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II Lo Straniero “Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l'orfano e la vedova ma sconvolge le vie degli empi” (Bibbia, SAL 146,9) La figura dello straniero nella sociologia classica “La figura sociale dello straniero, le caratteristiche che assume nello spazio sociale e il sistema di relazioni che instaura con i membri del gruppo integrato hanno impegnato la riflessione dei sociologi fin dagli inizi del ‘900,” (Cipollini 2004, p.3). Lo Straniero è un soggetto caro alla letteratura sociologica, il cui interesse "[…] deriva dal fatto che lo straniero si definisce nei confronti di un gruppo e che l'analisi del rapporto che si stabilisce fra straniero e gruppo mette in evidenza i meccanismi di integrazione fondamentali, del Sé e dell'Altro da Sé" (Tabboni 1990, p.27). Possiamo considerare lo Straniero come "[…] un individuo che proviene da altri paesi, che appartiene a una cultura diversa da quella della comunità di cui entra a far parte e che, a causa di questa sua diversità culturale e della "lontananza" che porta in sé, viene collocato in una posizione marginale, escluso dalle occupazioni socialmente centrali in quella comunità." (Tabboni 1990, p. 13). Lo Straniero dunque trova una propria definizione proprio in ragione della suo posizionamento sociale, ovvero nella “distanza sociale” che intercorre tra lui e gli altri. In una sintetica definizione strutturale, la distanza sociale è "[…] l'intervallo più o meno ampio che separa nello spazio sociale la posizione di due o più persone, appartenenti a classi sociali o strati differenti o a differenti gruppi etnici e religiosi." (Gallino 2006, p.241). Lo Straniero e l’Estraneo: una dicotomia non dicotomica I concetti di straniero ed estraneo, per quanto contigui, fanno riferimento a concetti e scuole di pensiero diverse. Possiamo considerare il concetto di straniero come facente parte della sfera sociale e collettiva, mentre il concetto di estraneo è più attinente alla sfera privata e psicologica. Ovviamente, ogni formulazione teorica modifica questa dicotomia, per cui la divisione è prettamente analitica ed utile ai fini di studio. “Dicendo «straniero» indichiamo una situazione totalmente sociale, mentre dicendo «estraneo» indichiamo una situazione psicologica che tuttavia si presta ad essere trascritta secondo modalità sociali molto varie, di cui l’essere stranieri, cittadini di un altro paese o comunque portatore di un’altra cultura, rappresenta solo una possibilità” (Tabboni 1990, p.108). Pur se contigue, le due situazioni possono presentarsi distinte o coincidenti, come il caso in cui “[…] chi appartiene a un’altra cultura è tuttavia percepito come affine o, viceversa, in cui un membro del proprio gruppo di appartenenza in senso forte è percepito come estraneo Questo ultimo caso è quello dell’eretico (Cfr. Cap II par. 4). Per quanto riguarda il primo caso, nella ricerca ci è capitato di incontrarlo nei Ramtha. (Cfr. Cap II par 4)” (Tabboni 1990, p.108). L’estraneo e i problemi che esso porta assumeranno proporzioni tanto più vaste tanto sono le differenze etniche, linguistiche razziali fino ad arrivare a differenziazioni di abbigliamento, di consumi alimentari o di consumi culturali. “È bene sottolineare comunque che la sensazione di estraneità può avere origine dalle ben note difficoltà di comunicazione che si verificano fra portatori di cultura diverse, ma può anche comparire come reazione interindividuale di matrice psicologica, all’interno di un gruppo i cui membri si riconoscono reciprocamente omogenei e affini dal punto di vista sociale e culturale.” (Tabboni 1990, pp. 108-109). Lo straniero di Simmel Nella letteratura sociologica molto si deve alla costruzione teorica creata da Georg Simmel. Il suo apporto teorico delinea uno straniero "[…] che viene contemporaneamente accettato e emarginato da chi fa parte della società che lo ospita, mette in luce una caratteristica ineliminabile di ogni interazione sociale, la «riserva» e il distacco che ad ogni interazione si associa e ne costituisce la premessa." (Tabboni 1990, p.25). L’analisi di Simmel sviluppa una descrizione di forma sociale composta da opposte polarità; Spaziale (mobilità/stabilità); Rapporti umani (distanza/prossimità) e Conoscenza (generalità/specificità) (Tabboni 1990, p.37) Scrive infatti “Dato che, per quanto riguarda le sue radici, lo straniero non è legato a singoli membri né a tendenze parziali del gruppo, egli si pone di fronte ad essi con il particolare atteggiamento di chi è «obbiettivo»; ciò non significa solamente distacco o mancanza di partecipazione, ma è il risultato della combinazione di vicinanza e lontananza, indifferenza e