UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «L’ORIENTALE»
ANNALI DI ARCHEOLOGIA
E STORIA ANTICA
DIPARTIMENTO DI STUDI DEL MONDO CLASSICO
E DEL MEDITERRANEO ANTICO
Nuova Serie N. 15 - 16
2008-2009 Napoli
SULLE PRESUNTE “ISCRIZIONI” IN LINEARE A E B DA ITACA
Matilde Civitillo
Patria di Odisseo naturalmente collegata all’epos
omerico e da sempre oggetto di studio da parte di
storici e ilologi, Itaca rappresentò, come Troia, una
meta di indagine privilegiata per coloro i quali, a
partire dall’inizio del XIX secolo, si misero sulle
tracce del passato “omerico” della Grecia. Così,
ancor prima che Schliemann si ponesse alla ricerca
dei resti della cittadella di Troia, l’altro principale
polo di interesse di antiquari e viaggiatori fu rappresentato dalla ricerca della “reggia” del iglio di
Laerte. Dopo circa due secoli dalle prime esplorazioni sull’isola, tuttavia, non si può afermare che
le sue vicende di popolamento siano state oggetto
di una interpretazione univoca né, soprattutto, che
se ne possano ricostruire agilmente (nelle forme,
modalità e inalità) le fasi risalenti alla Media e Tarda Età del Bronzo, di recente riportate alla ribalta
dalla notizia del rinvenimento di una “iscrizione”
in Lineare (A o B)1 da Haghios Athanasios.
Il primo a prestare interesse per l’isola fu W. Gell2,
che tra il 1800 ed il 1803 ne esplorò tutte le vestigia
che potessero trovare un corrispondente con i siti
descritti dal poeta di Chio, segnalando per la prima
volta le mura “ciclopiche” di Pelikata. L’ubicazione
in questo sito del “palazzo” di Ulisse fu sostenuta
da Leake3, che intraprese sull’isola una serie di scavi
sistematici nel 1806, cui seguirono quelli di J. Lee4 e
Philippe de Bosset5 tra il 1810 ed 1813 e del capitano Guitera6 tra il 1811 ed il 1814. Nel 1864 l’isola
fu la prima “meta omerica” di H. Schliemann, che
vi ritornò nel 1868 e 1878, dopo gli scavi condotti
a Troia e Micene7. Questi scavò alcune trincee ad
Aetos, Dexia, Pelikata e Haghios Athanasios senza
riuscire a rinvenire, tuttavia, niente di “omerico”,
ma accogliendo l’ipotesi, sostenuta in quegli anni da
Gell, che la “reggia” di Odisseo fosse ubicata nella
porzione meridionale dell’isola (Aetos). Tuttavia,
la “resistenza” da parte dei siti qui ubicati (oltre a
quest’ultimo, anche di Vathy) a fornire indizi suficientemente chiari a favore dell’identiicazione di
luoghi che si pretendeva “omerici”, determinò, tra
la ine del XIX e l’inizio del XX secolo, il concentrarsi delle ricerche maggiormente sulla porzione
settentrionale dell’isola, dove, oltre a Leake, anche il
geografo J. Partsch8 riteneva che più probabilmente
si potessero trovare i resti della città “omerica”.
In questa temperie e nell’ambito di una campagna
estensiva nel nord e nel sud dell’isola, tra il 1903 ed
1904 W. Vollgraf9 (inanziato, come Dörpfeld, da
A.E.H. Goekoop) portò alla luce i primi esemplari
di ceramica micenea dalla “grotta delle Ninfe” a
Polis, cui si accompagnò il rinvenimento dei primi
frammenti risalenti all’Antico Bronzo a Pelikata.
Ciononostante, non avendo tali siti itacensi rispettato
1
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, pp.
183-186.
2
W. Gell, Geography and Antiquities of Ithaca, London 1807.
Si ricordano, tra i primi viaggiatori che descrissero le antichità
dell’isola, W.A. Goodison, A Historical and Topographical Essay upon the Islands of Corfu, Leucadia, Cephalonia, Ithaca and
Zante, London 1822; T.C. Kendrick, he Ionian Islands, London 1822; C.C.E. Schreiber, Ithaca, Leipzig 1829.
3
W.M. Leake, Travels in Northern Greece, vol. 3, London 1835.
4
J. Lee, ‘Antiquarian Researches in the Ionian Islands’, in
Archaeologia 33, 1849, pp. 36-54, tavv. II-III.
5
P. De Bosset, Essai sur médailles antiques des îles de Céphalonie
et d’Itaque, London 1815. Per i suoi scavi ad Aetos, condotti
tra il 1810 e il 1813, cfr. D. Knöpler, ‘La provenance des vases
mycéniens de Neuchâtel’, in MusHelv 27, 1970, pp. 107 ss.
6
A. Guitera, ‘Notice sur les fouilles faites dans l’île d’Ithaque,
au pied de la montagne, sous le château d’Ulysses et autres lieux’,
in Bulletin des sciences historiques VII, Paris 1827, pp. 389-391.
Cfr. V. Bérard, Ithaque et la Grèce des Achéens, Paris 1927, p. 205.
7
Schliemann 1869; idem, Ilios: the City and Country of the
Trojans, London 1880, pp. 45-49.
8
J. Partsch, Kefallenia und Ithaca, Gotha 1980.
9
W. Vollgraf, ‘Fouilles d’Ithaque’, in BSA 29, 1905, p. 151,
ig. 14.
Matilde Civitillo
72
le aspettative degli studiosi in termini di complessità
di cultura materiale ascrivibile alla Tarda Età del
Bronzo e all’Età del Ferro, l’interesse di questi ultimi si rivolse alle altre isole dell’arcipelago, tentando
una diversa localizzazione della Itaca descritta da
Omero, cui seguì una lunga teoria10 di proposte
di identiicazione caratterizzate da diversi gradi di
verosimiglianza, accompagnate da rilessioni più o
meno inluenzate dalla descrizione omerica dell’isola
nonché da interpretazioni più o meno afrettate del
materiale archeologico che veniva progressivamente
alla luce. Così, dagli scavi condotti a Lefkada a partire
dal 1901, Dörpfeld11 trasse la convinzione che l’Itaca
omerica fosse da identiicare con quest’isola, mentre
E.H. Goekoop12 la identiicò con Cefalonia alla
luce delle necropoli (Mazarakata, Riza e KokkolataKangelisses) scavate da P. Kavvadias nel 190813.
A partire dagli anni ’20 del Novecento l’interesse
su Itaca fu poi riportato da Sylvia Benton14, che
vi condusse una serie di esplorazioni il cui frutto
(in termini di materiale raccolto) fu parzialmente
perduto a causa del terremoto del 1953. Intanto, la
Scuola Archeologica Inglese di Atene, nella convinzione della sua identiicazione con l’Itaca omerica15,
vi aveva intrapreso una serie di campagne di scavo
sistematiche (inanziate da Lord Rennell16) sotto
la direzione di W.A. Heurtley, portando alla luce,
tra il 1930 ed il 1935, pressoché tutto ciò che si
conosce a tutt’oggi sul popolamento dell’isola nel
Bronzo Tardo e nell’antica Età del Ferro. I risultati
più importanti furono raggiunti a Pelikata da Heurtley, nonché ad Aetos e Polis dalla Benton la quale,
insieme alla H. Waterhouse, scavò anche a Stavros
e Tris Langadas17. Nell’ultimo quarantennio l’isola
è stata nuovamente teatro di una serie di sondaggi
e di scavi, prima nell’ambito del he Odyssey Project,
diretto da S. Symeonoglou18 a partire dal 1984, e poi
nel contesto di un più ampio progetto relativo alla
ricostruzione della storia del popolamento dell’isola
dal periodo preistorico a quello moderno, intrapreso in collaborazione dalla Scuola Archeologica
Inglese di Atene e dalla 6th EPKA di Patras (sotto
la direzione di C. Morgan e A. Sotiriou)19. Inoltre,
è stata oggetto di una serie di sondaggi e scavi su
piccola scala condotti dall’Università di Ioannina a
partire dal 1994, sotto la direzione di T. Papadopoulos e L. Kontorli-Papadopoulou ino al 1996
e di quest’ultima dal 1997 ad oggi. Questi ultimi,
ponendosi in continuità con le campagne svolte 60
anni prima, si sono concentrati sulla porzione settentrionale dell’isola, riesaminando i siti già scavati
dagli inglesi (in particolare, dal 1994 al 2007 sono
stati svolti scavi e sondaggi a Tris Langadas, Haghios
Athanasios/“Scuola di Omero”, Stavros e Pelikata),
Il dibattito sul tema è ancora aperto: per la recente proposta
di identiicazione della Itaca omerica con Paliki, la penisola
occidentale di Cefalonia, per la quale una serie di prospezioni
ed analisi geologiche sembrerebbe indicare la natura di isola
in antico, cfr. R. Bittlestone, Odysseus Unbound, Cambridge
2005. Per una ubicazione analoga dell’Itaca omerica, cfr. anche
G. Volterras, Kritiki Meleti peri Omerikis Ithakis, Athina 1903
e G. Le Noan, A la recherche d’Ithaque: essai sur la localisation
de la patrie d’Ulysse, Quincey-sous-Senart 2001.
11
W. Dörpfeld, Alt-Ithaka: Ein Beitrag zur Homer-Frage,
Studien und Ausgrabungen aus der insel Leukas-Ithaka, München,
1927; idem, Sechster Brief auf Leukas-Ithaka: die Ergebnisse der
Ausgrabungen von 1910, Athina 1911.
12
E.H. Goekoop, Ithaque, la Grande, Athens, 1908.
13
P. Kavvadias, in Proistoriki Archaiologia, Athina 1914.
Sulle tombe di Mazarakata, cfr. anche H. Holland, Travels in
the Ionian Isles, Albania, hessaly, Macedonia during the years
1812 and 1813, London 1815; Wolters in AM 10, 1894, p.
486. Dal 1912 gli scavi furono condotti da Kyparissis; cfr. N.
Kuparòsshv, ‘Kefalleniakaé’, in AD 5 (1919), pp. 83-122.
14
S. Benton, ‘Antiquities from Ithaki’, in BSA 29, 1928,
pp. 27-28.
15
Tra i contibuti recenti a supporto di questa tesi si ricordano
W.B. Stanford - J.V. Luce, he quest for Odysseus, London 1974
e J.V. Luce, Celebrating Homer’s landscapes: Troy and Ithaca
revisited, New Haven 1998.
16
Lord Rennel of Rodd, Homer’s Ithaca: A Vindication of
Tradition, London 1927; idem, ‘he Ithaca of the Odyssey’, in
BSA 33, 1932-33, p. 15.
17
Cfr., per i risultati degli scavi condotti della Scuola Archeologica Inglese, H.L. Lorimer - W.A. Heurtley, ‘Excavations
at Ithaca I’, in BSA 33, 1932-33, pp. 22-65; W. A. Heurtley,
‘Excavations in Ithaca II’, in BSA 35, 1934-1935, pp. 2-44;
S. Benton, ‘Excavations in Ithaca III. he Cave at Polis, I’ in
BSA 35, 1934-35, pp. 45-73; S. Benton, ‘Excavations in Ithaca
III. he cave at Polis, II’ in BSA 39, 1938-39, pp. 1-51; W.A.
Heurtley, ‘Excavations in Ithaka 1930-1935 [Ithaka IV]’, in BSA
40, 1939-40, pp. 1-13; M. Robertson - W.A. Heurtley, ‘Excavations in Ithaca, V: he Geometric and Later Finds from Aetos’,
in BSA 43, 1948, pp. 9-124; S. Benton, ‘Second thoughts on
“Mycenaean” pottery in Ithaca’, in BSA 44, 1949, pp. 307-312;
H. Waterhouse, ‘Excavations at Stavros, Ithaca, in 1937’, in
BSA 47, 1952, pp. 227-242; S. Benton, ‘Further excavations at
Aetos’, in BSA 48, 1953, pp. 255-361; S. Benton - H. Waterhouse, ‘Excavations in Ithaka: Tris Langadas’, in BSA 68, 1973,
pp. 1-25. In aggiunta, per gli scavi efettuati tra 1929 e 1933,
si veda Y. Béquignon, in BCH 53, 1929, p. 505; 54, 1930, pp.
