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Opinioni Compravendita Compravendita stranieri Acquisti immobiliari dei cittadini comunitari e degli extracomunitari di Paolo Criscuoli - Notaio in Fontanellato Negli ultimi decenni il numero dei migranti provenienti da altri paesi e soggiornanti in Italia è cresciuto in misura considerevole, il che comporta, anche per l’operatore del diritto, la necessità di confrontarsi con un apparato normativo articolato e complesso che disciplina e salvaguarda i rapporti economici in cui sia parte uno straniero. Il presente lavoro, senza alcuna pretesa di completezza, si offre di fornire una guida utile in campo immobiliare, spaziando dagli argomenti “classici” in materia, come il principio della reciprocità, fino alle questioni meno analizzate in dottrina e giurisprudenza, come la sorte dei contratti di compravendita e locazione conclusi da stranieri c.d. “irregolari”, in base alle più recenti novità normative. I cambiamenti nella legislazione vigente L’endemica recessione in cui versa da svariati lustri il nostro paese non ne ha impedito un profondo mutamento economico e sociale. La nazione di emigranti dell’inizio del secolo breve è rapidamente divenuta meta d’immigrazione da parte di lavoratori e famiglie provenienti in prevalenza dai territori in via di sviluppo (1). La legislazione interna si è gradualmente adeguata a questo fenomeno in apparenza irreversibile, mostrandosi oggi più aperta al prossimo ed alle nuove istanze di cui è portatore. I pur persistenti atteggiamenti di chiusura nella società civile e politica si risolvono in forme di propaganda il più delle volte miope oltre che iniqua, visto che i migranti costituiscono, per il sistema economico interno, un’articolazione fondamentale ed irrinunciabile (2). Nel frattempo “lo straniero” va assumendo, tra innumerevoli difficoltà, una solidità economica e sociale crescente per effetto della quale s’incrementano le sue esigenze di stabilità sociale, nonché d’investimento più o meno innovativo. Nel divenire di questo contesto socio-culturale, la legislazione interna ha raggiunto un grado di complessità cui l’operatore del diritto è tenuto a guardare con particolare riguardo. Originariamente, il cittadino straniero poteva godere, ai sensi dell’art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile (c.d. preleggi), dei diritti civili che lo stato italiano riconosce a favore dei propri cittadini, a condizione che il suo paese di provenienza riconoscesse del pari al cittadino italiano diritti identici o similari (3). 100 Il fondamento dell’art. 16 è stato tradizionalmente individuato in una forma di autotutela (o ritorsione) statuale nei confronti della nazione d’appartenenza dello straniero, per i casi in cui difettasse un eguale trattamento in favore degli italiani emigrati all’estero (4). A questa visione, senz’altro valida in un sisteNote: (1) Secondo il ventiduesimo rapporto della Caritas, presentato a Roma il 30 ottobre del 2012, sarebbe pari ad oltre cinque milioni il numero complessivo degli immigrati regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe, soggiornanti nel nostro paese. Un numero appena più alto di quello stimato lo scorso anno (5.011.000 rispetto a 4.968.000). Solo nel 2011 il Ministero degli Affari Esteri ha rilasciato 231.750 visti per inserimento stabile, in prevalenza per motivi di lavoro e di famiglia. (2) La grave crisi ancora in corso, secondo il rapporto, tra il 2007 e il 2011 ha provocato la perdita di un milione di posti di lavoro, in parte compensati da 750.000 assunzioni di stranieri in settori e mansioni non ambiti dagli italiani. Attualmente gli occupati stranieri sono circa 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale. Anche le tipologie d’impiego vanno verso un radicale mutamento. Il settore agricolo, scarsamente attrattivo nei confronti degli italiani, per molti immigrati costituisce una prospettiva di inserimento stabile. In fondamentale espansione, però, sono l’attività edilizia e gli altri settori per i quali il contributo dei migrati continua a risultare esiziale, come nei trasporti e, in generale, nei lavori “a forte manovalanza”. Dai dati messi a disposizione dalle organizzazioni delle cooperative, risulta che gli immigrati incidono per oltre un sesto nelle cooperative di pulizie e per oltre un terzo in quelle che si occupano della movimentazione merci. L’aumento forse più sorprendente, tuttavia, riguarda il numero degli imprenditori extra-comunitari, in fortissimo incremento rispetto al passato, con un dato che si aggira intorno al 7,1%. (3) Per esemplificare, un cittadino straniero poteva acquistare un immobile in Italia solo a condizione che un italiano potesse fare altrettanto nella sua nazione di provenienza. Si sta parlando della c.d. condizione di reciprocità, su cui si tornerà a breve. (4) Cfr. Focarelli, La reciprocità nel trattamento degli stranieri in Italia come forma di ritorsione o rappresaglia, in Riv. dir. int., (segue) Immobili & proprietà 2/2013 Opinioni Compravendita ma che concepisce il rapporto tra stati in durevole contrapposizione tra loro, si è andata sostituendo una prospettiva diversa, figlia anche di una rilettura dei principi che regolano i rapporti tra nazioni sovrane. In una più moderna accezione, la reciprocità sarebbe una sorta di invito o proposta agli altri stati a modificare la propria legislazione in senso maggiormente favorevole alla collettività degli italiani all’estero, ciò al fine di guadagnare una più compiuta libertà ed il riconoscimento dei diritti civili ed economici a vantaggio dei propri cittadini in Italia (5). Come si diceva, la legislazione internazionale ed interna ha dovuto confrontarsi con le più moderne esigenze legate alla circolazione in un sistema globale. Il precetto della reciprocità, quindi, è stato