coinvolgimento.” (Simmel 1908 citato in Tabboni 1990, p.149). Mediante questo modello si va affermando un modello di forma sociale dello straniero. Tale forma “[…] nella sua estrema astrazione, si presta a rappresentare una gamma molto ampia di relazioni umane di reciprocità, di modalità sociologiche e storiche.” (Tabboni 1990, p.38). Il processo inclusivo/esclusivo dello Straniero simmeliano nei confronti del gruppo è dettato da un insieme di regole che fissano e delimitano la situazione dei soggetti. "Lo straniero non è quindi semplicemente qualcuno che sta fuori dal gruppo: egli appartiene al gruppo in base ad uno statuto che in gran parte lo esclude. I modi della sua esclusione definiscono i modi della sua inclusione" (Tabboni 1990, p.37). Questo gioco al rimando tra inclusione ed esclusione è lo specchio di una tensione contraddittoria caratterizzata dalla presenza di elementi conflittuali all’interno delle relazioni umane. Tali caratteristiche hanno una funzione positiva e “[…] sono presenti in modo esemplare nella forma sociale dello straniero, che è la forma attraverso la quale un gruppo sociale definisce lo statuto dei suoi rapporti con ciò che è diverso e gli si oppone.” (Tabboni 1990, p.39). "La forma sociologica dello straniero […] è quindi un modello di rapporto che presenta una particolare tensione di vicinanza e lontananza, permettendo così di cogliere i meccanismi e le radici dell'esclusione e dell'assimilazione, del riconoscimento della somiglianza e della diversità." (Tabboni 1990, p.41). La sua forma sociale è delineata “[…] a partire dall’interazione tra esso e la comunità ospitante, che dà luogo a un sistema di relazioni sociali condizionante dalla posizione particolare che lo straniero ricopre nello spazio sociale e che […] assume il ruolo di metafora della relazione tra persone.” (Cipollini 2004, p.5). Lo straniero di Schütz Lo straniero descritto da Schütz è un qualsiasi soggetto che “[…] non appartenendo al gruppo e ignorandone la cultura, cerca di farsi accettare da esso e di capirne le regole, per imparare ad agire al suo interno.” (Tabboni 1990, p.34). Nel suo studio Schütz “[…] è interessato ad analizzare il momento particolare del contatto iniziale dello straniero con la comunità ospitante, del precario avvicinamento ad un mondo ignoto da parte di soggetti che non possono più contare sui propri sistemi di identificazione e di riferimento e non sono ancora in grado di assumerne altri.” (Cipollini 2004, p. 42). Egli indica infatti lo straniero come “[…] un individuo adulto del nostro tempo e della nostra civiltà che cerca di essere accettato permanentemente o per lo meno tollerato dal gruppo in cui entra.” (Schütz 1979, p.376 citato in Tabboni 1990, p.127). In questa definizione si considera “[…] il riferimento alla condizione di primo incontro tra un individuo ed un gruppo reciprocamente estranei, ma si amplia fino a comprendere ogni figura sociale coinvolta in un contatto con un gruppo integrato che non appartiene ad esso ed è portatrice di differenze culturali, sociali, psicologiche, comportamentali.” (Cipollini 2004, p.42) All’interno di ogni gruppo sono presenti conoscenze tacite che servono per comprendere e avere comportamenti consoni che rispecchino le aspettative del gruppo. Chi è estraneo al gruppo ha difficoltà ad accedere a questo genere di conoscenza poiché “[…] le sue regole sono incoerenti, poco chiare e spesso piene di contraddizioni, perché non rispettano alcuna «logica».” (Tabboni 1990, p.35). Questo porta lo straniero a forzare un processo di interpretazione e di confutazione di “[…] quasi tutto ciò che ai membri del gruppo di cui egli è entrato a far parte sembra fuori questione.” (Schütz 1979, p.380 citato in Tabboni 1990, p.35). In una paradossale definizione quindi “lo straniero, fino ad un certo punto, è un etnologo che osserva e cerca di decifrare una cultura diversa dalla propria.” (Tabboni 1990, p. 35). I gruppi a cui fa riferimento Schütz sono costrutti sociali definiti come “modelli culturali della vita di gruppo”, formati da istituzioni e sistemi di orientamento e guida “[…] quali i costumi di gruppo, le consuetudini, le leggi, le abitudini, gli usi, l’etichetta, le mode” (Schütz). Schütz si concentra “[…] sull’altro polo dell’interazione, affrontando i problemi connessi all’isolamento psicologico dello straniero nel suo incontro iniziale con il gruppo integrato nel quale intenderebbe inserirsi.” (Cipollini 2004, p.42). Lo straniero di Park La figura di straniero delineata da Park si inserisce in un filone “[…] di pensiero sociologico in cui il tema dello straniero come forma sociale si somma a quelli che provengono dall’analisi delle migrazioni moderne, legate a masse consistenti di