The revolution that affected the Western thought during the 20 th century also involved music, th... more The revolution that affected the Western thought during the 20 th century also involved music, the way it is made and listened to. If music can be called by definition «art of sounds», on one hand, being thus part of those activities which are purely human, on the other hand one should think that, likely and maybe more manifestly than other arts, music can express itself as a mean to take the human being out from him/herself. This can result evidently in the abundance of sacred and ritualistic music that we can find in our world and history. We propose hereby an interpretation of the musical phenomenon through which such a twofold guise (and function?) can be analysed, using the pattern traced by G. Deleuze and F. Guattari, mostly in A Thousand Plateaus. To this end, we will start from what seems to be the material on (with) which music acts: the sound and the effect that a repeated sound produces, namely, the refrain.
Che ruolo può avere il maschio all’interno di una teoria e di una prassi femministe ‒ per di più rigorosamente intersezionali? Di certo nessuno. Al di là delle facili reazioni di autocommiserazione1, il pensiero del maschio può tuttavia essere decolonizzato. Tale decolonizzazione corrisponde alla cacciata del maschio dal pensiero stesso, un processo che ha origine dalla maturazione di una coscienza di classe, oltre che di genere. Il femminismo è per noi una questione di posizionamento, il risultato di un’interrogazione che si compie su di sé, o dalla quale si è improvvisamente scossi. Posizionarsi significa innanzitutto narrare se stessi nel proprio contesto materiale, produrre un’analisi storico-genealogica, biografica, politica, sociale ed economica della propria posizione all’interno (o ai margini) di una comunità. Solo a partire da questo processo è possibile confrontarsi con chi di questa narrazione fa o non fa parte, con chi è escluso o con chi esclude dai processi di soggettivazione.
The revolution that affected the Western thought during the 20 th century also involved music, th... more The revolution that affected the Western thought during the 20 th century also involved music, the way it is made and listened to. If music can be called by definition «art of sounds», on one hand, being thus part of those activities which are purely human, on the other hand one should think that, likely and maybe more manifestly than other arts, music can express itself as a mean to take the human being out from him/herself. This can result evidently in the abundance of sacred and ritualistic music that we can find in our world and history. We propose hereby an interpretation of the musical phenomenon through which such a twofold guise (and function?) can be analysed, using the pattern traced by G. Deleuze and F. Guattari, mostly in A Thousand Plateaus. To this end, we will start from what seems to be the material on (with) which music acts: the sound and the effect that a repeated sound produces, namely, the refrain.
Che ruolo può avere il maschio all’interno di una teoria e di una prassi femministe ‒ per di più rigorosamente intersezionali? Di certo nessuno. Al di là delle facili reazioni di autocommiserazione1, il pensiero del maschio può tuttavia essere decolonizzato. Tale decolonizzazione corrisponde alla cacciata del maschio dal pensiero stesso, un processo che ha origine dalla maturazione di una coscienza di classe, oltre che di genere. Il femminismo è per noi una questione di posizionamento, il risultato di un’interrogazione che si compie su di sé, o dalla quale si è improvvisamente scossi. Posizionarsi significa innanzitutto narrare se stessi nel proprio contesto materiale, produrre un’analisi storico-genealogica, biografica, politica, sociale ed economica della propria posizione all’interno (o ai margini) di una comunità. Solo a partire da questo processo è possibile confrontarsi con chi di questa narrazione fa o non fa parte, con chi è escluso o con chi esclude dai processi di soggettivazione.
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Papers by Giuseppe Molica
e in versione 'manifesto' all'interno della raccolta "Dopo Hegel, su Cosa Sputiamo?": http://lagallerianazionale.com/site2018/wp-content/uploads/2018/10/Dopo-Hegel-WOOJ.pdf
Che ruolo può avere il maschio all’interno di una teoria e di una prassi femministe ‒ per di più rigorosamente intersezionali? Di certo nessuno. Al di là delle facili reazioni di autocommiserazione1, il pensiero del maschio può tuttavia essere decolonizzato. Tale decolonizzazione corrisponde alla cacciata del maschio dal pensiero stesso, un processo che ha origine dalla maturazione di una coscienza di classe, oltre che di genere. Il femminismo è per noi una questione di posizionamento, il risultato di un’interrogazione che si compie su di sé, o dalla quale si è improvvisamente scossi. Posizionarsi significa innanzitutto narrare se stessi nel proprio contesto materiale, produrre un’analisi storico-genealogica, biografica, politica, sociale ed economica della propria posizione all’interno (o ai margini) di una comunità. Solo a partire da questo processo è possibile confrontarsi con chi di questa narrazione fa o non fa parte, con chi è escluso o con chi esclude dai processi di soggettivazione.
e in versione 'manifesto' all'interno della raccolta "Dopo Hegel, su Cosa Sputiamo?": http://lagallerianazionale.com/site2018/wp-content/uploads/2018/10/Dopo-Hegel-WOOJ.pdf
Che ruolo può avere il maschio all’interno di una teoria e di una prassi femministe ‒ per di più rigorosamente intersezionali? Di certo nessuno. Al di là delle facili reazioni di autocommiserazione1, il pensiero del maschio può tuttavia essere decolonizzato. Tale decolonizzazione corrisponde alla cacciata del maschio dal pensiero stesso, un processo che ha origine dalla maturazione di una coscienza di classe, oltre che di genere. Il femminismo è per noi una questione di posizionamento, il risultato di un’interrogazione che si compie su di sé, o dalla quale si è improvvisamente scossi. Posizionarsi significa innanzitutto narrare se stessi nel proprio contesto materiale, produrre un’analisi storico-genealogica, biografica, politica, sociale ed economica della propria posizione all’interno (o ai margini) di una comunità. Solo a partire da questo processo è possibile confrontarsi con chi di questa narrazione fa o non fa parte, con chi è escluso o con chi esclude dai processi di soggettivazione.