travolto da una tale quantità di eccezioni, da essere degradato da principio di valenza generale a semplice regola di carattere residuale (6). Giova dunque rilevare come, secondo l’ormai costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l’art. 16 disp. prel., nella parte in cui subordina alla condizione di reciprocità l’esercizio dei diritti civili dello straniero, deve essere interpretato in modo costituzionalmente orientato alla stregua dell’art. 2 della Costituzione, norma che assicura tutela integrale ai diritti “inviolabili”. La conseguenza è che allo straniero, residente o meno in Italia, è sempre consentito accedere alla tutela dei propri diritti fondamentali (7). Per quanto diffusa ed eterogenea sia la casistica giurisprudenziale in materia, sono considerati inviolabili essenzialmente: il diritto alla vita, alla salute, all’incolumità ed all’integrità psicofisica (8) indipendentemente dalla cittadinanza italiana, comunitaria od extracomunitaria. Altri autori hanno fatto riferimento alla sacralità del diritto al decoro, all’onore, alla riservatezza, alla libertà di contrarre matrimonio, all’inviolabilità personale e domiciliare, di cui agli artt. 13 e 14 Cost. e più in generale a tutti quei diritti, come la libertà di riunione, di associazione e di espressione del pensiero, che possono trovare una tutela “diretta” proprio nel dettato della Carta Costituzionale (9) o nelle norme di diritto internazionale (10). Può invero dubitarsi che tra questi diritti rientri quello all’abitazione principale. Parte della dottrina, tuttavia, ha ricordato come nel nostro sistema positivo una norma (oggi abrogata) contenuta nella legge 30 dicembre 1986, n. 943 (c.d. Legge Martelli), nel più ampio contesto del riconoscimento del massimo livello di uguaglianza e parità tra i lavoratori extracomunitari e quelli italiani, all’art. 1 affermava, tra l’altro, che la Repubblica Italiana garantisce il diritto «alla disponibilità dell’abitazione» (11). Immobili & proprietà 2/2013 Il riconoscimento dei diritti inviolabili, peraltro, è stato positivamente accolto dallo stesso legislatore ordinario, con l’art. 2, legge 3 marzo 1998, n. 40 (di seguito trasfuso nell’art. 2, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 - Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), secondo cui: «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Note: (continua nota 4) 1989, 832; Busani, Molinari, Condizione di reciprocità e nomina di cittadino straniero nel consiglio di amministrazione di s.p.a., in Le Società, 2001, 2, 159. Giudica essenzialmente anacronistico il principio della reciprocità, Margonari, L’acquisto immobiliare della persona fisica straniera e la pubblicizzazione tavolare dei regimi patrimoniali coniugali stranieri, in Riv. notariato, 2001, 3, 593. (5) Cfr. Baralis, La condizione di reciprocità, La riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato, Aspetti di interesse notarile, Ieva (a cura di), Torino, 2001, 30. (6) La valenza della condizione di reciprocità, anche nella sua ridimensionata portata applicativa, è messa in discussione da una parte della dottrina, sia in considerazione dei dubbi di incostituzionalità, che in relazione alla sua possibile abrogazione tacita da parte di norme successive. Cfr. Calò, Reciprocità ed incapacità giuridica sopravvenuta, Studio CNN n. 111 del 19 giugno 1985. Ma sulla perdurante vigenza dell’art. 16 nel nostro ordinamento, cfr. Baralis, op. cit., 25 ss. e passim, sia pure in una forma mitigata da un’interpretazione in linea col dettato costituzionale. (7) Cfr., da ultimo, Cass. 2 febbraio 2012, n. 1493, in Giust. civ., 2012, 6, 1466. (8) Cass. 11 gennaio 2011, n. 6, in Dir. Fam., 2011, 1630; Cass. 7 maggio 2009, n. 10504, Dir. Ec. Ass., 2009, 5, 735 (9) Cfr. Busani, Molinari, op. cit., 161, cui si rinvia per una più accurata casistica e per i relativi riferimenti giurisprudenziali. (10) Come la ‘‘Dichiarazione universale dei diritti umani’’, Assemblea Generale delle Nazioni Unite (risoluzione n. 217-A-III), Parigi, 10 dicembre 1948; la “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, Roma, 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848; il “Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali” e il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici”, New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966, ratificati con legge 25 ottobre 1977, n. 881; la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”, New York, 7 marzo 1966, ratificata con legge 13 ottobre 1975, n. 654. (11) Cfr. Margonari, op. cit., 593, che ricorda come, nella piena vigenza della regola di cui all’art. 16 disp. prel., nel presupposto dell’inviolabilità del diritto all’abitazione, talune pronunzie riconobbero la possibilità per il lavoratore extracomunitario in possesso di permesso di soggiorno e del certificato di residenza, di procedere all’acquisto della prima casa destinata a residenza stabile, prescindendo dalla sussistenza della condizione di reciprocità. L’Autore rinvia anche alla ben nota pronunzia della Corte Costituzionale del 7 aprile 1988, n. 404, in Dir. famiglia, 1990, 766, che in taluni passaggi riconosceva il carattere inviolabile del diritto all’abitazione principale. Nondimeno si tratta di semplici obiter dicta, in quanto la pronunzia citata si limitò a riconoscere, per contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., l’incostituzionalità dell’art. 6 comma 1, legge n. 392 del 1978, nella parte in cui non prevedeva tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, il convivente more uxorio di quest’ultimo. 