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Il concetto di felicità in Kant

ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) I. IL CONTESTO STORICO – CULTURALE DELL’AUTORE La vita di Kant si svolge durante i governi dei re di Prussia Federico Giuglielmo I (1713-1740), e di Federico II il Grande (1740-1786). Nasce il 22 Aprile 1724 a Königsberg, la capitale della Prussia Orientale1. Il giorno dopo la nascita viene battezzato col nome di Emanuel (Dio con noi). È noto che la sua famiglia era povera, ma ricca di figli. Infatti, lui era il quarto di nove di un artigiano fabbricante di selle. Per quanto riguada la vita del giovane Kant, egli frequenta la scuola dell’ospizio subburbano e dall’età di otto anni il collegio Fridericiano (1732-1740) All’età di sedici anni, si iscrive all’Università di Königsberg e studia matematica, scienze naturali, teologia, filosofia e letteratura classica latina. Dopo la morte del padre (1746) abbandona l’Università e si guadagna da vivere come maestro privato. In questo periodo allarga le sue conoscenze filosofiche e scientifiche. Nel 1746 scrive il suo primo saggio Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive pubblicato nel 1749, nel quale già si osserva la grande consapevolezza di sé del ventiduenne. Con la dissertazione Breve esposizione di alcune meditazioni sul fuoco, nel 1755 Kant consegue il titolo magister in filosofia. Non si preoccupò mai di ottenere il titolo di dottore. Nello stesso anno si abilita con la dissertazione Nuova dilucidazione dei primi principi della conoscenza metafisica, diventando magister legens (libero docente). Con la terza dissertazione, Nuove annotazioni per la spiegazione della teoria dei venti, del 1756, dopo aver difeso pubblicamente, Kant diventa professore straordinario, lavorando come didattico pur non avendo una cattedra fino al 1770, quando ottiene la cattedra in logica e metafisica. Kant era un uomo galante e socievole. Malgrado la sua attività sociale2, egli era riservato e schivo, non fu coinvolto né in imprese politiche, né in storie di donne. Kant infatti, non ha altra biografia che la storia del proprio filosofare. Tra i grandi filosofi dell’età moderna, egli è il primo ad essersi guadagnato da vivere con la professione di insegnante. Per quanto riguarda la sua filosofia, essa è descritta come la filosofia critica trascendentale, che occupò il compito principale della sua vita. Oltre le sue dissertazioni magistrali, egli compose tanti scritti. Alcuni di essi sono: L’unico argomento possibile per una dimostrazione della esistenza di Dio (1762 – pubblicato 1763), Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale (1762- pubblicato 1764), con quale ottiene il secondo premio della Accademia delle Scienze a Berlino, per non parlare dei suoi capolavori quali la Critica della ragion pura (1781)3, Critica della ragion pratica (pubblicata nel 1788), Critica del giudizio (1790), la Fondazione della metafisica dei costumi (1785), saggi per i quali Kant è costante oggetto di discussione in e oltre i confini della Germania. Il filosofo riceve 1 È noto che Kant non è uscito mai dalla sua città, perché aveva un stretto legame. La vita d’insegnate e l’attività scientifica di Kant occupava lo spazio durante la prima giornata, invece, nella seconda parte della giornata, Kant era famoso e cercato tra i gruppi sociali per conversare, pranzare, giocare carte e visitare spettacoli nei teatri. 3 Il libro più importante che sia mai stato scritto in Europa secondo Schopenhauer. 