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Manuale26-

1 Archeologo subacqueo e navale, O.T.S. (operatore tecnico subacqueo), collabora dal 1980 con Ministeri, Soprintendenze, Enti locali, Aziende ed Istituti Scientifici per progetti nell’ambito dei Beni Culturali. Ha tenuto seminari presso Istituti Universitari sempre sulle tematiche della navigazione antica e dell’archeologia subacquea , quest’ultima connessa anche alla sicurezza nel lavoro subacqueo. Ha partecipato e diretto scavi sia a terra che subacquei tra cui quello subacqueo della via Herculanea a Baia che ha messo in luce un largo tratto della strada romana e degli edifici annessi. Oltre all’attività di ricerca sul territorio si occupa di analisi di contesti archeologici sommersi riferiti ai traffici e commerci nel bacino del Mediterraneo antico, pubblicando articoli scientifici e monografie sulle navi greche e romane e sulle ancore antiche. Collabora con la RAI, per la preparazione di programmi scientifici (Superquark ed Ulisse). Coproduce inoltre documentari scientifici come “Operazione Gaudo” e “I costruttori di navi” con il regista Carlo Cestra. Archeologia subacquea FILIPPO AVILIA F. Avilia Questo manuale è una guida tecnica per gli archeologi sulle cose da fare e non fare quando si va sott’acqua. Si basa sull’esperienza diretta dell’autore come direttore di cantiere archeologico subacqueo. Egli innanzitutto invita alla prudenza poiché la maggior parte degli incidenti è legata alla leggerezza e ricorda che non vi è alcuna scoperta che valga una vita umana o un invalido. Essenziali sono dunque l’acquisizione di una buona acquaticità, un brevetto da sub di secondo grado, visite mediche annuali e perfetta manutenzione dell’attrezzatura subacquea. Questo volume è un “memento” delle cose più utili da effettuare prima, durante e dopo un’immersione, e fornisce consigli su sistemi e tecnologie, su come operare in ambienti particolari e dove prestare maggiore attenzione. Un manuale senza eccessivo ingombro, da portare con sé in qualsiasi situazione. Filippo Avilia Manuale tecnico EAN 978-88-88623-14-6 9 788888 623146 Valtrend € 18,00 Valtrend editore Filippo Avilia Archeologia subacquea Manuali tecnici Valtrend editore 1 Archeologia subacquea di Filippo Avilia EAN: 978-88-88623-14-6 Con il contributo di Sabrina Conte, della Scuola Marco Polo, sulla tecnica e sicurezza in immersione © Valtrend editore 2014 Collana Manuali Tecnici, n. 1 - II edizione www.valtrend.it - info@valtrend.it Impaginazione e grafica: Mara Iovene e Mario Marotta Immagine in copertina: Gianni Roghi in un momento di lavoro sul relitto di Spargi. Foto di Gianni Roghi tratta dal sito www.gianniroghi.it L’editore si scusa per eventuali omissioni o errori e rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto per quanto è di sua competenza; assicura inoltre di apportare le dovute correzioni nelle prossime ristampe in caso di cortese segnalazione. Prefazioni a cura di: Paolo Caputo Antonio Sisti Pippo Cappellano Armando Conte Luca Attenni Paolo Caputo Ho accettato con piacere l’invito dell’amico e collega Filippo Avilia e dell’editore Mario Marotta di presentare questo libro e, ancora di più, ho avuto il piacere di leggerlo, perché repetita iuvant, anche quando non si è più entusiasti neofiti della disciplina. A mio parere questo libro può sicuramente aiutare i neofiti, o almeno non spaventarli, e per questa nuova impostazione gli sono molto grato e per più motivi: - l’inserimento dell’argomento legislativo, al capitolo 2, breve ed efficace, argomento spesso assente o trascurato, liquidato in poche righe o dato per scontato in altri manuali, che rimandano ai relativi testi legislativi, e il profondo rispetto per le istituzioni, quali Capitanerie di Porto, Forze Armate e Soprintendenze Archeologiche, il cui vero scopo è la tutela e con cui gli archeologi subacquei si trovano spesso a lavorare insieme, piuttosto che non l’interesse per lo scoop su nuove fantastiche scoperte, che non rappresentano quasi mai la realtà del nostro lavoro, il quale di scoperte si avvale, ma spesso più semplici e valutabili a lunga durata nel tempo e nello spazio; questo giusto atteggiamento, che evidentemente potrà dispiacere i potenziali Indiana Jones, da cui anche la nostra società è caratterizzata, fa inserire automaticamente all’autore l’archeologia subacquea tra gli strumenti utili e concreti della gestione del territorio; - quello, appunto, dell’approccio territoriale all’archeologia subacquea, che chiarisce, ancora una volta, il nuovo ruolo di questa disciplina, sempre più legata al territorio, in particolare costiero e marittimo, agli strumenti urbanistici, al rilascio di pareri su progetti in presenza di resti archeologici sommersi no7 Paolo Caputo ti, indiziati o verosimilmente esistenti, come si è andata configurando negli ultimi decenni, riconoscendo alle Soprintendenze il loro proprio ruolo normativo e alle figure professionali il loro efficace contributo; mi fa piacere citare, in particolare, quanto dall’autore scritto a tal proposito: “Lo scavo, sia a mare che a terra, non si deve fare in fretta o per trarne benefici economici o di gloria… Mai effettuare scavi, o meglio buchi, solo per vedere cosa c’è sul fondo, se ci sono statue o se c’è del legno del relitto (anche perché se il carico è ancora in sito…), magari giustificando con la scarsezza del finanziamento. Bisogna fare ciò che è giusto scientificamente e ciò che si può ottenere con quel finanziamento (soprattutto se scarso). Anche solo un buon rilievo o un’adeguata copertura fotografica possono considerarsi un ottimo risultato dal punto di vista scientifico e per la conoscenza preliminare di un sito. Purché i dati siano poi pubblicati (altra nota dolente dovuta spesso all’inerzia di numerosi colleghi che lasciano inevasa la pratica del pubblicare, come se non valesse la pena). Al fine di realizzare una buona campagna di scavo il coordinatore deve far chiarezza in se stesso su cosa si vuole ottenere con un determinato finanziamento. Le frustrazioni o i sogni di gloria vanno curati in altre sedi”. Mi fa piacere citare l’autore perché condivido assolutamente questo modo di procedere, sia per l’archeologia terrestre, ma ancora di più per quella, più onerosa, subacquea e perché sento quanto detto come se lo avessi scritto io stesso, se solo penso alla pratica quotidiana della mia professione di archeologo, che ogni giorno mi pone davanti a scelte da fare a terra e a mare, le stesse che spesso è tenuto a proporre un professionista esterno, che operi in tutta onestà. Mi fa ancora più piacere rimandare a quanto dall’autore descritto a proposito delle modalità di immersione ed esplorazione in grotta, spesso effettuata senza le necessarie norme di sicurezza da improvvisati quanto incoscienti “istruttori”, applicando le quali si eviterebbero molte morti inutili, di cui anche recentemente ha di nuovo parlato la cronaca nazionale. 8 Questo testo, in definitiva, quale manuale tecnico non può e non deve intendersi come una “scorciatoia” per operare come archeologo subacqueo, bensì, a parere di chi scrive, come utile strumento per un primo basilare approccio alla pratica ed alla tecnica subacquea. Come tale, esso permette all’autore di tramandare il suo sapere pratico, che ogni giorno ci sforziamo tutti di affidare a chi sul lavoro ci circonda e ci condivide, ma soprattutto è un’opera di chi lavora senza presunzioni, né deliri di onnipotenza, ma umilmente, come sempre si dovrebbe fare, e con la prudenza sul campo, che il caso richiede. Nel trattare, inoltre, di attrezzatura e strumentazione, accompagnati da avvertenze e consigli pratici, avverte quanto l’uso dell’una e dell’altra non sia un fattore accessorio qualsiasi, ma un mezzo vitale per un corretto approccio dell’archeologo alla sopravvivenza in ambiente subacqueo, come una sorta di seconda pelle, dato che si acquisisce solo dopo una lunga pratica. Mi unisco a lui per ricordare anch’io con affetto persone e amici noti a entrambi, alcuni dei quali purtroppo scomparsi e lo ringrazio per aver citato i lavori del 2006-2008 realizzati, a mia cura, a Punta Epitaffio, per la realizzazione del Parco Sommerso di Baia, ai quali anche Filippo ha partecipato. Paolo Caputo Archeologo Direttore Coordinatore del MIBACT, SBA-NA Funzionario Responsabile: dell’Ufficio per i Beni Archeologici di Cuma, delle Aree Marine Protette-Parchi Sommersi di Baia e Gaiola, del Gruppo Archeologico Subacqueo della SBA-NA 9 Antonio Sisti L'archeologia, vale la pena ricordare, è la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l'ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l'analisi delle tracce materiali che queste hanno lasciato. Il Mediterraneo, il Mare Nostrum dei latini, è sempre stato percorso dalle navi dei popoli che vi si affacciano, determinando: relazioni commerciali, scambi culturali e purtroppo anche ostilità. Le rotte percorse in questo mare, specialmente nel passato anche e ancor prima che i Romani vi e-stendessero il loro dominio, erano considerate più sicure delle vie di terra: i mercanti vi affidavano le merci e gli uomini di avventura e di cultura le utilizzavano per i loro viaggi. Se le rotte marine riparavano dagli imprevisti di terra, le imbarcazioni antiche per quanto di buona fattura non disponevano della tecnologia e degli strumenti necessari per affrontare le tempeste causa spesso di affondamenti. A questo, nel corso dei secoli, si devono aggiungere i relitti affondati per cause belliche o da aggressioni piratesche e/o corsare. La ricerca dell’archeologo subacqueo si rivolge anche a ciò che rimane dei manufatti delle civiltà che a causa degli inabissamenti naturali, come i fenomeni di bradisismo nella area di Pozzuoli, ven-gono nascosti e conservati. L’archeologo si pone come ponte tra passato e presente. La Lega Navale Italiana che per statuto ha la diffusione dello spirito marinaro, rivolgendosi in primis ai giovani, pone altresì particolare impegno alla tutela dell’ambiente marino e alla partecipa-zione dei soci/cittadini allo sviluppo e al progresso di tut10 Antonio Sisti te le forme di attività che hanno nel mare il loro campo ed il loro mezzo di azione. Questo manuale si inserisce in pieno al contesto delle finalità associative in termini di tutela, sicu-rezza, tradizioni marinare e colma un vuoto anche professionale per chi si avvicina all’attività su-bacquea con l’occhio rivolto al passato cercando nel contempo di non perturbare più di tanto l’eco sistema marino. La Sezione di Fiumicino della Lega Navale Italiana è onorata di annoverare tra i suoi soci l’autore, archeologo navale ed esperto subacqueo, ed è lieta di promuovere e sostenere questo manuale ricco di utili consigli per chi si immerge con l’obiettivo di ricercare reperti o impiantare un cantiere ar-cheologico subacqueo. Ma un manuale pratico, specifico per questa attività che coniuga sapere storico e conoscenza del mare, non sarebbe completo se tra le sue righe non trasparisse anche un messaggio di prudenza, la maggior parte degli incidenti è legata a leggerezza ed è bene ricordare che non vi è alcuna scoperta che valga una vita umana o un invalido. Buon vento Antonio Sisti Presidente Lega Navale Italiana Sezione di Fiumicino 11 Pippo Cappellano La prefazione, come ha detto qualcuno, è una cosa che si scrive a libro finito, che si mette prima e che a volte non si legge né prima né dopo. Tuttavia scrivere la prefazione del libro di Filippo Avilia “Manuale Tecnico per L’Archeologo in immersione” ha il fascino irresistibile di un’esplorazione subacquea, ed io non mi sono mai tirato indietro al cospetto di un viaggio esplorativo. Oggi il nostro approccio verso il mare è sempre più tecnologico. L’esplorazione del pianeta Terra si è spinta, sott’acqua, a profondità impensabili solo pochi decenni fa. Batiscafi e veicoli filoguidati hanno portato l’uomo negli abissi o inviato alla superficie le immagini di un’oscurità squarciata per la prima volta da una luce artificiale. Anche un subacqueo con una buona preparazione tecnica e con l’uso di miscele di gas può spingersi adesso molto oltre quelli che si ritenevano limiti invalicabili. Oggi siamo in grado di esplorare e filmare ad alta profondità, di datare reperti mediante tecniche sempre più accurate, di confrontare con facilità dati e informazioni attraverso una veloce rete telematica. Questi straordinari progressi tecnologici hanno consentito grandi passi avanti anche nella ricerca archeologica. Eppure, l’elemento umano rimane sempre il pilastro portante della ricerca. George Bass, un grande archeologo subacqueo che ho avuto l’onore di conoscere personalmente, scrisse “esiste una sola archeologia, che sia svolta a terra o sott’acqua”, e su questo siamo d’accordo, ma quando l’archeologo diventa protagonista 12 Pippo Cappellano della ricerca e dello scavo subacqueo, deve fare i conti con una serie di problematiche, che possono mettere a rischio la sua incolumità, ben diverse da quelle di un archeologo che lavora sulla terra ferma. Ecco che il Libro di Filippo Avilia si inserisce egregiamente in un contesto di sicurezza in cui oggi più nulla è lasciato al caso. L’archeologo in muta subacquea è una figura moderna dell’archeologia, e dovrà misurarsi con Archimede, Boyle e Mariotte e ancor più con l’azoto. Possiamo immergerci nei mari ad osservare le tracce dell’uomo che questi custodiscono, ma la sfida più impegnativa è ricostruire quelle pagine di storia che gli elementi della natura, e talvolta la mano dell’uomo, hanno cancellato prima ancora che qualcuno potesse scriverle. Sott’acqua, anche un minimo indizio può rappresentare un tesoro, non per il valore intrinseco dell’oggetto ma per quello che può regalare al nostro sapere. Ed è sott’acqua che l’indagine degli archeologi compie lo sforzo maggiore, nel ricomporre un prezioso mosaico attraverso gli oggetti ritrovati e, ancor più, cercando di immaginare con metodo scientifico ciò che è andato perduto. Per questa ragione recuperi incauti o atti vandalici sono un danno ingente alla nostra Storia, poiché sottraggono al loro contesto oggetti che tratti fuori dall’acqua perdono ogni significato. Il mare, talvolta, è il migliore custode dei propri segreti, anche di quelli svelati, quando per tante ragioni si ritiene più corretto lasciarli dove gli eventi li hanno trascinati. I nostri mari, in questo senso, sono un vero museo sottomarino, dove si possono osservare relitti di naufragi noti e reperti ancora avvolti nel mistero. Le acque cristalline illuminate da potenti fari, concedono spesso una visione straordinaria dell’insieme del sito. Osservando gli oggetti che giacciono sui fondali, riprendono vita sotto i nostri occhi storie di navi e di naufragi, di navigatori esperti traditi dalle insidie di un mare ancora sconosciuto, di tempe- 13 Pippo Cappellano ste che hanno strappato all’uomo carichi preziosi e forse la vita stessa, di battaglie condotte con un’audacia più potente delle armi. Storie che hanno avuto come teatro le vie immaginarie del nostro mare e l’archeologo in immersione ha il difficile compito di riscriverne le pagine. Il grande pregio del libro di Filippo Avilia è quello di coniugare un accurato quadro della ricerca archeologica subacquea con l’avventurosa storia di questa giovane branca della scienza. Pippo Cappellano Vice Presidente Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee, giornalista e documentarista 14 Armando Conte Ho inteso contribuire con sommo piacere al presente lavoro portato a termine dall'amico ed ex discente Filippo Avilia, di cui si evince una profonda conoscenza e competenza archeologica, non disgiunta da quelle di carattere tecnico-subacqueo finalizzate alla tutela della salute e/o alla prevenzione antinfortunistica. Esso ha suscitato il personale e vivo interesse anche per aver diretto numerose operatività subacquee finalizzate ad indagini, rilievi e recuperi in ambito archeologico condotte nell'alveo del fiume Tevere (da Ponte Milvio fino al 22°km della Via Salaria) con il G.S.P.I. – Gruppo Sommozzatori di Pronto Intervento "Marco Polo" – organizzazione volontaria, ausiliaria di pubblica utilità, riconosciuta, fin dal 1970, dallo Stato Maggiore Difesa Esercito, Marina e Aeronautica, Centro Studi per la Difesa Civile VIII Comiliter Uff.O.A. Tale G.S.P.I. “Marco Polo”, esclusivamente formato da professionisti subacquei (O.T.S.) di conclamata esperienza o provenienti dalla Marina Militare Italiana, infatti, beneficiava fin dal 1988, di formale autorizzazione fiduciaria da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma (Dr Adriano La Regina), collaborando attivamente e proficuamente con lo S.T.A.S. – Servizio Tecnico per l'Archeologia Subacquea – allora diretto dal Dr Claudio Mocchegiani Carpano. È il caso di far rilevare che le attività professionali svolte dall'OTS non si limitano all'estrinsecazione di lavori subacquei, peraltro disciplinati da specifiche leggi nazionali, in ambito loca15 Armando Conte le/portuale fino alla concorrenza delle acque territoriali, ma si ampliano a quelli da svolgersi per fini archeologici e/o scientifici (biologi,geologi), attraverso una medesima, acquisita professionalità e titolazioni di legge. È inconfutabile che le motivazioni che spingono l'uomo ad operare sott'acqua lo espongono ai rischi insiti in tale attività, qualunque ne sia il fine ultimo ed è altrettanto inconfutabile che la professionalità subacquea di cui DEVE essere in possesso non faccia alcuna distinzione categoriale, sia esso operatore subacqueo petrolifero, industriale, commerciale o portuale, che quello con finalità scientifiche di carattere archeologico. Va da sé che un manuale tecnico non sarebbe completo se non comparisse una nota specifica e prudenziale che si è inteso attuare attraverso la divulgazione applicativa delle Tabelle più sperimentate al mondo forniteci dalla US Navy, al fine di diffondere una specifica conoscenza che realizzi una maggiore salvaguardia della vita umana, troppo spesso esposta inutilmente al rischio di eventi invalidanti o letali. È evidente, infatti, che a prescindere da quanto possa essere relativo all’impiego di mezzi strumentali non esiste, e non potrà mai esistere, una problematica antinfortunistica diversa per il subacqueo professionista o per lo sportivo o per subacquei dalle finalità scientifiche, quando essi penetrano nell’idrospazio. Se è vero, come è vero, che la VITA – e la sua tutela – sia un bene Costituzionale, primario ed inestimabile, appare evidente quanto sia indispensabile che le conoscenze prevenzionali antinfortunistiche, le metodiche applicative e la professionalità da acquisire debba riguardare chiunque penetri nell'idrospazio. Tale idrospazio, infatti, dominio incontrastato del Dio Nettuno – con le sue ferree regole applicative – non distingue le ragioni passionali o materiali che spingono l’Uomo nel suo Regno e che lo hanno indotto ad entrare nel suo “dominio”. Egli constata, soltanto, che il suo Regno viene violato, il più 16 delle volte, senza tenere nella doverosa e responsabile considerazione norme prudenziali e/o regole che tale Regno impone a chiunque. Basti pensare al fascino ed alla irresistibile forza di attrazione che il mondo subacqueo esercita da sempre sull'Uomo, per cui centinaia di migliaia di persone dai sette ai settant’anni ed oltre, democraticamente, senza alcuna distinzione di ceto sociale, per le più diverse motivazioni, nei più vari periodi dell'anno, nella pressochè totale maggioranza delle aree geografiche, con mezzi più o meno tecnicamente progrediti o sofisticati, sono indotti a varcare i confini dell'idrospazio e ad irrompere in questo, turbandone la magica e solenne riservatezza. Irruzione gioiosa – eccessivamente esuberante – ma il più delle volte attuata in maniera del tutto ignorante e, quindi, ad elevato indice di pericolo. Va da sé che entrare nel mondo subacqueo significa passare da determinate condizioni di vivere ed operare – e a cui siamo abituati dalla nostra nascita (spazio terrestre) – ad altre completamente diverse come quelle "idrospaziali" con tutta la specifica problematica che questo comporta e su cui spicca l'aspetto psicologico. Il momento nel quale avviene tale cambiamento "spaziale" è della massima importanza perchè gli aspetti fondamentali che ci permettono tale ingresso non sono soltanto di carattere fisico, ma anche psicologico e tecnico. Una buona capacità psicofisica, infatti, risulta essere la "condicio sine qua non" per poter operare con raziocinio e sicurezza nello spazio iperbarico bagnato. Ma non basta da sola tale capacità! Essa è nulla se non poggia su solide basi di cognizioni tecniche prevenzionali antinfortunistiche di Igiene e Sicurezza Operativa. 17 Armando Conte È evidente quanto una approfondita informazione, non disgiunta da altrettanta corretta formazione, siano alla base della prevenzione antinfortunistica e, pertanto, della tutela della salute. Non può essere sottaciuto, infine, che la conquista dei 5/6 del Pianeta Terra sommersi dalle acque è, in tutti i sensi, una vera e propria conquista territoriale alla quale, per le immense ricchezze che vi giacciono, è strettamente collegata la possibilità di futura sopravvivenza del Consorzio Umano e costituisce, altresì, un bacino di indagine archeologica del tutto sconfinato. Detto ciò, mi commiato, con l'auspicio che il modesto contributo tecnico offerto possa migliorare, in termini di sicurezza, l'attività subacquea del settore archeologico, così magistralmente presentata in questa pubblicazione. Settore a tutt'oggi non adeguatamente gratificato moralmente e materialmente come meriterebbero tanti professionisti che con la propria opera esperta, competente e disinteressata si sono, comunque, posti e si pongono, meritoriamente, all'ammirazione dell'Italia e del mondo intero. Armando Conte Co-fondatore e Direttore Tecnico della Scuola Professionale di Immersione Subacquea “MARCO POLO” fondata nel 1959 da Giuliano Conte. 