Francesco Zanotelli
I studied philosophy and anthropology at the University of Siena and obtained a Ph.D in Anthropology at Turin University. From 2011 till feb 2024, I was based in Sicily (University of Messina) first as Lecturer and then as Associate Professor. From march 2024, I am Associate Professor at SAGAS Dep., University of Florence, where I give courses in Social Anthropology, Cultural Anthropology, Public Anthropology and History and Methods of Social Anthropology. My main research interest is in the socio-cultural dynamics that lie under the economic and financial behavior. Through the last twenty years I have been researching on debt, labour relations, welfare and kinship both in Mexico and in Italy observing the resilience and resistance that local groups and individuals practice with respect to neoliberal economic processes. After 2010, I have turned my interest to the negotiation and conflict between Ikojts (Pacific Coast of Oaxaca, Mexico) and transnationals of windpower, analyzing their divergent moral economies and ideas about nature and environmental sustainability. For a complete CV see https://unime.academia.edu/FrancescoZanotelli/CurriculumVitae
Phone: +39090676077
Address: Cospecs - Department of Cognitive Sciences, Psicology, Education and Cultural Studies
University of Messina
Via Bivona s.n., 3rd Floor
98122 MESSINA, Italy
skype: francesco.zanotelli
fb francesco.zanotelli
Phone: +39090676077
Address: Cospecs - Department of Cognitive Sciences, Psicology, Education and Cultural Studies
University of Messina
Via Bivona s.n., 3rd Floor
98122 MESSINA, Italy
skype: francesco.zanotelli
fb francesco.zanotelli
less
InterestsView All (58)
Uploads
El libro es una transposición en forma escrita de un mito transmitido oralmente por lo Ikojts-Ikoots-Konajts (huave) del Istmo de Tehuantepec, estado de Oaxaca, México. En la presentación, junto con vari@s colegas conectad@s desde México, Italia, Dinamarca y Australia, comento sobre los aspectos del mito que “hablan” a la sociedad en la época contemporánea, destacando dos aspectos: la relación con la otredad desde la perspectiva Ikojts, y la relación con su entorno climático y acuático, que nos cuestiona a todos sobre la actitud que pensamos tener en frente a la catástrofe ecológica.
the last decade, which have radically transformed the mobility trajectories
of migrants, the article analyses the im-mobility produced by these policies through existential, spatial and temporal perspectives. Going deep
into two ethnographic settings in Calabria (Southern Italy), one rural and
one urban, the article investigates how people involved in the process of
going through the reception system can enhance their aspirations, hopes
and desires in the attempt to find greater existential, work and housing
stability. Together with the initiatives of local groups and social networks,
the ‘“capacity to aspire’” of individuals is, in fact, the basis of the possibility
to navigate the im-mobility produced by migration policies as well
as to imagine and practice the future in present-times.
RIASSUNTO
Partendo dall’analisi dei mutamenti occorsi nelle politiche migratorie dell’ultimo decennio, che hanno avuto un impatto decisive sui progetti di
mobilità dei migranti, l’articolo illustra la im-mobilità prodotta da tali politiche tanto sul piano esistenziale, così come su quello spaziale e temporale. Approfondendo due contesti etnografici calabresi, uno rurale e l’altro urbano, l’articolo indaga come al termine del loro percorso di accoglienza istituzionale le persone migranti coinvolte in tale sistema possano intensificare le loro aspirazioni, speranze e desideri, nel tentativo di acquisire una stabilità esistenziale, lavorativa e abitativa. La “capacità di avere aspirazioni”, insieme alle possibilità offerte dalle iniziative dell’associazionismo locale e dalle reti sociali informali, costituiscono, di fatto, quelle possibilità di giostrarsi nel sistema dell’accoglienza e dei suoi effetti nela fase del postaccoglienza, a fronte della im-mobilità (spaziale, temporale e sociale) prodotta dalle recenti politiche migratorie. Parallelamente, è un modo per immaginare e praticare il futuro nel tempo presente.
Italian internal migrations towards small and medium size localities have been little studied, despite their importance after the Second World War. This article examines the migrations of
shepherds from Sardinia, peasants and workers from Basilicata, masons from Campania and Sicily who have populated southern Tuscany (notably the province of Siena) at different times between the 1950s and the beginning of the 21st century, and the demographic, social and identity changes they experienced in relation to the socio-productive discontinuity undergone by the territory of arrival. In particular, the article brings to light a constant link between migration and the processes and phases of change in the social, economic and cultural environment: the transition from sharecropping to small and medium industries; the crisis of the late 1970s and the subsequent conversion from industry to services; the conditions of job insecurity and work flexibility brought about by the restructuring of the last two decades. An ethnographic approach makes it possible to pinpoint the socio-demographic characteristics of these flows even when they escape civil registers or censuses, and to focus on the internal articulation and developments of such migratory segments by analyzing the changing ways in which displacement was realized: kinship networks, migration chains, long duration commuting of working teams, up to the thinning and growing precariousness
of the networks. The morphology of kinship networks and the economic trajectories of the various groups have been considered in relation to the history of the economic and social transformations undergone by the territory. Methodologically, the article aims at bridging the gap between the ethnography and demography of migration, with the advantage of offering a temporally stratified analysis of migration in the same territory.
Attraverso l’analisi incrociata delle narrazioni orali degli imprenditori riguardanti la crisi e l’epilogo di questo specifico settore alla fine degli anni ’70 si intende dimostrare la stretta correlazione tra fattori endogeni ed esogeni al distretto industriale nella determinazione dei destini di un modello di capitalismo. L’uscita dalla crisi del settore mobiliero originario attraverso la sua riconversione durante gli anni ’90 nella produzione di arredi per la camperistica, inizialmente interpretato come una specifica e positiva evoluzione del sistema industriale locale, viene osservato dalla prospettiva contemporanea della sua crisi, come una tappa di disgregazione ulteriore e come il destino inaspettato di una economia locale un tempo famosa per la sua capacità di fare sistema.
Le nuove migrazioni interne riguardano ancora tanti operai, impiegati, lavoratori e lavoratrici alla ricerca di occasioni e di condizioni di vita migliori rispetto a quelle possibili nelle zone di origine. Con un elemento aggiuntivo conosciuto come il fenomeno del brain drain.
Nei territori di arrivo del Centro-Nord troviamo quindi una popolazione di forma "triangolare" in cui convivono autoctoni (tra i quali bisogna annoverare anche gli immigrati interni di vecchia data), immigrati stranieri e nuovi immigrati meridionali, ciascuno portatore di istanze, bisogni e aspettative che a volte confliggono.
