Inedita mediævalia
Scritti in onore di Francesco Aceto
a cura di
Francesco Caglioti e Vinni Lucherini
VIELLA
I libri di Viella
Arte
Quaderni napoletani di storia dell’arte medievale, 3
diretti da Vinni Lucherini
Comitato scientifico
Francesco Aceto, Jaume Aurell, Michele Bacci, Xavier Barral i Altet, Roberto Delle Donne,
Manuela Gianandrea, Miljenko Jurković, Tanja Michalsky, Eric Palazzo.
I Quaderni napoletani di storia dell’arte medievale propongono ricerche su temi attinenti
all’arte e all’architettura dell’Europa medievale, soprattutto meridionale e mediterranea, che
contemperino l’analisi dei dati formali e strutturali delle opere con l’esame del ruolo che
queste opere giocarono non solo nel quadro sociale in cui furono prodotte in origine, dal tardoantico al tardo Medioevo, ma anche nel corso della loro vita post-medievale. Tali indagini
si articolano intorno a questioni trasversali rispetto ai settori disciplinari tradizionali, in un
approccio di metodo alle opere d’arte che viene a incrociarsi con la storia della cultura, la
storia della liturgia, la storia della santità, la storia della storiografia. Molti di questi studi
trovano la loro genesi in ricerche svolte o promosse nel Dipartimento di Studi Umanistici
dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Inedita mediævalia
Scritti in onore di Francesco Aceto
a cura di Francesco Caglioti e Vinni Lucherini
viella
Copyright © 2019 - Viella s.r.l.
Tutti i diritti riservati
Prima edizione: novembre 2019
ISBN 978-88-3313-301-0
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi
di Napoli “Federico II”.
Gli autori dei singoli saggi di questo volume sono personalmente responsabili
dei diritti sulle illustrazioni riprodotte.
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libreria editrice
via delle Alpi 32
I-00198 ROMA
tel. 06 84 17 75 8
fax 06 85 35 39 60
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Indice
Prefazione
9
Fiorella Sricchia Santoro
Per Francesco Aceto
11
Vinni Lucherini
Francesco Aceto e l’arte medievale dell’Italia meridionale
13
Bibliografia di Francesco Aceto
a cura di Damiana Di Bonito
21
Alessandro Bagnoli
Una Sant’Agata di Pietro Lorenzetti da recuperare
29
Xavier Barral i Altet
Il perduto cavaliere trecentesco di Sant’Eligio Maggiore a Napoli
39
Roberto Bartalini
Un’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti a Santa Colomba
51
Francesco Caglioti
Donatello e il pergamo del Sacro Cingolo a Prato:
una nuova lettera di Michelozzo (e altri chiarimenti documentari)
59
Laura Cavazzini
Riverberi di Jacopino da Tradate
73
Fulvio Cervini
Un leone antelamico (forse) piemontese
81
Sonia Chiodo
Vicissitudini di un graduale francescano del Duecento
89
6
Inedita mediævalia
Roberto Cobianchi
Memorie funerarie del Trecento a Napoli
dal Fiume del terrestre Paradiso di Nicolò Catalano (1652)
103
Fabio Coden
Recenti scoperte a San Zeno:
note sull’edificio scomparso annesso al fianco dell’abbaziale
113
Marco Collareta
Quel che resta di un calice trecentesco
123
Enrica Cozzi
Per Antonio Rosmini collezionista.
