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Archeologo subacqueo e navale, O.T.S. (operatore tecnico subacqueo), collabora
dal 1980 con Ministeri, Soprintendenze, Enti locali, Aziende ed Istituti Scientifici per
progetti nell’ambito dei Beni Culturali. Ha tenuto seminari presso Istituti Universitari
sempre sulle tematiche della navigazione antica e dell’archeologia subacquea , quest’ultima connessa anche alla sicurezza nel lavoro subacqueo.
Ha partecipato e diretto scavi sia a terra che subacquei tra cui quello subacqueo della via Herculanea a Baia che ha messo in luce un largo tratto della strada romana e degli edifici annessi.
Oltre all’attività di ricerca sul territorio si occupa di analisi di contesti archeologici sommersi riferiti ai traffici e commerci nel bacino del Mediterraneo antico, pubblicando articoli scientifici e monografie sulle navi greche e romane e sulle ancore antiche. Collabora con la RAI, per la preparazione di programmi scientifici (Superquark ed Ulisse).
Coproduce inoltre documentari scientifici come “Operazione Gaudo” e “I costruttori di navi” con il regista Carlo Cestra.
Archeologia subacquea
FILIPPO AVILIA
F. Avilia
Questo manuale è una guida tecnica per gli archeologi sulle cose da fare e
non fare quando si va sott’acqua. Si basa sull’esperienza diretta dell’autore
come direttore di cantiere archeologico subacqueo.
Egli innanzitutto invita alla prudenza poiché la maggior parte degli incidenti
è legata alla leggerezza e ricorda che non vi è alcuna scoperta che valga una
vita umana o un invalido.
Essenziali sono dunque l’acquisizione di una buona acquaticità, un brevetto
da sub di secondo grado, visite mediche annuali e perfetta manutenzione dell’attrezzatura subacquea.
Questo volume è un “memento” delle cose più utili da effettuare prima, durante e dopo un’immersione, e fornisce consigli su sistemi e tecnologie, su come operare in ambienti particolari e dove prestare maggiore attenzione. Un
manuale senza eccessivo ingombro, da portare con sé in qualsiasi situazione.
Filippo Avilia
Manuale tecnico
EAN 978-88-88623-14-6
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788888 623146
Valtrend
€ 18,00
Valtrend editore
Filippo Avilia
Archeologia subacquea
Manuali tecnici
Valtrend editore
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Archeologia subacquea
di Filippo Avilia
EAN: 978-88-88623-14-6
Con il contributo di Sabrina Conte,
della Scuola Marco Polo,
sulla tecnica e sicurezza in immersione
© Valtrend editore 2014
Collana Manuali Tecnici, n. 1 - II edizione
www.valtrend.it - info@valtrend.it
Impaginazione e grafica:
Mara Iovene e Mario Marotta
Immagine in copertina:
Gianni Roghi in un momento di lavoro sul relitto di Spargi. Foto di Gianni Roghi tratta dal sito www.gianniroghi.it
L’editore si scusa per eventuali omissioni o errori e rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto per quanto è di sua competenza; assicura inoltre di apportare le dovute correzioni nelle prossime
ristampe in caso di cortese segnalazione.
Prefazioni
a cura di:
Paolo Caputo
Antonio Sisti
Pippo Cappellano
Armando Conte
Luca Attenni
Paolo Caputo
Ho accettato con piacere l’invito dell’amico e collega Filippo
Avilia e dell’editore Mario Marotta di presentare questo libro e,
ancora di più, ho avuto il piacere di leggerlo, perché repetita iuvant, anche quando non si è più entusiasti neofiti della disciplina.
A mio parere questo libro può sicuramente aiutare i neofiti, o
almeno non spaventarli, e per questa nuova impostazione gli sono molto grato e per più motivi:
- l’inserimento dell’argomento legislativo, al capitolo 2, breve ed
efficace, argomento spesso assente o trascurato, liquidato in poche righe o dato per scontato in altri manuali, che rimandano
ai relativi testi legislativi, e il profondo rispetto per le istituzioni,
quali Capitanerie di Porto, Forze Armate e Soprintendenze Archeologiche, il cui vero scopo è la tutela e con cui gli archeologi subacquei si trovano spesso a lavorare insieme, piuttosto
che non l’interesse per lo scoop su nuove fantastiche scoperte, che non rappresentano quasi mai la realtà del nostro lavoro, il quale di scoperte si avvale, ma spesso più semplici e valutabili a lunga durata nel tempo e nello spazio; questo giusto
atteggiamento, che evidentemente potrà dispiacere i potenziali
Indiana Jones, da cui anche la nostra società è caratterizzata,
fa inserire automaticamente all’autore l’archeologia subacquea tra gli strumenti utili e concreti della gestione del territorio;
- quello, appunto, dell’approccio territoriale all’archeologia subacquea, che chiarisce, ancora una volta, il nuovo ruolo di
questa disciplina, sempre più legata al territorio, in particolare costiero e marittimo, agli strumenti urbanistici, al rilascio di
pareri su progetti in presenza di resti archeologici sommersi no7
Paolo Caputo
ti, indiziati o verosimilmente esistenti, come si è andata configurando negli ultimi decenni, riconoscendo alle Soprintendenze il loro proprio ruolo normativo e alle figure professionali
il loro efficace contributo; mi fa piacere citare, in particolare,
quanto dall’autore scritto a tal proposito: “Lo scavo, sia a mare che a terra, non si deve fare in fretta o per trarne benefici
economici o di gloria… Mai effettuare scavi, o meglio buchi,
solo per vedere cosa c’è sul fondo, se ci sono statue o se c’è del
legno del relitto (anche perché se il carico è ancora in sito…),
magari giustificando con la scarsezza del finanziamento. Bisogna fare ciò che è giusto scientificamente e ciò che si può ottenere con quel finanziamento (soprattutto se scarso). Anche
solo un buon rilievo o un’adeguata copertura fotografica possono considerarsi un ottimo risultato dal punto di vista scientifico e per la conoscenza preliminare di un sito. Purché i dati
siano poi pubblicati (altra nota dolente dovuta spesso all’inerzia di numerosi colleghi che lasciano inevasa la pratica del pubblicare, come se non valesse la pena). Al fine di realizzare una
buona campagna di scavo il coordinatore deve far chiarezza
in se stesso su cosa si vuole ottenere con un determinato finanziamento. Le frustrazioni o i sogni di gloria vanno curati in
altre sedi”.
Mi fa piacere citare l’autore perché condivido assolutamente questo modo di procedere, sia per l’archeologia terrestre, ma
ancora di più per quella, più onerosa, subacquea e perché sento quanto detto come se lo avessi scritto io stesso, se solo penso
alla pratica quotidiana della mia professione di archeologo, che
ogni giorno mi pone davanti a scelte da fare a terra e a mare, le
stesse che spesso è tenuto a proporre un professionista esterno,
che operi in tutta onestà.
Mi fa ancora più piacere rimandare a quanto dall’autore descritto a proposito delle modalità di immersione ed esplorazione in grotta, spesso effettuata senza le necessarie norme di sicurezza da improvvisati quanto incoscienti “istruttori”, applicando le quali si eviterebbero molte morti inutili, di cui anche
recentemente ha di nuovo parlato la cronaca nazionale.
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Questo testo, in definitiva, quale manuale tecnico non può e
non deve intendersi come una “scorciatoia” per operare come
archeologo subacqueo, bensì, a parere di chi scrive, come utile
strumento per un primo basilare approccio alla pratica ed alla
tecnica subacquea. Come tale, esso permette all’autore di tramandare il suo sapere pratico, che ogni giorno ci sforziamo tutti di affidare a chi sul lavoro ci circonda e ci condivide, ma soprattutto è un’opera di chi lavora senza presunzioni, né deliri di
onnipotenza, ma umilmente, come sempre si dovrebbe fare, e
con la prudenza sul campo, che il caso richiede.
Nel trattare, inoltre, di attrezzatura e strumentazione, accompagnati da avvertenze e consigli pratici, avverte quanto l’uso
dell’una e dell’altra non sia un fattore accessorio qualsiasi, ma
un mezzo vitale per un corretto approccio dell’archeologo alla sopravvivenza in ambiente subacqueo, come una sorta di seconda
pelle, dato che si acquisisce solo dopo una lunga pratica.
Mi unisco a lui per ricordare anch’io con affetto persone e amici noti a entrambi, alcuni dei quali purtroppo scomparsi e lo ringrazio per aver citato i lavori del 2006-2008 realizzati, a mia cura, a Punta Epitaffio, per la realizzazione del Parco Sommerso
di Baia, ai quali anche Filippo ha partecipato.
Paolo Caputo
Archeologo Direttore Coordinatore del MIBACT, SBA-NA
Funzionario Responsabile: dell’Ufficio per i Beni Archeologici di Cuma,
delle Aree Marine Protette-Parchi Sommersi di Baia e Gaiola,
del Gruppo Archeologico Subacqueo della SBA-NA
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Antonio Sisti
L'archeologia, vale la pena ricordare, è la scienza che studia
le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con
l'ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l'analisi delle tracce materiali che queste hanno lasciato.
Il Mediterraneo, il Mare Nostrum dei latini, è sempre stato
percorso dalle navi dei popoli che vi si affacciano, determinando: relazioni commerciali, scambi culturali e purtroppo anche
ostilità.
Le rotte percorse in questo mare, specialmente nel passato
anche e ancor prima che i Romani vi e-stendessero il loro dominio, erano considerate più sicure delle vie di terra: i mercanti vi affidavano le merci e gli uomini di avventura e di cultura
le utilizzavano per i loro viaggi.
Se le rotte marine riparavano dagli imprevisti di terra, le imbarcazioni antiche per quanto di buona fattura non disponevano della tecnologia e degli strumenti necessari per affrontare le
tempeste causa spesso di affondamenti. A questo, nel corso dei
secoli, si devono aggiungere i relitti affondati per cause belliche o da aggressioni piratesche e/o corsare.
La ricerca dell’archeologo subacqueo si rivolge anche a ciò
che rimane dei manufatti delle civiltà che a causa degli inabissamenti naturali, come i fenomeni di bradisismo nella area di
Pozzuoli, ven-gono nascosti e conservati.
L’archeologo si pone come ponte tra passato e presente.
La Lega Navale Italiana che per statuto ha la diffusione dello spirito marinaro, rivolgendosi in primis ai giovani, pone altresì
particolare impegno alla tutela dell’ambiente marino e alla partecipa-zione dei soci/cittadini allo sviluppo e al progresso di tut10
Antonio Sisti
te le forme di attività che hanno nel mare il loro campo ed il loro mezzo di azione.
Questo manuale si inserisce in pieno al contesto delle finalità associative in termini di tutela, sicu-rezza, tradizioni marinare e colma un vuoto anche professionale per chi si avvicina all’attività su-bacquea con l’occhio rivolto al passato cercando nel
contempo di non perturbare più di tanto l’eco sistema marino.
La Sezione di Fiumicino della Lega Navale Italiana è onorata di annoverare tra i suoi soci l’autore, archeologo navale ed
esperto subacqueo, ed è lieta di promuovere e sostenere questo manuale ricco di utili consigli per chi si immerge con l’obiettivo di ricercare reperti o impiantare un cantiere ar-cheologico
subacqueo.
Ma un manuale pratico, specifico per questa attività che coniuga sapere storico e conoscenza del mare, non sarebbe completo se tra le sue righe non trasparisse anche un messaggio di
prudenza, la maggior parte degli incidenti è legata a leggerezza ed è bene ricordare che non vi è alcuna scoperta che valga
una vita umana o un invalido.
Buon vento
Antonio Sisti
Presidente Lega Navale Italiana Sezione di Fiumicino
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Pippo Cappellano
La prefazione, come ha detto qualcuno, è una cosa che si scrive a libro finito, che si mette prima e che a volte non si legge né
prima né dopo. Tuttavia scrivere la prefazione del libro di Filippo Avilia “Manuale Tecnico per L’Archeologo in immersione”
ha il fascino irresistibile di un’esplorazione subacquea, ed io non
mi sono mai tirato indietro al cospetto di un viaggio esplorativo.
Oggi il nostro approccio verso il mare è sempre più tecnologico. L’esplorazione del pianeta Terra si è spinta, sott’acqua, a
profondità impensabili solo pochi decenni fa. Batiscafi e veicoli filoguidati hanno portato l’uomo negli abissi o inviato alla superficie le immagini di un’oscurità squarciata per la prima volta da una luce artificiale. Anche un subacqueo con una buona
preparazione tecnica e con l’uso di miscele di gas può spingersi adesso molto oltre quelli che si ritenevano limiti invalicabili.
Oggi siamo in grado di esplorare e filmare ad alta profondità,
di datare reperti mediante tecniche sempre più accurate, di confrontare con facilità dati e informazioni attraverso una veloce rete telematica. Questi straordinari progressi tecnologici hanno
consentito grandi passi avanti anche nella ricerca archeologica.
Eppure, l’elemento umano rimane sempre il pilastro portante della ricerca.
George Bass, un grande archeologo subacqueo che ho avuto l’onore di conoscere personalmente, scrisse “esiste una sola
archeologia, che sia svolta a terra o sott’acqua”, e su questo siamo d’accordo, ma quando l’archeologo diventa protagonista
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Pippo Cappellano
della ricerca e dello scavo subacqueo, deve fare i conti con una
serie di problematiche, che possono mettere a rischio la sua incolumità, ben diverse da quelle di un archeologo che lavora sulla terra ferma.
Ecco che il Libro di Filippo Avilia si inserisce egregiamente
in un contesto di sicurezza in cui oggi più nulla è lasciato al caso. L’archeologo in muta subacquea è una figura moderna dell’archeologia, e dovrà misurarsi con Archimede, Boyle e Mariotte e ancor più con l’azoto.
Possiamo immergerci nei mari ad osservare le tracce dell’uomo che questi custodiscono, ma la sfida più impegnativa è
ricostruire quelle pagine di storia che gli elementi della natura,
e talvolta la mano dell’uomo, hanno cancellato prima ancora che
qualcuno potesse scriverle. Sott’acqua, anche un minimo indizio può rappresentare un tesoro, non per il valore intrinseco
dell’oggetto ma per quello che può regalare al nostro sapere. Ed
è sott’acqua che l’indagine degli archeologi compie lo sforzo
maggiore, nel ricomporre un prezioso mosaico attraverso gli oggetti ritrovati e, ancor più, cercando di immaginare con metodo
scientifico ciò che è andato perduto.
Per questa ragione recuperi incauti o atti vandalici sono un
danno ingente alla nostra Storia, poiché sottraggono al loro contesto oggetti che tratti fuori dall’acqua perdono ogni significato.
Il mare, talvolta, è il migliore custode dei propri segreti, anche di quelli svelati, quando per tante ragioni si ritiene più corretto lasciarli dove gli eventi li hanno trascinati. I nostri mari, in
questo senso, sono un vero museo sottomarino, dove si possono
osservare relitti di naufragi noti e reperti ancora avvolti nel mistero. Le acque cristalline illuminate da potenti fari, concedono
spesso una visione straordinaria dell’insieme del sito. Osservando gli oggetti che giacciono sui fondali, riprendono vita sotto i nostri occhi storie di navi e di naufragi, di navigatori esperti traditi dalle insidie di un mare ancora sconosciuto, di tempe-
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Pippo Cappellano
ste che hanno strappato all’uomo carichi preziosi e forse la vita
stessa, di battaglie condotte con un’audacia più potente delle armi. Storie che hanno avuto come teatro le vie immaginarie del
nostro mare e l’archeologo in immersione ha il difficile compito di riscriverne le pagine. Il grande pregio del libro di Filippo
Avilia è quello di coniugare un accurato quadro della ricerca archeologica subacquea con l’avventurosa storia di questa giovane branca della scienza.
Pippo Cappellano
Vice Presidente Accademia Internazionale
di Scienze e Tecniche Subacquee, giornalista e documentarista
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Armando Conte
Ho inteso contribuire con sommo piacere al presente lavoro
portato a termine dall'amico ed ex discente Filippo Avilia, di cui
si evince una profonda conoscenza e competenza archeologica, non disgiunta da quelle di carattere tecnico-subacqueo finalizzate alla tutela della salute e/o alla prevenzione antinfortunistica.
Esso ha suscitato il personale e vivo interesse anche per aver
diretto numerose operatività subacquee finalizzate ad indagini,
rilievi e recuperi in ambito archeologico condotte nell'alveo del
fiume Tevere (da Ponte Milvio fino al 22°km della Via Salaria) con
il G.S.P.I. – Gruppo Sommozzatori di Pronto Intervento "Marco
Polo" – organizzazione volontaria, ausiliaria di pubblica utilità, riconosciuta, fin dal 1970, dallo Stato Maggiore Difesa Esercito,
Marina e Aeronautica, Centro Studi per la Difesa Civile VIII Comiliter Uff.O.A.
Tale G.S.P.I. “Marco Polo”, esclusivamente formato da professionisti subacquei (O.T.S.) di conclamata esperienza o provenienti dalla Marina Militare Italiana, infatti, beneficiava fin dal
1988, di formale autorizzazione fiduciaria da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma (Dr Adriano La Regina), collaborando attivamente e proficuamente con lo S.T.A.S. – Servizio
Tecnico per l'Archeologia Subacquea – allora diretto dal Dr Claudio Mocchegiani Carpano.
È il caso di far rilevare che le attività professionali svolte dall'OTS non si limitano all'estrinsecazione di lavori subacquei, peraltro disciplinati da specifiche leggi nazionali, in ambito loca15
Armando Conte
le/portuale fino alla concorrenza delle acque territoriali, ma si
ampliano a quelli da svolgersi per fini archeologici e/o scientifici (biologi,geologi), attraverso una medesima, acquisita professionalità e titolazioni di legge.
È inconfutabile che le motivazioni che spingono l'uomo ad
operare sott'acqua lo espongono ai rischi insiti in tale attività,
qualunque ne sia il fine ultimo ed è altrettanto inconfutabile che
la professionalità subacquea di cui DEVE essere in possesso non
faccia alcuna distinzione categoriale, sia esso operatore subacqueo petrolifero, industriale, commerciale o portuale, che quello con finalità scientifiche di carattere archeologico.
Va da sé che un manuale tecnico non sarebbe completo se non
comparisse una nota specifica e prudenziale che si è inteso attuare attraverso la divulgazione applicativa delle Tabelle più
sperimentate al mondo forniteci dalla US Navy, al fine di diffondere una specifica conoscenza che realizzi una maggiore salvaguardia della vita umana, troppo spesso esposta inutilmente al
rischio di eventi invalidanti o letali.
È evidente, infatti, che a prescindere da quanto possa essere
relativo all’impiego di mezzi strumentali non esiste, e non potrà
mai esistere, una problematica antinfortunistica diversa per il subacqueo professionista o per lo sportivo o per subacquei dalle finalità scientifiche, quando essi penetrano nell’idrospazio.
Se è vero, come è vero, che la VITA – e la sua tutela – sia un
bene Costituzionale, primario ed inestimabile, appare evidente
quanto sia indispensabile che le conoscenze prevenzionali antinfortunistiche, le metodiche applicative e la professionalità da
acquisire debba riguardare chiunque penetri nell'idrospazio.
Tale idrospazio, infatti, dominio incontrastato del Dio Nettuno – con le sue ferree regole applicative – non distingue le ragioni
passionali o materiali che spingono l’Uomo nel suo Regno e che
lo hanno indotto ad entrare nel suo “dominio”.
Egli constata, soltanto, che il suo Regno viene violato, il più
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delle volte, senza tenere nella doverosa e responsabile considerazione norme prudenziali e/o regole che tale Regno impone a
chiunque.
Basti pensare al fascino ed alla irresistibile forza di attrazione
che il mondo subacqueo esercita da sempre sull'Uomo, per cui
centinaia di migliaia di persone dai sette ai settant’anni ed oltre,
democraticamente, senza alcuna distinzione di ceto sociale, per
le più diverse motivazioni, nei più vari periodi dell'anno, nella
pressochè totale maggioranza delle aree geografiche, con mezzi più o meno tecnicamente progrediti o sofisticati, sono indotti
a varcare i confini dell'idrospazio e ad irrompere in questo, turbandone la magica e solenne riservatezza.
Irruzione gioiosa – eccessivamente esuberante – ma il più delle volte attuata in maniera del tutto ignorante e, quindi, ad elevato indice di pericolo.
Va da sé che entrare nel mondo subacqueo significa passare
da determinate condizioni di vivere ed operare – e a cui siamo
abituati dalla nostra nascita (spazio terrestre) – ad altre completamente diverse come quelle "idrospaziali" con tutta la specifica
problematica che questo comporta e su cui spicca l'aspetto psicologico.
Il momento nel quale avviene tale cambiamento "spaziale" è
della massima importanza perchè gli aspetti fondamentali che ci
permettono tale ingresso non sono soltanto di carattere fisico, ma
anche psicologico e tecnico.
Una buona capacità psicofisica, infatti, risulta essere la "condicio sine qua non" per poter operare con raziocinio e sicurezza
nello spazio iperbarico bagnato.
Ma non basta da sola tale capacità!
Essa è nulla se non poggia su solide basi di cognizioni tecniche prevenzionali antinfortunistiche di Igiene e Sicurezza Operativa.
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Armando Conte
È evidente quanto una approfondita informazione, non disgiunta da altrettanta corretta formazione, siano alla base della
prevenzione antinfortunistica e, pertanto, della tutela della salute.
Non può essere sottaciuto, infine, che la conquista dei 5/6 del
Pianeta Terra sommersi dalle acque è, in tutti i sensi, una vera e
propria conquista territoriale alla quale, per le immense ricchezze che vi giacciono, è strettamente collegata la possibilità di
futura sopravvivenza del Consorzio Umano e costituisce, altresì,
un bacino di indagine archeologica del tutto sconfinato.
Detto ciò, mi commiato, con l'auspicio che il modesto contributo tecnico offerto possa migliorare, in termini di sicurezza, l'attività subacquea del settore archeologico, così magistralmente
presentata in questa pubblicazione.
Settore a tutt'oggi non adeguatamente gratificato moralmente e materialmente come meriterebbero tanti professionisti che
con la propria opera esperta, competente e disinteressata si sono, comunque, posti e si pongono, meritoriamente, all'ammirazione dell'Italia e del mondo intero.
Armando Conte
Co-fondatore e Direttore Tecnico della Scuola Professionale di Immersione
Subacquea “MARCO POLO” fondata nel 1959 da Giuliano Conte.
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Luca Attenni
In queste pagine l’autore si propone di affrontare, anche se alcune tematiche sono state toccate in modo necessariamente parziale, la questione di cosa sia nei fatti l’archeologia subacquea:
quale dovrebbe essere il suo reale scopo e di conseguenza quali mezzi dovrebbero essere utilizzati per conseguirlo al meglio.
Alla prima domanda si può rispondere con una definizione che
in realtà aumenta le dimensioni del problema: l’archeologia subacquea è una disciplina di argomento antropologico, che fonda le proprie basi su dati oggettivi di provenienza archeologica,
ovvero da scavi e da studi sulla cultura materiale. Naturalmente i confini tra l’archeologia, subacquea e non, e le altre materie
storiche e antropologiche sono spesso sfumati.
Lo scopo primario del lavoro di Filippo Avilia è quello di riavvicinare il pubblico all’ archeologia subacquea, tentando di eliminare alcuni pregiudizi e non perdendo mai di vista la serietà
e il valore scientifico delle informazioni che si intendono dare.
Da parte del pubblico degli appassionati si riscontra molto
spesso una reale attrazione nei confronti dei presunti “misteri”
dei relitti sommersi; si tratta probabilmente di una conseguenza
dell’insegnamento compendiario e corsivo al quale essa è affidata
in alcuni programmi divulgativi.
Un’attività didattica seria ha l’obiettivo di colmare diverse lacune della comune istruzione in merito (in tal modo vanno infatti
interpretati i capitoli 3-5 del volume) e dovrebbe avere la conseguenza di sfatare alcuni dei “miti” che si sono venuti a creare nella fantasia popolare un po’ per ignoranza e un po’ forse per
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Luca Attenni
un’aura di mistero e quasi di magia di cui a volte le materie archeologiche e quelle subacquee in particolare si sono rivestite,
anche a scopo promozionale. È però importante tenere sempre
presente che il rigore scientifico e la correttezza, per quanto è
possibile, non devono andare a scapito del fascino e dell’attrattiva degli argomenti che si vengono a trattare: un buon processo di divulgazione deve poter catturare l’attenzione nel momento stesso in cui dà insegnamento.
Ed è questa, a mio avviso (neofita subacqueo), la forza del presente volume che riesce a dare una visione chiara e coerente della legislazione in materia e nello stesso tempo guida il lettore entro quell’operazione che per un archeologo è compito
fondamentale svolgere dopo la raccolta dei dati: la ricostruzione
del contesto.
Per il semplice appassionato di archeologia e molto spesso anche per gli operatori dilettanti del campo, il concetto di “contesto” è una realtà sconosciuta o tutt’al più una nozione sfumata di
scarso valore pratico. Per converso, invece, l’unica garanzia di
correttezza scientifica in una trattazione archeologica specialistica è la definizione chiara del contesto in cui trovano la propria
interpretazione i dati, qualunque sia la loro origine.
