«PONTIFICES PRINCIPATUM POTESTATES
A NOBIS NOSTROQUE IMPERIO OBTINEANT»
Il Constitutum Constantini e la monarchizzazione del
papato da Gregorio VII allo scisma d’Occidente.
FRANCESCO MORGESE
Introduzione
I primi testi cristiani, circa il rapporto tra regnum e sacerdotium, si
sviluppano secondo una linea che sembra accennare alla distinzione tra
queste due autorità, comunque non opponendole tra loro.
Basandosi sull’insegnamento di Gesù – prima trasmesso oralmente e più
tardi sistemato nei Vangeli – intorno all’anno 57 Paolo scrive nella lettera
ai Romani: «Ogni persona stia soggetta alle autorità superiori. Non v’è
infatti autorità se non da Dio e quelle che esistono sono costituite da Dio.
Cosicché chi si sottrae all’autorità si oppone alla disposizione di Dio» (13,
1-2). E nella prima lettera attribuita all’apostolo Pietro – degli stessi anni,
quindi poco prima della persecuzione neroniana che contò tra le sue vittime
i due apostoli, o comunque poco più tarda – si legge un’esortazione
analoga: «State sottomessi a ogni creatura umana a motivo del Signore: sia
al re come sovrano, sia ai governatori come mandati da lui per punire
quanti fanno il male e per lodare quelli che operano il bene» (2, 13-14). Più
complessi i testi evangelici, che mettono in bocca a Gesù due celeberrime
affermazioni. La prima risponde al quesito religioso, postogli come una
trappola da farisei e seguaci di Erode Antipa, se fosse lecito pagare
l’imposta all’imperatore, sovrano pagano il cui volto era effigiato nelle
monete circolanti nella Palestina soggetta da quasi un secolo al dominio
romano. Secondo il vangelo di Marco – con paralleli quasi identici in quelli
di Matteo e di Luca – di fronte all’insidiosa questione il maestro di Nazaret
si cava d’impaccio chiedendo a sua volta di chi fossero effigie e iscrizione
impresse sui denari, e alla risposta ovvia che erano «di Cesare» ribatte:
«Quello che è di Cesare rendete a Cesare e quello che è di Dio a Dio» (12,
16-17). Soltanto il vangelo di Giovanni invece riferisce un altro detto di
Gesù, condotto davanti a Pilato: il governatore romano, stupefatto del
silenzio del giudeo, gli ricorda di avere su di lui potere di vita o di morte, e
questi risponde al rappresentante dell’imperatore: «Non avresti contro di
me nessun potere se non ti fosse stato dato dall’alto» (19, 11).
Fin dalle origini del cristianesimo, dunque, il problema del rapporto fra
religione e politica sembra occupare una fetta importante delle discussioni
all’interno della comunità cristiana. Nel momento in cui i rapporti tra
regnum e sacerdotium, dopo Costantino, si intrecceranno a tal punto da
confondersi tra loro nel corso dei secoli, la Chiesa di Roma sentirà sempre
più l’esigenza di una autonomia dal potere del sovrano e, attraverso un
lungo, complesso e travagliato processo storico, la sede di Pietro
organizzerà, sia teoricamente che giuridicamente, la propria pretesa
universale sulla cristianità, dando vita ad una vera e propria monarchia in
2
cui il sommo pontefice sarà non solo guida spirituale, ma anche un sovrano
a tutti gli effetti.
Questa evoluzione in senso monarchico del papato conoscerà un
maggiore sviluppo nel periodo che va dall’XI secolo al XIV secolo,
soprattutto con i pontificati di Gregorio VII e Innocenzo III, per poi vivere
un periodo di grande imbarazzo, per il papato e la cristianità Occidentale,
con quello che, comunemente, viene chiamato scisma d’Occidente.
A giocare un ruolo importante nella sistematizzazione teorica delle
pretese territoriali della Chiesa di Roma sarà un documento, un falso, che i
papi impugneranno a più riprese come «prova» della fondatezza delle loro
rivendicazioni territoriali in Italia e giustificazione della loro pretesa di
guida, anche temporale, dell’intero Occidente: il Constitutum Constantini.
3
I. Il Constitutum Constantini: usi e abusi di un falso nella genesi della
monarchia papale
Con l'imperatore Costantino inizia, di fatto, il problema del rapporto tra
le Chiese cristiane e le istituzioni statali, nodo intricato e mai sciolto.
Fu infatti Costantino a legittimare in pieno il cristianesimo e poco dopo
ad avviare la cristianizzazione formale dell'impero, un processo
sorprendentemente rapido se si pone mente al fatto che nel giro di un
ventennio o poco più i rapporti tra Stato romano e religione cristiana si
rovesciarono completamente. E si trattò di una svolta decisiva, al punto che
da allora la storia dell'impero romano – e poi delle istituzioni che in vario
modo vi si richiamarono – s’intrecciò indissolubilmente con quelle della
Chiesa cristiana per almeno quindici secoli, sia in Oriente che in Occidente.
La politica filocristiana di Costantino fu sempre più decisa nell'inserire
la Chiesa nell'ambito statale. L'imperatore poi ritenne suo compito
specifico occuparsi anche dei problemi interni alla Chiesa ormai
formalmente parte dell'impero.
In un contesto che tendeva a unire l'ambito religioso e quello politico la
nuova religione si presenta immediatamente, da questo punto di vista, con
due tendenziali caratteristiche: lealismo nei confronti delle autorità e
un'incipiente distinzione tra i due ambiti1.
Ma alla fine del IV secolo la tensione tra potere imperiale e gerarchia
ecclesiastica, che mostrava una iniziale rivendicazione della propria
autonomia, si manifestò con chiarezza. Infatti alla morte dell'imperatore
Teodosio, nel 395, il vescovo di Milano, Ambrogio, nel suo discorso di
commemorazione per il defunto imperatore, esaltò la figura dell'imperatore
cattolico, ma al contempo mostrò il doppio esito dell'innesto cristiano sulla
struttura statale: da una parte conferma del potere ma dall'altra freno ai suoi
possibili abusi ed eccessi2. Così il secolo che per la Chiesa si era aperto con
la lunga e feroce persecuzione dioclezianea si chiudeva con una nuova
contrapposizione tra quelli che ormai si profilavano come due poteri.
Questo rapporto fu teorizzato nel corso del V secolo. L'occidente era
ormai periodicamente afflitto dalle invasioni dei barbari che, prima nel 410
e poi nel 455, misero a sacco persino Roma: qui il potere imperiale si
estinse nella seconda metà del secolo mentre la progressiva crescita
d'importanza del vescovo della città si affermò sempre più nettamente nel
complesso intricarsi delle vicende politiche con quelle ecclesiastiche e nel
difficile rapporto con la sede imperiale. A delineare con nettezza la teoria
1
2
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, Bologna 2010, p. 45.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 48.
4
dei due poteri nell'ottica romana fu papa Gelasio in una lettera del 494
all'imperatore Atanasio:
«Vi sono due autorità, imperatore augusto, dalle quali
principalmente questo mondo è governato: l'autorità
consacrata dei pontefici e il potere del re. Tra essi più grave
è il peso dei sacerdoti in quanto anche per gli stessi re degli
uomini devono rendere conto davanti al giudizio divino»3.