2 1 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) numerose onorificenze: nel 1786 diviene membro della Accademia delle Scienze di Berlino, nel 1794 di quella a Pietroburgo e nel 1798 di quella di Siena. In quei tempi, in Prussia è notevole la tolleranza confessionale. Secondo il Diritto territoriale generale degli stati prussiani del re Federico Giuglielmo I, la Prussia raggiunse un alto livello di libertà religiosa4. Comunque, Kant critica il privilegio della nobiltà e la servitù della gleba, che restano in vigore durante e dopo la governatura del re. Nel 1796 Kant, all’età di settantatré anni tiene la sua ultima lezione5 e dopo due anni pubblica l’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798). Kant non intende mai il proprio pensiero come una dottrina in sé conclusa, ma come un processo in cui si presentano costantemente nuovi punti di vista e nuove questioni. L’ultima opera iniziata ma non finita da Kant è nota oggi come Opus postumum. L’8 ottobre 1803 Kant si ammala, per la prima volta nella sua vita, e quattro mesi più tardi, il 12 febbraio 1804, muore indebolito dalla sua vecchiaia. È noto che egli non si è mai sposato né ha avuto figli6. Kant era ed è considerato il genio dei filosofi7. II. IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT Elaborando il suo pensiero, possiamo dire che, lungo la storia, Kant non dà una definizione univoca alla felicità, ma interpretazioni assai diverse, che sono, appunto, costantemente in sviluppo durante la vita del filosofo. Il compito di quest’analisi non è di presentare tutto il pensiero dell’autore, bensì di impostare la base dello sviluppo del pensiero kantiano durante il percorso della sua maturazione filosofica, prendendo come fonte dell’analisi i suoi capolavori Critica della ragion pratica, Metafisica dei costumi e l’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Tuttavia, si dovrebbe affermare che il suo pensiero sul concetto della felicità nasce per la prima volta e viene elaborato nelle Reflexionen – manoscritti degli anni settanta e ottanta, dove Kant sostiene che la felicità è «la soddisfazione per il soddisfacimento delle inclinazioni»8. Qui la felicità è vista come uno stato e non un’attività dell’uomo, cioè, «la felicità è la coscienza di una soddisfazione costante del proprio stato»9. Occore dire che, nelle Reflexionen, l’ambito in cui cresce la felicità è un terreno 4 Nessuno doveva essere molestato, accusato e perseguittato a causa delle sue convinzioni religiosi. Durante la sua carriera didattica, le sue lezioni suscitano un vivo interesse. Egli teneva corsi di logica, metafisica, geografia, fisica, antropologia, pedagogia, dottrina filosofica, teologia naturale, morale, diritto naturale, ed addirittura di fortificazione e di pirotecnica. 6 Perciò lascia in eredità tutto alla sua sorella e ai suoi nipoti. 7 Per ulteriori informazioni sulla biografia di Kant, vedi in Otfried HÖFFE, Immanuel Kant, Il Mulino, Bologna, 2002, Capitolo I: La vita e lo sviluppo filosofico, p. 9-32. 8 Refl. n. 6616 in Kant’s gesammelte Schriften, a cura dell’Accademia Prussiana delle Scienze, Berlin, W. de Gruyter, 1900, XIX, p. 111. La parola inclinazione invece, significa un impulso desiderativo fondato sui bisogni dell’uomo come essere sensibile – vedi in Luca SCUCCIMARRA, Kant e il diritto alla felicità, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 60. 9 Refl. n. 7311 p. 309. 5 2 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) costantemente dipendente sia dalla natura che dal comportamento degli altri, poiché la felicità è vista come l’elemento razionale che dipende dalla felicità altrui10, appunto perché secondo Kant, la materia della felicità è sensibile e al di fuori del nostro controllo. Il filosofo tedesco propone una “regola della felicità” universalmente valida delle inclinazioni11 che ordini e unifichi i fini di ciascun individuo nel concetto della sua felicità personale, cosicché «il fine del tutto contenga in sé la condizione dei fini delle parti»12. Questa regola, o meglio legge, coincide secondo Kant con la legge morale13. Nella formulazione della legge morale, quindi, si fanno riferimenti sia al perseguimento della felicità personale che alla necessità di un’armonia di quest’ultima con i fini altrui, per cui lo stesso Kant sostiene: «cerca la tua felicità alla condizione di una volontà universalmente valida (sia per te stesso che per gli altri, e questo sia rispetto alla loro inclinazione che al loro arbitrio)»14. Ad ogni modo, l’analisi delle Reflexionen si ferma qui, appunto perché, come è accentato sopra, il compito del presente lavoro è di analizzare il concetto della felicità nell’elaborazione dei capolavori kantiani che verranno analizzati in seguito, partendo dal concetto di felicità nella Critica della ragion Pratica. 