487-492; 55, 1931, pp. 479-481; 57, 1933, pp. 270-272. Per
più recenti bilanci complessivi, cfr. H. Waterhouse, ‘From Ithaca
to Odyssey’, in BSA 91, 1996, pp. 301-317, Souyoudzoglou
Haywood 1999 e Steinhart-Wirbelauer 2002.
18
S. Symeonoglou, ‘Anaskafh Ijakhv’, in Prakt 1984, pp.
109-121, tavv. 97-101; 1985, pp. 201-215, tavv. 102-107; 1986,
pp. 234-240, tavv. 99-104; 1990, pp. 271-278, tavv. 177-180.
19
Per una panoramica introduttiva si veda Morgan 2007,
pp. 71-86.
10
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
80a
80b
73
81
Fig. 1. Ostraka incisi da Pelikata. Da Heurtley 1934-1935, tav. 7, igg. 80 e 81.
così come si trova ad essere altamente sospetto il
possibile “segno” della Lineare A (o B) individuato
su un frammento d’argilla di interpretazione incerta
(immediatamente deinito “tavoletta”) proveniente
da un monumento circolare indagato recentemente
ad Haghios Athanasios. Tuttavia, poiché in alcune
pubblicazioni anche recenti si è data come acquisita
l’attestazione (almeno) della Lineare A sull’isola,
sembra opportuno, in questa sede, ripercorrere brevemente le vicende interpretative delle millantate
“iscrizioni” itacensi.
senza peraltro portare alla luce resti architettonici
sicuramente databili al Bronzo Tardo20.
Nell’ambito della diatriba tuttora in corso sull’identiicazione più corretta della Itaca omerica, nonché
sulla ricerca della “reggia di Odisseo” nella porzione
settentrionale o meridionale dell’isola, rivestirebbe
di sicuro un’enorme importanza il rinvenimento di
iscrizioni nelle Lineari (A e B) in uso nell’Egeo del II
millennio, nonché di evidenze cospicue sicuramente
databili alla ine del Bronzo Tardo, che potessero
testimoniare il passato “miceneo” dell’isola. A partire
dal rammarico di Schliemann, che a proposito dei
suoi sondaggi sull’isola dichiarò che avrebbe dato
cinque anni della sua vita per trovare un’iscrizione21,
il miraggio di una tale scoperta si è ripetuto, ino a
questo momento, due volte, risultando tuttavia frustrato da una più attenta analisi dei presunti materiali
iscritti. Tale esame non ne ha confermato l’attribuzione ai segnari A o B, giudicando i rinvenimenti in
questione privi di qualsiasi interesse per l’epigraia
propriamente detta ed escludendoli irrimediabilmente dal novero dei materiali iscritti con questi
sillabari, esaminati nei periodici resoconti sui nuovi
rinvenimenti e sulla distribuzione delle iscrizioni
egee22. In particolare, l’interpretazione di due ostraka provenienti da Pelikata come iscritti in Lineare
A si è rivelata da subito priva di ogni fondamento,
Del primo annuncio della scoperta di frammenti
iscritti provenienti da Itaca fu protagonista Paul
Faure23, che in una nota del 1989 comunicò entusiasticamente l’individuazione, tra il materiale
risalente all’AE rinvenuto da Heurtley a Pelikata, di
due iscrizioni in Lineare A (ig. 1) basandosi sulla
loro pubblicazione da parte dell’archeologo inglese24.
Nell’ipotesi di Faure, le iscrizioni ricorrerebbero
incise su due ostraka, uno “iscritto” su due facce (n.
80) e l’altro su una sola (n. 81), descritti dal loro
scopritore come «incised or inscribed»25 e commentati come segue: «80. Frammento recante l’incisione
grossolana di una nave (?) e di quelle che sembrano
20
http://www.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.
html; Kontorli Papadopoulou 2001, pp. 317-330; Kontorli
Papadopoulou-Papadopoulos 2001, pp. 65-75; Kontorli Papadopoulou 2002, pp. 147-151. Per i risultati delle recenti campagne di survey condotte sull’isola, cfr. J. Whitley, ‘Archaeology
in Greece 2002-2003’, in AR 49, 2002-2003, pp. 42-44; 50,
2003-2004, pp. 38-39; 51, 2004-2005, pp. 39-40.
21
apud L. Godart, L’invenzione della scrittura, Torino 1992, p. 12.
22
Cfr. Olivier 1999, pp. 213-435; Idem, ‘Rapport 19962000 sur les textes en écriture hiéroglyphique crétoise, en
linéaire A et en linéaire B’, in T. Palaima et alii (a cura di),
‘Proceedings of the XI Mycenologicum Colloquium, Austin,
7-13 may 2000’, in corso di pubblicazione; Del Freo 2007,
pp. 199-222.
23
Faure 1989, p. 2288.
24
Heurtley 1934-1935, tav. 7, igg. 80 e 81. Il primo riferimento ai due frammenti ricorre in Béquignon 1930, p. 488:
«Il faut signaler aussi deux tessons qui portent des dessins: l’un
représente avec plus ou moins de maladresse, un bateau».
25
Heurtley 1934-1935, p. 24.
Le “iscrizioni” in Lineare A di Pelikata
Matilde Civitillo
74
lettere o numeri al di sopra; sull’altra faccia, marchi
graiti sommariamente. 81. Frammento con lettere
(?) incise; sotto, incerti marchi in una cornice».
Immediatamente, quindi, la natura stessa delle incisioni appariva molto dubbiosa (come si evince dalla
punteggiatura adoperata da Heurtley e dal ricorso
al termine “marchi”), né si tentava alcun confronto
con un sistema scrittorio altrimenti conosciuto,
evidentemente per il contesto archeologico donde
provenivano i frammenti, ovvero dall’area I del sito
che, in base alla ceramica in essa rinvenuta, è databile
all’AE II-III (in termini di datazione assoluta26, ca.
2450/2350-2200/2150-2220/2150-2050/2000).
Infatti, prima di afrontare l’analisi delle incisioni
presenti sui frammenti ceramici e gli elementi che
ne ostano una interpretazione come segni di scrittura, è evidente che il primo problema che si pone
nella loro attribuzione al segnario della Lineare A
sta nelle conseguenze inaccettabili che avrebbe sul
piano cronologico. La lineare A fu in uso a Creta dal
MM II (se non dal MM IA27) al TM IB (in termini
di datazione assoluta, ca. 1950/1900-1750/17201680-1600/1580), con un possibile prolungamento
nel TM II (1600/1580-1520/1480). Al di fuori
dell’isola, questa scrittura è attestata, nelle Cicladi, a
Kea nel MM III e nel TM IB, a Melos nel TM I e a
hera nel TM IA; è conosciuta a Citera (su un peso
d’argilla) nel MM IIIB-TM IA ed ha guadagnato la
Laconia (Haghios Stephanos, ove è attestata su una
placchetta di scisto di datazione incerta)28 e, sulla
costa sud-occidentale dell’Anatolia, Mileto (vergata
su frammenti di pithoi fabbricati in loco datati al TM
IB o alla transizione TM IB/II)29. Di conseguenza,
quella individuata da Faure sarebbe la prima iscrizione conosciuta del Mediterraneo preistorico, a fronte
di un panorama coevo totalmente illetterato30 e in
assenza di traccia alcuna di un’organizzazione sociopolitica ed amministrativa della comunità insediatasi
a Pelikata che potesse giustiicare il ricorso ad un
sistema scrittorio di qualsivoglia natura. Queste
osservazioni, dunque, eliminano a priori non solo
la possibilità che i frammenti in questione possano
essere stati importati o introdotti nell’AE II-III da
Creta o da cretesi presenti sul sito31 ma anche, naturalmente, che possano essere il risultato dell’uso in
loco del segnario cretese.
Tuttavia, l’attribuzione al segnario A dei due ostraka
era data come certa, ino a qualche anno fa, dalla
Kontorli32 (sebbene la abbia poi esclusa risolutamente
nell’edizione del nuovo potenziale frammento “iscritto”33), mentre risulta ancora accolta dubbiosamente
dalla Souyoudzoglou-Haywood34. Quest’ultima,
d’altra parte, ponendosi il problema cronologico,
non esclude che i frammenti in questione possano
essere interpretati come elementi intrusivi, alla luce
del fatto che il contesto archeologico dell’area I, dalla
quale provengono, risulta profondamente disturbato.
Tuttavia, un più sicuro tentativo di datazione dei
S.W. Manning, he Absolute Chronology of the Aegean Early
Bronze Age: Archaeology, Radiocarbon and History, Sheield 1993.
27
Tale più antica attestazione dipende dalla controversa interpretazione dei sigilli di Archanes come iscritti in georgliico
minoico o in Lineare A; cfr. L. Godart, ‘L’ecriture d’Arkhanes:
hiéroglyphique ou Linéaire A?’, in P.P. Betancourt - V. Karageorghis - R. Laineur - W.-D. Niemeier (a cura di), Meletemata:
Studies in Aegean Archaeology Presented to Malcolm H. Wiener
as He Enters His 65th Year (Aegaeum 20), Liège-Austin 1999,
vol. I pp. 299-302.
28
F. Vandenabeele, ‘La chronologie des documents en linéaire
A’, in BCH 109, 1985, pp. 3-20. Cfr. Gorila V, pp. 83-113,
(Concordance générale).
29
W.-D. Niemeier - J. Zurbach, ‘A Linear A inscription from
Miletus (MIL Zb 1)’, in Kadmos 35, 1996, pp. 87-99. Si escludono dalla discussione le controverse rondelle di Samotracia (Del
Freo 2007, pp. 208-209), l’ostrakon di Tel Haror (A. Karnava,
‘he Tel Haror Inscription and Crete: A Further Link’, in R. Lafineur, E. Greco (a cura di), Emporia, Aegeans in the Central and
Eastern Mediterranean, ‘Proceedings of the 10th International Aegean Conference/10e Rencontre égéenne internationale, Athens,
Italian School of Archaeology, 14-18 April 2004’ (Aegaeum 25),
Liège and Austin 2005, vol II., pp. 837-844), considerato da
Olivier (1999, p. 430) un «graito minoizzante». Sono esclusi,
inine, i segni altamente ipotetici (probabilmente marchi di
vasaio) presenti su ostraka rinvenuti a Iasos e Rodi (Acrosciro/
Kalopetra): M. Benzi ‘Anatolia and the Eastern Aegaean at the
time of the Troyan War’, in F. Montanari (a cura di), Omero
Tremila anni dopo, Roma 2002, p. 369, nota 110.
30
A questa fase cronologica risalgono i primi espedienti
amministrativi (non scrittori) costituiti da cretule sigillate con
sigilli recanti motivi per lo più geometrici nel Peloponneso: a
Lerna (“Casa delle tegole”, AE II-III), Haghios Dimitrios (AE
II) e Asine (AE II). Cfr. J. Renard, Le Péloponnèse au Bronze
Ancien (Aegaeum 13), Liège 1995, pp. 287-295. Inoltre, alcuni
sigilli ed impressioni (anche in questo caso, svincolati da una
codiica scrittoria) in qualche modo precorritori del sistema
amministrativo centralizzato proprio del perido protopalaziale
ricorrono in alcuni siti cretesi: cfr. M. Perna, ‘Il sistema amministrativo minoico nella Creta prepalaziale’, in V. La Rosa
- D. Palermo - L. Vagnetti (a cura di), Epi ponton plazomenoi,
“Simposio italiano di Studi Egei dedicato a Luigi Bernabò Brea
e Giovanni Pugliese Carratelli. Roma, 18-20 febbraio 1998”,
Roma 1999, pp. 63-68.