18 Luca Attenni In queste pagine l’autore si propone di affrontare, anche se alcune tematiche sono state toccate in modo necessariamente parziale, la questione di cosa sia nei fatti l’archeologia subacquea: quale dovrebbe essere il suo reale scopo e di conseguenza quali mezzi dovrebbero essere utilizzati per conseguirlo al meglio. Alla prima domanda si può rispondere con una definizione che in realtà aumenta le dimensioni del problema: l’archeologia subacquea è una disciplina di argomento antropologico, che fonda le proprie basi su dati oggettivi di provenienza archeologica, ovvero da scavi e da studi sulla cultura materiale. Naturalmente i confini tra l’archeologia, subacquea e non, e le altre materie storiche e antropologiche sono spesso sfumati. Lo scopo primario del lavoro di Filippo Avilia è quello di riavvicinare il pubblico all’ archeologia subacquea, tentando di eliminare alcuni pregiudizi e non perdendo mai di vista la serietà e il valore scientifico delle informazioni che si intendono dare. Da parte del pubblico degli appassionati si riscontra molto spesso una reale attrazione nei confronti dei presunti “misteri” dei relitti sommersi; si tratta probabilmente di una conseguenza dell’insegnamento compendiario e corsivo al quale essa è affidata in alcuni programmi divulgativi. Un’attività didattica seria ha l’obiettivo di colmare diverse lacune della comune istruzione in merito (in tal modo vanno infatti interpretati i capitoli 3-5 del volume) e dovrebbe avere la conseguenza di sfatare alcuni dei “miti” che si sono venuti a creare nella fantasia popolare un po’ per ignoranza e un po’ forse per 19 Luca Attenni un’aura di mistero e quasi di magia di cui a volte le materie archeologiche e quelle subacquee in particolare si sono rivestite, anche a scopo promozionale. È però importante tenere sempre presente che il rigore scientifico e la correttezza, per quanto è possibile, non devono andare a scapito del fascino e dell’attrattiva degli argomenti che si vengono a trattare: un buon processo di divulgazione deve poter catturare l’attenzione nel momento stesso in cui dà insegnamento. Ed è questa, a mio avviso (neofita subacqueo), la forza del presente volume che riesce a dare una visione chiara e coerente della legislazione in materia e nello stesso tempo guida il lettore entro quell’operazione che per un archeologo è compito fondamentale svolgere dopo la raccolta dei dati: la ricostruzione del contesto. Per il semplice appassionato di archeologia e molto spesso anche per gli operatori dilettanti del campo, il concetto di “contesto” è una realtà sconosciuta o tutt’al più una nozione sfumata di scarso valore pratico. Per converso, invece, l’unica garanzia di correttezza scientifica in una trattazione archeologica specialistica è la definizione chiara del contesto in cui trovano la propria interpretazione i dati, qualunque sia la loro origine. Questo divario tra pubblico e specialisti a volte non viene riconciliato e, in molti casi, impedisce ai primi di avvicinarsi, nell’ottica di una cultura d’élite aperta solo a chi è in grado di raggiungerla con le proprie forze. Ora, questo può forse essere accettabile con qualche riserva per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche archeologiche, ben distinte e separate da quelle divulgative, che recentemente hanno realizzato prodotti encomiabili dovuti ad iniziative personali di studiosi di grande levatura, come è il caso del presente volume. Luca Attenni Direttore Museo Civico di Lanuvio e Museo Civico di Alatri 20 Introduzione dell’autore «No, qui il mondo si divideva tra coloro che avevano e coloro che non avevano “quella cosa”. No, qui l’idea … sembrava essere che un uomo doveva possedere … la stoffa giusta…». Tom Wolfe The Right Stuff (tr. it. La stoffa giusta) La seconda edizione di questo volume vede la luce soprattutto grazie a tutti coloro che, avendo consultato la prima edizione, ne hanno segnalato la godibilità e l’utilità. A tutti loro va dunque la mia riconoscenza. Ringrazio inoltre l’editore che ha riconfermato la stima nei miei confronti, consentendomi l’aggiornamento e rendendosi disponibile a pubblicare il mio lavoro. Il volume è stato rivisto nella veste grafica e nelle immagini; nel testo si è aggiunto un capitolo sulla tecnica e la sicurezza in immersione e la V tabella della U.S. NAVY, curati da Sabrina Conte, Direttore Didattico della Scuola Professionale di Immersione Subacquea “Marco Polo”. Questi anni hanno comportato anche una mia riconsiderazione personale sulla figura dell’OTS da parte dell’archeologo subacqueo. Erroneamente, sentendo parlare di Operatore Tecnico Subacqueo, noto anche con l'acronimo di OTS, si focalizza l’attenzione solo sulla parola Operatore e si immagina una figura che utilizza esclusivamente saldatrici, fiamme ossidriche, impianti portuali, installazioni offshore. 21 Introduzione In realtà, nella sua accezione più ampia, la definizione di Tecnico ben si attaglia all’archeologo in immersione, tecnico nel suo campo, seppure con una preparazione maggiormente orientata verso l‘analisi scientifica. Inoltre, al di là dell’obbligo di Legge, la qualifica professionale di Operatore Tecnico Subacqueo (OTS) resta fondamentale per la conoscenza delle tabelle di immersione – in particolare della V – e per la gestione stessa dell’immersione, di natura squisitamente personale e non delegabile. In definitiva il brevetto OTS, (utile comunque come bagaglio personale) è fondamentale per capire l’uso di strumentazioni e soprattutto le tecniche di lavoro in immersione ed è ben diverso dal brevetto sportivo, purtroppo frequentemente unico supporto degli archeologi che si immergono. Consiglio vivamente ai colleghi, soprattutto a quelli che si avvicinano adesso all’archeologia subacquea, di acquisire un brevetto OTS presso una scuola certificata, perché le garanzie per la sicurezza propria e degli altri non sono mai abbastanza. Tra l’altro il brevetto O.T.S. è obbligatorio per lavori in mare, intendendo per lavori qualsiasi attività si svolga in ambiente sommerso (marino, fluviale, lacustre) anche di ricerca, con D.M. del 13 gennaio 1979 che prevede l’istituzione della categoria dei sommozzatori in servizio locale. Ringrazio a tal proposito Armando e Sabrina Conte, rispettivamente Direttore Tecnico e Direttore Didattico della Scuola Professionale di Immersione Subacquea “Marco Polo” (Roma), della quale mi fregio di essere stato allievo, sia per la loro professionalità che per la loro generosa partecipazione alla divulgazione della sicurezza in mare. Questo manuale è una breve guida tecnica sulle cose da fare e non fare quando un archeologo deve andare sott’acqua e si basa fondamentalmente sulla mia esperienza di direttore di cantiere archeologico subacqueo e sulle conoscenze acquisite dagli esperti sommozzatori che negli anni mi hanno affiancato. Persone come 22 Pippo Cappellano, che amava dire “se la luce si spegne tu devi essere in grado di uscire dalla stanza” sottolineando così il ruolo importante dell’individuo nel programmare l’immersione e non lasciare nulla al caso o affidato unicamente agli strumenti. Ciò che raccomando è di seguire le leggi vigenti sulla sicurezza e di adottare sempre una estrema prudenza nell’affrontare un lavoro subacqueo, valutandone bene i limiti della fattibilità. Non vi è alcuna scoperta che valga una vita umana o un invalido. Gli incidenti sono quasi sempre legati a leggerezza, incapacità, spacconeria, ignoranza dei limiti e delle norme. È raro l’incidente per problemi tecnici e quand’anche è spesso legato ad incuria e scarsa manutenzione delle attrezzature. Consiglio, a chi vuole affrontare il mestiere dell’archeologo in immersione, di mantenere un buon fisico (nei limiti di madre natura), di effettuare visite mediche annuali, di tenere sempre tutti gli attrezzi subacquei in perfetto stato e soprattutto di non esagerare, non eccedere nelle sere precedenti un lavoro in mare: mai arrivare la mattina con la testa confusa per alcol o altro. Il mare è un severo maestro che insegna ad essere equilibrati con se stessi e con gli altri, per cui alla preparazione di archeologo bisogna associare sempre una buona conoscenza marinara: venti, correnti marine, nodi, emergenza in mare e tante altre cose che nel corso degli anni formano un archeologo subacqueo, ma soprattutto un uomo di mare. Il lavoro in mare è anche occasione per conoscere un elemento nuovo, pratiche lavorative e persone diverse, portandoci, a volte, ad una migliore conoscenza degli animi umani. Questo manuale non ha nulla a che vedere con ben altri manuali scritti da colleghi più blasonati del sottoscritto: personalmente ritengo ancora insuperato (se non per la bibliografia) il testo “Archeologia subacquea” di P.A. Gianfrotta e P. Pomey, sia come impostazione che come metodologia. I suggerimenti che ho dato in questo volume sono un rapido 23 Introduzione “memento” delle cose più utili da effettuare prima, durante e dopo un’immersione. Rapidi consigli su sistemi e tecnologie, su come operare in ambienti particolari, su luoghi e situazioni in cui occorre la massima attenzione. È un “abecedario” maneggevole da portare con sé in qualsiasi situazione. Infine desidero ringraziare tutti coloro che, direttamente o indirettamente, nel corso della mia esperienza subacquea mi hanno trasmesso qualcosa di utile (l’ordine è quello della memoria e non dell’importanza): Antonio Di Stefano, Mario Rosiello, Armando Carola, Piero Alfredo Gianfrotta, Claudio Mocchegiani Carpano, Arturo Facente, Biagio Carannante, Paolo Caputo, Amedeo Cammarota, Antonio Scamardella, Francesco Stazio, Francisca Pallares, Nicola Severino, Mario Carotenuto, Paolo Monachello, Andrea Fogliuzzi e tanti altri dei quali non ricordo né i nomi né i volti ma che ritrovo la loro pratica e la loro umanità attraverso i miei gesti, ogni volta che vado in mare. Un ringraziamento a Carla Papa e Francesco Rastrelli per la loro liberalità. Un grazie particolare ad Attilio Stazio e Bernard Andreae, maestri di scienza e di vita. Buon lavoro a tutti Voi. 24 1. Breve storia della Tecnica Subacquea applicata all’Archeologia L’archeologia subacquea, intesa come ricerca scientifica, deve la sua nascita all’invenzione dell’autorespiratore ad aria, avvenuta nel 1948 ad opera di Cousteau e Gagnan. Sino ad allora questa branca dell’archeologia rimase legata a rinvenimenti sporadici (dragaggi, recuperi casuali con reti, pescatori di spugne, palombari della marina militare) o ricerche teoriche che raramente trovavano riscontri pratici. Da allora il legame con l’evoluzione della subacquea è divenuto indissolubile al punto che l’archeologo operante in ambiente sommerso deve essere anche un ottimo subacqueo. Questo perchè operare sott’acqua, effettuare uno scavo, un rilievo, delle foto, recuperare reperti con delicatezza e nel contempo pensare alla pressione delle bombole, alla profondità e al tempo di permanenza, comporta un coordinamento perfetto ed un affiatamento consolidato con il gruppo. Il Rinascimento L’immersione ha origini storiche antichissime: già nell’Iliade e nell’Odissea si parla di uomini in grado di nuotare sott’acqua. Tuttavia i primi tentativi di recupero risalgono al Rinascimento e precisamente al 1446, quando il cardinale Prospero Colonna incaricò Leon Battista Alberti di tentare il recupero delle navi di Nemi. Tentativo poi fallito, ripetuto nel 1535 dall’ingegnere mi- 25 Capitolo 1 litare bolognese Francesco De Marchi, con una primitiva campana “batiscopica” in legno, anche questo miseramente fallito. Tutti questi tentativi, come la maggior parte delle ricerche antiquarie Rinascimentali, portarono solo ad un maggiore degrado delle strutture antiche; in particolare il legno recuperato dalle navi di Nemi venne utilizzato come combustibile. Il 1800 Solo agli inizi del XIX secolo si ha l’invenzione dei primi scafandri per palombari (ad opera del Kleingert). Nel 1895 Eliseo Borghi, proprio grazie a palombari, ma ben lungi da qualsiasi rigore scientifico, operò dei “recuperi” dalle navi di Nemi tubi di piombo, tegole di rame dorate, pezzi di mosaico, resti della decorazione bronzea e legname che finì nei camini. Tuttavia si iniziava a percorrere la lunga strada che avrebbe poi portato alla nascita dell’archeologia subacquea come branca dell’archeologia. Il 1900 Infatti grazie al perfezionamento degli scafandri da palombaro si recuperarono i carichi dei relitti di Anticitera (Grecia 1900-1901) e di Mahdia (Tunisia 1908-1913), senza ancora le basi di una ricerca scientifica, ma costituirono lo spunto per nuove ricerche con l’applicazione di canoni di maggiore scientificità. Tuttavia gli scafandri da palombaro non consentivano una grossa mobilità sul fondo e la loro pesantezza provocava un notevole danno al materiale archeologico. Lo scafandro fu utilizzato per l’ultima volta sul relitto delle colonne a Saint-Tropez (Francia) nel 1951. Tornando agli inizi del ‘900, pescatori di spugne recuperarono l’efebo di Maratona (Grecia 1925), il Poseidone e il fanciullo fantino dell’Artemision (Grecia 1928). 26 Anni 1945/50: i palombari Sergio Fiorelli e Luigi Ambrogini durante lo sminamento del golfo di La Spezia (da Francesca Giacché Teste di rame, Formello, 2000). 1928: il recupero delle navi di Nemi Anche se non legato strettamente all’archeologia subacquea, intesa come operatività in ambiente acquatico, fu famoso nel 1928 il recupero delle navi di Nemi. Fu un fondamentale passo avanti per lo studio e la comprensione dell’importanza dei relitti antichi e del patrimonio di dati che questi conservano. Le due navi, che poi furono identificate come le navi da parata dell’imperatore Caligola, furono recuperate grazie al prosciugamento parziale del lago sino ad una quota di -12 mt, ottenuto tramite pompe idrovore e al riuso di un vecchio emissario artificiale romano. Di esse (lunghe rispettivamente mt 71,30x20 e 73x22) si rinvenne lo scafo a fondo piatto, rivestito di lana catramata e lastre di piombo, più una massa enorme di materiale archeologico pertinente le sovrastrutture dello scafo, che andavano da mosaici 27 Capitolo 1 Fase dell’alaggio di una delle navi dopo il recupero (da Guido Ucelli “Le navi di Nemi” (Milano, 1950 - Roma, 1983 rist.) 28 policromi, a marmi, monete, bronzi, attrezzature di bordo, due ancore e pompe di sentina. Le navi furono conservate in una stupenda struttura museale costruita appositamente sulle sponde del lago ma vennero putroppo distrutte in un incendio doloso nella notte tra il 31 maggio e il 1 giugno del 1944. Il 1930 Intorno agli anni ‘30 nel Mediterraneo Orientale, il padre gesuita Andrè Poidebard effettuava i primi rilevamenti dei porti delle antiche città di Tiro e Sidone con l’ausilio di foto aeree, di pescatori di spugne e palombari della marina militare francese nonché delle prime foto subacquee. Questo segnava una svolta nella impostazione delle ricerche di siti sommersi in quanto l’azione combinata della foto aerea e dell’indagine subacquea completavano l’analisi archeologica che così non era più limitata alla fascia subaerea. L’evoluzione delle tecniche subacquee: gli incursori Le attrezzature subacquee e le tecniche di immersione subirono una notevole accelerazione durante il secondo conflitto mondiale grazie alle esperienze degli incursori di varie marine militari fra le quali in primis quelli della allora Regia Marina Militare Italiana. Anche se l’argomento potrà sembrare non pertinente con l’archeologia subacquea, è grazie a questi uomini e alle loro prime esperienze con autorespiratori autonomi, che oggi possiamo liberamente muoverci sott’acqua. Allo scoppio del seconda guerra mondiale l’Italia, in condizione di inferiorità come armamento navale, decise di giocare la carta rischiosa degli incursori subacquei creando il corpo della 29 Capitolo 1 Il palombaro Bargellini mentre esce dalla torretta di osservazione (L’Artiglio ha confessato, op. cit.) Decima MAS che operava con i famosi “maiali” ovvero Siluri a Lenta Corsa. In pratica un siluro a trazione elettrica dotato di testata esplosiva e guidato da due subacquei muniti di muta stagna Belloni a pezzo unico e respiratore ad ossigeno a circuito chiuso con il quale operavano sino a trenta metri. Per ovviare all’avvelenamento da ossigeno, gli incursori riempivano il sacco polmone con aria a composizione ambiente. Una delle azioni più clamorose, fra le tante compiute, fu l’affondamento delle navi da battaglia Queen Elizabeth e Valiant nel porto di Alessandria d’Egitto il 18 dicembre del 1941, ad opera di Luigi Durand de la Penne, Emilio Bianchi, Antonio Marceglia, Spartaco Schergat, Vincenzo Martellotta e Mario Marino, detti anche “I sette dell’Orsa Maggiore”. Sbalorditi dalle azioni degli italiani, anche tedeschi, giapponesi ed inglesi si interessarono alla creazione di corpi di incursori subacquei. Gli inglesi soprattutto, copiando un “maiale” cat30 turato agli italiani durante un’incursione, crearono il “Chariot”, un siluro guidato da due operatori subacquei. Questi erano dotati di respiratore ad ossigeno a circuito chiuso; essi fecero l’errore di non valutare gli effetti dell’ossigeno a profondità elevate, con conseguenze tragiche nelle prime esercitazioni, nonostante alcuni sommozzatori italiani catturati li avessero messi al corrente del problema essendo più attenti nell’uso dell’autorespiratore ad ossigeno per l’esperienza acquisita in precedenza con una serie di prove. Gli inglesi avevano una muta stagna detta “morte appiccicosa”, in un pezzo unico con cappuccio, che aveva tra i problemi principali il freddo. Le azioni effettuate dagli incursori italiani rimasero così uniche, sia per il coraggio dimostrato che per la novità (e pericolosità) dello strumento. Questa lunga sperimentazione fa sì che a tutt’oggi i sommozzatori della Marina Italiana siano ancora i migliori come tecnica. 1943: Cousteau - Gagnan In quest’anno l’ufficiale della Marina Francese Jacques-Yves Cousteau e l’ingegnere Emile Gagnan inventarono il respiratore ad aria monostadio (il CG45), determinando un vero e proprio salto di qualità conferendo una maggiore accessibilità all’ambiente subacqueo e una migliore agilità di approccio al sito archeologico sommerso. L’altra faccia della medaglia fu un maggior numero di saccheggi dei depositi sottomarini. Quindi la Francia per prima effettuò ricerche in campo archeologico subacqueo: nel 1948 Cousteau e Philippe Tailliez fecero un primo ritrovamento sul famoso relitto di Madhia e poi sul relitto di Antheor (noto come Chretienne A, Francia 1949) a 20 mt di profondità, carico di anfore vinarie tipo Dressel 1 con bolli in lingua osca della famiglia pompeiana dei Lassii, che portarono a datare il naufragio al 75 a.C. 31 Capitolo 1 L’ingegnere Emile Gagnan inventore dell’Aqualang con Jacques-Yves Cousteau 32 1950: Albenga Anche in Italia l’innovazione dell’autorespiratore ad aria portò in breve ad esplorazioni sistematiche lungo le coste, anche se i primi tempi furono avventurosi, basati sul coraggio e l’inventiva degli operatori subacquei e degli archeologi in superficie, che purtroppo dettero luogo a vari incidenti di cui alcuni evoluti in tragedia. Si tenga presente che tutte le operazioni erano coordinate dall’archeologo in superficie che dirigeva i lavori basandosi su resoconti, rilievi e foto dei sommozzatori, con tutte le incomprensioni e imperfezioni del caso. Fu ad Albenga che, nel 1950, avvenne il primo intervento di “archeologia subacquea” italiana. Si esplorò per la prima volta il relitto di una nave oneraria romana giacente su un fondale di 40-42 mt. La si conosceva sin dal 1925, quando alcune anfore si impigliarono nelle reti dei pescatori, permettendo di localizzare il relitto. Nino Lamboglia, archeologo e padre dell’archeologia subacquea italiana (morto tragicamente nel porto di Genova il 10/1/’77) decise di intraprendere l’esplorazione del relitto sulla base di criteri scientifici, di pura conoscenza di una nave da carico romana e del suo carico, costituito da anfore vinarie e non da opere d’arte. L’operazione si svolse con la benna della nave recuperi “Artiglio II” della società italiana SO.RI.MA. Questa società, fondata dal commendator Giovanni Quaglia, era famosa per gli eccezionali recuperi a grandi profondità sin dagli anni trenta, come quello dell’oro della nave “Egypt”, affondata a circa 100 mt di profondità il 20 maggio 1922 al largo delle coste occidentali francesi. La nave recuperi era l’”Artiglio”, attrezzata con le più moderne tecnologie dell’epoca e con un esperto gruppo di sommozzatori, fra i quali: Alberto Gianni (capo palombaro), Aristide Franceschi, Alberto Bargellini, tutti altofondalisti. L’operazione, 33 Capitolo 1 dopo molte vicissitudini, riuscì perfettamente facendo saltare i tre ponti della nave affondata e giungendo sino alla camera blindata ove vi era l’oro. Il 7 dicembre del 1930 la valorosa Artiglio saltò in aria nel porto di Saint-Nazaire mentre recuperava munizioni da una nave militare affondata. Morì tutto il gruppo sommozzatori e undici persone dell’equipaggio; la nave fu letteralmente disintegrata dall’esplosione, si salvarono solo sette persone. Sulla base di queste esperienze venne scelta la SO.RI.MA. ma la benna provocò danni notevoli al carico Nino Lamboglia (in primo piano) con riportando a galla solo tritume Giovanni Quaglia durante il recupero di di anfore. Lamboglia ne fu Albenga (da F. Serafini “Ponte di coconsapevole, per sua esplicita mando” (Mondovì, 2002). ammissione, e passò ad un sistema diretto di recupero con i palombari dell’Artiglio II e fra il 1957 e il 1961 iniziò ad effettuare il rilievo del relitto, il recupero di parte del carico (costituito da anfore vinarie Dressel 1, datate alla prima metà del I sec. a.C.), con un saggio di scavo che evidenziò il fasciame della nave. Si recuperarono anche sette elmi di bronzo pertinenti l’equipaggiamento di bordo in caso di attacco pirata. La nave romana era lunga 40 mt ca. e larga 10-12 mt ca., con una capacità di carico di circa 12/13000 anfore disposte in cinque strati sovrapposti, con una portata di 5/600 tonnellate. 34 La prima nave Artglio (da Serafini, op. cit.). Foto dell’albero della nave di Albenga (Forma Maris, op. cit.) 35 Capitolo 1 Tra il 1952 e il 1957 in Francia, sotto la direzione dell’archeologo Fernand Benoit in collaborazione con Cousteau, si scavò il relitto del Grand Congloué (Marsiglia). Lo scavo, come già per Lamboglia, comportò alcuni problemi per la gestione differenziata (superficie-fondale), anche sulla stessa datazione del relitto, riportata dal Benoit al 150/130 a.C. con la proposta di una sovrapposizione di più relitti. Intanto l’evoluzione e lo sviluppo delle tecniche di immersione portò alla scoperta di altri relitti sia sulla costa Provenzale che in Liguria, conducendo all’organizzazione di un primo convegno di archeologia subacquea a Cannes nel 1955. Qui si evidenziò sempre più la necessità di una pianificazione scientifica sia della ricerca che dell’intervento subacqueo. Nel 1957, data storica, si fondò ad Albenga il Centro Speri- 35 Baia 1959. Sommozzatore con la tavoletta da rilievo. 36 mentale di Archeologia Sottomarina (C.S.A.S.), promosso e diretto da Nino Lamboglia. Tale centro fu la spina dorsale di tutte le ricerche subacquee svolte successivamente in Italia, del cui interesse scientifico Lamboglia fu convinto sostenitore a dispetto di alcuni ambienti accademici. Su queste basi nel 1959 si iniziò lo scavo di un altro relitto di nave oneraria romana, datato al II sec. a.C., precisamente a Spargi, Sardegna settentrionale, dove per la prima volta si applicò la quadrettatura subacquea ad uno scavo sottomarino. Gianni Roghi, pietra miliare per la storia della subacquea, identificò il relitto su una secca a 17-18 mt, nel 1957. Il C.S.A.S. intraprese lo scavo fra il 1958 e 1959 avvalendosi del dragamine “Daino” della Marina Militare Italiana dotato di campana iperbarica sommersa. La nave romana, larga ca. 35 mt, per 8/11 mt 37 Capitolo 1 Gianni Roghi in tre momenti di lavoro sul relitto di Spargi. di larghezza, fu scavata parzialmente col recupero di parte del carico (circa 300 anfore vinarie Dressel 1 più altra ceramica e utensili vari come un’erma in marmo, una lucerna in bronzo e un elmo con all’interno ancora concrezionata parte della calotta cranica, sintomo di pirateria) e del fasciame con il rivestimento di lastre plumbee. Putroppo la divulgazione dei risultati portò al saccheggio quasi totale del relitto fra il 1960 e il 1964. Fu possibile documentare solo una piccola parte degli utensili, famoso rimane il candelabro bronzeo ritrovato nello studio di un avvocato del Nord-Italia. I giornali dell’epoca definirono il fenomeno come la “vergogna di Spargi”. Gli scavi ripresero nel 1976, ma a tutt’oggi non sono stati ancora completati. Al II convegno internazionale di archeologia sottomarina, tenutosi ad Albenga nel 1958, si decise la costituzione di un comitato permanente composto da francesi, spagnoli, italiani per la realizzazione e l’aggiornamento continuo di una carta archeologica del Mediterraneo occidentale, progetto ormai quasi fallito 38 1959-1960: Baia Negli anni 1959-60 il C.S.A.S. effettuò una delle prime operazioni storiche di rilevamento e scavo su strutture antiche sommerse. Fu scelto il sito della città romana sommersa di Baia, nel golfo di Pozzuoli (Napoli). Il sito era già noto per informazioni storiche provenienti da varie fonti, convalidate da notizie di pescatori locali e da foto aeree. L’operazione fu possibile grazie alla solita lungimiranza di Lamboglia, ma anche all’intelligenza dell’allora Soprintendente di Napoli Amedeo Maiuri. Baia 1960. Recupero della statua di Baios 39 Capitolo 1 Baia 1960. Rilievo delle strutture antistanti Punta Epitaffio effettuato da Nino Lamboglia. Egli capì che la comprensione di un territorio non si poteva fermare alla linea di battigia ma doveva proseguire sott’acqua con un serio programma scientifico di ricerca. Il lavoro cominciò con la quadrettatura su carta della zona compresa fra Pozzuoli e Baia, prevedendo la compilazione completa della carta archeologica dei fondali con la perlustrazione a tappeto di questi, nell’arco di costa suddetto. Ogni quadrato era di 500 mt di lato, suddiviso in 25 quadrati più piccoli di 100 mt. Si cominciò dal quadrato 5, corrispondente alla zona di Punta Epitaffio a Baia (dopo vent’anni la storia si ripeterà!). Il lavoro si dimostrò di estremo interesse: oltre ad una serie di ambienti si identificò un tracciato stradale basolato per una lunghezza di un centinaio di metri. Si affrontarono problemi inerenti il rile40 Rilievo originale di Lamboglia del 1959 nel quale, per la prima volta, è riportato il muro occidentale del ninfeo imperiale. vamento di strutture sommerse, coperte in gran parte da limo e vegetazione marina. Vicino vi era il porto, uno sfascio di navi (presente sino a pochi anni fa) e sulla zona gravava anche un impianto di coltivazione delle cozze. Come appoggio vi era la nave “Daino”, il lavoro in immersione fu svolto da militari, studenti di architettura e personale non specializzato. La profondità era di circa 6 mt ma le strutture si estendevano da Punta Epitaffio verso il largo per ca. 400 mt 41 Capitolo 1 Sommozzatore sul relitto di Capo Chelidonia (da G.F. Bass “Navi e civiltà – archeologia marina” (Milano, 1974). sino ad una profondità di 10-14 mt, ove vi erano una serie di pilae in calcestruzzo di epoca romana poste a protezione della costa. Oltre al rilievo si effettuò anche un saggio di scavo in un piccolo ambiente absidato, con la realizzazione di una sorbona ad aria compressa e l’uscita in superficie per la cernita dei materiali in cesti di rete metallica. Questo permise di datare l’abbandono degli edifici al III sec. d.C.. Valutata l’importanza del sito sommerso del golfo di Pozzuo42 Relitto di Yassi Ada II: Bass segna con puntine da disegno bianche gli spinotti di legno utilizzati per collegare le tavole fra loro (da Gianfrotta-Pomey “Archeologia subacquea” Milano, 1981). li, anche come campo scuola mondiale, alla chiusura dei lavori si decretò la nascita di una sezione del C.S.A.S. a Baia, con sede nel Castello Aragonese, alla presenza di Lamboglia, Maiuri, Attilio Stazio (ispettore archeologo) e due studenti di architettura. Alla morte di Maiuri, avvenuta pochi mesi dopo, il Centro si sciolse senza aver avuto la possibilità di operare per pastoie burocratiche ed accademiche. 