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Il temperamento musicale ieri e oggi CLAUDIO DI VEROLI, dic. 1998. 1. Intervalli puri e temperamento equabile La teoria del «temperamento» musicale consiste nel definire l’altezza esatta che devono avere le note della scala. Nella musica occidentale - e in modo determinante per quanto riguarda gli strumenti a tastiera - ciò significa stabilire le altezze relative dei dodici semitoni dell’ottava, vale a dire determinare il criterio che l’accordatore di uno strumento deve seguire. I nostri strumenti occidentali sono oggi accordati in maggioranza secondo il «temperamento equabile», il che significa che l’ottava è divisa in dodici semitoni di uguale ampiezza. Questo sistema è assai pratico poiché permette di suonare con un’accordatura accettabile in tutte le tonalità. Purtroppo, comporta una sgradevole conseguenza: all’interno dell’ottava, tutti gli intervalli sono scordati in misura maggiore o minore. Le quinte e le quarte sono quasi perfette ma le terze e le seste sono inevitabilmente stonate in modo apprezzabile. Il pubblico dei concerti, nella nostra società, è abituato a tale situazione e non la percepisce, ma qualunque esecutore di musica da camera conosce le difficoltà che il nostro sistema di accordatura provoca. Per comprendere la causa di ciò occorre considerare alcuni fatti di base. Un intervallo è un quoziente tra due frequenze e suona puro, ossia perfettamente intonato, se tale quoziente equivale a quello tra numeri interi e piccoli. Ci si allontana da tale ideale in due modi: utilizzando numeri elevati - ad esempio intervalli come la settima - oppure utilizzando un rapporto inesatto, ad esempio una quinta impura. In entrambi i casi si producono dei battimenti, interferenze nell’effetto sonoro che provocano in noi una sgradevole sensazione di stonatura o dissonanza. I due numeri più piccoli che possiamo utilizzare sono 1 e 2, ed è per questo motivo che l’intervallo più consonante è quello determinato dal rapporto 2/1, cioè 2. Quando ciò accade, ad esempio tra un La a 440 Hz e un altro a 880 Hz, udiamo un’ottava. Il rapporto di semitono temperato è 1,059463, il numero che moltiplicato 12 volte per se stesso dà come risultato 2. Questo fatto ci fornisce anche un primo elemento di giudizio: ci dice che un semitono si produce variando la frequenza di un suono del 5,9463 %, che per comodità arrotonderemo al 6 %. Vediamo ora che cosa accade con gli altri intervalli di base della pratica musicale: la quinta e la terza maggiore. La quinta è un intervallo con quoziente 3/2, ossia 1,5. In uno strumento accordato secondo il temperamento equabile otteniamo una quinta con la giustapposizione di 7 semitoni. Pertanto la sua ragione è 1,059463 moltiplicato per se stesso 7 volte, il che dà 1,498. La differenza rispetto al valore puro 1,5 è dello O,13 % e, risultando pressoché inudibile, non crea alcun problema nella pratica. Le cose, però, si complicano quando si prende in esame la terza maggiore. Il quoziente puro della terza maggiore è 5/4, ossia 1,25. Nella nostra tastiera temperata equalmente, però, questo intervallo si ottiene per giustapposizione di 4 semitoni e la sua ragione è quindi 1,059463 moltiplicato per se stesso 4 volte, il che dà 1,26. Qui l’errore è dello 0,8 %, sei volte più grande che nella quinta. Abbiamo visto poc’anzi che una variazione del 6 % produce un semitono, e lo 0,8 % è quasi la 7a parte di un semitono. È uno scarto elevato, che nella terza maggiore si percepisce facilmente. Non vi prestiamo attenzione perché l’onnipresenza di tali terze nella nostra musica occidentale - tanto classica quanto folklorica, jazz o rock - fa sì che ci siamo abituati, ma basta aguzzare un poco l’udito per percepire una sensibile stonatura. Queste «rozze e irritanti terze maggiori del temperamento equabile» 1 han fatto sì che, fino a 200 anni fa, tale intervallo non venisse accettato. Dal