Il volume è un primo esperimento di analisi organica delle diverse tematiche connesse alle "nuove migrazioni interne": lavoro, scuola, famiglia, politiche abitative, codici linguistici, sono affrontati accostando l'analisi dei dati demografici alla raccolta e interpretazione delle esperienze e dei progetti di vita in un contesto di arrivo specifico, la Valdelsa senese, nel tentativo di mettere in luce le caratteristiche di queste emigrazioni "nell'ombra". Si tratta, infatti, di movimenti finora poco analizzati rispetto a quelli ben più conosciuti e studiati degli anni del boom economico, dai quali peraltro si differenziano in modo significativo, il cui tratto distintivo è la condizione di precarietà che le caratterizza, sia nelle condizioni occupazionali sia nelle più ampie sfere della vita sociale e relazionale."
della vita biologica (umana, animale, botanica) così come di quella sociale. Oggetti di studio specifici, ma non esaustivi del campo, saranno i prodotti finanziari che implicano direttamente la messa in valore della vita delle persone: mutui e ipoteche sulla casa, pensioni, assicurazioni sulla vita, prestiti di
studio, ecc. Un’antropologia della bio-finanza indagherà tali oggetti nella loro dimensione economica (luoghi, misure e soggetti implicati nello scambio), così come nelle dimensioni morali e simboliche (valori, temporalità e aspettative
extra-economiche trasposte nell’ambito finanziario). Al centro della riflessione starà però soprattutto la dimensione politica: come si distribuisce il potere nel processo di definizione dell’idea di persona? Quali gerarchie e quali criteri di classificazione prevalgono nella produzione del soggetto “finanziarizzato”? E, al contempo, quali resistenze, quali limiti contrastano tale processo di costruzione ideologica?
Il tema attorno al quale abbiamo scelto di inquadrare le nozioni di crisi e sociabilità riguarda il tempo libero, inteso come cornice di attivazione di nuove forme di produzione, scambio e consumo orientate alla sperimentazione di reti di condivisione in contesti caratterizzati dal mutamento, dall’incertezza e dal misconoscimento sociale.
El libro es una transposición en forma escrita de un mito transmitido oralmente por lo Ikojts-Ikoots-Konajts (huave) del Istmo de Tehuantepec, estado de Oaxaca, México. En la presentación, junto con vari@s colegas conectad@s desde México, Italia, Dinamarca y Australia, comento sobre los aspectos del mito que “hablan” a la sociedad en la época contemporánea, destacando dos aspectos: la relación con la otredad desde la perspectiva Ikojts, y la relación con su entorno climático y acuático, que nos cuestiona a todos sobre la actitud que pensamos tener en frente a la catástrofe ecológica.
the last decade, which have radically transformed the mobility trajectories
of migrants, the article analyses the im-mobility produced by these policies through existential, spatial and temporal perspectives. Going deep
into two ethnographic settings in Calabria (Southern Italy), one rural and
one urban, the article investigates how people involved in the process of
going through the reception system can enhance their aspirations, hopes
and desires in the attempt to find greater existential, work and housing
stability. Together with the initiatives of local groups and social networks,
the ‘“capacity to aspire’” of individuals is, in fact, the basis of the possibility
to navigate the im-mobility produced by migration policies as well
as to imagine and practice the future in present-times.
RIASSUNTO
Partendo dall’analisi dei mutamenti occorsi nelle politiche migratorie dell’ultimo decennio, che hanno avuto un impatto decisive sui progetti di
mobilità dei migranti, l’articolo illustra la im-mobilità prodotta da tali politiche tanto sul piano esistenziale, così come su quello spaziale e temporale. Approfondendo due contesti etnografici calabresi, uno rurale e l’altro urbano, l’articolo indaga come al termine del loro percorso di accoglienza istituzionale le persone migranti coinvolte in tale sistema possano intensificare le loro aspirazioni, speranze e desideri, nel tentativo di acquisire una stabilità esistenziale, lavorativa e abitativa. La “capacità di avere aspirazioni”, insieme alle possibilità offerte dalle iniziative dell’associazionismo locale e dalle reti sociali informali, costituiscono, di fatto, quelle possibilità di giostrarsi nel sistema dell’accoglienza e dei suoi effetti nela fase del postaccoglienza, a fronte della im-mobilità (spaziale, temporale e sociale) prodotta dalle recenti politiche migratorie. Parallelamente, è un modo per immaginare e praticare il futuro nel tempo presente.
Italian internal migrations towards small and medium size localities have been little studied, despite their importance after the Second World War. This article examines the migrations of
shepherds from Sardinia, peasants and workers from Basilicata, masons from Campania and Sicily who have populated southern Tuscany (notably the province of Siena) at different times between the 1950s and the beginning of the 21st century, and the demographic, social and identity changes they experienced in relation to the socio-productive discontinuity undergone by the territory of arrival. In particular, the article brings to light a constant link between migration and the processes and phases of change in the social, economic and cultural environment: the transition from sharecropping to small and medium industries; the crisis of the late 1970s and the subsequent conversion from industry to services; the conditions of job insecurity and work flexibility brought about by the restructuring of the last two decades. An ethnographic approach makes it possible to pinpoint the socio-demographic characteristics of these flows even when they escape civil registers or censuses, and to focus on the internal articulation and developments of such migratory segments by analyzing the changing ways in which displacement was realized: kinship networks, migration chains, long duration commuting of working teams, up to the thinning and growing precariousness
of the networks. The morphology of kinship networks and the economic trajectories of the various groups have been considered in relation to the history of the economic and social transformations undergone by the territory. Methodologically, the article aims at bridging the gap between the ethnography and demography of migration, with the advantage of offering a temporally stratified analysis of migration in the same territory.
Attraverso l’analisi incrociata delle narrazioni orali degli imprenditori riguardanti la crisi e l’epilogo di questo specifico settore alla fine degli anni ’70 si intende dimostrare la stretta correlazione tra fattori endogeni ed esogeni al distretto industriale nella determinazione dei destini di un modello di capitalismo. L’uscita dalla crisi del settore mobiliero originario attraverso la sua riconversione durante gli anni ’90 nella produzione di arredi per la camperistica, inizialmente interpretato come una specifica e positiva evoluzione del sistema industriale locale, viene osservato dalla prospettiva contemporanea della sua crisi, come una tappa di disgregazione ulteriore e come il destino inaspettato di una economia locale un tempo famosa per la sua capacità di fare sistema.
Le nuove migrazioni interne riguardano ancora tanti operai, impiegati, lavoratori e lavoratrici alla ricerca di occasioni e di condizioni di vita migliori rispetto a quelle possibili nelle zone di origine. Con un elemento aggiuntivo conosciuto come il fenomeno del brain drain.
Nei territori di arrivo del Centro-Nord troviamo quindi una popolazione di forma "triangolare" in cui convivono autoctoni (tra i quali bisogna annoverare anche gli immigrati interni di vecchia data), immigrati stranieri e nuovi immigrati meridionali, ciascuno portatore di istanze, bisogni e aspettative che a volte confliggono.