43 Capitolo 1 Altra tappa fondamentale nella storia dell’archeologia subacquea fu lo scavo del relitto del XIII sec. a.C. di Capo Chelidonia (Turchia) e quello di Yassi Ada (fra la costa della Turchia e l’isola di Pserimo nel Dodecanneso). Il primo fu eseguito dall’Università di Pensylvania nel 1960, con a capo l’archeologo George F. Bass direttamente in immersione, su una nave dell’Età del Bronzo (1200 a.C.) carico di pani di rame e giacente ad una profondità di 26-28 mt. Nei resti di fasciame trovati, ben pochi a causa del fondale roccioso, si è riscontrata una tecnica già descritta da Omero (Odissea, V 234261, episodio della costruzione della barca di Odisseo). Il secondo relitto fu scavato sempre da Bass con la medesima Università nel 1964, a circa 30-36 mt di profondità e datato al 625 d.C. grazie al ritrovamento di una moneta dell’imperatore Eraclio (610-641) nel relitto. Dagli anni ‘70 al 2000 Da questo momento in poi le ricerche e le scoperte si sono susseguite sia in Italia che all’estero. In Italia negli anni ‘60/’70 si scoprono i relitti alle Eolie (una vera miniera) grazie a Roghi, Kapitan ed altri e a Giannutri, grazie ad Alessandro Olschy e Maurizio Sarra, nel 1962 si rinvenne il relitto di una nave oneraria romana del II a.C. a 35/40 mt di profondità. Alla fine degli anni ‘60 il Centro Sub Baia recuperò due statue sommerse di Ulisse e Baio. Negli anni ‘70 accadde la tragedia della Secca di Capistello (Eolie), su un relitto di una nave greca del IV sec. a.C. giacente su un fondale fra i 52 e 90 mt e che venne scavato poi grazie alla Sub Sea Oil Services, ditta specializzata in lavori a grosse profondità che utilizzò operatori con miscele, minisommergibile, campana batiscopica in immersione, telefoni e telecamere in immersione. 44 Baia, Punta Epitaffio: fase di recupero della statua di Dioniso (da AA.VV. “Il ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio”, Napoli, 1983). Si operò anche in Sicilia, a Pantelleria, dove fu recuperata una notevole quantità di anfore puniche provenienti da un relitto depredato; a Marsala l’archeologa inglese Honor Frost, recuperò parte di una nave punica nelle acque dello Stagnone; a Riace Marina Stefano Mariottini recuperò i famosi bronzi. In Francia si scavò il relitto di Cavalier, del Dramont A, della Madrague de Giens. In Italia si istituì il Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero dei Beni Culturali, con nuclei di pronto intervento nelle Soprintendenze con specchi d’acqua di pertinenza. Si sviluppò la ricerca nel lago di Bolsena, nel fiume Tevere, ad opera di Claudio Mocchegiani Carpano, già diretto45 Capitolo 1 re del Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea e nelle caverne sommerse. Gli anni ‘80-’90, grazie anche a scavi subacquei come quello del ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio (Baia) (1981’82), hanno visto l’archeologia subacquea come una disciplina ormai lanciata, soprattutto all’estero, con la fondazione di speciali istituti statali come in Francia, ancora in via di sviluppo, perfettaBaia 1982. Sommozzatore al lavoro con sorbo- mente adeguata ai na da 200 mm. (Foto Mario Rosiello, Centro Stu- nuovi sistemi di ricerca di Subacquei Napoli) scientifica e di lavoro in immersione. Alla fine degli anni ’90 si scoprì il vecchio bacino portuale del porto di Pisa con i resti di circa 10 navi romane. La ricerca subacquea in Italia, nel 2000, ha avuto una notevole spinta grazie al progetto del Ministero dei Beni Culturali “Archeomar”, una mappatura dei fondali italiani che ha portato alla scoperta di altri siti e relitti e che costituisce la base conoscitiva per gli organi di tutela. Per l’archeologia navale una scoperta importante si è avuta nel 2004 quando nell’antico bacino interrato del porto di Napoli, sono state individuate tre navi romane con parte del carico e 46 Napoli, area del Municipio: i relitti di tre imbarcazioni e i pali lignei del molo (da Forma Urbis, X, 7/8, 2005). del fasciame ancora in buono stato di conservazione. Fra il 2007 e il 2008 la Soprintendenza di Napoli ha condotto un progetto di scavo e rilevamento subacqueo della Via Herculanea, nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione del Parco Sommerso di Baia. 47 Capitolo 1 Bibliografia essenziale David Scott “Con i palombari dell’Artiglio” (Milano, 1931): storia della nave recuperi “Artiglio” e dei suoi uomini. David Scott “L’Artiglio e l’oro dell’”Egypt”“ (Verona, 1933; rist. Viareggio 1995): storia di uno dei più eccezionali recuperi effettuati dall’”Artiglio”. S. Micheli “L’Artiglio ha confessato” (Firenze, 1960, III ed.) Ufficio Storico Marina Militare “I Mezzi d’Assalto” vol. XIV (Roma, 1964). Desmond Young “I veri eroi degli abissi marini” (Milano, 1968): storia del lavoro subacqueo, con particolare riferimento ai palombari. Enciclopedia “Il Mare” (Novara, 1971) AA.VV. “Il libro del sub” (Milano, 1977): storia della subacquea, per avere una idea delle origini e della evoluzione delle attrezzature. P.A. Gianfrotta - P. Pomey “Archeologia subacquea” (Milano, 1981): storia, metodologie dell’archeologia subacquea, navi, materiali trasportati. La bibliografia è datata (buona soprattutto per i vecchi rinvenimenti), ma il libro è ancora valido. BAIA, Suppl. Bollettino d’Arte n. 4 – 1982, n. 29 – 1985, n. 37 – 38 1986: per un panorama completo dei rinvenimenti subacquei di quegli anni. Forma Maris Antiqui, XIII, 1982-1985 48 Guido Ucelli “Le navi di Nemi” (Milano, 1950 - Roma, 1983 rist.): storia della scoperta e dello scavo delle navi. AA.VV. “BAIA - Il Ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio” (Napoli, 1983): storia dello scavo, delle scoperte, analisi dei reperti e restauro. Claudio Mocchegiani Carpano “Archeologia subacquea – note di viaggio nell’Italia sommersa” (Roma, 1986): valido per comprendere le origini e i personaggi dell’archeologia subacquea in Italia, sino alla fondazione dello S.T.A.S. Faustolo Rambelli “Il palombaro sportivo” (Firenze, 1996): storia dei palombari. AA.VV. “Le navi antiche di Pisa” (Firenze, 2000): storia dello scavo e del restauro; buon apparato bibliografico. Gaetano ‘Ninì’ Cafiero “Luigi Ferraro – un italiano” (Formello, 2000) F. Avilia “Atlante delle navi greche e romane” (Formello, 2002). Le foto di Spargi con Gianni Roghi sono tratte dal sito www.gianniroghi.it 49 2. L’Archeologia Subacquea e la Legislazione sui Beni Culturali L’Unità d’Italia La salvaguardia dei Beni Culturali in Italia è storia abbastanza recente. Dall’Unità d’Italia sino al 1900 i provvedimenti legislativi servivano solo a tamponare e non a controllare in maniera organica il patrimonio storico-artistico come aveva già effettuato lo Stato Vaticano, sin dal sec. XVII, con provvedimenti che controllavano e regolamentavano scavi archeologici, oggetti d’arte ed esportazione dei medesimi. Il 1900 Una nuova legge a tutela dei Beni Culturali, n. 364, fu approvata il 20 giugno del 1909: lo Stato acquisiva un ampio controllo su tutto ciò che aveva valore storico-artistico, sulla sua mobilità, sul controllo delle collezioni private, sulla tutela e sul diritto di prelazione nelle compravendite di oggetti d’arte. In seguito furono emessi altri provvedimenti ad integrazione della legge precedente, tuttavia si dovrà attendere la cosiddetta riforma “Bottai”, Ministro dell’Educazione Nazionale fascista, che promosse e condusse a termine la costituzione di due leggi fondamentali: la Legge 1 giugno 1939, n. 1089 e la Legge 29 giugno 1939, n. 1497. La prima era per la tutela delle cose di interesse storico-artistico. La seconda per la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, il cosiddetto bello di natura. Queste leggi sono tutt’ora in vigore. 51 Capitolo 2 La Repubblica La Costituzione repubblicana rilanciò il tema dei Beni Culturali con l’articolo 9 della Costituzione: “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”. Tuttavia il periodo posto-bellico si concentrò sulle opere di ricostruzione e ricostituzione dell’apparato industriale e non considerò assolutamente questo articolo della Costituzione, permettendo scempi nel nome del più spregiudicato “progresso”. Solo negli anni ‘70 si attuerà una più seria disciplina di controllo e tutela, con l’istituzione del Ministero per i BB.CC.AA. distaccato dal Ministero per la Pubblica Istruzione. Questo avvenne nel 1974 con il governo Moro-La Malfa ad opera del Ministro Spadolini (D.L. 14 dicembre 1974, n. 675, convertito con modifiche mediante Legge 5/ 1975, pubblicato sulla G.U. il successivo 4 febbraio 1975). Le Soprintendenze Archeologiche e le Soprintendenze per i Beni Artistici, insieme ad altre Soprintendenze sono organi periferici del Ministero. Alla Soprintendenza Archeologica è affidata la cura dei beni archeologici e degli scavi. Fatta questa premessa, l’Archeologia Subacquea, branca dell’Archeologia, della quale è una tecnica particolare che ne permette l’estensione all’ambito marino, impatta con quello che è il diritto stesso e le leggi alle quali è sottoposto l’ambiente marino. Occorre premettere che l’Italia è forse uno dei pochi paesi dove è possibile comperare e adoperare un’attrezzatura subacquea senza brevetto, effettuare immersioni in un ambiente che è di competenza del demanio marittimo e rimuovere oggetti protetti dalle autorità competenti. L’acquisizione di un brevetto da immersione sportivo e la sua registrazione all’atto dell’acquisto dell’attrezzatura permetterebbe un controllo maggiore delle attività subacquee e anche una maggiore sicurezza per gli acquirenti. 52 Il caso di un ritrovamento fortuito sott’acqua risponde ad un doppio carattere di territorialità: l’ambiente e l’oggetto. Il rinvenimento di un reperto archeologico o di un sito sommerso (nave, porto, abitazione ecc.) ricade nella giurisprudenza corrente della legge 1089/1939, superata con il Decreto Legislativo 42 del 22 gennaio del 2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che tratta la disciplina dei ritrovamenti e delle scoperte. Infine la legge 157 del 23 ottobre del 2009 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. Si tenga presente che la legislazione vigente pone sotto la potestà esclusiva dello Stato la ricerca archeologica. È chiaro che quando si parla di “sottosuolo archeologico” ci si riferisce per estensione anche all’ambiente marino, lacustre e fluviale, sia come ricerca che come rinvenimento e acquisto in proprietà dello Stato. Quindi, come detto, per la ricerca sottomarina e le attività connesse si applicano le norme dell’art. 88 (Attività di Ricerca) del Testo Unico e della L. 157 ma nei limiti della territorialità delle acque. I relitti di navi antiche ricadono nel patrimonio archeologico, ma anche le navi “di Stato o da guerra” (Cavallo 2012, 75-76) ricadono negli “oggetti ascrivibili al patrimonio culturale subacqueo” come riportato nella Convenzione UNESCO del 2001 e recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 5, comma 2 della Legge n. 157 /2009. Lo Stato può anche imporre in aree di particolare interesse storico-archeologico vincoli ai sensi dell’artt. 1 e 3 della legge 1089/1939 e con Decreto Ministeriale del 12 luglio 1989 “Disposizioni per la tutela delle aree marine di interesse storico, artistico o archeologico”, come nel caso di siti sommersi (Baia ad esempio). Quindi l’immersione su un sito del genere comporta una particolare attenzione per non compromettere l’integrità dei manufatti e l’assoluto divieto di asportazione dei reperti mobili, oltre ad autorizzazioni specifiche all’immersione. 53 Capitolo 2 Identica situazione si verifica per le aree protette dal punto di vista naturalistico (come il parco subacqueo di Ustica) ove l’accesso è consentito a patto di non recare danno alla flora e alla fauna e in alcuni casi interdetta all’attività subacquea, pesca e transito (come la riserva naturale di Marzamemi). Tornando al rinvenimento fortuito durante un’immersione non finalizzata ad attività clandestina di recupero (reato punito), la legge 157 stabilisce (all’articolo 5) che lo scopritore deve effettuare entro tre giorni comunicazione all’Autorità marittima più vicina. L’art. 90 T.U. . identifica tale autorità nel Soprintendente, nel Sindaco o nelle autorità di Pubblica Sicurezza. Lo scopritore inoltre, al momento del rinvenimento, è custode “ex lege” dei reperti, è tenuto a non manometterli, lasciandoli sul posto e nelle stesse condizioni di rinvenimento. Nel caso di cose mobili (ad es. la classica anfora) di cui non si può assicurare la custodia, lo scopritore può rimuoverla, sino all’intervento della forza pubblica (art. 90 T.U.). In concreto, rinvenendo una o più anfore sott’acqua, il subacqueo dovrebbe posizionare la zona sulla carta nautica o triangolare dei punti a terra e riportare la scoperta all’autorità competente via radio o di persona. Tuttavia l’incertezza di ritrovare i reperti a volte comporta l’esigenza, seppure come ultima possibilità, di recuperare il reperto per metterlo in sicurezza. In tal caso conviene avvertire appena possibile via radio l’autorità o in mancanza di sistemi di comunicazione, portare immediatamente il reperto alla forza pubblica (Guardia di Finanza, Guardia Costiera, Polizia, Carabinieri). È sconsigliabile invece segnalare il punto con boe di superficie, in caso di abbandono temporaneo del sito, onde evitare l’arrivo di presenze estranee. Lo scopritore fortuito di beni archeologici per legge ha diritto a un premio di rinvenimento. Questo è determinato dallo Sta54 to in un ammontare non superiore al quarto del valore della cosa stessa (art. 92 T.U.). Chi omette la denuncia del rinvenimento e non consegna i reperti, non ha diritto al premio, incorrendo però nei rigori della legge. Sanzioni (art. 10, legge 157): omessa denuncia, arresto sino ad un anno e pagamento di un’ammenda da 300 a 3.090 ⇔; denuncia dopo i tre giorni sanzione pecuniaria da 250 a 2.500 ⇔; introduzione o commercio di beni del patrimonio subacqueo recuperati illecitamente, arresto sino a due anni e e multa da 50 a 500 ⇔con sequestro dei beni e degli strumenti (compreso imbarcazione e attrezzature subacquee) utilizzate per il recupero e l’esportazione. Tali norme subiscono variazioni o sostituzioni nell’applicazione dalle norme concernenti il Codice della Navigazione (artt. 510, 511, 993 e seguenti sul ritrovamento dei relitti in mare sia navi che aeromobili; 1146 appropriazione indebita di relitti). Quanto invece concernente la truffa, l’appropriazione indebita, acquisto di cose di sospetta provenienza, ricettazione (sempre nella visione di beni provenienti illecitamente dai fondali) ricadono rispettivamente sotto gli artt.640, 646, 712, 648 del codice penale. Inutile dire che ben più gravi pene subisce chi recupera esplosivi o armi (L. 895/67 e succ. mod.). Il premio può essere assegnato sia in denaro sia in natura, cioè parte degli oggetti rinvenuti, se lo scopritore acconsente, ed è questo uno dei pochi casi in cui il privato cittadino può divenire legittimo proprietario di cose di interesse archeologico (sottoposte però sempre al diritto di prelazione ed obbligo di comunicazione allo Stato in caso di vendita, trasferimento all’estero, eredità ecc.). Il 2 novembre del 2001 a Parigi, la Convenzione dell’UNESCO, nell’appendice sulle regole concernenti il parimonio culturale subacqueo, ha stabilito principi e regole di applicazione sugli interventi sul patrimonio sommerso. 55 Capitolo 2 Bibliografia essenziale L. Migliorino “Il recupero degli oggetti storici ed archeologici sommersi nel diritto internazionale”(Milano, 1984) T. Alibrandi - P.G. Ferri “Il diritto dei Beni Culturali” (Roma, 1997, 5 ed.) L. Cavallo “Le leggi della subacquea” (Roma, 2012) di fondamentale importanza per districarsi e non incorrere nei rigori di legge. 56 3. L’approccio Territoriale L’archeologia presuppone che per qualsiasi approccio o studio territoriale si debba effettuare una ricognizione preliminare. Tale ricognizione è finalizzata alla individuazione di eventuali presenze archeologiche che possono influire su qualsiasi opera da effettuarsi nell’area indagata (es. piani di zona, impianti portuali, dragaggi ecc.) o acquisiti semplicemente come dati conoscitivi finalizzati ad uno studio territoriale (es. carta archeologica). Estendendo il concetto di territorio, come è giusto, alla linea di costa e ancor di più ai fondali marini, tutto ciò che si applica alla ricognizione terrestre si applica a quella costiera e sottomarina, intendendo per costiera la fascia di battigia, per sottomarina o subacquea sino ai limiti delle attuali possibilità di immersione (umana o con batiscafi) nelle acque territoriali. Tutto ciò che si rinviene in acque internazionali, a meno che non si parli di navi moderne sulle quali può esservi il diritto di recupero con tutto ciò che consegue sulle competenze dei proprietari (se conosciuti o ancora in vita), sia per leggi internazionali che per comune buonsenso deve essere recuperato e studiato con il concorso dei paesi che si affacciano su quella zona o ne sono interessati. La guerra di “corsa” o per meglio dire la “patente” di corsaro è roba di altri tempi. Tornando alla ricognizione è evidente che ciò che cambia in mare è la modalità e gli strumenti, gli aspetti topografico-geografici (profondità, maree, correnti superficiali e al fondale, venti, geologia delle coste ecc.). 57 Capitolo 3 Una ricognizione costiera o subacquea a fini archeologici presuppone la stessa base di studi che si applica sulla terraferma: fonti storico-letterarie, storia degli studi sull’area, fotografia (aerea e non) e cartografia sia passata che recente, con l’aggiunta di portolani e carte nautiche (sia antiche che moderne), tavole delle maree, delle correnti e dei venti prevalenti. Inoltre l’impostazione della ricognizione subacquea può variare a seconda che si esegua su un sito noto (ad es. baia di Naxos) o su un sito ex novo ove si hanno solo vaghe notizie di recuperi, come può essere un sito costiero sprofondato per fenomeni bradisismici o un relitto. La ricognizione può essere propedeutica ad uno scavo ma può anche esistere come fase conoscitiva di un più ampio studio su un tratto di costa. Fatta questa premessa si illustreranno le varie fasi in cui si sviluppa una ricognizione sino a giungere alla fasi di scavo e recupero. Si illustreranno anche ricognizioni in ambienti particolari. Si tenga ben presente però che ogni operazione in mare impatta nell’area demaniale e nelle competenze della locale Soprintendenza Archeologica: per ambedue si dovranno ottenere le adeguate autorizzazioni con le relative supervisioni (sempre che non sia la Soprintendenza stessa a promuovere le indagini). 3.1 La ricognizione: studi preliminari Questa operazione può essere eseguita da un singolo o da un gruppo di lavoro. Nel secondo caso vi deve essere un coordinatore archeologo subacqueo sia per questa fase che per le successive operazioni in mare. È indispensabile che la persona sia la medesima in ambedue le fasi per evitare scollamenti fra finalità della ricerca preliminare e fase operativa in cui il coordinatore scientifico sarà coadiuvato da un assistente tecnico. Ambedue debbono essere di comprovata esperienza nel loro 58 specifico settore, senza sovrapposizione di ruoli. Il coordinatore deve inoltre fungere da interfaccia con l’Ente appaltante la ricerca e con la relativa Soprintendenza Archeologica, e deve stendere la relazione finale della fase di ricerca: cosa delicata e di estrema importanza in quanto dagli studi preliminari si potrebbe anche evincere che è completamente inutile indagare una determinata area con risparmio economico e di tempo da poter dedicare eventualmente ad altre aree. Bisogna sempre tener presente, nell’impostare una ricerca, che questa si può concludere anche in fase preliminare: ad es. dagli studi si può evincere che l’area interessata si rivela completamente insabbiata sotto la foce di un fiume, completamente obliterata da una struttura portuale o dall’erosione o avanzamento della linea di costa, insediamenti antropici che hanno completamente sconvolto il paesaggio costiero. In pratica eventi che danno indizi sicuri di una totale assenza di presenze archeologiche. Un altro caso di sospensione delle ricerche in questa fase è la eccessiva pericolosità del sito da indagare: profondià eccessiva, capi, promontori, foci, zone portuali o industriali ovvero aree con problemi dovuti a immersione eccessivamente rischiosa, correnti, traffico marittimo o inquinamento che comporterebbero rischi elevati, costi eccessivi e risultati incerti. Le operazioni in questo caso devono essere effettuate solo nella certezza di risultati scientifici apprezzabili e con strumentazioni idonee al caso. Il dilettantismo, l’improvvisazione o peggio la cosiddetta curiosità scientifica a tutti costi (visto che i soldi ci sono… mi hanno detto che lì c’è qualcosa…) porta a disastri irreparabili (vedasi il relitto della Secca di Capistello). Bisogna quindi valutare in questa fase ed eventualmente nella successiva della ricognizione “asciutta” (cioè la presa visione dall’esterno dei luoghi) la fattibilità e il grado di valore scientifico del progetto: altrimenti è meglio rinunciare. La rinuncia ad un progetto deve verificarsi anche quando i finanziamenti sono tali da non poter garantire l’operatività in ma59 Capitolo 3 re in totale sicurezza per i subacquei. La ricerca preliminare dovrà effettuare lo spoglio di tutti i dati concernenti l’area: 1 – Bibliografici: fonti storico-letterarie antiche e moderne. 