S&F_n. 7_2012
LUCA LO SAPIO
VIAGGI
TRISTRAM
VON
ENGELHARDT
IN
ITALIA.
E LA TERRA DEGLI STRANIERI MORALI
1. Engelhardt e i Viaggi in Italia 2. Riflessioni a margine
3. Lo spazio simbolico come possibile uscita dall’impasse
1. Engelhardt e i Viaggi in Italia
L’idea
genitrice
dell’ultima
del
fatica
bioeticista
americano
von
Tristram
Engelhardt
Viaggi
in
«nasce
per
jr.
Italia
caso
durante il viaggio in
treno
da
Milano
a
Firenze
nella
tarda
mattina
del
26
gennaio
2010.
Engelhardt
aveva
tenuto una lezione a
Milano
dal
organizzata
Centro
Studi
Politeia e nel tragitto per Firenze ricordava alla moglie Susan di
essere stato invitato per la prima volta a tenere una conferenza
pubblica in Italia sempre da Politeia nel 1991: quasi vent’anni
prima. È bastata la menzione delle date che la magia, il fascino e
il tormento dei numeri hanno fatto il resto, sollecitando la
celebrazione della scadenza nel 2011 dei due decenni di ricorrente
presenza nella penisola con un volume che raccogliesse i suoi vari
151
ETICHE
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
interventi apparsi in italiano o fatti in Italia, così da rendere
più compatto e visibile il suo contributo alla cultura italiana»1.
Il
richiamo
esornativa,
alla
ma
topica
funge
da
del
viaggio
attrattore
non
risulta
concettuale
puramente
decisivo.
Il
Viaggio in Italia del più noto Johann Wolfgang von Goethe sibila
tra le righe del volume engelhardtiano e sottolinea il carattere
di
presa
di
coscienza
di
un
mutamento
radicale,
di
un
sovvertimento generale delle coordinate direttive del pensiero
occidentale. L’Italia, allora, diviene quasi la cifra spirituale
più
che
Europäische
geografica
Geist.
dei
sommovimenti
Tristram
scrive
che
sconquassano
nell’Introduzione
ai
lo
suoi
Viaggi in Italia, riportando alla mente il lontano 1954, anno in
cui visitò per la prima volta il nostro Paese, che in quel momento
non aveva alcun sentore «del fatto che la sostanza della cultura
europea nel volgere di pochi decenni sarebbe come crollata su se
stessa»2.
Nel
1954
infatti
l’Italia
era
ancora
un
paese
marcatamente cattolico:
A metà degli anni 50 c’erano ancora un fitto tessuto di esperienze
comuni e un discorso dominanti sostenuti da tutta una serie di
certezze metafisiche: una situazione che sarebbe venuta decisamente
meno nel corso degli anni 80 […]. La risposta del cattolicesimo romano
al collasso della cultura cristiana occidentale chiaramente non riuscì
a rimediare alla situazione. È il caso del tentativo di Giovanni Paolo
II di rievangelizzare l’Europa Occidentale chiedendo coraggiosamente
ai filosofi di sostenere una ratio ancorata alla metafisica per
ristabilire la fede nel cristianesimo occidentale3.
Il cattolicesimo romano è il frutto complesso della confluenza di
forze culturali variegate e la sua principale eredità è quella di
aver fornito argomentazioni a sostegno di un intimo legame non
solo tra fede e ragione ma anche tra ragione e morale e tra
ragione ed essere. Tommaso d’Aquino rappresenta in forma compiuta
la veracità di tali nessi istituendo un intreccio indissolubile
tra lex divina, lex naturale e lex humana. Successivamente Kant,
1
Maurizio Mori, Annunciare Dio agli stranieri morali nel rispetto della
libertà di tutti: un’introduzione alla lettura di Engelhardt, in T. von
Engelhardt, Viaggi in Italia, a cura di R. Rini, M. Mori, Le Lettere, Firenze
2011, p. 9.