Codici miniati a Stresa dalla biblioteca di Santa Giustina a Padova
127
Fabrizio Crivello
Due tavole dei Canoni di un evangeliario carolingio a Bressanone
137
Paola D’Alconzo
Un frammento napoletano di technical art history:
il presunto Colantonio della chiesa di Sant’Antonio Abate a Napoli
147
Bianca de Divitiis
Memorie della Capua longobarda:
nuove fonti antiquarie sulla sepoltura di Atenolfo
157
Rosanna De Gennaro
Intorno a una nota sulla «grande opera di musaico»
della Cattedrale di Messina «condotta […], come dicesi,
con disegni di Pietro Laurati pittore sanese»
165
Andrea De Marchi
Gentile inedito. Ritornando alla Pala Strozzi
173
Stefano D’Ovidio
Una chiesa medievale scomparsa: Santa Maria dei Cimbri a Napoli
183
Teresa D’Urso
Un codice della bottega di Pacino di Bonaguida
nella Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli:
le Pistole di Seneca, ms. XIV A 37
193
Tiziana Franco
Un’aggiunta alla pittura romanica veronese
203
Indice
7
Julian Gardner
The Chapter Seal of SS. Giovanni e Paolo in Rome
211
Manuela Gianandrea
Per una rilettura delle due anime
dell’ambone medievale della Cattedrale di Teano
217
Cristina Guarnieri
Una Crux de medio ecclesiæ di Jacobello di Bonomo
per la chiesa di San Matteo di Rialto a Venezia
227
Alessandra Guiglia
Aggiornamenti sulle sculture altomedievali
del complesso di San Gregorio al Celio
237
Vinni Lucherini
Un contributo per la memoria sepolcrale nella Napoli angioina
247
Antonio Milone
Un reliquario perduto in Costa d’Amalfi
259
Tomaso Montanari
Il reliquiario del Corporale di Orvieto
e un frustulo chigiano della fortuna dei primitivi
267
Sandro Morachioli
Filippo Palizzi e Demetrio Salazaro a Maiori: una lettera inedita
273
Giulia Orofino
Una Bibbia gotica nell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino
283
Cristiana Pasqualetti
Una vacanza romana del “Maestro di Beffi”
295
Alessandra Perriccioli Saggese
Bologna 1329:
un’aggiunta al catalogo del “Maestro dell’Apocalisse domenicana”
303
Claudio Pizzorusso
Un Medioevo rivisitato.
René Piot e le illustrazioni per l’Histoire des arts di Louis Gillet
311
Elisabetta Scirocco
La tomba di Tommaso Mansella in Santa Chiara a Napoli
e un’ipotesi per le Storie di santa Caterina di Pacio Bertini
325
8
Inedita mediævalia
Guido Tigler
Un rilievo ligneo della Madonna col Bambino
della bottega napoletana di Tino a Firenze
337
Federica Toniolo
Un graduale miniato da Nicolò di Giacomo
alla Biblioteca del Museo Correr di Venezia
345
Isabella Valente
Neomedievalismo e dintorni: un dipinto inedito di Pietro Pezzuti
355
Paola Vitolo
Antiquaria cristiana e memorie agatine a Catania:
materiali e documenti
dalla chiesa di Sant’Agata la Vetere e dagli archivi cittadini
363
Giuseppa Z. Zanichelli
Sulle tracce di un pluteo campano già negli Stati Uniti:
autentico o falso?
371
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Gli autori
377
385
393
Claudio Pizzorusso
Un Medioevo rivisitato.
René Piot e le illustrazioni per l’Histoire des arts di Louis Gillet
Uomo politico, diplomatico, ex ministro degli Affari Esteri, membro
dell’Académie Française, storico noto per i suoi studi su Giovanna d’Arco, sul
cardinale Richelieu e sulla Terza Repubblica, nel 1920 Gabriel Hanotaux (18531944) lanciò l’imponente piano editoriale dell’Histoire de la nation française, in
quindici volumi, interamente pubblicati da Plon-Nourrit entro il 1929. In apertura
della lunga introduzione generale inserita nel primo volume, il curatore volle ricordare che una sua prima stesura recava la data 26 luglio 1914,1 la vigilia della
mobilitazione della Francia. Questa precisazione di una cronologia simbolica mirava, evidentemente, a inglobare nelle ragioni dell’attualità del progetto la tragica
esperienza della Grande Guerra, più ancora che ad anticiparne l’ideazione. La
quale, tra l’altro, risaliva ancora più addietro: «Un jour du printemps de 1912, si
j’ai bonne mémoire, M. Gabriel Hanotaux réunit chez lui quelques historiens et
s’ouvrit à eux d’un projet qui, depuis longtemps, le travaillait. Il ne s’agissait de
rien moins que d’écrire en collaboration une Histoire de la Nation française. Il
appuya sur le mot Nation où tenait l’esprit de l’entreprise».2
Con largo anticipo sulla sua pubblicazione, dunque, Hanotaux aveva pensato
non a una “storia di Francia”, ma a una “storia del popolo francese”, concepita
come un’indagine trasversale, e perciò necessariamente frutto di un lavoro collettivo, che raccogliesse, all’interno di un disegno unitario, gli svolgimenti dei
più vari campi dell’azione umana. Rinviato per forza maggiore a dopo la guerra,
questo progetto storiografico si trovò a caricarsi di valori etici e a trasformarsi
in una celebrazione del sacrificio di un’intera nazione.3 Non per caso, dopo un
A Laurence Toussaint la mia riconoscenza per avermi sempre assecondato nelle ricerche su
René Piot.