101 Opinioni Compravendita Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». Se queste sono le restrizioni alla reciprocità che possono operare sotto un profilo oggettivo, con riguardo, cioè, alla tipologia del diritto da riconoscere e tutelare, non meno importanti appaiono le “eccezioni” di carattere soggettivo. Non sono sottoposti alle limitazioni derivanti dalla reciprocità i cittadini dell’Unione Europea (12) sulla base del “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”. Equiparati ai cittadini UE sono inoltre i cittadini dei Paesi E.F.T.A. (European Free Trade Agreement), in base all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE), che pure sancisce il principio di libertà di stabilimento per i cittadini di tutti i Paesi partecipanti. Inoltre non si applica la condizione di reciprocità agli apolidi, secondo quanto previsto dall’art. 18 della Convenzione relativa allo status di apolide, adottata a New York il 28 settembre 1954 e resa esecutiva in Italia con legge 1° febbraio 1962 n. 306, o ai rifugiati, in virtù della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, purché regolarmente residenti in Italia da almeno tre anni. Si sottraggono, infine, alla reciprocità i cittadini di quegli stati che abbiano sottoscritto con il nostro paese un accordo che protegga gli investimenti reciproci (13) ed, evidentemente, coloro che vantino una pluralità di cittadinanze, tra cui quella italiana. Lo straniero “regolare” L’art. 2, comma 2, del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione (infra, per brevità, anche solo “Testo Unico”), sancisce che «lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e la presente legge dispongano diversamente». La norma, riferita alle sole persone fisiche (14), deve essere letta congiuntamente al disposto dell’art. 1, comma 2 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (infra, per brevità, anche solo “Regolamento”) che esclude ogni necessità di accertamento della condizione di reciprocità per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno di cui all’art. 9 del Testo Unico, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l’esercizio di un’impresa indivi- 102 duale, per motivi di famiglia, per motivi umanitari, per motivi di studio e per i relativi familiari in regola con il soggiorno (15). Per lo straniero “regolare” ai sensi dell’art. 1 del Regolamento, quindi, non vi sarà necessità di procedere ad alcuna indagine in ordine alla legislazione di provenienza, poiché il godimento dei diritti civili viene riconosciuto dalla legge italiana a prescindere da ogni reciprocità. Qualche attenzione merita, però, la condizione degli stranieri titolari della “Carta di soggiorno”. In un primo momento, la possibilità per costoro di godere dei diritti civili era riconducibile direttamente al dettato dell’art. 9, comma 4 lett. b) del Testo Unico, in base al quale avrebbero potuto svolgere nel territorio dello Stato «ogni attività lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al cittadino» (16). Anche se tale inciso è stato espunto dalla rinnovata formulazione dell’art. 9 cit., però, il citato art. 1 comma 2 del Regolamento non lascia adito a dubbi in ordine alla piena capacità per il titolare di Carta di soggiorno di godere dei diritti civili nel nostro ordinamento. Analogo ragionamento può valere dopo la sostituzione della “Carta di soggiorno” con il “Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo” introdotta con una modifica del 2007 (17). Il richiamo fatto dal Regolamento proprio all’art. 9 cit., estende senz’altro l’esonero dal riscontro di ogni reciprocità per i titolari di “Permesso CE”, trattandosi evidentemente di un rinvio “mobile”. Si può, invece, discutere se l’esonero debba oggi estendersi anche agli stranieri in possesso di un “Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”, che sia stato rilasciato da altro Stato membro dell’Unione. Note: (12) Ma già per i cittadini della Comunità Europea cfr. l’art. 52 del Trattato di Roma del 1957; cfr. Novario, Acquisto immobiliare in italia del cittadino elvetico: problemi di «reciprocità», in Riv. not., 1999, 4, 831. (13) Non deve trattarsi, però, di un accordo generico di collaborazione. Cfr. Busani, Molinari, op. cit., 166. (14) Studio n. 04/09/03/28/UE approvato dalla Commissione Affari Europei ed Internazionali del Consiglio Nazionale del Notariato il 3 settembre 2004. (15) Analogamente, prima dell’emanazione del Regolamento attuativo, cfr. Baralis, op. cit., 20. (16) Cfr. Baralis, ibidem. (17) La normativa in esame, cioè l’art. 9 del Testo unico, è stata dapprima modificata dall’articolo 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 e successivamente sostituita dall’art. 1 del D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, con la previsione del “Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”. Immobili & proprietà 2/2013 Opinioni Compravendita L’ipotesi non incontra una soluzione normativa esplicita. In base all’art. 9-bis del Testo Unico, lo straniero titolare di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro dell’Unione europea (in corso di validità) può chiedere di soggiornare sul territorio italiano per un periodo superiore a tre mesi al fine di esercitare un’attività economica in qualità di lavoratore subordinato o autonomo, frequentare corsi di studio o di formazione professionale, o soggiornare per altro scopo lecito previa dimostrazione di essere in possesso di mezzi di sussistenza non occasionali. In tal caso, lo Stato italiano rilascia «un permesso di soggiorno secondo le modalità previste dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione». Analogamente, qualora lo straniero sia in possesso dei requisiti di cui all’art. 9, gli è rilasciato, entro novanta giorni dalla richiesta, un nuovo permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e, dell’avvenuto rilascio, è informato lo Stato membro che aveva accordato il precedente Permesso di soggiorno CE. Tenuto conto della normativa che precede, dunque, ci pare necessario prospettare un’interpretazione