2
T. von Engelhardt, op. cit., p. 35.
3
Ibid., pp. 37‐38.
152
S&F_n. 7_2012
in questo erede filosofico dell’Aquinate, ha contribuito alla
formulazione
di
un
paradigma
dell’etica
volto
a
superare
i
pluralismi delle concezioni morali. Tale castello speculativo si è
però
frantumato,
sicché
appare
evidente
che
l’unico
appiglio
disponibile per il discorso etico rimane quello dell’autorità
formale derivante dal libero consenso che stranieri morali possono
fornire
al
fine
della
cooperazione
inter‐individuale.
Le
riflessioni del bioeticista texano si snodano a partire da tali
premesse
concettuali.
Seguendo
le
indicazioni
che
lo
stesso
Engelhardt fornisce a conclusione dell’Introduzione al suo testo
possiamo suddividere il volume in cinque parti: la prima raccoglie
una serie articolata di saggi che hanno come oggetto l’indagine
dei nessi tra teologia e filosofia; la seconda affronta questioni
concettuali generali (le basi concettuali della bioetica); la
terza
comprende
specifiche;
la
articoli
quarta
che
vertono
ritorna
su
su
talune
tematiche
questioni
bioetiche
di
ordine
teorico considerate dall’autore della massima rilevanza. Il volume
si conclude con alcune brevi interviste e riflessioni. I capitoli
della
prima
sezione
ripercorrono
con
incisività
e
chiarezza
espositiva l’itinerario che ha condotto alla presa di coscienza da
parte della società post‐secolare dell’Occidente post‐Cristiano
del fallimento e superamento del progetto di elaborazione di una
morale canonica basata sulla presunta capacità della ratio di
rinvenire
principi
direttivi
universali
e
necessari
(nonché
necessitanti per tutti).
La ragione non è assoluta e la teologia ha perso qualsiasi
mordente nell’impresa di attribuire senso all’esistente. Possiamo
sintetizzare il quadro della modernità con la frase, lapidaria
quanto
esplicativa:
cerchiamo
dio
e
troviamo
l’abisso.
La
modernità quindi è il campo di incontro/scontro di plurivoche
soggettività morali che non possono vincolare il loro agire ad
alcun
principio
universale
e
necessario
generalmente
e
pubblicamente riconosciuto. La terra che ci troviamo ad abitare è
153
ETICHE
quella
degli
stranieri
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
individui
morali,
che
differiscono
strutturalmente e profondamente per la propria visione del mondo e
per le proprie assunzioni morali e metafisiche4. A tale concetto
Engelhardt affianca quello di amici morali (espressioni queste già
presenti nel più noto Manuale di bioetica), comunità più o meno
ampie di persone accomunate da medesime prospettive morali e
ontologiche. «In queste circostanze lo stato non è in grado di
fornire una morale sostanziale in cui tutti possano riconoscersi.
Può invece assicurare una res publica attraverso la quale sia
possibile
impiegare
le
risorse
comuni
e
proteggere
gli
individui»5. Di fronte alla molteplicità dei paradigmi morali in
gioco l’attestazione di una prospettiva omnivincolante intorno ai
doveri
che
dovrebbero
Questa
individui
perseguire
la
culturalmente
si
ragione
sfalda
per
ed
senza
la
eticamente
possibilità
quale
distanti
d’appello.
Engelhardt,
conscio
dell’impossibilità di legare la formulazione di una bioetica laica
a un utopico programma filo‐illuminista, cede alla più modesta e
minimale,
ma
non
caratteristiche
meno
cogente,
dell’unica
di
intentio
bioetica
delineare
ammissibile
laica
le
nelle
odierne società post‐secolari: una bioetica senza contenuto, dal
carattere
segnatamente
formale,
il
cui
punto
d’appoggio
sia
l’autorità del consenso tra persone capaci di pattuire accordi.