Diabolica era la pretesa, per il papa, degli imperatori pagani di essere
anche pontefici massimi mentre Cristo separò nettamente i due poteri. Ma
questa semplice teoria sarebbe stata seguita da fatti sempre più complicati,
legati in qualche modo a un documento che a più riprese, nel corso del
medioevo, la Chiesa e i papi utilizzeranno come «prova» della loro pretesa
di dominio, oltre che spirituale, anche temporale, sui territori della
cristianità occidentale: il Constitutum Constantini, la famosa donazione di
Costantino.
La donazione di Costantino è un falso, forse il più famoso della storia
occidentale. Il breve testo latino – intitolato Constitutum Constantini e
composto più di quattrocento anni dopo la morte del sovrano – fu scritto a
metà dell'VIII secolo, quando in Italia cominciava a consolidarsi lo Stato
pontificio, e si presenta come l'atto con cui il primo imperatore cristiano
avrebbe donato a papa Silvestro e ai suoi successori il Laterano, Roma,
l'Italia e l'Occidente. Trascurato per molto tempo, il documento iniziò a
essere usato dai pontefici solo nel XI secolo, in coincidenza con la decisa
affermazione del papato durante la riforma gregoriana, ma poco prima
venne sospettato di essere un falso. E presto la donazione fu considerata il
simbolo del potere temporale della Chiesa romana, diventando per questo il
bersaglio di critiche crescenti, come mostra l'invettiva di Dante:
«Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quel dote
che da te prese il primo ricco patre!»4
Nei primi decenni del Quattrocento l'opinione che il Constitutum
Constantini non fosse autentico era piuttosto diffusa, ma a dimostrare che
si trattava di un falso fu per primo l'umanista tedesco Niccolò da Cusa,
benché celebre sia rimasta la critica, venuta qualche anno più tardi, di
Lorenzo Valla.
3
4
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 49.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 7.
5
Il secondo protagonista della storia del documento – il primo è proprio
l'imperatore Costantino – è papa Silvestro I, il cui pontificato coincise quasi
con il lunghissimo regno costantiniano.
La premessa "leggendaria" che sarà a fondazione del celebre falso è
fornita da un altro scritto precedente il Constitutum Constantini, gli Actus
Silvestri, dove è narrata la leggenda secondo cui l'imperatore, gravemente
malato e guarito da papa Silvestro, emana una serie di leggi favorevoli ai
cristiani, tra le quali il privilegio, conferito alla Chiesa romana e al
pontefice, che «in tutto l'impero i sacerdoti abbiano questo capo come tutti
i giudici hanno il re» (in toto orbe Romano sacerdotes ita hunc caput
habeant sicut omnes iudices regem)5.
Agli inizi del VI secolo, quindi forse a un centinaio di anni più tardi gli
Actus Silvestri, risale un altro testo importante nella crescita della leggenda,
il Constitutum Silvestri 6 . Presentato come il frutto di un immaginario
concilio tenutosi a Roma il 29 e 30 maggio 315, subito dopo il battesimo e
la guarigione di Costantino, con la partecipazione di trecentoquarantuno
vescovi e alla presenza di Costantino ed Elena, il testo culmina con l'ultimo
canone che afferma perentoriamente la superiorità della sede romana:
«Nessuno infatti giudicherà la prima sede, perché tutte le sedi desiderano
essere regolate con giustizia dalla prima sede, e il giudice non sarà
giudicato dall'imperatore né da qualsiasi clero, né dai re, né dal popolo»7. Il
testo riprende con Costantino che riconosce la supremazia concessa
all'apostolo Pietro secondo il celebre passo del vangelo di Matteo: «Tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non
prevarranno contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli; quello
che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli e quello che scioglierai
sulla terra sarà sciolto nei cieli» (16, 18-19). L'affermazione scritturistica,
tradizionalmente usata per fondare e giustificare il primato romano,
costituisce la premessa della donazione vera e propria, che occupa la
seconda parte del testo.
La donazione è presentata come decisione sovrana, presa «insieme a tutti
i nostri satrapi e al senato, agli ottimati e a tutto il popolo romano»8, in una
complessa formulazione che sottolinea la superiorità dei successori di
Pietro sulla potestà imperiale e al tempo stesso il fatto che questa
superiorità viene riconosciuta dall'autorità dell'imperatore.
La Chiesa romana avrà quindi la supremazia tanto sulle quattro
principali sedi della cristianità orientale, cioè quelle di Antiochia,
5
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 56.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 60.
7
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 60.
8
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 62.
6
6
Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, quanto su «tutte le Chiese di
Dio in tutto il mondo»9. Allo stesso modo il pontefice che presiederà la
santa Chiesa romana sarà il primo di tutti i sacerdoti del mondo e ogni cosa
necessaria al culto di Dio o alla stabilità della fede dei cristiani sarà
sottoposta al suo giudizio. Al beato Silvestro, e a tutti i pontefici suoi
successori, l'imperatore concede il palazzo lateranense, il diadema, il
copricapo frigio (cioè la tiara), il manto, la clamide di porpora, la tunica
scarlatta e tutti gli indumenti e i simboli del potere imperiale. Tenendo poi
il morso del cavallo del pontefice in segno di reverenza per il beato Pietro,
il sovrano volle mostrare di svolgere le funzioni di palafreniere del papa,
stabilendo poi che il copricapo bianco (la tiara) venisse usato dai pontefici
suoi successori.
La donazione si fa poi molto concreta. Costantino dona quindi al papa e
ai suoi successori sia il palazzo lateranense, sia la città di Roma e tutte le
province, i luoghi e le città d'Italia e delle regioni occidentali. L'atto di
donazione viene poi presentato come origine della decisione di trasferire
l'impero e il potere regio nelle regioni orientali e di edificare nella
provincia di Bisanzio una città col nome del grande imperatore, e lì di
stabilire l'impero. Veniva così riletto e rovesciato miticamente l'effettivo
processo storico che tra la fine del V secolo e la metà dell'VIII secolo portò
alla crescita e al consolidamento del potere papale proprio a causa del
progressivo venir meno in Italia di quello imperiale, mentre il testo si
conclude su un piano ideologico con la solenne affermazione della
superiorità pontificia, che è basata sulla sua origine divina: alla fine del
testo, ne viene quindi fornita la chiave interpretativa. Infatti, dove è stato
costituito dall'imperatore celeste il principato dei sacerdoti e il capo della
religione cristiana, non è giusto che in quel luogo l'imperatore terreno abbia
potere. Posto sul sepolcro di san Pietro, il testo della donazione sottoscritto
dall'imperatore viene quindi consegnato a Silvestro10.
Chi ha scritto il Constitutum Constantini? E perché? La maggioranza
degli specialisti lo colloca tra la metà dell'VIII secolo e la metà del IX
secolo, forse a Roma o secondo altri in ambienti ecclesiastici franchi.
Legata all'origine del testo è evidentemente la sua intenzione: il falso
esprime infatti una teoria dei rapporti tra papato e impero non facile da
definire. In altre parole, quale autorità debba prevalere secondo l'anonimo
autore del testo non è chiaro, né si può con certezza rispondere a chi il falso
potesse far gioco e in quale contesto dunque sia da collocare la sua origine,
anche se poi il testo fu utilizzato a sostegno del potere temporale dei papi11.
9
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 63.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 65.
11
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 65-66.