Questo divario tra pubblico e specialisti a volte non viene riconciliato e, in molti casi, impedisce ai primi di avvicinarsi, nell’ottica di una cultura d’élite aperta solo a chi è in grado di raggiungerla con le proprie forze.
Ora, questo può forse essere accettabile con qualche riserva
per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche archeologiche,
ben distinte e separate da quelle divulgative, che recentemente
hanno realizzato prodotti encomiabili dovuti ad iniziative personali di studiosi di grande levatura, come è il caso del presente volume.
Luca Attenni
Direttore Museo Civico di Lanuvio e Museo Civico di Alatri
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Introduzione dell’autore
«No, qui il mondo si divideva tra coloro
che avevano e coloro che non avevano “quella cosa”.
No, qui l’idea … sembrava essere che un uomo
doveva possedere … la stoffa giusta…».
Tom Wolfe The Right Stuff (tr. it. La stoffa giusta)
La seconda edizione di questo volume vede la luce soprattutto grazie a tutti coloro che, avendo consultato la prima edizione,
ne hanno segnalato la godibilità e l’utilità. A tutti loro va dunque
la mia riconoscenza.
Ringrazio inoltre l’editore che ha riconfermato la stima nei
miei confronti, consentendomi l’aggiornamento e rendendosi disponibile a pubblicare il mio lavoro.
Il volume è stato rivisto nella veste grafica e nelle immagini; nel
testo si è aggiunto un capitolo sulla tecnica e la sicurezza in immersione e la V tabella della U.S. NAVY, curati da Sabrina Conte, Direttore Didattico della Scuola Professionale di Immersione
Subacquea “Marco Polo”.
Questi anni hanno comportato anche una mia riconsiderazione personale sulla figura dell’OTS da parte dell’archeologo subacqueo.
Erroneamente, sentendo parlare di Operatore Tecnico Subacqueo, noto anche con l'acronimo di OTS, si focalizza l’attenzione
solo sulla parola Operatore e si immagina una figura che utilizza
esclusivamente saldatrici, fiamme ossidriche, impianti portuali, installazioni offshore.
21
Introduzione
In realtà, nella sua accezione più ampia, la definizione di Tecnico ben si attaglia all’archeologo in immersione, tecnico nel suo
campo, seppure con una preparazione maggiormente orientata
verso l‘analisi scientifica.
Inoltre, al di là dell’obbligo di Legge, la qualifica professionale
di Operatore Tecnico Subacqueo (OTS) resta fondamentale per la
conoscenza delle tabelle di immersione – in particolare della V – e
per la gestione stessa dell’immersione, di natura squisitamente
personale e non delegabile.
In definitiva il brevetto OTS, (utile comunque come bagaglio
personale) è fondamentale per capire l’uso di strumentazioni e soprattutto le tecniche di lavoro in immersione ed è ben diverso dal
brevetto sportivo, purtroppo frequentemente unico supporto degli
archeologi che si immergono.
Consiglio vivamente ai colleghi, soprattutto a quelli che si avvicinano adesso all’archeologia subacquea, di acquisire un brevetto
OTS presso una scuola certificata, perché le garanzie per la sicurezza propria e degli altri non sono mai abbastanza.
Tra l’altro il brevetto O.T.S. è obbligatorio per lavori in mare, intendendo per lavori qualsiasi attività si svolga in ambiente sommerso (marino, fluviale, lacustre) anche di ricerca, con D.M. del 13
gennaio 1979 che prevede l’istituzione della categoria dei sommozzatori in servizio locale.
Ringrazio a tal proposito Armando e Sabrina Conte, rispettivamente Direttore Tecnico e Direttore Didattico della Scuola Professionale di Immersione Subacquea “Marco Polo” (Roma), della quale mi fregio di essere stato allievo, sia per la loro professionalità che
per la loro generosa partecipazione alla divulgazione della sicurezza in mare.
Questo manuale è una breve guida tecnica sulle cose da fare e
non fare quando un archeologo deve andare sott’acqua e si basa
fondamentalmente sulla mia esperienza di direttore di cantiere archeologico subacqueo e sulle conoscenze acquisite dagli esperti
sommozzatori che negli anni mi hanno affiancato. Persone come
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Pippo Cappellano, che amava dire “se la luce si spegne tu devi essere in grado di uscire dalla stanza” sottolineando così il ruolo importante dell’individuo nel programmare l’immersione e non lasciare nulla al caso o affidato unicamente agli strumenti. Ciò che
raccomando è di seguire le leggi vigenti sulla sicurezza e di adottare sempre una estrema prudenza nell’affrontare un lavoro subacqueo, valutandone bene i limiti della fattibilità.
Non vi è alcuna scoperta che valga una vita umana o un invalido.
Gli incidenti sono quasi sempre legati a leggerezza, incapacità,
spacconeria, ignoranza dei limiti e delle norme.
È raro l’incidente per problemi tecnici e quand’anche è spesso
legato ad incuria e scarsa manutenzione delle attrezzature.
Consiglio, a chi vuole affrontare il mestiere dell’archeologo in
immersione, di mantenere un buon fisico (nei limiti di madre natura), di effettuare visite mediche annuali, di tenere sempre tutti gli
attrezzi subacquei in perfetto stato e soprattutto di non esagerare,
non eccedere nelle sere precedenti un lavoro in mare: mai arrivare la mattina con la testa confusa per alcol o altro.
Il mare è un severo maestro che insegna ad essere equilibrati
con se stessi e con gli altri, per cui alla preparazione di archeologo bisogna associare sempre una buona conoscenza marinara:
venti, correnti marine, nodi, emergenza in mare e tante altre cose
che nel corso degli anni formano un archeologo subacqueo, ma soprattutto un uomo di mare.
Il lavoro in mare è anche occasione per conoscere un elemento
nuovo, pratiche lavorative e persone diverse, portandoci, a volte,
ad una migliore conoscenza degli animi umani.
Questo manuale non ha nulla a che vedere con ben altri manuali
scritti da colleghi più blasonati del sottoscritto: personalmente ritengo ancora insuperato (se non per la bibliografia) il testo “Archeologia subacquea” di P.A. Gianfrotta e P. Pomey, sia come impostazione che come metodologia.
I suggerimenti che ho dato in questo volume sono un rapido
23
Introduzione
“memento” delle cose più utili da effettuare prima, durante e dopo un’immersione.
Rapidi consigli su sistemi e tecnologie, su come operare in ambienti particolari, su luoghi e situazioni in cui occorre la massima
attenzione. È un “abecedario” maneggevole da portare con sé in
qualsiasi situazione.
Infine desidero ringraziare tutti coloro che, direttamente o indirettamente, nel corso della mia esperienza subacquea mi hanno trasmesso qualcosa di utile (l’ordine è quello della memoria e non dell’importanza): Antonio Di Stefano, Mario Rosiello, Armando Carola,
Piero Alfredo Gianfrotta, Claudio Mocchegiani Carpano, Arturo Facente, Biagio Carannante, Paolo Caputo, Amedeo Cammarota,
Antonio Scamardella, Francesco Stazio, Francisca Pallares, Nicola Severino, Mario Carotenuto, Paolo Monachello, Andrea Fogliuzzi e tanti altri dei quali non ricordo né i nomi né i volti ma che
ritrovo la loro pratica e la loro umanità attraverso i miei gesti, ogni
volta che vado in mare. Un ringraziamento a Carla Papa e Francesco Rastrelli per la loro liberalità. Un grazie particolare ad Attilio Stazio e Bernard Andreae, maestri di scienza e di vita.
Buon lavoro a tutti Voi.
24
1. Breve storia della Tecnica
Subacquea
applicata all’Archeologia
L’archeologia subacquea, intesa come ricerca scientifica, deve la sua nascita all’invenzione dell’autorespiratore ad aria, avvenuta nel 1948 ad opera di Cousteau e Gagnan. Sino ad allora questa branca dell’archeologia rimase legata a rinvenimenti
sporadici (dragaggi, recuperi casuali con reti, pescatori di spugne, palombari della marina militare) o ricerche teoriche che raramente trovavano riscontri pratici. Da allora il legame con
l’evoluzione della subacquea è divenuto indissolubile al punto
che l’archeologo operante in ambiente sommerso deve essere
anche un ottimo subacqueo. Questo perchè operare sott’acqua,
effettuare uno scavo, un rilievo, delle foto, recuperare reperti con
delicatezza e nel contempo pensare alla pressione delle bombole, alla profondità e al tempo di permanenza, comporta un coordinamento perfetto ed un affiatamento consolidato con il
gruppo.
Il Rinascimento
L’immersione ha origini storiche antichissime: già nell’Iliade
e nell’Odissea si parla di uomini in grado di nuotare sott’acqua.
Tuttavia i primi tentativi di recupero risalgono al Rinascimento
e precisamente al 1446, quando il cardinale Prospero Colonna
incaricò Leon Battista Alberti di tentare il recupero delle navi di
Nemi. Tentativo poi fallito, ripetuto nel 1535 dall’ingegnere mi-
25
Capitolo 1
litare bolognese Francesco De Marchi, con una primitiva campana “batiscopica” in legno, anche questo miseramente fallito.
Tutti questi tentativi, come la maggior parte delle ricerche antiquarie Rinascimentali, portarono solo ad un maggiore degrado delle strutture antiche; in particolare il legno recuperato
dalle navi di Nemi venne utilizzato come combustibile.
Il 1800
Solo agli inizi del XIX secolo si ha l’invenzione dei primi scafandri per palombari (ad opera del Kleingert). Nel 1895 Eliseo Borghi, proprio grazie a palombari, ma ben lungi da qualsiasi rigore
scientifico, operò dei “recuperi” dalle navi di Nemi tubi di piombo, tegole di rame dorate, pezzi di mosaico, resti della decorazione bronzea e legname che finì nei camini. Tuttavia si iniziava a
percorrere la lunga strada che avrebbe poi portato alla nascita dell’archeologia subacquea come branca dell’archeologia.
Il 1900
Infatti grazie al perfezionamento degli scafandri da palombaro si recuperarono i carichi dei relitti di Anticitera (Grecia
1900-1901) e di Mahdia (Tunisia 1908-1913), senza ancora le basi di una ricerca scientifica, ma costituirono lo spunto per nuove ricerche con l’applicazione di canoni di maggiore scientificità. Tuttavia gli scafandri da palombaro non consentivano una
grossa mobilità sul fondo e la loro pesantezza provocava un notevole danno al materiale archeologico. Lo scafandro fu utilizzato per l’ultima volta sul relitto delle colonne a Saint-Tropez
(Francia) nel 1951.
Tornando agli inizi del ‘900, pescatori di spugne recuperarono l’efebo di Maratona (Grecia 1925), il Poseidone e il fanciullo fantino dell’Artemision (Grecia 1928).
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Anni 1945/50: i palombari Sergio Fiorelli e Luigi Ambrogini durante lo sminamento del golfo di La Spezia (da Francesca Giacché Teste di rame, Formello, 2000).
1928: il recupero delle navi di Nemi
Anche se non legato strettamente all’archeologia subacquea,
intesa come operatività in ambiente acquatico, fu famoso nel
1928 il recupero delle navi di Nemi. Fu un fondamentale passo
avanti per lo studio e la comprensione dell’importanza dei relitti
antichi e del patrimonio di dati che questi conservano. Le due
navi, che poi furono identificate come le navi da parata dell’imperatore Caligola, furono recuperate grazie al prosciugamento parziale del lago sino ad una quota di -12 mt, ottenuto tramite pompe idrovore e al riuso di un vecchio emissario artificiale
romano.
Di esse (lunghe rispettivamente mt 71,30x20 e 73x22) si rinvenne lo scafo a fondo piatto, rivestito di lana catramata e lastre
di piombo, più una massa enorme di materiale archeologico pertinente le sovrastrutture dello scafo, che andavano da mosaici
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Capitolo 1
Fase dell’alaggio di una delle navi dopo il recupero (da Guido Ucelli “Le navi di
Nemi” (Milano, 1950 - Roma, 1983 rist.)
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policromi, a marmi, monete, bronzi, attrezzature di bordo, due
ancore e pompe di sentina.
Le navi furono conservate in una stupenda struttura museale costruita appositamente sulle sponde del lago ma vennero putroppo distrutte in un incendio doloso nella notte tra il 31 maggio e il 1 giugno del 1944.
Il 1930
Intorno agli anni ‘30 nel Mediterraneo Orientale, il padre gesuita Andrè Poidebard effettuava i primi rilevamenti dei porti
delle antiche città di Tiro e Sidone con l’ausilio di foto aeree, di
pescatori di spugne e palombari della marina militare francese
nonché delle prime foto subacquee. Questo segnava una svolta nella impostazione delle ricerche di siti sommersi in quanto
l’azione combinata della foto aerea e dell’indagine subacquea
completavano l’analisi archeologica che così non era più limitata
alla fascia subaerea.
L’evoluzione delle tecniche
subacquee: gli incursori
Le attrezzature subacquee e le tecniche di immersione subirono una notevole accelerazione durante il secondo conflitto
mondiale grazie alle esperienze degli incursori di varie marine
militari fra le quali in primis quelli della allora Regia Marina Militare Italiana. Anche se l’argomento potrà sembrare non pertinente con l’archeologia subacquea, è grazie a questi uomini e
alle loro prime esperienze con autorespiratori autonomi, che oggi possiamo liberamente muoverci sott’acqua.
Allo scoppio del seconda guerra mondiale l’Italia, in condizione di inferiorità come armamento navale, decise di giocare la
carta rischiosa degli incursori subacquei creando il corpo della
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Capitolo 1
Il palombaro Bargellini mentre esce dalla torretta di osservazione (L’Artiglio ha confessato, op. cit.)
Decima MAS che operava con i famosi “maiali” ovvero Siluri a
Lenta Corsa. In pratica un siluro a trazione elettrica dotato di testata esplosiva e guidato da due subacquei muniti di muta stagna Belloni a pezzo unico e respiratore ad ossigeno a circuito
chiuso con il quale operavano sino a trenta metri. Per ovviare all’avvelenamento da ossigeno, gli incursori riempivano il sacco
polmone con aria a composizione ambiente.
Una delle azioni più clamorose, fra le tante compiute, fu l’affondamento delle navi da battaglia Queen Elizabeth e Valiant
nel porto di Alessandria d’Egitto il 18 dicembre del 1941, ad opera di Luigi Durand de la Penne, Emilio Bianchi, Antonio Marceglia, Spartaco Schergat, Vincenzo Martellotta e Mario Marino, detti anche “I sette dell’Orsa Maggiore”.
Sbalorditi dalle azioni degli italiani, anche tedeschi, giapponesi ed inglesi si interessarono alla creazione di corpi di incursori subacquei. Gli inglesi soprattutto, copiando un “maiale” cat30
turato agli italiani durante un’incursione, crearono il “Chariot”,
un siluro guidato da due operatori subacquei.
Questi erano dotati di respiratore ad ossigeno a circuito chiuso; essi fecero l’errore di non valutare gli effetti dell’ossigeno a
profondità elevate, con conseguenze tragiche nelle prime esercitazioni, nonostante alcuni sommozzatori italiani catturati li
avessero messi al corrente del problema essendo più attenti nell’uso dell’autorespiratore ad ossigeno per l’esperienza acquisita in precedenza con una serie di prove. Gli inglesi avevano una
muta stagna detta “morte appiccicosa”, in un pezzo unico con
cappuccio, che aveva tra i problemi principali il freddo.
Le azioni effettuate dagli incursori italiani rimasero così uniche, sia per il coraggio dimostrato che per la novità (e pericolosità) dello strumento. Questa lunga sperimentazione fa sì che a
tutt’oggi i sommozzatori della Marina Italiana siano ancora i migliori come tecnica.
1943: Cousteau - Gagnan
In quest’anno l’ufficiale della Marina Francese Jacques-Yves
Cousteau e l’ingegnere Emile Gagnan inventarono il respiratore ad aria monostadio (il CG45), determinando un vero e proprio
salto di qualità conferendo una maggiore accessibilità all’ambiente subacqueo e una migliore agilità di approccio al sito archeologico sommerso. L’altra faccia della medaglia fu un maggior numero di saccheggi dei depositi sottomarini.
Quindi la Francia per prima effettuò ricerche in campo archeologico subacqueo: nel 1948 Cousteau e Philippe Tailliez fecero un primo ritrovamento sul famoso relitto di Madhia e poi sul
relitto di Antheor (noto come Chretienne A, Francia 1949) a 20
mt di profondità, carico di anfore vinarie tipo Dressel 1 con bolli in lingua osca della famiglia pompeiana dei Lassii, che portarono a datare il naufragio al 75 a.C.
31
Capitolo 1
L’ingegnere Emile Gagnan inventore dell’Aqualang con Jacques-Yves Cousteau
32
1950: Albenga
Anche in Italia l’innovazione dell’autorespiratore ad aria portò in breve ad esplorazioni sistematiche lungo le coste, anche se
i primi tempi furono avventurosi, basati sul coraggio e l’inventiva degli operatori subacquei e degli archeologi in superficie, che
purtroppo dettero luogo a vari incidenti di cui alcuni evoluti in tragedia. Si tenga presente che tutte le operazioni erano coordinate dall’archeologo in superficie che dirigeva i lavori basandosi su
resoconti, rilievi e foto dei sommozzatori, con tutte le incomprensioni e imperfezioni del caso.
Fu ad Albenga che, nel 1950, avvenne il primo intervento di
“archeologia subacquea” italiana. Si esplorò per la prima volta
il relitto di una nave oneraria romana giacente su un fondale di
40-42 mt. La si conosceva sin dal 1925, quando alcune anfore si
impigliarono nelle reti dei pescatori, permettendo di localizzare
il relitto.
Nino Lamboglia, archeologo e padre dell’archeologia subacquea italiana (morto tragicamente nel porto di Genova il
10/1/’77) decise di intraprendere l’esplorazione del relitto sulla
base di criteri scientifici, di pura conoscenza di una nave da carico romana e del suo carico, costituito da anfore vinarie e non
da opere d’arte.
L’operazione si svolse con la benna della nave recuperi “Artiglio II” della società italiana SO.RI.MA. Questa società, fondata
dal commendator Giovanni Quaglia, era famosa per gli eccezionali recuperi a grandi profondità sin dagli anni trenta, come
quello dell’oro della nave “Egypt”, affondata a circa 100 mt di
profondità il 20 maggio 1922 al largo delle coste occidentali francesi. La nave recuperi era l’”Artiglio”, attrezzata con le più moderne tecnologie dell’epoca e con un esperto gruppo di sommozzatori, fra i quali: Alberto Gianni (capo palombaro), Aristide
Franceschi, Alberto Bargellini, tutti altofondalisti. L’operazione,
33
Capitolo 1
dopo molte vicissitudini, riuscì
perfettamente facendo saltare
i tre ponti della nave affondata e giungendo sino alla camera blindata ove vi era l’oro.
Il 7 dicembre del 1930 la
valorosa Artiglio saltò in aria
nel porto di Saint-Nazaire
mentre recuperava munizioni
da una nave militare affondata. Morì tutto il gruppo sommozzatori e undici persone
dell’equipaggio; la nave fu letteralmente disintegrata dall’esplosione, si salvarono solo
sette persone.
Sulla base di queste esperienze venne scelta la
SO.RI.MA. ma la benna provocò danni notevoli al carico
Nino Lamboglia (in primo piano) con riportando a galla solo tritume
Giovanni Quaglia durante il recupero di di anfore. Lamboglia ne fu
Albenga (da F. Serafini “Ponte di coconsapevole, per sua esplicita
mando” (Mondovì, 2002).
ammissione, e passò ad un sistema diretto di recupero con i palombari dell’Artiglio II e fra il
1957 e il 1961 iniziò ad effettuare il rilievo del relitto, il recupero
di parte del carico (costituito da anfore vinarie Dressel 1, datate
alla prima metà del I sec. a.C.), con un saggio di scavo che evidenziò il fasciame della nave. Si recuperarono anche sette elmi
di bronzo pertinenti l’equipaggiamento di bordo in caso di attacco pirata. La nave romana era lunga 40 mt ca. e larga 10-12 mt
ca., con una capacità di carico di circa 12/13000 anfore disposte
in cinque strati sovrapposti, con una portata di 5/600 tonnellate.
34
La prima nave Artglio (da Serafini, op. cit.).
Foto dell’albero della nave di Albenga (Forma Maris, op. cit.)
35
Capitolo 1
Tra il 1952 e il 1957 in Francia, sotto la direzione dell’archeologo Fernand Benoit in collaborazione con Cousteau, si
scavò il relitto del Grand Congloué (Marsiglia). Lo scavo, come
già per Lamboglia, comportò alcuni problemi per la gestione differenziata (superficie-fondale), anche sulla stessa datazione del
relitto, riportata dal Benoit al 150/130 a.C. con la proposta di una
sovrapposizione di più relitti.
Intanto l’evoluzione e lo sviluppo delle tecniche di immersione portò alla scoperta di altri relitti sia sulla costa Provenzale che in Liguria, conducendo all’organizzazione di un primo
convegno di archeologia subacquea a Cannes nel 1955.
Qui si evidenziò sempre più la necessità di una pianificazione scientifica sia della ricerca che dell’intervento subacqueo.
Nel 1957, data storica, si fondò ad Albenga il Centro Speri-
35 Baia 1959. Sommozzatore con la tavoletta da rilievo.
36
mentale di Archeologia Sottomarina (C.S.A.S.), promosso e diretto da Nino Lamboglia. Tale centro fu la spina dorsale di tutte le ricerche subacquee svolte successivamente in Italia, del
cui interesse scientifico Lamboglia fu convinto sostenitore a dispetto di alcuni ambienti accademici.
Su queste basi nel 1959 si iniziò lo scavo di un altro relitto di
nave oneraria romana, datato al II sec. a.C., precisamente a
Spargi, Sardegna settentrionale, dove per la prima volta si applicò la quadrettatura subacquea ad uno scavo sottomarino.
Gianni Roghi, pietra miliare per la storia della subacquea, identificò il relitto su una secca a 17-18 mt, nel 1957. Il C.S.A.S. intraprese lo scavo fra il 1958 e 1959 avvalendosi del dragamine
“Daino” della Marina Militare Italiana dotato di campana iperbarica sommersa. La nave romana, larga ca. 35 mt, per 8/11 mt
37
Capitolo 1
Gianni Roghi in tre momenti di lavoro sul relitto di Spargi.
di larghezza, fu scavata parzialmente col recupero di parte del
carico (circa 300 anfore vinarie Dressel 1 più altra ceramica e
utensili vari come un’erma in marmo, una lucerna in bronzo e
un elmo con all’interno ancora concrezionata parte della calotta cranica, sintomo di pirateria) e del fasciame con il rivestimento
di lastre plumbee. Putroppo la divulgazione dei risultati portò al
saccheggio quasi totale del relitto fra il 1960 e il 1964. Fu possibile documentare solo una piccola parte degli utensili, famoso rimane il candelabro bronzeo ritrovato nello studio di un avvocato del Nord-Italia.
I giornali dell’epoca definirono il fenomeno come la “vergogna di Spargi”. Gli scavi ripresero nel 1976, ma a tutt’oggi non
sono stati ancora completati. Al II convegno internazionale di archeologia sottomarina, tenutosi ad Albenga nel 1958, si decise
la costituzione di un comitato permanente composto da francesi, spagnoli, italiani per la realizzazione e l’aggiornamento continuo di una carta archeologica del Mediterraneo occidentale,
progetto ormai quasi fallito
38
1959-1960: Baia
Negli anni 1959-60 il C.S.A.S. effettuò una delle prime operazioni storiche di rilevamento e scavo su strutture antiche sommerse.
Fu scelto il sito della città romana sommersa di Baia, nel
golfo di Pozzuoli (Napoli). Il sito era già noto per informazioni
storiche provenienti da varie fonti, convalidate da notizie di
pescatori locali e da foto aeree. L’operazione fu possibile grazie
alla solita lungimiranza di Lamboglia, ma anche all’intelligenza dell’allora Soprintendente di Napoli Amedeo Maiuri.
Baia 1960. Recupero della statua di Baios
39
Capitolo 1
Baia 1960. Rilievo delle strutture antistanti Punta Epitaffio effettuato da Nino Lamboglia.
Egli capì che la comprensione di un territorio non si poteva
fermare alla linea di battigia ma doveva proseguire sott’acqua
con un serio programma scientifico di ricerca. Il lavoro cominciò con la quadrettatura su carta della zona compresa fra Pozzuoli e Baia, prevedendo la compilazione completa della carta
archeologica dei fondali con la perlustrazione a tappeto di questi, nell’arco di costa suddetto. Ogni quadrato era di 500 mt di
lato, suddiviso in 25 quadrati più piccoli di 100 mt.