2 – Cartografici: cartografie antiche e moderne inerenti il tratto o i tratti di costa per evidenziare l’evoluzione morfologica, fiumi, strade, sentieri, approdi, porti, insediamenti ecc. 3 – Fotografici: repertori fotografici sia di archivi storici nazionali che privati (soprattutto se locali), foto aeree sia militari che civili. 4 – Carte nautiche: antiche per eventuali approdi, porti, variazioni della linea di costa, segnalazione di strutture sommerse o relitti; moderne per le batimetrie e lo stato dei fondali e dei luoghi per programmare la ricognizione. 5 – Venti: esame dei venti prevalenti per comprendere sia lo stato attuale dei luoghi ai fini della ricognizione ma anche per comprendere come poteva avvenire in antico l’avvicinamento e l’atterraggio di un vascello. 6 – Correnti: sia superficiali che di fondo, sia per lo studio della navigazione e dei porti in antico che per programmare la ricognizione. 7 – Portolani: antichi sulle condizioni passate della costa, approdi, foci di fiumi come scali, fonti d’acqua, merci imbarcate o scaricate; moderni per conoscere pericoli e possibilità che offre un posto per programmare la ricognizione (porti, acqua, corrente elettrica, scivoli per le imbarcazioni, ecc.). 60 8 – Testimoniali di naufragio: importanti per l’età moderna per individuare le rotte di transito, materiali imbarcati e punti di naufragio. 9 – Informazioni sul posto: è fondamentale contattare le persone del posto in esame (pescatori, cultori delle tradizioni locali, direttori musei civici ecc.) soprattutto con l’indicazione dell’ispettore di zona della competente Soprintendenza, per avere notizie utili alla ricerca. 3.2 La logistica Accertata l’importanza scientifica del sito e di dover effettuare una ricognizione preliminare, l’impianto di un cantiere subacqueo comporta tutta una serie di operazioni preliminari finalizzate sia alla sicurezza degli operatori in immersione che agli assistenti ma soprattutto a non interferire nelle attività marinare della zona. Ciò permette una tranquillità operativa, quindi una qualità superiore del lavoro che porta ad una buona riuscita del progetto di ricerca. I dati da analizzare saranno: 1 – Tipo di sito o area: conoscenza e ricognizione preliminare dalla costa e/o dal mare con copertura cartografica e fotografica. Contatti con Capitanerie di Porto per autorizzazioni e ordinanze (da assicurarsi che siano emesse prima delle operazioni), Camera Iperbarica civile o della Marina Militare (telefono, disponibilità di posti, orari), Ospedale o Pronto Soccorso, uffici di Soprintendenza archeologica. Può essere utile contattare anche Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza che potrebbero collaborare fattivamente alle operazioni. ASL per consegna piano di sicurezza e vidimazione del re- 61 Capitolo 3 gistro infortuni: una copia del primo e del secondo dovranno essere sempre presenti sul cantiere, insieme ai certificati medici degli operatori che li abilitano alla attività subacquea per fini lavorativi. 2 – Fondale e pericoli: tipo di fondale e conseguentemente attrezzature adeguate; per i pericoli informarsi se è stata effettuata la bonifica da ordigni bellici, sulla presenza di eventuali scarichi o prese in acqua, correnti. 3 – Mezzi: di appoggio a terra (furgoni o pickup con gruetta, auto per spostamenti veloci); in mare con imbarcazioni da portare o da affittare sul posto, tipi di imbarcazioni più adatte; strumentazioni per le immersioni e per il rilievo diretto e indiretto. 4 – Cantieristica: possibilità di avere in porto un’area riservata dalla Capitaneria per lo stazionamento dei mezzi con vicino lo scivolo d’alaggio e la gruetta, acqua potabile, corrente elettrica. Informarsi della possibilità in zona per i pezzi di ricambio per mezzi (nautici e non) e le strumentazioni: in ogni caso dotarsi sempre di un furgone officina per prime riparazioni e con i ricambi di prima emergenza e cassetta per il pronto soccorso. 5 – Soggiorno: alloggio per la squadra che sia confortevole ma non distante dal cantiere per evitare stress agli operatori con spostamenti lunghi Tutta questa organizzazione presuppone finanziamenti, tempi lunghi per costituire la squadra e i mezzi e soprattutto che sia finalizzata ad una ricerca meditata, particolarmente se si svolge oltre la batimetria dei 10 mt. Nell’eventualità invece di una ricognizione breve (1/3 gg) e 62 su fondali entro i 10 mt, pur mantenendo la ricerca preliminare, il punto 1 rimane imprescindibile ad esclusione del piano di sicurezza e del registro infortuni in quanto non si imposta un vero e proprio cantiere. Ciò soprattutto se l’immersione viene effettuata con l’appoggio di mezzi nautici di Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Guardia Costiera ed in prima persona dal coordinatore (che nel caso specifico potrebbe essere coordinatore di se stesso) con adeguata copertura assicurativa. Già in questa fase deve essere redatto un accurato giornale delle operazioni, ove siano annotate anche cose che al momento sembrano insignificanti (ad es.difetto momentaneo di un erogatore poi riparato, lieve malore di un componente con nessuna conseguenza al momento ecc.), i problemi che potrebbero risultare utili nell’anamnesi di un eventuale incidente. Annotare anche le visite, allegare foto della zona, schemi, schizzi, planimetrie e, nel caso la figura dovesse esistere nell’organigramma, il diario giornaliero deve essere controfirmato dall’assistente tecnico del gruppo di lavoro oltre che dal coordinatore. 3.3 La ricognizione Completata la fase preliminare-organizzativa, si può effettuare la ricognizione vera e propria. 3.3.1. Profondità La profondità alle quali si effettua la ricognizione è uno degli elementi determinanti per organizzare la squadra di immersione, di assistenza e la stessa metodologia di ricognizione (vedi 3.3.2). In ogni caso si utilizzeranno tabelle di immersione U.S. NAVY nella edizione aggiornata del 2008. Batimetria da 0 a 10: questa fascia ha sempre e comunque un limite di permanenza al fondale (controllare sempre con precisione la batimetria). La squadra sarà composta da due subacquei 63 Capitolo 3 in immersione e due di assistenza (con muta e pinne indossate, e con bombola, maschera e piombi pronti all’utilizzo, che potrà essere la successiva squadra di immersione) in barca o nel mezzo di appoggio. Si può utilizzare la attrezzatura SCUBA (o muta stagna, a discrezione dell’operatore) o l’ombelicale con mascherone e interfono, con imbracatura e cima di sicurezza. In quest’ultima eventualità l’utilizzo del subacqueo di assistenza non è necessario ma consigliabile. Se si adopera l’attrezzatura SCUBA è obbligatorio il pallone segnasub. L’uso dell’ombelicale è consigliato a persone esperte (soprattutto se associato alla muta stagna) e per operazioni particolari ed in acque torbide. I mezzi di assistenza in superficie saranno sempre due: la base appoggio ed il mezzo veloce di emergenza sempre pronto all’uso ed adoperato esclusivamente per questo scopo. Tutte le imbarcazioni dovranno avere il segnale internazionale ALFA di “subacqueo in immersione” e saranno munite di radio, dotazioni di sicurezza (dai giubbotti salvagenti alla sassola ovvero pompa per sgottare l’acqua), cassetta di pronto soccorso ed estintori: tali dotazioni sono obbligatori per legge. IMPORTANTE: per ogni subacqueo vi deve essere sempre uno di assistenza in superficie. Mai dovrà capitare di avere subacquei in immersione in soprannumero rispetto all’assistenza. Nel caso di coppia di subacquei in immersione vi potrà essere anche uno di assistenza anche se è consigliabile quanto detto prima. A bordo, oltre al conduttore del mezzo nautico, vi dovranno essere altri due membri della squadra (anche subacquei non impegnati in quel momento) che saranno utili per la vestizione e il recupero delle attrezzature. Il mezzo di emergenza avrà un conduttore proprio non impegnato in altre operazioni in quanto, in caso di emergenza, questo mezzo potrà agire indipendentemente senza attendere il recupero dell’altro subacqueo affidato al mezzo di appoggio. A bordo vi sarà sempre una valigetta per il pronto soccorso 64 e la bombola di ossigeno con relative maschere. La squadra emersa verrà utilizzata come squadra di supporto e non di emergenza, sia per motivi di stanchezza fisica che per evitare ulteriori immersioni. Segnale internazionale ALFA (la parte in grigio corrisponde al blu). Batimetria da 11 a 40: a tali profondità è obbligatoria la presenza di un medico a bordo, possibilmente specializzato in medicina subacquea e la possibile assistenza di una camera iperbarica (già allertata). Ben accetto sarà l’appoggio di mezzi nautici di Forze dell’Ordine (Carabinieri, ecc) soprattutto in caso di emergenza. Ora più che mai a queste profondità la collaborazione fra vari Enti sarà richiesta e gradita, senza mai opporre rifiuti a cortesi collaborazioni. A tali batimetrie, soprattutto se si è lontani dalla costa diviene indispensabile il mezzo di soccorso veloce. 65 Capitolo 3 In caso di decompressione dovrà essere posto in acqua il trapezio con bombole di emergenza (per lo SCUBA) alle relative tappe, in tal caso si dovrà posizionare una cima guida per un ritorno sicuro attraverso le varie tappe di decompressione. Sarebbe consigliabile per semplificare le operazioni e renderle meno rischiose, proprio per la caratteristica stessa della ricognizione che non prevede stanzialità sul fondo, di adoperare più operatori a turno. Si intende che in tal caso scattano eventualmente i tempi di accumulo di azoto per immersioni ripetitive (anche se non nello stesso giorno) con eventuali giorni di sospensione delle attività in immersione. A tali profondità la squadra emersa non potrà essere utilizzata come assistenza altrimenti un’immersione per emergenza potrebbe far incorrere in fenomeni di accumuli di azoto con l’insorgenza di episodi embolici. La squadra verrà portata in luogo consono per riposarsi o effettuare solo lavorazioni leggere. 3.3.2 Sistemi di ricognizione I sistemi per ricognire il fondale marino dipendono dalla tipologia del medesimo e dalla profondità. Gli esempi riportati saranno sempre considerati “no decompressione”; ad ogni conclusione di una fase ricognitiva da parte di una squadra si dovrà lasciare un segnale che indichi alla squadra successiva il punto ove ripartire. Chiaramente sulla barca vi sarà lo scambio immediato di informazioni fra le due squadre mentre il rapporto al coordinatore avverrà solo dopo che gli operatori si saranno cambiati e rifocillati. Gli operatori relazioneranno in maniera chiara e dettagliata sulle operazioni da loro effettuate, per iscritto e controfirmando la relazione su moduli predisposti. 66 Edifici Linea di costa N W S E Sub Barca appoggio Boa delimitazione area Bussola. La freccia larga indica il percorso. La stella il punto da collimare per l’orientamento di partenza. 67 Capitolo 3 Scheda riassuntiva dell’immersione (da Manuale di immersione U.S. Navy Diving Manual (Trieste, 1998) 68 Ricordare: gli operatori si assumono la responsabilità di quanto messo per iscritto. Altro elemento che influisce sulla ricognizione è il tipo di ricerca. Anche se sembrerà strano, l’impostazione della ricerca determina poi i sistemi. Se la ricognzione si basa su dati sporadici poco chiari, al di là del fondale si cercherà di impostare una ricerca approfondita con sistemi che battano a tappeto l’area. Mentre nel caso di un’area ben conosciuta, si tratterà solo di delimitare l’area e la ricerca si limiterà a questa funzione. Traversino. Il campo sarà installato prima delle operazioni a delimitare, in maniera sicura, l’area delle operazioni. Sarà segnalato ai vertici da boe biconiche di colore arancione o galleggianti adeguati con bandiera rossa, trattenuti al fondo da corpo morto o ancorotto. Le due boe poste su uno stesso lato convenzionale saranno collegate al fondo da cima avente segnate le distanze in metri: tornerà utile per la ricognizione. I due sub partiranno da fronti opposti e copriranno le aree adiacenti. Giunti al capo op- Traversino. I due sub A e B si spostano in senso contrario l’uno all’altro. A’ e B’ indicano lo spostamento successivo. La distanza è determinata dalla visibilità orizzontale. 69 Capitolo 3 posto, dopo apposito segnale (strattoni), si sposterà il traversino dei metri concordati. Maggiore è la visibilità orizzontale, maggiore sarà lo spostamento del traversino. Le strisciate avverranno per ribaltamento progressivo delle posizioni dei sommozzatori una volta giunti alla cima di fondo che collega le boe segnalanti un lato del campo. Il campo sarà lasciato per tutto il tempo delle operazioni. La notte sarà segnalato da luci rosse oppure tolte le boe ovvero i galleggianti, si lasceranno piccoli galleggianti di segnalazione che non dovranno però intralciare il traffico marittimo: mai lasciare galleggianti semisommersi. In ogni caso l’area dovrà corrispondere sia come coordinate che come pianta a quella consegnata in Capitaneria. La precisione è importante per l’emissione di ordinanza di interdizione al traffico e alla pesca. Fondale roccioso livellato con ostacoli: il sistema con il traversino o in coppia con cima di collegamento può comportare delle difficoltà per cui, visibilità permettendo, è consigliato l’uso della bussola. Alla riunione pre-immersione si darà la direzione di marcia ai sommozzatori e il periodo di immersione (se con decompressione) e la distanza alla quale si dovranno attenere l’uno dall’altro. Tale distanza sarà decisa dal coordinatore (previa immersione preliminare) sulla base della visibilità al fondale ma mai inferiore ai 5/7 mt. L’orientamento sarà tenuto da uno dei due operatori in immersione, deciso preventivamente in superficie. Ambedue i sub saranno dotati di bussola, pallone segnasub e sistema acustico di segnalazione subacquea. Il coordinatore, presente l’assistente tecnico e i sub di emergenza, dovrà accertarsi che gli operatori abbiano ben chiaro il compito da svolgere dichiarandolo contestualmente: questo eviterà eventuali “ripensamenti” successivi o “non era stato detto” o “era poco chiaro”. Una volta accettato l’incarico deve essere eseguito come stabilito, con le idee ben chiare: i dubbi vanno chiariti prima. 70 boa boa Barca da lavoro Barca appoggio Barca veloce Pallone segnasub boa boa Schema campo operativo: la barca appoggio e l’imbarcazione veloce saranno ad una distanza massima di 20 metri dall’area di lavoro, sia per un pronto intervento in caso di emergenza che per evitare affaticamento nei sub. La barca da lavoro sarà distante dalla barca appoggio per evitare inquinamento acustico e da gas di scarico dei macchinari. Ogni sub deve essere indicato in superficie da un pallone segnasub. Lo stand-by (in grigio chiaro sulla barca appoggio) sarà vestito solo della muta e con le attrezzature pronte. Ricordare: ogni subacqueo è tenuto a controllare sempre il proprio compagno di coppia, in caso di pericolo o emergenza l’immersione abortirà per ambedue i subacquei. Fondale sabbioso/ghiaioso piano: si può installare il traversino che facilita e consente una ricognizione sistematica. Si basa sull’andirivieni di due subacquei che partono dai due lati contrapposti del campo comprendo così due fasce di fondale. Giunti alle posizioni di arrivo, ogni sub, per accordi precedenti, sposta il traversino di tot metri sulla cima graduata, coprendo così tutta l’area. 71 Capitolo 3 Fondale roccioso/sabbioso a scarpata: le prescrizioni rimangono le medesime solo che: nel caso di immersioni ‘no decompressione’ si cominceranno le strisciate dalla quota più profonda dell’area a risalire; nel caso di immersioni con ‘decompressione’ si delimiterà precisamente l’area e i tempi di immersione. I subacquei si manterranno imprescindibilmente alla stessa quota. Ricordare: non sono ammesse deroghe ai tempi e alle modalità prescritte in superficie, qualsiasi novità e/o variazione sarà segnalata poi sul rapporto. La segnalazione di un reperto o punto particolare avverrà tramite piccolo galleggiante collegato ad una cimetta, dei quali saranno dotati i sommozzatori, che l’operatore lascerà andare alla superficie previo zavorramento o collegamento al fondale. La fase ricognitiva si chiude con la realizzazione di una attenta mappatura (in scala adeguata alla carta batimetrica utilizzata) della zona ricognita, segnando l’area indagata e gli eventuali areali di reperti rinvenuti, supportata da una adeguata documentazione fotografica, filmata e eventualmente da strisciate con il sonar. Tutto ciò confluirà in una relazione, quanto più oggettiva possibile, comprensiva dell’analisi storica, dei dati scaturiti dalle immersioni e dal diario delle attività. Relazione che sarà la base per l’eventuale fase successiva: lo scavo. 72 Emergenza La barca appoggio avrà tutte le dotazioni di sicurezza previste per immersione in acque basse (senza tappa di decompressione). Avrà inoltre bombola di ossigeno e relative maschere. Sulla barca appoggio ci sarà un responsabile (stand-by) pronto ad intervenire (indosserà l'attrezzatura completa) e altro responsabile e/o sub del gruppo che gli farà da supporto nella vestizione.Il sub addetto allo stand-by non sarà utilizzato per altre mansioni. In caso di incidente l’immersione abortisce. Tutti i sub risalgono sulla barca appoggio, mentre la barca veloce si dirige verso l’approdo con l’infortunato e il sub stand-by avvisando nel frattempo il 118. Non si effettuerà alcuna manovra medica se non la somministrazione di ossigeno da addetto con brevetto. 73 4. Tecnica e Sicurezza dell’Immersione a cura di Sabrina Le tabelle per compressioni (immersioni) con aria elaborate dalla US NAVY, sono le più diffuse ed impiegate, in forma costante ed ufficiale, nell'ambito del lavoro subacqueo svolto nella stragrande maggioranza delle aree geografiche del mondo. Tali tabelle sono costituite da: 1. Air Decompression Tables (decompression stops) – Tabelle di decompressione con aria; 2. No Decompression Limits and Repetitive Group Designation for No-Decompression Air Dives – (Limiti di No Decompressione e Designazione del Gruppo di Ripetizione per immersioni in aria senza decompressione); 3. Repetitive Group at Begin- Conte ning/End at Surface Interval; (Gruppo di Ripetizione all'Inizio/Fine dell'Intervallo di Superficie); 4. Residual Nitrogen Times (Tempi di Azoto Residuo – TAR). Esse sono, dopo anni di sperimentazione scientifica, le più elaborate e attentamente vagliate al mondo, con la più vasta casistica di impiego da parte dell'imprenditoria di settore, pubblica e privata, nazionale ed internazionale. Fin dal 1956/57 USN Diving Manual "Air Tables" prevedeva programmi di decompressione per immersioni con aria. Tali tabelle,rese note dalla US NAVY nel 1958, rimarranno invariate fino al 1995. Nell'edizione 1995 vi furono 75 Capitolo 4 importanti incrementi batimetrici, nella sola tabella Residual Nitrogen Times (Tempi Azoto Residuo – TAR). Dal 1958 (prima edizione US NAVY) al 1995 sono trascorsi ben 37 anni di sperimentazione prima di poter disporre della Tabella del TAR dalla batimetria di -3, invece che da -12. Nel 2008, dopo ulteriori 13 anni (1995/2008) è uscita una nuova edizione delle Tabelle US NAVY, riviste, corrette ed aggiornate dopo annosa sperimentazione scientifica. In tale ultima edizione vi sono state delle profonde, radicali e sostanziali modifiche prevenzionali antinfortunistiche. Di seguito,elenchiamo ed analizziamo le principali modifiche apportate: • fin dal 1956/57 l’ultima T/Des (Tappa di Desaturazione) tabellare era alla batimetria di -3. Nel 2008, ben 50 anni dopo, è stata portata a -6. Ciò evidenzia la necessità di un valore pressorio maggiore per 76 poter liberare,in modo più graduale e non massivo, la Q x N2 (quantità x di azoto) residuata nell’OU; • i valori temporali delle T/Des sono stati aumentati; per esempio, per una compressione a -18/70' era previsto un obbligo di T/Des (tappa di desaturazione) alla batimetria di -3 in cui bisognava sostare per 2 minuti per eliminare l'N2 assorbito durante l'immersione. Al termine di tale Tappa di Desaturazione il subacqueo poteva ritornare alla superficie, pur se ancora con una quantità di azoto residuata nell'O.U. (Organismo Umano) in forma maggiore di quella fisiologicamente esistente a pressione normobarica. La quantità di N2 residuata era evidenziata in apposita Tabella che riportava un riferimento GR* K. Per l'effettuazione della medesima immersione (-18/70') la T/Des fornitaci nell'ultima edizione è diventata -6/7’ GR L. Come si evince, non solo è aumentato il tempo di T/Des, ma anche del GR. • Il valore batimetrico e temporale minimo per compressioni con obbligo tabellare di T/Des, rispetto alla versione precedente che era di -12/210' è stato modificato in -9/380’. _________________ * Il GR (Gruppo di Ripetizione) indica, simbolicamente, i gruppi di tessuti dell'OU (Organismo Umano) che, al rientro a pressione normobarica, al termine di una qualsiasi immersione e del relativo andamento desaturatorio – abbia o non comportato obbligo tabellare di T/Des – devono liberarsi dall’N2 accumulato nei tessuti stessi in quantità maggiore di quella fisiologicamente esistente. La quantità di N2 (Q x N2) accumulata nei vari gruppi di tessuti avviene, infatti, non solo in funzione della PA (Pressione Assoluta) e del tempo trascorso in immersione, ma anche della temperatura e delle alterazioni di ritmo e volume ventilatorio, da qualunque motivo scatenanti. È facilmente deducibile che un subacqueo, in una qualsiasi immersione, per qualsivoglia motivo, alteri ritmo e volume di aria ventilata, a parità di tempo e di batimetria (profondità), questi accumulerà una quantità maggiore di azoto di cui dovrà tener conto per una corretta desaturazione. Essi vanno dalla lettera A alla lettera Z e la quantità di N2 che indicano essere ancora disciolta nell’OU è in forma progressivamente maggiore. In altri termini possiamo dire che il valore simbolico dei GR è direttamente proporzionale alla quantità d’azoto residuata nell'organismo, dalla compressione effettuata. Il CIS* (Credito Intervallare di Superficie), è il tempo trascorso a pressione normobarica tra una immersione e l'altra, ed ha un valore temporale massimo, non più di 12 ore, bensì di 15h 50'. __________________ *Il CIS considera l’arco di tempo, in ore e minuti, che intercorre tra la fine di una compressione, cioè l’inizio della permanenza a pressione normobarica e l’inizio di una nuova compressione. Il CIS preve77 Capitolo 4 de un arco di tempo che va da 10’ a 15h50’ e riporta le lettere dei vari GR sia all’inizio (GR d’entrata) che al termine (GR d’uscita) del tempo trascorso a pressione normobarica che è, appunto, l’intervallo di superficie. In sostanza, per effettuare una nuova immersione, nell'ambito massimo di 15 ore e 50, occorrerà conoscere la quantità di N2 residuata nell’O.U. durante il tempo trascorso in superficie tra un'immersione e un'altra, consultando correttamente la tabella. Per quanto sopra illustrato, si può affermare che: • ogni compressione effettuata, anche a batimetrie minime e/o per tempi brevi, comporta SEMPRE l'assunzione e l’accumulo di una Q x N2, che si va ad aggiungere a quella fisiologicamente disciolta nell'OU a pressione normobarica; • da una qualsiasi immersione effettuata, ripetiamo, anche a batimetrie minime e/o per tempi brevi si rientra SEMPRE a pressione normobarica 78 con una Q x N2 maggiore di quella fisiologicamente disciolta nell’OU; • l'azoto che si è accumulato nell'OU durante una qualsiasi immersione deve essere sempre eliminato in forma regolare, cioè con il rispetto di tutto quanto fisiologicamente è relativo alla desaturazione dell'azoto, secondo ben chiari criteri applicativi di IGIENE e SICUREZZA. Certo non sempre e necessariamente il non scrupoloso rispetto dei criteri di Igiene e Sicurezza sono causa di infortuni embolici più o meno gravi, ma non tenere in debito conto quanto fin qui illustrato, può comportare l'instaurarsi di condizioni fisiologiche che possono, poi, facilitare l'insorgenza, in qualsiasi momento e dopo una qualsiasi immersione, di eventi patologici, anche di estrema gravità. Analoga considerazione va posta nei confronti di quanti, impropriamente, definiscono le Tabelle US Navy vetuste e/o obsolete intendendo, con tale definizione, non aggiornate ai tempi moderni, cioè, superate. Considerando le molteplici esperienze pratiche di applicazione svolte da un Ente pubblico quale è la Marina Militare, che deve garantire, comunque e sempre, la tutela della salute dei suoi “lavoratori” subacquei, è assai più verosimile che per vecchie ed obsolete tali tabelle, invece, vadano inquadrate tra quelle di maggiore sicurezza rispetto ad altre tabelle in commercio che non dimostrino medesimo, annoso curriculum sperimentale. Spesso, purtroppo molto più spesso di quanto non si creda, si è convinti di aver rispettato tutto mentre di fatto non è stato così. Oppure, come avviene nella assoluta maggioranza dei casi, si è propensi a credere che piccole differenze di batimetria e/o di tempo rispetto ai valori che ci forniscono le tabelle – la non ben calcolata azione degli elementi variabili e/o gli effetti derivanti dal- l'alterazione di ritmo e volume di aria ventilata,etc. – possano essere tranquillamente ignorate o disattese. Ma non è così, perché l'OU registra, automaticamente ed esattamente sotto tutti i profili, ogni effettiva conseguenza, anche di piccola entità, derivante comunque, dall’essere in stato iperbarico “bagnato” (wet). Dobbiamo inoltre considerare che le attività subacquee, a qualsiasi fine svolte, trovano estrinsecazione in tutte le aree geografiche del mondo che hanno, come ben noto, caratteristiche ambientali, meteorologiche, etc., diverse tra loro, così come sono parimenti diverse tra loro le molteplici esigenze operative da soddisfare, le metodologie di effettuazione del lavoro, i mezzi strumentali e tecnici che possono venire usati, etc., ed infine le caratteristiche etnografiche ed antropologiche di ciascun subacqueo, unitamente a tutto ciò che fisicamente e psicologicamente lo caratterizza. 