1. G. Hanotaux, Histoire de la nation française. Tome I. Introduction générale. Géographie
humaine de la France. Premier volume, par Jean Brunhes. Illustrations d’Auguste Lepère, Paris
1920, p. I.
2. L. Madelin, L’Histoire de la nation française, in «Revue des Deux Mondes», XC (s. VI,
58), 1920, pp. 102-116: p. 102.
3. Hanotaux aveva esposto, in una forma più articolata, questa sua concezione della storia
e della storiografia nel volumetto De l’histoire et des historiens (Paris 1919), che raccoglieva un
saggio dallo stesso titolo edito prima della guerra nella «Revue des Deux Mondes», LXXXIII (s.
VI, 17), 1913, pp. 305-326.
312
Claudio Pizzorusso
capopagina con una France victorieuse, siglata da Jacques Patissou (1880-1925),
la prima illustrazione dell’introduzione, e perciò di tutta l’opera, fu dedicata a Le
soldat de la Grande Guerre, dello stesso Patissou.
L’impianto della collana assunse, dunque, una prospettiva enciclopedica,
nella quale Hanotaux intese convogliare la storia di una civiltà. Ma egli segnalò anche altre due peculiarità dell’impresa, definendole con altrettanti aggettivi:
«narrative» e «artistique». «Narrative» (o «discursive») perché, riguardo agli apparati filologici, fu criterio condiviso con tutti i collaboratori di non fare uso né
di annotazioni, né di alcun’altra forma di rimando bibliografico: «nous n’avons
pas voulu faire montre d’érudition». In polemica con la filologia positivista germanica ‒ una contrapposizione metodologica che, con la fine della guerra, si velava di patriottismo intellettuale ‒, il lavoro analitico doveva restare sottotraccia,
garantito dall’autorevolezza della firma autoriale, per favorire la scorrevolezza
della lettura: «nous avons conçu notre livre comme un livre de lecture, un livre
de synthèse, un livre de conclusion». «Artistique» perché, riguardo all’apparato
iconografico, fu scelto di non ricorrere alla fotografia, bensì a una ricca documentazione di disegni e acquarelli originali di vari artisti, riprodotti in nero nel testo
e a colori fuori testo. S’intese così offrire volumi che, pur nelle dinamiche della
grande tiratura, si collocassero nella tradizione del libro illustrato di pregio, e, al
tempo stesso, comporre un contrappunto all’espressione verbale, perché «l’artiste
[…] est un observateur non moins scrupuleux et non moins véridique de la vie
nationale que le savant qui l’analyse», e perché la sua interpretazione, non fredda
come quella del procedimento meccanico, dava nuova vita ai «grands spectacles
de la nature et du passé».4
Certamente una sollecitazione in questo senso dovette esercitarla il magnifico volume di Auguste Rodin, Les Cathédrales de France, uscito nel 1914 per i
tipi di Armand Colin. Sebbene concepito come un “libro d’artista”, quindi senza
alcuna finalità di esposizione storica (a Charles Morice fu affidata una parte saggistica, per introdurre il testo rapsodico di Rodin, che si risolveva, di fatto, in un
monumento a sé stesso), il volume poneva comunque la questione della conciliabilità della scienza con l’arte, come avvertivano gli editori: «Ce livre n’est pas un
ouvrage de science, un traité d’archéologie ou d’architecture […]; si l’artiste et
les érudits se rencontrent dans les mêmes conclusions, ils y sont arrivés par des
chemins différents. Mais on reconnaîtra qu’un tel accord confère à ces conclusions une valeur et une signification incomparables».5 Un assunto, questo, fortemente condiviso da Hanotaux, il quale conosceva a perfezione quel libro, avendo
avuto una parte attiva (insieme a Louis Gillet, del quale parleremo tra poco) alla
sua revisione prima della stampa.6
4. Hanotaux, Histoire de la nation, pp. VIII-IX.
5. Firmato «Les Editeurs», questo Avertissement apre il volume di A. Rodin, Les Cathédrales
de France, Paris 1914, p.n.n.