10
7
Nonostante contrasti e difficoltà, già dalla fine del VII secolo era iniziata
la crescita dei domini e del potere temporale dei papi che, stretti tra
bizantini e longobardi, fin dal pontificato di Gregorio III (731-741)
avevano cominciato a guardare alla monarchia dei franchi come a un
possibile nuovo interlocutore. Questi, infatti, con Clodoveo, già alla fine
del V secolo, si erano convertiti al cattolicesimo, al quale avrebbero aderito
anche i longobardi, ma soltanto due secoli dopo. In questo intricato
contesto – che aveva incluso nel 729 la donazione di Sutri agli apostoli
Pietro e Paolo da parte dei longobardi, per lungo tempo considerata l’avvio
del potere temporale – Stefano II si recò nel 753 nel regno franco per
chiedere aiuto contro il sovrano longobardo Astolfo e soggiornò per alcuni
mesi nell’abbazia si Saint-Denis, dove il 28 luglio del 754 consacrò il re
franco Pipino e i suoi figli, con i quali aveva stabilito una solida alleanza.
In questo quadro, particolare importanza avrebbe presto assunto la
«promessa» che il sovrano aveva fatto al pontefice poco più di tre mesi
prima, il 14 aprile, nella sua residenza di Carisiacum (Quierzy-sur-Oise) e
che fu detta per questo promissio Carisiaca. Secondo questo accordo al
papa sarebbero andati i territori – già bizantini ma di recente conquistati dai
longobardi – dell’esarcato e della cosiddetta Pentapoli, corrispondenti oggi
all’incirca a Romagna, Emilia orientale e parte delle Marche. Seguirono
due campagne militari che sconfissero i longobardi e di fatto consentirono
al papato il controllo, presentato come restituzione a san Pietro, di questi
vasti territori dell’Italia centrale in gran parte già dominati dai bizantini e
invano da essi reclamati.
La linea politica del papa che si era legato alla dinastia franca fu
continuata in tutto dal fratello, Paolo I, che gli succedette sul trono
pontificio dal 757 al 767, mentre i contrasti con Bisanzio si riacuivano sia
per le rivendicazioni territoriali in Italia sia per il nuovo sostegno imperiale
agli iconoclasti, avversati da Roma. Proprio il quindicennio occupato dai
pontificati di Stefano II e di Paolo I sarebbe, secondo l’opinione prevalente
degli specialisti, il quadro dove collocare la nascita e la redazione del
Constitutum Constantini12.
Il più probabile contesto di origine del Constitutum Constantini è dunque
quello della prima affermazione del potere pontificio come dominio anche
temporale. Questa avvenne con l’acquisizione soprattutto di territori già
bizantini e quindi in concorrenza con l’impero d’Oriente. Stretti tra
longobardi e bizantini, a metà dell’VIII secolo i pontefici aspiravano a
trovare un sostegno efficace alla loro politica italiana, sempre ostacolata
dalla presenza longobarda, e a svincolarsi dalla sovranità imperiale
bizantina, lontana ma tuttavia ingombrante, e si rivolsero, come si è visto,
12
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 69.
8
alla nuova potenza franca. Due sono soprattutto i segnali di questa svolta,
dietro la quale è facile riconoscere una progressiva presa di coscienza da
parte dei vescovi di Roma della necessità di una indipendenza politica (e
quindi di un dominio territoriale): così, mentre nel 754 Stefano II aveva
concesso a Pipino e ai suoi figlio Carlo e Carlomanno, consacrati con
l’unzione regia, il titolo di «patrizi dei romani», il suo successore (e
fratello) Paolo I interruppe l’uso secolare di nominare «romano»
l’imperatore bizantino, considerandolo invece dei «greci», e dimostrando in
questo modo di ritenere confinata in Oriente la sua sovranità, non più
effettiva su Roma e l’Italia dove voleva regnare il papa13. Rimasto nel 772
unico sovrano Carlo, i rapporti tra la potenza franca e la sede romana si
rafforzarono, scanditi da una serie di «donazioni». Questi accordi furono
aperti il 6 aprile del 774 dalla promissio Romana – con la quale Carlo nel
suo primo viaggio a Roma rinnovò a papa Adriano I la «promessa» fatta a
Carisiacum vent’anni prima da suo padre a Stefano II – ed erano volti a
estendere il «patrimonio di san Pietro», soprattutto nell’Italia centrale e
spesso a danno dei domini già bizantini, anche se queste cessioni territoriali
erano in realtà modeste e fortemente condizionate dall’esercizio della
sovranità di Carlo Magno, che dopo la vittoria sui longobardi aveva assunto
il titolo di re anche del popolo sconfitto.
Il «nuovo cristianissimo Costantino imperatore di Dio»14, cioè Carlo
Magno, era stato poi consacrato a Roma nel Natale dell’anno 800 da papa
Leone III, che gli aveva imposto sul capo la corona prima che clero e
popolo lo acclamassero imperatore. Un quindicennio più tardi, il 5 ottobre
dell’816, suo figlio Ludovico il Pio venne unto e incoronato da papa
Stefano IV. Il suo successore, Pasquale I, eletto papa nell’817, aveva quasi
subito ottenuto da Ludovico la concessione di ampi territori e patrimoni
nell’Italia centrale, meridionale e insulare, in un documento (detto Pactum
Ludovicianum15) che si richiamava esplicitamente alla politica di donazioni
a san Pietro dei sovrani franchi Carlo Martello, Pipino e Carlo Magno.
Nell’823 a Roma lo stesso papa incoronò poi imperatore Lotario, figlio di
Ludovico, ma già l’anno successivo questi emanò la cosiddetta Constitutio
Romana, un documento che accentuava la protezione e il controllo dei
franchi sulla sede romana, anticipando in qualche modo le tensioni esplose
già nel decennio successivo quando papa Gregorio IV, nei caotici contrasti
insorti nell’impero, affermò nell’833 la supremazia del governo spirituale
su quello temporale.
13
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 70.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 71.
15
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 72.
14
9
Il ruolo del papa nella successione temporale diveniva, tuttavia, sempre
più evidente e richiesto, tra lotte e disordini crescenti, anche dopo la fine
dell’impero carolingio e nonostante le burrascose vicende attraversate per
circa un secolo dalla sede romana, oscillante tra particolarismo locale e
consapevolezza della sua posizione nella cristianità. In questo senso
emblematico fu il pontificato di Giovanni XII. Mondano e dissoluto,
durante il suo turbolento pontificato contribuì al ristabilimento
dell’istituzione imperiale (restauratio imperii) voluto da Ottone I, re di
Germania. Così, il 2 febbraio 962 a Roma il giovanissimo pontefice unse e
incoronò imperatore il sovrano tedesco, che con il cosiddetto Privilegium
Ottonianum confermò al papa le concessioni carolingie. Con il nuovo
impero ottoniano Giovanni XII entrò presto in conflitto, ma il pontefice
morì, e il controllo sulla sede apostolica fu assunto dall’imperatore.