79 Capitolo 4 La Tabella denominata (No Decompression Limits and Repetitive Group Designation for No-Decompression Air Dives) risulta determinante ai fini della prevenzione antinfortunistica. Tale Tabella, pur non prevedendo obbligo di decompressione/desaturazione, per tempi e batimetrie prese singolarmente, (p.es.-6/461' GR K) tiene conto che al termine di questa immersione residuerà, comunque, nell'organismo umano, nei vari distretti tissutali, una quantità di azoto identificata con il GR K. Come si evince, tale immersione, pur non comportando obbligo di T/Des non implica di per sé che nell'organismo non residui azoto in quantità maggiore di quella fisiologicamente disciolta. Infatti, se dovessimo effettuare una nuova immersione sarà indispensabile conoscere il GR dell'ultima compressione effettuata al fine di poter calcolare, attraverso la Repetitive Group at Beginning at Surface Interval Table, il GR di uscita da tale tabella. 80 Per meglio comprendere facciamo un esempio. La prima immersione verrà effettuata alla batimetria di -9 per 50 minuti (-9/50'); batimetria e tempo sono riportati in tabella e non prevedono obbligo di T/Des ma ci forniscono GR D. Riassumendo: -9/50' GR D Terminata la nostra immersione, inizia l'intervallo di superficie (Repetitive Group at Beginning at Surface Interval) o C.I.S. – Credito Intervallare di Superficie – a cui diamo un valore pari a 52 minuti. Quindi, la nostra prima immersione è stata: -9/50' GR D. Dopo aver trascorso 52 minuti in superficie, al termine dei quali avremo ancora un GR D, ricavato dalla corretta applicazione della Tabella Surface Interval o CIS che dir si voglia. Come si può vedere qui sotto il GR (entrata/uscita) non è cambiato. C.I.S. 52' GR D D Il “nuovo” GR, così ottenuto dopo i 52 minuti di CIS (D) ci consentirà di poter consultare la tabella indicata con il nome di Residual Nitrogen Time (Tempo Azoto Residuo – TAR) che ci indicherà un tempo “fittizio” da aggiungere al tempo effettivo previsto per la nostra nuova immersione. -3/60' (tempo e batimetria reali della nuova immersione) TAR 246' (tempo fittizio) *TESI 306' (-3/306') (-3/426') GR E NOTA: la Tabella del TAR indica un tempo “fittizio” da aggiungere al tempo effettivo previsto per la nuova compressione. Il tempo viene definito “fittizio” non perché non sia reale o privo di significato, ma soltanto perché è un tempo che non passeremo effettivamente in immersione. Vi chiederete, perchè la nostra immersione (-3/306') sia divenuta (-3/426'). Semplice, poichè viene applicata una regola fondamentale che ci dice che: laddove la batimetria e/o il tempo della compressione non siano riscontrabili nelle tabelle, si dovranno prendere inderogabilmente la batimetria e/o il tempo immediatamente superiori. Per tale misura antinfortunistica, non avendo in tabella 306', abbiamo preso il tempo immediatamente superiore, cioè 426'. Ora effettuiamo una seconda immersione a soli 3 metri per 60 minuti (-3/60').Come procedere? Nel modo seguente. Come si può notare, anche se la nuova immersione non comporterà obbligo di T/Des, il GR della compressione, pur avendo trascorso 52' in super- 81 Capitolo 4 ficie, è aumentato, rispetto alla prima immersione. Ciò deve far riflettere sul fatto che, seppur vero che queste immersioni, prese singolarmente, non abbiano comportato la necessità di effettuare T/Des, comportano comunque, piaccia o meno, una nuova assunzione e ulteriore accumulo di N2 che aumenterà di immersione in immersione e di cui dobbiamo tener conto in termini prevenzionali antinfortunistici. Potremo continuare ad effettuare altre immersioni, con il procedimento su esposto, tenendo conto del GR dell'ultima immersione fatta. ___________________ *La somma del tempo reale da trascorrere in immersione (60') più il valore di TAR (246') ci da il TESI (Tempo Equivalente di Singola Immersione). Si consideri che i valori espressi in tale tabella prevedono un accumulo d'azoto fin dalla batimetria di -3 per soli 57' con un GR A. Senza la conoscenza dei criteri applicativi 82 da adottare di volta in volta, non sarebbe possibile valutare la Q x N2 (quantità x d'azoto) residuata nell'OU non potendo entrare, per una nuova compressione, nella tabella del CIS e conseguente tabella del TAR, per mancanza del GR della compressione; ciò ci esporrebbe a grave rischio dell'incolumità fisica interpretando erroneamente i valori temporali e batimetrici quali valori da poter considerare in termini di "sicurezza". Anche per tale tabella vale l'analoga regola che qualora i valori temporali e/o batimetrici non coincidano con la compressione da effettuarsi si dovranno prendere quelli immediatamente superiori. Si rammenta che ai fini di una corretta prevenzione antinfortunistica, non basta la mera conoscenza dell’esistenza di tali tabelle, per sentito dire oppure perché comodamente riposte in un cassetto, ma è indispensabile conoscerne la corretta applicazione tecnica che deve garantire la salvaguardia della propria incolumità fisica. Si tenga bene a mente che da ogni immersione, effettuata anche a bassa profondità e/o per tempo ridotto e che non abbia comportato obbligo di T/Des, si torna SEMPRE in superficie con quantità di N2 maggiore di quella fisiologicamente disciolta e di cui si dovrà tenere conto nelle nuove immersioni che seguiranno. Raccomando vivamente di non effettuare, durante la/e fasi della decompressione/desaturazione, empirici accomodamenti dei tempi della/e T/Des. Spesso tra i subacquei sembrerebbe vigere la “regola” secondo la quale, in caso di errore temporale (in difetto) da trascorrere in T/Des/sosta, lo stesso possa essere “compensato” nella sosta successiva, aumentandone il tempo non trascorso alla sosta precedente. In altre parole, se sono previste soste a -9/3' e -6/41' e il subacqueo, per qualsiasi causa, effettua a -9 solo 1 minuto, invece dei 3 minuti previsti, NON può e NON deve compensare i 2 minuti persi a -9 alla sosta successiva (-6) portandola da 41 minuti a 43' credendo, erroneamente, di recuperare il tempo mancato a -9. Concludo con la speranza di aver portato una nota di chiarezza e di prudenza alla presente opera, trattando un argomento tecnico applicativo finalizzato ad una maggiore sicurezza pur rendendomi conto che, anche a causa della ristrettezza dello spazio concessomi, la suesposta trattazione possa risultare di difficile comprensione e suggerisca al lettore la più facile consultazione dei vari computers presenti sul mercato. Ma si deve meditare su almeno due punti a favore della metodica tabellare testè spiegata: 1. la consultazione e l'applicazione delle tabelle per la pianificazione dell'immersione viene fatta preliminarmente (Programma di compressione – PC) usando il 83 Capitolo 4 miglior computer esistente al mondo: il nostro cervello; 2. qualunque strumentazione elettronica (computer), ammesso che contenga le medesime tabelle US Navy ed. 2008, è esposta ad urti accidentali in immersione o ad improvviso guasto. Ritengo che la conoscenza di entrambe le metodiche applicative ridurrebbe il rischio subacqueo, garantendo una migliore tutela della salute. 84 Anche se bisogna rammentare che molteplici sono i fattori che concorrono all'insorgenza di una Malattia da Decompressione (MdD) o Patologia da Decompressione (PdD) che dir si voglia, tra cui spiccano le alterazioni di ritmo e volume di aria ventilata, l'età del soggetto, il suo stato di allenamento, la sua efficienza fisica, la conduzione di un corretto standard alimentare,di vita, etc. Copertina US Navy Diving Manual del 1958, da archivio storico Scuola Marco Polo 85 Capitolo 4 Da archivio storico Scuola Marco Polo 86 Table 9-7. No-Decompression Limits and Repetitive Group Designators for No-Decompression Air Dives Repetitive Group Designation Depth (fsw) No-Stop Limit A 10 Unlimited 57 101 158 245 426 15 Unlimited 36 60 88 121 163 217 297 449 20 Unlimited 26 43 61 82 106 133 165 205 256 330 461 25 595 20 33 47 62 78 97 117 140 166 198 236 285 354 469 595 30 371 17 27 38 50 62 76 91 107 125 145 167 193 223 260 307 371 35 232 14 23 32 42 52 63 74 87 100 115 131 148 168 190 215 232 40 163 12 20 27 36 44 53 63 73 84 95 108 121 135 151 163 45 125 11 17 24 31 39 46 55 63 72 82 92 102 114 125 50 92 9 15 21 28 34 41 48 56 63 71 80 89 55 74 8 14 19 25 31 37 43 50 56 63 71 74 60 60 7 12 17 22 28 33 39 45 51 57 60 70 48 6 10 14 19 23 28 32 37 42 47 48 80 39 5 9 12 16 20 24 28 32 36 39 90 30 4 7 11 14 17 21 24 28 30 100 25 4 6 9 12 15 18 21 25 110 20 3 6 8 11 14 16 19 20 120 15 3 5 7 10 12 15 130 10 2 4 6 9 10 140 10 2 4 6 8 10 150 5 2 3 5 160 5 3 5 170 5 4 5 180 5 4 5 190 5 3 5 B C D E F G H I J K L M N O Z * * * 92 * Higest repetitive group that can be archieved at this depth regardless of bottom time Tabella riassuntiva compressioni senza obbligo T/Des (da U.S. Navy Diving Manual, 2008) citata come V tabella nel volume 87 5. Il Cantiere di Scavo P.A. Gianfrotta - P. Pomey “Archeologia subacquea” (Milano, 1981): storia, metodologie dell’archeologia subacquea, navi, materiali trasportati. La bibliografia è datata (buona soprattutto per i vecchi rinvenimenti), ma il libro è ancora valido. Lo scavo subacqueo è una fase delicata che comporta un notevole impiego di uomini e mezzi. Bisogna quindi valutare attentamente se il risultato scientifico scaturito dalla ricognizione sia pari alle aspettative investite e alle energie da investire oppure se il reperto lasciato “dormiente” non corra alcun pericolo. Lo scavo deve essere effettuato solo in caso di estremo interesse scientifico per il ritrovamento e/o di un suo effettivo pericolo di saccheggio. Effettuare lo scavo solo perché “ci sono i soldi” o per carriera personale non deve rientrare nella logica dell’analisi, anche se purtroppo accade ancora. Lo scavo subacqueo presuppone una fase ancor più delicata: la costituzione di un gruppo di lavoro ben affiatato, senza contrasti fra la parte tecnica e la conduzione scientifica, non sussistano rivalità fra colleghi e soprattutto che il riconoscimento della figura del coordinatore sia effettuato da tutti i componenti della squadra. Chi non è disposto ad accettare tali condizioni deve comunicarlo prima ed uscire dalla squadra. Il coordinamento scientifico a sua volta deve essere operativo anche in immersione, quindi ben addestrato sulle procedure tecniche di immersione e di emergenza e alle 89 Capitolo 5 procedure scientifiche delle operazioni subacquee. Il cantiere subacqueo ha una sua genesi nella autorizzazione da parte della Soprintendenza competente, della Capitaneria di Porto, della Guardia Costiera o della Delegazione di Spiaggia. Ciò dipende dai vari ambienti dove avviene lo scavo: mare aperto, acque portuali, spiaggia. Tutta la documentazione di cantiere è simile a quella della ricognizione ove però saranno specificati in più nel piano di sicurezza i mezzi adoperati per lo scavo. Copia di tutti i docu- menti (il registro infortuni in originale timbrato dall’ASL) dovrà essere depositata in cantiere. Esaurita la parte burocratica si può effettuare l’installazione vera e propria del cantiere. Ricordare: l’installazione di un cantiere (salvo condizioni di lavoro peculiari come bacini chiusi o aree particolarmente protette) e il suo svolgimento debbono essere effettuati nel periodo temporale migliore per le condizioni meteomarine e cioè da maggio a settembre. 5.1 Cantiere in alto mare Il cantiere va diviso in due parti. Prima Parte Settore di Superficie composto da: a) imbarcazione o pontoncino con alloggiamento coperto (contro freddo e insolazioni) per subacquei, vestizione, docce, WC; con possibilità eventuale di consumare pasti caldi. Tale imbarcazione sarà ancorata minimo su due punti per fornire una 90 base valida e stabile di partenza e che non ponga l’operatore in stato di malessere fisico (mal di mare) con oscillazioni repentine; su questa imbarcazione saranno depositate le dotazioni subacquee e personali; b) imbarcazione di appoggio per spostamenti brevi all’interno del campo di lavoro, portare i sub sul punto di immersione, assistenza. Ta- le imbarcazione potrà anche non sussistere se la prima sarà ancorata perfettamente sulla verticale di immersione; c) imbarcazione veloce solo per emergenza. Da tenere sempre in perfetto stato e con operatori (pilota e assistenza) pronti, se manca tale mezzo non cominciare le operazioni; d) imbarcazione o pontoncino operativo per le attrezzature da scavo: sorbone, lance, pompe, compressori, gruetta idraulica per salpare oggetti, cime, ancore, boe, olii, carburanti, attrezzi, in pratica tutto ciò che concerne la parte ‘pesante’del cantiere; possibilmente distante dalla imbarcazione degli operatori per evitare che i rumori e i gas di scarico provochino malesseri e) campo delimitante l’area delle operazioni (come prima). Se dotati di una grossa imbarcazione il punto a) e d) si possono contrarre in un unico mezzo logistico ove però siano ben separati i settori con macchinari dagli alloggiamenti. Per operazioni su fondali dai 12 ai 40 mt con o senza decompressione è obbligatoria la presenza del medico che accerti l’idoneità degli operatori subacquei ogni mattina e presti le prime cure in caso di emergenza. Obbligatorio a bordo: cassetta di pronto soccorso e bombola di ossigeno con maschere. Tutte le attrezzature di superficie e di immersione devono essere con i collaudi a norma e certificati. Questo sia perché è obbligatorio per legge ma soprattutto perchè chi adopera quelle attrezzature non corra rischi lavorando. In caso di incidente l’analisi dei fatti va prima di tutto ad accertare la congruità delle attrezzature con le relative certificazioni e con il lavoro da svolgere. L’accertamento delle avvenute certificazioni deve avvenire tramite l’assistente tecnico che farà opportuna relazione al coordinatore. Tale accertamento va effettuato particolarmente se la ditta che 91 Capitolo 5 compie i lavori ha una organizzazione a se stante (scelta con gara d’appalto). Ricordare: accertarsi sempre che tutte le attrezzature siano a norma, altrimenti comunicare all’Ente preposto (Soprintendenza o Ditta concessionaria del Ministero BB.CC.AA.) i problemi rilevati sospendendo le operazioni. Seconda Parte Settore Sotto la Superficie composto da: a) sagola per la discesa dei sub sul punto dello scavo; b) alla tappa di decompressione trapezio per la sosta con due bombole ARA e relativi erogatori per emergenza, in caso di immersioni prolungate si possono anche utilizzare bombole di ossigeno ma mantenendo i tempi decompressivi previsti con l’impiego di aria. Il trapezio sarà assicurato con sagola al fondale tramite corpo morto e alla superficie con boa/e che evitino al moto ondoso grosse oscillazioni verticali tali da far andare fuori curva i sommozzatori. Per conven92 zione si vuole che il petto dei sommozzatori non vada mai oltre la quota segnata come tappa; c) area generale dello scavo delimitata da nastro stradale ovvero da sagola arancione ancorata al fondale per maggiore visibilità. Area particolare di scavo (quadrati di dettaglio) delimitati con tubi in PVC uniti da snodi a cinque vie e tenuti al fondale con piantane metalliche, i tubi delimitanti un quadrato (2x2, 4x4 ecc.) saranno colorati in maniera alternata ogni 20 cm (rosso e bianco, giallo e nero). L’estensione dell’area di dettaglio viene decisa prima dal coordinatore insieme con la Soprintendenza; d) sorbona posizionata con lo scarico (sia esso libero o in cesto o in sacco) a corrente prevalente di fondo in modo da evitare che il sedimento ricada sull’area scavata. La sorbona sarà ancorata adeguatamente al fondale tramite corpi morti, cime e/o catene in due punti: alla coda (posta più alta rispetto al- Schema di cantiere subacqueo con nave appoggio (da Mocchegiani, op. cit.) la bocca) e all’imboccatura lasciando libera la flangia di scavo costitita in genere da imboccatura, tubo flessibile rinforzato flangiato al corpo. L’inclinazione dovrà essere di circa 45° rispetto al fondale per consentire l’effetto aspirante dell’aria o dell’acqua compressa e gli ancoraggi saranno tali da impedire alla sorbona la risalita a 93 Capitolo 5 pallone in caso di strozzatura; manichette per l’aria compressa (palloni di sollevamento) e per la lancia ad acqua debbono provenire da zone ben determinate. Questo per motivi di carattere pratico (evitare accavallamenti, strozzature, intrecci) sia perché in caso di malfunzionamento si potrà risalire subito al danno. Si possono anche creare cime guida che dalla barca operativa arrivano al punto di scavo facendo da tenitore al- la rispettiva manichetta, lasciando solo il bando utile per operare; al fondale e vicine alle zone operative saranno presenti uno o più gruppi ARA per emergenza con relativi erogatori. A fine giornata verrà recuperato tutto il materiale mobile e sottoposto a veloce revisione: in particolare i gruppi ARA e i sistemi SCUBA. La sorbona se non è d’intralcio ad eventuali imbarcazioni di transito notturno può restare sul fondo. 5.2 Il fattore umano Lo scavo subacqueo comporta una preparazione sia logistica che personale di una certa importanza. Il primo punto (logistica) è stato sviluppato precedentemente; riguardo la preparazione fisica è importante la “sana e robusta costituzione fisica atta al lavoro subacqueo”, un equilibrio psicologico tale da poter far fronte a situazioni di emergenza, dato che lo scavo subacqueo comporta comunque uno sforzo fisico insolito 94 ed una condizione di stress psicologico. In pratica la respirazione attraverso l’apparato SCUBA non è la condizione normale per il fisico umano e ciò a lungo andare potrebbe provocare stress con possibili attacchi di panico, problemi respiratori, mandibolari, alle gengive, ai denti, alle orecchie. A ciò si aggiunga la profondità, la scarsità di luce, il moto ondoso, la corrente ecc. quindi una somma di elementi da tenere presente quando si impo- sta un cantiere subacqueo e si scelgono gli elementi. Questi (dal coordinatore scientifico, l’assistente tecnico, all’operatore subacqueo) dovranno essere persone scelte, equilibrate (si spera), con esperienza comprovata sia in lavori subacquei che in campo archeologico. Come già detto il momento dello scavo subacqueo può significare per un archeologo il coronamento di lunghi anni di ricerca ma anche il momento più delicato in quanto se si ha il coordinamento delle operazioni, si uniscono vari ‘momenti di responsabilità’: 1) momento di coordinamento delle operazioni di superficie sia per la parte scientifica che tecnica; 2) momento di coordinamento delle operazioni in immersione; 3) l’immersione medesima con il coordinamento fra scavo, compagno di immersione, aria a disposizione e tempistica; 4) momento di raccolta dati a fine giornata; 5) relazione finale. Questi 5 ‘momenti’ possono creare stati di ansia, confusione o irascibilità dovuti alla responsabilità. È importante quindi che il coordinatore abbia una indubbia esperienza di cantieristica archeologica in mare (e a terra), sia un ottimo sommozzatore e soprattutto sia equilibrato ed abbia la capacità di ascoltare e intuire stati di crisi o malumore fra i componenti della squadra. Se è possibile affiancarsi una persona conosciuta e fidata, che possa aiutare, seppure non nei compiti di responsabilità diretta: ad esempio l’assistente tecnico. Tuttavia ogni componente del gruppo deve essere in grado, da solo, di capire l’importanza e la delicatezza del lavoro che si sta compiendo. Bisogna comprendere che sono annullate le ‘ore piccole’, gli eccessi di alcool (un poco a cena distende gli animi) e tutti i fattori che possono creare problemi nella giornata successiva. L’onestà e la sincerità di ogni componente dovrà rivelarsi in caso di malessere o indisposizione che deve essere sempre 95 Capitolo 5 comunicata: non c’è niente di male nella indisposizione fisica, che nulla toglie al valore dell’elemento e soprattutto non deve far temere una esclusione dalle future operazioni. Al contrario atteggiamenti da ‘macho’ (uomo o donna), nascondere una indisposizione che potrebbe sfociare in un incidente o, peggio, utilizzare delle attrezzature SCUBA da la- voro per uso personale (tipo immersioni notturne) sono cose da stigmatizzare sino all’espulsione dalla squadra, come nell’ultimo caso (rescissione del contratto per utilizzo personale di macchinari dell’impresa, perdita del rapporto di fiducia ecc.). Molti occhiali da sole a colazione nascondono sguardi spenti da eccessi notturni. 