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Anno L\rIII - NN. S 1-4 Gennaio-Dicembre 2010 TIJD I ROMANI RI\{STA TRIMESÏRAIE DELLISTITUTO NAZIONAIE DI STUDI ROMANI ó6 j& À' ,(J s, oE Eo 5d ͧ <§ +j DIKEZIONE E AMMINISTMZIONE ROMA . PIAZZA DEI CAVALIEN DI MALTA 2 . TEL. 06/'74,34,42 LA “ FEDE DI ROMA ” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA IL MITO DELLA ROMANITÀ E L’ISTITUTO DI STUDI ROMANI TRA CARLO GALASSI PALUZZI E GIUSEPPE BOTTAI del fascismo italiano è ormai abbastanza nota. Gli studi L sui meccanismi e le motivazioni, per così dire, culturali del fenoA STORIA meno sono invece in pieno sviluppo. Questi vertono, tra l’altro, a riconoscere una certa modernità al fascismo che, in quanto movimento e regime totalitario, è stato definito una « religione politica », disponendo di un proprio mondo estetico, di un proprio culto. All’inizio di questo studio esporremo brevemente tale carattere moderno, cultuale e totalitario del fascismo italiano, per passare ad analizzare l’importanza riconosciuta al passato, italiano e soprattutto romano, che si può riassumere nella nozione di romanità, in rapporto alla suddetta natura totalitaria e moderna del fascismo. Non è nostra intenzione presentare uno studio totale sull’importanza del mito della romanità sotto il fascismo, lavoro che peraltro è già stato fatto da molti studiosi (vd. infra); vogliamo solo evidenziare alcuni aspetti che hanno segnato la storiografia sul fenomeno, per poi illustrare il ruolo svolto dall’Istituto di Studi Romani, ed alcuni aspetti sconosciuti del rapporto di amicizia tra il suo fondatore, Carlo Galassi Paluzzi, e il gerarca fascista Giuseppe Bottai. La focalizzazione sull’Istituto e sulla relazione Galassi Paluzzi-Bottai fa sì che il presente studio non verta solo su un’importante manifestazione di politicizzazione della cultura, ma anche su alcuni aspetti del ruolo che definiremmo imprenditoriale, nel campo della cultura, durante la modernità totalitaria fascista, in un clima in cui si glorificò e si 360 JAN NELIS strumentalizzò un lontano passato con lo scopo di creare un futuro nuovo, italiano e fascista (1). Il fascismo italiano e la modernità totalitaria Negli ultimi decenni, lo studio del movimento e del regime fascista italiano ha avuto diversi sviluppi importanti, specie in rapporto all’importanza centrale della cultura – intesa in senso ampio – in chiave ideologica, la Weltanschauung fascista. Sembra essersi instaurato, tra i più importanti e innovatori esponenti della comunità scientifica, un clima di più spassionata ricerca; ci si avvicina ad una più raffinata comprensione dei meccanismi psicologici che costituirono le radici stesse dello habitus mentis fascista. Pur accogliendo pienamente il ben noto bilancio storico del fascismo, inclusa la variante italiana, è stato riconosciuto un certo grado di originalità e genuinità, quasi per così dire creativa, al pensiero e alle azioni dei fascisti. Anche se alcuni tratti del fenomeno fascista implicavano inevitabilmente, per la loro stessa natura, la negazione e l’annichilimento di molti aspetti che vanno oggi considerati come fondamentali al buon funzionamento della società civile, primo tra tutti, la garanzia di un massimo grado di libertà, sta comunque emergendo dalla più recente storiografia l’immagine di un fascismo portatore anche di una certa volontà organizzativa e costruttiva. Questa volontà si manifestò in parte nelle parole, cioè nei miti che ispiravano la cultura fascista, e in parte anche negli atti, nelle forme, ovvero sul piano estetico della cultura fascista. Tutto questo è il prodotto di una comprensione del fascismo dall’interno, cioè di una visione che tiene conto dello specifico modus vivendi et cogitandi fascista. È soprattutto grazie al lavoro di Emilio Gentile, il maggior esponente della cosiddetta scuola defeliciana – in riferimento