Il volume è un primo esperimento di analisi organica delle diverse tematiche connesse alle "nuove migrazioni interne": lavoro, scuola, famiglia, politiche abitative, codici linguistici, sono affrontati accostando l'analisi dei dati demografici alla raccolta e interpretazione delle esperienze e dei progetti di vita in un contesto di arrivo specifico, la Valdelsa senese, nel tentativo di mettere in luce le caratteristiche di queste emigrazioni "nell'ombra". Si tratta, infatti, di movimenti finora poco analizzati rispetto a quelli ben più conosciuti e studiati degli anni del boom economico, dai quali peraltro si differenziano in modo significativo, il cui tratto distintivo è la condizione di precarietà che le caratterizza, sia nelle condizioni occupazionali sia nelle più ampie sfere della vita sociale e relazionale."
della vita biologica (umana, animale, botanica) così come di quella sociale. Oggetti di studio specifici, ma non esaustivi del campo, saranno i prodotti finanziari che implicano direttamente la messa in valore della vita delle persone: mutui e ipoteche sulla casa, pensioni, assicurazioni sulla vita, prestiti di
studio, ecc. Un’antropologia della bio-finanza indagherà tali oggetti nella loro dimensione economica (luoghi, misure e soggetti implicati nello scambio), così come nelle dimensioni morali e simboliche (valori, temporalità e aspettative
extra-economiche trasposte nell’ambito finanziario). Al centro della riflessione starà però soprattutto la dimensione politica: come si distribuisce il potere nel processo di definizione dell’idea di persona? Quali gerarchie e quali criteri di classificazione prevalgono nella produzione del soggetto “finanziarizzato”? E, al contempo, quali resistenze, quali limiti contrastano tale processo di costruzione ideologica?
Il tema attorno al quale abbiamo scelto di inquadrare le nozioni di crisi e sociabilità riguarda il tempo libero, inteso come cornice di attivazione di nuove forme di produzione, scambio e consumo orientate alla sperimentazione di reti di condivisione in contesti caratterizzati dal mutamento, dall’incertezza e dal misconoscimento sociale.
Los resultados de las multiples investigaciones sobre pobreza coinciden en que un porcentaje importante de lo habitantes rurales se mantienen con la cuarta parte de lo que se ha calculado como el nivel minimo requerido para subsistir. En otras palabras, los pobladores rurales de mas bajos ingresos sobreviven sin contar con los medios materiales para hacerlo. En las paginas de este libro se analizan los medios no materiales involucrados en los manejos financieros a los que recurren estos y otros actores para salir adelante. "
saving and credit associations and microcredit initiatives, as organised and planned forms of development
and poverty eradication. The aim is twofold: on one hand, to outline the historical and ideological course
that led to the interweaving of some conceptual tools of anthropology (informal economy, social capital and
network analysis) with development economics and, more directly, with the practices of international cooperative organisations; on the other, to construct an index of the topics that form current and future research
in this area of anthropology.
With regard to the first point, I surmise that there have been fairly strong, though poorly explained, intersections and that, from a practical point of view, the tools of microcredit have drawn freely from the conceptual instrumentation provided by the social sciences, but without entirely sharing the consequences, namely
without revolutionising its own paradigm. The second course suggests that a modern economic anthropology that wants to concentrate on monetary circulation must necessarily take microcredit into account. This
context gives rise to some issues worth monitoring and investigating, such as the economic sustainability of
microcredit from the customers’ point of view, the connection between over-indebtedness and excessive personal dependence of debtors on their creditors, the aspects of governmentality in the educational practices
accompanying microcredit programmes, and the forms of assimilation or resistance and resilience fielded by
the beneficiaries."
Este maremoto (porque todo lo que atañe a los mareños ocurre en el mar) abarca los elementos más disímiles, como las nuevas artes de pesca que retan al cayuco y la atarraya, el avance de las iglesias evangélicas, la economía local alrededor del consumo de cerveza, la lucha de las parturientas contra el parto medicalizado, una lengua que se bate en un duelo asimétrico contra la modernidad, y las promesas de desarrollo y destrucción de megaproyectos como los parques eólicos o el Corredor Interoceánico.
La lente con que se miran estos cambios es el Tecnoceno, un momento de la vida en la Tierra en que las tecnologías reproducen intercambios desiguales de tiempo y espacio, y cuyas relaciones sociales injustas, instauradas desde la Conquista, ahora se ocultan bajo las técnicas e instrumentos.
¿Qué es de los modos de vida, las identidades y las subjetividades en un momento en que la implacable economía extractivista define la mayor parte de los procesos existenciales huaves, desde el momento del nacimiento hasta la forma en que mueren, cada vez más por complicaciones de diabetes?
Las interrogantes que abordan, a fin de cuentas, nos interpelan a todas y todos.
from minute 28'30" to 54'20"
The 'green' model of energy resources exploitation has become the dominant paradigm of environmental policies in the globalized economic scene. Mesoamerica is a key area of this 'green turn' in the contemporary era: Mesoamerica is not only the scene of extreme climatic events but is also one of the leading theaters of the economic and political actions against climate changes in Latin America. Despite the rallying cry of 'sustainability', the exploitation of renewable energy sources often acquires, here as elsewhere, the characteristic of 'green grabbing'. Frictions (Tsing) and conflictive situations often produce a paradoxical impasse, that need to be investigated.
The panel aims to analyze in the same frame the perspectives of indigenous cosmo-politics (de la Cadena) with the green political economy, the indigenous knowledges with the techno-scientific paradigm.
Case-studies taken from Mesoamerica offer a privileged perspective of this matter. Meteorological phenomena (rain, wind, clouds, lightning), in Mesoamerican cosmologies, are endowed with human characteristics and play the role of socio-political actors. In other words, they interact with human beings in a common cosmo-political arena.
In the contemporary regime of 'green governmentality', this localized cosmopolitics enters into a complex relationship with the regional, national and trans-national political-economic apparatus, as well as with the extractivist logic of energy production, rooted on techno-scientific knowledge.
The panel welcomes papers that analyze this interface rarely investigated from an ethnographic perspective. We also hope in an ethnographically-based dialogue with experts from other sciences that may contribute to better and more comprehensive solutions to these growing challenges. Case studies will be welcome.
ABSTRACT OF THE PAPER:
"The (un)sustainability of the wind. Meteorological agency and political conflict in the Isthmus of Tehuantepec, Mexico"
In the last twenty years, the Isthmus of Tehuantepec, South-Western Mexico, has become the scene of several wind farm projects that have resulted in growing disputes throughout the region where Huave and Zapotec indians usually fish and farm. The paper analyzes this friction under a cosmopolitics approach with the purpose to achieve a better comprehension of climate change and sustainability from one local perspective.
