punto di vista, è proprio l’apparente naturalezza della
democrazia capitalistica a dimostrare il suo status di ideologia. A partire dagli anni Trenta, nell’ambito della sociologia si è de nita una sottodisciplina ribelle, chiamata:
“teoria critca”, il cui scopo dichiarato è quello di esporre le conseguenze dell’ideologia nella vita quotidiana, smascherando convinzioni accettate “acriticamente” e restituendo così ai singoli il potere di
decidere da sé ciò in cui credere – dal momento che, presentandosi semplicemente come “il modo in cui stanno le cose”, le ideologie eliminano l’esistenza stessa di alternative.
La teoria critica ha avuto origine nel marxismo, ma si è sviluppata no a diventare un modello globale di cultura critica i cui e etti si sono fatti sentire in discipline disparate, quali gli studi letterari, gli studi sul
cinema e i media, la storia dell’arte e, più di recente, la musicologia.
Theodor Adorno, uno dei fondatori della teoria critica, non fu solo un sociologo, ma anche un musicista nel vero senso del termine e scrisse altrettanto di musica che di sociologia [vedi studi della Scuola di
Francoforte].
La teoria critica è essenzialmente una teoria del potere, e considera il potere soprattutto in termini di istituzioni attraverso le quali viene comunicato. Le istituzioni, in altre parole, hanno un ruolo centrale nel
rendere naturali le strutture del potere, nel far sembrare che la squilibrata distribuzione del potere che vediamo in giro per il mondo, altro non sia che “il modo in cui stanno le cose”. Nella musicologia, questo
approccio ha stimolato la ricerca storica sulla formazione del canone (il repertorio di capolavori esposti nel museo musicale) e il ruolo delle istituzioni musicali nel costruire, conservare e rendere naturale questo
canone. Ma questo processo possiamo osservarlo all’opera, oggi, nelle più importanti di tali istituzioni: quelle nelle quali la musica viene insegnata (scuole, conservatori, università).
Nella selezione dei “capolavori del rock” da stampare su CD è stata attuata una selezione che in e ettiè stata il primo passo nella decisione di quale musica rock dovesse essere accolta nel canone. E il
processo si è ripetuto nelle università, nel momento in cui si è trovato il modo di far rientrare il rock nelle tecniche d’insegnamento pensate per la tradizione classica. Questo è uno dei motivi per cui la musica
dei Beatles, non quella degli Stones, potete ascoltarla in versioni strumentali “easy listening” sugli ascensori e negli atrii partenze degli aeroporti.
Un esempio ancora più basilare di come le istituzioni scolastiche determinino e facciano apparire come naturale la cultura musicale è dato dall’” educazione dell’orecchio”, una specie di condizionamento che
ha luogo in una fase iniziale dell’apprendimento in conservatorio o all’università: agli studenti si insegna a riconoscere cose come le note o le scale, i tipi di accordo dell’armonia tradizionale e gli schemi
fondamentali della tradizione classica (binario, ternario, sonata, ecc.). Quando dico “cose”, intendo nel senso letterale della parola: gli studenti sono introdotti al mondo della musicalità occidentale, nel quale
la musica è fatta di cose da ascoltare, costruite con le note nello stesso senso in cui le case sono costruite con i mattoni. E questo ha due conseguenze:
1. La musica si trasforma da qualcosa che in primo luogo si fa (senza necessariamente sapere come) in qualcosa che si sa (senza necessariamente farla); in altre parole: viene
inglobata nelle strutture dell’industria del sapere e di una società che tende a porre la teoria al di sopra della pratica.
2. Diventa sempre più di cile concepire che la musica possa funzionare in altri modi o, in tali casi, saperla ascoltare correttamente: quanto più vi sforzate di ascoltare, tanto più la
ascoltate in termini di note, accordi e schemi formali della tradizione occidentale, e tanto meno la capite quando funziona principalmente in termini di timbro o tessuto sonoro (ad
esempio). A qualsiasi livello, quindi, ciò che sapete sulla musica può aprirvi le orecchie o chiudervele, farvi apparire certi tipi di musica “naturali” e altri non soltanto inconcepibili
ma, di fatto, inascoltabili.