Si era ormai aperta una fase nuova: alla costruzione imperiale carolingia
succedeva, infatti, una nuova entità politica, inaugurata dalla dinastia degli
Ottoni, più tardi denominata Sacro romano impero e destinata a prolungarsi
fino al 1806, quando fu soppressa da Napoleone. Durante questo lungo
periodo la donazione al centro del Constitutum Constantini è evocata negli
scritti di alcuni vescovi franchi che si collocano tra l’867 e l’88216. Nel X
secolo le allusioni all’idea della donazione si fanno più numerose in testi
soprattutto tedeschi e italiani, ma soltanto nell’aprile 979 il documento
costantiniano viene citato nella conclusione di una lettera papale,
indirizzata da Benedetto VII al monastero spagnolo di San Pedro de
Roda17.
Ad aprire emblematicamente l’età ottoniana, nuova decisiva tappa nei
difficili rapporti tra regnum e sacerdotium, intervenne però un’improvvisa
accelerazione nell’uso del testo attribuito a Costantino, e questa volta
proprio da parte della sede romana che per due secoli l’aveva praticamente
dimenticato.
Ma già Ottone III, nipote e successore dell’imperatore Ottone I, accusava
senza mezzi termini il cardinale Giovanni «dalle dita mozze» di avere
fabbricato un falso, presentato come un originale sottoscritto dallo stesso
Costantino18.
La concorrenza con l’impero bizantino è probabilmente la principale
motivazione della polemica di Ottone III – proprio mentre dona territori al
papa – contro la donazione che si voleva di Costantino, quasi per
riaffermare di fronte ai «greci» l’almeno pari dignità dell’istituto imperiale
d’Occidente. Nel quarantennio trascorso tra la fabbricazione di quello che
16
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 73-74.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 74.
18
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 74.
17
10
si voleva presentare come l’originale del Constitutum Constantini e il suo
smascheramento si erano succeduti tre imperatori (i tre Ottoni), una
reggente (Teofano, nipote del sovrano bizantino e moglie di Ottone II),
dieci papi e due antipapi, tra cui il francese Gerberto di Aurillac, che nel
999 prese il nome di Silvestro II. Il papato cominciava a uscire dalla
cerchia locale romana e a mostrarsi sensibile ai primi venti di una riforma
della vita ecclesiastica, anche obbligato dal rinnovato impero, ora divenuto
tedesco e che ancora una volta si trovava di fronte il più antico e
tradizionale interlocutore imperiale d’Oriente. E l’ideale di una stretta
collaborazione tra impero occidentale e papato è alla radice della scelta di
Gerberto di chiamarsi come il papa che aveva guarito e battezzato
Costantino.
La sede romana era ormai impegnata in un movimento riformatore –
culminato non soltanto simbolicamente nel pontificato di Gregorio VII
(1073-1085), dal quale ha poi preso il nome – ed esponenti energici nella
politica di riforma sostenuta dall’impero tedesco erano due alsaziani, Leone
IX e uno dei suoi più stretti collaboratori, Umberto di Moyenmoutier,
cardinale di Silva Candida. Quest’ultimo, in particolare, sottolineava che le
prerogative temporali della sede romana si fondavano non su «sciocche
favole tipiche dei vecchi»19 ma sul documento che lo stesso Costantino
aveva deposto sulla tomba di san Pietro, decretando con esso la restituzione
a Dio attraverso i suoi ministri di quello che egli aveva ricevuto.
19
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 77.
11
II. Gregorio VII e lo scontro con l’impero
Nei due secoli immediatamente successivi la prima utilizzazione papale
del Constitutum Constantini, al tempo dello scisma di Michele Cerulario20,
il papato aveva accelerato enormemente l’affermazione ideologica e la
rivendicazione delle sue prerogative spirituali e temporali. Questo
processo, irreversibile nonostante diverse opposizioni, aveva avuto luogo
grazie al movimento riformatore che poi prese il nome da Gregorio VII e
quindi dalle successive elaborazioni teoriche dei grandi papi giuristi, in
particolare Innocenzo III (1198-1216) e Innocenzo IV (1243-1254).
La sede romana fu del resto sempre attenta a far sì che il moto
riformatore svolgesse la propria benefica opera di cambiamento senza
stravolgere la gerarchia ecclesiastica, e quella sociale, e per questo ritenne
prioritario fissare in materia inequivocabile il proprio primato,
esclusivamente ponendosi sotto la disciplina del quale potevano dirsi
legittimate le varie iniziative. La rinnovata insistenza sul concetto del
primato pontificio rinfocolò, per contrasto, l’ostilità dei vescovi, arroccati a
difesa dei loro privilegi e della propria autonomia21.
Alla morte di Alessandro II nel 1073 salì al soglio pontificio, con il
nome di Gregorio VII, una delle figure di punte del movimento
riformatore, Ildebrando di Soana, che nel precedente ventennio aveva
rivestito un ruolo di primo piano nell’entourage dei suoi predecessori e che
si sarebbe rivelato uno dei papi più importanti nell’intera storia della
Chiesa. Con Gregorio VII, infatti, la trasformazione delle istituzioni
ecclesiastiche ebbe modo di esprimersi nella maniera più matura e incisiva,
sia nelle forme dell’organizzazione interna sia nei rapporti verso l’esterno,
con il potere politico. Durante il suo pontificato, che durò dodici anni, si
affermò con un’evidenza senza precedenti il concetto dell’assoluto primato
del papa di Roma nell’ambito della Chiesa, tanto da disegnare, nella teoria
e nelle strutture concrete, un nuovo modello del corpo ecclesiastico
ordinato non più in senso «orizzontale» e collegiale, bensì piramidale e
gerarchico, con il papa come vertice unico e indiscusso. Si trattava di un
assetto che, con qualche ulteriore precisazione nel corso del tempo, avrebbe
contraddistinto da allora e fino ad oggi la Chiesa cattolica rispetto alle altre
Chiese cristiane, completando il plurisecolare processo di emersione del
vescovo di Roma, erede di Pietro, fra tutti gli altri presuli non più sulla base
di una sua semplice primazia onorifica, ma in forza di un’autorità
veramente «monarchica» e giurisdizionalmente definita. Un simile esito,
20
21
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 83.
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, Bologna 2009, pp. 96-97.
12
conseguenza di una lunga e complessa elaborazione, si dimostrò nello
specifico contesto dell’XI secolo particolarmente funzionale, perché
disciplinò sotto un’unica guida tanto le eterogenee spinte riformatrici,
potenzialmente eversive dell’intera costruzione ecclesiastica se
abbandonate a se stesse, quanto quella vasta parte dell’episcopato che si
mostrava refrattario al cambiamento22.
Nello scontro con l’impero per le investiture ecclesiastiche da parte delle
autorità laiche, condotto da parte di Roma in nome di quella che veniva
affermata programmaticamente come libertà della Chiesa23, il papato, con
Gregorio VII, rivendicò pure la libertas ecclesiae, cioè la libertà delle
istituzioni ecclesiastiche dalle ingerenze del potere laico, riproponendo in
questa prospettiva soprattutto la questione capitale del rapporto tra
l’autorità pontificia e la potestà imperiale, impostata in modo ambiguo sin
dai tempi della cristianizzazione dell’impero romano e della quale nel corso
del tempo erano state date declinazioni diverse, in forza delle singole
contingenze24.
Il papato giunse ora a pretendere la propria supremazia anche sulla
potestà dell’imperatore, aprendo, inevitabilmente, la strada a una nuova e
prolungata stagione di lotte. Dalla prioritaria difesa della propria autonomia
contro l’ingerenza dei laici, la Chiesa, rappresentata dal pontefice romano
che ormai si offriva come suo vertice indiscusso, era arrivata a rovesciare i
termini del rapporto rivendicando per sé un ruolo egemone sull’intera
cristianità, comprese le istituzioni politiche25.