popolazione, a processi spesso conflittuali e contraddittori di integrazione degli stranieri nelle comunità ospitanti” (Cipollini 2004, p.15). Anche in questo caso, si presta particolare attenzione alla condizione di mutevolezza geografica dello straniero. La Scuola di Chicago e i suoi sociologi infatti “[…] sono così interessati allo studio della città, alla sua configurazione ecologica, al sistema di relazioni che nell’ambiente metropolitano si instaura tra i gruppi sociali, ma contemporaneamente si concentrano sui fenomeni sociali non omologati o apertamente devianti che in esso si manifestano.” (Cipollini 2004, p.15). Ci si comincia ad interrogare sulle funzioni socializzanti dei luoghi più degradati, più marginali. Aumenta l’attenzione per gli slums “UN-HABITAT defines a slum household as a group of individuals living under the same roof in an urban area who lack one or more of the following: 1. Durable housing of a permanent nature that protects against extreme climate conditions. 2. Sufficient living space, which means not more than three people sharing the same room. 3. Easy access to safe water in sufficient amounts at an affordable price. 4. Access to adequate sanitation in the form of a private or public toilet shared by a reasonable number of people. 5. Security of tenure that prevents forced evictions” Per estensione, si intende come slum qualunque luogo residenziale considerato come malfamato e non idoneo a mantenere un tenore di vita considerato “normale”. Fonte: United Nations Human Settlements Programme, per le subculture giovanili devianti e per i luoghi marginali. Le migrazioni diventano il fulcro su cui far ruotare le ricerche “sullo sfondo di un cambiamento che […] è stato provocato principalmente, nell’antichità, dalle grandi emigrazioni e, nel mondo moderno, dalla mobilità sociale, dall’accentuazione dei tratti individuali, dalla disposizione al confronto, alla critica, alla libera riflessione che ne derivano, si staglia la figura dell’uomo marginale (Tabboni 1990, p.52). L'uomo marginale nasce "quando […] le mura del ghetto medievale furono abbattute e agli Ebrei fu concesso di partecipare alla vita culturale della gente fra cui vivevano, fece la sua comparsa un nuovo tipo di personalità, che si potrebbe dire un ibrido culturale, un tipo di uomo che vive all'interno di una vita culturale e della tradizione di due popoli diverse e ad essa partecipa intimamente, che non arriva mai a rompere, anche quando gli è possibile, con il proprio passato e con la propria tradizione e che non è mai completamente accettato, a causa dei pregiudizi razziali è nella nuova società in cui egli cerca ora di trovare un posto. Egli è l'uomo che vive sul confine di due culture e di due società, che non si sono mai completamente fuse e interpretate" (Park 1928, citato in Tabboni 1990, pp. 206-207)". Come risultato di questo processo vi "[…] sarà un individuo di nuovo tipo in cui, se il processo di adattamento si sarà realizzato regolarmente, rimarranno sempre tracce di una appartenenza a due contesti che possono assumere nella sua coscienza alternativamente un ruolo preminente." (Cipollini 2004, p. 16). Park caratterizza molta della sua analisi nella spinta di tipo psicologico, che porta l'uomo a decidere di emigrare e lo porta alla sua condizione di uomo marginale, diviso tra due culture e due mondi non integrati tra loro. Questo straniero, è per Park "[…] portatore di mutamento sociale, di una trasformazione degli assetti culturali e societari. […] L'arrivo dello straniero nello spazio sociale assume non soltanto il ruolo della introduzione di caratteristiche di diversità, imprevedibilità, mutamento culturale, ma attiva anche processi di interazione con la comunità ospitate che mettono in discussione i precedenti assetti societari: entrambe queste funzioni contribuiscono a innescare processi di mutamento sociale irreversibili.” (Cipollini 2004, p.18) “[...] le differenze e le somiglianze tra collettività e individuo, almeno in alcuni casi, non sono spiegabili, né individuabili in base ad un solo metodo oggettivo di paragone, in maniera tale da poter definire una di queste collettività estranea nei confronti dell’altra.” Lo straniero di Znaniecki Florian Znaniecki sviluppa nel suo pensiero “[…] due tematiche di grande rilievi: il concetto di estraneità e il sistema delle relazioni sociali che si instaura tra straniero e gruppo integrato, soffermandosi in particolare sulla conflittualità che si sviluppa nel rapporto tra gruppo integrato e coloro che si immettono nello spazio sociale portando caratteri di estraneità.” (Cipollini 2004, p.19). Znaniecki sviluppa il proprio concetto di estraneità partendo dalla dicotomia estraneo/straniero Vedi cap. II par. 2. Per Znaniecki “L’assenza di legami sociali con un individuo, intesa come caratteristica di base degli stranieri, assume valenze diverse a seconda se per legame sociale si intenda l’appartenenza ad un gruppo, più o meno caratterizzato come nucleo chiuso e unito in una attività comune, oppure se ci si riferisca ad un gruppo libero; il legame sociale dipende dalla presenza di rapporti più o meno stretti tra i componenti dei gruppi [...]