Poste
le
Engelhardt
premesse
passa
per
a
l’inquadramento
tratteggiare
le
della
basi
conditio
moderna
concettuali
della
bioetica6. Il criterio dirimente a partire dal quale proporre una
condivisibile bioetica laica per le civiltà del XXI secolo è
quello
di
fare
affidamento
sul
concetto
di
persona7.
Tale
concetto, di fronte all’impossibilità di elaborare un contenuto
morale canonico, sarà il più adatto a rinvenire un fondamento
(fondamento non fondativo) per l’autorità morale. Questo significa
4
5
6
7
Cfr. ibid., p. 80.
Ibid., p. 81.
Cfr. ibid., p. 119.
Ibid., pp. 121‐136.
154
S&F_n. 7_2012
che la morale adatta al nostro mondo disincantato non può che
darsi
come
morale
autonomia8
come
sostenuta
procedurale
solo
strumento
per
il
dal
principio
riconoscimento
di
del
pluralismo culturale e delle diversità sostanziali tra individui9.
Una morale procedurale è la sola in grado di fronteggiare le sfide
indicibili a cui le moderne tecniche mediche e gli avanzamenti in
ambito biotecnologico mettono capo, sfide che concernono le varie
percezioni
mediche10.
morali
Dopo
dei
una
soggetti
breve
coinvolti
ricognizione
nelle
intorno
scelte
al
bio‐
principio
responsabilità di Jonas quale tentativo di vincolare, in forma
sostanziale,
i
soggetti
al
rispetto
di
valide
massime
canonicamente11 Engelhardt, nella terza sezione del volume, si
misura con il problema dell’effettiva applicazione della bioetica
procedurale a specifiche questioni quali il tema dell’assistenza
sanitaria
e
della
distribuzione
delle
risorse,
il
tema
dell’eutanasia e dei trattamenti sanitari in età geriatrica, le
decisioni da prendere nelle fasi del fine‐vita, la problematica
della mercificazione del corpo12. In ognuno di questi cimenti il
filosofo texano riesce a mettere in luce le difficoltà intrinseche
a
qualsiasi
approccio
che
voglia
dichiararsi
sostanziale,
denunciando con forza argomentativa e riferimenti puntuali la
necessità di ripensare la bioetica al di fuori di illusioni
principilistiche
considerazioni
o
fin
desideri
qui
fondativi
svolte
8
rendono
incontrovertibili.
mature
le
Le
valutazioni
Il principio di autonomia di cui parla Engelhardt non ha nulla a che vedere
con il principio di cui parlano i principilisti, né con quello di cui parlano i
deontologisti, gli utilitaristi o i welfaristi bensì si configura quale
principio semplicemente formale, privo di contenuto. Esso vale come semplice
rimando alla strutturale “natura” autoreferenziale delle scelte morali
soggettive, le quali nel regno degli stranieri morali (uso quest’espressione in
contrasto con il concetto kantiano di regno dei fini, nel quale trova piena
realizzazione la coincidentia tra virtus e felicitas, sulla base di una idea di
Bene che evidentemente è crollata totalmente nella modernità post‐
illuministica) non possono che essere espressione della peculiare visione del
mondo di colui che la esprime.
9
Ibid., pp. 142‐156.
10
Ibid., pp. 176‐211.
11
Ibid., pp. 212‐229.
12
Ibid., pp. 233‐297.
155
ETICHE
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
tracciate nella quarta sezione del testo ove la riflessione sembra
aprirsi alla dimensione dello spazio pubblico, oggettivo, ancora
più precisamente statuale13. Qui il nostro autore è chiaro nel
sottolineare
la
necessità
di
una
configurazione
laica
e
procedural‐neutralista degli odierni stati post‐secolari, i quali
devono ça va sans dir, rinunciare a qualsiasi pretesa fondativa o
all’imposizione di una specifica prospettiva morale14. La sezione
riserva anche puntuali considerazioni intorno all’auspicabilità di
una legislazione leggera che non costringa gli individui entro
maglie
decisionali
troppo
strette
in
merito
a
questioni
riguardanti se stessi e la proprie esistenze. L’ultima sezione del
testo contiene la raccolta di alcune interviste rilasciate in
Italia da Engelhardt a partire dal 1991 e ripercorre succintamente
le tematiche delineate nel corso dei vari saggi del volume. Viaggi
in
Italia
vuole
essere
quindi
un
sentiero
della
e
per
la
modernità, un sentiero che aggiunge un tassello ulteriore alla
letteratura engelhardtiana presente nel nostro Paese, letteratura
che rende la proposta filosofica e bioetica del Texano una voce
essenziale del dibattito culturale ed etico contemporaneo.