All’anno dell’avvio del contenzioso con Enrico IV, il 1075, viene fatto
risalire un celeberrimo documento pontificio, noto come Dictatus Papae,
interpretato come l’indice di una perduta collezione canonica o come lo
schema di una nuova. Il documento è articolato in ventisette stringate
proposizioni che costituiscono la dichiarazione più netta della nuova
consapevolezza acquisita dal papato circa la propria autorità suprema non
solo rispetto alla Chiesa, ma anche nei confronti dell’impero. Il Dictatus
Papae affermava innanzitutto la totale ed esclusiva dipendenza delle
cariche ecclesiastiche dal pontefice, l’unico a poter, tra l’altro, nominare,
deporre o trasferire i vescovi, ridisegnare le circoscrizioni diocesane,
mutare lo status di un ente ecclesiastico, convocare i concili generali,
emanare leggi canoniche, giudicare tutte le cause maggiori di qualsiasi
Chiesa. Il papa è il solo a poter essere chiamato universale; «il romano
pontefice, se sia stato ordinato canonicamente, per i meriti del beato Pietro
22
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, Bologna 2006, p. 57.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, Bologna 2010, p. 83.
24
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 98.
25
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 58.
23
13
senza dubbio diviene santo»26; soltanto il papa può «servirsi delle insegne
imperiali»27, con evidente allusione al Constitutum Constantini; non può
essere giudicato da nessuno; la Chiesa di Roma in base alle Scritture non
ha mai errato e non potrà mai errare e chi non è d’accordo con essa non può
essere chiamato cattolico, cioè viene posto al di fuori dei recinti della vera
fede, dell’ortodossia28. Inoltre, il Dictatus sosteneva che era piena facoltà
del pontefice romano deporre l’imperatore, mentre a nessuno era consentito
di restare in comunione con chi fosse stato colpito dalla scomunica. Quali
che fossero la reale natura e la destinazione d’uso di questo documento del
pontificato di Gregorio VII, risulta chiaro come le affermazioni in esso
esposte, distillato di una progressiva elaborazione giuridica e ideologica,
fossero cariche di una forza dirompente29.
Il conflitto con l’impero – scandito da episodi famosi come la penitenza
nel 1077 a cui l’imperatore Enrico IV fu costretto a Canossa e la morte di
papa Gregorio VII a Salerno – conobbe un leggero cambio di rotta con
l’ascesa al trono di Pietro di Urbano II. Questi cambiò politica rispetto ai
suoi predecessori, ricercando una mediazione con la parte avversa e
lavorando quindi a formule di compromesso che preparassero la strada a un
accordo. Urbano II allargò ai regni di Francia e di Inghilterra la questione
delle investiture, alla ricerca di una soluzione veramente universale del
problema, che non si riducesse a un mero duello tra Roma e l’impero;
inoltre diede il proprio contributo al consolidamento dell’autorità pontificia
rimarcando il principio della capacità papale di dispensa, cioè di prendere
decisioni in deroga dalle norme in situazioni eccezionali30.
Il papa succeduto a Urbano II, Pasquale II (1099-1118), si trovò a dover
fronteggiare l’impeto del nuovo imperatore Enrico V. Enrico dapprima
concordò con il papa la propria rinuncia al diritto di investire gli
ecclesiastici, ma poi costrinse il pontefice, tenuto prigioniero, a dare il suo
consenso alla pratica così come si svolgeva. Un concilio tenutosi in
Laterano dichiarò nullo tale accordo e spinse Pasquale a difendersi
ribadendo i principi emersi soprattutto con Gregorio VII: il papa è l’unico
giudice di se stesso e può innovare la norma o rovesciare norme già
esistenti per la facoltà di dispensa. Tale riproposizione della pretesa papale
di essere il centro indiscusso di tutta la Chiesa venne rafforzata negli anni
di pontificato di Pasquale II dalla costituzione di precisi strumenti
istituzionali e organizzativi, a cominciare dall’accentuazione del ruolo di
26
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 81.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 81.
28
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., pp. 99-100.
29
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 60.
30
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 101.
27
14
Roma come suprema fonte di giudizio e sede alla quale dovevano essere
ricondotte tutte le cause ecclesiastiche31.
Nel 1119 fu eletto pontefice Callisto II (in carica fino al 1124), con il
quale la lunga querelle sulle investiture fu risolta con il compromesso a cui
si arrivò con il concordato di Worms (1122), in cui la formula escogitata
distinse in sostanza il momento dell’investitura spirituale dei vescovi,
riservata al clero, e quello dell’investitura temporale, lasciata
all’imperatore.
Dopo vicende tanto tumultuose il compromesso appariva l’unico mezzo
per porre fine a un contrasto dal quale l’istituzione pontificia emergeva
irrobustita, saldamente al vertice di una Chiesa tutta ridisegnata in funzione
della centralità romana, e pronta a nuove sfide nei confronti dello stesso
potere imperiale per la guida dell’intero mondo cristiano32.
31
32
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 63.
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 104.
15
III. L’apogeo dell’autorità papale: Innocenzo III
Nel corso del XII secolo l’autorevolissimo Bernardo di Chiaravalle
esercitò una notevole influenza sul papato, fornendo preziosi strumenti
concettuali per una migliore definizione del ruolo primaziale del pontefice
romano. Bernardo teorizzò il governo del papa sul mondo intero in quanto
vicario di Cristo sulla terra e perciò re e sacerdote al tempo stesso, a
imitazione del Salvatore. Il papa deteneva, avendole ricevute da Dio,
entrambe le spade evocate da Luca 22, 38, quella del potere spirituale, che
brandiva in prima persona, e quella del potere temporale, che egli affidava
ai principi secolari perché la usassero in conformità con il volere del Padre
Celeste (e del papa, Suo rappresentante in terra). Il pontefice doveva porsi
come speculator, «supervisore» e guida, di tutti i cristiani, intervenendo
nelle questioni capitali e di principio e delegando la gestione materiale dei
vari affari ai principi33.
Il papato del XII secolo era ormai in grado di svolgere una funzione di
governo di fatto sulla cristianità, almeno di quella occidentale, e nei limiti
posti dalle prerogative del potere laico, in virtù di una riconosciuta capacità
giurisdizionale che si tradusse nel sistematico ricorso alla sede romana da
parte delle varie autorità ecclesiastiche (e non solo) per sottoporre al suo
giudizio un’estesissima casistica di questioni attraverso le decretali, che
costituivano diritto universalmente valido.
Nel corso del XII secolo l’autorità pontificia impose anche la propria
attiva presenza fin nelle più remote regioni dell’Occidente, dall’Irlanda alla
penisola scandinava, dove vennero introdotti la liturgia e il diritto di Roma
e i legati pontifici poterono collaborare alle sviluppo delle Chiese locali34.
Lo scontro tra papato e impero tuttavia, che sembrava essere stato
contenuto col trattato di Worms del 1122, si ripeté nei decenni successivi,
durante il regno di due grandi sovrani, Federico I Barbarossa (1152-1190) e
Federico II (1215-1250).