In the local existential horizon, the agency of meteorological elements takes evidence phenomenologically in the morphogenesis of the landscape. The everyday knowledge, together with the mythical narrative collected among Huave indians, tell of a ‘co-agency’ between human beings and meteorological elements aimed at shaping the landscape. In this perspective, Huave people refers to the contemporary manifestation of seasonal climate change calling into question moral responsibilities and the local construction of the idea of authority.
This cosmopolitics of natural elements is mirrored in the ideology of unanimity that stands as a moral reference for the political behavior of the authorities and of the communal assembly. The massive installation of turbines seems to threaten this ideology: the wind farm project is conceived as a further factor of vulnerability because it goes together with corruption, factionalism and because it anticipates the loss of food sovereignty linked to the risk that the lagoon ecosystem will be upset in the future. The dramatic consequence is that the renewable industry originally conceived as a response to the climate change, turns out to be unsustainable.
This approach, which is simultaneously empirical and theoretical, emerges directly from our fieldwork with the Huave, a people of fishermen and peasants settled in a lagoon environment facing the Pacific Ocean, on the Isthmus of Tehuantepec (state of Oaxaca, southern Mexico). Their rejection of a mega Wind Farm Project designed to exploit the energy of the strong winds blowing all over the lagoon ecosystem, is a very effective example of territorial conflicts being not just about land, but also about landscape. We consider that the concept of landscape, together with the classic notion of land, is a powerful analytical instrument for a deep understanding of the Mexican environmental conflicts, and for the huge process of land-grabbing, which is typical of contemporary struggles in Latin America and beyond.
Kinship is at the heart of European society, sharing with the state responsibility for welfare and social reproduction. But the workings of kinship and their connection to state policies remain controversial. Received theories have had to be revised in the light of social and demographic change and accumulating evidence of long-standing cultural differences. With Family, Kinship and State in Contemporary Europe, the editors and their collaborators have gathered a three-volume array of historical, sociological, and ethnographic data that examine these issues and introduce readers to the types of kin relationships found around contemporary Europe.
In this volume the authors examine the history of the family during the twentieth century in the context of political struggles over the welfare state, gender roles and parental authority. They ask how far political measures have contributed to changes in family life, and whether these should be understood as a weakening, or as a redefinition of traditional kinship roles.
List of Contributors:
Georges Augustins, Leon Dyczewski, David Gaunt, Christine Geserick, Hannes Grandits, Siegfried Gruber, Patrick Heady, Alexander Nikulin, Johannes Pflegerl, Heidi Rosenbaum, Martine Segalen, Elisabeth Timm, Irina Trotsuk, Pier Paolo Viazzo and Francesco Zanotelli
Da questo punto di vista la famiglia nucleare è apparsa storicamente come la forma che meglio risponde alle esigenze di autonomia e di indipendenza del soggetto rispetto alle appartenenze ascritte. Ma proprio la famiglia nucleare ci appare oggi attraversata da spinte e tensioni che ne hanno ridefinito profondamente forme, tempi e funzioni. Nella realtà del vissuto familiare si coglie infatti un allontanamento progressivo dal modello nucleare- coniugale, basato sulla coppia coniugale eterosesssuale, con figli, espressione della sintesi fra il piano biologico, quello sociale e quello giuridico, fino a dar vita in molti casi ad una divaricazione vera e propria fra la famiglia fondata "sul sangue e sulla legge" e quella sociale sostenuta dalle scelte personali e dagli affetti.
Se i processi di formazione della famiglia si strutturano intorno alla scelta individuale, le relazioni così costruite sono caratterizzate dalla variabilità e dalla reversibilità. L'imprevedibilità diviene allora la cifra distintiva dei modi di stare in relazione nella famiglia e nella parentela. Come emerge dai saggi contenuti in questo volume e da altre ricerche condotte di recente nel contesto italiano, le forme familiari risentono direttamente di questo mutato posizionamento del soggetto nei confronti tanto della propria appartenenza d'origine come nei confronti dei soggetti con i quali condivide la propria scelta di famiglia. Gli autori dei saggi contenuti nel volume hanno accolto la sfida di cimentarsi, attraverso la pratica etnografica, con alcune delle questioni e dei temi di ricerca sopra accennati. In particolare si concentrano su alcuni tratti specifici che caratterizzano i nuovi modi di fare famiglia in Italia, risultato di scelte informali, di ricomposizioni ma anche della lungoresidenza dei figli nelle case dei genitori.
Starting from the study by Peter Laslett, A Fresh Map of Life (1989), the validity of the ‘general theory of the third age’ is assessed in the light of the intervening changes over the last twenty years, in particular the progressive Italian leadership in European longevity, with an eye to the Alpine area. Central to this is the role assumed by the family in the help given to the elderly, with the persistence of the strong family ties that are distinctive of Mediterranean Europe in its models of assistance. In the Alpine context, where the weight of (small) numbers affects living together with an ever older population, the contraction of medical and health services would seem to preclude the possibility of ageing well. In truth, the proximity of the caregivers – the offspring and closest relations – is also for these communities one honoured way to give assistance to the elderly. The case of the Chisone and Germanasca valleys (Piedmontese Alps) and the comparison with the neighbouring French valleys confirm this data and bring to light the differences that could be due to the different cultures that exist in the Alps. Along with this and perhaps more so, the different structural composition of the elderly population compared with the plain (about which we still know little), as well
as the different national and local welfare systems, seem to assume an influential role on how one ages in the Alps."
México DF- 14, 15 & 16 de Noviembre de 2012.
Conclusions from the Congress held in Mexico
DF - 14th, 15th & 16th November 2012.
En este artículo vamos a resumir los resultados de dos momentos
públicos que se realizaron en el Centro Cultural de la
Universidad Nacional Autónoma de México, durante los cuales
expertos de México, Francia, España e Italia junto con un
público de coreógrafos, bailarines, productores culturales, organizadores
de festivales, y demás asistentes, compartieron
ideas entorno a las siguientes preguntas:
¿Qué clase de espacios y de lugares son los en que se da el
arte público? ¿Qué tipo de interacción se produce entre el artista
y el público y entre el artista y el espacio donde interactúa?
¿Hay etapas y lugares históricos en que el baile público
ha captado y ha coincidido con las demandas sociales del público
al cual se dirigía? ¿Qué pasa hoy en día? Y finalmente,
¿cuáles son las razones que motivan al artista a escoger el
espacio público para actuar?
A partir de sus diferentes trayectorias y especialidades, desde
la antropología social, el arte visual, la dirección artística, la
arquitectura y la promoción social, estos expertos han traído
a la discusión diferentes ejemplos de experiencias de arte,
espacio público y cohesión social tanto europeas como mexicanas.