Medioevo fino all’inizio del XIX secolo la nostra musica occidentale - tanto colta che popolare - si è sviluppata sulla base di una grande varietà di «temperamenti inequabili», in cui l’ottava si suddivideva, sì, in dodici semitoni, ma spaziati in maniera disuguale in modo tale che piccole differenze producevano un apprezzabile miglioramento delle terze maggiori di uso più frequente 2. La questione del temperamento è ben lungi dall’essere una curiosità acustica, matematica o storica. La musica antica veniva scritta tenendo conto del modo in cui i musicisti che la interpretavano accordavano i loro strumenti. Quando ascoltiamo musica antica eseguita con un temperamento simile a quello pensato dal compositore, l’opera suona decisamente più intonata e le stonature che eventualmente si producono suonano come effetti particolari di cui il compositore ha tenuto conto, quando non li ha cercati espressamente. Concludendo, il temperamento è una componente importante dell’interpretazione, che fa quindi parte del messaggio che gli autori antichi lasciarono implicito nella loro musica. 2. Il Medioevo pitagorico Il nostro sistema di toni e semitoni nasce nel Medioevo a partire dal «circolo pitagorico delle quinte», metodo di accordatura che i filosofi pitagorici medievali attribuivano a Pitagora (vissuto nel VI secolo a. C., ossia molti secoli prima di loro ...). Esso consiste semplicemente nel partire da una nota, intonare la successiva alla quinta giusta e proseguire per quinte successive sempre partendo dall’ultima nota accordata. Se cominciamo dal Fa, otteniamo successivamente Do, Sol, Re, La, Mi e Si, tutti intonate per quinte pure. Così nasce la nostra scala diatonica di sette note. Nel corso del Medioevo, le necessità melodiche - e a volte anche armoniche nella nuova musica polifonica - richiedono man mano nuovi suoni, che si chiameranno diesis o bemolli. Anch’essi si ottengono per quinte, denominate quinte cromatiche. Salendo per quinte dal Si si ottengono successivamente Fa#, Do# e Sol#. Scendendo per quinte dal Fa otteniamo Sib e Mib. JEAN-JACQUES ROUSSEAU, voce Tempérament in Dictionnaire de musique, Paris, 1765. Per comprendere il resto di questo testo è importante tener presente la «legge della conservazione della dissonanza»: non è possibile migliorare alcune terze senza peggiorare le altre. I due estremi, Sol# e Mib, producono una quinta estremamente dissonante che venne denominata «quinta del lupo» per i suoi «ululati», ossia i battimenti prodotti dalla sua scordatura. Questo fatto era, all’epoca, una curiosità accademica: con undici delle dodici quinte perfettamente accordate, essa era di troppo per le necessità della musica medievale. Fig. 1 - Circolo pitagorico delle quinte Il problema dell’accordatura pitagorica risiede nelle terze. Accordando per quinte pure si producono terze molto stonate, peggiori di quelle del moderno temperamento equabile che abbiamo analizzato in precedenza! Vediamo perché. Nella scala pitagorica accordiamo le quinte, non le terze. Per ottenere la terza maggiore dobbiamo alzarci di quattro quinte (per es. Do - So - Re - La Mi) e scendere di due ottave. In termini di frequenze, occorre moltiplicare quattro volte per 1,5 e dividere 2 volte per 2, cioè 1,5 x 1,5 x 1,5 x 1,5 / (2 x 2) = 1,265. Abbiamo visto sopra che la terza maggiore pura equivale al quoziente 1,25. Questa differenza, denominata «comma sintonico», è approssimativamente la 5a parte di un semitono. La soluzione dei musicisti medievali fu quella di trattare la terza maggiore come dissonanza che risolveva su una quinta pura (o sulla sua inversione, la quarta, che risultava anch’essa pura). Fig. 2 - Quinte e terza maggiore nella scala pitagorica. Se vogliamo interpretare oggi la musica medievale, altrettanto e ancor più importante che utilizzare strumenti dell’epoca è accordare in maniera tale che le consonanze e le dissonanze prescritte in partitura risultino udibili. Dobbiamo quindi utilizzare la scala pitagorica: dato che si basa su quinte e quarte pure, risulta molto facile intonarla con precisione. 