L’imperatore Federico I Barbarossa riaffermava la propria natura di
monarca universale, perfettamente autonomo da ogni altra autorità, che
riceveva il potere da Dio.
Nel 1165 lo stesso imperatore fece proclamare santo ad Aquisgrana
dall’antipapa Pasquale III Carlo Magno, e l’anno successivo, sconfitto
l’esercito comunale di Roma, rinnovò la sua incoronazione. L’inconsueta
canonizzazione serviva d’appoggio all’aspra lotta che il Barbarossa
condusse contro papa Alessandro III (1159-1181), schierato con i comuni
33
34
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 67.
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 68.
16
lombardi alleatisi nella celebre lega contro l’imperatore. Lo scontro fu duro
e assunse innegabili aspetti, poi variamente mitizzati, di epopea nazionale
italiana: una nuova città fondata dagli avversari dell’imperatore tedesco
prese addirittura il nome del pontefice, Alessandria. Mezzo secolo più tardi
il conflitto tra regnum e sacerdotium si rinnovò sotto il nipote del
Barbarossa, Federico II, lo splendido sovrano che, incoronato imperatore
nel 1220 da papa Onorio III e liberata Gerusalemme nel 1228 grazie a un
accordo con il sultano, s’incoronò da sé nella basilica del Santo Sepolcro35.
Il gesto simbolico sembrava rispondere alle ben diverse vedute del
padrino del giovane imperatore: papa Innocenzo III, una delle figure che si
sarebbe rivelata tra le più significative del papato medievale.
Innocenzo III, in una lettera del 1214 a re Giovanni d’Inghilterra, così
descriveva i rapporti tra regnum e sacerdotium. Questi erano stati disposti
da Cristo in modo tale che uno solo fosse il suo vicario sulla terra, al quale
tutti dovevano obbedienza in modo tale da realizzare l’immagine
evangelica di un solo ovile e di un solo pastore: per questo anche i sovrani
rendono onore al papa e così servendolo regnano in modo ordinato36.
Questa visione, contenuta in un testo risalente all’ultima fase del
pontificato, era coerente con una delle immagini simboliche più efficaci
scelte fin dall’inizio del regno innocenziano per esprimere il rapporto tra
papato e impero, quella del sole e della luna. La luce più grande, infatti, è
posta da Dio per guidare le anime e la più piccola per governare i corpi, e
proprio come la luna riflette la luce del sole, anche il potere regale trae il
suo splendore da quello papale. Nella sua settima omelia, tenuta per la festa
di san Silvestro, Innocenzo III si riferì esplicitamente alla donazione di
Costantino che conferì al pontefice la città di Roma, il suo senato, le sue
dignità e ogni regno d’Occidente37. Il papa usò così l’autorità pontificia per
istituire le autorità civili. Simbolo della prima è la mitra episcopale, che il
pontefice romano usa sempre e dovunque, mentre simbolo della seconda è
la tiara, di uso meno frequente a significare che l’autorità papale è più
antica, importante e ampia di quella imperiale.
Innocenzo III si dedicò innanzitutto a migliorare la propria macchina
burocratica riorganizzando gli uffici di curia, riformando l’amministrazione
civile della città di Roma e del territorio dipendente, collocando suoi
uomini di fiducia in tutti i principali uffici. Si preoccupò anche di
recuperare le terre che il papato rivendicava come appartenenti al
patrimonio di san Pietro e che gli erano state sottratte nel corso del tempo
dalle forze signorili locali e dallo stesso imperatore: si trattava di una vasta
35
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 84.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 85.
37
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 85.
36
17
area centro-italiana dai confini mal definiti, sulla quale le pretese spesso
poggiavano su documenti e titoli spuri, come il già ricordato Constitutum
Constantini. Il patrimonio della Chiesa di Roma poté così estendersi e
ricompattarsi in modo territorialmente più omogeneo, all’incirca nelle
odierne regioni del Lazio, dell’Umbria, delle Marche e in un secondo
momento della Romagna, venendo sottoposto ad amministratori scelti dallo
stesso pontefice.
Le terre che progressivamente entravano a far parte del dominio
temporale della sede apostolica erano, quindi, per la massima parte
collocate nell’Italia centrale. Nell’importante omelia per la festa di san
Silvestro, Innocenzo III aveva deliberatamente insistito non solo
sull’autorità spirituale del romano pontefice, ma anche sul governo
temporale lasciatogli dal primo imperatore cristiano, ritiratosi in Oriente, su
Roma e l’Italia. Si trattava quindi di un’autorità imperiale e in questo senso
fin dall’inizio del suo pontificato, decisivo per l’affermazione della
monarchia papale, lo stesso papa aveva anche spiegato che in Italia erano
ospitati, attraverso la sede romana, non solo il potere spirituale del
pontefice ma, nella sua persona, anche la massima espressione del dominio
temporale38.
È molto significativa l’insistenza del papa sul potere temporale
pontificio allargato all’intera Italia. Questo potere era visto come garanzia
di libertà da ogni sovranità, mentre al bene dell’Italia intera Innocenzo III
spesso si riferì, nel confronto con l’impero e quindi in funzione antitedesca,
durante il suo pontificato. Del resto già Alessandro III aveva trent’anni
prima in qualche modo giocato la carta italiana e proprio al papa la lega
lombarda si era riferita nella sua lotta contro il Barbarossa.
Il papato incrementò anche la propria disponibilità finanziaria,
mettendosi così in grado di sostenere le crescenti spese per
l’amministrazione dei suoi domini e per gli impegni della grande politica
internazionale. Innocenzo III fu anche il primo papa a far pubblicare una
raccolta ufficiale di diritto canonico.
Innocenzo III fu in grado di esercitare la propria concreta influenza
politica su un ambito territoriale di impressionante vastità, esteso a tutte le
maggiori monarchie dell’Occidente, e di proiettarsi anche sul vicino
Oriente bizantino39, tanto che i monarchi di Inghilterra, Bulgaria, Aragona
e Castiglia prestarono al pontefice omaggio vassallatico. Alla sua morte,
nel 1216, il papato romano dimostrava di aver condotto al punto estremo la
secolare elaborazione teorica e la costruzione pratica della propria
supremazia universale.
38
39
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p.92.
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 74.
18
IV. Il travaglio del papato tardomedievale da Bonifacio VIII allo
scisma d’Occidente
Con le affermazioni ierocratiche del papato duecentesco giunge al
culmine la breve parabola dell’utilizzazione del Constitutum Constantini,
ma inizia anche la sua fase discendente. Molti giuristi, trai quali lo stesso
Innocenzo IV, avevano già cominciato a restringere l’ambito della
donazione all’Occidente, o più frequentemente a territori ben delimitati,
con esclusione spesso della Francia e in misura crescente entro i confini dei
domini pontifici. La situazione politica è infatti ormai mutata e nel
Trecento l’Impero, grande avversario del papato, appare in netto regresso
mentre sull’orizzonte sorgono gli Stati nazionali. Proprio uno di questi, la
Francia, si scontra duramente con l’erede dei grandi papi duecenteschi,
Bonifacio VIII, e giunge a controllare non soltanto le elezioni papali ma
addirittura a ottenere il trasferimento del romano pontefice e della curia al
di là delle Alpi, ad Avignone40.
