Interrogarsi oggi sulla figura di Satana non significa tout court occuparsi di satanismo. Certo, gli studi sociologici e storici sui vari movimenti settari identificabili con questo nome sono di primaria importanza, poiché permettono di... more
Interrogarsi oggi sulla figura di Satana non significa tout court occuparsi di satanismo. Certo, gli studi sociologici e storici sui vari movimenti settari identificabili con questo nome sono di primaria importanza, poiché permettono di comprendere le dinamiche che hanno spesso condotto a feroci delitti e a crimini di ogni genere. Tuttavia, da un punto di vista culturale più generale, non bisogna peccare di superficialità – autentico male del nostro tempo – ritenendo che Satana nuoccia esclusivamente a coloro che, per vari motivi, decidano di adorarlo esplicitamente. La simbolica diabolica è e resta uno dei punti cruciali per la cultura occidentale, oggi non meno di quanto ciò fosse vero per il cristianesimo dei primi secoli. A ben vedere, la figura di Satana rappresenta uno dei simboli più densi della storia della cristianità, e chiede – dopo secoli di esegesi e di teologia – di essere ripensato da un punto di vista strettamente antropologico e filosofico. Nel panorama del pensiero contemporaneo, una delle prospettive teoriche che più sistematicamente è riuscita a pensare insieme religione e violenza, reinterpretando originalmente anche la figura di Satana, è senz’altro quella proposta da René Girard. Da più di quarant’anni, questa singolare figura intellettuale di critico letterario, antropologo e filosofo ha messo alla prova la propria ipotesi sul desiderio mimetico - secondo cui tutti gli uomini desiderano ciò che un modello suggerisce loro, trasformandosi così in rivale - strettamente legata al meccanismo del capro espiatorio, secondo cui, in momenti di particolare crisi, le comunità umane tendono a scaricare la violenza reciproca su una sola vittima che viene espulsa o eliminata riportando così la concordia sociale. Da più di un decennio, Girard – interpretando i simboli che attraversano le Sacre Scritture, dalla Genesi all’Apocalisse – ha iniziato a denotare l’intero processo mimetico come processo satanico. Lasciato libero di agire tra gli uomini, Satana crea quel meccanismo sacrificale su cui tutte le comunità umane si fondano, innesca quella tensione violenta che porterà al sacrificio di un capro espiatorio innocente, insomma costruisce il sistema culturale di quelli che l’Apocalisse indica come Potestà e Principati, ossia ogni potere terreno. Nella lettura girardiana, il mimetismo violento e vittimario è simboleggiato da Satana, che diventa così icona del meccanismo cui si oppone l’opera demistificatrice del logos di Cristo, messaggio anti-violento per eccellenza. Rivelando il segreto di ogni meccanismo espiatorio, darà origine a una battaglia con le forze del male destinata a durar fino all’éskaton, alla fine dei tempi, quando la menzogna del sistema satanico sarà del tutto svelata e l’uomo completamente redento. Fino ad allora, la scelta tra Satana e Cristo spetta solo agli uomini, consegnati alla propria libertà abissale. Chi ci spinge alla rivalità mimetica, edificando la nostra civiltà su un’interminabile catena di sacrifici e di espulsioni, fecondando la nostra terra e la nostra «cultura» con il sangue delle vittime di ogni tempo e di ogni luogo? Il diavolo, probabilmente.