31
Come vorrebbe Tsakos 2005, p. 36.
32
http://www.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.
html, sub ‘aérqro apoé thn istoselòda tou Dhémou Iqaékhv’.
33
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, p.
184, nota 7.
34
Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 99.
26
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
75
due ostraka in esame appare sostanzialmente irrilevante, poiché la loro analisi epigraica dimostra non
solo che non sono iscritti in Lineare A, ma che non
recano alcuna iscrizione se non segni graici (graiti
o marchi), con una qualche valenza (decorativa,
simbolica) che ci sfugge, ma sicuramente sprovvisti
di un valore “scrittorio”35 desumibile per confronto
con altri sistemi noti adoperati nel II millennio.
Del tutto incurante di questi insuperabili problemi,
Faure istituisce, in maniera evidentemente forzata,
una comparazione tra quelli che deinisce “segni”
presenti sui frammenti incisi ed il sillabario della Lineare A, attraverso una evidente manipolazione degli
stessi, alcuni dei quali, per essere letti “correttamente”
(ovvero, per trovare un pur generico confronto col
sillabario minoico), si pretende dover essere “ruotati”,
evidenziando un procedimento ermeneutico in cui
il livello interpretativo sembra precedere l’analisi
autoptica dei “segni” incisi (ig. 2).
Così, anche la “normalizzazione” dei segni al ine
di trovare necessariamente un confronto col segnario
A, nonché la scelta dei graiti che possano o meno
avere lo statuto di “segni di scrittura”, sembra a
priori condizionata dal tentativo di “lettura” degli
stessi, non tenendo conto non solo del contesto di
rinvenimento dei frammenti e delle conseguenze
impensabili sul piano culturale di una loro interpretazione come iscritti, ma neppure delle caratteristiche
peculiari (in termini di formattazione e inalità) delle
iscrizioni in Lineare A. I “segni” che Faure identiica
sui frammenti dovrebbero corrispondere, in base alla
interpretazione che ne fornisce, a 16 sillabogrammi,
la maggior parte dei quali comuni ai sillabari A e B36:
sulla faccia a del fr. 80, al di sopra dell’incisione di
una nave («navire») si susseguirebbero AB 55, AB 13,
B 12 (non attestato in lineare A), AB 37, AB 08, AB
57, AB 30, cui seguirebbero AB 08, AB 57, AB 73 (fr.
80b); sul fr. 81, poi, comparirebbero i sillabogrammi
AB 27, AB 08, AB 37, AB 73, AB 10, AB 01, AB
06, AB 77, AB 27. Inine, entrambi i frammenti
recherebbero anche ideogrammi e cifre. Sebbene
tale confronto tra i graiti presenti sugli ostraka con
i segni succitati sia almeno improbabile, lo studioso
prosegue la sua “decifrazione” proponendone anche
una lettura, partendo dal presupposto (non condivisibile se non per pochissimi segni) di poter leggere
sistematicamente i presunti segni della (indecifrata)
Lineare A con i valori sillabici dei segni omomori
attestati in Lineare B. Di conseguenza, la “lettura”
proposta per il fr. 80a è la seguente: nu(pina), me
soti[, laddove l’integrazione risulta evidentemente
preconcetta ed implica l’impiego di espedienti ortograici del tutto estranei alla Lineare A (il “segno”
nu, sebbene posto in sequenza con altri, sarebbe una
abbreviazione del termine ricostruito). Inine, come
già accennato, nell’economia dell’“iscrizione” identiicata, quei graiti che ricorrono nella parte inferiore
dell’ostrakon non sono considerati (non è chiaro in
base a quale presupposto) segni di scrittura. La faccia b del frammento, poi, recherebbe la successione
di una serie di “ideogrammi” il cui ductus sarebbe
ancora più aberrante e privo di qualsiasi confronto
con la lineare A rispetto a quello dei “sillabogrammi”
della faccia a. Vi comparirebbero l’ideogramma del
cervo, del «montone con la sua casa (arco di cerchio
che collega due animali)» (!), del cavallo e, a destra,
del maiale «nel suo recinto», «ciascuno di essi accompagnato da una cifra (punti o barre)», del tutto
indistinguibili sul frammento.
Oltre alla mancata corrispondenza nel ductus tra
queste incisioni e gli ideogrammi della Lineare A, sul
frammento in questione si presupporrebbe un loro
impiego mai attestato in alcuna iscrizione redatta a
mezzo di questo sillabario e assolutamente inaccettabile alla luce della natura e dell’uso dei segni di
quest’ultimo, laddove si ipotizza una manipolazione
(decisamente non propriamente scrittoria) di tali
“segni” che avrebbe previsto l’aggiunta di incisioni
indicanti «recinti» o analoghi alloggiamenti per
gli animali. Al di sotto, inine, comparirebbe una
sequenza di “sillabogrammi” che Faure “legge”
«io ofro»37. L’“iscrizione”, quindi, comprenderebbe sillabogrammi, ideogrammi e cifre,
dimostrando così una spiccata inalità ammini-
35
Per “segno di scrittura” si intende un elemento stabile di
un insieme inito e numerabile di segni suscettibili di collegarsi
ad altri in un sistema di opposizioni, in cui a elementi graici
si associno signiicati distinti ed esplicitabili linguisticamente
dalla comunità (cfr. G.R. Cardona, Antropologia della scrittura,
Torino 1991, p. 27). Si veda, inoltre, la deinizione di “scrittura”
fornita in L. Godart - J.-P. Olivier, Corpus Hiéroghlyphicarum
Inscriptionum Cretae (Études Crétoises 31), Paris 1996, p. 12:
«Une écriture – même dans ses formes les plus rudimentales –
est une technique intellectuelle utilisant un support matériel
ain de transmettre, dans l’espace et dans le temps, un message
bien précis et univoque».
36
Si confrontino le tavole dei segnari Lineare A e B rispettivamente in Gorila V, tavv. XXII-XXVIII e J. Chadwick - L.
Godart - J.-P. Olivier - A. Sacconi - I.A. Sakellarakis, Corpus of
Mycenaean Inscriptions from Knossos, vol. IV (Incunabula Graeca
88), Pisa-Roma 1998, pp. 293-294.
37
Faure 1989.
76
Fig. 2. Faure 1989, p. 2288.
Matilde Civitillo
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
77
strativa e sarebbe, nel caso del fr. 80a, costituita da
segni di scrittura vergati al di sopra dell’incisione
di una nave (la cui identiicazione è tutt’altro che
evidente), laddove sulla faccia b ricorrerebbero solo
gli ideogrammi e le cifre. Di conseguenza, l’“unità
testuale” ipotizzata da Faure nella lettura delle due
facce imporrebbe che l’“iscrizione”, incisa prima
della cottura del vaso, richiedesse la possibilità di
poter “leggere”, alternativamente, il fondo e la base
del vaso che egli ipotizza essere stato “dedicato”.
Come già accennato, il primo ostrakon (n. 80)
comprenderebbe, nello stesso “atto scrittorio”,
raigurazioni con valore decorativo e segni iscritti38. Tale compresenza tra piano scrittorio e piano
visivo (ovvero tra diverse forme di modellizzazione
e decodiicazione del messaggio veicolato) non
ricorre mai sui documenti inscritti in Lineare A
o B, mentre è presupposta dalle interpretazioni
inora fornite delle “iscrizioni” itacensi. Inoltre,
nelle iscrizioni in Lineare A di carattere non amministrativo (ovvero, vergate su supporti diversi
rispetto a tavolette o altri documenti d’archivio)
non ricorrono mai ideogrammi e cifre, il che crea
un insolubile cortocircuito tra il supporto delle
presunte iscrizioni itacensi (frammenti di vaso) e
il contesto non amministrativo delle iscrizioni in
Lineare A ricorrenti su questa tipologia di materiali
attestate a Creta, nelle Cicladi e a Mileto39.
L’“iscrizione” presente sulla faccia a del fr. 80, dunque,
conterrebbe una dedica ad una ninfa40 che avrebbe
salvato il dedicante. Oltre alla quantomeno dubbia
interpretazione dei graiti come segni di scrittura e
all’impossibilità del confronto con i segni della Lineare
A, ciò che suscita una perplessità anche maggiore nella
teoria di Faure è che del presunto “testo” in Lineare
A (che nota una lingua sconosciuta ma certamente
anellenica parlata a Creta nel II millennio) si fornisca
una lettura da un punto di vista linguistico greco. Lo
stesso procedimento si trova applicato al frammento
81, anch’esso recante una “iscrizione dedicatoria”, a
volte citata41 come “iscrizione di Aredatis”. Anche in
questo frammento l’“iscrizione” sarebbe composta di
sillabogrammi, scritti nella parte superiore, e ideogrammi, compresi in una cornice (il che non trova alcun
confronto con l’usuale layout delle iscrizioni in Lineare
A). I graiti interpretati come “sillabogrammi” troverebbero una quantomeno forzata corrispondenza con AB
27, AB 08, AB 37, AB 73, AB 10, AB 01, AB 06, AB
77 e AB 27, molti dei quali corrisponderebbero a glii,
anche in questo caso, interpolati pregiudizialmente. La
“lettura” sarebbe la seguente: ]re-da-ti-mi u-a-na-ka-na
re(ija) te, donde l’interpretazione: «io A]redatis, dono
alla sovrana (u-a-na-ka), la dea (te) Rhea (re- ja): 100 (?)
cervi, 10 (?) montoni, 3 maiali», la cui totale arbitrarietà non dovrebbe avere bisogno di alcun commento.
Tuttavia, si fa notare ancora una volta l’insostenibile
lettura dal punto di vista del greco miceneo, laddove
si ipotizza addirittura una “variante ortograica” del
termine wa-na-ka, a"nax (qui scritto u-a-na-ka), e
la notazione con una sorta di “sigla” del termine per
“dea”. Inine, non è necessario sottolineare l’insostenibile anacronismo che comporterebbe l’attestazione del
teonimo Rhea nella Itaca del Bronzo Antico, donde è
derivata l’interpretazione dell’“iscrizione” come prodotto di un retroterra “pelasgico”42, ovvero relativo a
coloro i quali, in Omero e nelle fonti storiograiche e
letterarie, vengono indicati come gli antichi abitanti
della Grecia pre-ellenica, proiettando meccanicamente
tale indistinto ed altamente controverso “sostrato” sulla
cultura della ine del III-inizio II millennio.
38
Tale interazione tra piano scrittorio (linguistico) e piano
visivo (puramente graico) ricorre, nelle scritture egee del II
millennio, esclusivamente sulle iscrizioni gerogliiche su sigillo, laddove l’alta iconicità del sillabario, unita al particolare
supporto, consentiva un uso della scrittura diforme, almeno
per questo tipo di composizione, rispetto alla redazione di
documenti amministrativi, con usi oscillanti di ideogrammi
o sillabogrammi con funzione iconograica o glii con valore
puramente evocativo, simbolico o decorativo, certamente privi
di un valore propriamente “scrittorio” (ovvero non suscettibili
di poter essere letti foneticamente). L’unico caso in cui una
situazione analoga si presenta su un documento in Lineare B
è il sasso di Kafkania (Godart 2002, pp. 213-240) dove, sulla
faccia B, compare una doppia ascia (la cui valenza non è quella
di segno di scrittura ma di simbolo, al quale si è applicata la
deinizione «graito») tra due sillabogrammi. Non trattandosi
di un documento amministrativo, tuttavia, nell’esecuzione del
sasso sono state verosimilmente coinvolte modalità esecutive
simili a quelle illustrate per i sigilli. In questo caso, il graito
(che si riconduce perfettamente all’iconograia cultuale minoica) partecipa dello stesso atto scrittorio del sasso e può essere
motivatamente collegato all’iscrizione sillabica (ricorrente, in
questo caso, in un contesto probabilmente santuariale).