6. M. Tirel, Rodin intime ou l’envers d’une gloire, Paris 1923, pp. 90-92.
René Piot e l’Histoire des arts di Louis Gillet
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Confortato, dunque, nella sua scelta, per le illustrazioni Hanotaux si affidò
a un vecchio amico, Auguste Lepère (1849-1918), un pilastro nella storia della
grafica francese, con il quale era in relazione dal 1901.7 Nel 1912 gli propose
di lavorare al volume previsto come prima uscita, la Géographie humaine de
la France di Jean Brunhes, incarico che l’artista, non più giovane, accettò con
qualche renitenza, dovendo affrontare continui spostamenti per cogliere dal vero
i motivi di paesaggio.8 Con lo scoppio della guerra il lavoro venne sospeso, e
nel 1918 fu interrotto dalla morte di Lepère; il completamento fu affidato a una
nuova generazione di illustratori, Jacques Patissou, Roger Broders (1883-1953) e
Gabriel Hanotaux junior (1880-1968), figlio del curatore e allievo di Lepère.
L’Histoire de la nation française si risolse in un monumentale prodotto di divulgazione, che raccolse però consensi tutt’altro che unanimi. Dal fronte chartiste,
Charles Petit-Dutaillis, che in quel momento era responsabile dell’Office National
des Universités et des Écoles Françaises, criticò l’impresa per la sua «malencontreuse» concezione generale e per l’assenza di ogni referenza bibliografica: uno
strumento, dunque, inservibile per la didattica come per la ricerca.9 Osservazioni
pressoché identiche giunsero dal versante della storiografia cattolica, con Edouard
Jordan che definì l’opera inutile per gli studiosi, e inaccessibile agli studenti per
dimensioni e costi, in definitiva «une erreur».10 Ma la stroncatura più devastante,
persino violenta, arrivò dall’emergente Lucien Febvre. Ironicamente bruciante, il
suo resoconto dell’opera di Hanotaux si condensò in due sentenze tombali: «elle ne
sera jamais que le tas de papier inutile d’une entreprise sans lendemain» e «il n’y a
pas d’édifice là où il n’y a pas de plan, ni dessin, ni maître d’œuvre».11
Più sorprendente è il fatto che anche l’apparato illustrativo fosse bersagliato.
Gli storici si mostrarono avversi ad accogliere una qualsivoglia immagine che
non avesse quel presunto crisma di verità che una “onesta” fotografia si credeva garantisse. I tre recensori ora ricordati si espressero molto duramente: scarsa fedeltà, o addirittura deformazione nella riproduzione dei monumenti, errori
7. Conosciuto nel 1901 tramite il pittore ginevrino Georges Jeanniot (1848-1934), amico di
Manet e Degas, Hanotaux aveva cooptato Lepère per il volume scritto con Georges Vicaire La Jeunesse de Balzac. Balzac imprimeur (Paris 1903), per l’edizione da lui curata dell’Éloge de la Folie
di Erasmo (Paris 1906) e per la monografia Jeanne d’Arc (Paris 1911); inoltre a Lepère egli avrebbe
affidato, negli anni di guerra, le copertine dei fascicoli della sua Histoire illustrée de la Guerre de
1914 (Paris 1915-1917). Hanotaux avrebbe pubblicato un ricordo dell’artista l’indomani della sua
scomparsa (Auguste Lepère, in «Le Figaro», 2 dicembre 1918, p. 1).
8. Lettera di Lepère a Hanotaux del 30 novembre 1912, in C. Saunier, Auguste Lepère. Peintre
et graveur, décorateur de livres, Paris 1931, pp. 223-225.
9. Ch. Petit-Dutaillis, recensione a P. Imbert de la Tour, Histoire politique (premier volume)
des origines à 1515, tomo III dell’Histoire de la nation française (1920), in «Revue historique»,
XLVII, 1922, 139, pp. 260-267.
10. E. Jordan, recensione a P. Imbert de la Tour, Histoire politique (premier volume) des origines à 1515, tomo III dell’Histoire de la nation française (1920), in «Revue de l’histoire de l’Eglise
de France», VIII, 1922, 41, pp. 460-468.
11. L. Febvre, Publications d’après-guerre dans le domaine de l’histoire moderne, in «Revue
de synthèse historique», XXXIV (n.s. VIII), 1922, pp. 113-130: pp. 129-130.