restrittiva: l’assoluta regolarità del soggiorno in Italia di tali stranieri per un periodo superiore a tre mesi viene, infatti, subordinata al rilascio di un permesso da parte dello Stato italiano (18). Di conseguenza, sarà solo con il rilascio di un titolo legittimante da parte delle nostre Autorità nazionali che potrà parlarsi di straniero regolarmente soggiornante e si potranno riconoscere allo stesso i diritti civili di cui gode il cittadino italiano, senza che possano operare ulteriori automatismi ed avere effetto analogo il semplice Permesso di soggiorno CE rilasciato da altro Stato. Lo straniero privo di permesso di soggiorno Secondo il citato art. 2 del D.Lgs. n. 286/98, lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il presente Testo Unico dispongano diversamente. Nei casi in cui il Testo Unico o le convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità, essa è accertata secondo i criteri e le modalità previste dal regolamento di attuazione. La norma, per la sua formulazione, ha destato non poche perplessità sotto un profilo operativo. In primo luogo, la prima parte della norma sembrerebbe Immobili & proprietà 2/2013 ammettere la possibilità che le convenzioni internazionali possano derogare in peius la condizione dello straniero regolarmente soggiornante (19). Soprattutto, però, la disposizione in esame sembrerebbe richiedere il riscontro della reciprocità solo nei casi previsti dal Testo Unico (o da convenzioni internazionali). Essa, cioè, non si riferisce alla condizione di reciprocità ‘‘in generale’’ (e cioè all’art. 16 delle preleggi), ma solo alla condizione di reciprocità «nei limiti in cui la presente legge e le convenzioni internazionali la prevedano». Ci parrebbe, tuttavia, irrazionale ritenere da questo inciso, che la condizione di reciprocità rilevi, non per effetto dell’art. 16, ma solo in quanto prevista dal Testo Unico (20), se non altro in considerazione di un fatto e cioè che non sono rinvenibili nelle norme del Testo Unico disposizioni che impongano il riscontro della reciprocità per lo straniero (21), il che renderebbe il dettato normativo, in una sua interpretazione letterale, perfino frustraneo. Perplessità del tutto comparabili può destare il disposto dell’art. 1 del D.P.R. n. 394/99 (Regolamento) (22). Secondo tale disposizione, ai fini dell’accertamento della condizione di reciprocità «nei casi previsti dal Testo Unico», il Ministero degli Affari Esteri, a richiesta, comunica ai notai ed ai responsabili dei procedimenti amministrativi che ammettono gli stranieri al godimento dei diritti in materia civile, i dati relativi alle verifiche del godimento dei diritti in questione da parte dei cittadini italiani nei Paesi d’origine dei suddetti stranieri. La norma mira a consentire ai professionisti ed agli apparati statali impegnati in prima istanza con la necessità di confrontare legislazioni tra loro eterogenee per ricercare l’esistenza della condizione di reciprocità, di ricorrere ad un indagine accentrata, a cura degli uffici del Ministero degli Esteri. Tali riscontri possono in ogni caso essere disattesi Note: (18) Ai soli fini della regolarità del soggiorno in Italia, giova ricordare che la permanenza per un periodo inferiore a tre mesi di uno straniero titolare di permesso CE ottenuto all’estero richiede soltanto una dichiarazione al Questore, a pena di una sanzione amministrativa e senza possibilità che ne sia disposta alcuna espulsione. (19) Ad ogni buon conto, non esistono, a quanto consta, accordi bilaterali che prevedano, per lo straniero regolare, condizioni meno favorevoli di quelle previste dalle norme interne. (20) Cfr. Busani, Molinari, op. cit., 160 (nota 13), che confermano l’ambigua formulazione della disposizione in esame. (21) Cfr. ex multis Margonari, op. cit., 595 ss. (22) Per quanto la norma sia stata di recente riformulata in virtù dell’art. 1, comma 1, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334. 103 Opinioni Compravendita laddove l’operatore, sulla base di indagini personalmente svolte, maturi un convincimento diverso in ordine alla sussistenza o meno della condizione medesima (23). La lettera della norma, ancora una volta confusa, sembrerebbe limitare le procedure di accertamento della reciprocità tramite gli organi del Ministero, ai soli casi in cui sia il Testo Unico ad imporne la ricerca. Una portata così restrittiva della disposizione, però, va esclusa, sia sulla base delle considerazioni di cui sopra, sia in quanto l’accertamento non può non avere portata generale e quindi applicarsi pure ai casi in cui si renda necessario ai sensi del dell’art. 16 disp. prel. In conclusione, allo straniero non regolarmente soggiornante in Italia, potrà essere riconosciuto il pieno godimento dei diritti civili, solo nel caso in cui sia accertato, anche tramite le modalità previste dal Regolamento, un analogo trattamento del cittadino italiano nel paese straniero di provenienza. Il tutto, a prescindere dal fatto che la condizione di reciprocità sia imposta da una norma specifica o, in generale, dal disposto dell’art. 16, più volte citato. La reciprocità Ritenere o meno avverata la condizione di reciprocità presuppone, dunque, un’indagine ed un raffronto tra legislazioni sovente assai dissimili. Sulla portata di tale principio, si è soliti ricorrere ad una tripartizione: con riferimento alla c.d. reciprocità “punto per punto”, che richiederebbe una (quasi) integrale sovrapponibilità tra le normative a confronto. Una reciprocità “generica”, che richiederebbe invece un giudizio di mera simiglianza tra le varie discipline normative ed, in ultimo, una reciprocità generica in senso lato, che richiederebbe una comparazione assolutamente di massima e globale tra gli ordinamenti giuridici a raffronto (24). L’ultimo criterio ci pare vada necessariamente ricusato in quanto consentirebbe, in maniera del tutto iniqua, di ritenere operante la condizione di reciprocità soltanto tra stati appartenenti a macro-zone economicamente e socialmente omogenee (gli stati c.d. occidentali da una parte ed i paesi socialisti o in via di sviluppo a comporre altrettanti blocchi tra loro omogenei). Analogamente, un preteso riscontro “punto per punto” della reciprocità, si presterebbe a profonde sperequazioni. Si deve prendere atto, infatti, che in numerose ipotesi sono gli stessi istituti giuridici a non poter essere tra loro comparabili (25). Il riscontro della reciprocità, quindi, deve tener conto delle specificità dei singoli ordinamenti ed operare su di un piano di generica somiglianza. 