3. L’utopia della giusta accordatura Il Rinascimento musicale introduce il concetto di terze maggiori considerate come consonanze. La scala pitagorica diventa pertanto inaccettabile e molti teorici propongono di «sacrificare» una delle quattro quinte: se la scordiamo sufficientemente - riducendola in misura uguale al comma sintonico - la terza maggiore resterà pura. Fig. 3 - Quinte e terze maggiori secondo l’accordatura giusta Ripetendo questo procedimento lungo il circolo delle quinte si ottiene un massimo di 8 quinte pure e 8 terze maggiori pure. Disgraziatamente, rimangono 4 quinte estremamente stonate: veri «lupi» inutilizzabili. Peggio ancora, esse sono collocate in modo ciclico: una ogni quattro quinte del circolo, ostacolando qualsiasi modulazione. I musicisti trovarono presto un diverso sistema di accordatura che avrebbe risolto il problema, come vedremo nel paragrafo seguente. I teorici, invece, rimasero affascinati dal fatto che tutti i quozienti degli intervalli nell’«accordatura giusta» erano matematicamente semplici - il che concordava con le tradizioni filosofiche pitagoriche - e continuarono a parlare di accordatura giusta come «scala naturale» o «teorica», a prescindere dal fatto che, storicamente, i musicisti probabilmente non la utilizzarono mai nella pratica. 4. Una soluzione rinascimentale: l’accordatura del tono medio Modificare una quinta su quattro - riducendola di un comma sintonico - non è l’unico modo per ottenere delle terze maggiori pure. Un altro sistema è ridurre tutte le quinte di 1/4 di comma sintonico. La scordatura - un po’ più del doppio delle quinte nel moderno temperamento equabile - è percepibile ma risulta accettabile, cosa che non accadeva con le quinte stonate dell’accordatura giusta. Fig. 4 - Quinte e terze maggiori nell’intonazione media Per accordare secondo il tono medio l’essenziale è fare in modo che le prime quattro quinte vengano ridotte in misura simile e che formino una terza pura. Una volta fatto questo, il resto dell’accordatura si può realizzare per terze maggiori pure. Una conseguenza interessante è che le terze minori risultano anch’esse quasi pure. L’accordatura giusta produceva due dimensioni diverse di tono: il «tono grande» o «maggiore», creato da due quinte pure, e il «tono piccolo» o «minore» creato da una quinta pura e una quinta ridotta (cfr. Fig. 3). Utilizzando quinte uguali, tutti i toni presentavano invece una dimensione media, da cui le denominazioni di «accordatura del tono medio», «intonazione media» o «mesotonica» (cfr. Fig. 4). Il problema dell’intonazione media è dato dal fatto che, come nelle accordature precedenti, il circolo delle quinte non si chiude. Procedendo come descritto sopra, otteniamo 11 quinte accettabili e 8 terze maggiori pure. La quinta rimanente e, cosa ancora peggiore, le 4 terze maggiori restanti sono «lupi» eccessivamente grandi. Fortunatamente questi «lupi» compaiono in tonalità poco usuali, con molti diesis e bemolli: i musicisti del Rinascimento e del primo Barocco risolsero il problema semplicemente evitando i «lupi». In teoria, l’enarmonia (per esempio Sol# accordato come tale ma utilizzato come Lab) non era possibile poiché implicava una forte stonatura, ma nella pratica poteva essere utilizzata per intervalli dissonanti (seconde o settime) oppure mascherando la stonatura di un «lupo» con un trillo. I suoi numerosi pregi - quinte accettabili, terze e seste pure, facilità di accordatura - han fatto sì che l’accordatura mesotonica sia stata considerata come il sistema universale di accordatura nella musica occidentale durante i secoli XVI e XVII. Producendo eccellenti accordi e scale, l’accordatura del tono medio fu uno dei pilastri nello sviluppo dell’armonia classica. 