Si cominciò dal quadrato 5, corrispondente alla zona di Punta Epitaffio a Baia (dopo vent’anni la storia si ripeterà!). Il lavoro si dimostrò di estremo interesse: oltre ad una serie di ambienti
si identificò un tracciato stradale basolato per una lunghezza di
un centinaio di metri. Si affrontarono problemi inerenti il rile40
Rilievo originale di Lamboglia del 1959 nel quale, per la prima volta, è riportato
il muro occidentale del ninfeo imperiale.
vamento di strutture sommerse, coperte in gran parte da limo e
vegetazione marina. Vicino vi era il porto, uno sfascio di navi
(presente sino a pochi anni fa) e sulla zona gravava anche un impianto di coltivazione delle cozze.
Come appoggio vi era la nave “Daino”, il lavoro in immersione fu svolto da militari, studenti di architettura e personale
non specializzato. La profondità era di circa 6 mt ma le strutture si estendevano da Punta Epitaffio verso il largo per ca. 400 mt
41
Capitolo 1
Sommozzatore sul relitto di Capo Chelidonia (da G.F. Bass “Navi e civiltà – archeologia marina” (Milano, 1974).
sino ad una profondità di 10-14 mt, ove vi erano una serie di pilae in calcestruzzo di epoca romana poste a protezione della costa. Oltre al rilievo si effettuò anche un saggio di scavo in un piccolo ambiente absidato, con la realizzazione di una sorbona ad
aria compressa e l’uscita in superficie per la cernita dei materiali
in cesti di rete metallica. Questo permise di datare l’abbandono degli edifici al III sec. d.C..
Valutata l’importanza del sito sommerso del golfo di Pozzuo42
Relitto di Yassi Ada II: Bass segna con puntine da disegno bianche gli spinotti di
legno utilizzati per collegare le tavole fra loro (da Gianfrotta-Pomey “Archeologia subacquea” Milano, 1981).
li, anche come campo scuola mondiale, alla chiusura dei lavori
si decretò la nascita di una sezione del C.S.A.S. a Baia, con sede nel Castello Aragonese, alla presenza di Lamboglia, Maiuri, Attilio Stazio (ispettore archeologo) e due studenti di architettura. Alla morte di Maiuri, avvenuta pochi mesi dopo, il
Centro si sciolse senza aver avuto la possibilità di operare per
pastoie burocratiche ed accademiche.
43
Capitolo 1
Altra tappa fondamentale nella storia dell’archeologia subacquea fu lo scavo del relitto del XIII sec. a.C. di Capo Chelidonia (Turchia) e quello di Yassi Ada (fra la costa della Turchia
e l’isola di Pserimo nel Dodecanneso).
Il primo fu eseguito dall’Università di Pensylvania nel 1960,
con a capo l’archeologo George F. Bass direttamente in immersione, su una nave dell’Età del Bronzo (1200 a.C.) carico di pani di rame e giacente ad una profondità di 26-28 mt. Nei resti di
fasciame trovati, ben pochi a causa del fondale roccioso, si è riscontrata una tecnica già descritta da Omero (Odissea, V 234261, episodio della costruzione della barca di Odisseo).
Il secondo relitto fu scavato sempre da Bass con la medesima
Università nel 1964, a circa 30-36 mt di profondità e datato al 625
d.C. grazie al ritrovamento di una moneta dell’imperatore Eraclio (610-641) nel relitto.
Dagli anni ‘70 al 2000
Da questo momento in poi le ricerche e le scoperte si sono
susseguite sia in Italia che all’estero.
In Italia negli anni ‘60/’70 si scoprono i relitti alle Eolie (una
vera miniera) grazie a Roghi, Kapitan ed altri e a Giannutri, grazie ad Alessandro Olschy e Maurizio Sarra, nel 1962 si rinvenne il relitto di una nave oneraria romana del II a.C. a 35/40 mt
di profondità.
Alla fine degli anni ‘60 il Centro Sub Baia recuperò due statue sommerse di Ulisse e Baio.
Negli anni ‘70 accadde la tragedia della Secca di Capistello
(Eolie), su un relitto di una nave greca del IV sec. a.C. giacente su un fondale fra i 52 e 90 mt e che venne scavato poi grazie
alla Sub Sea Oil Services, ditta specializzata in lavori a grosse
profondità che utilizzò operatori con miscele, minisommergibile, campana batiscopica in immersione, telefoni e telecamere in
immersione.
44
Baia, Punta Epitaffio: fase di recupero della statua di Dioniso (da AA.VV. “Il ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio”, Napoli, 1983).
Si operò anche in Sicilia, a Pantelleria, dove fu recuperata una
notevole quantità di anfore puniche provenienti da un relitto depredato; a Marsala l’archeologa inglese Honor Frost, recuperò
parte di una nave punica nelle acque dello Stagnone; a Riace
Marina Stefano Mariottini recuperò i famosi bronzi.
In Francia si scavò il relitto di Cavalier, del Dramont A, della Madrague de Giens.
In Italia si istituì il Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero dei Beni Culturali, con nuclei di pronto intervento nelle Soprintendenze con specchi d’acqua di pertinenza. Si sviluppò la ricerca nel lago di Bolsena, nel fiume
Tevere, ad opera di Claudio Mocchegiani Carpano, già diretto45
Capitolo 1
re del Servizio Tecnico
per l’Archeologia Subacquea e nelle caverne sommerse.
Gli anni ‘80-’90, grazie anche a scavi subacquei come quello
del ninfeo imperiale
sommerso di Punta
Epitaffio (Baia) (1981’82), hanno visto l’archeologia subacquea
come una disciplina ormai lanciata, soprattutto all’estero, con la fondazione di speciali
istituti statali come in
Francia, ancora in via
di sviluppo, perfettaBaia 1982. Sommozzatore al lavoro con sorbo- mente adeguata ai
na da 200 mm. (Foto Mario Rosiello, Centro Stu- nuovi sistemi di ricerca
di Subacquei Napoli)
scientifica e di lavoro
in immersione.
Alla fine degli anni ’90 si scoprì il vecchio bacino portuale del
porto di Pisa con i resti di circa 10 navi romane.
La ricerca subacquea in Italia, nel 2000, ha avuto una notevole spinta grazie al progetto del Ministero dei Beni Culturali
“Archeomar”, una mappatura dei fondali italiani che ha portato alla scoperta di altri siti e relitti e che costituisce la base conoscitiva per gli organi di tutela.
Per l’archeologia navale una scoperta importante si è avuta
nel 2004 quando nell’antico bacino interrato del porto di Napoli, sono state individuate tre navi romane con parte del carico e
46
Napoli, area del Municipio: i relitti di tre imbarcazioni e i pali lignei del molo (da
Forma Urbis, X, 7/8, 2005).
del fasciame ancora in buono stato di conservazione. Fra il 2007
e il 2008 la Soprintendenza di Napoli ha condotto un progetto
di scavo e rilevamento subacqueo della Via Herculanea, nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione del Parco
Sommerso di Baia.
47
Capitolo 1
Bibliografia essenziale
David Scott “Con i palombari dell’Artiglio” (Milano, 1931): storia della nave recuperi “Artiglio” e dei suoi uomini.
David Scott “L’Artiglio e l’oro dell’”Egypt”“ (Verona, 1933; rist. Viareggio 1995): storia di uno dei più eccezionali recuperi effettuati
dall’”Artiglio”.
S. Micheli “L’Artiglio ha confessato” (Firenze, 1960, III ed.)
Ufficio Storico Marina Militare “I Mezzi d’Assalto” vol. XIV (Roma,
1964).
Desmond Young “I veri eroi degli abissi marini” (Milano, 1968): storia del lavoro subacqueo, con particolare riferimento ai palombari.
Enciclopedia “Il Mare” (Novara, 1971)
AA.VV. “Il libro del sub” (Milano, 1977): storia della subacquea, per
avere una idea delle origini e della evoluzione delle attrezzature.
P.A. Gianfrotta - P. Pomey “Archeologia subacquea” (Milano, 1981):
storia, metodologie dell’archeologia subacquea, navi, materiali trasportati. La bibliografia è datata (buona soprattutto per i vecchi rinvenimenti), ma il libro è ancora valido.
BAIA, Suppl. Bollettino d’Arte n. 4 – 1982, n. 29 – 1985, n. 37 – 38 1986:
per un panorama completo dei rinvenimenti subacquei di quegli anni.
Forma Maris Antiqui, XIII, 1982-1985
48
Guido Ucelli “Le navi di Nemi” (Milano, 1950 - Roma, 1983 rist.): storia della scoperta e dello scavo delle navi.
AA.VV. “BAIA - Il Ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio” (Napoli, 1983): storia dello scavo, delle scoperte, analisi dei reperti e restauro.
Claudio Mocchegiani Carpano “Archeologia subacquea – note di
viaggio nell’Italia sommersa” (Roma, 1986): valido per comprendere
le origini e i personaggi dell’archeologia subacquea in Italia, sino alla fondazione dello S.T.A.S.
Faustolo Rambelli “Il palombaro sportivo” (Firenze, 1996): storia dei
palombari.
AA.VV. “Le navi antiche di Pisa” (Firenze, 2000): storia dello scavo e
del restauro; buon apparato bibliografico.
Gaetano ‘Ninì’ Cafiero “Luigi Ferraro – un italiano” (Formello, 2000)
F. Avilia “Atlante delle navi greche e romane” (Formello, 2002).
Le foto di Spargi con Gianni Roghi sono tratte dal sito www.gianniroghi.it
49
2. L’Archeologia
Subacquea e la
Legislazione
sui Beni Culturali
L’Unità d’Italia
La salvaguardia dei Beni Culturali in Italia è storia abbastanza recente. Dall’Unità d’Italia sino al 1900 i provvedimenti
legislativi servivano solo a tamponare e non a controllare in maniera organica il patrimonio storico-artistico come aveva già
effettuato lo Stato Vaticano, sin dal sec. XVII, con provvedimenti
che controllavano e regolamentavano scavi archeologici, oggetti
d’arte ed esportazione dei medesimi.
Il 1900
Una nuova legge a tutela dei Beni Culturali, n. 364, fu approvata il 20 giugno del 1909: lo Stato acquisiva un ampio controllo
su tutto ciò che aveva valore storico-artistico, sulla sua mobilità,
sul controllo delle collezioni private, sulla tutela e sul diritto di prelazione nelle compravendite di oggetti d’arte. In seguito furono
emessi altri provvedimenti ad integrazione della legge precedente, tuttavia si dovrà attendere la cosiddetta riforma “Bottai”,
Ministro dell’Educazione Nazionale fascista, che promosse e condusse a termine la costituzione di due leggi fondamentali: la Legge 1 giugno 1939, n. 1089 e la Legge 29 giugno 1939, n. 1497. La
prima era per la tutela delle cose di interesse storico-artistico. La
seconda per la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, il cosiddetto bello di natura. Queste leggi sono tutt’ora in vigore.
51
Capitolo 2
La Repubblica
La Costituzione repubblicana rilanciò il tema dei Beni Culturali con l’articolo 9 della Costituzione: “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”.
Tuttavia il periodo posto-bellico si concentrò sulle opere di ricostruzione e ricostituzione dell’apparato industriale e non considerò assolutamente questo articolo della Costituzione, permettendo scempi nel nome del più spregiudicato “progresso”.
Solo negli anni ‘70 si attuerà una più seria disciplina di controllo e tutela, con l’istituzione del Ministero per i BB.CC.AA. distaccato dal Ministero per la Pubblica Istruzione. Questo avvenne nel 1974 con il governo Moro-La Malfa ad opera del
Ministro Spadolini (D.L. 14 dicembre 1974, n. 675, convertito con
modifiche mediante Legge 5/ 1975, pubblicato sulla G.U. il successivo 4 febbraio 1975).
Le Soprintendenze Archeologiche e le Soprintendenze per i
Beni Artistici, insieme ad altre Soprintendenze sono organi periferici del Ministero. Alla Soprintendenza Archeologica è affidata la cura dei beni archeologici e degli scavi.
Fatta questa premessa, l’Archeologia Subacquea, branca dell’Archeologia, della quale è una tecnica particolare che ne permette l’estensione all’ambito marino, impatta con quello che è il
diritto stesso e le leggi alle quali è sottoposto l’ambiente marino.
Occorre premettere che l’Italia è forse uno dei pochi paesi dove è possibile comperare e adoperare un’attrezzatura subacquea
senza brevetto, effettuare immersioni in un ambiente che è di
competenza del demanio marittimo e rimuovere oggetti protetti dalle autorità competenti.
L’acquisizione di un brevetto da immersione sportivo e la sua
registrazione all’atto dell’acquisto dell’attrezzatura permetterebbe un controllo maggiore delle attività subacquee e anche
una maggiore sicurezza per gli acquirenti.
52
Il caso di un ritrovamento fortuito sott’acqua risponde ad un
doppio carattere di territorialità: l’ambiente e l’oggetto.
Il rinvenimento di un reperto archeologico o di un sito sommerso (nave, porto, abitazione ecc.) ricade nella giurisprudenza corrente della legge 1089/1939, superata con il Decreto Legislativo 42 del 22 gennaio del 2004 “Codice dei beni culturali
e del paesaggio”, che tratta la disciplina dei ritrovamenti e delle scoperte. Infine la legge 157 del 23 ottobre del 2009 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo.
Si tenga presente che la legislazione vigente pone sotto la
potestà esclusiva dello Stato la ricerca archeologica.
È chiaro che quando si parla di “sottosuolo archeologico” ci
si riferisce per estensione anche all’ambiente marino, lacustre e
fluviale, sia come ricerca che come rinvenimento e acquisto in
proprietà dello Stato. Quindi, come detto, per la ricerca sottomarina e le attività connesse si applicano le norme dell’art. 88
(Attività di Ricerca) del Testo Unico e della L. 157 ma nei limiti
della territorialità delle acque.
I relitti di navi antiche ricadono nel patrimonio archeologico,
ma anche le navi “di Stato o da guerra” (Cavallo 2012, 75-76)
ricadono negli “oggetti ascrivibili al patrimonio culturale subacqueo” come riportato nella Convenzione UNESCO del 2001
e recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 5, comma 2 della
Legge n. 157 /2009.
Lo Stato può anche imporre in aree di particolare interesse
storico-archeologico vincoli ai sensi dell’artt. 1 e 3 della legge
1089/1939 e con Decreto Ministeriale del 12 luglio 1989 “Disposizioni per la tutela delle aree marine di interesse storico, artistico o archeologico”, come nel caso di siti sommersi (Baia ad
esempio). Quindi l’immersione su un sito del genere comporta
una particolare attenzione per non compromettere l’integrità dei
manufatti e l’assoluto divieto di asportazione dei reperti mobili, oltre ad autorizzazioni specifiche all’immersione.
53
Capitolo 2
Identica situazione si verifica per le aree protette dal punto
di vista naturalistico (come il parco subacqueo di Ustica) ove
l’accesso è consentito a patto di non recare danno alla flora e alla fauna e in alcuni casi interdetta all’attività subacquea, pesca
e transito (come la riserva naturale di Marzamemi).
Tornando al rinvenimento fortuito durante un’immersione
non finalizzata ad attività clandestina di recupero (reato punito), la legge 157 stabilisce (all’articolo 5) che lo scopritore deve
effettuare entro tre giorni comunicazione all’Autorità marittima
più vicina.
L’art. 90 T.U. . identifica tale autorità nel Soprintendente, nel
Sindaco o nelle autorità di Pubblica Sicurezza.
Lo scopritore inoltre, al momento del rinvenimento, è custode “ex lege” dei reperti, è tenuto a non manometterli, lasciandoli sul posto e nelle stesse condizioni di rinvenimento.
Nel caso di cose mobili (ad es. la classica anfora) di cui non
si può assicurare la custodia, lo scopritore può rimuoverla, sino
all’intervento della forza pubblica (art. 90 T.U.). In concreto, rinvenendo una o più anfore sott’acqua, il subacqueo dovrebbe posizionare la zona sulla carta nautica o triangolare dei punti a terra e riportare la scoperta all’autorità competente via radio o di
persona.
Tuttavia l’incertezza di ritrovare i reperti a volte comporta
l’esigenza, seppure come ultima possibilità, di recuperare il reperto per metterlo in sicurezza. In tal caso conviene avvertire appena possibile via radio l’autorità o in mancanza di sistemi di comunicazione, portare immediatamente il reperto alla forza
pubblica (Guardia di Finanza, Guardia Costiera, Polizia, Carabinieri).
È sconsigliabile invece segnalare il punto con boe di superficie, in caso di abbandono temporaneo del sito, onde evitare
l’arrivo di presenze estranee.
Lo scopritore fortuito di beni archeologici per legge ha diritto a un premio di rinvenimento. Questo è determinato dallo Sta54
to in un ammontare non superiore al quarto del valore della
cosa stessa (art. 92 T.U.). Chi omette la denuncia del rinvenimento e non consegna i reperti, non ha diritto al premio, incorrendo però nei rigori della legge.
Sanzioni (art. 10, legge 157): omessa denuncia, arresto sino ad
un anno e pagamento di un’ammenda da 300 a 3.090 ⇔; denuncia dopo i tre giorni sanzione pecuniaria da 250 a 2.500 ⇔; introduzione o commercio di beni del patrimonio subacqueo recuperati illecitamente, arresto sino a due anni e e multa da 50 a 500
⇔con sequestro dei beni e degli strumenti (compreso imbarcazione e attrezzature subacquee) utilizzate per il recupero e
l’esportazione. Tali norme subiscono variazioni o sostituzioni
nell’applicazione dalle norme concernenti il Codice della Navigazione (artt. 510, 511, 993 e seguenti sul ritrovamento dei relitti in mare sia navi che aeromobili; 1146 appropriazione indebita di relitti). Quanto invece concernente la truffa, l’appropriazione
indebita, acquisto di cose di sospetta provenienza, ricettazione
(sempre nella visione di beni provenienti illecitamente dai fondali) ricadono rispettivamente sotto gli artt.640, 646, 712, 648 del
codice penale. Inutile dire che ben più gravi pene subisce chi recupera esplosivi o armi (L. 895/67 e succ. mod.).
Il premio può essere assegnato sia in denaro sia in natura,
cioè parte degli oggetti rinvenuti, se lo scopritore acconsente, ed
è questo uno dei pochi casi in cui il privato cittadino può divenire legittimo proprietario di cose di interesse archeologico (sottoposte però sempre al diritto di prelazione ed obbligo di comunicazione allo Stato in caso di vendita, trasferimento
all’estero, eredità ecc.).
Il 2 novembre del 2001 a Parigi, la Convenzione dell’UNESCO, nell’appendice sulle regole concernenti il parimonio culturale subacqueo, ha stabilito principi e regole di applicazione
sugli interventi sul patrimonio sommerso.
55
Capitolo 2
Bibliografia essenziale
L. Migliorino “Il recupero degli oggetti storici ed archeologici sommersi
nel diritto internazionale”(Milano, 1984)
T. Alibrandi - P.G. Ferri “Il diritto dei Beni Culturali” (Roma, 1997, 5
ed.)
L. Cavallo “Le leggi della subacquea” (Roma, 2012) di fondamentale
importanza per districarsi e non incorrere nei rigori di legge.
56
3. L’approccio Territoriale
L’archeologia presuppone che per qualsiasi approccio o studio territoriale si debba effettuare una ricognizione preliminare. Tale ricognizione è finalizzata alla individuazione di eventuali presenze archeologiche che possono influire su qualsiasi
opera da effettuarsi nell’area indagata (es. piani di zona, impianti portuali, dragaggi ecc.) o acquisiti semplicemente come
dati conoscitivi finalizzati ad uno studio territoriale (es. carta archeologica).
Estendendo il concetto di territorio, come è giusto, alla linea
di costa e ancor di più ai fondali marini, tutto ciò che si applica
alla ricognizione terrestre si applica a quella costiera e sottomarina, intendendo per costiera la fascia di battigia, per sottomarina o subacquea sino ai limiti delle attuali possibilità di immersione (umana o con batiscafi) nelle acque territoriali. Tutto
ciò che si rinviene in acque internazionali, a meno che non si
parli di navi moderne sulle quali può esservi il diritto di recupero
con tutto ciò che consegue sulle competenze dei proprietari (se
conosciuti o ancora in vita), sia per leggi internazionali che per
comune buonsenso deve essere recuperato e studiato con il
concorso dei paesi che si affacciano su quella zona o ne sono interessati. La guerra di “corsa” o per meglio dire la “patente” di
corsaro è roba di altri tempi. Tornando alla ricognizione è evidente che ciò che cambia in mare è la modalità e gli strumenti,
gli aspetti topografico-geografici (profondità, maree, correnti superficiali e al fondale, venti, geologia delle coste ecc.).
57
Capitolo 3
Una ricognizione costiera o subacquea a fini archeologici
presuppone la stessa base di studi che si applica sulla terraferma: fonti storico-letterarie, storia degli studi sull’area, fotografia (aerea e non) e cartografia sia passata che recente, con l’aggiunta di portolani e carte nautiche (sia antiche che moderne),
tavole delle maree, delle correnti e dei venti prevalenti. Inoltre
l’impostazione della ricognizione subacquea può variare a seconda che si esegua su un sito noto (ad es. baia di Naxos) o su
un sito ex novo ove si hanno solo vaghe notizie di recuperi, come può essere un sito costiero sprofondato per fenomeni bradisismici o un relitto. La ricognizione può essere propedeutica ad
uno scavo ma può anche esistere come fase conoscitiva di un più
ampio studio su un tratto di costa.
Fatta questa premessa si illustreranno le varie fasi in cui si sviluppa una ricognizione sino a giungere alla fasi di scavo e recupero. Si illustreranno anche ricognizioni in ambienti particolari.
Si tenga ben presente però che ogni operazione in mare impatta nell’area demaniale e nelle competenze della locale Soprintendenza Archeologica: per ambedue si dovranno ottenere
le adeguate autorizzazioni con le relative supervisioni (sempre
che non sia la Soprintendenza stessa a promuovere le indagini).
3.1 La ricognizione:
studi preliminari
Questa operazione può essere eseguita da un singolo o da un
gruppo di lavoro. Nel secondo caso vi deve essere un coordinatore archeologo subacqueo sia per questa fase che per le
successive operazioni in mare. È indispensabile che la persona
sia la medesima in ambedue le fasi per evitare scollamenti fra
finalità della ricerca preliminare e fase operativa in cui il coordinatore scientifico sarà coadiuvato da un assistente tecnico.
Ambedue debbono essere di comprovata esperienza nel loro
58
specifico settore, senza sovrapposizione di ruoli. Il coordinatore deve inoltre fungere da interfaccia con l’Ente appaltante la ricerca e con la relativa Soprintendenza Archeologica, e deve
stendere la relazione finale della fase di ricerca: cosa delicata e
di estrema importanza in quanto dagli studi preliminari si potrebbe anche evincere che è completamente inutile indagare
una determinata area con risparmio economico e di tempo da
poter dedicare eventualmente ad altre aree. Bisogna sempre tener presente, nell’impostare una ricerca, che questa si può concludere anche in fase preliminare: ad es. dagli studi si può
evincere che l’area interessata si rivela completamente insabbiata sotto la foce di un fiume, completamente obliterata da una
struttura portuale o dall’erosione o avanzamento della linea di
costa, insediamenti antropici che hanno completamente sconvolto il paesaggio costiero. In pratica eventi che danno indizi sicuri di una totale assenza di presenze archeologiche.
Un altro caso di sospensione delle ricerche in questa fase è
la eccessiva pericolosità del sito da indagare: profondià eccessiva, capi, promontori, foci, zone portuali o industriali ovvero
aree con problemi dovuti a immersione eccessivamente rischiosa, correnti, traffico marittimo o inquinamento che comporterebbero rischi elevati, costi eccessivi e risultati incerti. Le
operazioni in questo caso devono essere effettuate solo nella
certezza di risultati scientifici apprezzabili e con strumentazioni idonee al caso. Il dilettantismo, l’improvvisazione o peggio la
cosiddetta curiosità scientifica a tutti costi (visto che i soldi ci sono… mi hanno detto che lì c’è qualcosa…) porta a disastri irreparabili (vedasi il relitto della Secca di Capistello). Bisogna
quindi valutare in questa fase ed eventualmente nella successiva della ricognizione “asciutta” (cioè la presa visione dall’esterno dei luoghi) la fattibilità e il grado di valore scientifico
del progetto: altrimenti è meglio rinunciare.
La rinuncia ad un progetto deve verificarsi anche quando i finanziamenti sono tali da non poter garantire l’operatività in ma59
Capitolo 3
re in totale sicurezza per i subacquei.
La ricerca preliminare dovrà effettuare lo spoglio di tutti i dati concernenti l’area:
1 – Bibliografici: fonti storico-letterarie antiche e moderne.
2 – Cartografici: cartografie antiche e moderne inerenti il tratto
o i tratti di costa per evidenziare l’evoluzione morfologica,
fiumi, strade, sentieri, approdi, porti, insediamenti ecc.
3 – Fotografici: repertori fotografici sia di archivi storici nazionali che privati (soprattutto se locali), foto aeree sia militari
che civili.
4 – Carte nautiche: antiche per eventuali approdi, porti, variazioni della linea di costa, segnalazione di strutture sommerse o relitti; moderne per le batimetrie e lo stato dei fondali e
dei luoghi per programmare la ricognizione.