314
Claudio Pizzorusso
storici nelle composizioni d’invenzione, mancanza di coerenza e inadeguatezza
funzionale rispetto ai testi. «Il y a là une véritable régression. Il semblait acquis
définitivement qu’une illustration documentaire est la seule qui convienne dans
un livre d’histoire».12 Febvre considerò quei «chromos criards et fantaisistes» alla
stregua di un meschino arredo da “salotto buono”. L’idea che un saggio storico
potesse essere accompagnato, in una forma analogica, da un discorso figurativo
parve, insomma, retaggio di una cultura della “suggestione” che apparteneva ad
altri tempi.13
In questo contesto prese un peso rilevante il volume dell’Histoire de la nation française dedicato alle arti. Uscito nel 1922, esso era stato assegnato almeno
dal 1920 a Louis Gillet (1876-1943), scelta, per alcuni aspetti, coerente con il
programma di Hanotaux.14 Allievo di Joseph Bédier e di Romain Rolland, seguace di Emile Mâle e di Bernard Berenson, curatore del museo di Châalis, che
ospitava una parte della raccolta Jacquemart-André (mentre Émile Bertaux si occupava del palazzo parigino di Boulevard Haussmann), influente redattore della
«Revue des Deux Mondes» (il cui direttore René Doumic era suo suocero), Gillet
si era distinto per le sue qualità di storico rigoroso e, al tempo stesso, di ispirato
scrittore.15 La sua competenza come studioso dell’arte francese del Medioevo,
che nel volume dell’Histoire avrebbe avuto un ruolo portante,16 era attestata dal
suo pionieristico lavoro del 1912 sull’Histoire artistique des ordres mendiants, il
cui consistente apporto scientifico gli aveva garantito una posizione di riguardo
a fianco di Mâle e di Bertaux, e forse anche la chiamata nell’équipe di Hanotaux,
con il quale egli era in relazione già prima della guerra.17
Tuttavia, anche su questo volume le opinioni non furono concordi. Sebbene Gillet si vedesse assegnare per questo lavoro, nel 1923, il Grand Prix Gobert
12. Jordan, recensione, p. 462 nota 1.
13. Febvre, Publications, p. 128.
14. L. Gillet, Histoire des arts, tomo XI dell’Histoire de la nation française, sous la direction
de G. Hanotaux, Paris 1922. Il volume e il suo autore erano stati annunciati da Hanotaux nella sua
Introduction générale del 1920 (pp. XIX-XX). Si è già detto che i due insieme avevano collaborato
con Rodin, nel 1914, alla revisione del testo per Les Cathédrales de France (supra, nota 6).
15. Oltre alla storica commemorazione L’Art et l’écrivain. Centenaire de Louis Gillet, catalogo della mostra, Paris 1976, si vedano E. Assante di Panzillo, L’Ecrivain d’art de la «Revue des
Deux Mondes», in «Revue des Deux Mondes», maggio 2009, pp. 55-66; V. Gerard Powell, Louis
Gillet écrivain d’art, ivi, settembre 2012, pp. 151-156; E. Assante di Panzillo, Louis Gillet, Bernard
Berenson et la collection de peintures de la Renaissance italienne du Musée Jacquemart-André
de Châalis, in «Studi di Memofonte», 14, 2015, pp. 49-97; B. Cosnet, Un écrivain d’art en quête
d’apostolat, in L. Gillet, Histoire artistique des ordres mendiants. Essai sur l’art religieux du XIIIe
au XVIIe siècle, texte établi par B. Cosnet, Paris 2017, pp. 5-13.
16. Sette dei quattordici capitoli del volume furono dedicati all’arte dalle origini al Quattrocento, mentre solo uno ciascuno andarono al Rinascimento, all’Età Classica, al Rococò, e quattro al
periodo dal Neoclassicismo al contemporaneo. Un quindicesimo capitolo fu riservato alla musica.
17. Meno noto, ma altrettanto significativo, era stato il suo saggio Les Primitifs français, nato
come recensione all’omonima mostra al Pavillon de Marsan del 1904 (in «Le Correspondant»,
LXXVI, 1904, pp. 231-256). Nel 1914 Gillet aveva consultato Hanotaux a Châalis per questioni
araldiche (Assante di Panzillo, Louis Gillet, p. 62).