2. Riflessioni a margine
Ma dobbiamo necessariamente abbandonare qualsiasi ideale normativo
a favore di una bioetica e di una morale disincarnate? Questo
risulta essere l’unico inevitabile destino culturale al quale
siamo costretti per giustificare e rendere attuabile la convivenza
tra
soggettività
diametralmente
distanti?
Le
riflessioni
di
Engelhardt risultano radicali e sollecitano a una riconsiderazione
13
Questo per Engelhardt non vuol dire recupero di una oggettività sovra‐
individuale che sia anche determinata contenutisticamente (non ci muoviamo di
certo entro una prospettiva di stampo neo‐hegeliano in cui l’ethos si realizza
fattivamente nello spirito oggettivo che, abbandonato il formalismo della
morale kantiana, acquisisce piena e reale determinazione nelle istituzioni)
bensì richiamo al carattere (di necessità) minimo e non invasivo rispetto alla
libertà e alle scelte individuali dello stato (stato minimo potremmo dire
riprendendo le parole di Nozick).
14
Ibid., pp. 363‐394.
156
S&F_n. 7_2012
complessiva del Tì èsti della bioetica, una disciplina che nasce
con una chiara aspirazione universalistica, quale erede di una
ratio illuministica e succedanea di una teologia dell’etica medica
in evidente affanno di fronte agli avanzamenti della scienza.
Tipico riferimento a questo proposito è la dottrina principilista
di Tom Beauchamp e James Childress. Per principilismo bisogna
intendere la specifica prospettiva bioetica secondo la quale le
controversie
e
i
dilemmi
morali
vanno
risolti
e
appianati
attraverso la ricerca e il rinvenimento di principi direttivi
canonici
e
onnivincolanti.
Nel
1979
Beauchamp
e
Childress
pubblicano Principles of Biomedical Ethics15 testo nel quale sono
indicati
i
punti
cardinali
della
teoria
principilista.
Innanzitutto essi rifiutano il monismo a favore di una concezione
pluralistica. E forniscono l’elenco di quattro gruppi di principi:
rispetto dell’autonomia; non maleficenza; beneficenza o beneficità
e giustizia16. Ma, e qui l’analisi critica di Engelhardt risulta
implacabile, essendosi sgretolato il progetto illuministico di una
ratio in grado di agguantare principi universali e necessari, non
è
concepibile
linee
guida
o
razionalmente
canoniche
per
la
giustificabile
condotta
l’elencazione
biomedica.
di
L’esempio
lampante può venire dalla considerazione ravvicinata del principio
di autonomia che Beuchamp e Childress pongono, a volte in maniera
più esplicita altre meno, quale principium principiorum della
normatività bioetica. Ebbene se solo vogliamo soffermarci sul
15
Cfr. T. Beauchamp, J. Childress, Principi di etica biomedica (1979), tr. it.
Le Lettere, Firenze 1999. In effetti tra il 1974 e il 1977 la National
Commission for the protection of human subjects of Biomedical and Behavioral
Research, su mandato del Congresso degli Stati Uniti si pose come obiettivo
quello di reperire dei principi etici di base che potessero servire da guida
per la pratica medica. Il lavoro della commissione si concluse con la
pubblicazione del Belmont Report. A partire da questo lavoro Beauchamp (il
quale aveva fatto parte della commissione stessa) e Childress (un filosofo
morale di ispirazione kantiana) misero mano a un progetto comune: quello di
trovare uno schema di riferimento per l’etica biomedica contemporanea.