5 – Venti: esame dei venti prevalenti per comprendere sia lo stato attuale dei luoghi ai fini della ricognizione ma anche per
comprendere come poteva avvenire in antico l’avvicinamento e l’atterraggio di un vascello.
6 – Correnti: sia superficiali che di fondo, sia per lo studio della navigazione e dei porti in antico che per programmare la
ricognizione.
7 – Portolani: antichi sulle condizioni passate della costa, approdi, foci di fiumi come scali, fonti d’acqua, merci imbarcate
o scaricate; moderni per conoscere pericoli e possibilità che
offre un posto per programmare la ricognizione (porti, acqua,
corrente elettrica, scivoli per le imbarcazioni, ecc.).
60
8 – Testimoniali di naufragio: importanti per l’età moderna per
individuare le rotte di transito, materiali imbarcati e punti di
naufragio.
9 – Informazioni sul posto: è fondamentale contattare le persone del posto in esame (pescatori, cultori delle tradizioni locali, direttori musei civici ecc.) soprattutto con l’indicazione
dell’ispettore di zona della competente Soprintendenza, per
avere notizie utili alla ricerca.
3.2 La logistica
Accertata l’importanza scientifica del sito e di dover effettuare
una ricognizione preliminare, l’impianto di un cantiere subacqueo comporta tutta una serie di operazioni preliminari finalizzate sia alla sicurezza degli operatori in immersione che agli assistenti ma soprattutto a non interferire nelle attività marinare
della zona. Ciò permette una tranquillità operativa, quindi una
qualità superiore del lavoro che porta ad una buona riuscita del
progetto di ricerca.
I dati da analizzare saranno:
1 – Tipo di sito o area: conoscenza e ricognizione preliminare
dalla costa e/o dal mare con copertura cartografica e fotografica. Contatti con Capitanerie di Porto per autorizzazioni e ordinanze (da assicurarsi che siano emesse prima delle
operazioni), Camera Iperbarica civile o della Marina Militare (telefono, disponibilità di posti, orari), Ospedale o Pronto
Soccorso, uffici di Soprintendenza archeologica. Può essere
utile contattare anche Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia
di Finanza che potrebbero collaborare fattivamente alle operazioni.
ASL per consegna piano di sicurezza e vidimazione del re-
61
Capitolo 3
gistro infortuni: una copia del primo e del secondo dovranno essere sempre presenti sul cantiere, insieme ai certificati medici degli operatori che li abilitano alla attività subacquea per fini lavorativi.
2 – Fondale e pericoli: tipo di fondale e conseguentemente attrezzature adeguate; per i pericoli informarsi se è stata effettuata la bonifica da ordigni bellici, sulla presenza di eventuali scarichi o prese in acqua, correnti.
3 – Mezzi: di appoggio a terra (furgoni o pickup con gruetta, auto per spostamenti veloci); in mare con imbarcazioni da portare o da affittare sul posto, tipi di imbarcazioni più adatte;
strumentazioni per le immersioni e per il rilievo diretto e indiretto.
4 – Cantieristica: possibilità di avere in porto un’area riservata
dalla Capitaneria per lo stazionamento dei mezzi con vicino
lo scivolo d’alaggio e la gruetta, acqua potabile, corrente
elettrica. Informarsi della possibilità in zona per i pezzi di ricambio per mezzi (nautici e non) e le strumentazioni: in
ogni caso dotarsi sempre di un furgone officina per prime riparazioni e con i ricambi di prima emergenza e cassetta per
il pronto soccorso.
5 – Soggiorno: alloggio per la squadra che sia confortevole ma
non distante dal cantiere per evitare stress agli operatori con
spostamenti lunghi
Tutta questa organizzazione presuppone finanziamenti, tempi lunghi per costituire la squadra e i mezzi e soprattutto che sia
finalizzata ad una ricerca meditata, particolarmente se si svolge oltre la batimetria dei 10 mt.
Nell’eventualità invece di una ricognizione breve (1/3 gg) e
62
su fondali entro i 10 mt, pur mantenendo la ricerca preliminare, il punto 1 rimane imprescindibile ad esclusione del piano di
sicurezza e del registro infortuni in quanto non si imposta un vero e proprio cantiere. Ciò soprattutto se l’immersione viene effettuata con l’appoggio di mezzi nautici di Carabinieri, Polizia
di Stato, Guardia di Finanza, Guardia Costiera ed in prima persona dal coordinatore (che nel caso specifico potrebbe essere coordinatore di se stesso) con adeguata copertura assicurativa.
Già in questa fase deve essere redatto un accurato giornale
delle operazioni, ove siano annotate anche cose che al momento sembrano insignificanti (ad es.difetto momentaneo di un erogatore poi riparato, lieve malore di un componente con nessuna conseguenza al momento ecc.), i problemi che potrebbero
risultare utili nell’anamnesi di un eventuale incidente. Annotare anche le visite, allegare foto della zona, schemi, schizzi, planimetrie e, nel caso la figura dovesse esistere nell’organigramma, il diario giornaliero deve essere controfirmato dall’assistente
tecnico del gruppo di lavoro oltre che dal coordinatore.
3.3 La ricognizione
Completata la fase preliminare-organizzativa, si può effettuare la ricognizione vera e propria.
3.3.1. Profondità
La profondità alle quali si effettua la ricognizione è uno degli elementi determinanti per organizzare la squadra di immersione, di assistenza e la stessa metodologia di ricognizione (vedi 3.3.2). In ogni caso si utilizzeranno tabelle di immersione U.S.
NAVY nella edizione aggiornata del 2008.
Batimetria da 0 a 10: questa fascia ha sempre e comunque un
limite di permanenza al fondale (controllare sempre con precisione la batimetria). La squadra sarà composta da due subacquei
63
Capitolo 3
in immersione e due di assistenza (con muta e pinne indossate,
e con bombola, maschera e piombi pronti all’utilizzo, che potrà
essere la successiva squadra di immersione) in barca o nel mezzo di appoggio. Si può utilizzare la attrezzatura SCUBA (o muta stagna, a discrezione dell’operatore) o l’ombelicale con mascherone e interfono, con imbracatura e cima di sicurezza. In
quest’ultima eventualità l’utilizzo del subacqueo di assistenza
non è necessario ma consigliabile. Se si adopera l’attrezzatura
SCUBA è obbligatorio il pallone segnasub. L’uso dell’ombelicale
è consigliato a persone esperte (soprattutto se associato alla muta stagna) e per operazioni particolari ed in acque torbide.
I mezzi di assistenza in superficie saranno sempre due: la base appoggio ed il mezzo veloce di emergenza sempre pronto all’uso ed adoperato esclusivamente per questo scopo. Tutte le imbarcazioni dovranno avere il segnale internazionale ALFA di
“subacqueo in immersione” e saranno munite di radio, dotazioni
di sicurezza (dai giubbotti salvagenti alla sassola ovvero pompa per sgottare l’acqua), cassetta di pronto soccorso ed estintori: tali dotazioni sono obbligatori per legge.
IMPORTANTE: per ogni subacqueo vi deve essere sempre
uno di assistenza in superficie. Mai dovrà capitare di avere subacquei in immersione in soprannumero rispetto all’assistenza. Nel caso di coppia di subacquei in immersione vi potrà essere anche uno di assistenza anche se è consigliabile quanto
detto prima.
A bordo, oltre al conduttore del mezzo nautico, vi dovranno
essere altri due membri della squadra (anche subacquei non impegnati in quel momento) che saranno utili per la vestizione e
il recupero delle attrezzature. Il mezzo di emergenza avrà un
conduttore proprio non impegnato in altre operazioni in quanto, in caso di emergenza, questo mezzo potrà agire indipendentemente senza attendere il recupero dell’altro subacqueo affidato al mezzo di appoggio.
A bordo vi sarà sempre una valigetta per il pronto soccorso
64
e la bombola di ossigeno con relative maschere.
La squadra emersa verrà utilizzata come squadra di supporto e non di emergenza, sia per motivi di stanchezza fisica che per
evitare ulteriori immersioni.
Segnale internazionale ALFA (la parte in grigio corrisponde al
blu).
Batimetria da 11 a 40: a tali profondità è obbligatoria la presenza di un medico a bordo, possibilmente specializzato in medicina subacquea e la possibile assistenza di una camera iperbarica (già allertata). Ben accetto sarà l’appoggio di mezzi
nautici di Forze dell’Ordine (Carabinieri, ecc) soprattutto in caso di emergenza. Ora più che mai a queste profondità la collaborazione fra vari Enti sarà richiesta e gradita, senza mai opporre rifiuti a cortesi collaborazioni.
A tali batimetrie, soprattutto se si è lontani dalla costa diviene indispensabile il mezzo di soccorso veloce.
65
Capitolo 3
In caso di decompressione dovrà essere posto in acqua il trapezio con bombole di emergenza (per lo SCUBA) alle relative
tappe, in tal caso si dovrà posizionare una cima guida per un ritorno sicuro attraverso le varie tappe di decompressione. Sarebbe consigliabile per semplificare le operazioni e renderle meno rischiose, proprio per la caratteristica stessa della ricognizione
che non prevede stanzialità sul fondo, di adoperare più operatori a turno.
Si intende che in tal caso scattano eventualmente i tempi di
accumulo di azoto per immersioni ripetitive (anche se non nello stesso giorno) con eventuali giorni di sospensione delle attività in immersione.
A tali profondità la squadra emersa non potrà essere utilizzata
come assistenza altrimenti un’immersione per emergenza potrebbe far incorrere in fenomeni di accumuli di azoto con l’insorgenza di episodi embolici. La squadra verrà portata in luogo
consono per riposarsi o effettuare solo lavorazioni leggere.
3.3.2 Sistemi di ricognizione
I sistemi per ricognire il fondale marino dipendono dalla tipologia del medesimo e dalla profondità. Gli esempi riportati saranno sempre considerati “no decompressione”; ad ogni conclusione di una fase ricognitiva da parte di una squadra si dovrà
lasciare un segnale che indichi alla squadra successiva il punto ove ripartire. Chiaramente sulla barca vi sarà lo scambio immediato di informazioni fra le due squadre mentre il rapporto al
coordinatore avverrà solo dopo che gli operatori si saranno
cambiati e rifocillati. Gli operatori relazioneranno in maniera
chiara e dettagliata sulle operazioni da loro effettuate, per iscritto e controfirmando la relazione su moduli predisposti.
66
Edifici
Linea di costa
N
W
S
E
Sub
Barca appoggio
Boa delimitazione area
Bussola. La freccia larga indica il percorso. La stella il punto da collimare per l’orientamento di partenza.
67
Capitolo 3
Scheda riassuntiva dell’immersione (da Manuale di immersione U.S. Navy Diving
Manual (Trieste, 1998)
68
Ricordare: gli operatori si assumono la responsabilità di
quanto messo per iscritto.
Altro elemento che influisce sulla ricognizione è il tipo di ricerca. Anche se sembrerà strano, l’impostazione della ricerca
determina poi i sistemi. Se la ricognzione si basa su dati sporadici
poco chiari, al di là del fondale si cercherà di impostare una ricerca approfondita con sistemi che battano a tappeto l’area. Mentre nel caso di un’area ben conosciuta, si tratterà solo di delimitare l’area e la ricerca si limiterà a questa funzione.
Traversino.
Il campo sarà installato prima delle operazioni a delimitare,
in maniera sicura, l’area delle operazioni. Sarà segnalato ai
vertici da boe biconiche di colore arancione o galleggianti adeguati con bandiera rossa, trattenuti al fondo da corpo morto o ancorotto. Le due boe poste su uno stesso lato convenzionale saranno collegate al fondo da cima avente segnate le distanze in
metri: tornerà utile per la ricognizione. I due sub partiranno da
fronti opposti e copriranno le aree adiacenti. Giunti al capo op-
Traversino. I due sub A e B si spostano in senso contrario l’uno all’altro. A’ e B’ indicano
lo spostamento successivo. La distanza è determinata dalla visibilità orizzontale.
69
Capitolo 3
posto, dopo apposito segnale (strattoni), si sposterà il traversino
dei metri concordati. Maggiore è la visibilità orizzontale, maggiore sarà lo spostamento del traversino.
Le strisciate avverranno per ribaltamento progressivo delle
posizioni dei sommozzatori una volta giunti alla cima di fondo
che collega le boe segnalanti un lato del campo.
Il campo sarà lasciato per tutto il tempo delle operazioni. La
notte sarà segnalato da luci rosse oppure tolte le boe ovvero i
galleggianti, si lasceranno piccoli galleggianti di segnalazione
che non dovranno però intralciare il traffico marittimo: mai lasciare galleggianti semisommersi. In ogni caso l’area dovrà corrispondere sia come coordinate che come pianta a quella consegnata in Capitaneria. La precisione è importante per
l’emissione di ordinanza di interdizione al traffico e alla pesca.
Fondale roccioso livellato con ostacoli: il sistema con il traversino o in coppia con cima di collegamento può comportare
delle difficoltà per cui, visibilità permettendo, è consigliato l’uso
della bussola.
Alla riunione pre-immersione si darà la direzione di marcia
ai sommozzatori e il periodo di immersione (se con decompressione) e la distanza alla quale si dovranno attenere l’uno dall’altro. Tale distanza sarà decisa dal coordinatore (previa immersione preliminare) sulla base della visibilità al fondale ma
mai inferiore ai 5/7 mt. L’orientamento sarà tenuto da uno dei
due operatori in immersione, deciso preventivamente in superficie. Ambedue i sub saranno dotati di bussola, pallone segnasub e sistema acustico di segnalazione subacquea.
Il coordinatore, presente l’assistente tecnico e i sub di emergenza, dovrà accertarsi che gli operatori abbiano ben chiaro il
compito da svolgere dichiarandolo contestualmente: questo eviterà eventuali “ripensamenti” successivi o “non era stato detto”
o “era poco chiaro”. Una volta accettato l’incarico deve essere
eseguito come stabilito, con le idee ben chiare: i dubbi vanno
chiariti prima.
70
boa
boa
Barca da lavoro
Barca appoggio
Barca veloce
Pallone
segnasub
boa
boa
Schema campo operativo: la barca appoggio e l’imbarcazione veloce saranno ad una distanza
massima di 20 metri dall’area di lavoro, sia per un pronto intervento in caso di emergenza
che per evitare affaticamento nei sub.
La barca da lavoro sarà distante dalla barca appoggio per evitare inquinamento acustico e
da gas di scarico dei macchinari. Ogni sub deve essere indicato in superficie da un pallone
segnasub. Lo stand-by (in grigio chiaro sulla barca appoggio) sarà vestito solo della muta e
con le attrezzature pronte.
Ricordare: ogni subacqueo è tenuto a controllare sempre il
proprio compagno di coppia, in caso di pericolo o emergenza
l’immersione abortirà per ambedue i subacquei.
Fondale sabbioso/ghiaioso piano: si può installare il traversino che facilita e consente una ricognizione sistematica. Si basa sull’andirivieni di due subacquei che partono dai due lati contrapposti del campo comprendo così due fasce di fondale. Giunti
alle posizioni di arrivo, ogni sub, per accordi precedenti, sposta
il traversino di tot metri sulla cima graduata, coprendo così tutta l’area.
71
Capitolo 3
Fondale roccioso/sabbioso a scarpata: le prescrizioni rimangono le medesime solo che: nel caso di immersioni ‘no decompressione’ si cominceranno le strisciate dalla quota più profonda dell’area a risalire; nel caso di immersioni con
‘decompressione’ si delimiterà precisamente l’area e i tempi di
immersione. I subacquei si manterranno imprescindibilmente alla stessa quota.
Ricordare: non sono ammesse deroghe ai tempi e alle modalità prescritte in superficie, qualsiasi novità e/o variazione
sarà segnalata poi sul rapporto.
La segnalazione di un reperto o punto particolare avverrà tramite piccolo galleggiante collegato ad una cimetta, dei quali saranno dotati i sommozzatori, che l’operatore lascerà andare alla superficie previo zavorramento o collegamento al fondale.
La fase ricognitiva si chiude con la realizzazione di una attenta mappatura (in scala adeguata alla carta batimetrica utilizzata) della zona ricognita, segnando l’area indagata e gli
eventuali areali di reperti rinvenuti, supportata da una adeguata
documentazione fotografica, filmata e eventualmente da strisciate con il sonar. Tutto ciò confluirà in una relazione, quanto
più oggettiva possibile, comprensiva dell’analisi storica, dei dati scaturiti dalle immersioni e dal diario delle attività. Relazione
che sarà la base per l’eventuale fase successiva: lo scavo.
72
Emergenza
La barca appoggio avrà tutte le dotazioni di sicurezza previste per immersione in acque basse (senza tappa di decompressione). Avrà inoltre bombola di ossigeno e relative maschere.
Sulla barca appoggio ci sarà un responsabile (stand-by) pronto ad intervenire (indosserà l'attrezzatura completa) e altro responsabile e/o sub del gruppo che gli farà da supporto nella vestizione.Il sub addetto allo stand-by non sarà utilizzato per altre
mansioni.
In caso di incidente l’immersione abortisce. Tutti i sub risalgono sulla barca appoggio, mentre la barca veloce si dirige
verso l’approdo con l’infortunato e il sub stand-by avvisando nel
frattempo il 118. Non si effettuerà alcuna manovra medica se
non la somministrazione di ossigeno da addetto con brevetto.
73
4.
Tecnica e Sicurezza
dell’Immersione
a cura di Sabrina
Le tabelle per compressioni
(immersioni) con aria elaborate dalla US NAVY, sono le più
diffuse ed impiegate, in forma
costante ed ufficiale, nell'ambito del lavoro subacqueo svolto nella stragrande maggioranza delle aree geografiche
del mondo.
Tali tabelle sono costituite
da:
1. Air Decompression Tables
(decompression stops) – Tabelle di decompressione con
aria;
2. No Decompression Limits
and Repetitive Group Designation for No-Decompression Air Dives – (Limiti di
No Decompressione e Designazione del Gruppo di Ripetizione per immersioni in
aria senza decompressione);
3. Repetitive Group at Begin-
Conte
ning/End at Surface Interval; (Gruppo di Ripetizione
all'Inizio/Fine dell'Intervallo
di Superficie);
4. Residual Nitrogen Times
(Tempi di Azoto Residuo –
TAR).
Esse sono, dopo anni di sperimentazione scientifica, le più
elaborate e attentamente vagliate al mondo, con la più vasta casistica di impiego da parte dell'imprenditoria di settore,
pubblica e privata, nazionale
ed internazionale.
Fin dal 1956/57 USN Diving
Manual "Air Tables" prevedeva programmi di decompressione per immersioni con aria.
Tali tabelle,rese note dalla US
NAVY nel 1958, rimarranno invariate fino al 1995.
Nell'edizione 1995 vi furono
75
Capitolo 4
importanti incrementi batimetrici, nella sola tabella Residual
Nitrogen Times (Tempi Azoto
Residuo – TAR).
Dal 1958 (prima edizione
US NAVY) al 1995 sono trascorsi ben 37 anni di sperimentazione prima di poter disporre della Tabella del TAR
dalla batimetria di -3, invece
che da -12.
Nel 2008, dopo ulteriori 13
anni (1995/2008) è uscita una
nuova edizione delle Tabelle
US NAVY, riviste, corrette ed
aggiornate dopo annosa sperimentazione scientifica.
In tale ultima edizione vi sono state delle profonde, radicali e sostanziali modifiche
prevenzionali antinfortunistiche.
Di seguito,elenchiamo ed
analizziamo le principali modifiche apportate:
• fin dal 1956/57 l’ultima
T/Des (Tappa di Desaturazione) tabellare era alla batimetria di -3.
Nel 2008, ben 50 anni dopo,
è stata portata a -6. Ciò evidenzia la necessità di un valore pressorio maggiore per
76
poter liberare,in modo più
graduale e non massivo, la
Q x N2 (quantità x di azoto)
residuata nell’OU;
• i valori temporali delle T/Des
sono stati aumentati; per
esempio, per una compressione a -18/70' era previsto
un obbligo di T/Des (tappa
di desaturazione) alla batimetria di -3 in cui bisognava
sostare per 2 minuti per eliminare l'N2 assorbito durante l'immersione.
Al termine di tale Tappa di
Desaturazione il subacqueo
poteva ritornare alla superficie, pur se ancora con una
quantità di azoto residuata
nell'O.U. (Organismo Umano) in forma maggiore di
quella fisiologicamente esistente a pressione normobarica. La quantità di N2 residuata era evidenziata in
apposita Tabella che riportava un riferimento GR* K.
Per l'effettuazione della medesima immersione (-18/70')
la T/Des fornitaci nell'ultima
edizione è diventata -6/7’ GR
L. Come si evince, non solo è
aumentato il tempo di T/Des,
ma anche del GR.
• Il valore batimetrico e temporale minimo per compressioni con obbligo tabellare
di T/Des, rispetto alla versione precedente che era di
-12/210' è stato modificato
in -9/380’.
_________________
* Il GR (Gruppo di Ripetizione)
indica, simbolicamente, i gruppi di tessuti dell'OU (Organismo Umano) che, al rientro a
pressione normobarica, al termine di una qualsiasi immersione e del relativo andamento desaturatorio – abbia o non
comportato obbligo tabellare
di T/Des – devono liberarsi
dall’N2 accumulato nei tessuti
stessi in quantità maggiore di
quella fisiologicamente esistente. La quantità di N2 (Q x
N2) accumulata nei vari gruppi di tessuti avviene, infatti,
non solo in funzione della PA
(Pressione Assoluta) e del tempo trascorso in immersione, ma
anche della temperatura e delle alterazioni di ritmo e volume
ventilatorio, da qualunque motivo scatenanti. È facilmente
deducibile che un subacqueo,
in una qualsiasi immersione,
per qualsivoglia motivo, alteri
ritmo e volume di aria ventilata, a parità di tempo e di batimetria (profondità), questi accumulerà una quantità
maggiore di azoto di cui dovrà
tener conto per una corretta
desaturazione. Essi vanno dalla lettera A alla lettera Z e la
quantità di N2 che indicano
essere ancora disciolta nell’OU
è in forma progressivamente
maggiore. In altri termini possiamo dire che il valore simbolico dei GR è direttamente
proporzionale alla quantità
d’azoto residuata nell'organismo, dalla compressione effettuata.
Il CIS* (Credito Intervallare
di Superficie), è il tempo trascorso a pressione normobarica tra una immersione e l'altra,
ed ha un valore temporale
massimo, non più di 12 ore,
bensì di 15h 50'.
__________________
*Il CIS considera l’arco di tempo, in ore e minuti, che intercorre tra la fine di una compressione, cioè l’inizio della
permanenza a pressione normobarica e l’inizio di una nuova compressione. Il CIS preve77
Capitolo 4
de un arco di tempo che va da
10’ a 15h50’ e riporta le lettere
dei vari GR sia all’inizio (GR
d’entrata) che al termine (GR
d’uscita) del tempo trascorso a
pressione normobarica che è,
appunto, l’intervallo di superficie. In sostanza, per effettuare
una nuova immersione, nell'ambito massimo di 15 ore e
50, occorrerà conoscere la
quantità di N2 residuata nell’O.U. durante il tempo trascorso in superficie tra un'immersione e un'altra, consultando
correttamente la tabella.
Per quanto sopra illustrato,
si può affermare che:
• ogni compressione effettuata, anche a batimetrie minime e/o per tempi brevi, comporta SEMPRE l'assunzione
e l’accumulo di una Q x N2,
che si va ad aggiungere a
quella fisiologicamente disciolta nell'OU a pressione
normobarica;
• da una qualsiasi immersione
effettuata, ripetiamo, anche
a batimetrie minime e/o per
tempi brevi si rientra SEMPRE a pressione normobarica
78
con una Q x N2 maggiore di
quella fisiologicamente disciolta nell’OU;
• l'azoto che si è accumulato
nell'OU durante una qualsiasi immersione deve essere
sempre eliminato in forma
regolare, cioè con il rispetto
di tutto quanto fisiologicamente è relativo alla desaturazione dell'azoto, secondo
ben chiari criteri applicativi
di IGIENE e SICUREZZA.
Certo non sempre e necessariamente il non scrupoloso
rispetto dei criteri di Igiene e
Sicurezza sono causa di infortuni embolici più o meno gravi, ma non tenere in debito
conto quanto fin qui illustrato,
può comportare l'instaurarsi di
condizioni fisiologiche che
possono, poi, facilitare l'insorgenza, in qualsiasi momento e
dopo una qualsiasi immersione, di eventi patologici, anche
di estrema gravità.
Analoga considerazione va
posta nei confronti di quanti,
impropriamente, definiscono
le Tabelle US Navy vetuste e/o
obsolete intendendo, con tale
definizione, non aggiornate ai
tempi moderni, cioè, superate.
Considerando le molteplici
esperienze pratiche di applicazione svolte da un Ente pubblico quale è la Marina Militare, che deve garantire,
comunque e sempre, la tutela
della salute dei suoi “lavoratori” subacquei, è assai più verosimile che per vecchie ed obsolete tali tabelle, invece,
vadano inquadrate tra quelle
di maggiore sicurezza rispetto
ad altre tabelle in commercio
che non dimostrino medesimo,
annoso curriculum sperimentale.