. Nel primo caso gli stranieri sono esterni al gruppo, a differenza di coloro che ne fanno parte, nel secondo, sono individui con i quali un dato soggetto ha avuto poco o niente a che fare: gli stranieri sono quindi degli “sconosciuti” (Znaniecki citato in Cipollini 2004, p.21). Risulta quindi possibile vedere una forma di appartenenza graduale e parziale nei confronti di un gruppo. Oltre alla presenza di una gradualità di appartenenza ai gruppi, “[...] Znanieck introduce un ulteriore elemento, riferibile alla condizione psicologica del membro o membri del gruppo integrato volta a considerare estraneo un individuo. In questo contesto sembrerebbe che la percezione dell’estraneità provenga da una disposizione percettiva di un gruppo o di un individuo, dalla constatazione soggettiva di una estraneità che non può essere ricondotta a qualcosa di conosciuto e accettato” (Cipollini 2004, p. 21). Per valutare l’estraneità, la semplice assenza di relazione sociale può non bastare. Affinché vi sia estraneità, sostiene Znaniecki, “[...] deve presentarsi una assenza di relazione connessa a una volontarietà o a un arrivo rifiuto del contatto, anche se non si potrà essere mai certi che l’assenza di relazione sociale non sia dovuta a precedenti caratteristiche di estraneità” (Cipollini 2004, p. 22). Vi è quindi una componente soggettiva molto forte che emerge, “[...] relativa a una disposizione individuale o di gruppo a percepire altri individui o gruppi come estranei”. (Cipollini 2004, p.23). La componente soggettiva inserita all’interno di una prospettiva sociologica porta alla creazione da parte di Znanieki del così detto “[...]approccio umanistico, centrato sulla ricerca dei significati umani, nella definizione del concetto di estraneità” (Cipollini 2004, p.23). È proprio “[...] l’appartenenza ad un diverso sistema di valori, percepita individualmente o collettivamente dal gruppo integrato” (Cipollini 2004, p.26) che rappresenta “[...] il fondamento della percezione dello straniero ed insieme la ragione della tendenza a mantenere le distane nei confronti di coloro che possono, più o meno consapevolmente, mettere in discussione il sistema di identificazione sia del gruppo sia degli individui che ad esso appartengono” (Cipollini 2004, p.26). L’estraneità è una percezione che va oltre la semplice distanza fisica; è infatti possibile trovarla nei riguardi di individui e gruppi tra cui esiste comunque una relazione sociale. Per questo motivo “[...] la percezione dell’estraneità diviene una esperienza associata alla individuazione di comportamenti sociali non conformi o non condivisi. Le stesse diversità somatiche risultano essere [...] secondarie rispetto alla espressione da parte di gruppi umani diversi fisicamente, di differenze sul piano dei sistemi di valori. Questi ultimi risultano essere, quindi, il vero movente della percezione della diversità. [...] la classificazione degli individui come stranieri dipende da una determinazione umana che entra in atto nel momento della individuazione di diversi sistemi di valori espressi da individui e gruppi e rappresenta la base su cui si fonda l’antagonismo verso gli stranieri.” (Cipollini 2004, pp.26-27). Lo straniero di Elias L’approccio che Elias utilizza per analizzare la figura dello straniero è un approccio che considera contemporaneamente e in maniera integrata le polarità contrapposte. Si tratta di un “[...] estraneo in senso spaziale e culturale che, in un mondo in cui aumenta continuamente la mobilità sociale mentre si attenuano le differenze nazionali, è destinato a prendere il posto che lo straniero, inteso come cittadino di un altro stato, occupava nel mondo antico. Il suo outsider non è un individuo isolato, come lo straniero di Simmel, ma fa parte di un gruppo che si contrappone culturalmente ad un altro gruppo.” (Tabboni 1990, p.41). Elias nel suo studio sui cambiamenti di un quartiere operaio, delinea la figura dell’outsider nuovo arrivato che si contrappone agli established vecchi residenti. L’outsider “[...] è il nuovo arrivato che, stabilendosi ad abitare in un’area geografica da molto tempo occupata da un gruppo culturalmente omogeneo e che in quell’area si identifica fortemente, mette in moto un modello di interazione tipico, un antagonismo