Questo breve lavoro nasce dalla crescente necessità – in primis di chi scrive, ma col proposito di poterla condividere con molti altri – di una riflessione complessiva su quel movimento filosofico e su quella particolare temperie... more
Questo breve lavoro nasce dalla crescente necessità – in primis di chi scrive, ma col proposito di poterla condividere con molti altri – di una riflessione complessiva su quel movimento filosofico e su quella particolare temperie culturale che si è soliti indicare con l’espressione “fenomenologia francese.” Nel dibattito filosofico europeo degli ultimi anni, è sorta da più parti la questione della legittimità di una tale categoria storiografica per indicare un certo numero di autori francesi che, traendo ispirazione dall’immenso corpus delle opere husserliane, ha in certo modo inteso proseguire alcuni dei percorsi teorici aperti dal padre della fenomenologia, pur pervenendo a risultati molto distanti dagli intenti originari del filosofo tedesco, perfino opposti. Insomma, perché includere ancora nel novero dei progetti autenticamente fenomenologici una molteplicità di percorsi filosofici che hanno modificato radicalmente - per non dire rovesciato – lo spirito e la lettera dei testi di Husserl? Non bisognerebbe piuttosto chiamarli “cattivi fenomenologi”? Ora, l’intento di questo breve lavoro è appunto difendere la legittimità di un simile uso terminologico e teorico, mostrando che è lo stesso progetto husserliano a plasmare, sebbene incoativamente, le “eresie” che da esso sono germinate: non si tratta tanto di segnalare ambiguità od oscillazioni nel pensiero di Husserl – cosa già fatta da molte altre voci ben più autorevoli -, ma di far emergere quelle feconde tensioni interne che sono il segno evidente della più profonda vitalità e attualità sia del pensiero husserliano, sia della filosofia francese che continua a misurarsi con esso.
Un altro libro su René Girard… Così il lettore – per quanto avidamente interessato alla filosofia francese - potrebbe reagire, con aria alquanto afflitta o persino irritata, all’uscita di questo saggio, accorgendosi della sua presenza... more
Un altro libro su René Girard… Così il lettore – per quanto avidamente interessato alla filosofia francese - potrebbe reagire, con aria alquanto afflitta o persino irritata, all’uscita di questo saggio, accorgendosi della sua presenza sullo scaffale di una qualunque libreria. Già, perché negli ultimi anni la letteratura critica su Girard, ormai un vero e proprio “classico vivente” del pensiero contemporaneo, si è moltiplicata incredibilmente, con risultati non sempre eccellenti. Ciononostante, a cinque anni di distanza da Al di là della vittima. Cristianesimo, violenza e fine della storia, è sorta l’esigenza di proseguire ciò che in quel testo, per ovvi motivi di spazio, non si era potuto articolare, ossia un confronto dialogico “personale” – il più diretto possibile – tra Girard e alcuni tra i più rappresentativi autori europei contemporanei. È così nata l’idea di questi “dialoghi a distanza”, autentici incontri immaginari tra Girard e antropologi come Frazer o Lévi-Strauss e filosofi come Heidegger o Sartre, nel tentativo di chiarire la portata di molteplici questioni teoriche – ad esempio, la mancanza d’essere sartriana come radice ontologica del desiderio mimetico, la malafede come diretto antecedente della méconnaissance, il tema heideggeriano della fine della metafisica come svelamento del sacro violento - inerenti la teoria mimetica e di mettere in luce i nodi concettuali più densi in cui meglio emerge la stretta correlazione tra il pensiero girardiano e la alquanto variegata temperie culturale francese a partire dagli anni Quaranta del Novecento. Ci auguriamo che questo libro possa essere utile non solo per chi si accinge ad iniziare la navigazione nell’oceano antropologico, filosofico e religioso girardiano, ma che possa offrire fecondi spunti di riflessione per spingere un po’ più in là la comprensione dell’uomo, dell’altro e dei mali che affliggono i nostri giorni.
Il percorso seguito in questo libro conduce – a partire dal nodo problematico iniziale, costituito dal confronto tra Husserl e Heidegger sullo statuto e sulla possibilità della fenomenologia nel suo rapporto con l’ontologia - ad un sito... more
Il percorso seguito in questo libro conduce – a partire dal nodo problematico iniziale, costituito dal confronto tra Husserl e Heidegger sullo statuto e sulla possibilità della fenomenologia nel suo rapporto con l’ontologia - ad un sito fenomenologico in cui, da un lato, si possono comprendere retrospettivamente e unitariamente, secondo uno snodarsi complesso ma intimamente radicato in un plesso problematico unitario, tutte le articolazioni del percorso fenomenologico che da Husserl conduce a Marion passando attraverso Heidegger e Derrida, e dall’altro lato è possibile gettare uno sguardo in avanti verso una più adeguata comprensione della fenomenalità del fenomeno, aprendo così uno scenario nuovo in cui la Gegebenheit husserliana libera ogni sua potenzialità donatrice sino al paradosso estremo di un eccesso di donazione, di una saturazione che si offre solo in quanto fenomeno dell’impossibile.