Spesso, purtroppo molto più
spesso di quanto non si creda,
si è convinti di aver rispettato
tutto mentre di fatto non è stato così. Oppure, come avviene
nella assoluta maggioranza dei
casi, si è propensi a credere
che piccole differenze di batimetria e/o di tempo rispetto ai
valori che ci forniscono le tabelle – la non ben calcolata
azione degli elementi variabili e/o gli effetti derivanti dal-
l'alterazione di ritmo e volume
di aria ventilata,etc. – possano
essere tranquillamente ignorate o disattese. Ma non è così,
perché l'OU registra, automaticamente ed esattamente sotto tutti i profili, ogni effettiva
conseguenza, anche di piccola
entità, derivante comunque,
dall’essere in stato iperbarico
“bagnato” (wet).
Dobbiamo inoltre considerare che le attività subacquee,
a qualsiasi fine svolte, trovano
estrinsecazione in tutte le aree
geografiche del mondo che
hanno, come ben noto, caratteristiche ambientali, meteorologiche, etc., diverse tra loro, così come sono parimenti diverse
tra loro le molteplici esigenze
operative da soddisfare, le metodologie di effettuazione del
lavoro, i mezzi strumentali e
tecnici che possono venire usati, etc., ed infine le caratteristiche etnografiche ed antropologiche di ciascun subacqueo,
unitamente a tutto ciò che fisicamente e psicologicamente lo
caratterizza.
79
Capitolo 4
La Tabella denominata (No
Decompression Limits and Repetitive Group Designation for
No-Decompression Air Dives) risulta determinante ai fini della
prevenzione antinfortunistica.
Tale Tabella, pur non prevedendo obbligo di decompressione/desaturazione, per tempi e
batimetrie prese singolarmente,
(p.es.-6/461' GR K) tiene conto
che al termine di questa immersione residuerà, comunque, nell'organismo umano, nei vari distretti tissutali, una quantità di
azoto identificata con il GR K.
Come si evince, tale immersione, pur non comportando
obbligo di T/Des non implica
di per sé che nell'organismo
non residui azoto in quantità
maggiore di quella fisiologicamente disciolta.
Infatti, se dovessimo effettuare una nuova immersione
sarà indispensabile conoscere
il GR dell'ultima compressione
effettuata al fine di poter calcolare, attraverso la Repetitive Group at Beginning at Surface Interval Table, il GR di
uscita da tale tabella.
80
Per meglio comprendere
facciamo un esempio.
La prima immersione verrà
effettuata alla batimetria di -9
per 50 minuti (-9/50'); batimetria e tempo sono riportati in
tabella e non prevedono obbligo di T/Des ma ci forniscono
GR D.
Riassumendo: -9/50' GR D
Terminata la nostra immersione, inizia l'intervallo di superficie (Repetitive Group at
Beginning at Surface Interval)
o C.I.S. – Credito Intervallare
di Superficie – a cui diamo un
valore pari a 52 minuti.
Quindi, la nostra prima immersione è stata: -9/50' GR D.
Dopo aver trascorso 52 minuti
in superficie, al termine dei
quali avremo ancora un GR D,
ricavato dalla corretta applicazione della Tabella Surface Interval o CIS che dir si voglia.
Come si può vedere qui sotto il
GR (entrata/uscita) non è cambiato.
C.I.S. 52' GR D
D
Il “nuovo” GR, così ottenuto dopo i 52 minuti di CIS (D) ci
consentirà di poter consultare
la tabella indicata con il nome
di Residual Nitrogen Time
(Tempo Azoto Residuo – TAR)
che ci indicherà un tempo “fittizio” da aggiungere al tempo
effettivo previsto per la nostra
nuova immersione.
-3/60' (tempo e batimetria
reali della nuova immersione)
TAR 246' (tempo fittizio)
*TESI 306' (-3/306')
(-3/426') GR E
NOTA: la Tabella del TAR
indica un tempo “fittizio” da
aggiungere al tempo effettivo
previsto per la nuova compressione.
Il tempo viene definito “fittizio” non perché non sia reale o privo di significato, ma soltanto perché è un tempo che
non passeremo effettivamente
in immersione.
Vi chiederete, perchè la nostra immersione (-3/306') sia
divenuta (-3/426').
Semplice, poichè viene applicata una regola fondamentale che ci dice che: laddove la
batimetria e/o il tempo della
compressione non siano riscontrabili nelle tabelle, si dovranno prendere inderogabilmente la batimetria e/o il
tempo immediatamente superiori. Per tale misura antinfortunistica, non avendo in tabella 306', abbiamo preso il tempo
immediatamente superiore,
cioè 426'.
Ora effettuiamo una seconda immersione a soli 3 metri
per 60 minuti (-3/60').Come
procedere? Nel modo seguente.
Come si può notare, anche
se la nuova immersione non
comporterà obbligo di T/Des, il
GR della compressione, pur
avendo trascorso 52' in super-
81
Capitolo 4
ficie, è aumentato, rispetto alla prima immersione. Ciò deve
far riflettere sul fatto che, seppur vero che queste immersioni, prese singolarmente, non
abbiano comportato la necessità di effettuare T/Des, comportano comunque, piaccia o
meno, una nuova assunzione e
ulteriore accumulo di N2 che
aumenterà di immersione in
immersione e di cui dobbiamo
tener conto in termini prevenzionali antinfortunistici.
Potremo continuare ad effettuare altre immersioni, con il
procedimento su esposto, tenendo conto del GR dell'ultima
immersione fatta.
___________________
*La somma del tempo reale
da trascorrere in immersione
(60') più il valore di TAR (246')
ci da il TESI (Tempo Equivalente di Singola Immersione).
Si consideri che i valori
espressi in tale tabella prevedono un accumulo d'azoto fin
dalla batimetria di -3 per soli
57' con un GR A. Senza la conoscenza dei criteri applicativi
82
da adottare di volta in volta,
non sarebbe possibile valutare
la Q x N2 (quantità x d'azoto)
residuata nell'OU non potendo
entrare, per una nuova compressione, nella tabella del CIS
e conseguente tabella del TAR,
per mancanza del GR della
compressione; ciò ci esporrebbe a grave rischio dell'incolumità fisica interpretando erroneamente i valori temporali e
batimetrici quali valori da poter considerare in termini di
"sicurezza". Anche per tale tabella vale l'analoga regola che
qualora i valori temporali e/o
batimetrici non coincidano con
la compressione da effettuarsi
si dovranno prendere quelli
immediatamente superiori.
Si rammenta che ai fini di
una corretta prevenzione antinfortunistica, non basta la
mera conoscenza dell’esistenza di tali tabelle, per sentito
dire oppure perché comodamente riposte in un cassetto,
ma è indispensabile conoscerne la corretta applicazione tecnica che deve garantire la salvaguardia della propria
incolumità fisica.
Si tenga bene a mente che
da ogni immersione, effettuata
anche a bassa profondità e/o
per tempo ridotto e che non
abbia comportato obbligo di
T/Des, si torna SEMPRE in superficie con quantità di N2
maggiore di quella fisiologicamente disciolta e di cui si
dovrà tenere conto nelle nuove
immersioni che seguiranno.
Raccomando vivamente di
non effettuare, durante la/e fasi della decompressione/desaturazione, empirici accomodamenti dei tempi della/e T/Des.
Spesso tra i subacquei sembrerebbe vigere la “regola” secondo la quale, in caso di errore temporale (in difetto) da
trascorrere in T/Des/sosta, lo
stesso possa essere “compensato” nella sosta successiva,
aumentandone il tempo non
trascorso alla sosta precedente.
In altre parole, se sono previste
soste a -9/3' e -6/41' e il subacqueo, per qualsiasi causa, effettua a -9 solo 1 minuto, invece dei 3 minuti previsti, NON
può e NON deve compensare i
2 minuti persi a -9 alla sosta
successiva (-6) portandola da
41 minuti a 43' credendo, erroneamente, di recuperare il
tempo mancato a -9.
Concludo con la speranza
di aver portato una nota di
chiarezza e di prudenza alla
presente opera, trattando un
argomento tecnico applicativo
finalizzato ad una maggiore sicurezza pur rendendomi conto
che, anche a causa della ristrettezza dello spazio concessomi, la suesposta trattazione
possa risultare di difficile comprensione e suggerisca al lettore la più facile consultazione
dei vari computers presenti sul
mercato.
Ma si deve meditare su almeno due punti a favore della
metodica tabellare testè spiegata:
1. la consultazione e l'applicazione delle tabelle per la
pianificazione dell'immersione viene fatta preliminarmente (Programma di compressione – PC) usando il
83
Capitolo 4
miglior computer esistente
al mondo: il nostro cervello;
2. qualunque strumentazione
elettronica (computer), ammesso che contenga le medesime tabelle US Navy ed.
2008, è esposta ad urti accidentali in immersione o ad
improvviso guasto.
Ritengo che la conoscenza di
entrambe le metodiche applicative ridurrebbe il rischio subacqueo, garantendo una migliore tutela della salute.
84
Anche se bisogna rammentare che molteplici sono i fattori che concorrono all'insorgenza di una Malattia da
Decompressione (MdD) o Patologia da Decompressione
(PdD) che dir si voglia, tra cui
spiccano le alterazioni di ritmo e volume di aria ventilata,
l'età del soggetto, il suo stato di
allenamento, la sua efficienza
fisica, la conduzione di un corretto standard alimentare,di vita, etc.
Copertina US Navy Diving Manual del 1958, da archivio storico Scuola Marco
Polo
85
Capitolo 4
Da archivio storico Scuola Marco Polo
86
Table 9-7. No-Decompression Limits and Repetitive Group Designators
for No-Decompression Air Dives
Repetitive Group Designation
Depth
(fsw)
No-Stop
Limit
A
10
Unlimited
57 101 158 245 426
15
Unlimited
36
60
88 121 163 217 297 449
20
Unlimited
26
43
61
82 106 133 165 205 256 330 461
25
595
20
33
47
62
78
97 117 140 166 198 236 285 354 469 595
30
371
17
27
38
50
62
76
91 107 125 145 167 193 223 260 307 371
35
232
14
23
32
42
52
63
74
87 100 115 131 148 168 190 215 232
40
163
12
20
27
36
44
53
63
73
84
95 108 121 135 151 163
45
125
11
17
24
31
39
46
55
63
72
82
92 102 114 125
50
92
9
15
21
28
34
41
48
56
63
71
80
89
55
74
8
14
19
25
31
37
43
50
56
63
71
74
60
60
7
12
17
22
28
33
39
45
51
57
60
70
48
6
10
14
19
23
28
32
37
42
47
48
80
39
5
9
12
16
20
24
28
32
36
39
90
30
4
7
11
14
17
21
24
28
30
100
25
4
6
9
12
15
18
21
25
110
20
3
6
8
11
14
16
19
20
120
15
3
5
7
10
12
15
130
10
2
4
6
9
10
140
10
2
4
6
8
10
150
5
2
3
5
160
5
3
5
170
5
4
5
180
5
4
5
190
5
3
5
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
Z
*
*
*
92
* Higest repetitive group that can be archieved at this depth regardless of bottom time
Tabella riassuntiva compressioni senza obbligo T/Des (da U.S. Navy Diving Manual, 2008) citata come V tabella nel volume
87
5. Il Cantiere
di Scavo
P.A. Gianfrotta - P. Pomey “Archeologia subacquea” (Milano,
1981): storia, metodologie dell’archeologia subacquea, navi, materiali trasportati. La bibliografia è
datata (buona soprattutto per i
vecchi rinvenimenti), ma il libro è
ancora valido.
Lo scavo subacqueo è una
fase delicata che comporta un
notevole impiego di uomini e
mezzi. Bisogna quindi valutare
attentamente se il risultato
scientifico scaturito dalla ricognizione sia pari alle aspettative investite e alle energie da
investire oppure se il reperto
lasciato “dormiente” non corra
alcun pericolo. Lo scavo deve
essere effettuato solo in caso
di estremo interesse scientifico
per il ritrovamento e/o di un
suo effettivo pericolo di saccheggio. Effettuare lo scavo solo perché “ci sono i soldi” o
per carriera personale non deve rientrare nella logica dell’analisi, anche se purtroppo
accade ancora.
Lo scavo subacqueo presuppone una fase ancor più
delicata: la costituzione di un
gruppo di lavoro ben affiatato,
senza contrasti fra la parte tecnica e la conduzione scientifica, non sussistano rivalità fra
colleghi e soprattutto che il riconoscimento della figura del
coordinatore sia effettuato da
tutti i componenti della squadra. Chi non è disposto ad accettare tali condizioni deve comunicarlo prima ed uscire
dalla squadra.
Il coordinamento scientifico
a sua volta deve essere operativo anche in immersione,
quindi ben addestrato sulle
procedure tecniche di immersione e di emergenza e alle
89
Capitolo 5
procedure scientifiche delle
operazioni subacquee.
Il cantiere subacqueo ha
una sua genesi nella autorizzazione da parte della Soprintendenza competente, della
Capitaneria di Porto, della
Guardia Costiera o della Delegazione di Spiaggia. Ciò dipende dai vari ambienti dove
avviene lo scavo: mare aperto,
acque portuali, spiaggia. Tutta
la documentazione di cantiere
è simile a quella della ricognizione ove però saranno specificati in più nel piano di sicurezza i mezzi adoperati per lo
scavo. Copia di tutti i docu-
menti (il registro infortuni in
originale timbrato dall’ASL)
dovrà essere depositata in cantiere.
Esaurita la parte burocratica
si può effettuare l’installazione
vera e propria del cantiere.
Ricordare: l’installazione di
un cantiere (salvo condizioni
di lavoro peculiari come bacini chiusi o aree particolarmente protette) e il suo svolgimento debbono essere
effettuati nel periodo temporale migliore per le condizioni meteomarine e cioè da
maggio a settembre.
5.1 Cantiere in alto mare
Il cantiere va diviso in due
parti.
Prima Parte Settore di Superficie composto da:
a) imbarcazione o pontoncino
con alloggiamento coperto
(contro freddo e insolazioni)
per subacquei, vestizione,
docce, WC; con possibilità
eventuale di consumare pasti caldi. Tale imbarcazione
sarà ancorata minimo su
due punti per fornire una
90
base valida e stabile di partenza e che non ponga
l’operatore in stato di malessere fisico (mal di mare)
con oscillazioni repentine;
su questa imbarcazione saranno depositate le dotazioni subacquee e personali;
b) imbarcazione di appoggio
per spostamenti brevi all’interno del campo di lavoro,
portare i sub sul punto di
immersione, assistenza. Ta-
le imbarcazione potrà anche
non sussistere se la prima
sarà ancorata perfettamente
sulla verticale di immersione;
c) imbarcazione veloce solo
per emergenza. Da tenere
sempre in perfetto stato e
con operatori (pilota e assistenza) pronti, se manca tale mezzo non cominciare le
operazioni;
d) imbarcazione o pontoncino
operativo per le attrezzature
da scavo: sorbone, lance,
pompe, compressori, gruetta idraulica per salpare oggetti, cime, ancore, boe, olii,
carburanti, attrezzi, in pratica tutto ciò che concerne la
parte ‘pesante’del cantiere;
possibilmente distante dalla
imbarcazione degli operatori per evitare che i rumori
e i gas di scarico provochino
malesseri
e) campo delimitante l’area
delle operazioni (come prima).
Se dotati di una grossa imbarcazione il punto a) e d) si
possono contrarre in un unico
mezzo logistico ove però siano
ben separati i settori con macchinari dagli alloggiamenti.
Per operazioni su fondali
dai 12 ai 40 mt con o senza decompressione è obbligatoria la
presenza del medico che accerti l’idoneità degli operatori
subacquei ogni mattina e presti le prime cure in caso di
emergenza.
Obbligatorio a bordo: cassetta di pronto soccorso e bombola di ossigeno con maschere.
Tutte le attrezzature di superficie e di immersione devono essere con i collaudi a norma e certificati. Questo sia
perché è obbligatorio per legge ma soprattutto perchè chi
adopera quelle attrezzature
non corra rischi lavorando. In
caso di incidente l’analisi dei
fatti va prima di tutto ad accertare la congruità delle attrezzature con le relative certificazioni e con il lavoro da
svolgere. L’accertamento delle
avvenute certificazioni deve
avvenire tramite l’assistente
tecnico che farà opportuna relazione al coordinatore. Tale
accertamento va effettuato
particolarmente se la ditta che
91
Capitolo 5
compie i lavori ha una organizzazione a se stante (scelta
con gara d’appalto).
Ricordare: accertarsi sempre che tutte le attrezzature
siano a norma, altrimenti comunicare all’Ente preposto
(Soprintendenza o Ditta concessionaria del Ministero
BB.CC.AA.) i problemi rilevati sospendendo le operazioni.
Seconda Parte Settore Sotto la
Superficie composto da:
a) sagola per la discesa dei sub
sul punto dello scavo;
b) alla tappa di decompressione trapezio per la sosta con
due bombole ARA e relativi
erogatori per emergenza, in
caso di immersioni prolungate si possono anche utilizzare bombole di ossigeno
ma mantenendo i tempi decompressivi previsti con
l’impiego di aria. Il trapezio
sarà assicurato con sagola al
fondale tramite corpo morto
e alla superficie con boa/e
che evitino al moto ondoso
grosse oscillazioni verticali
tali da far andare fuori curva
i sommozzatori. Per conven92
zione si vuole che il petto
dei sommozzatori non vada
mai oltre la quota segnata
come tappa;
c) area generale dello scavo
delimitata da nastro stradale
ovvero da sagola arancione
ancorata al fondale per maggiore visibilità. Area particolare di scavo (quadrati di
dettaglio) delimitati con tubi
in PVC uniti da snodi a cinque vie e tenuti al fondale
con piantane metalliche, i tubi delimitanti un quadrato
(2x2, 4x4 ecc.) saranno colorati in maniera alternata ogni
20 cm (rosso e bianco, giallo
e nero). L’estensione dell’area di dettaglio viene decisa prima dal coordinatore
insieme con la Soprintendenza;
d) sorbona posizionata con lo
scarico (sia esso libero o in
cesto o in sacco) a corrente
prevalente di fondo in modo
da evitare che il sedimento
ricada sull’area scavata. La
sorbona sarà ancorata adeguatamente al fondale tramite corpi morti, cime e/o
catene in due punti: alla coda (posta più alta rispetto al-
Schema di cantiere subacqueo con nave appoggio (da Mocchegiani, op. cit.)
la bocca) e all’imboccatura
lasciando libera la flangia di
scavo costitita in genere da
imboccatura, tubo flessibile
rinforzato flangiato al corpo.
L’inclinazione dovrà essere
di circa 45° rispetto al fondale per consentire l’effetto
aspirante dell’aria o dell’acqua compressa e gli ancoraggi saranno tali da impedire alla sorbona la risalita a
93
Capitolo 5
pallone in caso di strozzatura; manichette per l’aria
compressa (palloni di sollevamento) e per la lancia ad
acqua debbono provenire da
zone ben determinate. Questo per motivi di carattere
pratico (evitare accavallamenti, strozzature, intrecci)
sia perché in caso di malfunzionamento si potrà risalire subito al danno. Si possono anche creare cime
guida che dalla barca operativa arrivano al punto di
scavo facendo da tenitore al-
la rispettiva manichetta, lasciando solo il bando utile
per operare; al fondale e vicine alle zone operative saranno presenti uno o più
gruppi ARA per emergenza
con relativi erogatori.
A fine giornata verrà recuperato tutto il materiale mobile
e sottoposto a veloce revisione: in particolare i gruppi ARA
e i sistemi SCUBA. La sorbona
se non è d’intralcio ad eventuali imbarcazioni di transito
notturno può restare sul fondo.
5.2 Il fattore umano
Lo scavo subacqueo comporta una preparazione sia logistica che personale di una
certa importanza.
Il primo punto (logistica) è
stato sviluppato precedentemente; riguardo la preparazione fisica è importante la “sana
e robusta costituzione fisica atta al lavoro subacqueo”, un
equilibrio psicologico tale da
poter far fronte a situazioni di
emergenza, dato che lo scavo
subacqueo comporta comunque uno sforzo fisico insolito
94
ed una condizione di stress psicologico. In pratica la respirazione attraverso l’apparato
SCUBA non è la condizione
normale per il fisico umano e
ciò a lungo andare potrebbe
provocare stress con possibili
attacchi di panico, problemi respiratori, mandibolari, alle
gengive, ai denti, alle orecchie.
A ciò si aggiunga la profondità, la scarsità di luce, il moto
ondoso, la corrente ecc. quindi
una somma di elementi da tenere presente quando si impo-
sta un cantiere subacqueo e si
scelgono gli elementi. Questi
(dal coordinatore scientifico,
l’assistente tecnico, all’operatore subacqueo) dovranno essere persone scelte, equilibrate (si spera), con esperienza
comprovata sia in lavori subacquei che in campo archeologico.
Come già detto il momento
dello scavo subacqueo può significare per un archeologo il
coronamento di lunghi anni di
ricerca ma anche il momento
più delicato in quanto se si ha
il coordinamento delle operazioni, si uniscono vari ‘momenti di responsabilità’:
1) momento di coordinamento
delle operazioni di superficie sia per la parte scientifica che tecnica;
2) momento di coordinamento
delle operazioni in immersione;
3) l’immersione medesima con
il coordinamento fra scavo,
compagno di immersione,
aria a disposizione e tempistica;
4) momento di raccolta dati a
fine giornata;
5) relazione finale.
Questi 5 ‘momenti’ possono
creare stati di ansia, confusione o irascibilità dovuti alla responsabilità.
È importante quindi che il
coordinatore abbia una indubbia esperienza di cantieristica
archeologica in mare (e a terra), sia un ottimo sommozzatore e soprattutto sia equilibrato
ed abbia la capacità di ascoltare e intuire stati di crisi o malumore fra i componenti della
squadra. Se è possibile affiancarsi una persona conosciuta
e fidata, che possa aiutare,
seppure non nei compiti di responsabilità diretta: ad esempio l’assistente tecnico. Tuttavia ogni componente del
gruppo deve essere in grado,
da solo, di capire l’importanza
e la delicatezza del lavoro che
si sta compiendo. Bisogna
comprendere che sono annullate le ‘ore piccole’, gli eccessi
di alcool (un poco a cena distende gli animi) e tutti i fattori che possono creare problemi
nella giornata successiva.
L’onestà e la sincerità di ogni
componente dovrà rivelarsi in
caso di malessere o indisposizione che deve essere sempre
95
Capitolo 5
comunicata: non c’è niente di
male nella indisposizione fisica, che nulla toglie al valore
dell’elemento e soprattutto non
deve far temere una esclusione
dalle future operazioni. Al contrario atteggiamenti da ‘macho’ (uomo o donna), nascondere una indisposizione che
potrebbe sfociare in un incidente o, peggio, utilizzare delle attrezzature SCUBA da la-
voro per uso personale (tipo
immersioni notturne) sono cose da stigmatizzare sino all’espulsione dalla squadra, come
nell’ultimo
caso
(rescissione del contratto per
utilizzo personale di macchinari dell’impresa, perdita del
rapporto di fiducia ecc.). Molti
occhiali da sole a colazione nascondono sguardi spenti da eccessi notturni.
5.3 Come si scava
sott’acqua
5.3.1 LE ATTREZZATURE
Lo scavo subacqueo dal
punto di vista metodologico è
uguale allo scavo a terra: si deve asportare strato dopo strato,
dal più superficiale al più profondo.
Sott’acqua chiaramente si
incontrano strati di diversa natura rispetto alla terraferma:
strati di radici di posidonia
(matt), conchiglie, sabbia, fango, limo, rifiuti ecc. Bisogna
però dire che il vantaggio dello scavo subacqueo è che l’elemento liquido permette posizioni dell’operatore che a terra
sarebbero impossibili: il veleg96
giare sull’area di scavo oltre
ad una visione diversa delle
cose permette di scavare quasi in verticale senza doversi
poggiare sul reperto o sullo
strato.
Lo scavo subacqueo comporta tutta una serie di attrezzature particolari, finalizzate
allo scopo. Si possono suddividere (per comodità) in attrezzature personali e di cantiere:
Attrezzature personali
- Attrezzatura SCUBA completa.
- Attrezzatura stagna completa
con mascherone granfacciale
munito di interfono, braga,
ombelicale e centralina ricetrasmittente di superficie.
- Guanti in neoprene o in kevlar, da lavoro sub in gomma
pesante antiacido e antinquinamento.
- Protezione per le ginocchia,
dato che spesso gli operatori
subacquei lavorano in ginocchio con il pericolo di procurarsi ferite.
- Attrezzature personali da
scavo (a secondo dei fondali)
contenute in apposito retino:
seghetto per ‘matt’ di posidonie, mazzetta e scalpello per
concrezioni, retino fitto per
piccoli reperti, moschettoni di
varia grandezza, cimette
- Attrezzature personali per rilievo (per chi è addetto) contenute in un retino: doppio
metro, rollina da 12 mt, rollina da 20 mt; tavoletta per disegnare con matita e gomma
(sempre doppia dotazione e
alla matita conviene fare un
giro di nastro adesivo per evitare che in acqua si spacchi),
fogli di poliestere, pinze per
bloccarli sulla tavoletta, cordino elastico.