The following article deals with two events which took place
at the Arts Center from the National Autonomous University
of Mexico. For two days different experts from Mexico,
France, Spain and Italy, along with choreographers, dancers,
producers and event planners, shared their thoughts on the
following issues:
What kind of places are more suitable to perform for an audience?
What is the best way to describe the interaction between
the artist and the audience and between the artist and
the space where he or she is performing? The art of dancing
has always agreed with the social demands of the audience?
What is the situation nowadays? And finally: What are the reasons
for an artist to choose a public space for his performance?
Thanks to their different careers and points of view (social anthropology,
visual arts, art direction, architecture and social
advertising), the experts were able to discuss and provide different
experiences related to art, public space and social cohesion
in Europe and Mexico as well.""
logo della Società Italiana di Antropologia Applicata. Dal 17 al 19 Dicembre 2015, al Polo Universitario di Prato si terra` il Terzo Convegno Nazionale della Società Italiana di Antropologia Applicata dedicato quest’anno al confronto tra ‘Antropologia Applicata e approccio interdisciplinare’.
Nell’ambito del convegno uno specifico panel sara’ dedicato al controverso rapporto tra antropologia e comunicazione pubblica inteso sia in ambito professionale sia in ambito divulgativo.
La struttura di potere del mercato editoriale, unita ad una generale crisi di vendite dell’intero comparto, ha causato una situazione di svantaggio per i prodotti delle ricerche di taglio etnografico. I costi di pubblicazione e traduzione appaiono sempre più proibitivi, considerata la generale difficoltà di accesso ai fondi per la ricerca. A parte alcune edizioni di nicchia, l’accesso alle collane delle principali case editrici è sostanzialmente interdetto agli antropologi. Vige un clima di competizione, piuttosto che di collaborazione, tra le discipline che, seppur accademicamente diverse, operano nell’ambito delle scienze sociali e affrontano temi in merito ai quali diverse prospettive metodologiche possono offrire importanti contributi. Il panorama dei mass media è ancor più desolante, con poche sporadiche (ma interessanti) eccezioni, grazie alla presenza di alcuni antropologi in radio e nei blog di approfondimento culturale sul web. Il lamento per la sostanziale assenza degli antropologi nella comunicazione pubblica non può essere liquidata come una frustrazione del proprio ego intellettuale. Vanno invece rilevate le conseguenze negative nella strutturazione del campo di potere al quale si accennava, la ricaduta potenziale sulla diffusione del metodo e del contributo antropologico nelle pratiche professionali e, più in generale, nel contributo alla costruzione di un pensiero critico sui processi sociali nei quali siamo immersi. Data questa situazione cosa si può fare per avere una voce pubblica più forte? Su una simile questione si interroga, tra gli altri, in maniera abbastanza precisa Thomas Eriksen (2006) fornendo una spiegazione che assume i toni dell’autocritica interna alla disciplina, interrogando gli stili di scrittura, le intenzioni e le modalità di comunicazione degli antropologi al pubblico extradisciplinare e a quello non accademico. Osservando i diversi stili che si sono alternati nella tradizione di successo della scrittura antropologica francofona e anglofona (da quello estraniante a quello basato sulla critica culturale, da quello dell’inchiesta universalizzante alla simil-letteratura di viaggio, passando per il saggio fino ad arrivare alla biografia), Eriksen individua alcuni punti di forza che sembrano andati persi durante gli ultimi decenni del XX secolo, con il progressivo consolidamento accademico della disciplina. I principali problemi addotti riguardano la complessità del contenuto delle ricerche antropologiche, l’incapacità da parte degli antropologi di misurarsi con la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione e la semplificazione dell’analisi che questi impongono. Negli stessi anni anche l’antropologia americana è stata passata al vaglio critico attraverso la proposta della Public Anthropology di Robert Borofsky (2002), il quale rivendica la necessità di adottare un linguaggio più accessibile e di affrontare tematiche di interesse pubblico per riaccaparrarsi quello spazio ormai colonizzato da altre discipline che hanno saputo compiere questo sforzo. La comunicazione pubblica e la diffusione dei risultati sono momenti critici per una disciplina, come l’antropologia, che pone questa pratica alla base della propria epistemologia. Se da un lato Sanjek (2004) ci ricorda che è una nostra precisa responsabilità quella di restituire i risultati della nostra ricerca ai soggetti che li hanno prodotti assieme a noi, dall’altro siamo anche invitati a ricercare i metodi più opportuni per farlo. L’antropologia, soprattutto nella sua dimensione applicata, necessita di un ulteriore livello comunicativo strettamente connesso a quello esposto poco sopra. L’antropologo applicato lavora, nella gran parte dei casi, fianco a fianco con esperti e studiosi provenienti da altre discipline e a questi si rivolge. In questa situazione si rende necessario uno sforzo comunicativo ulteriore che non è rivolto alla divulgazione ma alla costruzione di un terreno comune di intesa, un pidgin, che deve saper preservare la specificità dell’approccio antropologico e allo stesso tempo fornire strumenti e risultati utili e comprensibili nel contesto di lavoro. Questo particolare approccio si rifà ad una tradizione che affonda le radici negli albori della disciplina, quando il lavoro in equipe interdisciplinari era la norma e non l’eccezione. D’altro canto, ricercatori e ricercatrici brillanti come Marietta Baba (1994) non cessano di farci notare quanto utile possa essere l’antropologia soprattutto quando si spinge oltre i propri confini e si mette al servizio di discipline altre. In questi casi l’antropologo si trova alle prese con forme di restituzione che non sono quelle a cui è abituato (come la classica monografia): aggiornamenti in itinere, gruppi di lavoro, riunioni organizzative, redazione di letteratura grigia, restituzioni che coinvolgono in modo massiccio collaboratori e soggetti della ricerca, etc.
Noi individuiamo quindi due ambiti dove il problema della comunicazione si rivela cruciale per il dialogo tra formazioni disciplinari diverse e tra antropologi e pubblico non specialistico: quello dell’azione (nei servizi sociali, nella cooperazione internazionale, nelle strutture sanitarie, etc.) e quello della diffusione dei risultati delle ricerche attraverso le forme scritte (nelle collane editoriali, nelle riviste, nei settimanali e quotidiani) così come attraverso le modalità audiovisive, televisive e telematiche. Entrambi questi settori costituiscono occasioni di sviluppo futuro per una disciplina che, sempre di più anche in Italia, sta maturando una coscienza professionale e ambisce a muoversi in ambiti lasciati sguarniti dall’accademia. Saper padroneggiare questi livelli della comunicazione significa quindi allargare i confini dell’applicabilità e gli ambiti di impiego per gli antropologi.
Nel tentativo di conoscere più a fondo e costruire un dibattito intorno a questa situazione, e al fine di individuare strategie di azione migliorative, sono auspicate proposte di interventi nei due ambiti.