104 In taluni casi l’accertamento non è complesso, in quanto gli istituti da valutare negli ordinamenti presi in considerazione risultano facilmente confrontabili. Ad esempio, per valutare se un cittadino straniero possa acquistare un immobile abitativo in Italia, basterà verificare se l’italiano può fare altrettanto nel suo paese. In altri casi, però, le attività giuridiche che si svolgono nei due Paesi a confronto, sono comparabili solo con notevole sforzo. Ad esempio, se l’attività da svolgersi in Italia da parte di uno straniero sia l’acquisto di una “partecipazione” in una società a responsabilità limitata, non è sempre agevole comprendere quale sia la fattispecie da prendere in considerazione nel diritto estero per verificare se il soggetto attore in quella fattispecie possa essere un cittadino italiano. Ciò perché, mancando in quell’ordinamento un istituto identico alla s.r.l. di diritto italiano, occorrerà valutare (con un’indagine generica) se esiste un modello societario similare, in cui vi siano: limitazione di responsabilità verso terzi, quote di partecipazione agli utili ed al capitale, una propensione alla ristretta compagine societaria, etc. (26). Occorrerà, cioè, tener conto della funzione economica dell’istituto, prima ancora che della sua connotazione strutturale nell’ordinamento straniero. La ricerca della reciprocità è peraltro aggravata dal fatto che, secondo l’interpretazione più diffusa in dottrina e giurisprudenza, essa deve valutare, non tanto il dato formale, quanto l’applicazione materiale delle norme (27) o, se si vuole, la prassi applicatiNote: (23) Cfr. Calò, op. cit. (24) Cfr. Baralis, op. cit., 39 ss. (25) Si consideri l’ipotesi di una legislazione che non contenga neppure la disciplina positiva di un certo diritto reale, di una tipologia di contratto o di un tipo societario, regolamentato nel nostro sistema giuridico. Laddove tale paese straniero regolamenti istituti simili, ci pare possa comunque procedersi attraverso un giudizio di somiglianza, onde riscontrare l’esistenza della condizione di reciprocità. (26) Cfr. Busani, Molinari, op. cit., 168. (27) Cfr. Baralis, op. cit., 26. Secondo l’Autore, dottrina e giurisprudenza distinguono la reciprocità in: “Diplomatica” (o “Convenzionale”), “Legislativa” e “di fatto”. La prima deriva da trattati o convenzioni: ai cittadini dei due stati sono accordati i diritti previsti dalla convenzione e quest’ultima può anche prevedere che l’attribuzione dei diritti ai rispettivi cittadini sia subordinata alla reciprocità; la seconda, dall’egual modo di essere delle legislazioni di due o più stati e si avrà per realizzata la condizione di reciprocità, se esse non discriminano fra cittadini del proprio e dell’altrui stato; la terza è collegata ad un giudizio fattuale: non basta l’uguaglianza teorica di due o più legislazioni, conta invece la circostanza che, nella realtà delle cose, una materia abbia la stessa regolamentazione. Lo stesso Autore, tuttavia, fa constare come la tripartizione “classica”, non risulti del tutto appagan(segue) Immobili & proprietà 2/2013 Opinioni Compravendita va delle stesse. Il che, come si è osservato, è spesso più semplice a dirsi che a farsi (28). Secondo l’orientamento prevalente, è onere dello straniero dimostrare l’esistenza di norme analoghe nel proprio ordinamento, tali da consentire, nella loro applicazione pratica, allo stesso straniero di godere di particolari diritti civili in Italia (29), salvo si tratti di diritti inviolabili (30). Secondo la tesi più accreditata, il contratto concluso in mancanza di condizione di reciprocità sarebbe affetto da radicale nullità dovuta ad incapacità giuridica speciale del contraente straniero (31). L’eventuale modifica della legislazione estera in senso restrittivo nei confronti del cittadino italiano non determina, invece, un’incapacità giuridica sopravvenuta dello straniero. Pertanto costui potrà rivendere un immobile acquistato vigente la condizione di reciprocità, anche se la stessa dovesse venir meno successivamente al suo acquisto (32). Gli immobili ceduti a scopo di lucro agli stranieri clandestini Con l’art. 5, comma 2 del D.L. 23 maggio 2008, n. 92 il legislatore, per combattere il fenomeno dell’immigrazione clandestina e del suo diffuso sfruttamento, ha introdotto un nuovo comma 5-bis, all’art. 12 del D.Lgs. n. 286/98 (Testo Unico). Tale norma prevedeva, nella sua formulazione originaria, che «salvo il fatto costituisca più grave reato, chiunque ceda a titolo oneroso un immobile di cui abbia la disponibilità ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». La norma ebbe un’immediata e diffusa applicazione (33), ma attirò al tempo stesso, per la sua formulazione radicale, notevoli critiche (34) specie in considerazione dei pesanti oneri di controllo posti a carico dei proprietari immobiliari, con il concreto rischio di impedire di fatto anche agli stranieri in regola col permesso di soggiorno, l’accesso all’abitazione principale. La novella, quindi, in sede d’approvazione della legge di conversione, subì una importante modifica, per cui il testo definitivo