2.1 LA FELICITÀ NELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA (1788) «Nella Critica della ragion pratica, il principio di felicità – introdotto già nel cap. 3 del primo libro – rappresenta un costante elemento di riferimento della riflessione kantiana, e anche nelle opere successive esso si vede riconosciuta una centralità problematica almeno pari alla pericolosità dimostrata nel contesto di fondazione di una volontà autenticamente morale»15. Anche qui, come nelle Reflexionen, Kant continua ad elaborare il concetto di felicità come uno stato di soddisfazione dei propri desideri. Secondo il filosofo, «la felicità è lo stato di un essere razionale nel mondo al quale, per l’intero corso della sua vita, tutto accade secondo il suo desiderio e la sua volontà»16. Ogni individuo, quindi, possiede la capacità di determinare la volontà propria, partendo con l’idea di soddisfare i suoi bisogni. Tutto ciò che suggerisce la ragione è chiamato – secondo Kant – imperativo ipotetico – che vuol dire un’insieme di elementi che assumono il valore delle leggi e delle regole universali, applicati nell’agire per raggiungere un determinato scopo. In questa prospettiva, «nella Critica 10 Cfr. Refl. n. 7199, p. 273. Cfr. Refl. n. 6672, p. 129. 12 Refl. n. 6899, p. 200. 13 La morale è «la scienza, che contiene a priori i principi dell’unità di tutti i fini possibili degli esseri razionali» (Refl. 7205, p. 284) e dunque «le leggi necessarie della felicità sono leggi morali» (Refl. 6910, p. 203). 14 Refl. n. 6989, p. 221. 15 Luca SCUCCIMARRA, Kant e il diritto alla felicità, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 25. 16 Fulvia DE LUISE - Giuseppe FARINETTI, I filosofi parlano di felicità, G. Einaudi, Torino, 2014, Vol. II. p. 319, ove cita direttamente Kant (I. Kant, Critica della ragion pratica (1788), in Id., Scritti morali cit., p. 272). 11 3 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) della ragion pratica (Kritik der praktischen Vernunft) questa suddivisione cade e tutti gli imperativi ipotetici sono considerati “regole dell’abilità”»17. Kant, partendo dal fatto che gli esseri umani sono liberi arbitri che possiedono la capacità di porsi regole e fini razionali individualmente attraverso l’autonomia, sostiene che è proprio la libertà che rende possibile l’universalità della legge morale. Il filosofo tedesco afferma inoltre che, proprio per la suddetta ragione, il fine ultimo dell’uomo non può essere inteso come il soddisfacimento dei desideri e dei piaceri, poiche l’essere non è guidato dall’istinto, ma dalla ragione pratica. Egli infatti dice: «agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale»18. Secondo questa visione, ogni individuo, nel momento dell’agire, dovrebbe scegliere come agire nelle situazioni secondo il giudizio morale; in altre parole, dovrebbe tenere in mente qual è la regola universalizzabile e condivisibile dagli altri esseri razionali. Secondo la filosofia kantiana quindi, dietro i principi indicati come motivi determinanti dell’azione morale, si nasconde sempre il desiderio di felicità. Questo vuol dire che ognuno ha l’idea della propria felicità. Proprio per questo – secondo il filosofo – «solo la ragione è la fonte autonoma della legge morale e per questo il fine ultimo dell’uomo non consiste nell’essere felice, ma nel rendersi degno della felicità, attraverso la purezza dell’intenzione