39
Cfr. Gorila IV, pp. VII-VIII, dove sono elencati tutti i
documenti non amministrativi redatti in Lineare A ed i loro
supporti: iscrizioni su vasi di pietra, iscrizioni incise su vasi
d’argilla, iscrizioni dipinte su vasi d’argilla, iscrizioni su supporti
architettonici in stucco, iscrizioni su supporti architettonici in
pietra, iscrizioni su supporti metallici, iscrizioni su supporti vari.
40
Si potrebbe ipotizzare che Faure fosse stato in qualche
misura inluenzato, nell’individuazione di questo nome – il
ricostruito nu(pina) –, dalle attestazioni del termine NUMFAIS
su alcuni frammenti provenienti dalla grotta della baia di Polis
(la “grotta delle Ninfe”, appunto): cfr. Béquignon 1930, p. 490.
41
Tzakos 2005, pp. 35-36, nota 16.
42
Tzakos 2005, pp. 29-35.
Matilde Civitillo
78
Quanto al loro contesto archeologico, gli ostraka in
oggetto provengono dall’area I di Pelikata, che ha
immediatamente rappresentato uno dei principali
candidati ad ospitare il “palazzo” di Odisseo, oltre che
per l’evidenza fornita ai primi viaggiatori dal muro di
fortiicazione “ciclopico” individuato da Gell, anche
per il fatto che già nel 1905 Vollgraf vi rinvenne
frammenti di ceramica micenea43. A corroborare tale
ipotesi, inoltre, nell’ambito delle logiche insediamentali del nord dell’isola, contribuisce la sua ubicazione
strategica su uno sperone roccioso del monte Exogi
donde è possibile controllare tutti e tre i porti della
porzione settentrionale dell’isola, posto all’incrocio
tra le strade provenienti dalle baie di Afales, Frikes
e Polis, nonché servito da una sorgente. Le indagini
archeologiche qui efettuate hanno dimostrato che
Pelikata è l’unico sito dell’arcipelago in cui si possa
accertare la presenza di un insediamento risalente
all’AE, con una estensione stimata di circa 20.000
m2. La sua più cospicua evidenza di popolamento
è databile tra l’Antico Elladico II (fase alla quale si
attribuisce l’inizio dell’attività sul sito) e III (cui data
il periodo di più intensa occupazione)44, sebbene la
mancanza di una successione stratigraica sicura non
permetta di fornire una sequenza interpretativa della
ceramica locale del tutto aidabile. Tale indicazione
cronologica dedotta dalle produzioni utilitaristiche
non è tuttavia accompagnata da una rilessione
architettonica, poiché sul sito non è stata rinvenuta
alcuna struttura. L’unica evidenza è rappresentata da
un livello AE II-III («clay layer») nell’area IV, probabilmente il più antico del sito45, che sembra non essere disturbato, mentre non è ancora possibile elaborare
ipotesi sulle fondazioni di una casa absidata, citata
dalla Kontorli, rinvenuta in seguito all’apertura, nel
1994, di due trincee in località Sobola e caratterizzata da due fasi costruttive, datate all’AE II e III46.
Quanto al già citato muro “ciclopico” (i cui blocchi
di costruzione furono trovati associati a ceramica
invariabilmente datata all’AE dagli inglesi47), di
esso sono stati rinvenuti segmenti in diferenti aree
della porzione orientale, settentrionale e occidentale
della collina da Heurtley, nonché un accesso monumentale, a occidente, da Papadopoulos48, che ne ha
scoperto altre sezioni a occidente. A questa nuova
porzione, a diferenza delle altre, sarebbe associata
non solo ceramica preistorica ma anche più tarda,
rinvenuta nelle immediate vicinanze, che ne rende
incerta la datazione e non fornisce elementi sicuri per
poter risolvere deinitivamente la questione del suo
periodo di costruzione. La Souyoudzoglou49 sottolinea che, se il muro risalisse al Bonzo Antico, l’insediamento di Pelikata potrebbe trovare una chiave
di lettura nel contesto del trend verso la costruzione
di insediamenti di grandi proporzioni riscontrabile
nell’Egeo di questo periodo e, nello speciico, negli
insediamenti protourbani delle Cicladi. Tuttavia,
sulla diicoltà di assegnargli una datazione certa
aveva da subito attirato l’attenzione Heurtley50, che
concludeva se ne può ipotizzare la costruzione sia
nell’Antico Elladico che nel Tardo Elladico (che ne
rappresenterebbe il terminus ante quem, poiché la
successiva evidenza abitativa risale al periodo veneziano), poiché la ceramica AE non fornirebbe una
indicazione dirimente a causa di un certo conservatorismo mostrato dalle produzioni itacensi, in cui le
innovazioni sono state assunte con una certa lentezza.
La continuità abitativa sul sito ino al Tardo Elladico
non è d’altra parte veriicabile in tutte le aree scavate;
evidenza relativa a questa fase proviene, infatti, solo
dalle aree VI e IV. La prima ha fornito, oltre ad una
sepoltura in pithos databile all’AE II-III, ceramica
mesoelladica (90 frammenti di ceramica minia grigia
e di ceramica correlata distribuiti tra questa e l’area
IV) e 60 frammenti databili al TE III, 39 dei quali
pertinenti prevalentemente a basi o steli di kylikes
o krateriskoi (associati a “masse” di frammenti AE e
a 20 frammenti di ceramica minia). Questi ultimi,
in pessimo stato di conservazione, furono rinvenuti
all’interno di un livello di riempimento, superiore al
Heurtley 1934-1935, p. 1, nota 2.
Per una panoramica, cfr. Souyoudzoglou Haywood 1999,
pp. 93-108, 131-143.
45
Heurtley 1934-1935, pp. 13-14.
46
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos 2001, p. 66. Se
tale evidenza fosse confermata, potrebbe essere avvicinata alle
costruzioni absidate (buildings 3, 4 e 8) rinvenute sulle pendici del monte Amali a Lefkada, confrontate (Souyoudzoglou
Haywood 1999, pp. 19-20) con analoghe strutture abitative
caratterizzate da murature curvilinee difuse nell’Egeo della
fase AE, nelle Cicladi (Pyrgos e Paroikia a Paros), a Tsoungiza e
Korakou nella Corinzia, a Strei nell’Elide, o da piante absidate
come quelle attestate in Eubea (Manika), Argolide (Tirinto),
Laconia (Koufovouno) e Beozia (Tebe), nonché con le case
absidate di Olimpia-Altis e Olimpia-New Museum, pertinenti
allo stesso orizzonte cronologico.
47
Heurtley 1934-35, p. 3, tav. 3.
48
Del muro sono stati portati alla luce altri segmenti tra il
1994 ed il 1995: Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos 2001,
p. 66; Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 10.
49
Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 132-134.
50
Heurtley 1934-35, p. 9.
43
44
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
«clay layer» dell’AE, disturbato dalla costruzione di
una casa moderna sulla sommità della collina, in cui
Heurtely propone di individuare i resti del crollo di
una struttura abitativa “micenea”51.
In questo quadro, il contesto archeologico donde
provengono gli ostraka oggetto delle speculazioni di
Faure, l’area I, non sembra fornire dati certi che ne
consentano una più accurata interpretazione. A loro
proposito Heurtley scrive: «devo ammettere di non
poter fare nulla di questi frammenti. Sembrano essere
Antico Elladici e sebbene siano stati rinvenuti in un
contesto di riempimento non stratiicato, non c’era
niente che non fosse Antico Elladico in associazione
con essi. Né sono stati rinvenuti in supericie, trovandosi il fr. 80 a 5 ed il fr. 81 a 9 m. al di sotto di
essa. Non penso che siano falsi moderni e non resta
che pensare che le incisioni siano state eseguite nel
periodo al quale risalgono i frammenti»52. Gli ostraka
in questione rientrano nella classe della coarseware53,
che costituisce la ceramica più rappresentata sul sito,
le cui forme più attestate sono ciotole e coppe con
anse verticali, semi-circolari o con manici orizzontali,
in alcuni casi perforati o cornuti, la cui decorazione,
tranne che nei due esaminati e pochissimi altri frammenti recanti incisioni lineari54, consiste in cordoni
applicati. Come si accennava, l’area I di Pelikata ha
rivelato un contesto fortemente disturbato, in cui si
combinano possibili resti di abitazioni e di sepolture
dispersi su un’area di circa 60 m2. Nell’angolo nord
occidentale di questo settore è stato rinvenuto un livello di pietre poggianti sul suolo vergine, interpretate da Heurtley55 come resti del crollo di una struttura
abitativa per il rinvenimento, tra di esse, di utensili
domestici. Nella stessa porzione l’archeologo individuò almeno tre sepolture in pithos, comprendenti
solo alcune parti degli scheletri (probabilmente di
giovani individui56), in associazione con denti e ossa
di animali, che ipotizzò essere state intra-murarie. La
porzione occidentale dell’area risultava invece composta prevalentemente di un riempimento di terra
che conteneva pietre, frammenti di pithoi, vasi, ossa
umane ed animali, denti etc., chiaramente i resti delle
sepolture in pithoi rinvenute nella porzione succitata
che, nell’ipotesi di Heurtley, sarebbero state ubicate
Heurtley 1939-40, pp. 9-10.
Heurtley 1934-35, p. 29, nota 4.
53
Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 99.
54
Heurtley 1934-35, p. 24, tav. 7, igg. 79a-b.
55
Heurtley 1934-35, pp. 6-8.
56
Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 97.
51
52
79
originariamente nella parte orientale del sito, ad un
livello più alto, e solo successivamente slittate verso
quella occidentale. Intorno all’area in cui furono
trovate, vennero alla luce i resti sparsi di possibili
elementi di corredi funerari, quali ceramica ine, due
ornamenti in oro, pesi da telaio di argilla e di osso,
frammenti di igurine di tori di argilla, due lame e
una punta di freccia di ossidiana (probabilmente
melia), una lama di bronzo, un pestello per cosmetici
di pietra e un “sigillo” di terracotta di identiicazione
ipotetica con inciso un iore con cinque petali ed
un cerchio nel mezzo57. Nella porzione orientale
dell’area I fu, inine, scavata anche una fossa stratiicata di un metro di profondità (contenente frammenti
di pithoi e vasi, ossa e due frammenti di un cranio e,
al di sopra, ulteriori frammenti ceramici nonché una
zanna di cinghiale, una lama e resti lignei carbonizzati
in prossimità di pithoi frammentari) che Heurtley
interpretò come bothros domestico trasformato, in
un secondo momento, in focolare.
L’osservazione delle forme ceramiche, come già accennato, data l’inizio di attività in quest’area I all’AE
II, con una occupazione perdurante nell’AE III.