attualmente dispone: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarne ingiusto profitto, dia alloggio ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la disponibilità, ovvero lo ceda allo stesso, anche in locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni». La nuova formulazione, quindi, introduce una chiarissima ipotesi di dolo specifico, sintetizzata nell’intento di ottenere dalla cessione dell’immobile allo Immobili & proprietà 2/2013 Note: (continua nota 27) te, in quanto le prime due categorie sottendono un’indagine relativa a norme, mentre solo la terza ha ad oggetto un raffronto tra “fatti”. Per questo la reciprocità “Diplomatica” e quella “Legislativa” andrebbero intese entrambe sia in senso “formale”, che in senso “sostanziale”, come se la c.d. “reciprocità di fatto” non fosse un’autonoma classificazione, ma un possibile attributo delle prime due tipologie di reciprocità. (28) Calò, op. ult. cit. (29) L’accertamento della legge straniera che assicura la condizione di reciprocità si configura come mero fatto, per ciò stesso soggetto, non al principio iura novit curia, ma a quello sull’onere della prova. Cfr. Cass. 10 febbraio 1993, n. 1681, in Giust. civ. Mass., 1993, 275; Trib. Tolmezzo 25 febbraio 1991, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 122, secondo cui incombe all’attore straniero l’onere di provare la sussistenza della condizione di reciprocità, data dall’appartenenza ad uno Stato il cui ordinamento giuridico, nel conoscere istituto analogo a quello che egli invoca avanti al giudice italiano, non discrimina nei confronti del nostro cittadino. Trib. Roma, 7 maggio 1987, in Riv. giur. circol. trasp., 1989, 607; Baralis, op. cit., 61, secondo cui, invece, qualora una norma interna richieda la reciprocità legislativa o diplomatica, vale il contrario principio di cui all’art. 14, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218. (30) Espressamente sul punto, cfr. anche Trib. Bergamo, 14 marzo 2008, in Il civilista, 2011, 6, 55 secondo cui lo straniero non residente in Italia, il quale voglia ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento di un danno, non è gravato dell’onere della prova relativo alla sussistenza della condizione di reciprocità di cui all’art. 16 preleggi, qualora tale diritto vada qualificato come inviolabile ai sensi delle norme costituzionali. (31) Cfr. Trib. Roma, 30 agosto 1989, in Giur. it., 1990, I, 2, 734; Trib. Torino, 30 agosto 1989, in Riv. dir. int. priv. proc., 1991; Trib. Genova, 21 dicembre 1996, in Riv. dir. int. priv. proc., 1997, 172; Margonari, op. cit. , 594. In tal senso anche lo Studio n. 04/09/03/28/UE, cit.; Contra Baralis, op. cit., 48 ss., che propende per una forma d’inefficacia. (32) Cfr., in argomento, Calò, op. cit., il quale ricorda come «l’unico parallelo che ci sovviene d’incapacità giuridica sopravvenuta, riguarda la situazione degli ebrei sotto le leggi razziste. L’art. 4 del R.D.L. 9 febbraio 1939 n. 126 stabilì, infatti, che «la parte di patrimonio immobiliare eccedente i limiti consentiti ai cittadini italiani di razza ebraica, deve essere trasferita all’Ente indicato nell’art. 11». (33) Nei primi tre mesi di vigenza dell’art. 12 comma 5-bis D.Lgs. n. 286/98 furono una settantina gli appartamenti sequestrati in via preventiva ed altrettanti i proprietari denunciati. (34) Il C.S.M., nel parere sul D.L. Sicurezza reso al Ministro della Giustizia, da un lato affermò che la nuova fattispecie di reato poteva essere valutata positivamente, data la sua ratio tesa alla repressione di fatti di sfruttamento della situazione di illegalità degli immigrati, dall’altro non mancò di sottolineare come essa desse luogo ad alcune questioni interpretative di non agevole soluzione, in specie in punto d’individuazione dei soggetti responsabili in caso di locazione effettuata attraverso un contratto di mediazione o di agenzia ed in punto di accertamenti richiesti a chi concede l’alloggio al cittadino straniero. La Confedilizia, nella nota del 25 luglio 2008, sottolineò problematiche relative alla durata del contratto di locazione (secondo la normativa vigente, peraltro, generalmente fissata in quattro anni rinnovabili per altri quattro) e la durata del permesso di soggiorno. Di conseguenza il proprietario-locatore avrebbe dovuto commisurare anche la durata del contratto all’eventuale scadenza (e mancato rinnovo) del permesso di soggiorno. In altri termini, il rigore della disposizione in esame avrebbe avuto una funzione latamente punitiva anche ai danni dello straniero regolare, implementando verosimilmente lo spettro dell’illegalità e, con esso, il peso economico dei canoni di locazione nei confronti degli immigrati. 105 Opinioni Compravendita straniero irregolare, un ingiustificato tornaconto personale. Nelle sue prime applicazioni la disposizione in esame fu interpretata, tuttavia, nel senso che il dolo specifico avrebbe connotato solo la fattispecie criminosa prevista nella prima parte della norma. Nell’ipotesi, cioè, in cui taluno “concedesse alloggio” ad uno straniero. In caso di cessione e/o locazione di un immobile, invece, la fattispecie penale sarebbe automaticamente realizzata anche senza la ricerca d’ingiusti guadagni da parte del proprietario dell’immobile (35). Le motivazioni a fondamento di questo orientamento appaiono invero tutt’altro che peregrine. In primis vi sarebbe l’argomento letterale, che sembrerebbe ricollegare l’ingiusto profitto solo alla prima delle fattispecie criminose individuate dalla norma. Più interessante, però, ci pare l’argomentazione di tipo sistematico prospettata dalla dottrina. Il ragionamento tiene conto dei rapporti tra la nuova figura di reato e il preesistente (e non modificato) comma 5 dell’art. 12 del Testo Unico. La concessione di un immobile in locazione ad uno straniero irregolare