virtuosa. Il modello cui Kant si ispira direttamente è il cristianesimo evangelico, poiché, a parer suo, il messaggio del figlio di Dio dice, appunto, che la felicità si raggiunge rendendosene degni, attraverso la pura intenzione morale con cui l’uomo diventa gradito a Dio»19. A questo punto, possiamo procedere con l’analisi del suo libro Metafisica dei costumi del 1797, per vedere in che modo il suo pensiero sulla felicità viene approfondito. Tuttavia, si dovrebbe tenere in mente che l’approfondimento non vuol dire che Kant rimane con lo stesso sguardo di prima. Tutto ciò lo vedremo in seguito. 17 Fulvia DE LUISE - Giuseppe FARINETTI, I filosofi parlano di felicità, p. 320. Ibid., ove cita direttamente Kant (I. Kant, Critica della ragion pratica, p. 167). 19 Ibid., p. 322. 18 4 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) SCHEMA I Critica della ragion pratica LEGGE MORALE Legislazione universale che vale per tutti RAGIONE AGIRE SODDISFAZIONE DEI DESIDERI Rendersi degno della FELICITÀ 5 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) 2.2 LA FELICITÀ NELLA METAFISICA DEI COSTUMI Per quanto riguarda il concetto della felicità secondo Kant nella sua Metafisica dei costumi, l’autrice Daniela Tafani sostiene che in questo libro, «l’inettitudine della ragione rispetto alla felicità è estesa dal piano epistemico, dell’elaborazione del concetto di felicità, a quello pratico, del perseguimento della felicità stessa: coi suoi “deboli lumi”, la ragione non solo non è in grado di guidare efficacemente la volontà nella sua ricerca della felicità, ma le è anzi di impedimento»20. Quindi, qui il concetto di felicità non parte dalla ragione, poiché la ragione è vista come non sufficientemente in grado di guidare la volontà verso il compimento della felicità stessa. Si potrebbe dire che la felicità non sia più ordinabile in un sistema, ma ridotta ad una totalità immaginaria21. La felicità è definibile perciò come un ideale dell’immaginazione22. Vale a dire che, «se ancora nella Critica della ragion pratica Kant riteneva che sul movente della felicità potesse fondarsi una legge pratica, seppur poggiante su principi empirici, nella Fondazione della metafisica dei costumi agli imperativi della prudenza è negato non solo lo statuto di leggi, giacché la loro validità è condizionata dal fine della felicità, ma altresì quello di regole, poiché l’indeterminatezza del fine rende meramente presuntiva l’individuazione dei mezzi»23. Ciò accade perché gli elementi costitutivi del concetto di felicità sono empirici, cioè provengono dall’esperienza, mentre l’idea della felicità richiede un tutto assoluto, il massimo del benessere del mio stato attuale e di quello futuro. Per essere felici, non si può quindi agire secondo principi determinati, ma soltanto secondo consigli empirici. Per concludere, «ne consegue che gli imperativi della prudenza, a rigor di termini, non possono comandare nulla, cioè non possono rappresentare oggettivamente azioni come praticamente necessarie, sicché bisogna considerarli piuttosto consigli (consilia) che prescrizioni (praecepta) della ragione; ne consegue inoltre che il problema della determinazione sicura e universale dell’azione che favorirà la felicità di un essere ragionevole è del tutto insolubile, sicché, per tal fine, non ci sono imperativi che possono comandare, in senso rigoroso, di fare ciò che rende felici, perché la felicità non è un ideale della ragione, ma dell’immaginazione, fondato semplicemente su principi empirici»24. 20 Daniela TAFANI, Virtù e felicità in Kant, L. S. Olschki, Firenze 2006, p. 12; Vedi anche I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. a cura di P. CHIODI, in I. KANT, Scritti morali, Torino, UTET, 1970, p. 51, ove lo stesso Kant dice: «Quanto più una ragione affinata tende al godimento della vita e della felicità, tanto più l’uomo si allontana dalla vera contentezza», - e continua a p. 52 dicendo: «la ragione non è abbastanza capace di guidare con sicurezza la volontà verso i propri oggetti e la soddisfazione di tutti i nostri bisogni (che essa stessa in parte moltipica) più di quanto lo sarebbe un istinto naturale innato». 