allo storico del fascismo Renzo De Felice (2) –, e dello stesso De Felice prima di (1) La mia profonda gratitudine va all’amico Massimiliano Ghilardi, Direttore Associato dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, per i preziosi e stimolanti consigli che ha avuto la cortesia di riservarmi. Un particolare ringraziamento va anche alla dottoressa Maria Teresa Galassi Paluzzi Tamassia e a suo marito, per la cordiale accoglienza nella loro casa a Grottaferrata e per la gentile concessione delle fonti che ho ivi consultate. (2) A Renzo De Felice risale, seguendo la pubblicazione del quarto volume della sua monumentale biografia di Mussolini (R. DE FELICE, Mussolini il duce: I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974), l’idea di un certo grado di consenso con il regime. Su questo di- LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 361 lui, che una graduale evoluzione verso una conoscenza sempre più ricca e completa si è messa in moto e si è offerta una visione interiorizzata della vita e della cultura fascista, tentando di ricostruire il fascismo non nei suoi effetti, ma nelle motivazioni, nella sua intenzionalità (vd. supra). Partendo dai lavori di Gentile sull’idea di italianità in Italia dal Risorgimento in poi, ossia sul mito della grandezza del popolo e della stirpe italiana come fattore di unità nazionale (o, ovviamente, sulla sua mancanza), le tesi di Gentile si sono indirizzate, attraverso varie tappe (3), verso un primo apice, che è costituito da Il culto del littorio (1993) (4), libro preceduto da una più concisa riflessione sul fascismo come « religione politica » pubblicata nel « Journal of Contemporary History » nel 1990 (5). Riservando ampio spazio all’importanza della cultura di e durante il fascismo, il Culto ha ispirato, direttamente e indirettamente, una notevole quantità di studi sulla cultura sotto il regime fascista (6). In questa categoria si possono collocare i vari studi dedicati all’arte, all’architettura, al teatro, al cinema etc., del ventennio fascista, insieme a ricerche, specie quelli di Pier Giorgio Zunino e dello stesso Gentile, sui miti del fa- battito, si vedano IDEM, Fascism. An Informal Introduction to its Theory and Practice. An Interview with Michael A. Ledeen, New Brunswick 1976; M. A. LEDEEN, Renzo De Felice and the Controversy over Italian Fascism, in « Journal of Contemporary History », XI (1976), 4, pp. 269-283; A. J. GREGOR, Professor Renzo De Felice and the Fascist Phenomenon, in « World Politics », XXX (1978), 3, pp. 433-449; A. LYTTELTON, J. PETERSEN, G. SANTOMASSIMO, Il Mussolini di Renzo De Felice, in « Passato e presente », I (1982), pp. 5-30, e B. G. PAINTER JR., Renzo De Felice and the Historiography of Italian Fascism, in « The American Historical Review », XCV (1990), 2, pp. 391-405. Si veda anche E. GENTILE, Renzo de Felice: lo storico e il personaggio, Roma-Bari 2003. (3) Si vedano ad esempio E. GENTILE, Le origini dell’ideologia fascista 1918-1925, Bologna 1975; IDEM, Mussolini e “ La Voce ”, Firenze 1976, e IDEM, Il mito dello stato nuovo dall’antigiolittismo al fascismo, Roma-Bari 1982. (4) IDEM, Il culto del littorio, Roma-Bari 1993. (5) IDEM, Fascism as Political Religion, in « Journal of Contemporary History », XXV (1990), 2-3, pp. 229-251. (6) Una variante di questi sono i cosiddetti studi “ culturalistici ”, che analizzano aspetti della cultura in stretta relazione con l’ideologia fascista, a volte identificandoli con essa. Buoni esempi, a nostro giudizio, sono S. FALASCA ZAMPONI, The Aesthetics of Politics: Symbol, Power and Narrative in Mussolini’s Fascist Italy, in « Theory, Culture & Society », IX (1992), 4, pp. 75-91; EADEM, Fascist Spectacle. The Aesthetics of Power in Mussolini’s Italy, Los Angeles-London 1997; M. BEREZIN, Making the Fascist Self. The Political Culture of Interwar Italy, IthacaLondon 1997; Donatello among the Blackshirts. History and Modernity in the Visual Culture of Fascist Italy, a cura di C. Lazzaro e R. J. Crum, Ithaca-London 2005. 