reciproco e inevitabile fra se stesso e il gruppo più antico. L’antagonismo [...] non risulta originato da comportamenti particolari e non rimanda a responsabilità attribuibili ad una delle due parti nei confronti dell’altra, ma discende da un preciso di interazione sociale che lo prevede.” (Tabboni 1990, p.42). Outsider ed established “[...] non esistono autonomamente, non sono definibili come concetti isolati, ma solo nella loro reciproca influenza, nelle modalità operative della loro opposizione e relazione. Gli outsider e gli established sono i termini di un rapporto di interdipendenza, le sue polarità estreme. Esistono gli uni in funzione degli altri.” (Tabboni 1990, p.43). Lo straniero appare quindi come fondamentale per lo studio dell’altra posizione, (corrispondente all’integrazione sociale) e di tutte le altre posizioni intermedie fra esclusione ed integrazione. La natura di questo rapporto implica che “[...] un certo livello di tensione e antagonismo fra le parte non può essere evitato perché è inerente al modello della loro interazione” (Tabboni 1990, p.44). L’outsider di Elias segue il solco tracciato dallo straniero di Simmel: in entrambi casi essi esistono in funzione di un rapporto bipolare. Per la comprensione dell’outsider c’è dunque bisogno di un approccio “configurazionale”, mettendo in relazione questa figura con gli established, osservando le loro interazioni e i loro rapporti di reciprocità (Tabboni 1990, p.43). Lo straniero è quindi imprescindibile da un non-straniero, un rapporto biunivoco che rende entrambe le realtà esistenti ed analizzabili in modo tale che “[...] possano essere studiati separatamente senza riferimento alla loro interazione [...] Gli individui compaiono sempre in configurazioni e le configurazioni non sono pensabili al di là degli individui.” (Elias 1965, p.181). L’essere straniero dunque è una questione di rapporto più che essere una realtà a sé stante. I modelli di distanziamento analizzati nella sua opera possono essere presi come esempio per “[...] ogni processo di interazione che si instaura tra comunità consolidate e nuovi arrivati” che corrispondono a “[...] meccanismi di difesa e distanza sociale messi in atto dalla comunità originaria nei confronti di coloro che presentano caratteristiche di diversità.” (Cipollini 2004, p. 50). Quindi lo straniero non è “[...] marginale in quanto si trova in un luogo, ma perché in quel luogo trova un gruppo sociale costituito, con le sue regole, i suoi codici, la sua distribuzione di potere, che non apre a lui le porte ma lavora attivamente per mantenerlo ai margini della società”. (Cotesta 2002, p. 38). Gli outsiders si ritrovano quindi nella condizione di non conoscere esattamente quella che è la loro posizione all’interno della comunità ospitante. Assieme a ciò vi è la presenza di “[...] meccanismi di rigetto e di distanza sociale messi in atto dalla comunità ospitante” (Cipollini 2004, p.51). Per ultimo vi è il problema dell’autorappresentazione dell’outsider. Questa rappresentazione è influenzata dalla presenza di “meccanismi psicologici di rappresentazione sociale della [...] condizione messi in atto dai gruppi dominanti che tendono a connotarli in termini gerarchicamente inferiori, a marcare la marginalità della loro condizione sociale. Tale rappresentazione [...] favorisce [...] una autorappresentazione degli outsiders che rimanda, come in un gioco di specchi, all’immagine trasmessa dai gruppi dominanti. Essi pertanto tenderanno ad interiorizzare l’immagine di inferiore valore umano trasmessa dai gruppi dominanti.” (Cipollini 2004, p.51). “Lo studio di Winston Parva dimostra che in una determinata situazione, nonostante l’uguaglianza di classe sociale, di religione, di attività, di stile di vita, l’appartenenza ad un gruppo strutturato e più forte rispetto ad individui isolati o appartenenti a gruppi deboli, diventa la base di ulteriore esclusione, di disprezzo e di negazione di identità. Anzi, il disprezzo e la sistematica negazione di identità diventa un mezzo per realizzare l’esclusione.” (Cotesta 2002, p.40) Stranieri tra comunità e società I paradigmi teorici fin qua esposti, nonostante l’evidente interesse scientifico, mostrano chiari segni di semplificazione (Cotesta 2002). Ogni situazione sociale presenta situazioni di interdipendenza ed interazione. Immaginando un ideale continuum ai cui due opposti si collocano le figure dello straniero e del membro culturalmente integrato, ogni volta che un individuo interagisce con la comunità di appartenenza, fa scattare dei meccanismi di integrazione o di esclusione; di appartenenza o di emarginazione; di vicinanza o di lontananza. Tali meccanismi non si presentano mai in modalità “pure” ma