Tali evidenze, singolarmente disturbate, sono state
ipoteticamente interpretate dalla Souyoudzoglou58
come i resti di un tumulo funerario andato distrutto,
per il quale la studiosa invoca un confronto con la
necropoli risalente all’AE II di “R-Graves” a Steno
(Lefkada)59, sebbene quest’ultima non sembri essere
stata tanto contigua all’insediamento come nel caso
di Pelikata. Quanto alle sepolture in pithos intramurarie, sebbene queste siano attestate, in regioni della
Grecia occidentale, a Platygiali (Akarnania), Kirrha
(Focide) e Olimpia-Atis (Elide), la studiosa propone
di individuarne un prototipo anatolico, poiché tale
pratica non era difusa a Creta né nelle Cicladi in
un livello cronologico così antico. Allo stesso modo,
confronti con l’Anatolia costiera, le Cicladi, Creta
ed il Continente greco sono stati proposti per dare
ragione dei diversi elementi culturali rintracciabili
in alcuni tratti della cultura materiale delle isole
ioniche dell’AE II nel loro complesso, inserendole
nello “spirito internazionale” caratteristico di questa
fase60. Per tornare ad un tentativo di interpretazione
Heurtley 1934-35, p. 36, nota 155.
Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 97.
59
Cfr. Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 21-25.
60
Per una carrellata sulle singole ipotesi interpretative, che
ricostruiscono una popolazione mista o l’arrivo di immigrati,
cfr. Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 133-134.
57
58
Matilde Civitillo
80
dei frammenti incisi analizzati
e alla loro “ipotesi minoica”, la
trasmissione di una inluenza
cretese individuabile nella
ceramica AE e nel diadema
d’oro di Pelikata (oltre ad un
certo numero di influenze
rintracciabili nei corredi della
necropoli di Steno a Lefkada)
si ritiene attribuibile all’intensiicarsi di uno strutturato
network di scambi oltremarini
(tuttavia, del tutto ipotetico
per questa fase cronologica),
dove la fondazione di Kastri
a Citera avrebbe favorito
una trasmissione di elementi
3. Presunta “tavoletta” da Haghios Athanasios, da Kontorli Papadopoulou-Papaanche cretesi (oltre a quelli Fig.
dopoulos-Owens 2005, p. 185, ig. 1.
cicladici) verso la porzione
occidentale del Continente
missione archeologica dell’Università di Ioannina
greco e le isole ioniche. Tuttavia, anche se un legame,
presso un monumento circolare identiicato dagli
pur indiretto, con la Creta minoica fosse accertato,
archeologi come tholos. Tale struttura è pertinente
l’interpretazione dei frammenti incisi non ne risulall’insediamento di Haghios Athanasios/“Scuola
terebbe modiicata in alcun modo.
di Omero”, situato sulla collina della Melanidros
In conclusione, il contesto archeologico forlungo le pendici del monte Exogi a 1 chilometro
temente disturbato (in cui spesso i frammenti
a nord-est di Pelikata. Sebbene gli stessi editori
dell’AE sono mescolati con quelli del Medio e del
del frammento61 rilevino, a ragione, che non si
Tardo Elladico), la tipologia ceramica (coarseware
possa deinire l’oggetto in questione come recanAE che tuttavia continua ad essere prodotta anche
te una iscrizione, dato che questa deinizione si
dopo questa fase) e la mancanza dell’indicazione
attribuisce solo a sequenze di un minimo di due
del luogo preciso all’interno dell’area I donde
segni62, ritengono di poter tuttavia individuare un
furono rinvenuti i frammenti (ove sono state ipoconfronto tra un “segno” graito sull’oggetto ed
teticamente identiicate sia strutture domestiche
un sillabogramma della lineare A (attestato anche
che resti di corredi funerari), uniti all’assenza di
in B), interpretando in via ipotetica il frammento
confronti, non permettono di formulare alcuna
itacense come “tavoletta” frammentaria, preservata
ipotesi alternativa sugli ostraka nn. 80 e 81, che
in pessimo stato di conservazione, lunga ca. 10-11
l’analisi epigraica ha dimostrato non recare alcuna
cm., alta ca. 6-7 cm. e spessa 2 cm. (ig. 3).
iscrizione in Lineare A.
Il frammento si presenta quasi completamente
ricoperto da incisioni di diicile interpretazione,
tranne che per i graiti più profondamente incisi
Il “segno” di Haghios Athanasios
di una nave e di quello che sembra essere una
sorta di tridente nella porzione destra dell’oggetto
La recente ipotesi di identiicazione di un altro
immediatamente prima della frattura. Solo per
segno delle lineari egee (A o B non è dato chiarirlo)
quest’ultimo “graito” (essendo il primo privo di
si basa sull’evidenza oferta da un frammento d’arconfronti) gli autori ipotizzano la natura di segno
gilla di interpretazione molto dubbia identiicato
di scrittura e, in assenza di possibili confronti con
tra i rinvenimenti efettuati a partire dal 1995 dalla
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, p. 184.
J.-P. Olivier, ‘Les sceaux avec des signes hiéroglyphiques.
Que lire? Une question de déinition’, in W.-D. Niemeier (a
61
62
cura di), Studien zur minoischen und helladischen Glyptik (CMS
Beiheft 1), 1981, p. 108.
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
81
Fig. 4. Dettaglio delle incisioni graite sul frammento di
Haghios Athanasios da www.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.html, ig. 30.
Fig. 5. Disegno del frammento da Kontorli-Papadopoulou
et alii 2005, p. 186, ig. 2.
il repertorio di mason’s o potter’s marks difuse
nell’Egeo o con il segnario gerogliico minoico,
lo identiicano con il sillabogramma AB 09, uno
dei pochi ad essere concordemente letto sia in Lineare A che B con il valore sillabico se. Per trovare
un confronto paleograico a sostegno della loro
ipotesi, gli autori conducono una ricognizione
delle attestazioni del segno nelle due lineari (in
cui ricorre in combinazione con altri segni), dalla
quale quest’ultimo risulta attestato in tutti i centri
che hanno fornito documentazione di archivio
minoica e/o micenea63.
Un confronto più preciso tra l’ipotizzata attestazione itacense e quelle ricorrenti sui documenti
cretesi e continentali viene individuato nella ricorrenza del segno su due rondelle iscritte in Lineare
A provenienti da Haghia Triada (datate al TM IB),
dove sembra essere usato come abbreviazione64.
Tuttavia, l’individuazione di tale confronto (che
sembrerebbe voler essere adoperato per confortare
l’interpretazione del monumento donde proviene
l’oggetto “iscritto” come tholos, i cui più vicini
confronti sarebbero individuabili con le tombe della
Messarà, infra), non è suscettibile di confermare
in alcun modo la natura di “segno” per l’incisione
itacense né di chiarire la funzione del frammento
d’argilla su cui ricorre. Oltre all’osservazione teorica
che l’attestazione di un segno graico più o meno
simile nel tracciato ad un segno delle lineari A e B
(per di più molto poco diagnostico), isolatamente
e senza contesto, non è suiciente per formulare
alcuna ipotesi né per interpretarlo come “segno
di scrittura”, il termine di paragone individuato è
costituito dall’attestazione del segno AB09 su due
documenti amministrativi non avvicinabili in alcun
modo al frammento itacense; nello speciico, come
accennato, si tratta di due rondelle, la cui funzione
ed uso nel quadro delle procedure burocraticoamministrative messe in atto nella Creta neopalaziale richiede una notazione molto concisa della
transazione economica annotatavi, comprendente
(nello speciico) su una faccia un gruppo di tre
sillabogrammi e, sull’altra, il segno in questione.
Anche se il confronto si basasse esclusivamente sul
ductus del segno, d’altra parte, non si potrebbe non
ritenerlo molto tenue.
L’interpretazione del frammento da parte di
L. Kontorli-Papadopoulou65, oltre ad accogliere
l’ipotesi che vi sia iscritto un segno di scrittura,
ne comprende anche una lettura delle incisioni
graite che lo accompagnano che risulta tuttavia
diicilmente veriicabile dall’analisi del frammento, nonché foriera di implicazioni storico-culturali
diicilmente sostenibili.
Avvalendosi di riprese fotograiche ritoccate in
modo da mostrare in maniera dettagliata le incisioni presenti sul frammento, la studiosa sostiene
la possibilità di distinguere nettamente due “livelli”
In Lineare A il segno è attestato circa 60 volte negli archivi
di Haghia Triada, Zakros, Khania, Arkhanes, Prassa, Phaistos,
Knossos, Papoura e Gournia (cfr. Gorila V, pp. 165-166). In
Linerare B, AB09 è attestato molto frequentemente sulle ta-
volette di Cnosso e Pilo, così come a Micene e Tebe, ma non
sugli scarsi rinvenimenti da Khania e Tirinto.
64
Cfr. HT Wc 3004b e 3005 in Gorila II, p. 73.
65
www.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.html.
63
Matilde Civitillo
82
sovrapposti nell’esecuzione del graito (parzialmente
individuabili nel disegno pubblicato in Kadmos) di
cui si riporta di seguito la descrizione, senza, peraltro,
riuscire a trovarne un riscontro sempre puntuale nella
riproduzione fotograica e graica disponibile. Sul
“livello” inferiore la studiosa distingue la raigurazione di un uomo seduto e legato all’albero di una
nave (al centro), di una donna dal volto di uccello
(?) legata ad una corda nell’angolo superiore destro e,
vicino a quest’ultima, di una igura umana in piedi,
con un ginocchio appoggiato su uno sgabello, le cui
caratteristiche (le orecchie, le dita e i piedi) sembrano
alla Kontorli proprie di un suino e la conducono
all’accostamento di questa igura “metamorica” con
l’episodio omerico in cui si descrive la trasformazione
dei compagni di Odisseo in maiali ad opera di Circe
(Od. 10.275-285). Sulla sinistra sarebbero raigurati
i tentacoli di un polipo che si appoggia alla nave, uno
dei quali sembra alla studiosa assumere, alle estremità, l’aspetto della testa di un cane e tenere avvinta una
testa di donna; anche in questo caso giunge puntuale
il confronto con un’altra igura omerica, ovvero
Scilla (Od. 12.85-95). Già in questo primo livello
dell’incisione ricorrerebbe il graito interpretato
come sillabogramma se, per l’attestazione del quale
viene fornita una spiegazione che sembra rispondere alla domanda che veniva posta alla ine della
pubblicazione del frammento66, ovvero se il “segno”
individuato potesse aver avuto un particolare valore
per Itaca. La studiosa, quindi, ipotizza che il sillabogramma in questione rappresenti, sul frammento,
l’abbreviazione di seirhéna, con un ennesimo, chiaro
riferimento all’epos omerico. Tale interpretazione
sembrerebbe confermata dalla lettura del secondo
livello delle incisioni presenti sul frammento d’argilla,
in cui il presunto “sillabogramma” si ripeterebbe.
Scilla sarebbe scomparsa, ma la nave avrebbe assunto
maggiori dimensioni così come l’uomo (identiicato
con Odisseo) legato al suo albero e sarebbe stata
provvista di remi ed equipaggio. Concludendo, la
Kontorli si chiede se tale lettura (invero molto diicile da sostenere) non possa tradire, sul frammento
itacense, la narrazione per immagini di alcune delle
imprese di Odisseo narrate nell’Odissea. Tale ipotesi,
congiunta all’interpretazione del graito a forma di
tridente con un segno della Lineare B (sebbene non
speciicato, sembra che sia verso questa scrittura
che ora la studiosa si orienti, data la sua “lettura” da
un punto di vista linguistico greco), ovvero di una
scrittura attestata a Creta e sul Continente greco
in un arco di tempo compreso tra il XIV ed il XIII
secolo67 (o in un periodo ancora precedente, se si
attribuisse il “segno” al sillabario A), implica quanto
meno la circolazione di nuclei mitici riguardanti le
imprese del re itacense nel suo nostos dopo la guerra
di Troia in un periodo risalente al Bronzo Tardo (o
addirittura Medio).