5. Varianti dell’intonazione media La scala pitagorica, il temperamento equabile e l’intonazione media presentano una caratteristica comune: sono scale «regolari», che si ottengono, cioè, intonando quinte di identico tipo. A partire da questa impostazione, durante i secoli dal XVI al XVIII vennero proposte numerose varianti, sia con quinte più grandi che con quinte più piccole di quelle del temperamento medio. Se riduciamo un po’ di più le quinte - come proposero Francisco Salinas (1513-90) e altri teorici - otteniamo necessariamente terze minori e seste maggiori realmente pure ma le quinte divengono inaccettabili. Più ragionevole è ridurre le quinte di meno che nell’accordatura del tono medio, e proposte di questo tipo abbondarono durante il Barocco come mezzo per attenuare i «lupi». Ciò di cui i teorici non si accorsero fu che, ampliando le quinte, le terze maggiori si stonavano molto più sensibilmente di quanto migliorassero i «lupi»; per di più, l’assenza di intervalli puri rendeva più difficile e imperfetta l’accordatura. Per tutti questi motivi, malgrado l’abbondanza delle proposte alternative, l’intonazione del tono medio - che riduceva ogni quinta di quel tanto necessario per produrre terze maggiori pure - fu quella che sempre prevalse nella pratica. 6. La spirale delle quinte Fig. 5 - Spirale di quinte di 17 note per ottava Verso la fine del Rinascimento le limitazioni dell’accordatura mesotonica divennero un problema. La trasposizione era frequente data l’assenza di un diapason di altezza assoluta ed anche per rendere possibile l’esecuzione di una partitura concepita per una voce o uno strumento diversi da quelli che si volevano utilizzare. Con l’intonazione media, qualsiasi trasposizione portava facilmente alla «tana dei lupi». C’era una soluzione teorica: ignorando i «lupi», si poteva continuare ad accordare per terze pure al grave e all’acuto, moltiplicando le note dell’ottava in una spirale di quinte teoricamente infinita. (cfr. Fig. 5). Se intoniamo tutte le quinte secondo l’accordatura del tono medio, la spirale si chiude con 31 note per ottava, convertendosi così in un grande circolo che include tutti i doppi diesis e i doppi bemolli. Torneremo sulla questione più avanti. Senza andare così lontano, però, per tutto il periodo barocco si pubblicarono metodi per strumenti a fiato con diteggiature distinte per i diesis e per i bemolli equivalenti. Violinisti e violoncellisti sapevano di dover alzare leggermente l’intonazione per passare da un diesis al bemolle enarmonico. Sugli strumenti a tastiera la soluzione era cambiare l’accordatura di diesis e bemolle secondo l’opportunità: per esempio, si prendeva il Sol# (accordato come terza pura sopra il Mi) e lo si riaccordava come Lab (come terza pura inferiore dal Do) e se occorreva si riaccordava il Do# (terza pura sopra il La) come Reb (terza pura sotto il Fa). Non era molto pratico ma si faceva. Un’altra soluzione furono le «tastiere non-enarmoniche» (cromatiche), con alcuni tasti neri divisi, con due meccanismi indipendenti che producevano l’uno il diesis e l’altro il bemolle. Fig. 6 - Tastiera cromatica con 14 note per ottava Questi strumenti, alcuni dei quali si sono conservati, erano di fabbricazione costosa e di difficile esecuzione, e scomparvero durante il Barocco. Guardando le cose da un altro punto di vista, si constata che per produrre una spirale di quinte non è indispensabile utilizzare l’accordatura mesotonica: qualunque scala regolare può servire, ad esempio quella pitagorica. È interessante comparare i semitoni prodotti dalle spirali della scala pitagorica e dall’accordatura mesotonica con i semitoni del temperamento moderno. Fig. 7 - L’altezza dei semitoni nelle tre scale classiche. Al giorno d’oggi non ha senso interrogarsi se i diesis devono essere «in teoria» più alti o più bassi dei bemolli. Dipende tutto dalla scala che si utilizza: in quella pitagorica i diesis sono più alti, in quella mesotonica sono più bassi, nel temperamento equabile coincidono. 