- Bussola.
- Tute da lavoro per esterno.
- Scarpe antinfortunistiche a
sfilamento rapido tipo stivaletto (OBBLIGATORIE).
- Elmetto (OBBLIGATORIO).
- Guanti da lavoro per esterno
in pelle (OBBLIGATORI).
Ricordare: sarà obbligo di
ciascun operatore tenere in
perfetto stato l’attrezzatura
personale (del quale sarà
l’unico responsabile sino al
momento di assicurarlo in deposito a fine giornata) e segnalare al capocantiere gli
elementi usurati o difettosi e
quindi la necessità di ricambio.
Ricordare: la custodia a fine giornata sarà a cura del capocantiere e/o del magazziniere. Qualsiasi uso improprio
e per fini personali delle attrezzature di cantiere può
comportare la rescissione del
contratto di lavoro con relativa espulsione (sulla base delle norme che regolano il contratto fra le parti, ove sarà
specificata la proibizione dell’uso delle attrezzature al di
fuori dell’orario di lavoro e
per fini non lavorativi).
97
Capitolo 5
Attrezzature di cantiere
- Sistema di comunicazione subacquea
- Compressore stradale (i litri
saranno da determinare a secondo della profondità)
- Pompa per lancia ad acqua
- Sorbona/e ad aria e/o ad acqua compressa
- Lancia ad acqua
- Sistema per pompa idrovora
(motore più girante su zattera)
- Palloni da sollevamento (di
varia portata)
- Cesti metallici per sollevare
reperti ingombranti
- Manichette per l’aria compressa per sollevare i palloni
- Reti per scarico sorbona
- Gruetta per grossi pesi
- Cime
- Boe
- Corpi morti
- Reticolo in tubi smontabili
- Reticolo per rilievi in piccola
scala
- Picchetti in ferro da 0,50 a 1
mt
Sul cantiere dovrà essere
presente un’officina per riparazioni veloci e di prima emergenza.
5.3.2 LO SCAVO
Baia, Via Herculanea, dettaglio della
tavoletta dell’architetto Francesco Stazio con tutte i punti da misurare già
preparati sul foglio di poliestere. (Foto
Francesco Rastrelli)
98
Lo scavo si imposterà in base al sito (relitto o struttura) e al
fondale (sabbia, roccia, fango,
posidonie ecc.). È necessario
ed obbligatorio dal punto di vista scientifico, prima dello scavo, effettuare o accertarsi che
sia stata redatta una planimetria (pianta e sezione) ed una
copertura fotografica: documentazioni queste sulle quali
si potrà impostare lo scavo.
Delimitata l’area del sito e
deciso il punto ove cominciare
Baia, Via Herculanea, rilievo della strada romana. In primo piano uno dei cartellini utilizzati per quadrettare la strada e facilitare sia il rilievo manuale (con triangolazione) che l’ortofotopiano. (Foto Francesco Rastrelli)
lo scavo, si coprirà l’area totale o solo la zona prescelta, con
una quadrettatura: attenzione
che la quadrettatura, anche se
parziale, dovrà essere agganciata (cioè avere come capisaldi di riferimento) a corpi morti
o picchetti che rimarranno sul
sito per tutta la durata del cantiere. La quadrettatura potrà
essere 1x1 - 2x2 mt o anche di
dimensioni maggiori o minori,
giungendo all’utilizzo di quadrati mobili di riferimento con
cordino elastico formante quadrati 0,10x0,10 (rilievo di dettaglio). Si potrà costruire con
tubi di metallo o meglio in
PVC uniti da giunti a 5 vie
(uscite) autostringenti. La
struttura poggerà sul fondale
tramite piantane in metallo che
99
Capitolo 5
Baia, Via Herculanea, ortofotopiano della strada romana (disegno architetto
Francesco Stazio, montaggio Antonio De Paolis)
fungeranno anche da zavorra
alla struttura medesima.
Ogni vertice del quadrato
sarà contraddistinto da cartellino in plastica siglato con pennarello indelebile del proprio
numero e lettera (A1, A2;
B1,B2; C1,C2).
100
Lo scavo si baserà sugli
stessi principi dello scavo a terra, strato per strato, partendo
da uno o più quadrati da scavare in contemporanea. In genere il primo strato è costituto
da sedimenti o alghe ma nel
caso di ‘matt’ di posidonie si
Baia, Via Herculanea, rilevamento strumentale: prisma all’esterno che collima con
lastazione posta sulla costa. (Foto Francesco Rastrelli)
dovrà asportare tagliando le
radici: ciò potrà sollevare del
sedimento che renderà scarsa
la visibilità: in tal caso gli operatori dovranno fare attenzione
alle mani. Cioè a non “intromettersi” nel taglio che il collega effettua ed attendere la
fine del taglio per togliere il
pezzo; questo comporta (come
già detto) una divisione dei
ruoli a monte. Sarebbe consigliabile che uno degli operatori, anche durante il taglio del
‘matt’ tenesse la sorbona in
azione per aspirare il sedi101
Capitolo 5
mento che si solleva ed avere
sempre pulita l’acqua.
Bisogna sempre evitare la
confusione e la sovrapposizione dei ruoli.
Lo scavo dei successivi strati, a seconda della loro densità,
durezza e sovrapposizione, si
potrà effettuare con la sorbona
e la lancia ad acqua.
Ogni strato prima della sua
asportazione deve essere disegnato e fotografato, ma solo in
presenza di evidenze scientifiche tali da rendere interessante lo strato, al fine di non rallentare un procedimento
difficile ed oneroso come lo
scavo subacqueo.
5.3.3 SORBONA E LANCIA
Nel caso di scavo a piccole
profondità o di piccoli sondaggi, si potrà utilizzare la sorbona ad acqua compressa che richiede un minore spazio per il
trasporto (pompa ad acqua, tubi in gomma telata con anima
in metallo, cesto o sacco) utilizzando un piccolo barchino
per il trasporto della pompa e
dei combustibili e olii. Soprattutto questo tipo di sorbona,
non utilizzando aria compres102
sa, non abbisogna di una profondità eccessiva per ottenere
un buon funzionamento.
Ricordare: mai trasportare
e/o stoccare lubrificanti e
combustibili insieme al materiale da immersione o personale per evitare inquinamenti di parti vitali dei
meccanismi di erogazione o
degli indumenti.
Nel caso di scavi di grossa
estensione o ad alta profondità è consigliabile l’uso della
sorbona ad aria compressa che
però necessita di un compressore stradale adeguato, quindi
di un relativo mezzo di trasporto (pontoncino) e manichette per l’aria compressa. Poi
vi è la sorbona vera e propria:
costituita da un tubo corrugato
con anima rigida al quale è
flangiata la testa della sorbona
(pezzo di tubo metallico, meglio se in alluminio, di circa
40/50 cm) sulla quale vi è l’attacco delle manichette di andata dell’aria e il rubinetto di
regolazione (sempre se non è
posto più a monte). Sull’altro
estremo si applicherà il sacco
che raccoglierà i sedimenti e i
reperti scavati; la maglia della
rete sarà di 1x1 cm.
La sorbona ad aria compressa lavora sul principio dell’espansione dell’aria compressa in risalita: in pratica l’aria in
entrata sulla testata della sorbona tende a risalire velocemente nel tubo della sorbona
espandendosi al diminuire del-
la pressione, questo provoca
una turbolenza che risucchia
all’apertura della testata i sedimenti. I sedimenti trascinati
dall’aria in risalita andranno
poi a cadere nel sacco ed è per
questo che la sorbona dovrà lavorare inclinata (minimo 45°)
per favorire la massima velocità di espansione dell’aria e
quindi un risucchio molto forte.
I Tipo di sorbona. Costituito da un tubo rigido (di vario calibro) con testa di metallo montata su un tubo flessibile con anima in acciaio. La regolazione del flusso
è sulla testa. Il materiale aspirato finisce nel sacco che, una volta riempito, viene
issato sull’imbarcazione. Il pallone serve a tenere la sorbona nella giusta inclinazione e ad evitare eventuali oscillazioni. Gli ancoraggi invece evitano che la sorbona all’apertura della valvola dell’aria compressa, possa sollevarsi violentemente
verso la superficie.
103
Capitolo 5
Chiaramente a maggiore potenza di aspirazione (e viceversa) dovrà corrispondere un
adeguato calibro della sorbona (diametri da 100 a 200 mm),
questo per evitare intasamenti
con grossi detriti.
La sorbona, lavorando inclinata e sottoposta alle sollecitazioni dell’aria o dell’acqua
compressa, dovrà essere ancorata in testa e coda a corpi
morti e questo per evitare ‘pallonate’ (cioè intasamenti di
aria e detriti che fanno sollevare verso la superficie la sorbona) che potrebbero ferire gli
operatori.
Lo scarico della sorbona dovrà essere disposto a favore
della corrente di fondo: si raccomanda di accertarsi che ci si
basi sul flusso di fondo e non
su quello di superficie. Questo
II Tipo di sorbona. Costituito da una imboccatura rigida, con flusso di mandata e
tubo corrugato rinforzato da anima di acciaio. Il tubo scarica i materiali in un cesto tenuto in tensione da un pallone. La manichetta dell’aria compressa deve essere solidale al tubo della sorbona.
104
Baia 1982. Sommozzatore mentre scava con sorbona da 200 mm. Accanto si nota la lancia ad acqua. (Foto Mario Rosiello, Centro Studi Subacquei Napoli)
per evitare ‘nebbie’ da sedimento in sospensione.
Ogni sorbona dovrà essere
munita di una valvola di regolazione a sfera, ben visibile e di
colore vivace (rossa o gialla) e
preferibilmente montata sulla
testa della sorbona per rapidi
interventi.
La testa potrà anche essere
munita di griglia di selezione
per evitare di intasare il condotto. In ogni caso gli operatori dovranno essere muniti di
guanti da lavoro robusti per
evitare escoriazioni ma soprattutto mai inserire le mani nell’imboccatura mentre questa è
in aspirazione e mai guardare
all’interno mentre lavora: fermarla sempre prima di effettuare qualsiasi operazione.
105
Capitolo 5
Sorbona da 200 mm. Si noti il corrugato che unisce la bocca al corpo della sorbona e le manichette della bassa pressione che convergono alla valvola di regolazione posta sulla bocca (da Il Ninfeo, op.cit.).
Sorbona da 200 mm. Mentre
viene calata in acqua. Si noti il
cestello di metallo posteriore al
quale è attaccato il sacco a rete per i materiali (da Archeologia Viva 1983).
106
Valvola di regolazione del flusso d’aria su sorbona da 200 mm. posta sulla imboccatura e con i due attacchi delle manichette della bassa pressione (da Il Ninfeo, op. cit.).
Lo scavo andrà effettuato
con una regolazione adeguata
del flusso di aspirazione in modo da non causare strappi su
materiale delicato (legno, ceramica, vetro ecc.) e soprattutto non adoperare la testa della
sorbona come un ‘ariete’ di
sfondamento dello strato. La
testa della sorbona va avvici-
nata al livello da asportare retta da un operatore da dietro,
mentre l’altro, posto di lato o di
fronte, con la mano solleverà i
sedimenti che verranno aspirati e nel contempo potrà selezionare i materiali. A tale scopo si può adoperare anche la
lancia ad acqua che taglierà
delicatamente lo strato.
107
Capitolo 5
Baia 1981. La M/N Lisetta, base di appoggio alle operazioni subacquee di scavo del Ninfeo dell’imperatore Claudio. Si vedono la gru, il compressore e il tavolo per la cernita dei materiali. (Foto Centro Studi Subacquei Napoli)
108
Sorbona da 200 mm. Posta in verticale rispetto al fondale, con piastre di appesantimento sulla bocca. Questo tipo di sorbona è molto scomoda in quanto come
si può notare dalla foto comporta uno sforzo del sommozzatore per evitare l’effetto ventosa e l’impossibilità di effettuare un taglio stratigrafico del fondale. In primo piano la valvola di regolazione (foto dell’autore).
109
Capitolo 5
Ricordare: non puntare mai
la lancia ad acqua compressa
sul collega di lavoro ed in particolare sulla maschera che
potrebbe frantumarsi per il
forte getto.
La regolazione della lancia
sarà sempre sulla testata di
uscita obbligatoriamente con
valvola a sfera.
La sorbona dovrà esser di
calibro adeguato alla operazione di scavo da eseguire: se
si scava fra il carico di un relitto è meglio operare con una
sorbona di piccolo diametro
(100, 150 mm) al fine di non
perdere i ‘piccoli dati’ che un
naufragio nasconde. Mentre
un grosso ø (200, 400 mm) verrà utilizzata nel caso di scavi di
ambienti sommersi o di grosse
aree.
Conviene che ogni operatore durante la fase di scavo
abbia in dotazione dei retini a
Schema di funzionamento sorbona ad aria compressa. Il flusso d’aria proveniente dal compressore (frecce tratteggiate) si espande nella bocca della sorbona e risale velocemente, provocando una depressione (frecce curve) che risucchia acqua
(frecce grigie) e sedimenti del fondale (frecce nere). Chiaramente la percentuale
di acqua dovrà essere maggiore per evitare l’intasamento della sorbona.
110
maglia sottile, ove mettere piccoli reperti che, una volta in
superficie, verranno collocati
nella cassetta dello strato o
dell’area corrispondente.
Il sacco o il cesto della sorbona va periodicamente controllato. Pieno per ¾ si ferma la
sorbona, si chiude il sacco all’imboccatura e solo allora si
stacca dalla sorbona. Appare
chiaro che per facilitare l’operazione il sacco dovrà essere
morbido e non teso, quindi
poggiato sul fondo. Distaccato
dalla sorbona il sacco verrà inviato in superficie tramite pallone idrostatico o gru. Per evitare una eccessiva distensione
del sacco e quindi un difficile
recupero, con una cima si uniranno i due capi e a questa,
con un grillo, si assicurerà il
pallone. Ciò permetterà di ridurre la lunghezza effettiva
del sacco. Il pallone, chiusa la
valvola superiore, si riempe
con aria tramite manichetta
che viene dalla superficie. In
ogni caso il riempimento deve
avvenire gradualmente: appena il sacco si solleva ed inizia a
“galleggiare” sul fondo, si potrà dare un ulteriore colpetto
d’aria ed il carico partirà dolcemente verso la superficie.
Per il noto effetto di espansione
dei gas compressi al diminuire
della pressione è proibito effettuare riempimenti rapidi del
pallone con partenza a missile
del medesimo: accade in tal caso che l’arrivo del pallone in
superficie a tutta velocità lo
faccia fuoriuscire completamente dall’acqua, col rischio di
capovolgersi, perdere aria e
precipitare sul fondo con il carico, mettendo in pericolo i
sommozzatori.
Ricordare. Mai gonfiare il
pallone con il proprio erogatore. Si rischia di restare impigliati nelle braghe del pallone
e trascinati in superficie velocemente con rischi di sovradistensione polmonare.
Questa esperienza purtroppo è stata vissuta in prima persona dall’autore e l’incidente
non ha avuto conseguenze per
la bassa profondità e l’immediata espulsione dell’aria dai
polmoni ma, purtroppo, è ancora costume diffuso adoperare tale tecnica per gonfiare i
palloni da sollevamento.
In superficie il sacco o il ce111
Capitolo 5
Baia, Punta Epitaffio, I campagna di scavo, 1981: selezione dei materiali e loro
incassettamento. In questo caso effettuato da un archeologo di eccezione: Bernard
Andreae (foto Centro Studi Subacquei Napoli).
112
Recupero di anfore con apposito cesto con intelaiatura metallica (da Mocchegiani, op. cit.).
113
Capitolo 5
Baia 1982. Recupero della statua dell’Antonia Minore con lettiga e pallone da sollevamento. (Foto Mario Rosiello, Centro Studi Subacquei Napoli)
114
Recupero del sacco con il materiale scavato dalla sorbona e sua apertura su tavolaccio da lavoro (da Il Ninfeo, op. cit.).
sto verrà recuperato, rovesciato su un tavolaccio e il suo contenuto verrà vagliato per recuperare eventuali reperti. A
bordo vi saranno sempre cassette, buste di plastica (che
vanno forate per far evaporare
l’acqua), contenitori (vasche)
in plastica ove immergere i reperti deperibili (legno, cuoio,
metalli ecc.). Sarebbe consigliabile la presenza sia in immersione che a bordo di ar-
cheologi (alternati nei ruoli) in
modo che il controllo della procedura di scavo sia totale: scavo>recupero>selezione.
Gli oggetti recuperati dovranno essere subito puliti, desalinizzati (soprattutto se è legno), consolidati e catalogati.
Tale procedura dovrà essere
effettuata in coda o in contemporanea allo scavo, al fine di
non dover effettuare dopo decenni “scavi” in materiale de-
115
Capitolo 5
positato e dimenticato. Si dovrà quindi prevedere che parte dei fondi andrà utilizzata per
questa fase.
5.3.4 RIUNIONI
DI INIZIO E FI-
NE CANTIERE
Lo scavo, sia in mare che a
terra, non si deve fare in fretta
o per trarre benefici economici
o di gloria. La richiesta del finanziamento deve essere proporzionata al sito o all’area che
si intende scavare di quel sito.
Mai effettuare scavi, o meglio
buchi, solo per vedere cosa cè
sul fondo, se ci sono statue o se
cè il legno del relitto (anche
perchè se il carico è ancora in
situ…), magari giustificando tali operazioni con la scarsezza
del finanziamento. Bisogna fare ciò che è giusto scientificamente e ciò che si può ottenere con quel finanziamento
(soprattutto se è scarso). Anche
solo un buon rilievo o un’adeguata copertura fotografica
possono considerarsi un ottimo
risultato dal punto di vista
scientifico per la conoscenza
preliminare di un sito. Purchè i
116
dati siano poi pubblicati.
Al fine di realizzare una
buona campagna di scavi il coordinatore deve far chiarezza
in se stesso, su cosa si vuole ottenere e cosa si può ottenere
con un determinato finanziamento. Le frustrazioni o i sogni
di gloria vanno curati in altre
sedi.
A inizio e fine giornata sarà
cura del coordinatore effettuare le riunioni di apertura e
chiusura giornata operativa.
Nella riunione di inizio operazioni, su apposita scheda, si
nominano i gruppi, i settori ed
i lavori da effettuare (le finalità); nella riunione di chiusura
ciò che si è fatto o non fatto,
problemi e soluzioni, squadre
per il giorno dopo. Alle riunioni saranno presenti obbligatoriamente tutti gli operatori del
cantiere, il coordinatore avrà
il dovere di ascoltare, coadiuvato dal capo cantiere, le richieste e i problemi di ognuno
(purchè fondati). Alla fine della riunione si stenderà un ruolino di giornata controfirmato
da tutti. Il coordinatore farà da
tramite con la direzione tecni-
co-scientifica (non sono ammesse deleghe corali) alla quale sottoporrà quotidianamente
il programma delle operazioni.
Il programma delle operazioni sarà esposto per tutto l’arco della giornata lavorativa.
Ogni deroga dovrà essere riferita preventivamente ed approvata dal coordinatore; se
per problemi contingenti ciò
non fosse possibile, effettuata
la deroga sarà relazionata a fine giornata con le motivazioni,
variazioni e risultati ottenuti e
controfirmata dagli operatori.
Ognuno si deve assumere le
proprie responsabilità, non
sono ammessi cantieri con irresponsabili o persone senza
cervello ma dedite alla “lamentatio”.
5.4 Lo scavo semisommerso
Operando in contesti particolari, come coste soggette a
bradisisma (costa flegrea ad
esempio) o relitti spiaggiati, si
dovrà impostare un cantiere
semisommerso. Nulla varia
nella impostazione generale,
solo la bassa profondità (se non
addirittura acqua affiorante)
comporta l’utilizzo di tecniche
particolari e l’adeguamento
delle strumentazioni idonee.
Se lo scavo è effettuato sul
litorale, scavando letteralmente la spiaggia, dopo aver
asportato e livellato la sabbia
con una pala meccanica si potrà fare un saggio con escavatore cingolato (l’unico in grado
di muoversi sulla sabbia e non
danneggiare le strutture in
quanto i cingoli ripartiscono il
peso). Individuata la presenza
archeologica (struttura o relitto) si provvederà ad allargare il
campo di indagine per saggi,
trincee o seguendo le strutture:
tutto dipende dallo stato dei
luoghi e dalla possibilità di
operare con il mezzo meccanico. L’importante è “scapitozzare” quanto più possibile il li-
117
Capitolo 5
vello di sabbia soprastante e
tagliare le pareti del saggio a
45° o a gradoni inclinati a 45°.
Bisogna però tenere presente
che l’invaso dello scavo sarà
proporzionale alla sua profondità e alla larghezza che si
vuole ottenere alla base: es. 2
mt di profondità per 2 mt di
larghezza alla base si avrà un
invaso largo almeno 4 mt ca.
alla superficie. Questo in un
contesto con terra non friabile.
Ma data l’inconsistenza della
sabbia e la presenza di acqua
sul fondo che provoca una continua erosione delle pareti si
dovrà raddoppiare la grandezza dell’invaso in proporzione
all’area da scavare. Se si riesce
a stabilire l’area di scavo con
una certa precisione si possono
applicare paratie metalliche
per il contenimento delle pareti e facilitare il prosciugamento delle acque di risalita.
Ricordare: se si scava in riva al mare per effetto dei vasi
comunicanti le acque si livellano sempre a quelle marine.
La pompa ad immersione
che aspira le acque dovrà es-
118
sere posta più in basso rispetto al punto da scavare, creando un punto di pescaggio ove
si convoglieranno le acque
marine (o freatiche in quanto
questa tecnica si applica anche in presenza di acque di
falda) che verranno continuamente aspirate e convogliate
all’esterno prima di invadere
l’area.
In pratica lo scavo avverrà
all’asciutto, ma si tenga presente che le murature, gli intonaci, i mosaici, i pavimenti
in genere, e i legni, si deteriorano rapidamente per il repentino passaggio da un ambiente umido ad uno asciutto.
Per evitare ciò è consigliabile
proteggere l’area con teli frangisole e bagnare frequentemente le strutture con getti
leggeri a pioggia (ugelli tipo
sprinkler). Lo scavo così è
sempre in ambiente umido per
cui gli operatori saranno protetti da mute leggere (tipo
windsurf) o al minimo da corpetti in neoprene (sottomuta).
Lo scavo avverrà tramite il
convogliamento della sabbia
e dei detriti verso la bocca della pompa aspirante. La pompa
sarà di tipo oleopneumatico e
non elettrico, in grado di lavorare anche con un livello
minimo di acqua che dovrà
pur sempre esserci o si creerà
l’effetto ventosa con il rischio
di “strozzare” (piegare) il tubo. Per evitare ciò si potranno
adoperare tubi in gomma con
anima in acciao e rivestimento telato all’esterno, con flangiature zincate e a chiusura
ermetica, per non far perdere
pressione di aspirazione alla
pompa. Il motore della pompa
sarà montato su uno zatterino
o gommone dal fondo rigido
posto fuori la battigia.
Il convogliamento dei detriti verso la pompa si effettuerà con una lancia ad acqua.
Ricordare: la regolazione
della lancia ad acqua sarà sull’uscita, con valvola a sfera, e
sempre al minimo, altrimenti
la potenza dell’acqua potrebbe disgregare intonaci e pavimentazioni che sono imbibiti d’acqua. È consigliabile
l’applicazione di getto a pioggia che aiuterà a “spazzare”
via i detriti.
La vagliatura dovrà avvenire sia nelle fasi di scavo che
all’uscita della pompa ove si
ha lo scarico dei detriti sotto il
controllo di un operatore a turno. I detriti potranno avere scarico libero (dato il basso fondale) o in appositi contenitori
(cesti o sacchi). Bisogna però
sottolineare che uno scavo che
opera su una spiaggia e quindi in una zona sottoposta nel
corso di secoli al moto ondoso,
difficilmente potrà rivelare oggetti in strato e soprattutto piccoli reperti. Ciò non toglie che
si applicheranno comunque
tutte le garanzie scientifiche di
vagliatura e recupero dei reperti.
Se lo scavo avviene invece a
bassa profondità (da -0,50 a 2,00 mt) l’operatore dovrà munirsi di adeguata zavorra (sino a
20 kl se la risacca è forte) o ancorarsi a picchetti se l’area di lavoro è ristretta. A queste profondità è consigliabile l’uso di
rifornimento d’aria dalla superficie (narghilè) che consente
una maggiore libertà di movimento al subacqueo. È sconsigliato l’uso del GAV, l’attrezzatura deve essere ridotta al
119
Capitolo 5
Scavo in ambiente semisommerso con paratie di contenimento e pompa aspirante posta più in basso rispetto al piano di scavo. Con le manichette ad acqua compressa si spinge la sabbia verso il punto più basso al fine di liberare l’area (foto
dell’autore).
minimo anche se per effetto
della risacca è obbligatorio l’uso
di muta intera, ginocchiere e
guanti da lavoro: un improvviso
colpo d’onda potrebbe scaraventare l’operatore sulla struttura e la presenza di ricci e/o
‘denti di cane’ potrebbero feri-
120
re le parti esposte (mani, volto)
o di appoggio (ginocchia).