In realtà, se piuttosto vaga appare l’interpretazione delle incisioni presenti sul frammento in
questione, ancora più diicile sembra essere la deinizione di quest’ultimo come “tavoletta”, che ne
implica l’interpretazione come documento d’archivio (essendo la vocazione di questo tipo di supporto
esclusivamente amministrativa) nonché l’esistenza,
ad Haghios Athanasios, di un centro palatino di
matrice minoica o micenea che adoperasse in loco
gli strumenti dell’amministrazione propri di quelle
società, poiché una tavoletta della tipologia e con
le inalità di quelle egee non può essere certo stata
importata. Una interpretazione del frammento in
questione come tale non sembra resistere (oltre che
ad una serie di osservazioni condotte più avanti)
neppure al confronto istituito tra questo ed un
gruppo di ulteriori frammenti (nello speciico, tre)
“riscoperti” da Owens all’Ashmolean Museum di
Oxford ed interpretati come pertinenti a tavolette
mal conservate provenienti da Cnosso, recanti
segni iscritti in Lineare B68. Per stessa ammissione
del loro editore, la maggior parte dei frammenti
sarebbe anepigrafe, tranne due (inglobati con un
terzo col quale sarebbero stati cotti al momento
della distruzione del palazzo) che presenterebbero
l’iscrizione di due segni (uno su ciascun frammento)
di identiicazione impossibile o altamente controversa. Recentemente, tuttavia, anche questi ultimi
sono stati eliminati dal computo dei documenti
iscritti in Lineare B in occasione dell’ultimo rapporto sulle nuove attestazioni di scritture cretesi,
laddove M. Del Freo69 sottolinea come sia impossibile essere sicuri che tali frammenti, in pessimo
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, p. 185.
Le tavolette in Lineare B provengono da uno strato di distruzione del TM IIB (1520/1480-1425/1390, Room of Chariot
Tablets) e del TM IIIA1 (1425/1390-1390/1370) nel caso di
Cnosso; ad un livello del TE IIIB1 (1340/1330-1270/1250)
nel caso di Khania e del TE III B2 (1270/1250-1190/1180)
per gli archivi continentali.
68
Owens 1998-999, pp. 155-158.
69
Del Freo 2007, p. 222.
66
67
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
83
stato di conservazione e ipoteticamente scartati o
eliminati prima di un loro utilizzo, abbiano mai
recato una iscrizione. Di conseguenza, la stessa
decisione di assegnare loro una numerazione in
quanto iscrizioni (secondo la proposta di Owens,
KN X 9948, X 9949 e Xf 9950) viene considerata
arbitraria, escludendo risolutamente dalla discussione l’unico confronto con un gruppo di documenti
iscritti con inalità amministrative invocato dalla
Kontorli, Papadopoulos e Owens per il presunto
frammento iscritto di Itaca70. Inoltre, l’ipotesi di
Owens sui frammenti di Oxford si basava anche su
alcuni particolari relativi all’esecuzione e all’aspetto
di questi ultimi (tra i quali anche alcune impronte
digitali chiaramente distinguibili, la forma, il fatto
che fossero stati cotti accidentalmente) che, se
anche potrebbero indicare che questi fossero stati
pertinenti a tavolette preparate ma mai iscritte, risultano del tutto estranei al frammento di Haghios
Athanasios.
Nel rapporto sul suo rinvenimento, la Kontorli
rileva che questa “tavoletta” (come le altre ritrovate, infra), diversamente da quanto accade per i
documenti analoghi rinvenuti presso gli archivi e
depositi minoici e micenei (vergati su argilla cruda
e cotti casualmente dagli incendi che seguirono
la distruzione di palazzi e cittadelle), è stata cotta
intenzionalmente. Di conseguenza, l’“iscrizione”
che recherebbe sarebbe stata vergata prima della
cottura con una inalità precisa (quella di poter
restituire il suo signiicato a chiunque l’avesse letta
in qualunque momento), caratteristica di iscrizioni
monumentali ma profondamente diversa da quella
che ha presieduto alla redazione, in Lineare A e B,
di documenti contabili destinati a durare un tempo
limitato ino a che, si può presumere, non fossero
stati eliminati o ricopiati su materiale deperibile.
Una serie di altre caratteristiche del frammento
inciso, inoltre, ne scoraggia profondamente una
interpretazione come “tavoletta”. Infatti, diversamente dai documenti amministrativi iscritti in
Lineare A o B, il frammento itacense è letteralmente
cosparso di graiti ed incisioni con valore evidentemente decorativo, simbolico o evocativo, che non
accompagnano mai le iscrizioni egee di carattere
amministrativo (come già notato a proposito del
fr. 80a di Pelikata); anche nel caso in cui si volesse
ipotizzare che il frammento in questione non fosse
pertinente ad una tavoletta ma fosse parte di un
manufatto iscritto con inalità non amministrative,
bisognerebbe tenere presente che l’irruzione di una
rappresentazione iconograica così articolata non
è una caratteristica ricorrente in alcuna iscrizione
prodotta nell’Egeo del II millennio. Di conseguenza, queste osservazioni spingono a concludere che,
per le sue caratteristiche, il frammento di Haghios
Athanasios non abbia nulla che ne permetta una
comparazione verosimile con nessun tipo di manufatto iscritto nelle Lineari egee, né con inalità
amministrative né non amministrative.
Quanto al contesto di rinvenimento e alla datazione dell’oggetto, in base allo stato attuale della documentazione archeologica non se ne potrà avanzare
alcuna ipotesi certa. Infatti, il frammento oggetto
di analisi proviene da un monumento circolare di
grandi dimensioni (8x5 m.) messo in rapporto con
l’acropoli di Haghios Athanasios, noto agli abitanti
della zona dalla ine del secolo scorso e in cui il grado
di disturbo del contesto è già evidente nella segnalazione del suo uso come lavatoio del paese (almeno
nella porzione settentrionale)71. La sua esplorazione
è stata intrapresa dalla Kontorli nel 1995 tra grandi
diicoltà, al di sotto del livello di crollo della struttura
superiore periodicamente allagato dalla pioggia. Dalle esplorazioni condotte inora, oltre ad averne individuato un ingresso a gradini sul lato orientale ed un
segmento di peribolo che lo circonda a sud e a est, la
studiosa ha potuto condurre alcune osservazioni sulla
tecnica di costruzione del monumento, costruito con
pietre non lavorate e connesse senza alcun legante,
non intonacate e a facciavista interna solo nella metà
inferiore. In base a queste osservazioni preliminari,
la Kontorli ne propone una interpretazione come
tomba a tholos, individuandone un confronto con
le tombe della Messarà e, nello speciico, con quella
di Haghia Kyriaki72. L’indicazione di un parallelo
immediato con altre tipologie di architettura funeraria cretese o continentale (come le tombe circolari
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005,
p. 184, nota 8.
71
Kontorli Papadopoulou 2001, pp. 317-330; Kontorli
Papadopoulou-Papadopoulos 2001, pp. 71-72.
72
D. Blackman - K. Branigan, ‘he excavation of an early
minoan tholos tomb at Ayia Kyriaki, Ayiofarango, southern
Crete’ in BSA 77, 1982, pp. 1-57, tavv. 1-2. Si presume che il
confronto individuato sia limitato alla tipologia e alla pianta
della tholos cretese, la quale è databile, grazie ai rinvenimenti di
una notevole quantità di ceramica diagnostica, all’AM I, con
successive fasi costruttive nell’AM II e MM I, ovvero ad un
periodo precedente all’introduzione della Lineare A.
70
84
Matilde Civitillo
messeniche, ad esempio) non sembra tuttavia possibile in questo stadio della ricerca né incoraggiata
dai numerosissimi problemi cronologici e stratigraici
presentati dal monumento.
Infatti, il lavoro di rimozione della maggior parte
dello strato di crollo superiore ha rivelato la natura
profondamente disturbata del riempimento del
monumento, privo di alcuna stratiicazione individuabile. Tra i rinvenimenti, infatti, viene enumerata
ceramica di periodo classico ed ellenistico, frammenti
di idoli d’argilla e di coppe, mattoni, monete, lamine
metalliche, ibule di bronzo, ami e ossa di animali73,
che inducono ad usare anche molta cautela nell’identiicazione della vocazione (o delle diverse vocazioni
nel tempo) della costruzione. Congiuntamente a
quanto sopra elencato, è venuto alla luce quello che
la Kontorli deinisce un «megaélov arijmoév» di tavolette di argilla e ossa di bos primigenius, al di sotto
delle quali sono stati rinvenuti due bucrani interi74.
Proprio questi ultimi sembrano confermarla verso
l’interpretazione dell’ediicio come monumento funerario, in base all’esistenza di confronti disponibili
sul rinvenimento in tombe, sia cretesi che continentali, di bucrani75. I manufatti interpretati come
tavolette, plasmate in argilla marrone chiaro, sono
stati rinvenuti in pessimo stato di conservazione: la
dimensione dei loro frammenti sembra variare da 4 a
5 cm. di lunghezza e da 0,5 a 2 cm. di spessore, e di
pochissimi sarebbero individuabili le estremità. Per
la maggior parte provengono dall’esterno del monumento circolare, lontani dall’area allagata, mentre
altri furono trovati al suo interno; tra questi ultimi
ricorre la “tavoletta” pubblicata, rinvenuta al centro
della costruzione ad una profondità di 0,50 m. dalla
supericie e vicino ad un bucranio. Se, per una serie
di deduzioni in negativo, non è possibile deinire il
segno graito di Haghios Athanasios una iscrizione
e se non si può interpretare il manufatto che lo reca
come tavoletta, sarebbe evidentemente di importanza
fondamentale per fornire maggiori elementi per una
sua interpretazione alternativa (come parte di un
grosso vaso o del suo orlo) la pubblicazione delle
altre “tavolette”, attualmente in corso di studio, che
gli editori sostengono poter recare altri “segni” incisi.
Tuttavia, se questa ipotesi si basasse esclusivamente
sul confronto tra i materiali di Haghios Athanasios
con i già citati frammenti cnossi dell’Ashmolean
Museum, la loro natura di “tavolette” non potrebbe
trovarvi sostegno.
Tra i manufatti provenienti dal riempimento del
monumento sono citati76 anche frammenti di idoli
di argilla nei quali si riconosce una matrice minoica,
comparati con tre igurine cretesi per la postura
delle braccia. Infatti, sebbene di datazione diverse (due sono protopalaziali ed una postpalaziale,
ovvero relativa al periodo “miceneo” dell’isola)77,
le statuette minoiche in questione presentano un
braccio sull’addome e l’altro sulla spalla, rientrando
in una tipologia stilistica che fa di tali manufatti il
precedente delle statuette micenee a phi. Tuttavia,
ino ad una pubblicazione completa degli esemplari
itacensi, non se ne potrà trarre alcuna informazione
circa la composizione e la cronologia del materiale
proveniente dalla cosiddetta tholos.
Quest’ultima è ubicata più in basso e più ad
oriente, giù da un sentiero campestre, rispetto
alla cisterna ipogeica di Haghios Athanasios, che
è l’unico monumento che abbia fornito traccia
di materiali risalenti al TE III. Il sito, infatti, ha
fornito, seppure labili, alcune tracce di adozione
in loco di ceramica micenea, il che ne ha favorito
una più approfondita indagine alla ricerca della
fase “micenea” del popolamento dell’isola, connessa
all’ipotesi che la città “omerica” fosse ubicata al nord
di Itaca. Il sito è noto col nome popolare di “scuola
di Omero” da una torre di avvistamento della ine
del quarto secolo78, dove le prime esplorazioni
archeologiche furono intraprese da Schliemann,
73
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos 2001, p. 72; http://
www.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.html.
74
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, p. 184.
