Il giornalismo è in crisi. Ma i giornalismi possono superare la crisi. Non è un gioco di parole, ... more Il giornalismo è in crisi. Ma i giornalismi possono superare la crisi. Non è un gioco di parole, né un ossimoro. Il giornalismo tradizionale, quello della carta stampata, ma anche quello della televisione generalista, è in affanno. Soffre degli effetti più generali della crisi dell'editoria. Ma se da questo versante si allarga l'orizzonte a tutte le molteplici piattaforme dove si esercita oggi la professione di informare, c'è la speranza che il mestiere dello " scriba " , secondo la famosa definizione di Gianni Brera, possa conoscere un futuro meno precario del presente. Il riferimento in proposito è principalmente all'on-line, cioè all'informazione attraverso la rete. Friedrich Hegel agli inizi dell'800 sosteneva che la lettura del giornale è la preghiera quotidiana dell'uomo laico. Nel terzo millennio va preso atto che il rito di informarsi si officia anche con mezzi nuovi e diversi. Che il settore della carta stampata viva una drammatica congiuntura negativa lo dicono i dati. Negli ultimi tre anni in Italia la diffusione dei quotidiani – per limitarci solo a questo tipo di prodotto editoriale-è scesa da 4 milioni a 2,8 milioni di copie. Un trend che è stato punteggiato dalla politica degli editori tesa a ridurre il costo del lavoro a discapito della qualità del prodotto. Accorpamenti, sinergie, concentrazioni si sono tradotte in riduzione e precarizzazione della occupazione giornalistica. Negli ultimi cinque anni si sono persi 3 mila 500 posti di lavoro giornalistico, con un calo pari al 15 per cento. I rapporti di lavoro attivi sono scesi a circa 15mila (erano quasi 18 mila nel 2012). Una statistica dell'Ordine dei Giornalisti ha rivelato che il 65% dei giornalisti italiani sono precari e di questi 8 su 10 hanno un reddito inferiore ai 10 mila euro lordi annui, quindi al di sotto della soglia di povertà. La Liguria da questo punto di vista non fa eccezione. Lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la chiusura di una testa storica come " Il Corriere Mercantile " , la fusione-accorpamento Secolo XIX-La Stampa-Repubblica e il ridimensionamento negli ultimi anni del settore radiotelevisivo. A fronte di questo quadro, le chanches di invertire o quanto meno arrestare la china si giocano anche e soprattutto sulle nuove tecnologie che veicolano la notizia, in particolare il web. La prudenza, tuttavia, è d'obbligo. Umberto Eco ha scritto molti anni fa un saggio di grande successo. Si intitola " Apocalittici e integrati ". In soldoni sostiene che nel corso della storia le reazioni alle grandi innovazioni tecnologiche nel campo della comunicazione hanno diviso in due partiti gli intellettuali : quello degli apocalittici e quello degli integrati. Il primo, fin dai tempi dell'invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg, ha vaticinato catastrofi per l'umanità con il nuovo che avanza. Il secondo, viceversa, ha interpretato questi sviluppi nella comunicazione con esuberanza positivista, grondante ottimismo per le sorti magnifiche e progressive. Il primo ha cercato di arrestare con tutti i mezzi il nuovo. Il secondo lo ha accolto a braccia aperte, in modo acritico e passivo. Due atteggiamenti che il semiologo alessandrino considera negativi. Con una dose di pessimismo della ragione controbilanciata da altrettanto ottimismo della volontà è comunque possibile affrontare la sfida delle nuove tecnologie nell'informazione. Il che allo stato attuale consiste sì nel riconoscere che l'informazione on line può essere una delle strade da battere per allargare le opportunità per chi faccia il mestiere di giornalista, compensando il venire meno di quelle offerte dalla carta stampata e dai comparti consolidati. Partendo, tuttavia, da dati realistici. E innanzitutto va considerato che al momento la contrazione nella diffusione della carta stampata, nell'occupazione e nei ricavi pubblicitari nel settore tradizionale non è compensata dalle performance dell'informazione via web. E anche in termini di qualità il divario tra l'informazione di carta o via etere e quella che corre in rete resta considerevole. L'errore commesso dagli editori, intesi in senso lato, di offrire fin dagli albori di internet i servizi gratuitamente ha viziato il fruitore, il quale ora non è disposto a pagare neanche la qualità, e, allo stesso tempo, non ha favorito la crescita di livello della comunicazione. Nel magma confuso, nel far west selvaggio dell'on line il linguaggio e i contenuti-e non si tratta solo del fenomeno delle fake news – raramente hanno conosciuto una cifra valoriale accettabile. Ne fa fede l'affermarsi prepotente dei motori di ricerca come meri assemblatori di notizie " rubate " ad altri agenti di informazione secondo parametri dettati da astratti logaritmi o il rifugio degli utenti più giovani in social come Instagram che veicolano in modo confuso e privatistico solo immagini prive di una sintassi comunicativa. Così come la dice lunga da questo punto di vista il ruolo di protagonisti della rete che hanno assunto gli improvvisati blog influencer, in genere fashion, traveller o food influencer.