L'educazione musicale è diventata un terreno di battaglia politico. Il British National Curriculum e il GSCE hanno lo scopo di coinvolgere gli studenti nella creazione e nella comprensione della musica, invece che
iniziarli a una tradizione di capolavori remota ed elitaria = Bach e Beethoven restano nel programma ma a anca7 dai Beatles e la musica balinese.
Nel 1989 un gruppo di lavoro della College Music Society (associazioni insegnanti di musica delle università americane) disse cose simili per i programmi dei corsi pre-laurea: prendere a4o della
diversi cazione etnica della società e valorizzare la richezza d'arte e di tradizioni popolari. → violenta reazione di chi vedeva l'immissione delle arti multiculturali nei programmi come un segno di
decadenza dell'educazione.
L’orientamento “critico” sviluppatosi in musicologia come risposta distorta alla richiesta di Kerman, portava con sé qualcosa sul versante politico della teoria critica, e fu dunque del tutto naturale che una linea
fondamentale di questo sviluppo fosse lo studio dei generi. Nella storia della musica, come generalmente si sottolinea, spicca l’assenza delle donne. La ragione ha a che fare più con il modo in cui la storia viene
raccontata, che con una mancanza di attività musicale da parte delle donne.
Il punto non è che le donne non suonassero, ma che suonassero a casa. Con rare eccezioni (la principale era il teatro d’opera), erano dilettanti che si esibivano per gli amici, ma non per denaro. Tutto ciò nì per
generale una specie di circolo vizioso: poiché le donne generalmente non componevano, se ne concludeva riduttivamente che, in quanto donne, ne fossero costituzionalmente, se non addirittura biologicamente,
incapaci. Conseguentemente, le poche donne che invece davvero componevano, tendevano ad adottare pseudonimi maschili, poiché questo consentiva loro di ottenere esecuzioni che, con i loro veri nomi, non
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avrebbero potuto avere – il che, ovviamente, peggiorava il circolo vizioso. E le ancor più rare donne che dichiaratamente si dedicarono alla composizione si trovarono in una situazione perdente. Le donne erano
attive musicalmente in quei campi (l’esecuzione, in particolare quella amatoriale) che i libri di storia della musica trascurano ed erano ampiamente frustrate nei loro tentativi di lavorare in quelle aree (sopra@u@o la
composizione) che sono prese in considerazione dai libri di storia.
Nella seconda metà del XIX secolo e nella prima metà del XX le donne sono diventate sempre più attive come interpreti di professione. Permane pero il sessismo che domina il mercato della musica. Nonostante
lo spettacolare successo delle donne nella musica pop, la stampa specializzata è ancora incline a presupporre che le star donne non concepiscano o creino la loro musica; ne è un esempio l’immagine di “disco-
bambola” appiccicata per lungo tempo a Madonna nonostante il fatto, ben noto, che abbia attivamente collaborato come autrice alla creazione della maggior parte delle sue canzoni (anche se non di Material Girl).
Nel 1997 l'Orchestra Filarmonica di Vienna confermò la propria politica di esclusione di tutte le donne, tranne le arpiste, secondo l'idea del dire4ore Herbert von Karajan: “il posto di una donna è in cucina,
non in un'orchestra sinfonica”.
Un modo di a rontare questa situazione, per la musicologia “critica”, è di sposare la causa delle donne in musica, non solo promuovendo la composizione e l’esecuzione di musica delle donne, ma anche
sviluppando nuove maniere di scrivere la storia che riconoscano in modo più adeguato le attività delle donne.