7. Suddivisioni multiple dell’ottava In questo modo vengono denominate le scale con più di dodici suoni per ottava. Si dividono in tre famiglie. Abbiamo sopra analizzato una di esse: la spirale delle quinte nell’intonazione del tono medio. La seconda famiglia è quella delle «accordature giuste multiple» che cercavano di migliorare l’accordatura giusta: se la quinta La-Mi è necessariamente ridotta, inventiamo un La alternativo accordato in modo puro con il Mi, ecc. Questa linea di ragionamento trovò i suoi seguaci e nel corso dei secoli vennero prodotte ingegnose tastiere e meccanismi diversi. Fig. 8 - Quinte e terze maggiori nelle accordature giuste multiple Disgraziatamente, anche le cadenze più abituali dell’armonia richiedono il cambiamento di una nota con quella alternativa: il procedimento è difficile per l’esecutore e fastidioso per l’ascoltatore che percepisce un mutamento di altezza di quasi 1/4 di semitono. Si spiega così il fallimento di tali tentativi. La terza famiglia è costituita dalle «divisioni regolari multiple»: una spirale di quinte regolari - pitagoriche, mesotoniche o altro - finché i suoi due estremi coincidano con uno scarto inudibile. Matematicamente è dimostrabile come ciò accada sempre con meno di 70 note per ottava. Per esempio: come abbiamo visto, la spirale delle quinte nell’intonazione del tono medio si chiude con 31 note per ottava, come scoprì nel XVI secolo Nicola Vicentino3. Con questa suddivisione si evitano tutti i «lupi» e si hanno possibilità di modulazione illimitate, non l’enarmonia. Il tono rimane suddiviso in cinque parti uguali Do – Rebb - Do# - Reb – DoX - Re il che permette interessanti possibilità che furono esplorate proprio da Vicentino nelle sua audaci composizioni, anticipatrici della musica microtonale. Un seguace di Vicentino passò dalla teoria alla pratica costruendo un impressionante clavicembalo che può essere ammirato al Museo Civico di Bologna. NICOLA VICENTINO, L’antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma, 1555. Vicentino intendeva ricostruire le scale secondo l’antica teoria greca: di qui il titolo. Fig. 9 - Tastiera del CLAVEMUSICUM OMNITONUM costruito da Vito Trasuntino e datato 1606, esistente oggi in Bologna Sono evidenti le difficoltà enormi di fabbricare, accordare e utilizzare strumenti di questo tipo, che - com’era auspicabile - non prosperarono. Le «divisioni regolari multiple» furono esattamente questo: multiple. Tutte erano destinate al fallimento perché la musica tonale richiede - quinte non peggiori di quelle dell’intonazione del tono medio - terze maggiori uguali o migliori di quelle del temperamento equabile. Oggi è possibile dimostrare matematicamente che per superare (secondo questi criteri) la «divisione 12» - il nostro temperamento - bisogna saltare alla «divisione 31» di Vicentino. Si spiega in questo modo il perché la musica occidentale abbia proseguito la sua via usando la divisione dell’ottava in 12 note, dopo che era scomparsa la scala pitagorica che l’aveva originata. 8. Il temperamento francese Durante il Barocco i musicisti francesi si allontanarono dalla regolarità dell’accordatura mesotonica per cercare di ottenere una maggiore libertà di modulazione, pur mantenendo per quanto possibile la purezza delle terze. Negli ultimi decenni del XVII secolo i francesi utilizzavano già un’intonazione media modificata che chiameremo «tripartizione del lupo»: invece di ridurre 11 quinte su 12, ne venivano ridotte solo 9 e le tre rimanenti risultavano leggermente larghe. In questo modo scompariva la «quinta del lupo». Più interessante era ciò che accadeva alle terze maggiori. Con l’accordatura mesotonica abbiamo 8 terze pure e 4 «lupi». La «tripartizione del lupo» otteneva in cambio 6 terze pure, 4 accettabili e solo 2 «lupi». Se potevano utilizzare enarmonicamente