I cinquantacinque giorni che sconvolsero l'Italia. Dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Dal giorno del ... more I cinquantacinque giorni che sconvolsero l'Italia. Dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Dal giorno del rapimento, ad opera delle Brigate Rosse, di Aldo Moro, l'uomo politico all'epoca più importante del Paese, a quello della sua uccisione. Due date che sono scolpite in modo indelebile nel diario mentale degli italiani: un sondaggio di qualche anno fa ha rivelato che chi ha vissuto quelle giornate ricorda perfettamente dov'era e cosa faceva quando ebbe la notizia del sequestro eppoi dell'assassinio dello statista democristiano. Cinquantacinque giorni di una tragedia nazionale, ancora oggi a 40 anni di distanza avviluppata da un groviglio di misteri, dopo la quale " niente è stato più come prima ". Una drammatica sequenza racchiusa da immagini che sono entrate nella memoria collettiva: il giornalista della Rai Paolo Frajese che commenta in diretta le riprese agghiaccianti dello scenario di morte in via Fani a Roma, dove è avvenuto il sequestro ed è stata sterminata con l'esplosione di 91 colpi la scorta dell'uomo politico; una telecamera di una tv privata che da una finestra affacciata su via Caetani rimanda sugli schermi la macabra sagoma del cadavere di Moro con indosso lo stesso abito scuro e la stessa cravatta di quando era stato rapito, rannicchiato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, mentre tra funzionari e uomini della polizia si fa largo un sacerdote per benedire quel corpo straziato dalle raffiche di una mitraglietta Skorpion e da un colpo esploso da una pistola Walther Pkk, calibro 9. E' un luogo simbolo quello del ritrovamento, scelto icasticamente dai terroristi che hanno ucciso in un box di via Montalcini il leader dc. Via Caetani, nel cuore della Roma istituzionale, è una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista e da Piazza del Gesù, dove si staglia Palazzo Cenci-Bolognetti, quartier generale della Democrazia cristiana. Ed è proprio la collaborazione tra Pci e Dc, di cui Moro è stato lo sponsor, il bersaglio nel mirino dei terroristi. Anche la data scelta per il rapimento non è casuale: quel giorno lo statista, che ricopre la carica di presidente dello scudocrociato, sta andando a Montecitorio dove si voterà la fiducia al monocolore Dc, presieduto da Giulio Andreotti, che segna il ritorno dei comunisti nella maggioranza, dopo il breve periodo del Dopoguerra. Un passaggio reso possibile dalla strategia del compromesso storico, cioè della collaborazione fra comunisti, cattolici e socialisti, propugnata da Enrico Berlinguer, leader di Botteghe Oscure. L'inflazione a due cifre con la crisi economica seguita allo choc petrolifero del 1973, l'imperversare del terrorismo, la crescita elettorale del Pci che ha raffreddato i suoi rapporti con Mosca, favoriscono l'appeasement tra le due maggiori forze politiche del Paese. Moro ha un disegno articolato che ha battezzato " strategia dell'attenzione " (verso il Pci): vuole la collaborazione per superare la difficile congiuntura degli anni Settanta, ma difende la centralità della Dc in una prospettiva che nel lungo periodo affermi l'alternanza tra partito cattolico e comunisti. Originario di Maglie in provincia di Lecce, giurista, stratega raffinato, dal linguaggio complesso (sua la definizione in politichese di " convergenze parallele "), una capigliatura imbiancata da una frezza, il presidente dello scudocrociato in quel 1978 sta