21 Ibid. 22 Cfr. I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. a cura di P. CHIODI, in I. KANT, Scritti morali, Torino, UTET, 1970, p. 75: «sfortunatamente, il concetto di felicità è indeterminato a tal punto che, nonostante il desiderio di ogni uomo di raggiungerla, nessuno è in grado di determinare e dire coerentemente che cosa davvero desideri e voglia (…) la felicità non è un ideale della ragione, ma dell’immaginazione». 23 Daniela TAFANI, Virtù e felicità in Kant…, p. 14. 24 Fulvia DE LUISE - Giuseppe FARINETTI, I filosofi parlano di felicità, p. 334-335. 6 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) Dopo aver analizzato brevemente la Metafisica dei costumi, si può procedere con l’analisi del suo terzo libro nel quale Kant elabora il concetto della felicità, intitolato Antropologia dal punto di vista pragmatico. SCHEMA II Metafisica dei costumi SISTEMA UNIVERSALE FELICITÀ = IMMAGINAZIONE RAGIONE VOLONTÀ FELICITÀ FONDAMENTO Principi Empirici (consilia) FELICITÀ ESPERIENZA IMMAGINAZIONE 7 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) 2.3 LA FELICITÀ NE L’ANTROPOLOGIA DAL PUNTO DI VISTA PRAGMATICO Nel 1798 Kant si dedica ai temi antropologici scrivendo diversi scritti, riuniti ne l’Antropologia Pragmatica, opera nella quale descrive l’antropologia come lo studio della natura umana. Infatti, l’uomo è descritto come colui che può e deve plasmare se stesso nella realtà. Egli scrive: «La conoscenza fisiologica dell’uomo, si propone di indagare ciò che la natura fa dell’uomo, la pragmatica ciò che l’uomo, in quanto essere libero, fa o piò fare di se stesso»25. Questa opera è divisa in due parti. La prima parte è intitolata “Didattica antropologica. Del modo di conoscere l’interno e l’esterno dell’uomo”, la seconda, “La caratteristica antropologica. Intorno al modo di conoscere e l’interno dell’uomo dal suo esterno”. Nella Didattica, Kant condanna soprattuto l’egoismo, descrivendolo come un sentimento negativo. Occupandosi poi delle passioni, le definisce «cancri della ragion pura pratica, per lo più inguaribili»26. Secondo il filosofo tedesco, anche le emozioni sono negative, mentre esse sono «disposizioni infelici dell’animo, foriere di molti mali»27, le passioni sono «cattive incondizionatamente»28. Oltre a paragonare i sentimenti e le passioni, Kant descrive le due specie di bene, quello fisico e quello morale, che non si possono mescolare insieme, poiché si neutralizzerebbero e non attenderebbero allo scopo della vera felicità29. Quindi, il benessere e la virtù, sono i due beni che, lottando l’uno contro l’altro, formano il fine complessivo per il bene dell’uomo. Sembra che la mescolanza tra tali principi sia difficilmente evitabile, tuttavia, attraverso dei reagenti, essi potrebbero distinguersi cosicché, unendosi, possano procurare il godimento di una felicità. «Il modo di pensare l’unificazione fra il benessere e la virtù nelle relazioni con altri è l’umanità (Humanität)»30. Qui si tratta quindi del modo in cui l’inclinazione al benessere dovrebbe venire limitata dai principi della virtù. «La felicità nei rapporti sociali è anche una virtù, ma l’inclinazione a stringere frequentazioni diviene spesso una passione (…) La forma di benessere che sembra ancor sempre accordarsi al meglio con l’umanità è un buon pranzo in buona compagnia»31. Kant vede un piacere nel dialogo a tavola, un piacere della condivisione attraverso la comunicatio e la socievolezza, uno sguardo assai autobiografico. Il raccontare, ragionare e scherzare sono le leggi della finezza umana, che non vengono comparati con la pura legge morale, ma comunque «tutto ciò che promuove la socievolezza, se anche consistesse solamente di massime o di maniere garbate, costituisce pur sempre una veste che ricopre proficuamente la virtù». 