René Piot e l’Histoire des arts di Louis Gillet
315
dell’Académie Française ‒ dove era ben tutelato da suo suocero Doumic, dal suo
maestro Bédier e dal curatore della collana Hanotaux ‒, persino un esponente della critica cattolica, in linea di principio ben disposto nei confronti di un credente
engagé come lui, non esitò a manifestare le sue riserve.18 Al pari dei precedenti
volumi, anche qui infastidivano l’esposizione discorsiva non supportata da apparati filologici e il tono asseverativo senza possibile contraddittorio, per di più
aggravato da un «souffle lyrique, quelque peu fiévreux».19 Ma la bordata arrivò
dal «Mercure de France», dove il 15 marzo 1925 un recensore di poco nome, ma
di molto veleno, Jules Latreille, pubblicò una dettagliatissima accusa di plagio.20
Brano per brano, testi a fronte, per sedici pagine vennero dispiegati prestiti, combinazioni, calchi di frasi e di pensieri da vari autori, senza virgolette, né rimandi a
piè di pagina. La preda prediletta, secondo Latreille, sarebbe stata Louis Hourticq,
un ottimo critico rimasto nell’ombra della divulgazione; a lui si aggiungevano
presunti prelievi da Fromentin, Burckhardt, Camille Jullian, e da altri ancora. Così
l’autorevole voce di Gillet (il «rasoir Gillet», come ironicamente lo spregiava Valery Larbaud)21 si frantumava in infiniti frammenti di specchi e di echi.
Di questo libro, però, qui interessa un altro punto. Considerate le critiche rivolte all’apparato iconografico di tutti i precedenti volumi della collana ‒ anche
dell’ultimo appena uscito, l’Histoire religieuse di Georges Goyau, illustrato dalla
firma prestigiosa e accreditata, soprattutto in ambito cattolico, di Maurice Denis ‒,22
Gillet volle premunirsi inserendo in appendice una lunga Remarque sur l’illustration de cet ouvrage. Si trattava di un appassionato pamphlet in difesa della scelta di
Hanotaux di promuovere «une réaction contre le matérialisme de la reproduction».
La presunta esattezza della fotografia non rende sempre un buon servizio all’arte
e alla sua storia, così come «une collection de documents bruts ne constitue une
histoire».23 L’interpretazione di un’opera per mano di un artista offre una lettura
parallela al testo, ne amplifica la risonanza, apre nuovi punti di vista, sollecita emo18. M. Andrieu, recensione a L. Gillet, Histoire des arts, tomo XI dell’Histoire de la nation
française (1922), in «Revue des Sciences Religieuses», V/2, 1925, pp. 379-381. Monsignor Michel
Andrieu (1886-1956) era docente alla Faculté de Théologie Catholique di Strasburgo.
19. Ivi, p. 380.
20. J. Latreille, Les Emprunts et «Réminiscences» d’un historien des arts, in «Mercure de
France», XXXVI, 642, 1925, pp. 684-700. Di Latreille si ha notizia nel 1941, quando venne eletto
presidente della Société Archéologique, Scientifique et Littéraire di Béziers; nell’occasione egli
tracciò un proprio profilo, definendosi come uno studioso dilettante, formatosi agli insegnamenti di
Louis Mâle e André Michel all’Ecole du Louvre. L’articolo fu segnalato da Georges Duplaix (Joyce
à la «Revue des Deux Mondes», in «La Revue nouvelle», 10-11, 1925, pp. 23-29). La vicenda è stata riesumata da Adrien Le Bihan, James Joyce travesti par trois clercs parisiens, Espelette 2011.
21. O. Cariguel, Louis Gillet découvreur de “L’île Joyce” pour le grand public français, in
«Revue des Deux Mondes», maggio 2009, pp. 9-14: p. 11.
22. G. Goyau, Histoire religieuse, tomo VI dell’Histoire de la nation française, Paris 1922.
Le quindici tavole a colori fuori testo e una parte delle illustrazioni in bianco e nero erano firmate
da Maurice Denis; i rimanenti disegni in bianco e nero erano dovuti a Charles Sanlaville e Boris
Mestchersky. Per le polemiche su questo volume, se ne veda la recensione di R. Agrain, in «Revue
d’histoire de l’Eglise de France», IX, 1923, pp. 389-395.