vivendo una seconda stagione politica al timone della dc. Gestore e moderatore del centrosinistra negli anni Sessanta, nel 1971 è sconfitto da Giovanni Leone come candidato dc al Quirinale e subisce una emarginazione all'interno del partito che imbocca una svolta moderata. Moro sembra volersi allontanare dalla politica per dedicarsi totalmente all'insegnamento universitario: ricorda la figlia Agnese che in quel periodo, lui così sobrio, solito presentarsi in spiaggia a Terracina con l'abito e la cravatta, aveva preso ad indossare costumi da bagno dai colori vivaci. Nel 1973 quello che è considerato un cavallo di razza della dc, cinque volte Presidente del consiglio, più volte ministro, a lungo segretario del partito, riprende in mano le redini di Piazza del Gesù. Ritorna con la proposta della strategia dell'attenzione prima alla guida del governo eppoi alla presidenza della Democrazia cristiana, da dove, se non fosse stato ucciso, avrebbe corso per il Quirinale forte anche dell'appoggio del Pci. Ma il rapimento e l'assassinio dello statista tra le conseguenze politiche non hanno solo la fine del rapporto di collaborazione con i comunisti e quindi l'accantonamento del compromesso storico e un riallineamento moderato della Dc. Segnano anche la rottura-una faglia che si allargherà sempre di più-tra il Psi guidato da Bettino Craxi e il Pci di Berlinguer. Durante i 55 giorni della prigionia di Moro nei covi delle Br si scontrano il partito della trattativa, di cui è sostenitore il leader socialista, che vuole esperire tutti i tentativi per salvare la vita del presidente della dc, e quello della fermezza con il Pci alla testa che non intende avviare alcuna trattativa con i brigatisti. Mentre si succedono i comunicati delle Br, prende corpo, infatti, l'ipotesi dello scambio del leader dc con la liberazione di alcuni terroristi detenuti.
Il giornalismo è in crisi. Ma i giornalismi possono superare la crisi. Non è un gioco di parole, ... more Il giornalismo è in crisi. Ma i giornalismi possono superare la crisi. Non è un gioco di parole, né un ossimoro. Il giornalismo tradizionale, quello della carta stampata, ma anche quello della televisione generalista, è in affanno. Soffre degli effetti più generali della crisi dell'editoria. Ma se da questo versante si allarga l'orizzonte a tutte le molteplici piattaforme dove si esercita oggi la professione di informare, c'è la speranza che il mestiere dello " scriba " , secondo la famosa definizione di Gianni Brera, possa conoscere un futuro meno precario del presente. Il riferimento in proposito è principalmente all'on-line, cioè all'informazione attraverso la rete. Friedrich Hegel agli inizi dell'800 sosteneva che la lettura del giornale è la preghiera quotidiana dell'uomo laico. Nel terzo millennio va preso atto che il rito di informarsi si officia anche con mezzi nuovi e diversi. Che il settore della carta stampata viva una drammatica congiuntura negativa lo dicono i dati. Negli ultimi tre anni in Italia la diffusione dei quotidiani – per limitarci solo a questo tipo di prodotto editoriale-è scesa da 4 milioni a 2,8 milioni di copie. Un trend che è stato punteggiato dalla politica degli editori tesa a ridurre il costo del lavoro a discapito della qualità del prodotto. Accorpamenti, sinergie, concentrazioni si sono tradotte in riduzione e precarizzazione della occupazione giornalistica. Negli ultimi cinque anni si sono persi 3 mila 500 posti di lavoro giornalistico, con un calo pari al 15 per cento. I rapporti di lavoro attivi