Department of Civiltà e Forme del Sapere

Proposta di interpretazione di Protagora, che viene considerato al di fuori della lettura relativistica consueta e alla luce di una concezione avanzata di asserzione e discorso che viene mostrata impiegando anche strumenti della filosofia del linguaggio e della pragmatica contemporanea. L'opera di Erodoto, Euripide e Tucidide viene indagata a conferma di queste tesi, il confronto con le quali è decisivo per tutto lo spettro delle posizioni del V secolo su linguaggio e verità. Alla linea, anche politica, protagorea si contrappongono vari tipi di naturalismo e la linea di pensiero di Socrate e dei due grandi socratici, Platone ed Aristotele; nel pensiero di quest'ultimo viene individuato un confronto profondo, che culmina nel libro Gamma della Metafisica, con le istanze di Protagora, del quale Aristotele accoglie il ruolo fondamentale dell'asserzione

Testo in italiano

IL CLAN DEI CINEASTI. L'ESTETICA DEL NOIR SECONDO JEAN-PIERRE MELVILLE, JOSÉ GIOVANNI, HENRI VERNEUIL
Il clan dei cineasti vuole offrire una introduzione critico-teorica allo studio di un genere che, per almeno tre decenni, ha generosamente nutrito l'universo iconografico del cinema europeo. Nell'avvicinarsi all'opera di Jean-Pierre Melville, José Giovanni e Henri Verneuil, l'autore concentra il proprio interesse analitico in seno a quattro direttrici interpretative: sono presi in esame i complessi rapporti con l'immaginario veicolato dal cinema americano, i vincoli ideologici con le più tipiche convenzioni del genere, le rispettive concezioni del corpo divistico e, in chiusura, due emblematici esempi di "intersezione autoriale".

Una reflexión analítica sobre dos películas documentales ideológicamente antagónicas que proponen un acercamiento al cuerpo de Francisco Franco: "Franco, ese hombre" (1964), de José Luis Sáenz de Heredia, rodada en pleno segundo franquismo –con ocasión de los «25 años de paz»– por uno de los directores más cercanos al régimen, y la feroz "Caudillo" (1977), de Basilio Martín Patino, compuesta casi exclusivamente por imágenes de archivo y estrenada comercialmente sólo tras la muerte del dictador.

Il cinema spagnolo negli anni del franchismo. Itinerari della forma e scritture di regia

Gli obiettivi del presente studio prendono principalmente forma in tre direzioni: tracciare un’essenziale mappa formale del cinema spagnolo che sia in grado di documentare oltre tre decenni (1939-1975) di evoluzioni e rivoluzioni nell’elaborazione del linguaggio cinematografico; modellare un percorso critico-teorico volto a mettere in luce le direttrici stilistiche che hanno contraddistinto l’opera di alcuni tra i cineasti più significativi; approfondire l’impatto che storia e società hanno esercitato sulle forme del racconto filmico e sulle singole scritture di regia. L’intento del lavoro è duplice: in prima istanza si vuole disseppellire un patrimonio culturale che attende da tempo una ricollocazione critica degna di rilievo (compito doveroso, dato che molte opere di indiscutibile spessore risultano poco note allo stesso spettatore ispanofono), in seconda istanza faremo fronte all’esigenza di svincolare alcuni film per così dire «storicizzati» dal manicheismo di certe letture universalmente autorizzate.

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Spanish Cinema Throughout Francoism. Style Paths and Authorial Marks

The efforts of this essay are primarily directed towards three achievements: drawing an essential map of Spanish Cinema able to document more than three decades (1939-1975) of evolutions and revolutions within film language; creating a critical-theoretical itinerary addressed to highlight stylistic guidelines by the most significative film-makers; analyzing the impact produced by History and Society on the cinematic approach and, especially, on the works of specific directors. The aim of this work is twofold: first, we want to unearth a cultural heritage that has long been waiting for a fair critical evaluation (challenging task, if we consider that some of the most deserving works are mostly unknow even to hispanic audiences), secondly, we will face the need to relieve some "historicized" films from the manicheism of widely accepted interpretations.

Text en català – English text

ANTONI PADRÓS, PERTORBADOR DE CONSCIÈNCIES
Nascut a Terrassa el 1937, Antoni Padrós és el cineasta més representatiu i celebrat del moviment underground català. Comença a pintar al principi dels anys seixanta. El 1966 exposa una selecció d’obres a la Sala Gaspar de Barcelona i el 1967 participa a la IX Bienal de São Paulo. La seva pintura, que certament s’inclou entre les produccions més originals de l’art català dels anys seixanta, projecta una mirada sardònica, veladament polèmica, sobre la faceta més àmpliament desfigurada de la incipient societat de consum (som als anys del franquisme desarrollista), establint un diàleg a distància —caracteritzat d’altra banda per evidents seqüeles metadiscursives— amb els mestres del Pop Art. Padrós també, seguint el model d’un numen tutelar implícit, Andy Warhol, elabora imatges i imaginaris consolidats (sobretot pouant en els vastos repertoris del cinema i de la cultura popular), però ho fa com a marginat entre els marginats, ignorat pel ressò asfixiant dels mitjans, apartat dels focus intensos dels escenaris, entre els bastidors de la «societat de l’espectacle» sotmesa a dissecció aquells mateixos anys per Guy Debord («Tot allò que s’ha viscut directament una vegada, s’ha convertit en mera representació»). A les acaballes de la dècada, la recerca expressiva de l’artista aborda el 8mm i el 16mm. El pintor es converteix en cineasta: una transició de mitjà —de la tela a la pel•lícula— que no marca una ruptura traumàtica, sinó més aviat una mena de continuïtat profitosa. 


ANTONI PADRÓS, DISTURBER OF CONSCIENCES
Born in Terrassa in 1937, Antoni Padrós is the most representative and celebrated filmmaker of the Catalan underground movement. He started painting in the early sixties. In 1966 he exhibited a selection of his works in the Sala Gaspar in Barcelona and in 1967 he participated at the IX Bienal de São Paulo. His painting, which certainly counts among the most original productions of 1960s Catalan art, projects a sardonic, veiledly controversial look at the most widely disfigured facet of the coming consumer society (this was in the years of the Francoist economic development), establishing a dialogue at a distance (one characterised moreover by obvious metadiscursive after-effects) with the masters of Pop Art. Padrós also followed the model of an implicit guiding inspiration, Andy Warhol, by producing consolidated imagery and imagination (drawing especially on the vast repertoires of cinema and popular culture), but he does so as someone on the fringe of the fringe, ignored by the suffocating noise of the media, separated from the limelight of the stage, kept backstage by the “show-business society” that was dissected in those years by Guy Debord (“Everything that has been experienced directly once has become mere performance”). Towards the end of the decade, the artist’s expressive research turned to 8mm and 16mm. The painter became a filmmaker: a change of medium, from canvas to film, that was not a traumatic break but more a kind of profitable continuity.