il Mib come Re# e il Sol# come Lab. Accordature di questo genere continuarono ad essere utilizzate in Inghilterra fino alla metà del secolo XIX. In Francia, però, l’evoluzione ben presto si spinse oltre e, dato che con la «tripartizione del lupo» si era ottenuta la possibilità di usare l’enarmonia per due note, non si tardò ad arrivare ad un sistema in cui solamente alcune (tipicamente 7) quinte «diatoniche» seguivano l’accordatura mesotonica (producendo solo tre terze maggiori pure: Do-Mi, Sol-Si e Re-Fa#); le altre quinte andavano allargandosi gradualmente in direzione dell’antico «lupo», più rapidamente verso i bemolli. Con una tale asimmetria percepibile sebbene non troppo pronunciata - le tonalità con i diesis risultavano un po’ più consonanti di quelle con i bemolli. È questo il tempérament ordinaire ovvero tempérament établi della Francia del XVIII secolo e degli Enciclopedisti. Tutte le descrizioni dell’epoca sono empiriche: il sistema era troppo complesso per i matematici dell’epoca. Nella pratica, era senza dubbio di grande effetto: tutte le quinte erano buone e tutte le terze erano eseguibili, benché andassero da quelle pure alle peggiori, appena tollerabili. Si poteva utilizzare integralmente l’enarmonia e si poteva lavorare in tutte le tonalità, benché «le tonalità naturali possono godere di tutta la purezza dell’armonia, mentre le tonalità trasposte, che si utilizzano nelle modulazioni meno frequenti, offrono validi espedienti al musicista quando gli occorrono espressioni più accentuate»4. 9. Clavicembali ben temperati Al di fuori di Francia e Inghilterra il panorama era assai diverso. Durante la seconda metà del XVII secolo musicisti tedeschi e italiani vennero abbandonando l’intonazione del tono medio a favore di metodi scaturiti dalla sperimentazione sulle quinte pure, cioè pitagoriche. Questi musicisti non erano interessati alle «espressioni più o meno accentuate» di cui avrebbe parlato Rousseau, bensì alla maniera pratica di accordare in modo tale che «tutte le tonalità sono utilizzabili, senza ostacoli a che vengano mantenute più pure le tonalità diatoniche»5 di uso più frequente. La soluzione, che nel giro di pochi decenni si diffuse in quasi tutta Europa e nelle colonie europee latinoamericane, fu tipicamente accordare come pure le 6 quinte «cromatiche» e ridurre equamente le quinte «diatoniche» fino a chiudere il circolo (questo è il sistema del Vallotti, ma ve ne sono altri, diversi in accordatura ma simili in risultato pratico). Con questa accordatura le migliori terze maggiori risultavano eccellenti - molto meglio che nel temperamento equabile - pur senza arrivare ad essere pure come nell’intonazione del tono medio. Modulando a tonalità con più alterazioni, le terze diventavano più dissonanti, finché le peggiori suonavano come quelle pitagoriche, ma non come «lupi». Oltre ad essere enarmonico, il nuovo «buon temperamento» presentava tonalità buone, medie e cattive similmente al temperamento francese, ma in modo più attenuato rispetto a quest’ultimo. Inoltre, il circolo delle quinte era simmetrico: la dissonanza aumentava modulando verso i diesis in misura uguale a quello che accadeva andando verso i bemolli. I teorici dell’epoca, soprattutto i tedeschi, proposero innumerevoli varianti: ruotare il circolo una quinta verso destra, includere una quinta pura tra quelle ridotte, accordare come pure 5 quinte e ridurne 7 e altre ancora. Per quanto riguarda il risultato pratico all’ascolto, le differenze tra tali varianti sono assai poco significative. J.-J.ROUSSEAU, op. cit. ANDREAS WERCKMEISTER, Musikalische Temperatur, Francoforte-Lipsia, 1691. Recenti ricerche hanno confermato su base acustica ciò che si sapeva da tempo su base storica: il «buon temperamento» era la scala ideale per la musica di J. S. Bach6. Il suo Clavicembalo ben temperato fu più un’opera didattica che pionieristica, destinata alla divulgazione gli amatori di una pratica che già era comune tra i professionisti. 