Nel caso dell’azione, dovranno essere esemplificativi di occasioni nelle quali si è resa palese la difficoltà di comunicazione tra antropologi ed altri operatori formati in campi disciplinari diversi o al contrario quando si è presentata l’occasione di costruire linguaggi condivisi. Gli interventi si dovranno focalizzare sui principali punti di contrasto e sulle tecniche usate per superarli, o su quelli di contatto, con esempi concreti dei risultati ibridi ottenuti e sulla loro efficacia.
Nel caso della diffusione, sono ben accetti interventi che presentino casi editoriali e altre tipologie di prodotti, che analizzino gli stili, le forme che hanno favorito la divulgazione (o la sostanziale distrazione) presso un pubblico che supera i confini del mondo accademico-disciplinare (dei docenti e degli studenti). Infine, saranno prese in considerazione analisi della struttura e delle dinamiche di potere nel campo della comunicazione e del posto che l’antropologia vi occupa (dai blog, alla radio, dalla televisione all’editoria), funzionali a comprendere i principali ostacoli all’accesso degli antropologi alla comunicazione pubblica.
Per conoscere le modalità di presentazione e selezione delle proposte di abstract al convegno, e per conoscere i termini di iscrizione e i contenuti degli altri panels del convegno, consulta il programma completo .
Ogni panel potra` ospitare un massimo di 10 interventi, pertanto e’ prevista una selezione ad opera dei coordinatori, basata sulla congruenza della proposta rispetto al tema del panel.
Alcune delle ricerche di antropologia delle migrazioni in Italia condotte negli ultimi quindici anni hanno posto l'accento sulla funzione che le lavoratrici straniere hanno nel garantire la forza e durata della triplice connessione che abbiamo citato. Disponiamo così di una notevole mole di studi sulle 'badanti', una parziale presenza di studi antropologici sulla parentela e l'assistenza, una quasi totale assenza di ricerche etnografiche sulla prospettiva istituzionale alla cura domiciliare. Riteniamo che sia perciò importante fare un passo ulteriore, cercando di unificare le prospettive di analisi.
In quest'ottica, il nostro intervento vuole dare conto di un particolare aspetto – quello dei discorsi e delle pratiche intorno alle transazioni economiche legate all'assistenza– emerso durante una più ampia ricerca sulla cura domiciliare agli anziani non-autosufficienti in un medio comune dell'Emilia Romagna. Applicate all'ambito della cura domiciliare, le logiche economiche del mercato, della redistribuzione e della reciprocità appaiono rimescolarsi producendo degli interessanti corto-circuiti concettuali utili a comprendere i diversi punti di vista e le diverse aspettative dei care-givers intorno al significato di 'cura'. Le incomprensioni così come le potenziali sinergie mostrano come quello dell'assistenza domiciliare sia un ambito di negoziazione denso e multidimensionale, estremamente fertile in termini euristici così come in una prospettiva applicativa e di impegno del ricercatore.
Alcuni riferimenti bibiografici
Grilli S., Zanotelli F. (a cura di) (2010). Scelte di famiglia. Tendenze della parentela nell'Italia contemporanea. Pisa: ETS, p. 1-283, ISBN: 9788846729194.
AM. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, numero monografico su “Presenze internazionali. Prospettive etnografiche sulla dimensione fisico-politica delle migrazioni in Italia”, a cura di G. Pizza e A.F. Ravenda, nn. 33-34, ottobre 2012.
Heady P., Grandits, H., Kohli M.,
Schweitzer P. (eds) (2010). Family, Kinship and State in Contemporary
Europe (3 Volumes). Frankfurt: Campus Verlag.
Joseph Troisi, Hans-Joachim von Kondratowitz (eds.) (2013). Ageing in the Mediterranean, Bristol: Policy Press.
Hochschild R. A. (2006). Per amore o per denaro. La commercializzazione della vita intima, Bologna: Il Mulino.
Vianello F. (2009). Migrando sole. Legami transnazionali tra Ucraina e Italia, Milano: Franco Angeli."""
di libertà politiche e ricerca
universitaria sul campo dopo
l’assassinio di Giulio Regeni
e la condanna di Roberta Chiroli.
Sarà presentato il documento
In difesa della tesi di laurea.
L’incontro è organizzato da
Duccio Basosi, Alessandro
Casellato, Francesca Coin,
Adelisa Malena e Gilda Zazzara,
in collaborazione con Glauco
Sanga e il Laboratorio DEA
(demoetnoantropologico).
Il panel vuole avviare una riflessione sull’utilizzo, nel
campo della comunicazione, di termini, concetti e
categorie, che sono state rilette ad uso dei
movimenti etnici, nazionalisti, neofascisti, leghisti
e post-coloniali, per giustificare l’odio verso l’altro.
Espressioni come cultura, relativismo, identità,
tradizione, appartenenza, etnia ed etnicità, patrimonio
culturale ma anche patria, cittadinanza, egemonia,
razza, genetica e differenza sono quotidianamente
utilizzate in campo politico.
Pensiamo alla comunicazione online di politici e
personaggi della sfera pubblica che utilizzano l’odio per
acquisire consenso. I social media, alla maniera del
“capitalismo a stampa” che dava forma alle “comunità
immaginate” di Anderson (2018), producono oggi
“comunità di sentimento” (Appadurai 2012, 2013),
ossia gruppi di persone che si ritrovano unite non tanto
da obiettivi condivisi quanto da odi comuni.
Il dibattito che durante gli anni Novanta si era
interrogato sulle conseguenze dello “scrivere contro le
culture” (Fox 1991, Abu-Lughod 1991, Hannerz 2001)
sembra richiedere oggi una nuova e puntuale
riflessione. Quando la patria è divenuta un’idea di
destra? Quali sono le strategie comunicative che
portano i gruppi neofascisti e xenofobi a identificarsi
con le minoranze oppresse incrociando – e quindi
rendendo più opache – le posizioni politiche dei partiti
di sinistra? Quali possono essere pratiche corrette e
informate di confronto con l’alterità? Quali quelle di
contrasto al linguaggio discriminatorio e
gerarchizzante? Come può intervenire l’antropologia in
questo campo? Solo a titolo di esempio, pensiamo ai
laboratori contro il razzismo, i gruppi teatrali, i progetti
culturali in accordo con i centri di accoglienza, i
progetti nelle scuole.
Invitiamo dunque i relatori a presentare proposte,
analisi teoriche, report di ricerca e di laboratori,
esemplificazioni di modalità comunicative innovative
che riflettano in modo teorico e pratico sul ruolo che
l’antropologia e gli antropologi hanno nell’analizzare
e contrastare le forme di comunicazione di movimenti,
esponenti politici, singole persone che semplificano la
complessità culturale, riducendola a contrapposizioni
basate sull'odio, e dell'odio fanno al contempo una
pratica del senso comune e una ideologia politica.