23. Gillet, Histoire des arts, p. 635.
316
Claudio Pizzorusso
zioni. La Remarque si concludeva dunque con un elogio dell’illustratore chiamato
da Gillet a questo lavoro già dal giugno 1920, René Piot (1866-1934).24
Il pittore, allievo di Gustave Moreau, studioso di Delacroix, prossimo a Denis e ai nabis, a Matisse e ai fauves, dall’inizio del secolo aveva attraversato
alterne fortune. Successi e fallimenti come autore di affreschi lo avevano indotto
a dedicarsi alla decorazione per il teatro, come scenografo, costumista e anche
coreografo.25 L’impegno per l’Histoire lo riportò invece ai suoi antichi studi sui
“primitivi” italiani, giacché il libro, come si è detto, era dedicato in larga misura
all’arte francese dalle origini al tardo Medioevo. Dei sedici colori26 otto furono
riservati a opere dal XII al XV secolo: dalle pitture murali dell’abbazia di SaintSavin alle vetrate di Chartres (Fig. 1) e di Bourges, dagli arazzi dell’Apocalisse
di Angers alla Pietà di Villeneuve-lès-Avignon. Il colore, sebbene stemperato
dall’esecuzione ad acquarello, e ulteriormente impallidito dal processo di stampa, mostrava le qualità espressive di Piot, il quale, riducendo il disegno a tracce
essenziali, spesso più nervose dell’originale, si esaltava in una stesura vibrata di
campiture cromatiche, specie nelle copie dagli arazzi di Angers, tramutati in veri
e propri brani fauves su fondali blu di Persia (Fig. 2).
I disegni al nero ‒ più di duecento ‒ offrivano una vasta documentazione
di monumenti, di motivi decorativi e di sculture. Proprio la rilettura grafica di
quest’ultime merita interesse. Avvertendo il problema dei punti di vista che la
scultura pone, in un caso Piot ha proposto due disegni della stessa figura, la Madonna col Bambino in avorio policromo del museo Pierre-de-Luxembourg di Villeneuve-lès-Avignon. La veduta frontale (p. 207; Fig. 3) esalta l’inarcamento della Vergine, che è un tratto peculiare dell’opera, e consente di cogliere il dialogo
tra madre e figlio, reso più intenso da una modifica della rotazione della testa del
Bambino. Preso da sinistra, invece, questi si mostra frontalmente, mentre la Vergine rivela la complessa caduta della veste e del mantello (p. 209; Fig. 4). Piot si
è poi mostrato molto attento alla resa dei volumi con un intenso uso del tratteggio.
Due begli esempi ne sono le copie del Cristo con gli Evangelisti del timpano di
Moissac (p. 149), stereometricamente maggiorato, e della cosiddetta Notre-Dame
de Grasse in pietra policroma (Tolosa, Musée des Augustins, p. 253; Figg. 5-6),
potentissima nel rilievo e, soprattutto, straordinaria nella forzatura espressiva che
le imprime il rovesciamento ‒ assente nell’originale ‒ del volto della Vergine,
drammaticamente chiaroscurato. E ugualmente si potranno apprezzare le inter24. Conosciamo la data dell’incarico da una lettera di Gillet a Bernard Berenson del 10 giugno 1920, da Châalis: «Votre ami René Piot […] va être, à ma très grande joie, l’illustrateur ou le
décorateur du livre que je termine» (Bernard and Mary Berenson Papers, Biblioteca Berenson, Villa
I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies).
25. Sull’attività di Piot per il teatro si rimanda a René Piot fresquiste et décorateur, catalogo
della mostra, a cura di M. Kahane e R. Rapetti, Paris 1991; più in generale si veda C. Pizzorusso, A
Failure: René Piot and the Berensons, in The Bernard and Mary Berenson Collection of European
Paintings at I Tatti, a cura di C.B. Strehlke e M. Brüggen Israëls, Milano 2015, pp. 676-690.
26. I fuori testo sono in tutto diciotto, perché agli acquarelli di Piot si aggiungono due acqueforti, una di Claude Lorrain e una di Léon Bonnat.
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pretazioni dell’Angelo del portale di Saint-Gilles-du-Gard (p. 165; Fig. 7) e del
Pleurant della tomba del duca di Borgogna Filippo l’Ardito a Digione (p. 263;
Fig. 8). Non c’è dubbio che la padronanza della scena teatrale acquisita dall’artista negli ultimi anni abbia agito su queste sue palpitanti immagini.