10. La lenta e difficile carriera del temperamento equabile Antichissimo per quanto riguarda la teoria, la sua applicazione pratica ebbe inizio nel Rinascimento come metodo per collocare i capotasti negli strumenti a corde pizzicate e ad arco. Molto popolare fu la «regola del 18»: per collocare un capotasto «un semitono più acuto» occorreva accorciare la lunghezza della corda vibrante di 1/18. Acusticamente ciò non è esatto ma la discrepanza prodotta è compensata dalla pressione del dito sul tasto e il risultato è molto preciso. Non c’erano calcolatrici per dividere per 18 ma era facile farlo geometricamente dividendo la lunghezza prima per due e successivamente due volte per tre. Fig. 10 - Rappresentazione geometrica delle «regola del 18» Questa pratica precoce del temperamento equabile scomparve durante il secolo XVII allorché, con l’affermarsi della pratica barocca del basso continuo, i musicisti presero ad accordare utilizzando come riferimento la tastiera, che veniva accordata con il sistema mesotonico e i suoi successori. «Per accordare il violino con precisione ... le quinte devono essere accordate ... ridotte dalla loro condizione di purezza ... in modo tale che gli strumenti a corde nell’aria restino all’unisono con la tastiera»7. La pratica moderna del temperamento equabile inizia alla metà del secolo XVIII come graduale evoluzione del «buon temperamento» (varianti che andavano riducendo il numero delle quinte pure al minimo). Tale evoluzione è conseguenza del nuovo stile che oggi chiamiamo Classicismo. «Con il nuovo metodo ... si accorda la maggioranza delle quinte ridotte molto leggermente ... La tastiera rimane equalmente accordata in tutte le 24 tonalità»8. Fu questo concetto dell’«accordatura uguale», o più esattamente della «scordatura uguale», che finì per imporre il temperamento equabile nella pratica musicale occidentale. In Francia e in Inghilterra l’accordatura mesotonica e i suoi derivati continuarono ad essere utilizzati fino alla fine del secolo XVIII. Con il Romanticismo, i francesi prima e gli inglesi poi aderirono al temperamento equabile che già dominava nel resto dell’Europa. JOHN BARNES, Bach’s keyboard temperament, in «Early Music», VII (1979), n.2. JOHANN JOACHIM QUANTZ, Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen», Berlino, 1752. CARL PHILIPP EMANUEL BACH, Versuch über die wahre Arte das Clavier zu Spielen, Berlino, 1753. 11. Comparazione generale delle terze Può essere interessante comparare le principali scale in uso dal Rinascimento ai nostri giorni. Le ottave sono sempre pure e le quinte sempre accettabili (eccezion fatta per un «lupo» che non si utilizzava nella pratica). Tra le impressionanti controversie sopra il temperamento che abbondarono dal Medioevo fino al Romanticismo, si trova un punto di coincidenza generale: «L’accordatura si prova solo attraverso le terze (maggiori), e quando le terze sono buone, l’accordatura è buona»9. La seguente tabella evidenzia le deviazioni delle terze in «cents», ovvero centesimi di semitono temperato (come tipico esempio di «buon temperamento» è stata assunta la scala di Vallotti). DEVIAZIONI DELLE TERZE MAGGIORI IN CENTS Scala Migliori Peggiori ------------------------- Cents Cents Intonazione media 0 Temperamento francese 0 Buon temperamento 6 22 14 14 Temperamento equabile 41 da 26 a 30 Quantità e tipo 4 lupi 3 cattive 3 pitagoriche === 12. Romanticismo e decadenza del temperamento A differenza delle altre scale, la pratica del temperamento equabile non richiede la conoscenza di nessuno dei concetti trattati finora, né tantomeno una conoscenza profonda dei principi dell’accordatura e della consonanza. Di conseguenza, negli ultimi 200 anni si è diffusa tra musicisti e accordatori una sbalorditiva ignoranza al riguardo. La maggioranza di essi si limita a sapere che una quinta equalmente