Questo saggio tenta pertanto di ricostruire i momenti più significativi dell’aspra discussione fra Husserl e Heidegger e di individuare i nodi problematici più densi di conseguenze per la fenomenologia francese successiva, tentando di mostrare – in sintonia con larga parte della filosofia francese recente - che tale rottura rimane interna alla fenomenologia e non costituisce, al contrario, un’uscita da essa, ma lo sviluppo di una nuova e ulteriore possibilità, già contenuta in nuce nella complessa fenomenologia husserliana ma non ancora liberata da quel trascendentalismo che ne non permette lo sviluppo sino alle sue possibilità ultime e più radicali. Sebbene Derrida abbia il merito di aver mostrato numerose aporie del testo husserliano, evidenziandone i debiti nei confronti di quello che egli chiama fonologocentrismo, egli non procede fenomenologicamente oltre l’aporia stessa, irrigidendola e facendone l’unico orizzonte post-metafisico; al contrario, la proposta teorica di Marion, pur costituendo una sorta di eresia fenomenologica, ne porta a compimento la “passione per la fenomenalità” e il tentativo di fondo, cioè quello di pervenire per via riduttiva alla datità del fenomeno. Ne scaturisce un’intensa e feconda discussione tra Derrida e Marion a proposito della possibilità stessa di una fenomenologia del dono, declinato in termini di gratuità (Derrida) o ridotto alla donazione (Marion).
Con Husserl, con Heidegger, ma al di là di entrambi, nel tentativo di tracciare un sentiero teorico che, passando attraverso Derrida e Marion, sappia far avanzare – forse soltanto di pochi passi, ma tutti di grande profondità - il progetto fenomenologico originario nella sua più autentica aspirazione teoretica.
Questo saggio tenta pertanto di ricostruire i momenti più significativi dell’aspra discussione fra Husserl e Heidegger e di individuare i nodi problematici più densi di conseguenze per la fenomenologia francese successiva, tentando di mostrare – in sintonia con larga parte della filosofia francese recente - che tale rottura rimane interna alla fenomenologia e non costituisce, al contrario, un’uscita da essa, ma lo sviluppo di una nuova e ulteriore possibilità, già contenuta in nuce nella complessa fenomenologia husserliana ma non ancora liberata da quel trascendentalismo che ne non permette lo sviluppo sino alle sue possibilità ultime e più radicali. Sebbene Derrida abbia il merito di aver mostrato numerose aporie del testo husserliano, evidenziandone i debiti nei confronti di quello che egli chiama fonologocentrismo, egli non procede fenomenologicamente oltre l’aporia stessa, irrigidendola e facendone l’unico orizzonte post-metafisico; al contrario, la proposta teorica di Marion, pur costituendo una sorta di eresia fenomenologica, ne porta a compimento la “passione per la fenomenalità” e il tentativo di fondo, cioè quello di pervenire per via riduttiva alla datità del fenomeno. Ne scaturisce un’intensa e feconda discussione tra Derrida e Marion a proposito della possibilità stessa di una fenomenologia del dono, declinato in termini di gratuità (Derrida) o ridotto alla donazione (Marion).
Con Husserl, con Heidegger, ma al di là di entrambi, nel tentativo di tracciare un sentiero teorico che, passando attraverso Derrida e Marion, sappia far avanzare – forse soltanto di pochi passi, ma tutti di grande profondità - il progetto fenomenologico originario nella sua più autentica aspirazione teoretica.