sono in genere compresenti in proporzioni variabili. “Il rapporto di estraneazione-identificazione sta alla base di qualsiasi processo di strutturazione dello spazio sociale; la distanza e la vicinanza, il vincolo e la libertà si presentano insieme ogni volta che una comunità definisce la posizione dell’individuo al proprio interno” (Tabboni 1990). Questo processo identificativo può essere utilizzato per studiare la suddivisione del territorio di una comunità, poiché “Il processo attraverso il quale una comunità struttura il proprio spazio sociale porta in primo luogo a definire le distanze/vicinanze che i suoi membri devono rispettare nell’interazione in cui si trovano impegnati”. (Tabboni 1990, pag. 26). In questo modo, i soggetti vengono collocati all’interno di uno spazio definito che corrisponde a “[…] diversi diritti-doveri-libertà: da una parte le situazioni di piena integrazione culturale, cui si accompagna un forte controllo sociale, dall’altra le situazioni di marginalità, caratterizzate da una maggiore «libertà» e minori esigenze di autorepressione.” (Tabboni 1990). Ogni singola configurazione avrà risposte diverse a seconda delle modalità con cui viene configurata e dalla personalità del soggetto. Si potranno dunque avere casi in cui stranieri emarginati rispondono con innovazione o con l’isolamento (vedi Tabboni). La presenza dello Straniero mette in luce i meccanismi di definizione del Sé e dell’Altro Sé, permettendo di studiarne le modalità di integrazione fondamentali (Tabboni 1990). Lo Straniero rappresenta quindi l’araldo del cambiamento, la cui doppia funzione è portare cambiamento e conflitto e nello stesso tempo, creare rinnovamento e apertura nella comunità. Queste molteplici funzioni non si presentano mai pure “[…] ma sempre secondo una certa mescolanza, come è quella presentata dallo straniero, di elementi opposti.” (Tabboni 1990). In una prospettiva di analisi sociologica, lo Straniero può essere utilizzato come chiave di lettura attraverso la quale comprendere i meccanismi di definizione della comunità di riferimento. L’ottica appare quindi rovesciata: comprendere il comune attraverso il diverso. “Lo straniero non è tanto studiato in sé stesso […] ma come uno dei poli di una relazione permanente fra individuo e comunità che rende necessaria anche la conoscenza del polo opposto e la consapevolezza della compresenza di entrambe le polarità in ogni figura sociale.” (Tabboni 1990). “In una società complessa lo straniero può condividere i codici vigenti, ad esempio, nell’economia e non nella politica; può avere una buona o passabile competenza nell’uso delle tecnologie lavorative, ma avere un’idea e una pratica del legame sociale non convergente con la nostra. Soprattutto, può avere un’idea diversa della verità e del mito costitutivo dell’essere sociale e umano. Questo accade quando la religione dello straniero è diversa da quella condivisa e praticata nella sua nuova società. La religione, infatti, elabora e custodisce le immagini fondamentali, il mito costitutivo più generale di una società. Lo straniero porta con sé i propri dei; essi non sono adorati nel suo nuovo mondo, ma per lui valgono ancora.” (Cotesta 2002, p. 62). Lo straniero trova, nell’avanzare della modernità e nell’affermarsi del legame societario su quello comunitario “[…] accanto al rischio di alienazione […] la possibilità di costruire legami personali forti, intimi […]. Proprio perché la dimensione comunitaria arretra ed emerge la dimensione individuale e personale, lo straniero può costituire l’occasione per legami intimi scelti autonomamente dagli individui.” (Cotesta 2002, p. 67). “Nella società complessa la dicotomia gruppo interno/gruppo esterno può diventare un ostacolo alla comprensione della condizione dello straniero, se non si specifica rispetto a quale dimensione volta volta si forma l’opposizione tra i membri della comunità e gli individui che, rispetto ad essa, sono considerati o si sentono stranieri. […] dobbiamo fare riferimento ad alcune dimensioni essenziali della vita sociale rispetto alle quali analizzare le condizioni che determinano l’opposizione tra un gruppo interno e individui considerati stranieri dai membri di questo gruppo.” (Cotesta 2002, p.67). “L’appartenenza alla comunità rappresentata dai miti originari comporta diritti e doveri […] I membri della comunità hanno un insieme di diritti e doveri verso tutti gli altri membri della comunità e verso membri di altre comunità con le quali la comunità originaria ha rapporti. All’insieme di questi appartiene il diritto/dovere di difendere la comunità […] dalla denigrazione e dalle minacce eventuali di membri di altre comunità […].” (Cotesta 2002, p.68). Identità e