Si deve tentare di collocare la musica delle donne nella corrente principale, rischiando così di farla travolgere dalla predominante tradizione maschile o promuoverla come una tradizione autonoma, come musica
delle donne, rischiando così la marginalizzazione nell’ambito di una cultura dominata dai maschi? Si debbono fare entrambe le cose!Ma c’è anche un’altra soluzione, che consiste nell’in uenzare il canone dei
capolavori applicandogli le indicazioni derivate dal femminismo e dagli studi di genere.

7.1. Outing musicale


Che la musica e il sesso abbiano qualcosa in comune non è mai stato messo in dubbio → pensiamo già che la musica si considera come “a ascinente”, trattandola come un partner sessuale attivo perchè è la
musica che seduce noi e non il contrario. Di qui, a chiedersi che caratteristiche di genere possieda la musica – e cioè se i compositori l’abbiano, consapevolmente o inconsapevolmente, concepita come sessuata
– il passo è breve.
C'è da chiedersi che caratteristiche di genere ha la musica e se i compositori l'abbiano pensata come sessuata consapevolmente o incosapevolmente. Cosa da fare nella musica che ha avuto implicazioni nella
costruzione del soggettvismo borghese.
Gli ascoltatori e i commentatori di Beethoven hanno recepito la sua musica come la rappresentazione di un individuo eccezionale, il compositore stesso. Tutti sottolineano le qualità positive ed eroiche della musica
di Beethoven → alcune volte nei punti culminanti delle sue sinfonie c'è qualcosa di ossessivo nei tempi forti, interminabili, ripetuti. → Susan McClary ci vede colpi, spinte pelviche, per no stupro. Descrive la
sezione conclusiva del primo movimento della Nona di Beethoven come “un'incomparabile fusione di rabbia assassina e di una specie di piacere nel portarla a compimento, in ne Bethoven letteralmente costringe
il pezzo a terminare bastonandolo a morte”. Ma negli anni Ottanta non si poteva pensare di paragonare la Nona Sinfonia di Beethoven alle fantasie di un killer sessuale. Le principali obiezioni all’analisi della
McClary furono due:
1. Perché proprio il sesso?
2. Giù le mani!
La terminologia sessuata e il lone della violenza sono stati spesso usati per descrivere forme musicali, in particolare la sonata. Il compositore francese Vincent d'Indy scrisse nel 1909 che la prima idea (o tema)
della sonata dovrebbe dar forma a “caratteristiche essenzialmente maschili”, “la seconda idea, delicata e melodica, esprime una femminilità seduttiva”. → stereotipo sessuale. D'Indy vede nella Nona Sinfonia più
violenza che persuasione.
La Cusick a erma che i ritmi insistenti di Beethoven “non mi concedono l'alternaAva che prediligo”.
Le sue parole si ritrovano in quelle del vittoriano Sir George Grove che scrisse della “forte, crudele e spietata coercizione con cui Beethoven si impone su di voi, vi meIe in ginocchio e vi costringe ai suoi voleri”.
Grove fa un paragone tra Beethoven e Schubert a ermando che Schubert, paragonato a Beethoven è come una donna rispetto a un uomo. E a erma che Schubert inspira simpatia, attrazione e amore → ma
non si riferiva alla persona ma alla sua musica; quindi è alla musica che attribuisce le caratteristiche femminili.
La McClary individua nella musica di Schubert caratteristiche di erenti; ci sono slanci eroici ma S. li indebolisce. Grove parla di Schubert come di una donna.
Nel 1988 al meeting annuale della American Musicological Society, fu presentato un saggio nel quale Maynard Solomon, famoso biografo moderno di Beethoven, propone documentari che a ermano che
l'omosessualità era di usa negli ambienti viennesi frequenta7 da Schubert → sottointendeva che lo stesso compositore potesse essere gay. → iniziò una polemica. Ma non si arrivò ad una conclusione visto che
nessuno in quella società repressiva del primo Ottocento avrebbe mai detto di essere gay. A ne anni O4anta si di use l'abitudine dell' “outing” degli omosessuali non dichiarati. Il punto comunque non era che
Schubert doveva essere etero o omosessuale. → era che la musica non aveva niente a che fare con la sessualità, apparteneva ad un mondo a sé.