Research Interests:
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“Es gibt keine Ontologie neben einer Phänomenologie, sondern wissenschaftliche Ontologie ist nichts anderes Phänomenologie” , écrit Heidegger en 1925, en totale divergence à l’égard de ce que Husserl écrivait en 1912: “Denn an sich, […]... more
“Es gibt keine Ontologie neben einer Phänomenologie, sondern wissenschaftliche Ontologie ist nichts anderes Phänomenologie” , écrit Heidegger en 1925, en totale divergence à l’égard de ce que Husserl écrivait en 1912: “Denn an sich, […] ist Ontologie nicht Phänomenologie” . Pour la phénoménologie, il y a quelque chose d’inaugural dans la question du rapport avec l’ontologie: il suffit de rappeler cettes affirmations du “père” de la phénoménologie et de son “élève hérétique” pour se rendre compte qu’il s’agit d’un leit-motiv qui l’accompagne dès ses origines jusqu’à ses développements les plus récents; en d’autres termes, il s’agit d’une tension originelle qui travaille la phénoménologie à son intérieur et l’oblige constamment à réflechir sur ses gestes fondateurs, sur sa méthode et sur ses possibilités futures.
Il n’est pas question de la très grande diffusion de la phénoménologie en France et de la multiplicité des parcours théoriques qu’elle a ouvert. Nos interêts s’addressent ici à la persistance de celle tension originelle entre phénoménologie et ontologie même à l’intérieur du vaste panorama phénoménologique français: en particulier, elle est bien visible chez deux parmi les plus connus philosophes français de notre temps, Jean-Luc Marion et Michel Henry: la comunication proposée se pose justement comme tâche de remarquer les différences et le points de contact entre les perspectives phénoménologiques de Marion et Henry à propos du rapport entre phénoménologie et ontologie. Il s’agit donc de montrer comme, d’un côté, Marion affirme la necessité d’une radicale destitution de toute ontologie pour liberer les infinies possibilités de la donation , tandis que, de l’autre côté, Henry conçoit la phénoménologie comme éclaircissement ontologique de l’essence du phénomène. Pareillement, si pour Marion le Moi doit être posé hors-d’être afin que la donation ait lieu, pour Henry l’être constitue l’essence de la manifestation: pas l’être en tant qu’horizon des phénomènes (comme chez Heidegger), mais en tant que possibilité de la manifestation de l’horizon des phénomènes, c’est-à-dire comme structure phénoménologique qu’en fonde la possibilité originelle. Les parcours théoriques de Marion et Henry parviennent à une seule question essentielle: la “percée” de la donation ne mène-t-elle nécessairement la phénoménologie vers la Seinsfrage? En d’autres termes, la réduction phénoménologique pourrait-elle conduire la phénoménologie à concevoir l’être en tant que phénomène?
Il n’est pas question de la très grande diffusion de la phénoménologie en France et de la multiplicité des parcours théoriques qu’elle a ouvert. Nos interêts s’addressent ici à la persistance de celle tension originelle entre phénoménologie et ontologie même à l’intérieur du vaste panorama phénoménologique français: en particulier, elle est bien visible chez deux parmi les plus connus philosophes français de notre temps, Jean-Luc Marion et Michel Henry: la comunication proposée se pose justement comme tâche de remarquer les différences et le points de contact entre les perspectives phénoménologiques de Marion et Henry à propos du rapport entre phénoménologie et ontologie. Il s’agit donc de montrer comme, d’un côté, Marion affirme la necessité d’une radicale destitution de toute ontologie pour liberer les infinies possibilités de la donation , tandis que, de l’autre côté, Henry conçoit la phénoménologie comme éclaircissement ontologique de l’essence du phénomène. Pareillement, si pour Marion le Moi doit être posé hors-d’être afin que la donation ait lieu, pour Henry l’être constitue l’essence de la manifestation: pas l’être en tant qu’horizon des phénomènes (comme chez Heidegger), mais en tant que possibilité de la manifestation de l’horizon des phénomènes, c’est-à-dire comme structure phénoménologique qu’en fonde la possibilité originelle. Les parcours théoriques de Marion et Henry parviennent à une seule question essentielle: la “percée” de la donation ne mène-t-elle nécessairement la phénoménologie vers la Seinsfrage? En d’autres termes, la réduction phénoménologique pourrait-elle conduire la phénoménologie à concevoir l’être en tant que phénomène?