16
Ai quattro gruppi di principi summenzionati i due autori americani
aggiungono
due
strategie
argomentative
interconnesse,
quella
della
“specificazione” e quella del “bilanciamento”, strategie il cui scopo è quello
di districare i casi morali più complessi, qualificati dal conflitto tra più
principi.
157
ETICHE
significato
da
attribuire
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
al
termine
ci
autonomia
vedremo
proiettati in una galassia considerevole di accezioni distinte.
L’autonomia può essere la libertà di agire secondo la legge morale
(prospettiva kantiana); può essere la libertà di agire senza
coercizioni, oppure la libertà di scegliere senza manipolazioni.
Pertanto come sottolinea Engelhardt,
la conseguenza è che ogni discussione sull’autonomia deve prestare la
massima attenzione alle ambiguità che potrebbero discendere dalla
varietà delle accezioni che il termine può assumere nei vari contesti
argomentativi17.
L’esempio
della
diversità
di
fondo
nella
signifiicatio
del
principle of autonomy può essere facilmente riprodotta rispetto a
un qualsiasi altro concetto di uso più o meno comune in ambito
bioetico nonché morale. Se parliamo di consenso informato avremo
la prospettiva tipica dei sostenitori del paternalismo medico (per
i quali il consenso informato andrebbe sempre gestito cum grano
salis dal medico interessato), quella dei fautori del consenso
familiare che si muoveranno entro le maglie di una bioetica
confuciana
(molto
diffusa
nei
paesi
orientali)
e
quella
dei
promotori del consenso informato su base individuale18. Fuor di
allusione
e
in
senso
più
generale
la
bioetica
intesa
come
disciplina in grado, attraverso la forza dell’argomentatio, di
riprodurre principi canonici è una vana illusione che si sfalda
davanti all’irriducibile pluralismo morale a cui la modernità ci
abbandona. I limiti della bioetica vanno pertanto presi sul serio:
la peculiare forma che può assumere, per muoversi senza intoppi
eccessivi nelle società post‐secolari e post‐tradizionaliste del
XXI secolo è quella di una disciplina procedurale, di un sapere
formale privo di contenuto normativo specifico. Essa viene a
essere una sorta di meta‐etica analitica, la cui funzione è quella
di
indagare
le
varie
specificazioni
possibili
del
discorso
bioetico, senza parteggiare effettivamente per alcuno di essi. La
sua vocazione e la sua caratura saranno al di là dell’utilitarismo
17
18
T. von Engelhardt, op. cit., p. 145.
Ibid., p. 322.
158
S&F_n. 7_2012
(Singer), del welfarismo (Nausbaum, Sen), del consequenzialismo
oltre
che
di
forme
sostanzialistiche
quali
il
personalismo
ontologicamente fondato. Tristram von Engelhardt non può essere
annoverato, quindi, tra i sostenitori della bioetica laica, se per
bioetica
laica
bioetica,
intendiamo
una
mediante
gli
che
specifica
forma
strumenti
di
riflessione
dell’argomentazione
razionale, pretende di fornire norme da rispettare e riconoscere
o, in ogni caso, contenuti definiti da porre alla base di una
altrettanto definita dottrina morale. Risulta pertanto fuorviante
leggere le analisi engelhardtiane quali esempi fulgidi di bioetica
laica19.
Giovanni
Fornero
nel
testo,
ormai
divenuto
famoso
Bioetica laica e bioetica cattolica inserisce Engelhardt tra i
sostenitori della bioetica laica e lo descrive come filosofo di
ispirazione
contrattualista20.