per trarne un ingiusto profitto, aveva sempre integrato, anche secondo la giurisprudenza precedente alla novella, la fattispecie criminosa prevista all’art. 12 comma 5 del D.Lgs. n. 286/98, che prevede, peraltro, una sanzione più grave di quella disposta dal successivo comma ora introdotto dal legislatore (36). Se l’intento della legge, dunque, doveva essere quello d’inasprire le sanzioni a carico degli sfruttatori dell’immigrazione clandestina, difficilmente la stessa avrebbe sussunto una fattispecie concreta già giudicata criminosa, nell’alveo di una fattispecie astratta recante una pena addirittura inferiore a quella comminata in precedenza (37). La tesi non ha trovato, però, l’avallo della successiva giurisprudenza di merito e di legittimità (38), la quale ha innanzitutto osservato come il testo della norma in esame si presenti unitario proprio dal punto di vista sintattico, atteso che il soggetto che regge l’intera frase - “chiunque” - è unico ed è giustamente posto al suo inizio, così come la clausola di salvaguardia (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) che, altrimenti, dovrebbe parimenti ritenersi legata solo alla prima delle due condotte proposte come autonome. Altrettanto è a dire della sanzione (reclusione da sei mesi a tre anni) che è prevista in modo unitario per tutte le condotte descritte dal comma in esame, essendo in tal senso invocabile il tradizionale canone interpretativo secondo cui l’unicità della sanzione, 106 in un contesto di conformità tematica e di assoluta prossimità testuale, è sicuro sintomo di previsione unitaria di un’unica fattispecie di reato. E ci pare interessante rilevare come la Suprema Corte, ad ulteriore conforto dell’interpretazione accolta, soggiunga che «la saggistica finora edita sull’innovazione legislativa in esame, concorda in modo unitario sulla stessa linea, nessuno ipotizzando che il citato comma 5-bis descriva due ipotesi diverse di reato e tutti concordando con l’affermazione che la formulazione legislativa, per quanto non esemplare, di certo proponga il dolo specifico (fine di ingiusto Note: (35) La tesi più restrittiva fu accolta in primis da Trib. Brescia, 30 luglio 2008, in Giur. merito, 2008, 12, 3242, con nota adesiva di Pezzella, cit. Il reato di cui all’art. 12 comma 5-bis D.Lgs. n. 286 del 1998, secondo il Tribunale di Brescia, non sarebbe punibile a titolo di dolo specifico, poiché a seguito delle modifiche apportate a tale articolo dalla legge n. 125 del 2008, è stata prevista la finalità dell’ingiusto profitto solo nei riguardi di chi «dà alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia la disponibilità» e non per chi ceda «allo stesso, anche in locazione...un immobile». Nello stesso senso, cfr. anche un’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 24 settembre 2008, inedita a quanto consta. (36) Per comodità espositiva si ricorda che secondo il comma 5 dell’art. 12 D.Lgs. n. 286/98, fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. (37) Cfr. Pezzella, op. cit., secondo cui non avrebbe avuto senso, in una lettura unitaria dell’art. 12 D.Lgs. n. 286/98, che il legislatore avesse introdotto al comma 5-bis una norma tesa a sanzionare la stipula di contratti di compravendita o di locazione a clandestini solo a condizione che gli stessi fossero stipulati a condizioni talmente vessatorie da integrare in capo al proprietario o al locatore il dolo specifico dell’ingiusto profitto. È infatti pacifico da anni in giurisprudenza che un’evenienza siffatta integra già - e quindi evidentemente continuerà ad integrare - la fattispecie di reato - più grave - di cui all’art. 12 comma 5 D.Lgs. n. 286/98. (38) Cfr. Cass. pen., 10 novembre 2009, n. 46914, in CED Cass. pen. 2009, rv 245686, secondo cui per la sussistenza del reato previsto dall’art. 12, comma 5-bis, D.Lgs. n. 286 del 1998 (T.U. della disciplina dell’immigrazione), come novellato del D.L. n. 92 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 2008, è richiesto il fine di trarre un ingiusto profitto dalla locazione ovvero dal dare alloggio ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, che può essere desunto da condizioni contrattuali comunque gravose rispetto ai valori di mercato; nello stesso senso, cfr. Cass. pen., 7 aprile 2009, n. 19171, in Cass. pen., 2009, 11, 4387, nel reato previsto dall’art. 12 comma 5-bis D.Lgs. n. 286 del 1998 la condotta del dare alloggio a titolo oneroso ad uno straniero privo del titolo di soggiorno e del cedere a questi in locazione un immobile sono entrambe qualificate dal dolo specifico, costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto, che si realizza allorché l’equilibrio delle prestazioni sia fortemente alterato in favore del titolare dell’immobile, con sfruttamento della precaria condizione dello straniero irregolare. Per la giurisprudenza di merito, cfr., da ultimo, App. Catanzaro, 1° giugno 2011, in Giur. merito, 2012, 5, 1166. Immobili & proprietà 2/2013 Opinioni Compravendita profitto) come previsto in modo essenziale quale profilo psicologico di ogni ipotesi descritta (e non solo per il dare alloggio)» (39). Di conseguenza, ai fini della configurazione del reato previsto dalla norma, il dolo specifico dovrà connotare sia il “dare alloggio” ad uno straniero che la cessione onerosa o la locazione stipulata in suo favore. Resta da interrogarsi in ordine alla sorte di un contratto concluso in violazione del citato comma 5-bis dell’art. 12. Secondo un orientamento, la sanzione di nullità che colpisce il contratto quando esso è contrario a norme imperative sarebbe configurabile nel caso in cui il negozio fosse concluso a seguito e per effetto del comportamento di un soggetto, integrante gli estremi di reato, che, oltre a ledere i diritti del singolo, sia lesivo anche di interessi di carattere generale (40). Tale