La posizione del papato nell’Occidente della seconda metà del XIII
secolo risentì dei mutamenti che la società e le istituzioni andavano allora
conoscendo. Sul piano politico, con il tramonto della dinastia sveva era
venuta meno la capacità degli imperatori di esprimersi in termini universali
ed essi andavano vieppiù riducendosi a monarchi di carattere
sostanzialmente nazionale nei territori germanici. Per la prima volta
l’universalismo pontificio veniva dunque a confrontarsi no più con un’altra
realtà universale, quali erano stati dapprima l’impero romano e poi i suoi
eredi bizantino e occidentale, ma con una molteplicità di monarchie
nazionali in via di consolidamento, più piccole per dimensioni ma più
coese al loro interno, che poggiavano su basi ideologiche e di
legittimazione diverse e che erano sostenute da corpi sociali nazionali
compatti e stretti attorno al re, il quale ne rappresentava gli interessi e
l’identità41. La sede petrina in quel frangente sembrò rimanere indietro
rispetto ai profondi cambiamenti politici, sociali e culturali in atto e in un
quadro più frammentato politicamente e culturalmente cominciò a smarrire
un poco la propria ragione d’essere e il suo stesso ruolo di istituzione e di
governo.
In un secolo e mezzo l’evoluzione della monarchia papale portò la teoria
ierocratica (e la tradizionale espressione plenitudo potestatis) al culmine,
raggiunto nel pontificato, grandioso e tragico, di Bonifacio VIII (129440
41
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p.93.
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., p. 87.
19
1303). Ricevendo gli inviati di Alberto di Asburgo che richiedevano per lui
la corona imperiale il papa avrebbe affermato, sedendo sul trono pontificio
armato e cingendo il diadema di Costantino, di essere sommo pontefice e
imperatore 42 : vero o no, l’episodio esprime comunque il carattere
autoritario e l’altissima considerazione del ruolo papale di Bonifacio VIII,
restituendo plasticamente l’atmosfera dello scontro durissimo sostenuto dal
papa non più con un impero ormai evanescente ma con la più importante
espressione delle nuove entità nazionali.
Il 18 novembre 1302 Bonifacio VIII emanò la bolla Unam Sanctam nella
quale il pontefice riaffermò le dottrine ierocratiche che sostenevano la
supremazia del potere spirituale (e quindi del papato) su quello secolare. Lo
stesso pontefice aveva però dovuto sostenere lo scontro duro con il potere
nuovo di un sovrano nazionale come Filippo IV il Bello, finendo per
soccombervi tragicamente nel 1303, in conseguenza dell’oltraggio subito
ad Anagni.
Nel secolo aperto trionfalmente da culminare del potere papale –
raggiunto con il pontificato di Bonifacio VIII tra la celebrazione del primo
giubileo nel 1300 e la pubblicazione dell’Unam Santcam – la sede romana
attraversò un lunghissimo periodo di crisi che si estese progressivamente a
tutta la Chiesa d’Occidente. Turbolente vicende e soprattutto la pressione
di Filippo IV il Bello portarono al trasferimento della residenza papale e
della curia da Roma, prima a Perugia e quindi ad Avignone, dove nel 1309
si stabilì Clemente V. Questi fu il primo di ben sette papi francesi,
succedutisi nel settantennio in seguito denominato, sul modello
veterotestamentario della deportazione e prigionia degli ebrei a Babilonia,
«cattività avignonese».
Il settantennio (1309-1377) in cui i pontefici risedettero, insieme alla
curia e a tutta l’amministrazione pontificia, ad Avignone, rappresentò
indubbiamente una svolta nella storia della Chiesa latina, il cui vertice
stabilì in quel periodo un rapporto organico con la corona francese. Ad
Avignone la curia pontificia si sviluppò e articolò in forme compiutamente
monarchiche, grazie anche al reclutamento di cardinali, vescovi, chierici e
personale di curia provenienti in larga misura dalle fila del clero francese.
Non si trattò soltanto di un ricambio «geografico», ma di un nuovo ceto di
governo, con specifiche capacità e competenze amministrative43.
Il periodo avignonese fu quello in cui si espresse il massimo sforzo di
costruzione della monarchia assoluta papale, che portò al definitivo
consolidarsi dell’assetto monarchico e burocratico della Chiesa, un assetto
che doveva sostenere la sempre viva volontà universalistica del papato.
42
43
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 99.
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 246.
20
In questo periodo si compì il fortissimo e definitivo ridimensionamento
delle ambizioni ierocratiche della gerarchia ecclesiastica di guidare, non
soltanto spiritualmente, ma anche politicamente, l’intera comunità
cristiana. La Chiesa, dunque, iniziò a muoversi e organizzarsi sulla
dimensione statuale, con la formazione proprio in questi decenni di un vero
e proprio «stato della Chiesa», diventando una delle molte potenze
dell’Europa del tempo. Tutto ciò non annullò, tuttavia, il più importante e
duraturo risultato del travaglio e degli scontri dei tre secoli precedenti, cioè
la monarchia pontificia. La Chiesa occidentale continuò, nel Trecento e nel
Quattrocento, a essere cattolica e romana44.
A causa dell’abbandono di Roma, le critiche al papato insediatosi sulle
rive del Rodano si diffusero e moltiplicarono presto soprattutto in Italia,
colorandosi di tinte religiose e in qualche modo anche nazionali, come nel
caso di Francesco Petrarca, che pure ad Avignone visse a lungo ma che
additò nell’assenza del pontefice dalla sua sede il motivo della decadenza e
della rovina degli ideali per cui Roma e l’Italia erano state un tempo grandi
di fronte al mondo45.
Per il ritorno del papa a Roma si impegnarono in quel periodo molte
forze, dai cittadini romani a numerose personalità di spicco di tutto
l’Occidente, come l’imperatore Carlo IV o grandi figure religiose quali
Caterina da Siena e Brigida di Svezia. I papi erano consapevoli del fatto
che la loro protratta residenza ad Avignone li faceva inevitabilmente
avvertire come una sorta di vescovi del re di Francia, arrecando un
gravissimo danno al prestigio universale dell’istituzione. Il definitivo
reintegro del papato nella città di Pietro avvenne nel 1377 con Gregorio XI
(1270-1378).
Ma la conclusione del periodo avignonese aprì un quarantennio ancora
più caotico e drammatico, durante il quale la cristianità occidentale si
divise nell’obbedienza prima a due e poi a ben tre papi antagonisti tra loro.
Nel 1378 il napoletano Bartolomeo Prignano fu il primo papa a essere
nuovamente eletto a Roma dopo la parentesi avignonese, prendendo il
nome di Urbano VI (1378-1389). Il pontefice si guadagno subito
l’avversione dei cardinali francesi che, facendosi raggiungere dal resto del
collegio cardinalizio a Fondi, procedettero ad una nuova elezione in cui i
cardinali elessero Roberto di Ginevra che assunse il nome di Clemente VII
e si trasferì ad Avignone. Papa e antipapa si scomunicarono a vicenda e la
loro competizione produsse una grave spaccatura della Chiesa e dell’intera
società cristiana, che si divisero nel riconoscere chi l’uno e chi l’altro dei
due contendenti. Il mondo cattolico si divise in due «obbedienze»: quella
44
45
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 247.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., pp.109-110.