Engelhardt,
se
di
Ma
contrattualismo
il
contrattualismo
possiamo
parlare,
di
è
caratterizzato dalla sua mera forma procedurale, è un contratto
senza contenuto, è un documento pattizio, un accordo stipulato tra
19
In una conversazione personale avuta con il filosofo durante le sue giornate
napoletane (2‐6 febbraio 2012) egli teneva a sottolineare con forza la distanza
abissale della sua filosofia rispetto a quella di Peter Singer. Engelhardt è
personalmente sostenitore di una morale sostanzialistica che si rifà ai
principi direttivi del cattolicesimo di matrice ortodossa, confessione
religiosa alla quale Engelhardt ha aderito, abbandonando la sua primitiva
confessione cattolico‐romana. Egli insisteva nel dire che il suo pensiero non
poteva essere definito laico o laicista, non tanto però a causa della sua
intima adesione a una confessione religiosa, quanto per la sua constatazione
del fallimento del progetto illuministico di una ratio universale capace di
cogliere le cose per quelle che effettivamente sono. Il suo pensiero, diceva,
andrebbe più correttamente situato nell’ambito di un post‐illuminismo di fondo,
che è consapevolezza del destino frammentario e plurale di ogni possibile
visione del mondo da parte del soggetto: questo determina la necessità di
approntare uno strumento in grado, non di far dialogare gli stranieri morali,
quanto di farli accordare.
20
G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano
2005, pp. 110‐116. In questo testo (e nel successivo Laicità debole e laicità
forte) egli distingue tra un concetto debole e uno forte di laicità. A mio modo
di vedere, come Engelhardt fa notare a più riprese nei suoi scritti a partire
dal Manuale di bioetica, passando per The Foundation of Christian Bioethics, la
sua proposta bioetica non è classificabile in nessuna delle (due) ripartizioni
forneriane in quanto, pur essendo ispirata da concetti quali l’antidogmatismo o
il principio di tolleranza (propri della maggior parte delle prospettive
laiche), rifiuta certamente l’idea che sia possibile opporre ai valori del
personalismo ontologico di matrice tomista valori laici di base; ma rifiuta
anche l’idea (debole) che sia possibile dialogare tra stranieri morali mediante
l’uso dell’argomentazione e della riflessione razionale.
159
ETICHE
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
le parti, in cui non si dà che la mera forma dell’accordo stesso.
Quella di Engelhadt è una sorta di morale del viandante la quale
comprende, svanito l’orizzonte direttivo e lo spazio ontologico di
che
significazione,
nulla
può
offrirsi
più
come
oggettivo,
pubblicamente riconosciuto. Essa è la voce post‐moderna che si
leva sulle rovine del progetto illuministico, è una voce che dice
soltanto la possibilità di cercare strumenti per una co‐esistenza
pacifica tra stranieri morali i quali sono separati dall’abisso
delle rispettive verità e visioni del mondo.
3. Lo spazio simbolico come possibile uscita dall’impasse
Nelle maglie della riflessione engelhardtiana non sembra esserci
spazio per una via d’uscita che abbia qualche valore definito (nel
senso di contenutisticamente fondato) e le soggettività morali in
gioco sembrano essere monadi la cui unica possibilità di contatto
è l’accordo tra le parti (egli parla di persone nello specifico).
Ora la posizione di Engelhardt coglie una parte considerevole
della
verità
intorno
allo
statuto
delle
odierne
società
occidentali. Basti pensare, per rimanere nella casistica italiana,
alle voci dissonanti, diversificate, plurali, in perenne contrasto
e irredimibile distanza reciproca che si sono levate intorno al
caso celebre di Eluana Englaro. Il paradigma dei cosiddetti pro‐
life (i sostenitori della vita senza se e senza ma, anche della
vita al suo puro stato biologico) e quello dei cosiddetti pro‐
choice (i sostenitori della qualità della vita e del rifiuto del
concetto
puramente
incompatibili.
di
biologico
Eppure
al
di
esistenza)
là
di
erano
questo
visibilmente
esempio
potremmo
riferirci anche ad altri ambiti: quello delle carte internazionali
del
diritto
mi
sembra
il
più
interessante.