Questo approccio (“Giù le mani!”) è collegato al mito di Beethoven ma se la musica predominante del canone esprime una costruzione della soggettvità maschile ed eterosessuale, allora la musica “pura” fa
passare valori maschili ed eterosessuali per valori universali, ma con la pretesa che il genere non c'entri niente. → è un caso di ideologia.
“Nuova musicologia” → chiamata così dai sostenitori dell'atteggiamento “cri caratteristiche co” post-Kerman. Il nome fu coniato nel 1990 da Lawrence Kramer, e il punto fondamentale è il ri uto della pretesa
che la musica sia autonoma rispetto al mondo e che dia accesso diretto a valori assolu caratteristiche di bellezza e verità. Questo su due basi:
1. I valori assoluti non esistono, tutti i valori sono determinati dalla società.
2. Non può esserci accesso diretto, i nostri concetti sono coinvolti in tutte le nostre percezioni.
Una musicologia che sia “critica”, che vuole smascherare l'ideologia, deve dimostrare che la musica è piena di signi cati sociali e politci, è “worldly”, mondana.
Da questo punto di vista l'approccio alla musica della McClary è un problema → scrive da una posizione di autorità → ma come a erma Kramer, una musicologia critica dovrebbe evitare la posizione di autorità.
Kramer fu attaccato dal musicologo Gary Tomlinson che lo accusava di essere un semplice critico con solo un vocabolario rinnovato sostenendo che Kramer non faceva altro che imporre alla musica i propri
signi cati rendendola troppo facile da interpretare. Parla di “criticismo” = cercare di capire la musica estrapolandola dal suo contesto storico. Ma non si può mai estrapolarla dal contesto storico senza farle
violenza. Inoltre sostiene che parlare di “musica” = creare una falsa intimità tra noi stessi e una dimensione geogra ca e storia “altra” rispetto a noi. → Kramer dice però che “la morte della critica seguirebbe la
morte di ciò che normalmente pensiamo come musica”.
La visione di Tomlinson di una “musicologia senza musica” ha dei predecessori → c'è una componente del pessimismo culturale nella teoria critica dovuto all'idea che l'ideologia non possa essere
completamente sdraticata e secondo Tomlinson è anche rinforzata dall'idea che la musica classica sia in via di esaurimento. Tomlinson non considera la musica come agente di cambiamenti sociali e personali
La musica è uno dei mezzi con i quali facciamo di noi stessi quelli che siamo e il fa@o che la scelta non sia mai interamente nostro non è un buon moBvo per non apprezzare questa libertà come abbiamo fatto noi.
• Qualcosa che facciamo:
La musicologia sessualmente orientata (femminista, gay, lesbica) richiede che venga scritta dal punto di vista di uno speci co genere.
Il valore di cui parla la McClary (che le costruzioni di identità di genere soggettiva sono riscontrabili in qualsiasi compositore), non sta tanto nella sua “verità” nel senso di una correlazione con una
realtà esterna (la musica di Beethoven era realmente “normale”, quella di Schubert realmente gay), ma nella sua persuasività – e questo a sua volta ri ette la nostra disponibilità a lasciarci
persuadere, nella misura in cui ci imporB qualcosa che la musica possa fungere da arena per la politica dei generi.
Ludwieg Tieck, uno dei fondatori del mito di Beethoven, descrisse la musica strumentale come un <insaziabile desiderio che incessantemente va urgendo per poi ripiegarsi su sé stesso>; la metafora è
appropriata, ma naturalmente questo desiderio non deve necessariamente essere inteso come sessuale. Di nuovo, il modo in cui Beethoven a voce aggredisce, percuote e in ne annulla i suoi materiali musicali,
rende facile credere che la sua musica abbia qualcosa – qualcosa di non troppo gentile – da dire sui concetti di autorità e subordinazione del primo Ottocento.