ricostruzione, essenzialmente ripetuta nelle fattispecie di circonvenzione d’incapace, non tiene conto del fatto che una condotta sanzionata da una norma penale, generalmente e per sua natura, lede proprio diritti e principi ben superiori rispetto a quelli riconducibili alla protezione del singolo individuo. Prevale senz’altro in giurisprudenza un orientamento più restrittivo. Perché la violazione di una norma penale comporti contrarietà a norme imperative ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti (41). Più approfonditamente, in tema di contratto stipulato in violazione di norme penali, si discrimina di solito tra le ipotesi in cui la norma penale vieti il comportamento tenuto da una delle parti nella conclusione del contratto, da quelle in cui la norma penale vieti il comportamento di “tutte” le parti e, quindi, in qualche misura anche il contratto stesso. Nel primo caso si è parlato di “reati in contratto”. In tali ipotesi le norme penali non incriminano l’accordo, ma il comportamento di una parte ed il contraente non punito, non è un co-agente, ma una vittima (42). Nel caso di “reati in contratto” la norma imperativa penale non avrebbe, dunque, ad oggetto il negozio e, quindi, la sua violazione non varrebbe a renderlo nullo ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. (43). Per aversi nullità di un contratto, dunque, secondo l’orientamento preferibile, lo stesso deve essere vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione deve integrare reato, non rilevan- Immobili & proprietà 2/2013 do il divieto che colpisca soltanto un comportamento materiale delle parti (e meno che mai di una sola di esse) (44). Di conseguenza, la violazione dell’art. 12 comma 5bis, non dovrebbe comportare mai la nullità del contratto di locazione o di compravendita dell’immobile ceduto in favore di uno straniero non regolarmente soggiornante, poiché la sanzione investe essenzialmente il comportamento dello sfruttatore, non il mezzo tecnico in sé e meno ancora il migrante, vittima del reato stesso e non certo co-agente. Si aggiunga, inoltre, che la condanna del locatore (o del venditore) con provvedimento irrevocabile, ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti, comporta la confisca dell’immobile salvo che questo appartenga a persona estranea al reato. Tale ulteriore sanzione sembrerebbe prescindere dalla declaratoria di nullità del negozio ed anzi assorbirla integralmente, a dimostrazione del fatto che l’ordinamento raggiunge le sue finalità a prescindere da una (inutile) sanzione civile. Anche a voler ammettere, però, la possibilità di diNote: (39) Cfr., testualmente, Cass. n. 19171/09, cit., in motivazione. (40) Cfr., per la nullità in materia di circonvenzione di incapaci, nonostante l’astratta applicabilità di norme che avrebbero determinato la semplice annullabilità del negozio, Cass. pen., 23 aprile 2008, n. 27412, in Cass. pen., 2009, 9, 3497; Cass. 7 febbraio 2008, n. 2860, in Il civilista, 2009, 6, 73; Cass. 23 maggio 2006, n. 12126, in Il civilista, 2009, 6, 73; Cass. 27 gennaio 2004, n. 1427, in Giur. it., 2004, 2290. In ogni caso, però, la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative opera soltanto al cospetto di violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto. Va escluso, pertanto, che l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative pre-negoziali ovvero nella fase dell’esecuzione del contratto stesso possa esser causa di nullità, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali siffatta condotta contrasti, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista. Cfr. Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Giust. civ., 2008, 1175. (41) Cfr. Cass. 10 luglio 2008, n. 19030, in Guida al diritto, 2008, 47, 77. (42) Cfr. Leoncini, I rapporti tra contratto, reati-contratto e reati in contratto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 1055 ss. (43) Cfr. Silvestri, Circonvenzione di incapace, invalidità del contratto e potere del giudice penale di disporre la restituzione alla parte civile del bene trasferito, in Cass. pen., 2009, 9, 3502. Secondo la giurisprudenza ad esempio, il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell’altro, non sarebbe nullo, ma annullabile, ai sensi dell’art. 1439 cod. civ., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa (art. 640 cod. pen. ) non sarebbe diverso, né ontologicamente, né sotto il profilo intensivo, da quello che vizia il consenso negoziale, atteso che entrambi si risolverebbero negli artifici o raggiri adoperati dall’agente e diretti ad indurre in errore l’altra parte e così viziarne il consenso; cfr., in tal senso, Cass. 26 maggio 2008, n. 13566, in Mass. giust. civ., 2008, 810. (44) Cfr. Cass. 25 settembre 2003, n. 14234, in Contratti, I, 2004, 145. 107 Opinioni Compravendita chiarare la nullità del contratto, sarebbe da escludere che il notaio eventualmente coinvolto nella contrattazione delle parti possa essere oggetto di iniziative disciplinari a suo carico per violazione dell’art. 28, legge 16 febbraio 1913, n. 89. Laddove, infatti, non dovesse emergere una sperequazione a tal punto evidente da poter destare il sospetto fondato della violazione della normativa sopra citata, il notaio rogante non avrebbe gli strumenti d’indagine necessa- 108 ri ad accertare l’esistenza della fattispecie criminosa e non potrebbe rifiutare il suo ministero in base all’art. 27 della detta legge n. 89/13 (45). Nota: (45) Sul controverso rapporto tra l’art. 27 della legge notarile, che obbliga il notaio rogante a prestare il suo ministero ogni volta che ne sia richiesto, e l’art. 28 della legge notarile, che gli impedisce di ricevere gli atti espressamente proibiti dalla legge, cfr., per tutti, Di Fabio, Manuale di Notariato, Milano, 2007, II ed., 113 ss. Immobili & proprietà 2/2013