Nelle
carte
internazionali del diritto si cerca di mettere in scena proprio
ciò
che
Engelhardt
ritiene
impossibile
e
contraddittorio:
un
accordo che non abbia una mera forma procedurale ma che sia anche
informato con dei contenuti specifici. Le carte internazionali del
160
S&F_n. 7_2012
diritto non devono essere lette, come anche qualcuno ha proposto
di fare, quali elementi che metterebbero capo a una sorta di neo‐
giusnaturalismo21.
prodotto,
Esse
vanno
l’oggettivazione
di
interpretate,
una
riflessione
invece,
come
il
che
ha
corale,
trovato un accordo sui contenuti in base a riferimenti (non
sovratemporali) storici ovvero in base alla considerazione dei
percorsi filosofici, delle riflessioni giuridiche (a loro volta
oggettivate in prodotti quali le costituzioni statuali), delle
scoperte scientifiche, dei paradigmi socio‐politici ed economici.
Potremmo
dire,
per
riprendere
una
nota
teoria
di
Popper
ed
Eccles22, che il mondo 1 e il mondo 2 (cioè il mondo degli oggetti
fisici e degli stati psicologici) non può esistere se non in
connessione
al
mondo
3
(il
mondo
delle
produzioni
umane
esternalizzate, quali possono essere le dottrine filosofiche, le
carte del diritto, le opere d’arte, etc). Le monadi engelhardtiane
(alias persone) non esistono in realtà al di fuori di uno spazio
simbolico che le avvolge, le informa, le rende partecipi di un
discorso collettivo, sovrapersonale, metaindividuale23. Le loro
visioni del mondo si strutturano non solipsisticamente ma entro un
quadro di fondo a cui partecipano anche le altre individualità, le
21
Cfr. P. Costa, D. Zolo, E. Santoro, Lo stato di diritto: storia, teoria,
critica, Feltrinelli, Milano 2002.
22
Mi permetto di rimandare per l’analisi di questo problema al mio articolo
Neurobiologia e spazio simbolico: per un nuovo modello interazionista, in
«S&F_scienzaefilosofia.it», 6, 2011, pp. 116‐124.
23
Questo significa che ognuno di noi partecipa di uno spazio pubblico, di un
insieme intrecciato di pratiche discorsive e, pur non volendo accogliere la
proposta habermasiana di un’etica del discorso con esiti (o forse sarebbe
meglio dire su base) universalistici (il che metterebbe in secondo piano la pur
fondamentale constatazione della relatività e parzialità dei linguaggi umani),
dobbiamo a mio avviso accogliere la proposta (o quantomeno discutere della
proposta) dell’esistenza di una dimensione meta‐individuale entro la quale
ciascuno di noi è inserito e che ci informa e co‐struttura. Questo significa
che lavorare al fine di creare, contribuire a determinare uno spazio simbolico
in cui il valore di termini quali rispetto delle posizioni altrui,
consapevolezza della parzialità della propria visione del mondo e altro siano
essenziali, può rappresentare un buon viatico per uscire dall’idiotismo del
proprium. In questo senso rispettare la posizione dell’altro non sarà un
semplice prendere accordi per convivere pacificamente bensì il riconoscimento
pieno del valore di ogni prospettiva anche contenutisticamente strutturata (per
quanto diversa dalla nostra possa essere).
161
ETICHE
Luca Lo Sapio, Viaggi in Italia. Tristram von Engelhardt
altre soggettività. Tale quadro di fondo può costituire un primo
strumento concettuale, un primo riferimento specifico, certamente
da
approfondire
quell’impasse
a
e
cui
ulteriormente
la
l’analisi
sviluppare,
del
filosofo
per
superare
texano
sembra
destinare l’umanità del XXI secolo.
LUCA LO SAPIO è dottorando di ricerca in Bioetica presso l’Università degli Studi
di Napoli Federico II
162