5.3 Come si scava sott’acqua 5.3.1 LE ATTREZZATURE Lo scavo subacqueo dal punto di vista metodologico è uguale allo scavo a terra: si deve asportare strato dopo strato, dal più superficiale al più profondo. Sott’acqua chiaramente si incontrano strati di diversa natura rispetto alla terraferma: strati di radici di posidonia (matt), conchiglie, sabbia, fango, limo, rifiuti ecc. Bisogna però dire che il vantaggio dello scavo subacqueo è che l’elemento liquido permette posizioni dell’operatore che a terra sarebbero impossibili: il veleg96 giare sull’area di scavo oltre ad una visione diversa delle cose permette di scavare quasi in verticale senza doversi poggiare sul reperto o sullo strato. Lo scavo subacqueo comporta tutta una serie di attrezzature particolari, finalizzate allo scopo. Si possono suddividere (per comodità) in attrezzature personali e di cantiere: Attrezzature personali - Attrezzatura SCUBA completa. - Attrezzatura stagna completa con mascherone granfacciale munito di interfono, braga, ombelicale e centralina ricetrasmittente di superficie. - Guanti in neoprene o in kevlar, da lavoro sub in gomma pesante antiacido e antinquinamento. - Protezione per le ginocchia, dato che spesso gli operatori subacquei lavorano in ginocchio con il pericolo di procurarsi ferite. - Attrezzature personali da scavo (a secondo dei fondali) contenute in apposito retino: seghetto per ‘matt’ di posidonie, mazzetta e scalpello per concrezioni, retino fitto per piccoli reperti, moschettoni di varia grandezza, cimette - Attrezzature personali per rilievo (per chi è addetto) contenute in un retino: doppio metro, rollina da 12 mt, rollina da 20 mt; tavoletta per disegnare con matita e gomma (sempre doppia dotazione e alla matita conviene fare un giro di nastro adesivo per evitare che in acqua si spacchi), fogli di poliestere, pinze per bloccarli sulla tavoletta, cordino elastico. - Bussola. - Tute da lavoro per esterno. - Scarpe antinfortunistiche a sfilamento rapido tipo stivaletto (OBBLIGATORIE). - Elmetto (OBBLIGATORIO). - Guanti da lavoro per esterno in pelle (OBBLIGATORI). Ricordare: sarà obbligo di ciascun operatore tenere in perfetto stato l’attrezzatura personale (del quale sarà l’unico responsabile sino al momento di assicurarlo in deposito a fine giornata) e segnalare al capocantiere gli elementi usurati o difettosi e quindi la necessità di ricambio. Ricordare: la custodia a fine giornata sarà a cura del capocantiere e/o del magazziniere. Qualsiasi uso improprio e per fini personali delle attrezzature di cantiere può comportare la rescissione del contratto di lavoro con relativa espulsione (sulla base delle norme che regolano il contratto fra le parti, ove sarà specificata la proibizione dell’uso delle attrezzature al di fuori dell’orario di lavoro e per fini non lavorativi). 97 Capitolo 5 Attrezzature di cantiere - Sistema di comunicazione subacquea - Compressore stradale (i litri saranno da determinare a secondo della profondità) - Pompa per lancia ad acqua - Sorbona/e ad aria e/o ad acqua compressa - Lancia ad acqua - Sistema per pompa idrovora (motore più girante su zattera) - Palloni da sollevamento (di varia portata) - Cesti metallici per sollevare reperti ingombranti - Manichette per l’aria compressa per sollevare i palloni - Reti per scarico sorbona - Gruetta per grossi pesi - Cime - Boe - Corpi morti - Reticolo in tubi smontabili - Reticolo per rilievi in piccola scala - Picchetti in ferro da 0,50 a 1 mt Sul cantiere dovrà essere presente un’officina per riparazioni veloci e di prima emergenza. 5.3.2 LO SCAVO Baia, Via Herculanea, dettaglio della tavoletta dell’architetto Francesco Stazio con tutte i punti da misurare già preparati sul foglio di poliestere. (Foto Francesco Rastrelli) 98 Lo scavo si imposterà in base al sito (relitto o struttura) e al fondale (sabbia, roccia, fango, posidonie ecc.). È necessario ed obbligatorio dal punto di vista scientifico, prima dello scavo, effettuare o accertarsi che sia stata redatta una planimetria (pianta e sezione) ed una copertura fotografica: documentazioni queste sulle quali si potrà impostare lo scavo. Delimitata l’area del sito e deciso il punto ove cominciare Baia, Via Herculanea, rilievo della strada romana. In primo piano uno dei cartellini utilizzati per quadrettare la strada e facilitare sia il rilievo manuale (con triangolazione) che l’ortofotopiano. (Foto Francesco Rastrelli) lo scavo, si coprirà l’area totale o solo la zona prescelta, con una quadrettatura: attenzione che la quadrettatura, anche se parziale, dovrà essere agganciata (cioè avere come capisaldi di riferimento) a corpi morti o picchetti che rimarranno sul sito per tutta la durata del cantiere. La quadrettatura potrà essere 1x1 - 2x2 mt o anche di dimensioni maggiori o minori, giungendo all’utilizzo di quadrati mobili di riferimento con cordino elastico formante quadrati 0,10x0,10 (rilievo di dettaglio). Si potrà costruire con tubi di metallo o meglio in PVC uniti da giunti a 5 vie (uscite) autostringenti. La struttura poggerà sul fondale tramite piantane in metallo che 99 Capitolo 5 Baia, Via Herculanea, ortofotopiano della strada romana (disegno architetto Francesco Stazio, montaggio Antonio De Paolis) fungeranno anche da zavorra alla struttura medesima. Ogni vertice del quadrato sarà contraddistinto da cartellino in plastica siglato con pennarello indelebile del proprio numero e lettera (A1, A2; B1,B2; C1,C2). 100 Lo scavo si baserà sugli stessi principi dello scavo a terra, strato per strato, partendo da uno o più quadrati da scavare in contemporanea. In genere il primo strato è costituto da sedimenti o alghe ma nel caso di ‘matt’ di posidonie si Baia, Via Herculanea, rilevamento strumentale: prisma all’esterno che collima con lastazione posta sulla costa. (Foto Francesco Rastrelli) dovrà asportare tagliando le radici: ciò potrà sollevare del sedimento che renderà scarsa la visibilità: in tal caso gli operatori dovranno fare attenzione alle mani. Cioè a non “intromettersi” nel taglio che il collega effettua ed attendere la fine del taglio per togliere il pezzo; questo comporta (come già detto) una divisione dei ruoli a monte. Sarebbe consigliabile che uno degli operatori, anche durante il taglio del ‘matt’ tenesse la sorbona in azione per aspirare il sedi101 Capitolo 5 mento che si solleva ed avere sempre pulita l’acqua. Bisogna sempre evitare la confusione e la sovrapposizione dei ruoli. Lo scavo dei successivi strati, a seconda della loro densità, durezza e sovrapposizione, si potrà effettuare con la sorbona e la lancia ad acqua. Ogni strato prima della sua asportazione deve essere disegnato e fotografato, ma solo in presenza di evidenze scientifiche tali da rendere interessante lo strato, al fine di non rallentare un procedimento difficile ed oneroso come lo scavo subacqueo. 5.3.3 SORBONA E LANCIA Nel caso di scavo a piccole profondità o di piccoli sondaggi, si potrà utilizzare la sorbona ad acqua compressa che richiede un minore spazio per il trasporto (pompa ad acqua, tubi in gomma telata con anima in metallo, cesto o sacco) utilizzando un piccolo barchino per il trasporto della pompa e dei combustibili e olii. Soprattutto questo tipo di sorbona, non utilizzando aria compres102 sa, non abbisogna di una profondità eccessiva per ottenere un buon funzionamento. Ricordare: mai trasportare e/o stoccare lubrificanti e combustibili insieme al materiale da immersione o personale per evitare inquinamenti di parti vitali dei meccanismi di erogazione o degli indumenti. Nel caso di scavi di grossa estensione o ad alta profondità è consigliabile l’uso della sorbona ad aria compressa che però necessita di un compressore stradale adeguato, quindi di un relativo mezzo di trasporto (pontoncino) e manichette per l’aria compressa. Poi vi è la sorbona vera e propria: costituita da un tubo corrugato con anima rigida al quale è flangiata la testa della sorbona (pezzo di tubo metallico, meglio se in alluminio, di circa 40/50 cm) sulla quale vi è l’attacco delle manichette di andata dell’aria e il rubinetto di regolazione (sempre se non è posto più a monte). Sull’altro estremo si applicherà il sacco che raccoglierà i sedimenti e i reperti scavati; la maglia della rete sarà di 1x1 cm. La sorbona ad aria compressa lavora sul principio dell’espansione dell’aria compressa in risalita: in pratica l’aria in entrata sulla testata della sorbona tende a risalire velocemente nel tubo della sorbona espandendosi al diminuire del- la pressione, questo provoca una turbolenza che risucchia all’apertura della testata i sedimenti. I sedimenti trascinati dall’aria in risalita andranno poi a cadere nel sacco ed è per questo che la sorbona dovrà lavorare inclinata (minimo 45°) per favorire la massima velocità di espansione dell’aria e quindi un risucchio molto forte. I Tipo di sorbona. Costituito da un tubo rigido (di vario calibro) con testa di metallo montata su un tubo flessibile con anima in acciaio. La regolazione del flusso è sulla testa. Il materiale aspirato finisce nel sacco che, una volta riempito, viene issato sull’imbarcazione. Il pallone serve a tenere la sorbona nella giusta inclinazione e ad evitare eventuali oscillazioni. Gli ancoraggi invece evitano che la sorbona all’apertura della valvola dell’aria compressa, possa sollevarsi violentemente verso la superficie. 103 Capitolo 5 Chiaramente a maggiore potenza di aspirazione (e viceversa) dovrà corrispondere un adeguato calibro della sorbona (diametri da 100 a 200 mm), questo per evitare intasamenti con grossi detriti. La sorbona, lavorando inclinata e sottoposta alle sollecitazioni dell’aria o dell’acqua compressa, dovrà essere ancorata in testa e coda a corpi morti e questo per evitare ‘pallonate’ (cioè intasamenti di aria e detriti che fanno sollevare verso la superficie la sorbona) che potrebbero ferire gli operatori. Lo scarico della sorbona dovrà essere disposto a favore della corrente di fondo: si raccomanda di accertarsi che ci si basi sul flusso di fondo e non su quello di superficie. Questo II Tipo di sorbona. Costituito da una imboccatura rigida, con flusso di mandata e tubo corrugato rinforzato da anima di acciaio. Il tubo scarica i materiali in un cesto tenuto in tensione da un pallone. La manichetta dell’aria compressa deve essere solidale al tubo della sorbona. 104 Baia 1982. Sommozzatore mentre scava con sorbona da 200 mm. Accanto si nota la lancia ad acqua. (Foto Mario Rosiello, Centro Studi Subacquei Napoli) per evitare ‘nebbie’ da sedimento in sospensione. Ogni sorbona dovrà essere munita di una valvola di regolazione a sfera, ben visibile e di colore vivace (rossa o gialla) e preferibilmente montata sulla testa della sorbona per rapidi interventi. La testa potrà anche essere munita di griglia di selezione per evitare di intasare il condotto. In ogni caso gli operatori dovranno essere muniti di guanti da lavoro robusti per evitare escoriazioni ma soprattutto mai inserire le mani nell’imboccatura mentre questa è in aspirazione e mai guardare all’interno mentre lavora: fermarla sempre prima di effettuare qualsiasi operazione. 105 Capitolo 5 Sorbona da 200 mm. Si noti il corrugato che unisce la bocca al corpo della sorbona e le manichette della bassa pressione che convergono alla valvola di regolazione posta sulla bocca (da Il Ninfeo, op.cit.). Sorbona da 200 mm. Mentre viene calata in acqua. Si noti il cestello di metallo posteriore al quale è attaccato il sacco a rete per i materiali (da Archeologia Viva 1983). 106 Valvola di regolazione del flusso d’aria su sorbona da 200 mm. posta sulla imboccatura e con i due attacchi delle manichette della bassa pressione (da Il Ninfeo, op. cit.). Lo scavo andrà effettuato con una regolazione adeguata del flusso di aspirazione in modo da non causare strappi su materiale delicato (legno, ceramica, vetro ecc.) e soprattutto non adoperare la testa della sorbona come un ‘ariete’ di sfondamento dello strato. La testa della sorbona va avvici- nata al livello da asportare retta da un operatore da dietro, mentre l’altro, posto di lato o di fronte, con la mano solleverà i sedimenti che verranno aspirati e nel contempo potrà selezionare i materiali. A tale scopo si può adoperare anche la lancia ad acqua che taglierà delicatamente lo strato. 107 Capitolo 5 Baia 1981. La M/N Lisetta, base di appoggio alle operazioni subacquee di scavo del Ninfeo dell’imperatore Claudio. Si vedono la gru, il compressore e il tavolo per la cernita dei materiali. (Foto Centro Studi Subacquei Napoli) 108 Sorbona da 200 mm. Posta in verticale rispetto al fondale, con piastre di appesantimento sulla bocca. Questo tipo di sorbona è molto scomoda in quanto come si può notare dalla foto comporta uno sforzo del sommozzatore per evitare l’effetto ventosa e l’impossibilità di effettuare un taglio stratigrafico del fondale. In primo piano la valvola di regolazione (foto dell’autore). 109 Capitolo 5 Ricordare: non puntare mai la lancia ad acqua compressa sul collega di lavoro ed in particolare sulla maschera che potrebbe frantumarsi per il forte getto. La regolazione della lancia sarà sempre sulla testata di uscita obbligatoriamente con valvola a sfera. La sorbona dovrà esser di calibro adeguato alla operazione di scavo da eseguire: se si scava fra il carico di un relitto è meglio operare con una sorbona di piccolo diametro (100, 150 mm) al fine di non perdere i ‘piccoli dati’ che un naufragio nasconde. Mentre un grosso ø (200, 400 mm) verrà utilizzata nel caso di scavi di ambienti sommersi o di grosse aree. Conviene che ogni operatore durante la fase di scavo abbia in dotazione dei retini a Schema di funzionamento sorbona ad aria compressa. Il flusso d’aria proveniente dal compressore (frecce tratteggiate) si espande nella bocca della sorbona e risale velocemente, provocando una depressione (frecce curve) che risucchia acqua (frecce grigie) e sedimenti del fondale (frecce nere). Chiaramente la percentuale di acqua dovrà essere maggiore per evitare l’intasamento della sorbona. 110 maglia sottile, ove mettere piccoli reperti che, una volta in superficie, verranno collocati nella cassetta dello strato o dell’area corrispondente. Il sacco o il cesto della sorbona va periodicamente controllato. Pieno per ¾ si ferma la sorbona, si chiude il sacco all’imboccatura e solo allora si stacca dalla sorbona. Appare chiaro che per facilitare l’operazione il sacco dovrà essere morbido e non teso, quindi poggiato sul fondo. Distaccato dalla sorbona il sacco verrà inviato in superficie tramite pallone idrostatico o gru. Per evitare una eccessiva distensione del sacco e quindi un difficile recupero, con una cima si uniranno i due capi e a questa, con un grillo, si assicurerà il pallone. Ciò permetterà di ridurre la lunghezza effettiva del sacco. Il pallone, chiusa la valvola superiore, si riempe con aria tramite manichetta che viene dalla superficie. In ogni caso il riempimento deve avvenire gradualmente: appena il sacco si solleva ed inizia a “galleggiare” sul fondo, si potrà dare un ulteriore colpetto d’aria ed il carico partirà dolcemente verso la superficie. Per il noto effetto di espansione dei gas compressi al diminuire della pressione è proibito effettuare riempimenti rapidi del pallone con partenza a missile del medesimo: accade in tal caso che l’arrivo del pallone in superficie a tutta velocità lo faccia fuoriuscire completamente dall’acqua, col rischio di capovolgersi, perdere aria e precipitare sul fondo con il carico, mettendo in pericolo i sommozzatori. Ricordare. Mai gonfiare il pallone con il proprio erogatore. Si rischia di restare impigliati nelle braghe del pallone e trascinati in superficie velocemente con rischi di sovradistensione polmonare. Questa esperienza purtroppo è stata vissuta in prima persona dall’autore e l’incidente non ha avuto conseguenze per la bassa profondità e l’immediata espulsione dell’aria dai polmoni ma, purtroppo, è ancora costume diffuso adoperare tale tecnica per gonfiare i palloni da sollevamento. In superficie il sacco o il ce111 Capitolo 5 Baia, Punta Epitaffio, I campagna di scavo, 1981: selezione dei materiali e loro incassettamento. In questo caso effettuato da un archeologo di eccezione: Bernard Andreae (foto Centro Studi Subacquei Napoli). 112 Recupero di anfore con apposito cesto con intelaiatura metallica (da Mocchegiani, op. cit.). 113 Capitolo 5 Baia 1982. Recupero della statua dell’Antonia Minore con lettiga e pallone da sollevamento. (Foto Mario Rosiello, Centro Studi Subacquei Napoli) 114 Recupero del sacco con il materiale scavato dalla sorbona e sua apertura su tavolaccio da lavoro (da Il Ninfeo, op. cit.). sto verrà recuperato, rovesciato su un tavolaccio e il suo contenuto verrà vagliato per recuperare eventuali reperti. A bordo vi saranno sempre cassette, buste di plastica (che vanno forate per far evaporare l’acqua), contenitori (vasche) in plastica ove immergere i reperti deperibili (legno, cuoio, metalli ecc.). Sarebbe consigliabile la presenza sia in immersione che a bordo di ar- cheologi (alternati nei ruoli) in modo che il controllo della procedura di scavo sia totale: scavo>recupero>selezione. Gli oggetti recuperati dovranno essere subito puliti, desalinizzati (soprattutto se è legno), consolidati e catalogati. Tale procedura dovrà essere effettuata in coda o in contemporanea allo scavo, al fine di non dover effettuare dopo decenni “scavi” in materiale de- 115 Capitolo 5 positato e dimenticato. Si dovrà quindi prevedere che parte dei fondi andrà utilizzata per questa fase. 5.3.4 RIUNIONI DI INIZIO E FI- NE CANTIERE Lo scavo, sia in mare che a terra, non si deve fare in fretta o per trarre benefici economici o di gloria. La richiesta del finanziamento deve essere proporzionata al sito o all’area che si intende scavare di quel sito. Mai effettuare scavi, o meglio buchi, solo per vedere cosa cè sul fondo, se ci sono statue o se cè il legno del relitto (anche perchè se il carico è ancora in situ…), magari giustificando tali operazioni con la scarsezza del finanziamento. Bisogna fare ciò che è giusto scientificamente e ciò che si può ottenere con quel finanziamento (soprattutto se è scarso). Anche solo un buon rilievo o un’adeguata copertura fotografica possono considerarsi un ottimo risultato dal punto di vista scientifico per la conoscenza preliminare di un sito. Purchè i 116 dati siano poi pubblicati. Al fine di realizzare una buona campagna di scavi il coordinatore deve far chiarezza in se stesso, su cosa si vuole ottenere e cosa si può ottenere con un determinato finanziamento. Le frustrazioni o i sogni di gloria vanno curati in altre sedi. A inizio e fine giornata sarà cura del coordinatore effettuare le riunioni di apertura e chiusura giornata operativa. Nella riunione di inizio operazioni, su apposita scheda, si nominano i gruppi, i settori ed i lavori da effettuare (le finalità); nella riunione di chiusura ciò che si è fatto o non fatto, problemi e soluzioni, squadre per il giorno dopo. Alle riunioni saranno presenti obbligatoriamente tutti gli operatori del cantiere, il coordinatore avrà il dovere di ascoltare, coadiuvato dal capo cantiere, le richieste e i problemi di ognuno (purchè fondati). Alla fine della riunione si stenderà un ruolino di giornata controfirmato da tutti. Il coordinatore farà da tramite con la direzione tecni- co-scientifica (non sono ammesse deleghe corali) alla quale sottoporrà quotidianamente il programma delle operazioni. Il programma delle operazioni sarà esposto per tutto l’arco della giornata lavorativa. Ogni deroga dovrà essere riferita preventivamente ed approvata dal coordinatore; se per problemi contingenti ciò non fosse possibile, effettuata la deroga sarà relazionata a fine giornata con le motivazioni, variazioni e risultati ottenuti e controfirmata dagli operatori. Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità, non sono ammessi cantieri con irresponsabili o persone senza cervello ma dedite alla “lamentatio”. 5.4 Lo scavo semisommerso Operando in contesti particolari, come coste soggette a bradisisma (costa flegrea ad esempio) o relitti spiaggiati, si dovrà impostare un cantiere semisommerso. Nulla varia nella impostazione generale, solo la bassa profondità (se non addirittura acqua affiorante) comporta l’utilizzo di tecniche particolari e l’adeguamento delle strumentazioni idonee. Se lo scavo è effettuato sul litorale, scavando letteralmente la spiaggia, dopo aver asportato e livellato la sabbia con una pala meccanica si potrà fare un saggio con escavatore cingolato (l’unico in grado di muoversi sulla sabbia e non danneggiare le strutture in quanto i cingoli ripartiscono il peso). Individuata la presenza archeologica (struttura o relitto) si provvederà ad allargare il campo di indagine per saggi, trincee o seguendo le strutture: tutto dipende dallo stato dei luoghi e dalla possibilità di operare con il mezzo meccanico. L’importante è “scapitozzare” quanto più possibile il li- 117 Capitolo 5 vello di sabbia soprastante e tagliare le pareti del saggio a 45° o a gradoni inclinati a 45°. Bisogna però tenere presente che l’invaso dello scavo sarà proporzionale alla sua profondità e alla larghezza che si vuole ottenere alla base: es. 2 mt di profondità per 2 mt di larghezza alla base si avrà un invaso largo almeno 4 mt ca. alla superficie. Questo in un contesto con terra non friabile. Ma data l’inconsistenza della sabbia e la presenza di acqua sul fondo che provoca una continua erosione delle pareti si dovrà raddoppiare la grandezza dell’invaso in proporzione all’area da scavare. Se si riesce a stabilire l’area di scavo con una certa precisione si possono applicare paratie metalliche per il contenimento delle pareti e facilitare il prosciugamento delle acque di risalita. Ricordare: se si scava in riva al mare per effetto dei vasi comunicanti le acque si livellano sempre a quelle marine. La pompa ad immersione che aspira le acque dovrà es- 118 sere posta più in basso rispetto al punto da scavare, creando un punto di pescaggio ove si convoglieranno le acque marine (o freatiche in quanto questa tecnica si applica anche in presenza di acque di falda) che verranno continuamente aspirate e convogliate all’esterno prima di invadere l’area. In pratica lo scavo avverrà all’asciutto, ma si tenga presente che le murature, gli intonaci, i mosaici, i pavimenti in genere, e i legni, si deteriorano rapidamente per il repentino passaggio da un ambiente umido ad uno asciutto. Per evitare ciò è consigliabile proteggere l’area con teli frangisole e bagnare frequentemente le strutture con getti leggeri a pioggia (ugelli tipo sprinkler). Lo scavo così è sempre in ambiente umido per cui gli operatori saranno protetti da mute leggere (tipo windsurf) o al minimo da corpetti in neoprene (sottomuta). Lo scavo avverrà tramite il convogliamento della sabbia e dei detriti verso la bocca della pompa aspirante. La pompa sarà di tipo oleopneumatico e non elettrico, in grado di lavorare anche con un livello minimo di acqua che dovrà pur sempre esserci o si creerà l’effetto ventosa con il rischio di “strozzare” (piegare) il tubo. Per evitare ciò si potranno adoperare tubi in gomma con anima in acciao e rivestimento telato all’esterno, con flangiature zincate e a chiusura ermetica, per non far perdere pressione di aspirazione alla pompa. Il motore della pompa sarà montato su uno zatterino o gommone dal fondo rigido posto fuori la battigia. Il convogliamento dei detriti verso la pompa si effettuerà con una lancia ad acqua. Ricordare: la regolazione della lancia ad acqua sarà sull’uscita, con valvola a sfera, e sempre al minimo, altrimenti la potenza dell’acqua potrebbe disgregare intonaci e pavimentazioni che sono imbibiti d’acqua. È consigliabile l’applicazione di getto a pioggia che aiuterà a “spazzare” via i detriti. La vagliatura dovrà avvenire sia nelle fasi di scavo che all’uscita della pompa ove si ha lo scarico dei detriti sotto il controllo di un operatore a turno. I detriti potranno avere scarico libero (dato il basso fondale) o in appositi contenitori (cesti o sacchi). Bisogna però sottolineare che uno scavo che opera su una spiaggia e quindi in una zona sottoposta nel corso di secoli al moto ondoso, difficilmente potrà rivelare oggetti in strato e soprattutto piccoli reperti. Ciò non toglie che si applicheranno comunque tutte le garanzie scientifiche di vagliatura e recupero dei reperti. Se lo scavo avviene invece a bassa profondità (da -0,50 a 2,00 mt) l’operatore dovrà munirsi di adeguata zavorra (sino a 20 kl se la risacca è forte) o ancorarsi a picchetti se l’area di lavoro è ristretta. A queste profondità è consigliabile l’uso di rifornimento d’aria dalla superficie (narghilè) che consente una maggiore libertà di movimento al subacqueo. È sconsigliato l’uso del GAV, l’attrezzatura deve essere ridotta al 119 Capitolo 5 Scavo in ambiente semisommerso con paratie di contenimento e pompa aspirante posta più in basso rispetto al piano di scavo. Con le manichette ad acqua compressa si spinge la sabbia verso il punto più basso al fine di liberare l’area (foto dell’autore). minimo anche se per effetto della risacca è obbligatorio l’uso di muta intera, ginocchiere e guanti da lavoro: un improvviso colpo d’onda potrebbe scaraventare l’operatore sulla struttura e la presenza di ricci e/o ‘denti di cane’ potrebbero feri- 120 re le parti esposte (mani, volto) o di appoggio (ginocchia). Lo scavo a tali profondità può effettuarsi sia con la pompa oleopneumatica che con la sorbona. 