sono scesi a circa 15mila (erano quasi 18 mila nel 2012). Una statistica dell'Ordine dei Giornalisti ha rivelato che il 65% dei giornalisti italiani sono precari e di questi 8 su 10 hanno un reddito inferiore ai 10 mila euro lordi annui, quindi al di sotto della soglia di povertà. La Liguria da questo punto di vista non fa eccezione. Lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la chiusura di una testa storica come " Il Corriere Mercantile " , la fusione-accorpamento Secolo XIX-La Stampa-Repubblica e il ridimensionamento negli ultimi anni del settore radiotelevisivo. A fronte di questo quadro, le chanches di invertire o quanto meno arrestare la china si giocano anche e soprattutto sulle nuove tecnologie che veicolano la notizia, in particolare il web. La prudenza, tuttavia, è d'obbligo. Umberto Eco ha scritto molti anni fa un saggio di grande successo. Si intitola " Apocalittici e integrati ". In soldoni sostiene che nel corso della storia le reazioni alle grandi innovazioni tecnologiche nel campo della comunicazione hanno diviso in due partiti gli intellettuali : quello degli apocalittici e quello degli integrati. Il primo, fin dai tempi dell'invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg, ha vaticinato catastrofi per l'umanità con il nuovo che avanza. Il secondo, viceversa, ha interpretato questi sviluppi nella comunicazione con esuberanza positivista, grondante ottimismo per le sorti magnifiche e progressive. Il primo ha cercato di arrestare con tutti i mezzi il nuovo. Il secondo lo ha accolto a braccia aperte, in modo acritico e passivo. Due atteggiamenti che il semiologo alessandrino considera negativi. Con una dose di pessimismo della ragione controbilanciata da altrettanto ottimismo della volontà è comunque possibile affrontare la sfida delle nuove tecnologie nell'informazione. Il che allo stato attuale consiste sì nel riconoscere che l'informazione on line può essere una delle strade da battere per allargare le opportunità per chi faccia il mestiere di giornalista, compensando il venire meno di quelle offerte dalla carta stampata e dai comparti consolidati. Partendo, tuttavia, da dati realistici. E innanzitutto va considerato che al momento la contrazione nella diffusione della carta stampata, nell'occupazione e nei ricavi pubblicitari nel settore tradizionale non è compensata dalle performance dell'informazione via web. E anche in termini di qualità il divario tra l'informazione di carta o via etere e quella che corre in rete resta considerevole. L'errore commesso dagli editori, intesi in senso lato, di offrire fin dagli albori di internet i servizi gratuitamente ha viziato il fruitore, il quale ora non è disposto a pagare neanche la qualità, e, allo stesso tempo, non ha favorito la crescita di livello della comunicazione. Nel magma confuso, nel far west selvaggio dell'on line il linguaggio e i contenuti-e non si tratta solo del fenomeno delle fake news – raramente hanno conosciuto una cifra valoriale accettabile. Ne fa fede l'affermarsi prepotente dei motori di ricerca come meri assemblatori di notizie " rubate " ad altri agenti di informazione secondo parametri dettati da astratti logaritmi o il rifugio degli utenti più giovani in social come Instagram che veicolano in modo confuso e privatistico solo immagini prive di una sintassi comunicativa. Così come la dice lunga da questo punto di vista il ruolo di protagonisti della rete che hanno assunto gli improvvisati blog influencer, in genere fashion, traveller o food influencer.