Più in generale, potremmo dire che ciò che è in questione nella musica di Beethoven e Schubert è l’idea stessa di di erenza, di normale e di diverso. In qualunque cultura la contrapposizione maschio-femmina
potrebbe essere un’espressione primaria, ma per usare le parole di Ira Gershwin: <non è necessariamente così>, razza e religione, ad esempio, sono candidati altrettanto buoni. Nei suoi schemi di somiglianza e
di erenza, convergenza e divergenza, con itto e risoluzione, la musica presenta una genericità che viene inevitabilmente distorta dall’elaborazione di qualsiasi speci ca metafora. Le metafore mettono a fuoco la
musica, danno una speci ca espressione alle sue caratteristiche latenti; ma queste devono in primo luogo essere lì nella musica stessa, nei suoi schemi di somiglianza, divergenza e così via; altrimenti
la metafora sarà tutt’altro che convincente.
E nel modo in cui le metafore danno espressione speci ca alla musica c’è la risposta al paradosso (nelle parole di Scotti Burnham): <la musica, liberata dal bisogno di parole, sembra ora aver bisogno di
parole più che mai>. La musica è gravida di signi caB; non si limita a ri ettere signi caB verbali. Ma le parole fungono, per così dire, da levatrice per la musica. Le parole trasformano signi caB latenti
in signi caB e ettivi; sono il collegamento tra l’opera e il mondo.
Riguardo la tematica della politica del genere, Philip Brett de nisce così la musica: <un’enclave nella nostra società – una fratellanza o sorellanza di amanti, amanti della musica, legati da un’immediata
forma di comunicazione che solo con un’imperfetta analogia può essere de nita un linguaggio, “il” linguaggio dei sentimenti>. E certamente ha un primato nell’o rire una zona privilegiata per la
costruzione di identità di genere sessuale di cilmente sostenibili nel mondo esterno.
Nell’Europa del tardo 700 e del primo O@800, la musica era pensata come un’attività intrinsecamente femminile, e questo valeva specialmente per quei generi inBmi e domesBci come il Lied con accompagnamento
pianistico. Gli uomini che invadevano questo territorio, lo facevano a rischio della loro identità sessuale. Il genere della canzone d’arte, nella prima metà del XIX secolo, rappresentava dunque un’arena fortemente
marcata delle politiche sessuali:
o Da un lato o riva agli uomini una rara opportunità per esplorare un lato della loro natura, altrimenti del tu@o proibito.
o Dall’altro costituiva una minaccia per la loro identità. Era una specie di terra di nessuno.
Compito di una musicologia autenticamente “criBca” è portare alla luce contenuti politici, rivelare l’ideologia implicita di quanto, altrimenti, apparirebbe un gesto innocente e innocuo.
Conclusione
Ciò che induce al pessimismo musicale è partire dall'idea che la musica rappresenti la visione del mondo di culture lontane da noi e che quindi non siamo in grado di comprenderle. → questo ricorda il solipsismo,
atteggiamento loso co secondo cui il solo modo in cui possiamo conoscere il mondo è attraverso la nostra esperienza soggettiva.
la nostra esperienza soggettva. Se la musica e la musicologia sono modi di creare signi cato allora la musica è un mezzo per arrivare ad approfondire mondi culturalmente e storicamente estranei. La musica può
stabilire comunicazioni al di là delle barriere delle di erenze. → Musicoterapia = la musica stabilisce una comunicazione al di là delle barriere della malaSa mentale. Esempio: quando ascoltiamo musiche di altre
culture non lo facciamo solo per ascoltare suoni gradevoli ma anche per cercare di comprendere certe culture.
Philipp Brett → musica = “un'immediata forma di comunicazione che solo con un'imperfetta analogia può essere de nita un linguaggio, il linguaggio dei sentimenti”. Dovremmo considerare la musica come
mezzo di negoziazione dell'identità culturale. Musica = mezzo non solo per comprendere culture estranee ma anche per cambiare le proprie posizioni, costruendo e ricostruendo la propria identità.
Via d'uscita dal pessimismo culturale.