75
In particolare, la studiosa istituisce un confronto con la
tholos A di Archanes-Fourni, donde proviene il cranio di un
toro (oltre che parti di un cavallo), che è databile ad un periodo
compreso tra TM IIIA1 e TM IIIB, ovvero al periodo miceneo
dell’isola. Cfr. E. Sapouna-Sakellaraki, ‘Archanès à l’époque
mycénienne’, in BCH 114, 1990, pp. 78-80.
76
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens 2005, p.
183; ww.friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.html.
77
Cfr. G. Rethemiotakis, Minoan clay Idols, Archaeological
Society of Athens 218, 2001, in cui i confronti con gli “idoli”
itacensi sono individuati in MH 15146 da Gortina (risalente al
periodo protopalaziale), p. 4, ig. 5, p. 6, ig. 9 e MH 21809 da
Kalou Pediados (ascrivibile al periodo post-palaziale), p. 13, ig. 18.
78
Schliemann 1869, p. 48: «In der Nähe dieser beiden Quellen... beindet sich ein Gebäude ohne Dach... welches die Tradition als die Schule Homers bezeichnet». La tradizione locale
preferiva ricondurre il nome alla conformazione della roccia
sottostante, quale appare nell’acquerello di W. Gell (1807); cfr.
Steinhart-Wirbelauer 2002, p. 61, ig. 15a. Oggi il paesaggio
appare completamente stravolto dagli scavi degli ultimi decenni.
79
Souyoudzoglou Haywood 1999, p. 95.
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
85
Vollgraf e Kyparisses79. Anche questo sito fu indagato a partire dal 1930, come già accennato, da
C.R. Wason e da S. Benton80 per conto della Scuola
Archeologica Inglese di Atene, che ne rivelarono le
fasi di principale occupazione risalenti ai periodi
romano ed ellenistico81, sebbene fosse poi tralasciato
nelle successive campagne di scavo per il minimo
interesse che aveva dimostrato. Costoro identiicarono la succitata cisterna sotterranea (in un primo
momento erroneamente interpretata come tholos),
che restituì le basi di due kylikes e di una coppa
micenee82 del TE III, sebbene la Souyoudzoglou
sottolinei che la Benton, nel suo inedito studio
su Itaca83, segnalasse la base di una sola kylix. In
aggiunta, un altro numero esiguo di frammenti
tardo-elladici fu rinvenuto nel 1963 al di sotto della
camera84. La tecnica di costruzione di quest’ultima,
reindagata di recente dall’Università di Ioannina, è
stata genericamente paragonata dalla Kontorli85 a
quella delle cisterne ipogeiche di Micene, Tirinto
e Haghia Irini a Kea, nonché alla fonte-cisterna di
Beycesultan. Tali confronti, uniti ai rinvenimenti
ceramici di cui sopra, conducono la studiosa a datare il monumento al TE III e a deinirlo mukhnai=khév
krhénhv, senza che questa ipotesi, formulata solo
sulla base di un procedimento descrittivo e di un
numero esiguo di frammenti ceramici, sia sufragata
da più perspicui rinvenimenti necessari per una sua
conferma.
Sebbene, nello stato attuale della ricerca, non ci
siano elementi sicuri per attribuire la costruzione
circolare di Haghios Athanasios al Tardo Elladico,
si ritiene che il sito (profondamente disturbato
dall’occupazione ellenistica e romana) rientri, per
le evidenze ceramiche provenienti dalla cisterna, nel
principale sistema insediamentale della porzione
settentrionale dell’isola dove, a partire da Heurtley,
è stato più volte identiicato l’“insediamento miceneo” di Itaca. Dopo una generale recessione rispetto
alla fase del Bronzo Antico rintracciabile, in tutte le
isole dell’arcipelago, nella generale contrazione del
numero e dell’estensione di siti nel Bronzo Medio,
quando lo stesso insediamento di Pelikata sembra
aver avuto una minore incidenza sul nord di Itaca
(a giudicare dalla quantità di materiale ascrivibile al
ME, molto ridotta rispetto a quello AE), al passaggio tra questa fase e l’inizio del Bronzo Tardo sembra
poter essere attribuita una rinnovata partecipazione,
da parte delle isole ioniche, ai network commerciali
egei, con una loro conseguente “micenizzazione”86. I
gradi, la natura e l’incidenza di quest’ultima, tuttavia, non sono delineabili con sicurezza, a causa della
sua pressoché totale limitazione alle produzioni
utilitaristiche. Infatti, le evidenze architettoniche
risalenti al Bronzo Tardo sono pertinenti a strutture
isolate, delle quali le più signiicative sembrano
essere quelle individuate sul sito di Tris Langadas
(aree TL, L e T), ubicato al di sopra della baia di
Polis, la cui continuità d’uso col periodo precedente
è resa dubbia dal fatto che la ceramica mesoelladica
ha continuato ad essere prodotta ino al TE II. Le
prime indagini condotte sul sito portarono alla
luce, in due settori, segmenti di muri che furono
attribuiti ad una struttura ove fu rinvenuta ceramica
datata al TE IIIA1-IIIB87, ulteriori frammenti della
quale (congiunti a ceramica di periodo storico e
ad altri segmenti di murature) sono stati rinvenuti
in occasione delle indagini svolte sul sito a partire
dal 199588. Le testimonianze architettoniche cui si
accennava sono rappresentate, nell’area L, da tre
segmenti sovrapposti di muri pertinenti ad una
struttura caratterizzata da estremità curve (come
quelle individuate di recente a Pelikata, supra) di
carattere indigeno, che dimostrano l’adozione di
una tipologia di pianta da lungo tempo scomparsa dai principali centri di cultura micenea che,
congiuntamente al ritardo nell’introduzione della
ceramica stilisticamente attribuibile ad un prototipo
miceneo sulle isole dell’arcipelago, ne indica un certo ritardo culturale89. Tuttavia, le suddette evidenze
hanno condotto ad individuare a Tris Langadas un
possibile “insediamento miceneo” che rientrerebbe
in un sistema insediamentale facente capo a Pelikata
donde, dall’area VI, proviene la già citata ceramica
Heurtley 1939-40, pp. 2, 10, tav. 6.1.
Morgan 2007, pp. 81-83.
82
Heurtley 1934-1935, pp. 33 (119d), 34 (126b); Heurtley
1939-40, pp. 2, 10, tav. 6.1.
83
S. Benton, A Guide Book to Ithaka, 1963.
84
R. Hope Simpson, O.T.P.K. Dickinson, A Gazetteer of
Aegean Civilisation, vol. I, he Mainland and Islands, Göteborg
1979, p. 186.
85
Kontorli Papadopoulou 2001, pp. 317-330; http://www.
friendsofhomer.gr/Excavations/Excavations.html.
86
Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 134-142.
87
S. Benton - H. Waterhouse, ‘Excavations in Ithaka: Tris
Langadas’, in BSA 68, 1973, pp. 1-24.
88
Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos 2001, p. 68; Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 93-94.
89
Per una analisi aggiornata delle strutture architettoniche
rinvenute a Tris Langadas, cfr. Souyoudzoglou Haywood 1999,
pp. 102-103.
80
81
86
Matilde Civitillo
micenea tra quelli che Heutrley riteneva i resti del
crollo di una struttura abitativa “micenea” profondamente disturbati. Ubicato a breve distanza,
anche Stavros dimostra tracce di una occupazione
risalente al Bronzo Tardo (TE III A2-B), laddove
la presenza di ceramica micenea rinvenuta dagli
inglesi («few LM III sherds») è stata ultimamente
confermata dalle esplorazioni archeologiche intraprese a partire dal 1994 dall’Università di Ioannina
che, oltre a portare alla luce due porte pertinenti
ad una costruzione rettangolare già individuata da
Heurtley (interpretata «perhaps Mycenaean»), ha rinvenuto altri frammenti di kylikes micenee90. Inine,
ricordiamo che la grotta di Polis (la cui designazione
toponimica non sarebbe casuale)91, prospiciente al
mare e situata all’estremità occidentale della baia,
naturale accesso dal mare alla porzione settentrionale dell’isola per chi proviene da occidente, aveva già
restituito, nel 1905, i primi frammenti di ceramica
micenea dell’isola92.
Sebbene quindi le evidenze di un’occupazione
della porzione settentrionale dell’isola nel Bronzo
Tardo siano difuse nei principali siti qui individuati, tuttavia lo stato attuale delle conoscenze non
permette di individuarvi con certezza l’esistenza
di un grosso centro o di suggerire la presenza di
un “palazzo”, laddove l’isola sembra essere stata
caratterizzata da piccoli insediamenti e fattorie con
vocazione agricola, ubicati nelle aree di massimo
potenziale produttivo. Gli stessi processi di acquisizione di alcuni tratti di cultura materiale micenea
risultano ancora in larga misura ipotetici. Non
è infatti deinibile con chiarezza se il processo di
micenizzazione delle isole ioniche sia da imputare
all’adozione di alcuni tratti culturali tipici della
tradizione micenea (come sembrerebbero indicare
le tholoi del TE IIIA2-B/C di Zacinto e Cefalonia)
ipoteticamente introdotti dall’élite (come proposto
dalla Souyoudzoglou), o ad una limitata presenza
stanziale di gruppi di Micenei all’interno di “teste di
ponte” issate per ini commerciali. Le fasi di principale acquisizione di tratti micenizzanti sembrano
aver coinciso con il TE IIIA1 ed il TE IIIA2-B/C,
quando la ceramica micenea raggiunge un buono
standard qualitativo e le tombe a camera e a tholos
emulano i modelli peloponnesiaci, probabilmente
stimolate proprio dalle regioni della Grecia occidentale, dove è attestato un grande incremento
nel numero dei siti in Messenia e un’espansione
degli insediamenti esistenti in Elide e in Achaia.
Ad Itaca, tuttavia, la difusione di tratti culturali
micenei è stata costantemente accompagnata dal
perdurare di elementi di cultura materiale tipicamente indigeni – quali le strutture abitative con le
estremità curvilinee o la grande quantità di ceramica
fatta a mano prodotta secondo le tradizioni locali
impiegata contemporaneamente a quella micenea
–, da rielaborazioni locali di elementi importati o
da acquisizioni tardive di essi. Il quadro che se ne
può dunque trarre, alla luce delle evidenze inora
note, sembra indicare che, dal momento della loro
acquisizione, i tratti di cultura materiale micenea si
siano sviluppati in seno alle comunità indigene con
le caratteristiche di una «cultura periferica»93. I motivi della loro acquisizione potranno essere attribuiti
alla posizione geograica delle isole ioniche, lungo
una (piuttosto ipotetica per questa fase cronologica)
rotta commerciale di collegamento tra la Grecia e
l’Occidente94. Tuttavia, l’evidenza archeologica fornita da Itaca e dalle altre isole dell’arcipelago mostra
una situazione profondamente diversa rispetto a
quella testimoniata dalle vere e proprie “gateway
communities” minoiche e micenee del Dodecaneso (a Rodi) e della costa occidentale dell’Anatolia
(prima fra tutte, Mileto) laddove, ad Itaca, non è
attestata nessuna evidenza positiva per l’adozione
del patrimonio tecnologico e/o simbolico minoico
e/o miceneo che indicherebbe l’importazione di
una cultura allogena a vasto raggio (chiare strutture architettoniche, evidenze dello svolgimento in
situ di pratiche religiose, sistema di pesi e misure,
afreschi etc.), ma solo l’importazione/imitazione
di produzioni utilitaristiche (che potrebbe essere
avvenuta anche indirettamente) o l’imitazione di
alcune tipologie funerarie, probabilmente per la
autolegittimazione della élite locale.