I cinquantacinque giorni che sconvolsero l'Italia. Dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Dal giorno del ... more I cinquantacinque giorni che sconvolsero l'Italia. Dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Dal giorno del rapimento, ad opera delle Brigate Rosse, di Aldo Moro, l'uomo politico all'epoca più importante del Paese, a quello della sua uccisione. Due date che sono scolpite in modo indelebile nel diario mentale degli italiani: un sondaggio di qualche anno fa ha rivelato che chi ha vissuto quelle giornate ricorda perfettamente dov'era e cosa faceva quando ebbe la notizia del sequestro eppoi dell'assassinio dello statista democristiano. Cinquantacinque giorni di una tragedia nazionale, ancora oggi a 40 anni di distanza avviluppata da un groviglio di misteri, dopo la quale " niente è stato più come prima ". Una drammatica sequenza racchiusa da immagini che sono entrate nella memoria collettiva: il giornalista della Rai Paolo Frajese che commenta in diretta le riprese agghiaccianti dello scenario di morte in via Fani a Roma, dove è avvenuto il sequestro ed è stata sterminata con l'esplosione di 91 colpi la scorta dell'uomo politico; una telecamera di una tv privata che da una finestra affacciata su via Caetani rimanda sugli schermi la macabra sagoma del cadavere di Moro con indosso lo stesso abito scuro e la stessa cravatta di quando era stato rapito, rannicchiato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, mentre tra funzionari e uomini della polizia si fa largo un sacerdote per benedire quel corpo straziato dalle raffiche di una mitraglietta Skorpion e da un colpo esploso da una pistola Walther Pkk, calibro 9. E' un luogo simbolo quello del ritrovamento, scelto icasticamente dai terroristi che hanno ucciso in un box di via Montalcini il leader dc. Via Caetani, nel cuore della Roma istituzionale, è una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista e da Piazza del Gesù, dove si staglia Palazzo Cenci-Bolognetti, quartier generale della Democrazia cristiana. Ed è proprio la collaborazione tra Pci e Dc, di cui Moro è stato lo sponsor, il bersaglio nel mirino dei terroristi. Anche la data scelta per il rapimento non è casuale: quel giorno lo statista, che ricopre la carica di presidente dello scudocrociato, sta andando a Montecitorio dove si voterà la fiducia al monocolore Dc, presieduto da Giulio Andreotti, che segna il ritorno dei comunisti nella maggioranza, dopo il breve periodo del Dopoguerra. Un passaggio reso possibile dalla strategia del compromesso storico, cioè della collaborazione fra comunisti, cattolici e socialisti, propugnata da Enrico Berlinguer, leader di Botteghe Oscure. L'inflazione a due cifre con la crisi economica seguita allo choc petrolifero del 1973, l'imperversare del terrorismo, la crescita elettorale del Pci che ha raffreddato i suoi rapporti con Mosca, favoriscono l'appeasement tra le due maggiori forze politiche del Paese. Moro ha un disegno articolato che ha battezzato " strategia dell'attenzione " (verso il Pci): vuole la collaborazione per superare la difficile congiuntura degli anni Settanta, ma difende la centralità della Dc in una prospettiva che nel lungo periodo affermi l'alternanza tra partito cattolico e comunisti. Originario di Maglie in provincia di Lecce, giurista, stratega raffinato, dal linguaggio complesso (sua la definizione in politichese di " convergenze parallele "), una capigliatura imbiancata da una frezza, il presidente dello scudocrociato in quel 1978 sta vivendo una seconda stagione politica al timone della dc. Gestore e moderatore del centrosinistra negli anni Sessanta, nel 1971 è sconfitto da Giovanni Leone come candidato dc al Quirinale e subisce una emarginazione all'interno del partito che imbocca una svolta moderata. Moro sembra volersi allontanare dalla politica per dedicarsi totalmente all'insegnamento universitario: ricorda la figlia Agnese che in quel periodo, lui così sobrio, solito presentarsi in spiaggia a Terracina con l'abito e la cravatta, aveva preso ad indossare costumi da bagno dai colori vivaci. Nel 1973 quello che è considerato un cavallo di razza della dc, cinque volte Presidente del consiglio, più volte ministro, a lungo segretario del partito, riprende in mano le redini di Piazza del Gesù. Ritorna con la proposta della strategia dell'attenzione prima alla guida del governo eppoi alla presidenza della Democrazia cristiana, da dove, se non fosse stato ucciso, avrebbe corso per il Quirinale forte anche dell'appoggio del Pci. Ma il rapimento e l'assassinio dello statista tra le conseguenze politiche non hanno solo la fine del rapporto di collaborazione con i comunisti e quindi l'accantonamento del compromesso storico e un riallineamento moderato della Dc. Segnano anche la rottura-una faglia che si allargherà sempre di più-tra il Psi guidato da Bettino Craxi e il Pci di Berlinguer. Durante i 55 giorni della prigionia di Moro nei covi delle Br si scontrano il partito della trattativa, di cui è sostenitore il leader socialista, che vuole esperire tutti i tentativi per salvare la vita del presidente della dc, e quello della fermezza con il Pci alla testa che non intende avviare alcuna trattativa con i brigatisti. Mentre si succedono i comunicati delle Br, prende corpo, infatti, l'ipotesi dello scambio del leader dc con la liberazione di alcuni terroristi detenuti.
Uploads