conflitto nella sociologia classica Nello studio della sociologia dello straniero, molta importanza viene data ai conflitti che possono insorgere tra stranieri ed integrati Conflitti che possono insorgere tra vecchi e nuovi residenti, come in questo caso e in altri casi resi celebri da altri autori (cfr. Elias – Scotson Le strategie dell’esclusione). Il concetto di conflitto sociale è sempre stato un argomento di estremo interesse per le discipline sociologiche. “Nel 1907 uno dei primi congressi della Società americana di Sociologia, da poco costituita, ebbe come argomento fondamentale il conflitto sociale” (Coser 1967, p.17). Bisogna considerare il conflitto sociale nelle sue molteplici forme, positive e negative. Sin dai primi studi sul conflitto, si può vedere come l’interesse per le prime generazioni di sociologi sia dettato dal carattere riformatore. Infatti “[…] lungi dal considerare il conflitto sociale come un fenomeno meramente negativo, si ritenne che esso adempisse funzioni chiaramente positive. In particolare, il conflitto costituì, per questi sociologi, la fondamentale categoria esplicativa per l’analisi delle trasformazioni sociali e del “progresso” (Coser 1967, p.18). Lo stesso Simmel sottolinea la funzione positiva del conflitto, poiché “I contrasti non solamente impediscono che i confini all’interno del gruppo gradualmente scompaiano […] spesso essi collocano classi e individui in posizioni reciproche in cui non verrebbero mai a trovarsi… se alle cause dell’ostilità non si aggiungessero la consapevolezza e la manifestazione dell’ostilità” (Simmel, 1955 citato in Coser 1967, p.36). L’importanza del conflitto sta dunque nel fatto che “[…] le avversioni e gli antagonismi reciproci preservano anche il sistema nel suo insieme, istituendo un equilibrio tra le parti che lo compongono. Ciò accade […] perché i membri dello stesso strato o casta sono stretti insieme dalla solidarietà che risulta dalla loro comune avversione e repulsione nei confronti dei membri di altri strati o caste. In tal modo si preserva una gerarchia di posizioni a causa dell’avversione che nutrono l’uno per l’altro i vari membri dei sottogruppi all’interno della società.” (Coser 1967, p.38). La funzione positiva del conflitto prevede comunque un’espressione di ostilità. In questo modo “[…] il conflitto adempie […] la funzione di conservare il gruppo, nella misura in cui regola sistemi di rapporti. “Purifica l’aria,” vale a dire elimina l’accumulazione di tendenze ostili represse, consentendo che si esprimano liberamente nel comportamento.” Citando il Re Giovanni di Shakespeare “Un cielo così scuro non si rasserena senza una tempesta: rovescia pure il tuo maltempo: come vanno le cose in Francia?” (Citato in Coser 1967) (Coser 1967, pp.44-45). Questa semplificazione non tiene conto delle componenti psicologiche del conflitto. Queste non si scatenano necessariamente contro la causa originaria. Qualora ciò non accada, può esserci una duplice possibilità: “[…] i sentimenti di ostilità possono venire indirizzati verso oggetti sostitutivi” (Coser 1967, p.46) oppure “[…] soddisfazioni sostitutive possono ottenersi attraverso il semplice scarico della tensione” (Coser 1967, p.46). L’idea del conflitto come “valvola di sicurezza” è avanzata da Simmel e ripresa da Schurtz nel concetto di Ventilsitten Il termine Ventilsitten indica “[…] quei costume e quelle istituzioni delle società primitive che offrono uno sbocco istituzionalizzato a ostilità e impulsi che il gruppo ordinariamente sopprime. […] Tali sbocchi […] servono di alveo per gli impulsi repressi e così preservano il resto della vita sociale dal loro urto distruttivo” (Coser 1967, p.46) (Schurtz 1903, citato in Coser 1967, p.46). I due autori non operano però “[…] nessuna distinzione tra Ventilsitten, che offrono una struttura socialmente legittima per portare avanti il conflitto senza quelle conseguenze che infrangono i rapporti reciproci all’interno di un gruppo, e quelle istituzioni (valvole di sicurezza) che servono a far deviare l’ostilità verso oggetti sostitutivi o che funzionano come canali per la catarsi.” (Coser 1967, p.46). L’espressione del sentimento di ostilità può presentarsi in “[…] almeno tre tipi: 1) espressione diretta dell’ostilità contro la persona o il gruppo che è causa della frustrazione; 2) spostamento del comportamento ostile verso oggetti sostitutivi; e 3) attività rilassatrice, che soddisfa in se stessa, senza bisogno di oggetto o di sostitutivi.” (Coser 1967, p.46). Esistono quindi combinazioni di casi in cui vi è la sostituzione del soggetto di conflitto o casi in cui vi è la sostituzione del mezzo. Sono casi in cui “[…] l’ostilità si esprime [...] indirettamente e anche