Può comunque anche essere strumento di incomprensione interculturale quando ci mettiamo ad ascoltare musica di altre culture e la riteniamo “facile”, la conformiamo ai nostri valori, senza pensare a ciò
che rappresenta per l'altra cultura.
La musica può essere un punto di contatto tra culture ma non può eliminare di colpo le di erenze culturali; può essere un punto di partenza per una migliore consapevolezza di una di erenza
culturale. La musica non è una manifestazione del mondo naturale, è un artefatto umano.
Se sia musica che la musicologia sono maniere di creare signi cato, piuttosto che semplicemente di rappresentarlo, allora possiamo considerare la musica come un mezzo per pervenire proprio a quel Bpo di
approfondimento di mondi culturalmente o storicamente estranei, che la musicologia pessimista, come il solipsismo, dichiarano impossibili. È possibile pensare che la musica e gli scrif sulla musica determino
arene dove negoziare la relazione tra i sessi ad esempio.
• Se la musica può stabilire comunicazioni al di là delle barriere delle di erenze tra i sessi, potrà farlo anche con barriere di altra natura.
esempio1: la musicoterapia.
esempio2: il modo in cui ascoltoamo la musica di altre culture o di sottoculture della nostra cultura.
Philip Brett de nisce la musica come <un’immediata forma di comunicazione che solo con un’imperfetta analogia può essere de nita un linguaggio, “il” linguaggio dei sentimenti>; è questa mancanza di
un’evidente mediazione, l’assenza di vocabolari mutuamente incomprensibili come nelle lingue vere e proprie che induce la gente a de nire la musica un linguaggio universale.
E se usiamo la musica come uno strumento per introdurci in culture estranee, allora dovremmo ugualmente considerarla un mezzo di negoziazione dell’identotà cultural Esempio: Nkosi Sikelel’ iAfrica.
La musica consente un topo di comunicazione interculturale. La musica diventa un mezzo, non solo per acquisire una comprensione di culture estranee, ma anche per cambiare le proprie posizioni, costruendo e
ricostruendo la propria identità. La musica rappresenta una via d’uscita dal pessimismo culturale.
Tuttavia i pessimisti non hanno del torto: se la musica può essere uno strumento di comprensione interculturale, può essere anche uno strumento di incomprensione interculturale. La musica può stabilire un punto
di contatto tra cultura, ma non può eliminare di colpo le di erenze culturali. Tutt’al più può essere considerata un punto di partenza privilegiato per una migliore consapevolezza di una di erenza culturale.
L’etnomusicologo Bruno Nettil: “L’essenza della musica come sistema culturale sta sia nel fatto che non è una manifestazione del mondo naturale, e nel fatto di essere vissuta come se lo fosse” Se noi non viviamo
la musica come una manifestazione del mondo naturale – come “musica”, direbbe la gente – allora, per quanto precario e limitato, ci priviamo di uno strumento di comprensione dell’altro e delle di erenze; in un
mondo in cui ci dibattiamo per capire, non possiamo permetterci di trascurare ciò che la musica può o rirci: dobbiamo impegnarci attivamente, non abbandonarci a una malinconica ritirata. Ma dobbiamo tener
presente e continuare a ripeterci, mentre la ascoltiamo, che la musica non è una manifestazione del mondo naturale. Ma un artefatto umano. Un arti cio camu ato da natura.
Questo i pubblicitari lo hanno capito bene e saputo mettere a frutto. Sono diventati i pi erai magici di Hamelin del nostro tempo. Come Adorno ha compreso, la teoria critica trascura la musica a
proprio rischio; la musica ha dei poteri unici, come agente di un’ideologia. Dobbiamo capire il suo funzionamento, il suo fascino, per proteggercene e per goderne appieno. Per far ciò dobbiamo non
solo saperla ascoltare, ma anche leggere: certo, non nel senso letterale, quello della notazione, ma per il suo signi cato come parte integrante della cultura, società, distanza tra sé e l’altro.
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