21
romana comprendente impero, Inghilterra, Irlanda, Fiandre, Firenze e Italia
settentrionale, e quella avignonese comprendente Francia, Castiglia,
Portogallo, Navarra, Aragona, Regno di Napoli, Savoia, Scozia 46 . La
Chiesa venne così a trovarsi in una nuova situazione di scisma, che
coinvolgeva tutto il mondo cattolico e che minava ulteriormente
l’autorevolezza dell’istituzione pontificia, già assai provata dalle turbolente
vicende che si erano protratte per tutto il XIV secolo47.
Il Grande Scisma fu eccezionale non solo per il numero dei principi e
sovrani coinvolti, che portarono con sé nell’uno o nell’altro schieramento i
loro sudditi (un’anticipazione del più tardo principio cuius regio, eius
religio), ma anche per la sua durata e per gli strumenti politici e dottrinali
utilizzati per giungere alla sua soluzione, cioè il ricorso al concilio48.
Lo strumento adatto per poter ricomporre lo scisma era un concilio
generale, poiché il cosiddetto scisma d’Occidente si trascinò anche oltre la
morte di Urbano e Clemente. A quest’ultimo, deceduto nel 1394, successe
ad Avignone lo spagnolo Benedetto XIII, mentre al primo, spirato nel
1389, fecero seguito Bonifacio IX (fino al 1404), Innocenzo VI (fino al
1406) e infine Gregorio XII. Il concilio si riunì a Pisa il 25 marzo del 1409,
in assenza dei due pontefici, che furono dichiarati entrambi scismatici ed
eretici e perciò deposti. L’assemblea procedette all’elezione di un nuovo
papa, Alessandro V, il quale fu riconosciuto dalla maggior parte dei
principi ma non certo da Gregorio XII e Benedetto XIII che non
abdicarono: in questo modo si ebbero tre papi simultaneamente in carica.
Alessandro V morì dopo un solo anno di pontificato e gli successe
Giovanni XXIII, che convinse il re di Germania Sigismondo a convocare
l’ennesimo concilio generale.
La fine del «grande scisma», nonostante strascichi che perdurarono fino
alla metà del Quattrocento, venne dal concilio riunito a Costanza nel 1414,
grazie all’elezione di Martino V (1417-1431).
Il panorama europeo e italiano restava tuttavia caratterizzato da guerre,
disordini e contrasti interminabili, in un contesto dove – di fronte al
prepotente affermarsi delle monarchie nazionali e di altre signorie – ogni
principio unitario sembrava ormai impallidire, dallo svuotato potere
imperiale alla stessa istituzione pontificia. Il governo papale era comunque
stato ristabilito in Italia, pur tra alterne vicende, a partire dalla metà del
Trecento, prima per merito dell’energico cardinale spagnolo Gil Alvarez
Carillo de Albornoz e, oltre mezzo secolo dopo, da Martino V e dai suoi
successori.
46
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 248.
C. AZZARA, Il papato nel medioevo, op. cit., pp. 94-95.
48
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 249.
47
22
L’autorità del romano pontefice veniva messa invece sempre più in
discussione dal punto di vista teorico, in conseguenza anche dello scisma
d’Occidente, per il crescente diffondersi delle tesi conciliariste, favorevoli
nelle forme più radicali alla superiorità del concilio sul papa. La via
conciliare aveva posto fine allo scisma, ma non altrettanto efficaci si
rivelarono i tentativi successivi di riformare la Chiesa con lo stesso metodo,
finché l’estremizzazione delle teorie di fatto ostili al papato – manifestata
soprattutto nel concilio di Basilea, convocato dal 1431 e scioltosi soltanto
nel 1449, quando rinunciò anche l’ultimo antipapa, Felice V – offrì il
destro alla sede romana di rovesciare le sorti. Eugenio IV si scontrò, infatti,
con la disordinata assemblea e prevalse poi su di essa con la riaffermazione
netta del suo primato, ma abbandonò ogni progetto di riforma49. Entro la
metà del secolo, l’autorità del papa e il suo potere monarchico erano di
nuovo saldamente ristabiliti50.
49
50
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., pp.110-111.
C. AZZARA, A. M. RAPETTI, La Chiesa nel medioevo, op. cit., p. 250.
23
Conclusione
All'interno del cristianesimo il rapporto tra religione e politica presenta
innumerevoli variazioni storiche – oscillando sin dalle origini tra lealismo e
opposizione al potere – come mostra l'utopica proposta del papa umanista
Pio II che nel 1461, deluso dall'imperatore Federico III, propose al sultano
Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, di convertirsi e di ricevere
lui la corona di Costantino51. Innocenzo III aveva visto il pontefice come il
sole e l'imperatore come la luna, illuminata dalla luce dell'astro più grande.
Dante aveva invece sognato due soli proprio quando Bonifacio VIII
pretendeva di essere anche Cesare52, e poco più tardi Marsilio auspicava la
supremazia imperiale mentre ormai questa impallidiva e il papato era
trasferito sulle rive del Rodano, ad Avignone. L'impero, infatti, si
estenuava e nascevano le monarchie nazionali, molto desiderose di
controllare la Chiesa. Come mostra il caso soprattutto di quella francese,
nelle sue origini medievali protettrice interessata del papato, almeno dal
Trecento sempre più sostenitrice della libertà – certo non dallo Stato – di
una Chiesa gallicana, cioè cattolica ma non tanto romana, e in definitiva
mai troppo favorevole alla presenza politica papale sullo scenario europeo.
La questione italiana, poi, conosce altrettante variazioni. Se Alessandro
III si era opposto al Barbarossa in un embrione di insorgenza patriottica,
Giulio II restaurerà con il ferro delle armi lo Stato pontificio per cacciare
d'Italia lo straniero. E mentre Dante e Petrarca esaltavano la romanità del
papato, di nuovo Marsilio – come più tardi sosterranno Ariosto,
Machiavelli, Guicciardini – vi vedeva l'origine dei mali italiani.
Dietro queste due esemplari vicende, francese e italiana, sta il rapporto
tra religione e politica, che nel cristianesimo, e poi specificamente nella
tradizione occidentale, si fonda sulla dinamica tra unità e distinzione. La
storia della Chiesa di Roma è così una vicenda particolare che diviene
esemplare. Questo potere temporale sicuramente contaminò quello
spirituale, come deplorava Dante, ma costituì anche la base e poi la
garanzia per la sua autonomia e la sua autorevolezza, diversamente dalle
vicende di altre Chiese cristiane. Senza dimenticare il rapporto speciale con
l'Italia certo problematico ma indissolubile, dei papi sovrani che sono stati
quasi sempre italiani, detentori di un'autorità al tempo stesso spirituale e
temporale, nazionale e sopranazionale.
51
52
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., pp. 9-10.
G. M. VIAN, La donazione di Costantino, op. cit., p. 10.
24
BIBLIOGRAFIA
AZZARA, C., Il papato nel Medioevo, Bologna 2006.
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Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 1996.
VIAN, G. M., La donazione di Costantino, Bologna 2010.
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INDICE
Introduzione
2
I. Il Constitutum Constantini: usi e abusi di un falso
nella genesi della monarchia papale
4
II. Gregorio VII e lo scontro con l’impero
12
III. L’apogeo dell’autorità papale: Innocenzo III
16
IV. Il travaglio del papato tardomedievale
da Bonifacio VIII allo scisma d’Occidente
19
Conclusione
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Bibliografia
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