5.5 Immersioni particolari Si definiscono tali le immersioni in grotta, in acque portuali, sotto navi, in corrispon- denza di dighe, scarichi o entrate di pompe e in fiumi. 5.5.1 IMMERSIONI la riunione preimmersione si decide chi dei due subacquei entrerà mentre l’altro, all’ingresso, terrà il “filo di Arianna”. All’ingresso saranno collocati due monobombola di emergenza. Altri verranno collocati a stazioni successive mano a mano che si procede nella grotta. Preventivamente si sarà collegata una cima di discesa che porta alla imboccatura della grotta in modo da facilitare il lavoro degli operatori subacquei. I sommozzatori saranno dotati di due/tre bombole indipendenti, con erogatori e manometri indipendenti, avendo l’accortezza di collegare il manometro e l’erogatore corrispondente o con un giro di nastro adesivo colorato o assicurandoli in coppia al cinghiaggio per non lasciarli penzoloni. Saranno inoltre dotati di IN GROTTA Tale immersione deve essere attentamente programmata in tutte le sue componenti e deve rispondere ai criteri di estremo interesse scientifico, data la sua onerosità e difficoltà operativa. Oltre alla solita assistenza di superficie l’immersione avverrà obbligatoriamente in coppia, o con SCUBA o muta stagna. Se si indossa la muta stagna (si sconsiglia il suo uso per motivi di sicurezza data la sua delicatezza rispetto all’ambiente operativo). Tuttavia se si indossa conviene indossare dei sovramuta in nylon da speleologo, avendo l’accortezza di effetuare dei fori in corrispondenza delle valvole della muta. Comunque anche con la muta per immersioni in grotta si deve usare il G.A.V. che costituisce una riserva d’aria nel caso si allagasse la stagna.Nel- 121 Capitolo 5 lampade adeguate (sul mercato si trovano ottime lampade, piccole ma dotate di eccezionale luminosità) che saranno fissate sulla braga o sul caschetto di protezione (tipo speleo) in dotazione. Le rubinetterie delle bombole avranno delle protezioni in acciaio e l’attacco è unicamente quello DIN, che fornisce garanzie di sicurezza estrema in caso di urti in quanto si avvita direttamente alla filettatura della rubinetteria Ricordare: l’immersione verrà effettuata in estrema sicurezza; qualsiasi anomalia che si verificherà all’esterno o all’interno della grotta, a unico giudizio della squadra immersa (forti correnti, visibilità insufficiente, ostacoli imprevisti ecc.) dovranno far abortire l’immersione che verrà riprogrammata o meno, a discrezione del coordinatore e dell’assistente tecnico. L’introduzione nella grotta, a scopo di ricognizione scientifica, deve essere lenta, effettuata orizzontale al fondo e con 122 l’ausilio delle mani se la grotta è alquanto angusta. Le pinne devono essere, possibilmente, tolte all’ingresso oppure adoperate pinne corte tipo speleo: in ogni caso il movimento delle gambe deve essere minimo per non sollevare sedimenti dal fondo. Avanzando si deve portare con sé il “filo di Arianna” con un mulinello autobloccante che servirà da stazione per la squadra successiva. L’operatore dovrà avere le mani libere per avanzare, prelevare eventuali campioni, tenersi al filo guida. È obbligatorio l’uso di guanti di protezione. Se la grotta si restringe e non è possibile rigirarsi, si dovrà fare mente locale che per ritornare si sarà costretti a retrocedere con l’ausilio delle mani e guardando sotto il proprio torace. In caso di difficoltà si comunica, tramite segnali sul filo guida, sia alla superficie e/o al compagno di immersione all’ingresso (la comunicazione in ogni caso deve essre continua sia per descrivere l’operazione che si svolge che per sicurezza) e l’immersione Esempio di grotta, Area Marina Protetta di Punta Campanella. abortisce. Ricordare: non abbandonare mai il filo guida. In caso di cessata comunicazione e/o segnali di attività sul filo guida, il compagno all’ingresso lo comunicherà in superficie e attenderà la squadra di emergenza (già pronta). Solo al- lora potrà entrare, con lo stesso sistema e provvederà al recupero e/o soccorso del compagno. Ricordare: manovre forzate, inconsulte, tentativi di soccorso senza squadra di emergenza possono risultare letali per sé e per l’infortunato. 123 Capitolo 5 L’operatore in grotta potrà raccogliere reperti, appuntare dati su una lavagnetta e segnare eventuali punti ove effettuare foto, riprese, saggi o prelievi. Per facilitare questo compito il filo guida sarà scandito con decametri). Terminato il turno si lascia il rocchetto del filo guida, possibilmente su un lato della grotta, e seguendolo (OBBLIGATORIAMENTE) si fuoriesce. Attenersi strettamente ai tempi ricevuti in superficie. Giunti sull’imbarcazione si comunicheranno subito i dati per la squadra successiva: metri percorsi, imprevisti, e se è il caso di portare un gruppo di bombole all’interno della grotta come stazione di sicurezza. Generalmente nella immersione in grotta si applica la regola del terzo: si prevede, in pratica, di consumare 1/3 dell’aria per l’andata, 1/3 per il ritorno e 1/3 resta per ogni emergenza. Bisogna inoltre calcolare una riserva del 10% sulla carica delle bombole: es. su una carica di 200 bar la riserva sarà di 20 per cui restano a disposizione 180 bar che divisi per 3 dan124 no una disponibilità di: 60 bar per l’andata, 60 per il ritorno e 60 per l’emergenza. Questa regola è da intendersi come il minimo indispensabile per la sicurezza. In grotta non si sa mai a cosa si va incontro e che problemi si possono avere: maggiori sono le sorgenti d’aria a disposizione e più probabilità di salvezza vi sono. (Fancello, in Le leggi della subacquea, pp. 119-121. Da leggere attentamente soprattutto le Raccomandazioni finali). 5.5.2 IMMERSIONI IN ACQUE PORTUALI E SORGITORI Potrà capitare di immergersi in porti moderni costruiti su porti antichi (Pozzuoli, Anzio, Augusta, Siracusa, Miseno ecc.); in tal caso, ottenute le debite autorizzazioni dall’autorità portuale, conviene sempre assicurarsi: - grado di inquinamento delle acque per scegliere se adoperare muta umida o muta stagna con gran facciale; - presenza di carcasse di navi sul fondo, ordigni bellici o altri pericoli; - ordinanza della capitaneria emessa ed esposta ben visibile (avere sempre una copia a bordo) e accertarsi dell’avvenuto spostamento del traffico marittimo; - campo boe che delinea l’area di cantiere ed imbarcazione di appoggio vicino ai subacquei; - se il campo è vicino alla banchina assicurarsi che ci sia la scaletta di risalita ed eventualmente acqua potabile utile per lavarsi prima di togliersi la muta (soprattutto in caso di acque inquinate); - che non vi siano industrie con scarichi particolari, centrali idroelettriche con prese e scarichi di acque di raffreddamento. In tal caso bisogna valutare il grado di inquinamento ed adoperare (se l’immersione vale il rischio) muta stagna antiacido con collare per elmo e guanti stagni. È obbligatorio in tal caso il lavaggio dell’operatore con prodotti disinquinanti dopo l’immersione e prima della svestizione. 5.5.3. IMMERSIONI SOTTO NAVI ALL’ORMEGGIO Può accadere in acque portuali che lavori di dragaggio o prove di eliche portino alla scoperta di materiale archeologico, per cui si programma un’immersione al di sotto o vicino una nave. In tal caso dovranno essere attivate le seguenti procedure e manovre di sicurezza: - informare la Capitaneria di Porto della necessità dell’immersione e quindi della totale sospensione delle attività portuali in quell’area; - con ordinanza della Capitaneria e insieme al Comandante o graduato della Capitaneria, il responsabile delle immersioni comunicherà al Comandante (o pari grado) della nave la cessazione delle attività per il tempo necessario ai rilevamenti e quali apparecchiature della nave vadano messe in sicurezza: timoni, eliche, assi, prese e scarichi in mare; - il responsabile dell’immersione, presente un rappre- 125 Capitolo 5 sentante della Capitaneria, farà richiesta al Comandante della nave di essere informato quando sarà possibile iniziare le operazioni subacquee; - quando pronti, la nave innalzerà i segnali appropriati ed informerà ogni 30 minuti il personale di bordo che si stanno svolgendo operazioni subacquee; - alla fine delle operazioni il responsabile delle immersioni, previo avviso alla Capitaneria di Porto, comunicherà al Comandante della nave la fine delle operazioni subacquee; - assicurarsi che vi sia fondale sufficiente per l’operatore subacqueo dalla chiglia della nave e che non vi sia risacca e che la nave sia adeguatamente ormeggiata. In questo tipo di operazioni sono consigliabili gran facciali alimentati dalla superficie o altrimenti SCUBA con cima e imbracatura di sicurezza. I subacquei dovranno essere protetti adeguatamente dall’eventuale strofinio contro la carena. 126 Assicurarsi che l’ombelicale e/o la cima guida non si incastri contro i parabordi della banchina, nella timoneria, negli assi ed eliche della nave. Conviene effettuare l’immersone in coppia o con imbarcazione appoggio che tenga sempre libero il cavo. Il subacqueo sotto la nave deve essere munito di torcia in quanto la visibilità sarà sicuramente pessima. Stabilire durante la riunione preliminare pre-immersione i punti di riferimento dello scafo e come verrà condotta la ricognizione. Assicurarsi che la discesa e la risalita del subacqueo non avvenga fra lo scafo e la banchina ma da un punto d’acqua libero e ben delimitato. 5.5.4 – IMMERSIONI IN CORRISPONDENZA DI DIGHE O PRESE D’ACQUA Come per i porti e le navi, tali immersioni avverranno a chiusura avvenuta dei meccanismi di presa o scarico e solamente con ombelicale, cima ed imbracatura di sicurezza. Se le diga si trova ad una al- titudine superiore ai 700 mt si dovranno adottare tabelle adatte a quella altitudine. Si vedano tabella 9-4 del U.S. Navy Diving Manual 2008 5.5.5 – IMMERSIONI IN FIUMI L’immersione sarà effettuata nel periodo di maggiore siccità e quindi di minore portata d’acqua. L’area da indagare sarà chiusa a monte da rete d’acciaio che occluderà l’intera larghezza del fiume, in maglia con diametro adeguato a resistere ad eventuali relitti trascinati dalla corrente. La rete avrà una minore parte affiorante, tesata nella parte superiore ad un cavo d’acciaio ancorato alle due rive e una maggiore parte sprofondata, zavorrata affinché rimanga in leggero bando con la corrente al fine di ammortizzare eventuali colpi di oggetti trascinati dal fiume. A valle vi sarà solo un cavo di acciaio per l’ancoraggio dei tiranti guida del subacqueo. All’interno di questa zona, su un altro cavo d’acciaio teso fra i due cavi, si assicurerà l’imbarcazione appoggio per fiancata e dalla quale gli operatori potranno farsi filare a favore della corrente e farsi poi recuperare. Lo spostamento regolare dell’imbarcazione lungo il cavo d’acciaio, a distanze prescelte, permette la scansione del fondo fluviale. Sarebbe consigliabile l’utilizzo di un solo operatore e di altri due per emergenza data la pericolosità del contesto. Un’altra imbarcazione incrocerà nell’area per qualsiasi situazione di emergenza (barca da inseguimento). Il subacqueo in immersione avrà sicuramente scarsa visibilità e un fondale irto di ostacoli; si consiglia quindi di mantenersi quanto più orizzontali rispetto al fondo per non fare da ostacolo alla corrente e muoversi lentamente in suo favore. Ricordare: la protezione del sub deve essere totale. L’ombelicale, per quanto possibile, deve essere gestito sempre ed unicamente sulla verticale del sub e MAI da riva o da altra postazione fissa rispetto ai movimenti del sub in immersione. 127 Capitolo 5 Immersione in acque fluviali con attrezzatura stagna e ombelicale di collegamento sia di sicurezza che fonico (cavo arancione) (da Mocchegiani, op. cit.). 128 L’ingresso del subacqueo avverrà da un punto a monte (imbarcazione), il suo recupero avverrà a valle tramite imbarcazione, che recupererà anche l’ombelicale e la cima guida e riporterà il subacqueo al punto di partenza. In ogni caso si dovrà avere sempre l’ombelicale e la cima guida libera, senza volte o curve non controllabili con possibilità di soccorso diretto sulla verticale del subacqueo. sa visibilità, si consiglia l’uso della muta stagna. Obbligatorio è il casco. Nel caso si tratti di ricognizione a piloni di un antico ponte il subacqueo scenderà o da una piattaforma attrezzata alla base di questo (se il punto da controllare è uno e unicamente sulla verticale della piattaforma) o da imbarcazione assicurata al ponte ma solo dopo l’installazione delle reti di protezione. Ricordare: in caso di incaglio dell’operatore in immersione MAI tirare la cima guida o l’ombelicale, si potrebbero creare situazioni complesse che mettono in pericolo la vita dell’operatore in immersione: il soccorso dovrà essere effettuato da operatori predisposti all’emergenza. Ricordare: in questo caso e solo in questo la discesa in acqua non avverrà con l’ombelicale gestito da sopra il ponte, per quanto basso sia, altrimenti qualsiasi incaglio dell’ombelicale sarebbe ingestibile con grave pericolo per l’incolumità del subacqueo. L’ombelicale sarà gestito sempre ed unicamente da imbarcazione di appoggio con relativi sub per emergenza. Poichè l’acqua dei fiumi è tradizionalmente più fredda e con maggiori problemi di scar- 129 Capitolo 5 Osservando le due figure in basso, in questa pagina e alla successiva, possiamo comprendere come si progetta una ricognizione fluviale in massima sicurezza. L’area da ricognire deve essere delimitata da due cavi di acciaio posti rispettivamente a monte e a valle. Sul cavo a monte è posizionata anche una rete di protezione per eventuali materiali trascinati dalla corrente, tenuta al fondo da adeguato corpo morto. La rete si ergerà rispetto al cavo per evitare che corpi semisommersi possano scavalcare il cavo e invadere il campo operativo. Lungo i due cavi vengono tesati i cavi di acciaio che faranno da guida al subacqueo e ai quali sono inanellati altri due cavi in fibra sintetica galleggiante (in modo che rimane in bando verso la superficie e non sul fondale) che saranno utilizzati come cime di sicurezza per il sommozzatore. Le boe rosse, scorrendo con il cavo, indicano la posizione del subacqueo. Due barche sorveglieranno l’area: una all’interno e una all’esterno (nella eventualità un subacqueo venisse trascinato dalla corrente). Ambedue le barche saranno dotate di sommozzatori di pronto intervento. La caratteristica dei fiumi è la scarsa visibilità e la estrema pericolosità dei fondali, ricchi di elementi sporgenti come Sezione dello schema di ricognizione fluviale. 130 tronchi d’albero e rifiuti di ogni genere. Il sommozzatore dovrà avere erogatore di emergenza e manometro quanto più aderenti al corpo e assicurati alla imbragatura, nulla dovrà essere lasciato in bando. In caso di pericolo abortire immediatamente l’immersione. Inoltre è consigliabile l’immersione di un sommozzatore per volta. In questo modo, se chi si immerge dovesse rimanere in- cagliato, può lanciare una boetta in superficie, come segnale per far intervenire i sommozzatori di emergenza. Questi possono scendere lungo la cima guida e liberare così il compagno. Mai tentare di liberare il sommozzatore dalla superficie strattonando la cima guida. Si possono verificare incidenti mortali. Pianta dello schema di ricognizione fluviale. 131 6. Attrezzatura SCUBA Self Contained Underwater Breathing Apparatus: sistema a circuito aperto ad aria compressa o miscele, il più adoperato per le immersioni sia sportive che professionali. Questo sistema comporta alcuni vantaggi e svantaggi: VANTAGGI SVANTAGGI Rapidità d’uso Facilità di trasporto Minima logistica di supporto Massima mobilità Poca interferenza con il fondale Poca autonomia (profondità e durata) Affaticamento respiratorio Relativa protezione fisica Soggetto alla corrente (se non sagolato) Mancanza di comunicazione vocale I limiti di intervento con lo SCUBA sono posti entro i 40 metri con bibombole, con corrente massima a 1 nodo e squadra subacquea minima di 4 persone (due sotto e due sopra) con imbarcazione di assistenza e recupero. L’attrezza- tura SCUBA deve essere utilizzata solo in spazi aperti e non in ambienti chiusi per dare la possibilità al subacqueo, in caso di blocco dell’alimentazione, di una risalita rapida controllata (non pallonata). Attualmente però le scuole spor133 Capitolo 6 5 tive addestrano all’uso del monobombola, non del bibo ed esclusivamente con il GAV nonostante la sua pericolosità. I subacquei dovrebbero essere addestrati ad immersioni senza GAV o quanto meno a GAV sgonfio. L’attrezzatura SCUBA in archeologia subacquea è quella più adoperata. Manca ancora un addestramento specifico all’uso di mascheroni gran facciali per cui spesso si intraprendono operazioni con attrezzatura SCUBA solo per- chè l’operatore non è in grado di adoperare attrezzature più complesse. Ricordare: ognuno è responsabile della cura e manutenzione dell’attrezzatura personale e ogni problema tecnico va segnalato al coordinatore e all’assistente tecnico. Di seguito parleremo dell’attrezzatura SCUBA di base per un lavoro di ricognizione in acque tra i 10° e 20°. MUTA UMIDA ---------------------------------------------------La muta umida serve al sommozzatore sia come protezione del corpo che, soprattutto, per evitare la dispersione di calore. Questa in acqua è dalle 20 alle 25 volte superiore che in aria, per cui un lavoro in acqua a 25° a corpo nudo, oltre ai danni all’epidermide per il contatto con il fondale o con agenti taglienti o pungenti, provoca reazioni dovute alla 134 dispersione di calore. Tali reazioni comportano tremori (brividi), perdita di coordinamento, offuscamento delle reazioni emotive, torpore: l’ipotermia a lungo andare in soggetti particolari può portare alla morte. Le mute umide oggi sono in diversi modelli e spessori tali da poter essere adoperate sia in acque fredde (10°) che calde (30°). La muta deve essere scel- Subacqueo in immersione tra gli scogli. ta in base all’uso che si farà e non alla sua bellezza. Tendenzialmente conviene usare una muta monopezzo di 7 mm con temperature fra i 18 e i 30°; arrivando alle mute a maniche corte per lavori in bassi fondali d’estate. Queste ultime tuttavia hanno il difetto di non proteggere convenientemente il corpo, soprattutto se si lavora vicino a strutture o scogliere. L’importante, nello scegliere il modello di muta, è riferirsi alla temperatura al fondale e non alla superficie in quanto vi è sempre uno scarto di diversi gradi. In caso di freddo intenso o disagio fisico si possono ado135 Capitolo 6 5 perare anche sottomuta a bretelle, a mezzemaniche o a maniche lunghe e pantaloncini. La muta deve essere l’alloggiamento che protegge e riscalda il corpo, facendolo stare bene in acqua e permettendogli di operare senza preoccupazioni o sensazioni sgradevoli. Particolare protezione deve essere rivolta alla nuca, sede dei centri nervosi, per cui mute senza cappuccio possono essere accettate ma solo integrandole (in acque fredde o immersioni prolungate) con cappucci staccabili o corpetti con cappuccio: ricordarsi che proprio dalla testa avviene la dispersione del 75% ca. del calore. PROTEZIONI AGGIUNTIVE ---------------------------------------La muta può avere parti imbottite in punti di maggior usura quali ginocchia, gomiti e spalle. Altrimenti conviene provvedere con adeguate ginocchiere. Nel caso siate sprovvisti di queste ultime e il lavoro le richieda, si potrà anche ricorrere a vecchie camere d’aria d’auto che, tagliate adeguatamente, proteggeranno le ginocchia in maniera egregia. Elemento importante sono anche i guanti. La mano non protetta adeguatamente disperde calore, quindi si intorpidisce e perde tattilità e destrezza, elementi fondamentali 136 per chi lavora sott’acqua. In caso di lavori leggeri (ricognizioni) o temperatura intorno ai 20° si possono adoperare guanti in neoprene; per temperature inferiori muffole a tre dita poco pratiche in caso di lavoro. Durante lo scavo l’uso di guanti di protezione è obbligatorio onde evitare ferite e giorni lavorativi persi. Poiché il neoprene tende ad usurarsi facilmente con i detriti dello scavo, conviene usare guanti leggeri da sub (in genere gomma e tela) a cui sovrapporre robusti guanti da lavoro in pelle (quelli generalmente usati sui cappuccio respiratore secondo stadio dell’erogatore maschera imbracatura pompa primo stadio dell’erogatore valvola della pompa tubo dell’aria boccaglio cintura per zavorra valvola di spurgo giubbetto equilibratore portastrumenti bombola ad aria compressa termometro erogatore d’emergenza manometro guanto profondimetro muta pinna calzare spatola scarpetta costolatura Dal Dizionario Visuale Zanichelli 137 Capitolo 6 5 cantieri edili). Il doppio guanto (aderente il primo, più largo il secondo) permetterà di operare in modo che anche se i detriti dovessero entrare fra i due strati non abradano la pelle delle mani. Se si avrà cura di risciacquare il guanto in pelle dopo ogni immersione questo durerà a lungo. Altro elemento di protezione fondamentale sono i calzari; per l’attività da svolgere in acqua (lavorativa e sportiva) sono consigliabili quelli a scarpetta con suola prestampata. Ciò permetterà all’operatore in immersione di muoversi protetto sia in acqua che fuori ove spesso si opera in ambienti pericolosi (banchine portuali, depositi, spiagge, scogliere). Ricordare: tutti questi strumenti sono d’uso strettamente personale e vanno risciacquati in acqua dolce dopo ogni operazione. MUTA STAGNA --------------------------------------------------Attualmente vi sono tre tipi di materiali con cui sono fatte: - schiuma di neoprene, che è lo stesso materiale delle mute umide; come vantaggio presenta una buona vestibilità, non richiedono sottomuta. Tuttavia la natura stessa del materiale le rende soggette ad una maggiore usura; - neoprene precompresso, simile alla precedente ma più resistente; - tessuto ricoperto tipo poliure138 tano o gomma. Sono indubbiamente più ingombranti e devono essere indossate con sottomuta (orsetto). Tuttavia sono più elastiche e più facili da indossare e sono l’ideale per lavori prolungati in acqua fredda e fondali accidentati. La muta stagna deve essere adoperata con particolare attenzione, lavata accuratamente all’esterno con acqua dolce dopo l’uso e riposta solo quando è perfettamente asciutta. La conservazione va effettuata in modo che la muta non subisca grosse piegature e torsioni, in ambiente asciutto e buio e ricoprendo con talco (e non borotalco che corrode) le parti in lattice (collare e polsini). La cerniera va ricoperta con paraffina e tenuta sempre in perfetta efficienza. Le valvole vanno accuratamente risciacquate per evitare incrostazioni di salsedine che le possano intasare. Ricordare: l’uso e la manutenzione della muta stagna è strettamente personale. La muta stagna è uno strumento di lavoro ottimo per le sue caratteristiche di conforte- volezza e rappresenta anche un buon investimento, purché sia fatto oculatamente e avendo uno scopo. Il suo uso presuppone un certo allenamento; ad esempio abituarsi ad uscire da posizioni inusuali, con i piedi in alto, può salvare la vita. La muta stagna, soprattutto se associata a mascherone gran facciale e guanti stagni, serve a proteggere oltre che dal freddo, anche dall’inquinamento. Ricordare: la muta stagna è uno strumento delicato da adoperare solo dopo aver acquisito pratica e dimestichezza con esso. 139 Capitolo 6 5 Come indossare una muta stagna 1 – Mettere sempre sotto un indumento caldo (orsetto o un robusto pile) 140 2 – chiudere bene la lampo posteriore sempre con la collaborazione di un altro sub e controllando che alla fine venga dato un colpo secco che garantisca una chiusura stagna. 