temperata si ottiene riducendo in modo quasi impercettibile una quinta pura. Quanto alle terze, tutti noi siamo abituati alla sua uniforme scordatura. Questi fattori - ignoranza e tolleranza verso le terze scordate - condussero nel secolo passato al mito che l’accordatura «teoricamente perfetta» fosse per quinte pure. Seguendo questo ideale pitagorico vediamo ancora oggi quasi tutti i violinisti, violisti e violoncellisti assumere una sola nota come riferimento - il La - e accordare le altre corde per quinte pure. Dopo di che si lamentano che la corda più grave dello strumento risulta troppo bassa rispetto allo strumento a tastiera e attribuiscono il problema al «temperamento impreciso» di quest’ultimo. Tuttavia affermano che il tono è diviso in «nove comma» e che «un diesis è di un comma più acuto rispetto al suo bemolle enarmonico», cosa che è valida solo per la scala pitagorica e per nessun’altra, neanche approssimativamente. Come conseguenza, alzano le sensibili, quando sarebbe meglio abbassarle per migliorare le terze maggiori, come si faceva nel Barocco. JEAN DENIS, Traité de l’accord de l’épinette, Parigi, 1650. 13. Il ritorno alle scale inequabili Quando il temperamento equabile si diffuse in Europa, diversi musicologi elevarono nei suoi confronti aspre critiche poiché i musicisti si vedevano «privati della forte varietà tra i diversi affetti delle tonalità»10 che erano permessi dai temperamenti inequabili. Essi avvertirono chiaramente che «il temperamento equabile distrugge la differenza di carattere che dovrebbe esistere, su uno strumento ben accordato, tra le diverse tonalità maggiori»11. Si trattò di prediche nel deserto, giacché il linguaggio musicale romantico non necessitava di tale differenziazione. Riguardo alla musica antica, non c’era il minimo interesse per una sua interpretazione fedele. Per una buona metà del secolo scorso quasi tutta la conoscenza di quanto riguardava i temperamenti era sepolto in antichi documenti che non presentavano alcun interesse per la cultura musicale dell’epoca. Solo nel nostro secolo ebbero inizio le ricerche sistematiche sul temperamento. Nel 1951 Barbour pubblicò un trattato in cui, pur con gravi errori ed omissioni, descrive più di cento temperamenti storici12. Egli non identifica il temperamento francese come un sistema a parte e ignora l’importante e diffuso apporto di Rousseau al riguardo. Cosa ancora peggiore, i suoi pregiudizi lo condussero a raccontare tutta la storia del temperamento come un’inesorabile evoluzione verso il temperamento equabile, valutandone la bontà dal successo ottenuto! Grazie a Barbour, l’argomento ricadde nel dimenticatoio per più di vent’anni. L’attuale rinascita inizia alla fine degli anni Sessanta come conseguenza della tendenza verso una «interpretazione autentica». Indipendentemente però da questa, i musicisti si resero conto che la musica antica suona più intonata se si utilizza la scala storica appropriata. E da un punto di vista pratico, accordare uno strumento a tastiera secondo una scala storica è più facile che utilizzare la scala temperata. Il ritorno agli strumenti storici dette un nuovo impulso: gli strumenti a fiato antichi producono in modo naturale le scale rinascimentali e barocche, ed è molto più faticoso cercare di far sì che suonino in modo più simile al temperamento equabile13. Oggi si può dire che le scale antiche sono prassi abituale - anche se con vari livelli di conoscenza e di fedeltà - fra i complessi che utilizzano strumenti antichi. J.-J.ROUSSEAU, op. cit. LORD CHARLES STANHOPE, Principles of the Science of Tuning Instruments with Fixed Notes, in «Philosophical Magazine», Londra, 1806. J. MURRAY BARBOUR, Tuning and Temperament: a historical survey, East Lansing, Michigan, 1951. CLAUDIO DI VEROLI, Unequal Temperaments in the Performance of the Early Music, Farro, Buenos Aires, 1978. (nuova versione: http://temper.braybaroque.ie)