inconsapevolmente.” (Coser 1967, p.48). Questa distinzione “[...] tra la sostituzione del mezzo e la sostituzione dell’oggetto riveste sociologicamente una grande importanza, poiché nei casi di sostituzione del mezzo [...] non si verifica nessun conflitto. Nell’aggressione contro oggetti sostitutivi [...] sebbene il rapporto originario sia salvaguardato dall’incanalamento dell’aggressione per altre strade, tuttavia si produce una nuova situazione conflittuale con l’oggetto sostitutivo.” (Coser 1967, p. 49). Coser suggerisce “[...] l’ipotesi che la necessità di istituzioni con funzione di valvola di sicurezza cresca con la rigidità della struttura sociale, vale a dire quanto più è forte il divieto che il sistema sociale pone all’espressione di rivendicazioni antagonistiche, quando esse si verificano. [...] Rientra in questo contesto la funzione ben nota del capro espiatorio nei conflitti interni al gruppo.” (Coser 1967, p.50). “Laddove il conflitto è puramente un mezzo inteso ad uno scopo superiore, nulla impedisce di limitarlo o anche di evitarlo, qualora si possa sostituirlo con altre misure che diano la stessa garanzia di successo. Laddove, invece, il conflitto è esclusivamente provocato da sentimenti soggettivi, dove vi sono energie interiori che possono soddisfarsi solamente attraverso la lotta, la sua sostituzione con altri mezzi è impensabile; esso è fine a se stesso” (Simmel 1955). Con questa affermazione Simmel fa una distinzione tra un tipo di conflitto per il quale “[...] la lotta è solamente un mezzo per un fine [...] il conflitto è solamente una tra diverse alternative funzionali” (Coser 1967, p.54) e un conflitto come fine, in quel caso “[...] il conflitto sorge esclusivamente da impulsi aggressivi che cercano uno sfogo su un oggetto purchessia, dove nel conflitto la scelta dell’oggetto è puramente accidentale” (Coser 1967, p.54). In questa divisione, è implicita la differenza tra un conflitto “realistico” che deriva “[...] da frustrazioni di esigenze ben precise all’interno del rapporto e dal calcolo dei vantaggi che i partecipanti possono ricavarne, e che sono diretti contro l’oggetto che si presume causa della frustrazione” (Coser 1967, p.54) e un conflitto “non realistico”; ovverosia conflitti non “[...] occasionati dagli scopi contrastanti degli antagonisti, ma dal bisogno di almeno uno di essi di scaricare la propria tensione. In questo caso la scelta degli antagonisti dipende da cause non direttamente connesse con una questione controversa e non è orientata verso il conseguimento di un risultato specifico.” (Coser 1967, p.55). Riprendendo le tesi di Znaniecki possiamo considerare l’antagonismo verso gli outsiders come “[...] una tendenza sociale negativa che si concretizza in azione che, nelle intenzioni del soggetto, portano a comportamenti e azioni sfavorevoli agli stranieri. Pertanto l’antagonismo rappresenta un possibile esito dell’atteggiamento di un gruppo verso i portatori di caratteristiche di estraneità, un passaggio da tendenze originariamente di indifferenza verso comportamenti apertamente ostili verso di loro. Tale passaggio è generato dalla determinazione umana a percepire l’Altro come portatore di un sistema di valori differente che, [...] rappresenta il nucleo centrale della percezione dell’estranetià.” (Cipollini 2004, p.27). La condizione di estraneità è quindi diversa dalla semplice indifferenza e prevede il “[...] manifestarsi di comportamenti sociali favorevoli o contrari rispettivamente verso coloro che sono ritenuti appartenenti allo stesso sistema di valori e verso colo che, invece, questo sistema non condividono” (Cipollini 2004, p.27). Znaniecki (1931 citato in Cipollini 2004) nel formulare una tipologia di antagonismo, prende in considerazione due elementi: soggetto antagonista e oggetto dell’antagonismo. La sua tipologia è mostrata nella tab.1. / Antagonismo collettivo Antagonismo individuale Oggetto collettivo tribù, setta, nazione vs altra tribù, setta, nazione individuo vs gruppo di cui non fa parte Oggetto individuale membri di una tribù vs ospite straniero individuo vs individuo Tabella SEQ Tabella \* ARABIC 1 Strutturazione della tipologia di Znaniecki (1931). Sono presenti degli esempi indicativi e non esaustivi “[...] le proprietà che ci appaiono come specifiche di un gruppo o di un altro sono prodotte dalla reificazione della relazione. Si tratta di una finzione elaborata collettivamente. Non è perché vi sono evidenti differenze oggettive tra due gruppi che essi ci appaiono diversi, ma, al contrario, è perché sono categorizzati come gruppi distinti che ogni gruppo assume la propria essenza omogenea e contemporaneamente si costruisce una differenza oggettiva tra loro.” (Kozakaï 2002, p.32)