Nonostante la passione e la cura profuse dai due autori, anche questo apparato di illustrazioni non convinse appieno la critica francese.27 Entrambi, separatamente, si avvalsero però di un giudice “superiore”, Bernard Berenson. Gillet gli
inviò il volume, con dedica, confidando nel suo crescente interesse, sollecitato da
Arthur Kingsley Porter, da Émile Mâle e dallo stesso Gillet, per il romanico e il
gotico francese.28 Da Berenson Piot attese un giudizio sul proprio lavoro con una
qualche ansia, perché lo riteneva penalizzato dalla modesta qualità della stampa
economica. Il verdetto di “B.B.”, evidentemente, fu tanto positivo da indurre il
pittore a chiedergli consiglio per una possibile collocazione dei suoi disegni originali: «A ce propos, vous ne savez pas s’il y aurait une université d’Amérique qui
serait intéressée d’avoir cette documentation d’art français dans sa bibliothèque.
Cette interprétation d’art par un artiste a été rarement faite et pourrait peut-être
trouver sa place dans la bibliothèque d’une université comme Harvard».29 Non se
ne fece di nulla, e i disegni si trovano ancora presso gli eredi. Tuttavia, non meraviglia l’approvazione di Berenson. Tentando di sistematizzare, nel 1941, i propri lontani pensieri sull’arte, in un memorabile paragrafo sulla fotografia “B.B.”
scrisse: «Nor should manual reproductions, drawings, I mean, and every kind
of engraving, woodcut or lithograph, be discarded as too subjective. Subjective
they are, but scarcely more so than photographs taken by scholars and artists who
willy-nilly reproduce what they want to see. These interpret no more and no less
than does the draughtsman; and if the latter is a gifted scholar and artist, as was
Viollet-le-Duc for instance, or Ruskin, his sketch may be a revelation».30 Per la
gioia postuma di Hanotaux, di Gillet, e di Piot.
27. Andrieu, recensione, p. 381: «Que la fidélité et l’exactitude en souffrent, c’est par trop évident. Mais, nous dit-on, cet inconvénient est largement compensé par l’avantage qui nous est offert
de voir les chefs-d’œuvre de l’art français à travers les interprétations d’un artiste contemporain.
Nombre de lecteurs auraient préféré les voir tout bonnement tels qu’ils sont». Favorevole, e acuta,
fu invece la breve recensione anonima pubblicata su «Le Correspondant» il 10 gennaio 1923, p.
192: «L’illustration est digne du texte: si quelques aquarelles peuvent donner lieu à contestation, les
innombrables reproductions en noir commentent de la façon la plus utile, la plus instructive, parfois
la plus pathétique, l’exposé de M. Gillet».
28. A. Ducci, Una questione di tatto: Berenson e Focillon, in «Studi di Memofonte», 14,
2015, pp. 98-135: pp. 101-102.
29. René Piot a Bernard Berenson, da Parigi, senza data, ma 1922 o 1923 (Bernard and Mary
Berenson Papers, Biblioteca Berenson, Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian
Renaissance Studies).
30. B. Berenson, Aesthetics and History in the Visual Arts, New York 1948, pp. 224-225. È
uno dei pochi passi berensoniani che Waldemar George, nella sua celebre Réfutation de Bernard
Berenson, Genève 1955, salvò: «Les pages que Berenson dédie à la photographie méritent d’être
mentionnées» (p. 20).
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Fig. 1. René Piot, La Vierge de Majesté (da una vetrata della Cattedrale di Chartres), collezione
privata (Foto Autore).
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Fig. 2. René Piot, La Chute des étoiles (dagli arazzi dell’Apocalisse di Angers), in Gillet, Histoire
des arts, tav. V.
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Fig. 3. René Piot, Vierge d’ivoire (da Villeneuve-lès-Avignon, Musée Pierre-de-Luxembourg), in
Gillet, Histoire des arts, p. 207.
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Fig. 4. René Piot, Vierge d’ivoire (da Villeneuve-lès-Avignon, Musée Pierre-de-Luxembourg), in
Gillet, Histoire des arts, p. 209.
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Claudio Pizzorusso
Fig. 5. René Piot, Vierge (da Tolosa, Musée des Augustins), in Gillet, Histoire des arts, p. 253.
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Fig. 6. Madonna col Bambino, detta Notre-Dame de Grasse, Tolosa, Musée des Augustins (Foto
Musée des Augustins, Toulouse).
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Fig. 7. René Piot, Ange (dai portali di Saint-Gilles-du-Gard), in Gillet, Histoire des arts, p. 165.
Fig. 8. René Piot, Pleurant (dal sepolcro del Duca di Borgogna Filippo l’Ardito), collezione privata
(Foto Autore).