Lo scavo a tali profondità
può effettuarsi sia con la pompa oleopneumatica che con la
sorbona.
5.5 Immersioni particolari
Si definiscono tali le immersioni in grotta, in acque portuali, sotto navi, in corrispon-
denza di dighe, scarichi o entrate di pompe e in fiumi.
5.5.1 IMMERSIONI
la riunione preimmersione si
decide chi dei due subacquei
entrerà mentre l’altro, all’ingresso, terrà il “filo di Arianna”. All’ingresso saranno collocati due monobombola di
emergenza. Altri verranno collocati a stazioni successive mano a mano che si procede nella grotta.
Preventivamente si sarà collegata una cima di discesa che
porta alla imboccatura della
grotta in modo da facilitare il
lavoro degli operatori subacquei.
I sommozzatori saranno dotati di due/tre bombole indipendenti, con erogatori e manometri indipendenti, avendo
l’accortezza di collegare il manometro e l’erogatore corrispondente o con un giro di nastro adesivo colorato o assicurandoli in coppia al cinghiaggio per non lasciarli penzoloni.
Saranno inoltre dotati di
IN GROTTA
Tale immersione deve essere attentamente programmata
in tutte le sue componenti e
deve rispondere ai criteri di
estremo interesse scientifico,
data la sua onerosità e difficoltà operativa.
Oltre alla solita assistenza
di superficie l’immersione avverrà obbligatoriamente in
coppia, o con SCUBA o muta
stagna. Se si indossa la muta
stagna (si sconsiglia il suo uso
per motivi di sicurezza data la
sua delicatezza rispetto all’ambiente operativo). Tuttavia
se si indossa conviene indossare dei sovramuta in nylon da
speleologo, avendo l’accortezza di effetuare dei fori in corrispondenza delle valvole della
muta. Comunque anche con la
muta per immersioni in grotta
si deve usare il G.A.V. che costituisce una riserva d’aria nel
caso si allagasse la stagna.Nel-
121
Capitolo 5
lampade adeguate (sul mercato si trovano ottime lampade,
piccole ma dotate di eccezionale luminosità) che saranno
fissate sulla braga o sul caschetto di protezione (tipo speleo) in dotazione.
Le rubinetterie delle bombole avranno delle protezioni
in acciaio e l’attacco è unicamente quello DIN, che fornisce
garanzie di sicurezza estrema
in caso di urti in quanto si avvita direttamente alla filettatura della rubinetteria
Ricordare: l’immersione
verrà effettuata in estrema sicurezza; qualsiasi anomalia
che si verificherà all’esterno o
all’interno della grotta, a unico
giudizio della squadra immersa (forti correnti, visibilità insufficiente, ostacoli imprevisti
ecc.) dovranno far abortire
l’immersione che verrà riprogrammata o meno, a discrezione del coordinatore e dell’assistente tecnico.
L’introduzione nella grotta,
a scopo di ricognizione scientifica, deve essere lenta, effettuata orizzontale al fondo e con
122
l’ausilio delle mani se la grotta
è alquanto angusta. Le pinne
devono essere, possibilmente,
tolte all’ingresso oppure adoperate pinne corte tipo speleo:
in ogni caso il movimento delle gambe deve essere minimo
per non sollevare sedimenti
dal fondo. Avanzando si deve
portare con sé il “filo di Arianna” con un mulinello autobloccante che servirà da stazione per la squadra
successiva. L’operatore dovrà
avere le mani libere per avanzare, prelevare eventuali campioni, tenersi al filo guida. È
obbligatorio l’uso di guanti di
protezione. Se la grotta si restringe e non è possibile rigirarsi, si dovrà fare mente locale che per ritornare si sarà
costretti a retrocedere con l’ausilio delle mani e guardando
sotto il proprio torace.
In caso di difficoltà si comunica, tramite segnali sul filo guida, sia alla superficie
e/o al compagno di immersione all’ingresso (la comunicazione in ogni caso deve essre
continua sia per descrivere
l’operazione che si svolge che
per sicurezza) e l’immersione
Esempio di grotta, Area Marina Protetta di Punta Campanella.
abortisce.
Ricordare: non abbandonare mai il filo guida.
In caso di cessata comunicazione e/o segnali di attività sul
filo guida, il compagno all’ingresso lo comunicherà in superficie e attenderà la squadra di
emergenza (già pronta). Solo al-
lora potrà entrare, con lo stesso
sistema e provvederà al recupero e/o soccorso del compagno.
Ricordare: manovre forzate, inconsulte, tentativi di soccorso senza squadra di emergenza possono risultare letali
per sé e per l’infortunato.
123
Capitolo 5
L’operatore in grotta potrà
raccogliere reperti, appuntare
dati su una lavagnetta e segnare eventuali punti ove effettuare foto, riprese, saggi o
prelievi. Per facilitare questo
compito il filo guida sarà scandito con decametri). Terminato
il turno si lascia il rocchetto del
filo guida, possibilmente su un
lato della grotta, e seguendolo
(OBBLIGATORIAMENTE) si
fuoriesce. Attenersi strettamente ai tempi ricevuti in superficie.
Giunti sull’imbarcazione si
comunicheranno subito i dati
per la squadra successiva: metri percorsi, imprevisti, e se è il
caso di portare un gruppo di
bombole all’interno della grotta come stazione di sicurezza.
Generalmente nella immersione in grotta si applica la regola del terzo: si prevede, in
pratica, di consumare 1/3 dell’aria per l’andata, 1/3 per il ritorno e 1/3 resta per ogni emergenza. Bisogna inoltre calcolare
una riserva del 10% sulla carica delle bombole: es. su una carica di 200 bar la riserva sarà di
20 per cui restano a disposizione 180 bar che divisi per 3 dan124
no una disponibilità di: 60 bar
per l’andata, 60 per il ritorno e
60 per l’emergenza. Questa regola è da intendersi come il minimo indispensabile per la sicurezza. In grotta non si sa mai
a cosa si va incontro e che problemi si possono avere: maggiori sono le sorgenti d’aria a
disposizione e più probabilità
di salvezza vi sono. (Fancello,
in Le leggi della subacquea, pp.
119-121. Da leggere attentamente soprattutto le Raccomandazioni finali).
5.5.2 IMMERSIONI
IN ACQUE
PORTUALI E SORGITORI
Potrà capitare di immergersi in porti moderni costruiti su
porti antichi (Pozzuoli, Anzio,
Augusta, Siracusa, Miseno
ecc.); in tal caso, ottenute le
debite autorizzazioni dall’autorità portuale, conviene sempre assicurarsi:
- grado di inquinamento delle
acque per scegliere se adoperare muta umida o muta
stagna con gran facciale;
- presenza di carcasse di navi
sul fondo, ordigni bellici o altri pericoli;
- ordinanza della capitaneria
emessa ed esposta ben visibile (avere sempre una copia
a bordo) e accertarsi dell’avvenuto spostamento del traffico marittimo;
- campo boe che delinea l’area
di cantiere ed imbarcazione
di appoggio vicino ai subacquei;
- se il campo è vicino alla banchina assicurarsi che ci sia la
scaletta di risalita ed eventualmente acqua potabile utile per lavarsi prima di togliersi la muta (soprattutto in
caso di acque inquinate);
- che non vi siano industrie con
scarichi particolari, centrali
idroelettriche con prese e
scarichi di acque di raffreddamento. In tal caso bisogna
valutare il grado di inquinamento ed adoperare (se l’immersione vale il rischio) muta stagna antiacido con
collare per elmo e guanti stagni. È obbligatorio in tal caso
il lavaggio dell’operatore con
prodotti disinquinanti dopo
l’immersione e prima della
svestizione.
5.5.3. IMMERSIONI SOTTO NAVI ALL’ORMEGGIO
Può accadere in acque portuali che lavori di dragaggio o
prove di eliche portino alla
scoperta di materiale archeologico, per cui si programma
un’immersione al di sotto o vicino una nave.
In tal caso dovranno essere
attivate le seguenti procedure
e manovre di sicurezza:
- informare la Capitaneria di
Porto della necessità dell’immersione e quindi della totale sospensione delle attività
portuali in quell’area;
- con ordinanza della Capitaneria e insieme al Comandante o graduato della Capitaneria, il responsabile delle
immersioni comunicherà al
Comandante (o pari grado)
della nave la cessazione delle attività per il tempo necessario ai rilevamenti e quali
apparecchiature della nave
vadano messe in sicurezza:
timoni, eliche, assi, prese e
scarichi in mare;
- il responsabile dell’immersione, presente un rappre-
125
Capitolo 5
sentante della Capitaneria,
farà richiesta al Comandante
della nave di essere informato quando sarà possibile iniziare le operazioni subacquee;
- quando pronti, la nave innalzerà i segnali appropriati ed
informerà ogni 30 minuti il
personale di bordo che si
stanno svolgendo operazioni
subacquee;
- alla fine delle operazioni il
responsabile delle immersioni, previo avviso alla Capitaneria di Porto, comunicherà
al Comandante della nave la
fine delle operazioni subacquee;
- assicurarsi che vi sia fondale
sufficiente per l’operatore subacqueo dalla chiglia della
nave e che non vi sia risacca
e che la nave sia adeguatamente ormeggiata.
In questo tipo di operazioni
sono consigliabili gran facciali alimentati dalla superficie o
altrimenti SCUBA con cima e
imbracatura di sicurezza.
I subacquei dovranno essere protetti adeguatamente dall’eventuale strofinio contro la
carena.
126
Assicurarsi che l’ombelicale
e/o la cima guida non si incastri contro i parabordi della
banchina, nella timoneria, negli assi ed eliche della nave.
Conviene effettuare l’immersone in coppia o con imbarcazione appoggio che tenga
sempre libero il cavo.
Il subacqueo sotto la nave
deve essere munito di torcia in
quanto la visibilità sarà sicuramente pessima.
Stabilire durante la riunione
preliminare pre-immersione i
punti di riferimento dello scafo e come verrà condotta la ricognizione.
Assicurarsi che la discesa e
la risalita del subacqueo non
avvenga fra lo scafo e la banchina ma da un punto d’acqua
libero e ben delimitato.
5.5.4 – IMMERSIONI IN CORRISPONDENZA DI DIGHE O PRESE
D’ACQUA
Come per i porti e le navi,
tali immersioni avverranno a
chiusura avvenuta dei meccanismi di presa o scarico e solamente con ombelicale, cima ed
imbracatura di sicurezza.
Se le diga si trova ad una al-
titudine superiore ai 700 mt si
dovranno adottare tabelle
adatte a quella altitudine. Si
vedano tabella 9-4 del U.S.
Navy Diving Manual 2008
5.5.5 – IMMERSIONI IN FIUMI
L’immersione sarà effettuata nel periodo di maggiore siccità e quindi di minore portata
d’acqua.
L’area da indagare sarà
chiusa a monte da rete d’acciaio che occluderà l’intera larghezza del fiume, in maglia
con diametro adeguato a resistere ad eventuali relitti trascinati dalla corrente. La rete avrà
una minore parte affiorante, tesata nella parte superiore ad
un cavo d’acciaio ancorato alle
due rive e una maggiore parte
sprofondata, zavorrata affinché
rimanga in leggero bando con
la corrente al fine di ammortizzare eventuali colpi di oggetti trascinati dal fiume. A valle vi sarà solo un cavo di
acciaio per l’ancoraggio dei tiranti guida del subacqueo.
All’interno di questa zona,
su un altro cavo d’acciaio teso
fra i due cavi, si assicurerà
l’imbarcazione appoggio per
fiancata e dalla quale gli operatori potranno farsi filare a favore della corrente e farsi poi
recuperare. Lo spostamento
regolare dell’imbarcazione
lungo il cavo d’acciaio, a distanze prescelte, permette la
scansione del fondo fluviale.
Sarebbe consigliabile l’utilizzo di un solo operatore e di altri due per emergenza data la
pericolosità del contesto.
Un’altra imbarcazione incrocerà nell’area per qualsiasi situazione di emergenza (barca
da inseguimento).
Il subacqueo in immersione
avrà sicuramente scarsa visibilità e un fondale irto di ostacoli; si consiglia quindi di mantenersi quanto più orizzontali
rispetto al fondo per non fare da
ostacolo alla corrente e muoversi lentamente in suo favore.
Ricordare: la protezione
del sub deve essere totale.
L’ombelicale, per quanto possibile, deve essere gestito
sempre ed unicamente sulla
verticale del sub e MAI da riva o da altra postazione fissa
rispetto ai movimenti del sub
in immersione.
127
Capitolo 5
Immersione in acque fluviali con attrezzatura stagna e ombelicale di collegamento sia di sicurezza che fonico (cavo arancione) (da Mocchegiani, op. cit.).
128
L’ingresso del subacqueo
avverrà da un punto a monte
(imbarcazione), il suo recupero
avverrà a valle tramite imbarcazione, che recupererà anche
l’ombelicale e la cima guida e
riporterà il subacqueo al punto di partenza. In ogni caso si
dovrà avere sempre l’ombelicale e la cima guida libera,
senza volte o curve non controllabili con possibilità di soccorso diretto sulla verticale del
subacqueo.
sa visibilità, si consiglia l’uso
della muta stagna. Obbligatorio è il casco.
Nel caso si tratti di ricognizione a piloni di un antico ponte il subacqueo scenderà o da
una piattaforma attrezzata alla
base di questo (se il punto da
controllare è uno e unicamente sulla verticale della piattaforma) o da imbarcazione assicurata al ponte ma solo dopo
l’installazione delle reti di protezione.
Ricordare: in caso di incaglio dell’operatore in immersione MAI tirare la cima guida o l’ombelicale, si potrebbero creare situazioni complesse che mettono in pericolo la vita dell’operatore in immersione: il soccorso dovrà
essere effettuato da operatori
predisposti all’emergenza.
Ricordare: in questo caso e
solo in questo la discesa in acqua non avverrà con l’ombelicale gestito da sopra il ponte, per quanto basso sia,
altrimenti qualsiasi incaglio
dell’ombelicale sarebbe ingestibile con grave pericolo per
l’incolumità del subacqueo.
L’ombelicale sarà gestito sempre ed unicamente da imbarcazione di appoggio con relativi sub per emergenza.
Poichè l’acqua dei fiumi è
tradizionalmente più fredda e
con maggiori problemi di scar-
129
Capitolo 5
Osservando le due figure in
basso, in questa pagina e alla
successiva, possiamo comprendere come si progetta una
ricognizione fluviale in massima sicurezza. L’area da ricognire deve essere delimitata da
due cavi di acciaio posti rispettivamente a monte e a valle. Sul cavo a monte è posizionata anche una rete di protezione per eventuali materiali
trascinati dalla corrente, tenuta al fondo da adeguato corpo
morto. La rete si ergerà rispetto al cavo per evitare che corpi semisommersi possano scavalcare il cavo e invadere il
campo operativo. Lungo i due
cavi vengono tesati i cavi di acciaio che faranno da guida al
subacqueo e ai quali sono inanellati altri due cavi in fibra
sintetica galleggiante (in modo
che rimane in bando verso la
superficie e non sul fondale)
che saranno utilizzati come cime di sicurezza per il sommozzatore. Le boe rosse, scorrendo con il cavo, indicano la
posizione del subacqueo. Due
barche sorveglieranno l’area:
una all’interno e una all’esterno (nella eventualità un subacqueo venisse trascinato
dalla corrente). Ambedue le
barche saranno dotate di sommozzatori di pronto intervento.
La caratteristica dei fiumi è la
scarsa visibilità e la estrema
pericolosità dei fondali, ricchi
di elementi sporgenti come
Sezione dello schema di ricognizione fluviale.
130
tronchi d’albero e rifiuti di ogni
genere. Il sommozzatore dovrà
avere erogatore di emergenza
e manometro quanto più aderenti al corpo e assicurati alla
imbragatura, nulla dovrà essere lasciato in bando.
In caso di pericolo abortire
immediatamente l’immersione.
Inoltre è consigliabile l’immersione di un sommozzatore per
volta. In questo modo, se chi si
immerge dovesse rimanere in-
cagliato, può lanciare una boetta in superficie, come segnale per far intervenire i sommozzatori di emergenza. Questi possono scendere lungo la
cima guida e liberare così il
compagno.
Mai tentare di liberare il
sommozzatore dalla superficie strattonando la cima guida.
Si possono verificare incidenti mortali.
Pianta dello schema di ricognizione fluviale.
131
6. Attrezzatura SCUBA
Self Contained Underwater Breathing Apparatus: sistema a
circuito aperto ad aria compressa o miscele, il più adoperato per
le immersioni sia sportive che professionali. Questo sistema
comporta alcuni vantaggi e svantaggi:
VANTAGGI
SVANTAGGI
Rapidità d’uso
Facilità di trasporto
Minima logistica di supporto
Massima mobilità
Poca interferenza con il fondale
Poca autonomia (profondità e
durata)
Affaticamento respiratorio
Relativa protezione fisica
Soggetto alla corrente (se non
sagolato)
Mancanza di comunicazione
vocale
I limiti di intervento con lo
SCUBA sono posti entro i 40
metri con bibombole, con corrente massima a 1 nodo e
squadra subacquea minima di
4 persone (due sotto e due sopra) con imbarcazione di assistenza e recupero. L’attrezza-
tura SCUBA deve essere utilizzata solo in spazi aperti e
non in ambienti chiusi per dare la possibilità al subacqueo,
in caso di blocco dell’alimentazione, di una risalita rapida
controllata (non pallonata). Attualmente però le scuole spor133
Capitolo 6
5
tive addestrano all’uso del monobombola, non del bibo ed
esclusivamente con il GAV nonostante la sua pericolosità.
I subacquei dovrebbero essere addestrati ad immersioni
senza GAV o quanto meno a
GAV sgonfio.
L’attrezzatura SCUBA in archeologia subacquea è quella
più adoperata. Manca ancora
un addestramento specifico all’uso di mascheroni gran facciali per cui spesso si intraprendono operazioni con
attrezzatura SCUBA solo per-
chè l’operatore non è in grado
di adoperare attrezzature più
complesse.
Ricordare: ognuno è responsabile della cura e manutenzione dell’attrezzatura personale e ogni problema tecnico
va segnalato al coordinatore e
all’assistente tecnico.
Di seguito parleremo dell’attrezzatura SCUBA di base
per un lavoro di ricognizione in
acque tra i 10° e 20°.
MUTA UMIDA ---------------------------------------------------La muta umida serve al
sommozzatore sia come protezione del corpo che, soprattutto, per evitare la dispersione
di calore. Questa in acqua è
dalle 20 alle 25 volte superiore
che in aria, per cui un lavoro in
acqua a 25° a corpo nudo, oltre
ai danni all’epidermide per il
contatto con il fondale o con
agenti taglienti o pungenti,
provoca reazioni dovute alla
134
dispersione di calore. Tali reazioni comportano tremori (brividi), perdita di coordinamento, offuscamento delle reazioni
emotive, torpore: l’ipotermia a
lungo andare in soggetti particolari può portare alla morte.
Le mute umide oggi sono in
diversi modelli e spessori tali
da poter essere adoperate sia
in acque fredde (10°) che calde
(30°). La muta deve essere scel-
Subacqueo in immersione tra gli scogli.
ta in base all’uso che si farà e
non alla sua bellezza. Tendenzialmente conviene usare una
muta monopezzo di 7 mm con
temperature fra i 18 e i 30°; arrivando alle mute a maniche
corte per lavori in bassi fondali d’estate. Queste ultime tuttavia hanno il difetto di non
proteggere convenientemente
il corpo, soprattutto se si lavora vicino a strutture o scogliere. L’importante, nello scegliere il modello di muta, è
riferirsi alla temperatura al
fondale e non alla superficie in
quanto vi è sempre uno scarto
di diversi gradi.
In caso di freddo intenso o
disagio fisico si possono ado135
Capitolo 6
5
perare anche sottomuta a bretelle, a mezzemaniche o a maniche lunghe e pantaloncini.
La muta deve essere l’alloggiamento che protegge e riscalda il corpo, facendolo stare
bene in acqua e permettendogli di operare senza preoccupazioni o sensazioni sgradevoli. Particolare protezione deve
essere rivolta alla nuca, sede
dei centri nervosi, per cui mute
senza cappuccio possono essere accettate ma solo integrandole (in acque fredde o immersioni prolungate) con cappucci
staccabili o corpetti con cappuccio: ricordarsi che proprio
dalla testa avviene la dispersione del 75% ca. del calore.
PROTEZIONI AGGIUNTIVE ---------------------------------------La muta può avere parti imbottite in punti di maggior usura quali ginocchia, gomiti e
spalle. Altrimenti conviene
provvedere con adeguate ginocchiere. Nel caso siate
sprovvisti di queste ultime e il
lavoro le richieda, si potrà anche ricorrere a vecchie camere
d’aria d’auto che, tagliate adeguatamente, proteggeranno le
ginocchia in maniera egregia.
Elemento importante sono
anche i guanti. La mano non
protetta adeguatamente disperde calore, quindi si intorpidisce e perde tattilità e destrezza, elementi fondamentali
136
per chi lavora sott’acqua. In caso di lavori leggeri (ricognizioni) o temperatura intorno ai 20°
si possono adoperare guanti in
neoprene; per temperature inferiori muffole a tre dita poco
pratiche in caso di lavoro.
Durante lo scavo l’uso di
guanti di protezione è obbligatorio onde evitare ferite e
giorni lavorativi persi. Poiché il
neoprene tende ad usurarsi facilmente con i detriti dello scavo, conviene usare guanti leggeri da sub (in genere gomma
e tela) a cui sovrapporre robusti guanti da lavoro in pelle
(quelli generalmente usati sui
cappuccio
respiratore
secondo stadio
dell’erogatore
maschera
imbracatura
pompa
primo stadio
dell’erogatore
valvola della pompa
tubo dell’aria
boccaglio
cintura per
zavorra
valvola di spurgo
giubbetto
equilibratore
portastrumenti
bombola ad
aria compressa
termometro
erogatore
d’emergenza
manometro
guanto
profondimetro
muta
pinna
calzare
spatola
scarpetta
costolatura
Dal Dizionario Visuale Zanichelli
137
Capitolo 6
5
cantieri edili). Il doppio guanto (aderente il primo, più largo
il secondo) permetterà di operare in modo che anche se i
detriti dovessero entrare fra i
due strati non abradano la pelle delle mani. Se si avrà cura di
risciacquare il guanto in pelle
dopo ogni immersione questo
durerà a lungo.
Altro elemento di protezione
fondamentale sono i calzari;
per l’attività da svolgere in acqua (lavorativa e sportiva) sono
consigliabili quelli a scarpetta
con suola prestampata. Ciò
permetterà all’operatore in immersione di muoversi protetto
sia in acqua che fuori ove spesso si opera in ambienti pericolosi (banchine portuali, depositi, spiagge, scogliere).
Ricordare: tutti questi strumenti sono d’uso strettamente
personale e vanno risciacquati in acqua dolce dopo ogni
operazione.
MUTA STAGNA --------------------------------------------------Attualmente vi sono tre tipi
di materiali con cui sono fatte:
- schiuma di neoprene, che è
lo stesso materiale delle mute
umide; come vantaggio presenta una buona vestibilità,
non richiedono sottomuta.
Tuttavia la natura stessa del
materiale le rende soggette
ad una maggiore usura;
- neoprene precompresso, simile alla precedente ma più
resistente;
- tessuto ricoperto tipo poliure138
tano o gomma. Sono indubbiamente più ingombranti e
devono essere indossate con
sottomuta (orsetto). Tuttavia
sono più elastiche e più facili
da indossare e sono l’ideale
per lavori prolungati in acqua
fredda e fondali accidentati.
La muta stagna deve essere
adoperata con particolare attenzione, lavata accuratamente all’esterno con acqua dolce
dopo l’uso e riposta solo quando è perfettamente asciutta. La
conservazione va effettuata in
modo che la muta non subisca
grosse piegature e torsioni, in
ambiente asciutto e buio e ricoprendo con talco (e non borotalco che corrode) le parti in
lattice (collare e polsini). La
cerniera va ricoperta con paraffina e tenuta sempre in perfetta efficienza. Le valvole vanno accuratamente risciacquate
per evitare incrostazioni di salsedine che le possano intasare.
Ricordare: l’uso e la manutenzione della muta stagna è
strettamente personale.
La muta stagna è uno strumento di lavoro ottimo per le
sue caratteristiche di conforte-
volezza e rappresenta anche
un buon investimento, purché
sia fatto oculatamente e avendo uno scopo. Il suo uso presuppone un certo allenamento;
ad esempio abituarsi ad uscire
da posizioni inusuali, con i piedi in alto, può salvare la vita.
La muta stagna, soprattutto
se associata a mascherone
gran facciale e guanti stagni,
serve a proteggere oltre che
dal freddo, anche dall’inquinamento.
Ricordare: la muta stagna
è uno strumento delicato da
adoperare solo dopo aver acquisito pratica e dimestichezza con esso.