È evidente, di conseguenza, che la “presenza”
minoica e micenea sul sito, invocata per giustiicare
90
Heurtley 1939-40, p. 3 tav. 3; cfr. Souyoudzoglou Haywood
1999, p. 93; Kontorli Papadopoulou 2001, pp. 317-330; Kontorli
Papadopoulou-Papadopoulos 2001, pp. 65-66.
91
Heurtley 1939-40, p. 12.
92
Cfr. nota 9.
93
Souyoudzoglou Haywood 1999, pp. 140-142.
94
h. Papadopoulos - L. Kontorli Papadopoulou, ‘Minoan
Relations with West Greece and the Ionian Islands in the Late
Bronze Age’, in ‘Proceedings of the 8th Cretological Congress,
Heraklion, September 1996’, Heraklion 2000, Volume A2,
pp. 519-530.
Sulle presunte “iscrizioni” in Lineare A e B da Itaca
87
il rinvenimento di una “tavoletta” recante un segno
della Lineare A o B, non è abbastanza strutturata
da supportare tale ipotesi. Le vie attraverso le quali
si trasmette l’acquisizione di un sistema di scrittura
sono molto diverse rispetto a quelle attraverso le
quali si trasferiscono le produzioni utilitaristiche.
L’importazione di un sistema scrittorio implica
l’esistenza di una struttura sociale, politica e amministrativa non solo centralizzata ma, nel caso in
esame, tipicamente minoica o micenea, la cui effettiva attestazione necessita di essere rappresentata
da clusters molto più complessi di cultura materiale.
D’altra parte, le tracce della penetrazione dei sistemi
amministrativi egei sono spesso poco evidenti (se
non del tutto assenti) anche in quei contesti dove
una presenza stanziale strutturata di gruppi di Minoici o Micenei è archeologicamente comprovata.
Quanto alla lineare A95 (escludendo l’attestazione
di documenti – amministrativi e non – redatti
con questo sistema scrittorio nelle profondamente
minoizzate Cicladi e a Citera), il suo uso attivo è
attestato solo sui già citati frammenti di pithoi (e
non su tavolette!) provenienti dall’insediamento di Mileto96, ovvero in un contesto abitativo
enormemente più strutturato, in riferimento ad
una presenza stanziale di Minoici, di quello che si
possa intravedere non solo nelle isole ioniche, ma
anche in altre “teste di ponte” o empori dove una
tale presenza può essere ammessa con maggiore
probabilità, ad esempio a Iasos o a Rodi. Quanto
alla Lineare B, al di fuori del Continente e di Creta
possono essere solo menzionati97 un peso di pietra
ed un frammento di kylix iscritti da Iolkos98, un
sasso recante una iscrizione dedicatoria da Kafkania
(Olimpia)99, un sigillo in avorio dalla necropoli
del Medeon (Focide)100 ed un sigillo in ambra da
Bernstorf (Bayern)101. In nessuno di questi casi si
tratta di documenti amministrativi (la cui presenza, ripetiamo, è giustiicabile solo nel contesto di
un archivio/deposito palaziale), e tutti rientrano
perfettamente negli standard tipologici e stilistici
delle iscrizioni nelle Lineari A e B, cosa che non si
può dire nel caso delle millantate iscrizioni itacensi.
Le considerazioni condotte, dunque, portano a
concludere che i frammenti d’argilla incisi, oggetto
della presente nota, non possono in alcun modo
contribuire al dibattito tuttora in corso sull’identiicazione della Itaca omerica e sull’ubicazione, sul suo
territorio, del “palazzo” di Odisseo, né fornire nuovi
elementi che favoriscano la discussione sui tempi, le
modalità e le forme della partecipazione dell’isola al
più vasto orizzonte culturale egeo del II millennio.
95
Non si considerano qui collegate alla difusione di pratiche
scrittorie né quali indicatori di presenze stanziali allogene le mason’s
marks segnalate da Kontorli Papadopoulou-Papadopoulos-Owens
2005 (p. 183 e nota 4) in Messenia. Inoltre, al di là del dibattito
circa la natura del sillabario attestato sul già citato sasso di Kafkania (Godart 2002, pp. 213-240), se ne ritiene più verosimile
l’appartenenza al segnario B, diversamente da quanto sostenuto
in G. Owens, ‘Linear A in the Aegean: he Further Travels of the
Minoan Script. A Study of the 30+ extra-Cretan Minoan Inscriptions’, in P.P. Betancourt - V. Karageorghis - R. Laineur - W.-D.
Niemeier (a cura di), Meletemata: Studies in Aegean Archaeology
Presented to Malcolm H. Wiener as He Enters His 65th Year (Aegaeum
20), Liège-Austin 1999, vol. II, pp. 585-587.
96
Cfr. nota 29.
97
I due segni molto controversi vergati su due ostraka milesi
sono stati interpretati più correttamente come marchi di vasaio;
cfr. W.-D. Niemeier, ‘he Mycenaeans in Western Anatolia
and the Problem of the Provenance of the Sea Peoples’, in S.
Gitin - A. Mazar - E. Stern (a cura di), Mediterranean Peoples
in Transition: hirteenth to Early Tenth Centuries B.C.E., ‘Proceedings of the International Symposium in Jerusalem, April
3-7 1995’, Jerusalem 1998, p. 37, igg. 13-14.
98
V. Adrimi-Sismani, ‘Mukhnai=khé Iwlkoév’, in AAA 32-34,
1999-2001, p. 84, ig. 5, p. 93, ig. 17; L. Godart - V. AdrimiSismani, ‘Les inscriptions en linéaire B de Dimini/Iolkos et
leur contexte archéologique’, in ASAtene 83 (2005), 2006,
pp. 47-70.
99
Cfr. nota 38.
100
Olivier 1999, p. 343; il sigillo è stato rinvenuto in una
tomba del TE IIIC, ma si ritiene, per motivi stilistici, essere
stato eseguito in un periodo non successivo al TE IIIA1/TE
IIIB e poi «ereditato».
101
R. Gebhard - K.H. Rieder, ‘Zwei bronzezeitliche
Bernsteinobjekte mit Bild- und Schriftzeichen aus Bernstorf
(Lkr. Freising)’, in Germania 80 (2002), pp. 115-132. Il sigillo
è datato al 1360 ca. (p. 132).
Matilde Civitillo
88
Abbreviazioni supplementari:
Béquignon 1930
Del Freo 2007
= Y. Béquignon, ‘Chronique des
fouilles et découvertes archéologiques
dans l’Orient hellénique’, in BCH 54,
1930, pp. 452-528.
= M. Del Freo, ‘Rapport 2001-2005
sur les textes en écriture hiéroglyphique crétoise, en linéaire A et en
linéaire B’, in A. Sacconi - M. Del
Freo - L. Godart - M. Negri (a cura
di), Colloquium Romanum, “Atti del
XII Colloquio Internazionale di Micenologia, Roma 20-26 febbraio 2006”,
vol. I, Pisa-Roma 2007, pp. 199-222.
Faure 1989
= P. Faure, ‘Tessons inscrits du palais
de Pilikata a Ithaque’, in Nestor 16.6,
sept. 1989, p. 2288.
Godart 2002
= L. Godart, ‘L’inscription de Kavkania
- Olimpie OL Zh1’, in X. Arapojanni - J. Raumbach - L. Godart (a cura
di), Kavkania. Die Ergebnisse der Ausgrabung von 1994 auf dem Hügel von
Agrilitses, Mainz 2002, pp. 213-240.
Gorila II
= L. Godart - J.-P. Olivier, Recueil
des inscriptions en linéaire A, vol. IV
(Études Crétoises XXI, 2), Paris 1979.
Gorila IV
= L. Godart - J.-P. Olivier, Recueil
des inscriptions en linéaire A, vol. IV
(Études Crétoises XXI, 4), Paris 1982.
Gorila V
= L. Godart - J.-P. Olivier, Recueil
des inscriptions en linéaire A, vol. V
(Études Crétoises XXI, 5), Paris 1985.
Heurtley 1934-1935
= W.A. Heurtley, ‘Excavations at Ithaca II. he Early Helladic settlement
at Pelikáta’, in BSA 35, 1934-1935,
pp. 1-44.
Heurtley 1939-40
= W.A. Heurtley, ‘Excavations in
Ithaca 1930-35; Summary of works’,
pp. 5-16; ‘Excavations at Ithaca IV.
Summary of conclusions’, in BSA 40,
1939-40, pp. 1-4.
Kontorli Papadopoulou = L. Kontorli-Papadopoulou, ‘Search2001
ing for the Homeric Ithaca. Recent
archaeological excavations (19942000)’, in Machi Païsi-Apostolopoulou (a cura di), Eranos, “Proceedings
of the 9th International Symposium on
the Odyssey (2-7 September 2000)”,
Ithaca 2001, pp. 317-330.
Kontorli Papadopoulou- = L. Kontorli-Papadopoulou - h.
Papadopoulos 2001
Papadopoulos, ‘Excavation of the University of Ioannina in North-Ithaki
1994-2000’, in Corpus 45, 2001, pp.
65-75.
Kontorli Papadopoulou = L. Kontorli-Papadopoulou, ‘Ithaki’,
2002
in Corpus Special Edition, ‘Archaeology
in Greece’, 2002, pp. 147-151.
Kontorli Papadopoulou- = L. Kontorli-Papadopoulou - h.
Papadopoulos-Owens Papadopoulos - G. Owens, ‘A possibile
2005
linear sign from Ithaki (AB 09 “SE”)?’,
in Kadmos 44, 2005, pp. 183-186.
Kontorli Papadopoulou = L. Kontorli-Papadopoulou, ‘Anaska2006
phes tou Panepistimiou Ioanninon sti
Boreia Ithaki 1994-2007’, in Austausch
von Gütern, Ideen und Technologien in
der Aegeis und im östlichen Mittelmeer
- von der prähistorischen bis zum archaischen Zeit - Tagusgsband Kolloquium
Ohlstadt 2006, pp. 519-530.
Morgan 2007
= C. Morgan, ‘From Odysseus to
Augustus. Ithaka from the Early Iron
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(a cura di), Identités ethniques dans le
mond grec antique, ‘Actes du Colloque
international de Toulouse, 9-11 mars
2006’, in Pallas, Revue d’Études antiques, 73, 2007, pp. 71-86.
Olivier 1999
= J.-P. Olivier, ‘Rapport 1991-1995
sur les textes en écriture hiéroglyphique crétoise, en linéaire A et en
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Hiller - O. Panagl (a cura di), Floreant Studia Mycenaea, “Akten des X.
Internationalen Mykenologischen
Colloquiums in Salzburg vom 1-5.
mai 1995”, vol. II, Wien 1999, pp.
213-435.
Owens 1998-999
= G. Owens, ‘Re-discovered Fragments of Linear B Tablets from Knossos now in the Ashmolean Museum’,
in Talanta 30-31, 1998-1999, pp.
155-158.
Schliemann 1869
= H. Schliemann, Ithaka, der Peloponnes und Troja, Leipzig 1869.
Souyoudzoglou
Haywood 1999
= Ch. Souyoudzoglou-Haywood,
he Ionian Islands in the Bronze Age
and Early Iron Age 3000-800 BC,
Liverpool 1999.
Steinhart-Wirbelauer
2002
= M. Steinhart - E. Wirbelauer, Aus
der Heimat des Odysseus. Reisende,
Grabungen und Funde auf Ithaka und
Kephallenia bis zum ausgehenden 19
Jahrhundert, Mainz 2002.
Tzakos 2005
= Ch.I. Tzakos, Ithaca and Homer. he
Truth, Athens 2005.
Scioglimento delle abbreviazioni speciali:
AE
ME
TE
AM
MM
TM
= Antico Elladico
= Medio Elladico
= Tardo Elladico
= Antico Minoico
= Medio Minoico
= Tardo Minoico