BIBLIOGRAFIA
Abu-Lughod L., 1991, Writing Against Culture, in R.G. Fox (ed), Recapturing Anthropology:
Working in the Present, Santa Fe, School of American Research Press, pp. 466-479.
Anderson B., 2018, Comunità immaginate. Origini e fortune del nazionalismo, Roma,
Laterza.
Appadurai A., 2012, Modernità in polvere, Milano, Raffaello Cortina.
Appadurai A., 2013, Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Milano,
Raffaello Cortina.
Hall S., 2018, Cultura, razza, potere, Verona, Ombre Corte.
Hannerz U., 2001, La diversità culturale, Bologna, il Mulino.
Holmes D.R., 2000, Integral Europe: Fast-Capitalism, Multiculturalism, Neofascism.
Princeton, Princeton University Press.
Based on ethnographic data collected in different localities of the state of Jalisco (Western Mexico), the paper examines the linkage and mutual effects that ritual performances, i.e. especially specific monetary exchanges between villagers during religious festivals, serves to construct differentiated identity in a region in which the historical process of cultural homogenization and the progressive globalization through migration, seem to have borrowed all distinctions.
In some of these localities, the recent resurgent of ethnic identity and self-classification in terms of indigeneity, is also strategic to perform ecological struggles. The paper examines comparatively these ethno-political processes confronting the different outcomes they produced: in some places the ethnicity being revitalized and used publicly, in others being hidden and reserved to intimate rituals. The ethnographic regional comparison will drive to theoretical questions about the hypothetical function/continuity/shift that cultural performances can have in the process of rebirth of indigeneity, in places of Mexico often depicted as culturally mestizo."
It seems that the force and durability of this potentially explosive triple connection it is actually (and even more in the future) guaranteed by the insertion of care-workers, the badanti, recruited in the global market of domestic-care.
We will show the results of a research recently conducted in one municipality of Central Italy, that had deeply investigated the daily interactions between the relatives, the migrant domestic workers (badanti), and the personnel of the local Municipality responsible of primary care of the non-autonomous elderly.
The main results that we want to discuss concerns the frequent situations of tension that are produced inside the houses when subjects of the 'triple connection' have to collaborate with each other. The misunderstandings and incommunicability that often produce conflicts instead of collaboration are the emergent aspects of different points of view about 'care', expectations, hierarchization of knowledge, technification of care. All this situations are very useful to understand how non-autonomous elderly are conceived by the state, by their relatives, and by the migrants, in this specific context and in one moment of crisis for the whole society.
Panels on Anthropology of Education, Anthropology and Migration, Development Anthropology, Anthropology and Urban problems, Anthropology and Health"
Nell'ambito della ricerca che conduco frammentariamente da alcuni anni tra la popolazione Ikojts del municipio di San Dionisio, in questa occasione intendo presentare una ricostruzione del conflitto sorto intorno al progetto di costruzione di 104 pale eoliche nelle lagune e nella terra a giurisdizione comunitaria, che ha prodotto la concessione di un referendum da parte del giudice regionale e il conseguente abbandono del progetto da parte della multinazionale.
Al di là della contingenza, però, questo caso mette in evidenza una domanda di portata vasta e urgente: la produzione di energia “green” è accompagnata da un discorso costruito intorno a valori ecologici egemonici ed è pertanto portatrice di ideali considerati “universali”, oppure ciò che la differenzia da altri metodi di produzione di energia finita, come quella fossile, riguarda esclusivamente aspetti tecnici?
Dallo studio dei materiali documentari (progetti, comunicati stampa, discorsi dei dirigenti aziendali e politici) si evince che siamo all'interno della prima ipotesi, ciò nonostante, l'egemonia del discorso della “green economy” è percorso da fratture che sono ben evidenziate dall'opposizione indigena al progetto.
Ancora più ampie sono le domande che questo caso solleva in ordine al concetto di sostenibilità, poichè entrambe le parti in conflitto si appellano alla sostenibilità ambientale per sostenere le proprie ragioni: la multinazionale e il governo regionale investono sul concetto di economia verde secondo la logica sottesa al protocollo di Kyoto, mentre gli oppositori al progetto sostengono che la propria modalità di sfruttamento delle lagune attraverso la pesca ha dimostrato tanto una sostenibilità economica come naturale, testimoniata dalla riproduzione del gruppo umano in convivenza con l'ambiente, nel medesimo contesto, per centinaia di anni. Dal loro punto di vista, tale sostenibilità è oggi sottoposta a rischio di estinzione a causa di progetti di sfruttamento che rischiano di destrutturare l'ecosistema.
La contrapposizione non sta quindi tra conservazione e sviluppo, al contrario entrambe le opzioni considerano corretto sfruttare il territorio e la natura (terra, acqua, vento), ed entrambe considerano la propria logica di sfruttamento la più appropriata ai fini della sostenibilità ambientale. L'ipotesi che propongo è che la sostenibilità a cui si appella l'opzione internazionale sia di tipo liberista e di corto raggio, anche se lo fa appellandosi ad un beneficio comune e planetario; la sostenibilità a cui si appella la seconda si inscrive in una prospettiva comunitaria e collettiva, di lunga durata, che risulta però estremamente localizzata.
In conclusione, il paper cercherà di affrontare il ruolo che l'antropologo può avere in un conflitto in cui non si tratta di prendere posizione a favore o contro una delle due opzioni, quanto piuttosto di evitare che le diverse concezioni del “bene comune” impediscano la diffusione di modalità di produzione energetica rinnovabile.
Francesco Zanotelli (Universidad de Messina)
El estado de Oaxaca, suroeste de México, representa, dentro del panorama de movimientos indígenas, campesinos y urbanos de América Latina, un ejemplo de luchas autonómicas constantes durante toda la segunda mitad del siglo XX. Desde la Cocei en el Istmo de Tehuantepec, que es el primer movimiento obrero-estudiantil que gana el poder de la sub-región en los Setentas en contra del partido único (PRI), hasta la reforma del gobierno del estado que en 1995 produce una ley electoral institucionalizando los usos y costumbres indígenas como forma de elección de las autoridades municipales, para llegar al levantamiento de 2006 cuando, durante algunos meses, la Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca tomó el control de la capital del Estado, la Ciudad de Oaxaca. Oaxaca, entonces, es un territorio que, con su extrema pluralidad cultural – una tercera parte de la población es hablante de alguna lengua indígena – actúa un papel importante sea como innovador que como receptor de dinámicas de cambio social y político dentro del mas amplio proceso que hoy en día América Latina vive. Dentro de este contexto, el Istmo en particular conecta elementos históricos y culturales muy propios con fuerzas e intereses tanto nacionales como globales. Su posicionamiento geopolítico es crucial: mirando hacia el eje este-oeste observamos el trafico de petróleo desde los pozos atlánticos de Veracruz hasta las refinerías de Salina Cruz y de su puerto en la costa del Pacifico; mirando al eje norte-sur observamos que por el Istmo corre la carretera panamericana, el ferrocarril, gasoductos, oleoductos y en general todo lo que comprende el plan de desarrollo “Puebla-Panamá” (2001) hoy renombrado como “Plan Mesoamerica” (2008).