3 – indossare la consolle con bussola e computer. In questo caso la consolle è artigianale, fatta su misura per il braccio del sub con una lamiera di alluminio sagomata e con l’allogiamento per la bussola ricavato con due elementi in ottone e bullonati sulla consolle. 141 Capitolo 6 5 4 – indossare le cavigliere assicurandosi che siano ben allacciate 5 – indossare la cintura con i piombi. 142 6 – dopo aver messo le pinne, indossare le bombole sempre con l’aiuto dell’assistente. 143 Capitolo 6 5 In conclusione per le mute si può dire che la scelta del modello dipende soprattutto dalla funzionalità e praticità in riferimento al lavoro da effettuarsi. Il colore non è importante, anche se un colore vivace permette una più facile individuazione del sommozzatore in superficie. La muta va scelta in base: - al lavoro da effettuarsi (se è in curva o no, con sforzi prolungati che inizialmente scaldano ma alla lunga disperdono calorie) - al tipo di fondale (sabbioso, con scogli, coralli ecc.) - alla temperatura dell’acqua - alla profondità (un lavoro a 30 mt con acqua a 13° comporterebbe l’uso di una muta stagna) - alla durata (se è un’immersione in curva o fuori curva) - condizioni meteorologiche (caldo esterno e temperatura bassa al fondale = muta stagna = caldo interno = da indossare all’ultimo minuto; oppure muta umida = freddo al fondale ma bene per l’esterno = sottomuta di protezione). EROGATORI ------------------------------------------------------È obbligatorio l’uso del doppio erogatore con due primi stadi indipendenti (non l’octopus) soprattutto in immersioni in grotta, ambienti chiusi, relitti. Nel caso che uno stadio vada in erogazione continua, chiudendo il primo si può utilizzare sempre il secondo erogatore indipendente. 144 Ricordare: l’erogatore è d’uso, manutenzione e responsabilità strettamente personale e va risciacquato dopo ogni uso con acqua dolce. La scelta dell’erogatore è un fatto soggettivo ma è consigliabile uniformare la scelta al fine di avere pezzi di ricambio per un solo tipo di erogatore, anche per più operatori, a seconda del tipo di lavoro (acqua pulita, fangosa, grotta). Nell’eventualità di interventi in acque ricche di sedimenti è consigliabile l’uso di un erogatore “meccanico” a pistone bilanciato, di facile manutenzione e in grado di funzionare sempre. Se invece bisogna intervenire a profondità relative (40/50 mt) conviene adoperare erogatori a membrana bilanciati che permettono di operare con buone quantità d’aria evitando problemi di affanno. L’attacco DIN è consigliato in ogni caso ma in particolare per interventi in grotta, spazi limitati (scafi, relitti), sotto carene di navi (se non si usa il narghilè). In questi casi è consigliato l’uso di una ingabbiatura metallica di protezione ai primi stadi degli erogatori e alle rubinetterie della bombola. BOMBOLE --------------------------------------------------------Ci sono diverse tipologie: monobombola da 10, 12, 15 lt e bibombole sino a 20 lt, sia in acciaio che in alluminio. Le prime sono preferibili in quanto una volta vuote non hanno la tendenza a galleggiare. Sia il mono che il bibo devono essere dotati di rubinetterie d’attacco doppie per poter installare doppio erogatore indipendente. La bombola dovrà essere in perfette condizioni, senza tracce di os- sidazione, bolle sotto la verniciatura, con i collaudi aggiornati e impresso con la punzonatura. Non debbono mai essere caricate oltre il limite consentito. La bombola deve essere assicurata al subacqueo tramite spallacci tecnici dotati di ganci e cinghie che permettono all’operatore di assicurarvi attrezzi utili durante l’immersione. La bombola carica va ob145 Capitolo 6 5 bligatoriamente stoccata in orizzontale, leggermente inclinata verso la rubinetteria e in posto fresco, ma non umido, per due motivi: 1) la caduta di una bombola carica posta in verticale potrebbe provocare l’esplosione della rubinetteria con pericolo di ferite mortali; 2) per evitare che la condensa, accumulandosi sul fondo provochi ossido che porta alla corrosione (cancro) dell’acciaio, in un punto difficilmente raggiungibile per la sabbiatura. A bordo dell’imbarcazione lo stoccaggio verticale è possibile purchè in appositi alloggiamenti chiusi con cinghie e/o catene. Ricordare: la bombola carica non va mai posta al sole; il calore induce la dilatazione dei gas e potrebbe provocare l’esplosione della bombola. L’immersione finisce quando l’aria nella monobombola raggiunge le 34 ATA (500 PSI) o nel bibombola le 17 ATA (250 PSI). Le bombole possono essere dotate di riserva (valvola J) o senza valvola di riserva (valvola K). In questo caso, quello più in uso attualmente, il subacqueo sarà dotato obbligatoriamente di manometro. MASCHERA ------------------------------------------------------Dovrà essere di gomma morbida e luminosa con adeguato campo visivo (esistono modelli con tre e sei lenti o con lenti a goccia che ampliano inferiormente il campo visivo). La scelta della masche- 146 ra è individuale e varia da soggetto a soggetto, per cui è necessario provarla tenendola sul viso e inspirando leggermente col naso: se si mantiene è adatta. MASCHERA GRAN FACCIALE -----------------------------------Oltre ad un buon addestramento, richiede un’adeguata fonte d’aria (eventualmente anche dalla superficie) ma in compenso permette una buona operatività specialmente in acque inquinate, fangose o fredde (soprattutto se in combinazione con la muta stagna). Questa maschera può essere dotata di kit con interfono di superficie o di apposita radio ricetrasmittente in grado di far comunicare i subacquei fra loro e/o con la superficie. Dato l’obbligo del doppio erogatore, il subacqueo deve essere dotato di fonte d’aria indipendente (bombola con erogatore. Sia in caso di alimentazione indipendente che dalla superficie, sarebbe buona norma dotare il subacqueo di maschera in caso di rottura del gran facciale. Questo può evitare traumi e stress all’operatore che altrimenti sarebbe costretto ad una risalita di emergenza in condizioni di difficoltà accentuate. Nel caso di rifornimento d’aria dalla superficie, il subacqueo sarà dotato di braga con sagola di sicurezza alla quale sarà assicurata anche la manichetta dell’aria. La sagola sarà collegata alla braca con moschettone d’acciaio con chiusura a vite. Ricordare: per ambedue le maschere controllare che la gomma sia sempre morbida, non screpolata e che il cinturino sia elastico. G.A.V. – GIUBBETTO AD ASSETTO VARIABILE ------------------Il suo uso deve essere effettuato solo dopo un adeguato addestramento che preveda anche l’immersione senza di esso o con una sua eventuale avaria. Il GAV non deve essere utilizzato come fattore di spinta per la risalita 147 Capitolo 6 5 e deve essere dotato di valvola di sgonfiaggio automatico in caso di sovrapressione. In acque basse (da -1,00 a -3,00) può anche non essere adoperato in quanto potrebbe impacciare. È sconsigliato l’uso con la muta stagna. In ogni caso il suo utilizzo è decisamente soggettivo e legato al- l’acquaticità ed esperienza del subacqueo. Ricordare: dopo l’uso il GAV va risciacquato con acqua dolce anche all’interno e, una volta asciutto, depositato leggermente gonfio (per evitare che le pareti interne della sacca si incollino fra loro). CINTURA DI ZAVORRA -------------------------------------------Deve essere in materiale sintetico (nylon) affinché non marcisca, con fibbia (possibilmente in acciaio) a sgancio rapido, azionabile con una mano sola. La cintura di zavorra va posta al di sopra dell’apparecchiatura e dell’eventuale braga di sicurezza, affinché si possa sganciare rapidamente in caso di emergenza. COLTELLO -------------------------------------------------------In acciaio inossidabile immanicato in plastica e/o gomma, con vite di smontaggio. Ciò permette la separazione della lama dall’immanicatura per il lavaggio in acqua dolce. La lama deve essere robusta, con doppio o singolo taglio, con punta a scalpello o acumi148 nata. Il coltello ideale è quello con filo tagliente da un lato e seghettato dall’altro. Ricordare: il coltello deve essere affilato per assicurarsi il suo utilizzo in caso di emergenza. Il coltello va assicurato, dentro il suo fodero, o allo spallaccio o alla coscia o al polpaccio, possibilmente all’interno della gamba per evitare che si impigli. Ricordare: il coltello non va mai assicurato alla cintura di zavorra che se sganciata in caso di emergenza priva della possibilità di utilizzo del coltello. Conviene conservare il coltello smontato per evitare residui di umidità nell’immanicatura che porterebbero alla ruggine. PINNE ------------------------------------------------------------Devono essere elastiche, con una pala di adeguate dimensioni ma non eccessive (per lavorare evitare le pinne da apnea). Le pinne possono essere a scarpa chiusa o con il cinturino. In quest’ultimo caso controllare che il cinturino non sia screpolato, ancora elastico e, in generale per tutte le pinne, che la pala sia integra. OROLOGIO -------------------------------------------------------Impermeabile a prova di pressione, con ghiera contaminuti girevole in senso antiorario. Sono preferibili i modelli meccanici o automatici (ricarica con movimento) rispetto a quelli a batteria che, aperti più di frequente per la sostituzione delle batterie, possono essere soggetti a infiltrazioni. Il quadrante deve essere grande con numeri fosforescenti. Ricordare: maneggiare con cura in quanto a questo strumento è legata la durata dell’immersione e risciacquare in acqua dolce dopo l’uso. 149 Capitolo 6 5 PROFONDIMETRO ------------------------------------------------Deve essere di chiara lettura anche in condizioni di scarsa visibilità. Per una lettura più chiara sono preferibili i modelli con lancetta a quelli con cristalli liquidi; il quadrante deve essere luminescente. Ricordare: maneggiare con cura in quanto a questo strumento è legata la sicurezza della profondità raggiunta e risciacquare in acqua dolce dopo l’uso. BUSSOLA DA POLSO ---------------------------------------------Utile per la navigazione subacquea soprattutto durante la fase di ricognizione. Il subacqueo dovrà essere allenato al suo uso, soprattutto alla lettu- ra inversa attraverso l’alidada. Ricordare: risciacquare in acqua dolce dopo l’uso. COMPUTER SUBACQUEO ----------------------------------------Strumento che dà i tempi di immersione all’interno della curva di sicurezza. Da utilizzare durante una fase ricognitiva e/o di recupero rapido ma da evitare in fase di lavoro fuori curva, ove il programma e la tempistica vengono decisi prima. Questo vuol dire che ci si dovrà basare solo sulla profon150 dità e sul tempo (profondimetro e orologio), ma assodata la profondità e la quota precisa di lavoro basterà l’orologio. Ricordare di maneggiare con cura: è uno strumento molto delicato da risciacquare in acqua dolce dopo l’uso. Appendice Schema della decomposizione di un relitto su fondale piatto (da Eciclopedia Il Mare) 151 Capitolo 6 Appendice Schema della decomposizione di un relitto su un fondale inclinato (da Enciclopedia Il Mare) 152 Scheda per immersione ad aria (da US Navy, op. cit.) 153 Capitolo 6 Appendice Scheda per avaria attrezzatura (da US Navy, op. cit.). 154 Schema per condizioni meteo marine (da US Navy, op. cit.). 155 Capitolo 6 Appendice Lista condizioni meteo marine (da US Navy, op. cit.) 156 nodo piano nodo semplice nodo vaccaio nodo scorsoio nodo di scotta semplice nodo di scotta doppio nodo a margherita nodo bocca di lupo nodo parlato doppio nodo del pescatore nodo parlato semplice nodo Savoia impalmatura normale gassa d’amante gassa d’amante doppia Nodi marinari basilari dal Dizionario Visuale Zanichelli. 157 Glossario dei Termini Tecnici CESTI DA SOLLEVAMENTO --------------------------------------Contenitori in metallo di forma generalmente quadrangolare con le pareti forate. Destinati al sollevamento di grossi reperti o materiale di grosse dimensioni. Possono anche avere solo l’intelaiatura metallica e il resto de corpo costituito da una rete. Baia, Punta Epitaffio – I campagna, 1981: il cesto metallico è stato portato a bordo e sarà scaricato sul tavolaccio della selezione materiali. (Foto Centro Studi Subacquei Napoli). 159 Glossario CIME ------------------------------------------------------------Termine marinaresco che indica genericamente una corda in fibra vegetale o sintetica presente a bordo di un’imbarcazione, e con una sezione generalmente entro i 20 mm. Una corda di sezione minore, viene detta sagola, di diametro superiore alla cima sono le gòmene, utilizzate per l’ancoraggio, e i gherlini, di sezione più contenuta, utilizzati per rimorchio e tonneggio. COMPRESSORE STRADALE ---------------------------------------Sistemi “portatili” per la produzione di aria compressa ad utilizzo industriale e sono in generale equipaggiati con motori diesel e gruppi rotativi a vite ad iniezione olio. Il com- pressore deve fornire sia la pressione adeguata (psi) che un flusso d’aria/minuto che viene misurato in Piedi Cubici al Minuto (CFM) o in Litri al Minuto (L/min). CORPI MORTI ---------------------------------------------------Elementi in metallo o cemento ( o altro materiale inerte pesante) poggiati sul fonda- 160 le che servono da tenitori o come punti di ancoraggio per imbarcazioni o boe. LANCIA/SPINGARDA AD ACQUA O AD ARIA COMPRESSA ------Tubo in gomma telata con testa munita di ugello da cui fuoriesce acqua o aria compressa fornita da un compressore o pompa posta a bordo di una imbarcazione. L’acqua compressa serve per facilitare lo scavo con la sorbona ed è fornita da una pompa posta sull’imbarcazione. La manichetta ad aria compressa deve essere anche utilizzata per il sollevamento dei palloni idrostatici (vedi) o per tagliare strati di fondale eccezionalmente compatti. MANIGLIONE ----------------------------------------------------Ferro a U sulle cui branche passa un perno a vite con chiavetta. Serve ad unire pezzi di catena o la catena alla cicala dell’ancora. Detto anche grillo. PALLONI DA SOLLEVAMENTO -----------------------------------Strumento adoperato per sollevare grossi carichi dal fondale. È costituito da una sacca in tela gommata di forma sferica aperta in basso e avente in alto una valvola di sovrapressione. La parte bassa ha dei robusti cinghiaggi con anelli in acciaio e maniglione (vedi). Sono di diversa portata di sollevamento: dai 100 ai 3000 kg. Funziona sempre secondo la legge di Boyle e Mariotte: calcolato approssimativamente il peso dell’oggetto da sollevare lo si scalza in modo da evitare l’effetto ventosa del fango o della sabbia del fondale. Si collega poi all’oggetto uno o più palloni da sollevamento con robuste cime immettendo aria compressa dall’apertura in basso e avendo l’accortezza di chiudere prima la valvola su161 Glossario Baia, Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna di scavo, 1982: la sorbona viene posizionata sull’area di scavo con l’ausilio di due palloni da sollevamento. (foto Centro Studi Subacquei Napoli) periore di sovrapressione. Nel momento in cui l’oggetto inizia a staccarsi dal fondale bisogna smettere di insufflare aria (al massimo qualche piccola immissione) e attendere che inizi a sollevarsi lentamente. Il subacqueo, che non si aggancerà mai al pallone, potrà controllarne la risalita con la valvola, scaricando gradualmente l’aria se acquista velocità. Mai gonfiare il pallone al massimo o in un colpo solo: si rischia la partenza improvvisa dello stes162 so che arrivando in superficie a tutta velocità può capovolgersi e far riprecipitare tutto in basso, con grave pericolo per gli operatori subacquei. Il volume del sacco determina la sua capacità di sollevamento: un sacco da 100 litri può ad esempio sollevare un peso di circa 100 kg. Visto che per il principio di Archimede il corpo da sollevare già riceve una spinta verso l’alto pari al peso dell’acqua che sposta, un sacco è quindi in grado di portare in superficie oggetti di massa superiore alla spinta che riesce a sviluppare. A volte i palloni da sollevamento si possono sostituire con bidoni in plastica o metallo ma comporta una praticità ed una manualità non comune. Accortezze: verificare a terra solidità e tenuta del pallone e degli imbraghi, progettare bene il recupero, liberare l’oggetto dalla sabbia o fango, non passare sopra il pallone, non porsi sotto il pallone in sospensione, non agganciarsi al pallone. Sollevamento di un oggetto tramite pallone idrostatico. (Il Mare, op. cit.) Schema di ciò che accade ad un pallone idrostatico tra il fondale e la superficie. 163 Glossario PALOMBARO -----------------------------------------------------Colui che si immerge munito di un apparecchio detto scafandro. Uno scafandro si compone di un costume impermeabile di tessuto e gomma, raccordato ad un pettorale metallico munito di flangia sulla quale si fissa l’elmo. Questo è munito di vetri spessi, al fine di dare una più ampia visuale. Sull’elmo di rame, è inserito il raccordo per la manichetta dell’aria ed una valvola di scarico che il palombaro aziona con la testa. Inoltre vi sono gli scarponi di circa 15 kg la coppia e due piombi, di circa 18 kg, uno sul petto ed uno sulla schiena. La manichetta ha più strati di tela per evitare schiacciamenti e per comunicare il palombaro è dotato di un cavo, che oltre per sicurezza, serve per comunicare con la guida in superficie. 164 Palombaro mentre scende in acqua: si notano i due pesi (pettorale e dorsale) e l’attacco della manichetta all’elmo di rame (da Enciclopedia “Il Mare”, op. cit.) POMPA FLUIDODINAMICA ---------------------------------------Adatta per scavi sia in alti che bassi fondali. È costituita da una centralina idraulica e da un corpo ove è alloggiata la girante. Nelle operazioni su- bacquee l’aspirazione viene prolungata con un tubo antischiacciamento e protezione all’imboccatura per evitare l’aspirazione del subacqueo RETICOLO IN TUBI SMONTABILI --------------------------------Reticolo costituito da tubi metallici o in plastica di diver- sa lunghezza, uniti da giunti a cinque vie chiusi a vite. Giunto a cinque vie (disegno dell’autore) 165 Glossario RETICOLO PER RILIEVI IN PICCOLA SCALA ---------------------Costituito da struttura metallica (generalmente in alluminio) 1 mt x 1 mt, con cordino elastico che divide il qua- drato in un reticolo 0,10 x 0,10 mt. Utilizzato per rilievi di dettaglio. Reticolo in alluminio, con rinforzi angolari, con cordino elastico. 166 SILURO A LENTA CORSA ----------------------------------------Detto anche “maiale” era un’arma insidiosa della Marina da guerra per l’attacco ad obiettivi fissi (navi da guerra, ostruzioni). Il siluro a lenta corsa era composto da 5 parti: 1) la testa di servizio contenente l’esplosivo; 2) la testa di manovra contenente gli organi di comando; 3) il corpo cilindrico contenente la batteria accu- mulatori; 4) la coda contenente gli organi propulsione; 5) l’armatura portante le eliche, i timoni orizzontali ed un timone verticale. La testa esplosiva era avvitata alla testa di manovra; l’involucro pesava kg 68, l’esplosivo kg 260. Gli incursori erano dotati di autorespiratore ad ossigeno e muta stagna Belloni. Schema del Siluro a Lenta Corsa (S.L.C.) (da Ufficio Storico della Marina Militare, La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale, XIV, I mezzi d’assalto (Roma, 1964). 167 Glossario I mezzi venivano trasportati da sommergibili, muniti di appositi contenitori, nei pressi delle basi nemiche e guidati da due incursori sino all’obiettivo. Nel caso di una nave gli incursori portavano il “maiale” sin sotto la chiglia, ove applicava- no la testata esplosiva. Uno dei successi più importanti fu ottenuto il 19 dicembre 1941 con l’affondamento delle corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth nel porto di Alessandria d’Egitto. Il glorioso sommergibile Scirè con a poppa e prua i cilindri che contenevano gli S.L.C. (E. Bagnasco, “In guerra sul mare – Navi e marinai italiani nel secondo conflitto mondiale” (Parma, 2005) 168 SACCO A RETE PER SCARICO SORBONA ------------------------Reti, a maglia piccola, in materiale naturale o sintetico destinate ad essere aggancia- te alla parte terminale della sorbona per contenere il materiale aspirato. Baia Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna, 1982: messa in acqua di una sorbona da 200 mm. Nell’immagine si vede chiaramente a sinistra il sacco a rete fitta agganciato al cesto e le due manichette nere che portano l’aria compressa alla testa della sorbona. (Foto Centro Studi Subacquei Napoli) 169 Glossario SORBONA AD ACQUA O AD ARIA COMPRESSA ------------------Sistema aspirante per rimuovere detriti dall’area di scavo. Funziona sia ad aria che ad acqua compressa. Quella più utilizzata è ad aria compressa che funziona con l’espansione dei gas che si crea all’imboccatura secondo il principio di espansione dei gasi sottoposti a pressione (legge di BOYLE & MARIOTTE: a temperatura costante, il Baia Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna, 1982: messa in acqua di una sorbona da 200 mm. Si noti il cesto nella parte terminale della sorbona (a sinistra nella foto) e il collo flessibile della testa con l’imboccatura metallica. (foto Centro Studi Subacquei Napoli) 170 volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione cui è sottoposto). La sorbona è composta da un tubo flessibile con imboccatura generalmente di metallo, sulla quale sono innestati i tubi dell’aria compressa. Alla fine del tubo flessibile vi è lo scarico che può essere libero o gettare i detriti in un setaccio o una sacco a rete. ➠ ➠ Sorbona da 100 mm. Si possono notare l’attacco per la manichetta della bassa pressione (freccia bianca), con sopra il rubinetto a sfera e il punto di unione, con l’o-ring (freccia nera), alla quale si applica il tubo di scarico. 171 Glossario TORRETTA BATISCOPICA ----------------------------------------Apparecchio pressurizzato simile allo scafandro per grandi profondità, senza appendici snodabili per gli arti e munito solo di oblò di vetro per l’os- servazione esterna. In alcuni casi è presente un’apertura sul fondo con portello stagno per l’uscita dei subacquei. La torretta batiscopica della nave “Cycnus” del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga (da Mocchegiani, op. cit) 172 Lipari, secca di Capistello: la campana pressurizzata della nave Corsair della Sub Sea Oil Services (da BollArt, suppl. Archeologia Subacquea 3, 1985) 173 Glossarios Bibliografia essenziale Enciclopedia “Il Mare” (Novara, 1971) Manuale d’immersione – US NAVY DIVING MANUAL (Trieste, 1998 ed. it.) F. Chiesa “Animali marini pericolosi” (Formello, 2002). Descrive sia i pericoli dovuti alla flora e fauna sia i rimedi. Da leggere. 174 Indice Prefazioni .......................................................................... pag. 5 Introduzione .................................................................... pag. 21 Capitolo 1 Breve storia della tecnica subaquea applicata all’archeologia ....................................................... “ Bibliografia essenziale .......................................................... “ 25 48 Capitolo 2 L’archeologia subaquea e la legislazione sui Beni Culturali ...................................... “ Bibliografia essenziale .......................................................... “ 51 56 Capitolo 3 L’approccio territoriale .......................................................... “ 57 Capitolo 4 Tecnica e sicurezza dell’immersione a cura di Sabrina Conte ........................................................ “ 75 Capitolo 5 Il cantiere di scavo ................................................................ “ 89 Capitolo 6 Attrezzatura SCUBA ............................................................. “ 133 Appendice .............................................................................. “ 151 Glossario dei termini tecnici ................................................. “ Bibliografia essenziale............................................................ “ 159 174