25 Immanuel KANT, Antropologia dal punto di vista pragmatico, in Scritti morali, a cura di P. CHIODI, Torino, UTET, 1970. p. 541. 26 Ibid., p. 688. 27 Ibid.. p. 689. 28 Ibid. 29 Cfr. Fulvia DE LUISE - Giuseppe FARINETTI, I filosofi parlano di felicità, p. 337. 30 Ibid. 31 Ibid., p. 338. 8 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) SCHEMA III Antropologia dal punto di vista pragmatico Egoismo – condannato Passioni – cancri inguaribili Emozioni – disposizioni infelici (negativi) Bene fisico Bene morale BENNESSERE VIRTÙ reagenti Movimento in parallela = distinzione nell’unione Risultato finale GODIMENTO DI FELICITÀ ATTRAVERSO L’UMANITÀ buon pranzo in buona compagnia comunicatio 9 socievolezza ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) PENSIERI: 1. Perché Kant, se in prima istanza critica l’egoismo, in seconda istanza dà così tanta importanza all’autonomia del soggetto, che dovrebbe dominare se stesso e godere del proprio stato nella società? (Antropologia dal punto di vista pragmatico) 2. Perché la ragione non riconosce alcun tribunale più elevato di se stessa, e si mette a giudicare le proprie capacità conoscitive, implicitamente sottolineando che al di sopra di sé, al di sopra della ragione, non c’è nessun’altra autorità? (Critica della ragion pratica) 3. Perché nella Metafisica dei costumi il concetto di felicità non parte dalla ragione ed è solo una cosa immaginaria, visto che prima era così importante? 10 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) BIBLIOGRAFIA 1. FONTI Immanuel KANT, Antropologia dal punto di vista pragmatico, trad. it. a cura di P. CHIODI, in I. KANT, Scritti morali, Torino, UTET, 1970. Immanuel KANT, Critica della ragion pratica, trad. it. a cura di P. CHIODI, in I. KANT, Scritti morali, Torino, UTET, 1970. Immanuel KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, trad. it. a cura di P. CHIODI, in I. KANT, Scritti morali, Torino, UTET, 1970. Immanuel KANT, Reflexionen, in Kant’s gesammelte Schriften, a cura dell’Accademia Prussiana delle Scienze, Berlin, W. de Gruyter, 1900. 2. STUDI Andrea TAGLIAPIETRA, «Tra corpo e spirito. Kant e l’abbozzo di un’antropologia della conversazione», I Castelli di Yale, XII (2012) p. 115-146. Aurelio RIZZACASA, Il concetto di felicità nella filosofia morale di Kant, Pontificium Athenaeum Antonianum, Romae 1989. Daniela TAFANI, Virtù e felicità in Kant, L. S. Olschki, Firenze 2006. Fulvia DE LUISE - Giuseppe FARINETTI, I filosofi parlano di felicità, G. Einaudi, Torino, 2014, Vol. II. p. 319-342; 489-507. Otfried HÖFFE, Immanuel Kant, Il Mulino, Bologna, 2002, Capitolo I: La vita e lo sviluppo filosofico, p. 9-32. Immanuel KANT – Vittorio MATHIEU (a cura), Fondazione della metafisica dei costumi. Critica della ragion pratica, Rusconi, Milano 1982. Luca SCUCCIMARRA, Kant e il diritto alla felicità, Editori Riuniti, Roma 1997. Matteo GARGANI, «Foucault e l'Antropologia dal punto di vista pragmatico di Kant. Intervista a Gianluca Garelli», Lo Sguardo – Rivista di Filosofia, N. 3 (II) 2010 –Antropologie/I, in http://www.losguardo.net/public/archivio/num3/articoli /2010-03.%20Gianluca_Garelli_Foucault_e_Antropologia_dal_punto_di_vista _pragmatico_di_Kant.pdf Maurizio SCHOEPFLIN (ed.), La felicità secondo i filosofi. Testi di Aristippo, Platone, Aristotele, Epicuro, Seneca, Plotino, Agostino, Boezio, Tommaso, Hobbes, Pascal, Spinoza, Locke, Leibniz, Smith, Kant, Schopenhauer, Rosmini, Stirner, Nietzsche, Città Nuova, Roma 2003. p. 134-140. 11 ACCADEMIA ALFONSIANA Seminario: Etica e Felicità – prof. Stefano Zamboni, scj STEFAN GOGOVSKI – IL CONCETTO DI FELICITÀ IN KANT (07.05.15’) Sergio LANDUCCI, La " Critica della ragion pratica " di Kant. Introduzione alla lettura, La Nuova Italia Scientifica, ROMA 1993. 12