Es dentro de esta política transnacional de marco neoliberal que el proyecto de aprovechamiento de la fuerza eólica del Istmo se transforma en algo muy intensivo, en donde las empresas transnacionales actúan como acaparadoras del viento que supla poderoso sobre las lagunas y los territorios.
Pronto, las poblaciones indígenas del Istmo se organizan en contra de un nuevo programa de aprovechamiento que entiende colocar al rededor de 150 aerogeneradores dentro del territorio de los municipios Ikojts (Huave) y en las lagunas que constituyen la principal fuente de sustento y producción local.
En mi ponencia abordaré de forma sintética algunos temas que este ejemplo pone en tela de juicio.
− primariamente, hay que observar las practicas del conflicto por parte de quienes estan en favor del proyecto: persuasión, corrupción de las autoridades, compra de voto, gestión de las asambleas, violencia organizada.
− segundo, observar los efectos novedosos en términos auto-gestionarios activados por los opositores del proyecto considerando los procesos historico-políticos arriba mencionados (participación en asamblea, marginalidad de los partidos políticos, ocupación de espacios públicos, conexión con movimientos nacionales e internacionales, utilizo de la jurisdicción internacional).
− finalmente, es preciso discutir las diferentes concepciones de “sustentabilidad” y los diferentes discursos sobre la energía verde que están en juego: las de las empresas transnacionales, de las instituciones nacionales y estatales, de los movimientos anticapitalistas y de la población indígena y discutir la articulación entre defensa del territorio local y oposición a proyectos internacionales.
Also, the conference will be the occasion to articulate the concepts of "nature", "sustainability", "chronopolitics" with the ethnography of the Ikotjs experience of the wind and the earthquake.
Nella mattinata avrà luogo la riunione di avvio del progetto di ricerca europeo sulla crisi dei migranti nel Mediterraneo (ESRC Urgency Grant) recentemente finanziato dal Consiglio delle Ricerche Economiche e Sociali britannico, al quale collaboreranno unità di ricerca del Regno Unito, della Grecia e, per l'Italia, una unità di ricerca socio-antropologica dell'Università di Messina e le Organizzazioni Non Governative e di volontariato Arci Sicilia, BorderLine Sicilia e il comitato locale della Croce Rossa di Mazara del Vallo.
Nel pomeriggio i partecipanti presenteranno al pubblico i lavori della mattinata. In seguito avrà luogo una tavola rotonda sul tema Current Anthropological Analysis and the Crisis of Neoliberalism in Southern Europe, che vedrà le varie unità di ricerca antropologiche discutere informalmente delle proprie ricerche in contesti diversi dell’Europa del Sud.
Espressioni come cultura, relativismo, identità, tradizione, appartenenza, etnia ed etnicità, patrimonio culturale ma anche patria, cittadinanza, egemonia, razza, genetica e differenza sono quotidianamente utilizzate in campo politico.
In Italia nel 2011 le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806, sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente (+0,7% per le separazioni e -0,7% per i divorzi).
I tassi di separazione e di divorzio totale sono in continua crescita. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi.
La durata media del matrimonio al momento dell'iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi.
L'età media alla separazione è di circa 46 anni per i mariti e di 43 per le mogli; in caso di divorzio raggiunge, rispettivamente, 47 e 44 anni. Questi valori sono aumentati negli anni per effetto della posticipazione delle nozze in età più mature e per la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne.
La tipologia di procedimento scelta in prevalenza dai coniugi è quella consensuale: nel 2011 si sono concluse in questo modo l'84,8% delle separazioni e il 69,4% dei divorzi.
La quota di separazioni giudiziali (15,2% il dato medio nazionale) è più alta nel Mezzogiorno (19,9%) e nel caso in cui entrambi i coniugi abbiano un basso livello di istruzione (21,5%).
Il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio. Il 90,3% delle separazioni di coppie con figli ha previsto l'affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo l'introduzione della Legge 54/2006.
Nel 19,1% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge (nel 98% dei casi corrisposto dal marito). Tale quota è più alta al Sud e nelle Isole (rispettivamente 24% e 22,1%), mentre nel Nord si attesta al 16%.
Nel 57,6% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,9% al marito mentre nel 18,8% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale.
I report dell’ISTAT ci consegnano una foto dalle “tinte forti” che nella fissità dei dati statistici indica il percorso sul quale sembra essersi avviata da tempo la famiglia.
Il “freddo” dato numerico però, da solo, non riesce a restituirci né le reali dinamiche intrafamiliari né quelle successive alla separazione e al divorzio.
Cosa accade fuori dalle aule giudiziarie e degli studi legali?
Quali sono le reali conseguenze sulle “vite” e i “ruoli” dei singoli componenti della famiglia separata?
L’attuale legislazione riesce a contenere la conflittualità di coppia spesso tendenzialmente presente nei percorsi separativi?
La legislazione sul divorzio, e la sua applicazione giurisprudenziale, sono aderenti agli attuali mutamenti culturali o condizionano il mantenimento dei tradizionali “ruoli di genere”?
A questi quesiti si cercherà di dare risposte nell’ambito dei lavori del convegno che saranno coordinati dalla Prof.ssa Mara Benadusi, docente di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania, e che vedrà la presenza dei seguenti relatori:
Prof.ssa Rita Palidda, docente di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania;
Prof. Francesco Zanotelli ricercatore di Antropologia dell’Università di Messina
On. Dott. Giovanni Burtone, Deputato al Parlamento Nazionale e componente della Commissione affari Sociali e della Commissione antimafia;
Avv. Maurizio Benincasa, membro del Direttivo Nazionale delle Camere Minorili;
Avv. Adriana Laudani, rappresentante dell’UDI (Unione Donne Italiane) (da confermare)
Sig. Andrea Poma, Presidente dell’Associazione “Genitori a vita”;
Download it and send it directly from your e-mail address.
the last decade, which have radically transformed the mobility trajectories
of migrants, the article analyses the im-mobility produced by these policies through existential, spatial and temporal perspectives. Going deep
into two ethnographic settings in Calabria (Southern Italy), one rural and
one urban, the article investigates how people involved in the process of
going through the reception system can enhance their aspirations, hopes
and desires in the attempt to find greater existential, work and housing
stability. Together with the initiatives of local groups and social networks,
the ‘“capacity to aspire’” of individuals is, in fact, the basis of the possibility to navigate the im-mobility produced by migration policies as well
as to imagine and practice the future in present-times.