139
Capitolo 6
5
Come indossare una muta stagna
1 – Mettere sempre sotto un indumento caldo (orsetto o un robusto pile)
140
2 – chiudere bene la
lampo posteriore
sempre con la collaborazione di un altro sub e controllando che alla fine
venga dato un colpo
secco che garantisca
una chiusura stagna.
3 – indossare la consolle con bussola e
computer. In questo
caso la consolle è artigianale, fatta su
misura per il braccio
del sub con una lamiera di alluminio
sagomata e con l’allogiamento per la
bussola ricavato con
due elementi in ottone e bullonati sulla consolle.
141
Capitolo 6
5
4 – indossare le cavigliere assicurandosi che siano ben
allacciate
5 – indossare la cintura con i piombi.
142
6 – dopo aver messo le pinne, indossare le bombole sempre con
l’aiuto dell’assistente.
143
Capitolo 6
5
In conclusione per le mute
si può dire che la scelta del
modello dipende soprattutto
dalla funzionalità e praticità in
riferimento al lavoro da effettuarsi. Il colore non è importante, anche se un colore vivace permette una più facile
individuazione del sommozzatore in superficie.
La muta va scelta in base:
- al lavoro da effettuarsi (se è
in curva o no, con sforzi prolungati che inizialmente scaldano ma alla lunga disperdono calorie)
- al tipo di fondale (sabbioso,
con scogli, coralli ecc.)
- alla temperatura dell’acqua
- alla profondità (un lavoro a
30 mt con acqua a 13° comporterebbe l’uso di una muta
stagna)
- alla durata (se è un’immersione in curva o fuori curva)
- condizioni meteorologiche
(caldo esterno e temperatura
bassa al fondale = muta stagna = caldo interno = da indossare all’ultimo minuto; oppure muta umida = freddo al
fondale ma bene per l’esterno
= sottomuta di protezione).
EROGATORI ------------------------------------------------------È obbligatorio l’uso del doppio erogatore con due primi
stadi indipendenti (non l’octopus) soprattutto in immersioni
in grotta, ambienti chiusi, relitti. Nel caso che uno stadio
vada in erogazione continua,
chiudendo il primo si può utilizzare sempre il secondo erogatore indipendente.
144
Ricordare: l’erogatore è
d’uso, manutenzione e responsabilità strettamente personale e va risciacquato dopo
ogni uso con acqua dolce.
La scelta dell’erogatore è un
fatto soggettivo ma è consigliabile uniformare la scelta al
fine di avere pezzi di ricambio
per un solo tipo di erogatore,
anche per più operatori, a seconda del tipo di lavoro (acqua pulita, fangosa, grotta).
Nell’eventualità di interventi in acque ricche di sedimenti è consigliabile l’uso di
un erogatore “meccanico” a
pistone bilanciato, di facile manutenzione e in grado di funzionare sempre.
Se invece bisogna intervenire a profondità relative
(40/50 mt) conviene adoperare
erogatori a membrana bilanciati che permettono di operare con buone quantità d’aria
evitando problemi di affanno.
L’attacco DIN è consigliato
in ogni caso ma in particolare
per interventi in grotta, spazi
limitati (scafi, relitti), sotto carene di navi (se non si usa il
narghilè). In questi casi è consigliato l’uso di una ingabbiatura metallica di protezione ai
primi stadi degli erogatori e alle rubinetterie della bombola.
BOMBOLE --------------------------------------------------------Ci sono diverse tipologie:
monobombola da 10, 12, 15 lt
e bibombole sino a 20 lt, sia in
acciaio che in alluminio. Le
prime sono preferibili in
quanto una volta vuote non
hanno la tendenza a galleggiare. Sia il mono che il bibo
devono essere dotati di rubinetterie d’attacco doppie per
poter installare doppio erogatore indipendente. La bombola dovrà essere in perfette
condizioni, senza tracce di os-
sidazione, bolle sotto la verniciatura, con i collaudi aggiornati e impresso con la
punzonatura. Non debbono
mai essere caricate oltre il limite consentito.
La bombola deve essere
assicurata al subacqueo tramite spallacci tecnici dotati di
ganci e cinghie che permettono all’operatore di assicurarvi
attrezzi utili durante l’immersione.
La bombola carica va ob145
Capitolo 6
5
bligatoriamente stoccata in
orizzontale, leggermente inclinata verso la rubinetteria e
in posto fresco, ma non umido,
per due motivi: 1) la caduta di
una bombola carica posta in
verticale potrebbe provocare
l’esplosione della rubinetteria
con pericolo di ferite mortali;
2) per evitare che la condensa,
accumulandosi sul fondo provochi ossido che porta alla corrosione (cancro) dell’acciaio,
in un punto difficilmente raggiungibile per la sabbiatura.
A bordo dell’imbarcazione lo
stoccaggio verticale è possibile purchè in appositi alloggiamenti chiusi con cinghie e/o
catene.
Ricordare: la bombola carica non va mai posta al sole;
il calore induce la dilatazione dei gas e potrebbe provocare l’esplosione della bombola.
L’immersione finisce quando l’aria nella monobombola
raggiunge le 34 ATA (500 PSI)
o nel bibombola le 17 ATA
(250 PSI).
Le bombole possono essere
dotate di riserva (valvola J) o
senza valvola di riserva (valvola K). In questo caso, quello più in uso attualmente, il
subacqueo sarà dotato obbligatoriamente di manometro.
MASCHERA ------------------------------------------------------Dovrà essere di gomma
morbida e luminosa con adeguato campo visivo (esistono
modelli con tre e sei lenti o
con lenti a goccia che ampliano inferiormente il campo visivo). La scelta della masche-
146
ra è individuale e varia da
soggetto a soggetto, per cui è
necessario provarla tenendola sul viso e inspirando leggermente col naso: se si mantiene è adatta.
MASCHERA GRAN FACCIALE -----------------------------------Oltre ad un buon addestramento, richiede un’adeguata
fonte d’aria (eventualmente
anche dalla superficie) ma in
compenso permette una buona operatività specialmente
in acque inquinate, fangose o
fredde (soprattutto se in combinazione con la muta stagna). Questa maschera può
essere dotata di kit con interfono di superficie o di apposita radio ricetrasmittente in
grado di far comunicare i subacquei fra loro e/o con la superficie.
Dato l’obbligo del doppio
erogatore, il subacqueo deve
essere dotato di fonte d’aria
indipendente (bombola con
erogatore. Sia in caso di alimentazione indipendente che
dalla superficie, sarebbe buona norma dotare il subacqueo
di maschera in caso di rottura
del gran facciale.
Questo può evitare traumi
e stress all’operatore che altrimenti sarebbe costretto ad
una risalita di emergenza in
condizioni di difficoltà accentuate.
Nel caso di rifornimento
d’aria dalla superficie, il subacqueo sarà dotato di braga
con sagola di sicurezza alla
quale sarà assicurata anche
la manichetta dell’aria. La sagola sarà collegata alla braca
con moschettone d’acciaio
con chiusura a vite.
Ricordare: per ambedue le
maschere controllare che la
gomma sia sempre morbida,
non screpolata e che il cinturino sia elastico.
G.A.V. – GIUBBETTO AD ASSETTO VARIABILE ------------------Il suo uso deve essere effettuato solo dopo un adeguato addestramento che preveda anche l’immersione
senza di esso o con una sua
eventuale avaria. Il GAV non
deve essere utilizzato come
fattore di spinta per la risalita
147
Capitolo 6
5
e deve essere dotato di valvola di sgonfiaggio automatico
in caso di sovrapressione. In
acque basse (da -1,00 a -3,00)
può anche non essere adoperato in quanto potrebbe impacciare. È sconsigliato l’uso
con la muta stagna. In ogni
caso il suo utilizzo è decisamente soggettivo e legato al-
l’acquaticità ed esperienza
del subacqueo.
Ricordare: dopo l’uso il
GAV va risciacquato con acqua dolce anche all’interno e,
una volta asciutto, depositato
leggermente gonfio (per evitare che le pareti interne della sacca si incollino fra loro).
CINTURA DI ZAVORRA -------------------------------------------Deve essere in materiale
sintetico (nylon) affinché non
marcisca, con fibbia (possibilmente in acciaio) a sgancio rapido, azionabile con una mano
sola. La cintura di zavorra va
posta al di sopra dell’apparecchiatura e dell’eventuale braga di sicurezza, affinché si possa sganciare rapidamente in
caso di emergenza.
COLTELLO -------------------------------------------------------In acciaio inossidabile immanicato in plastica e/o gomma, con vite di smontaggio.
Ciò permette la separazione
della lama dall’immanicatura
per il lavaggio in acqua dolce.
La lama deve essere robusta,
con doppio o singolo taglio,
con punta a scalpello o acumi148
nata. Il coltello ideale è quello
con filo tagliente da un lato e
seghettato dall’altro.
Ricordare: il coltello deve
essere affilato per assicurarsi
il suo utilizzo in caso di emergenza.
Il coltello va assicurato, dentro il suo fodero, o allo spallaccio
o alla coscia o al polpaccio, possibilmente all’interno della gamba per evitare che si impigli.
Ricordare: il coltello non
va mai assicurato alla cintura
di zavorra che se sganciata in
caso di emergenza priva della
possibilità di utilizzo del coltello.
Conviene conservare il coltello smontato per evitare residui di umidità nell’immanicatura che porterebbero alla
ruggine.
PINNE ------------------------------------------------------------Devono essere elastiche,
con una pala di adeguate dimensioni ma non eccessive
(per lavorare evitare le pinne
da apnea). Le pinne possono
essere a scarpa chiusa o con il
cinturino. In quest’ultimo caso
controllare che il cinturino non
sia screpolato, ancora elastico
e, in generale per tutte le pinne, che la pala sia integra.
OROLOGIO -------------------------------------------------------Impermeabile a prova di
pressione, con ghiera contaminuti girevole in senso antiorario. Sono preferibili i modelli
meccanici o automatici (ricarica con movimento) rispetto a
quelli a batteria che, aperti più
di frequente per la sostituzione
delle batterie, possono essere
soggetti a infiltrazioni. Il quadrante deve essere grande con
numeri fosforescenti.
Ricordare: maneggiare con
cura in quanto a questo strumento è legata la durata dell’immersione e risciacquare in
acqua dolce dopo l’uso.
149
Capitolo 6
5
PROFONDIMETRO ------------------------------------------------Deve essere di chiara lettura anche in condizioni di scarsa visibilità. Per una lettura più
chiara sono preferibili i modelli con lancetta a quelli con cristalli liquidi; il quadrante deve
essere luminescente.
Ricordare: maneggiare con
cura in quanto a questo strumento è legata la sicurezza
della profondità raggiunta e
risciacquare in acqua dolce
dopo l’uso.
BUSSOLA DA POLSO ---------------------------------------------Utile per la navigazione subacquea soprattutto durante la
fase di ricognizione. Il subacqueo dovrà essere allenato al
suo uso, soprattutto alla lettu-
ra inversa attraverso l’alidada.
Ricordare: risciacquare in
acqua dolce dopo l’uso.
COMPUTER SUBACQUEO ----------------------------------------Strumento che dà i tempi di
immersione all’interno della
curva di sicurezza. Da utilizzare durante una fase ricognitiva e/o di recupero rapido ma
da evitare in fase di lavoro fuori curva, ove il programma e la
tempistica vengono decisi prima. Questo vuol dire che ci si
dovrà basare solo sulla profon150
dità e sul tempo (profondimetro e orologio), ma assodata la
profondità e la quota precisa di
lavoro basterà l’orologio.
Ricordare di maneggiare
con cura: è uno strumento
molto delicato da risciacquare
in acqua dolce dopo l’uso.
Appendice
Schema della decomposizione di un relitto su fondale piatto (da Eciclopedia Il
Mare)
151
Capitolo 6
Appendice
Schema della decomposizione di un relitto su un fondale inclinato (da Enciclopedia Il Mare)
152
Scheda per immersione ad aria (da US Navy, op. cit.)
153
Capitolo 6
Appendice
Scheda per avaria attrezzatura (da US Navy, op. cit.).
154
Schema per condizioni meteo marine (da US Navy, op. cit.).
155
Capitolo 6
Appendice
Lista condizioni meteo marine (da US Navy, op. cit.)
156
nodo piano
nodo semplice
nodo vaccaio
nodo scorsoio
nodo di scotta semplice
nodo di scotta doppio
nodo a margherita
nodo bocca di lupo
nodo parlato doppio
nodo del pescatore
nodo parlato semplice
nodo Savoia
impalmatura normale
gassa d’amante
gassa d’amante doppia
Nodi marinari basilari dal Dizionario Visuale Zanichelli.
157
Glossario dei
Termini Tecnici
CESTI DA SOLLEVAMENTO --------------------------------------Contenitori in
metallo di forma generalmente quadrangolare con le
pareti forate. Destinati al sollevamento
di grossi reperti o
materiale di grosse
dimensioni. Possono
anche avere solo
l’intelaiatura metallica e il resto de corpo costituito da una
rete.
Baia, Punta Epitaffio – I
campagna, 1981: il cesto
metallico è stato portato
a bordo e sarà scaricato
sul tavolaccio della selezione materiali. (Foto
Centro Studi Subacquei
Napoli).
159
Glossario
CIME ------------------------------------------------------------Termine marinaresco che
indica genericamente una corda in fibra vegetale o sintetica
presente a bordo di un’imbarcazione, e con una sezione generalmente entro i 20 mm. Una
corda di sezione minore, viene
detta sagola, di diametro superiore alla cima sono le gòmene, utilizzate per l’ancoraggio, e i gherlini, di sezione più
contenuta, utilizzati per rimorchio e tonneggio.
COMPRESSORE STRADALE ---------------------------------------Sistemi “portatili” per la
produzione di aria compressa
ad utilizzo industriale e sono
in generale equipaggiati con
motori diesel e gruppi rotativi
a vite ad iniezione olio. Il com-
pressore deve fornire sia la
pressione adeguata (psi) che
un flusso d’aria/minuto che
viene misurato in Piedi Cubici
al Minuto (CFM) o in Litri al
Minuto (L/min).
CORPI MORTI ---------------------------------------------------Elementi in metallo o cemento ( o altro materiale inerte pesante) poggiati sul fonda-
160
le che servono da tenitori o come punti di ancoraggio per imbarcazioni o boe.
LANCIA/SPINGARDA AD ACQUA O AD ARIA COMPRESSA ------Tubo in gomma telata con
testa munita di ugello da cui
fuoriesce acqua o aria compressa fornita da un compressore o pompa posta a bordo di
una imbarcazione. L’acqua
compressa serve per facilitare
lo scavo con la sorbona ed è
fornita da una pompa posta
sull’imbarcazione. La manichetta ad aria compressa deve
essere anche utilizzata per il
sollevamento dei palloni idrostatici (vedi) o per tagliare strati di fondale eccezionalmente
compatti.
MANIGLIONE ----------------------------------------------------Ferro a U sulle cui branche
passa un perno a vite con chiavetta. Serve ad unire pezzi di
catena o la catena alla cicala
dell’ancora. Detto anche grillo.
PALLONI DA SOLLEVAMENTO -----------------------------------Strumento adoperato per
sollevare grossi carichi dal fondale. È costituito da una sacca
in tela gommata di forma sferica aperta in basso e avente in
alto una valvola di sovrapressione. La parte bassa ha dei robusti cinghiaggi con anelli in
acciaio e maniglione (vedi). Sono di diversa portata di sollevamento: dai 100 ai 3000 kg.
Funziona sempre secondo la
legge di Boyle e Mariotte: calcolato approssimativamente il
peso dell’oggetto da sollevare
lo si scalza in modo da evitare
l’effetto ventosa del fango o
della sabbia del fondale. Si collega poi all’oggetto uno o più
palloni da sollevamento con robuste cime immettendo aria
compressa dall’apertura in
basso e avendo l’accortezza di
chiudere prima la valvola su161
Glossario
Baia, Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna di scavo, 1982: la sorbona viene
posizionata sull’area di scavo con l’ausilio di due palloni da sollevamento. (foto
Centro Studi Subacquei Napoli)
periore di sovrapressione. Nel
momento in cui l’oggetto inizia
a staccarsi dal fondale bisogna
smettere di insufflare aria (al
massimo qualche piccola immissione) e attendere che inizi a sollevarsi lentamente. Il subacqueo, che non si aggancerà mai al pallone, potrà controllarne la risalita con la valvola, scaricando gradualmente
l’aria se acquista velocità. Mai
gonfiare il pallone al massimo
o in un colpo solo: si rischia la
partenza improvvisa dello stes162
so che arrivando in superficie
a tutta velocità può capovolgersi e far riprecipitare tutto in
basso, con grave pericolo per
gli operatori subacquei.
Il volume del sacco determina la sua capacità di sollevamento: un sacco da 100 litri può
ad esempio sollevare un peso di
circa 100 kg. Visto che per il
principio di Archimede il corpo
da sollevare già riceve una
spinta verso l’alto pari al peso
dell’acqua che sposta, un sacco è quindi in grado di portare
in superficie oggetti di massa superiore alla spinta che riesce a sviluppare.
A volte i palloni da sollevamento si possono sostituire con
bidoni in plastica o metallo ma
comporta una praticità ed una
manualità non comune.
Accortezze: verificare a terra solidità e tenuta del pallone e degli imbraghi, progettare bene il recupero, liberare l’oggetto dalla sabbia o fango, non passare sopra il pallone, non porsi sotto il pallone in sospensione, non agganciarsi al pallone.
Sollevamento di un oggetto tramite pallone idrostatico. (Il Mare, op. cit.)
Schema di ciò che accade ad un pallone
idrostatico tra il fondale e la superficie.
163
Glossario
PALOMBARO -----------------------------------------------------Colui che si immerge
munito di un apparecchio
detto scafandro. Uno scafandro si compone di un
costume impermeabile di
tessuto e gomma, raccordato ad un pettorale metallico munito di flangia
sulla quale si fissa l’elmo.
Questo è munito di vetri
spessi, al fine di dare una
più ampia visuale. Sull’elmo di rame, è inserito il
raccordo per la manichetta dell’aria ed una valvola
di scarico che il palombaro aziona con la testa. Inoltre vi sono gli scarponi di
circa 15 kg la coppia e due
piombi, di circa 18 kg, uno
sul petto ed uno sulla
schiena.
La manichetta ha più
strati di tela per evitare
schiacciamenti e per comunicare il palombaro è
dotato di un cavo, che oltre per sicurezza, serve per
comunicare con la guida
in superficie.
164
Palombaro mentre scende in acqua: si notano i due pesi (pettorale e dorsale) e l’attacco
della manichetta all’elmo di rame (da Enciclopedia “Il Mare”, op. cit.)
POMPA FLUIDODINAMICA ---------------------------------------Adatta per scavi sia in alti
che bassi fondali. È costituita
da una centralina idraulica e
da un corpo ove è alloggiata la
girante. Nelle operazioni su-
bacquee l’aspirazione viene
prolungata con un tubo antischiacciamento e protezione
all’imboccatura per evitare
l’aspirazione del subacqueo
RETICOLO IN TUBI SMONTABILI --------------------------------Reticolo costituito da tubi
metallici o in plastica di diver-
sa lunghezza, uniti da giunti a
cinque vie chiusi a vite.
Giunto a cinque vie (disegno dell’autore)
165
Glossario
RETICOLO PER RILIEVI IN PICCOLA SCALA ---------------------Costituito da struttura metallica (generalmente in alluminio) 1 mt x 1 mt, con cordino elastico che divide il qua-
drato in un reticolo 0,10 x 0,10
mt. Utilizzato per rilievi di dettaglio.
Reticolo in alluminio, con rinforzi angolari, con cordino elastico.
166
SILURO A LENTA CORSA ----------------------------------------Detto anche “maiale” era
un’arma insidiosa della Marina
da guerra per l’attacco ad
obiettivi fissi (navi da guerra,
ostruzioni). Il siluro a lenta corsa era composto da 5 parti: 1)
la testa di servizio contenente
l’esplosivo; 2) la testa di manovra contenente gli organi di comando; 3) il corpo cilindrico
contenente la batteria accu-
mulatori; 4) la coda contenente gli organi propulsione; 5)
l’armatura portante le eliche, i
timoni orizzontali ed un timone verticale. La testa esplosiva
era avvitata alla testa di manovra; l’involucro pesava kg
68, l’esplosivo kg 260. Gli incursori erano dotati di autorespiratore ad ossigeno e muta
stagna Belloni.
Schema del Siluro a Lenta Corsa (S.L.C.) (da Ufficio Storico della Marina Militare, La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale, XIV, I mezzi d’assalto (Roma, 1964).
167
Glossario
I mezzi venivano trasportati da sommergibili, muniti di
appositi contenitori, nei pressi
delle basi nemiche e guidati da
due incursori sino all’obiettivo.
Nel caso di una nave gli incursori portavano il “maiale” sin
sotto la chiglia, ove applicava-
no la testata esplosiva. Uno dei
successi più importanti fu ottenuto il 19 dicembre 1941 con
l’affondamento delle corazzate
inglesi Valiant e Queen Elizabeth nel porto di Alessandria
d’Egitto.
Il glorioso sommergibile Scirè con a poppa e prua i cilindri che contenevano gli
S.L.C. (E. Bagnasco, “In guerra sul mare – Navi e marinai italiani nel secondo conflitto mondiale” (Parma, 2005)
168
SACCO A RETE PER SCARICO SORBONA ------------------------Reti, a maglia piccola, in
materiale naturale o sintetico
destinate ad essere aggancia-
te alla parte terminale della
sorbona per contenere il materiale aspirato.
Baia Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna, 1982: messa in acqua di una sorbona da 200 mm. Nell’immagine si vede chiaramente a sinistra il sacco a rete fitta agganciato al cesto e le due manichette nere che portano l’aria compressa alla testa della sorbona. (Foto Centro Studi Subacquei Napoli)
169
Glossario
SORBONA AD ACQUA O AD ARIA COMPRESSA ------------------Sistema aspirante per rimuovere detriti dall’area di
scavo. Funziona sia ad aria che
ad acqua compressa. Quella
più utilizzata è ad aria compressa che funziona con
l’espansione dei gas che si
crea all’imboccatura secondo
il principio di espansione dei
gasi sottoposti a pressione
(legge di BOYLE & MARIOTTE: a temperatura costante, il
Baia Ninfeo di Punta Epitaffio – III campagna,
1982: messa in acqua di
una sorbona da 200
mm. Si noti il cesto nella
parte terminale della sorbona (a sinistra nella foto) e il collo flessibile della testa con l’imboccatura
metallica. (foto Centro
Studi Subacquei Napoli)
170
volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione cui è sottoposto). La sorbona è composta da un tubo
flessibile con imboccatura generalmente di metallo, sulla
quale sono innestati i tubi dell’aria compressa. Alla fine del
tubo flessibile vi è lo scarico
che può essere libero o gettare i detriti in un setaccio o una
sacco a rete.
➠
➠
Sorbona da 100 mm. Si possono notare l’attacco per la manichetta della bassa pressione (freccia bianca), con sopra il rubinetto a sfera e il punto di unione, con l’o-ring (freccia nera), alla quale si applica il tubo di scarico.
171
Glossario
TORRETTA BATISCOPICA ----------------------------------------Apparecchio pressurizzato
simile allo scafandro per grandi profondità, senza appendici
snodabili per gli arti e munito
solo di oblò di vetro per l’os-
servazione esterna. In alcuni
casi è presente un’apertura sul
fondo con portello stagno per
l’uscita dei subacquei.
La torretta batiscopica della nave
“Cycnus” del Centro Sperimentale
di Archeologia
Sottomarina di Albenga (da Mocchegiani, op. cit)
172
Lipari, secca di Capistello: la campana pressurizzata della nave Corsair della Sub
Sea Oil Services (da BollArt, suppl. Archeologia Subacquea 3, 1985)
173
Glossarios
Bibliografia essenziale
Enciclopedia “Il Mare” (Novara, 1971)
Manuale d’immersione – US NAVY DIVING MANUAL (Trieste, 1998
ed. it.)
F. Chiesa “Animali marini pericolosi” (Formello, 2002). Descrive sia
i pericoli dovuti alla flora e fauna sia i rimedi. Da leggere.
174
Indice
Prefazioni .......................................................................... pag.
5
Introduzione .................................................................... pag.
21
Capitolo 1
Breve storia della tecnica subaquea
applicata all’archeologia ....................................................... “
Bibliografia essenziale .......................................................... “
25
48
Capitolo 2
L’archeologia subaquea
e la legislazione sui Beni Culturali ...................................... “
Bibliografia essenziale .......................................................... “
51
56
Capitolo 3
L’approccio territoriale .......................................................... “
57
Capitolo 4
Tecnica e sicurezza dell’immersione
a cura di Sabrina Conte ........................................................ “
75
Capitolo 5
Il cantiere di scavo ................................................................ “
89
Capitolo 6
Attrezzatura SCUBA ............................................................. “
133
Appendice .............................................................................. “
151
Glossario dei termini tecnici ................................................. “
Bibliografia essenziale............................................................ “
159
174