362 JAN NELIS scismo e sulla sua sacralizzazione della politica, ovvero sul suo essere una religione politica (7). Vanno inoltre ricordati i lavori di Roger Griffin, iniziati con uno studio complessivo sul fenomeno del cosiddetto fascismo generico (8). Riflettendo sia sul concetto della “religione politica”, di cui mettono in discussione il valore e i limiti (9), che sul fenomeno della religione nella politica (10), in rapporto alla quale fa peraltro alcuni cenni al mito della romanità (11), Griffin ha sviluppato un’interessante riflessione sulle radici profonde del fascismo, sia tedesco sia italiano, nella modernità, basandosi, tra l’altro, sull’importanza del modernismo politico e artistico per il movimento e il regime fascista. Nel suo Modernism and Fascism, che a nostro avviso va letto insieme alle ricerche di Gentile sul fascismo come moto rivoluzionario, moderno e totalitario (12), Griffin argomen(7) Si vedano, tra gli altri, P. G. ZUNINO, L’ideologia del fascismo: Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna 1995; E. GENTILE, La grande Italia: Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano 1997; IDEM, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma-Bari 2001. (8) R. GRIFFIN, The Nature of Fascism, London 1991. (9) IDEM, Cloister or Cluster? The Implications of Emilio Gentile’s Ecumenical Theory of Political Religion for the Study of Extremism, in « Totalitarian Movements and Political Religions », VI (2005), 1, pp. 33-52. Si veda anche E. GENTILE, Fascism, Totalitarianism and Political Religion: Definitions and Critical Reflections on Criticism of an Interpretation, ibidem, V (2004), 3, pp. 326-375. (10) Si veda R. GRIFFIN, The “ Holy Storm ”: “ Clerical Fascism ” through the Lens of Modernism, in « Totalitarian Movements and Political Religions », VIII (2007), 2, pp. 213-227. Si vedano anche E. GENTILE, New idols: Catholicism in the face of Fascist totalitarianism, in « Journal of Modern Italian Studies », XI (2006), 2, pp. 143-170; R. MORO, Religione del trascendente e religioni politiche. Il cattolicesimo italiano di fronte alla sacralizzazione fascista della politica, in « Mondo contemporaneo. Rivista di storia », I (2005), pp. 9-67; IDEM, Religion and Politics in the Time of Secularisation: The Sacralisation of Politics and Politicisation of Religion, in « Totalitarian Movements and Political Religions », VI (2005), 1, pp. 71-86. (11) R. GRIFFIN, Modernism and Fascism. The Sense of a Beginning under Mussolini and Hitler, Houndmills-Basingstoke-Hampshire-New York 2007, pp. 222-223. In questo libro, Griffin ha sintetizzato e spostato su un livello più generalmente storiografico alcune tematiche già trattate, ma con un focus rimasto essenzialmente sul mondo artistico e intellettuale, da Walter R. Adamson. Si vedano W. R. ADAMSON, Fascism and Culture: Avant-Gardes and Secular Religion in the Italian Case, in « Journal of Contemporary History », XXIV (1989), 3, pp. 411-435; IDEM, Modernism and Fascism: The Politics of Culture in Italy, 1903-1922, in « The American Historical Review », LCV (1990), 2, pp. 359-390; IDEM, The Language of Opposition in Early Twentieth-Century Italy: Rhetorical Continuities between Prewar Florentine Avant-gardism and Mussolini’s Fascism, in « Journal of Modern History », LXIV (1992), 1, pp. 22-51 e IDEM, Avant-Garde Florence. From Modernism to Fascism, Cambridge (Mass.) - London 1993. (12) Si vedano di E. GENTILE: The Conquest of Modernity: From Modernist Nationalism LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 363 ta che nei loro intenti, molti fascisti si comportavano « modernisticamente »: lo Stato fascista voleva essere dinamico e creativo, creatore di un’arte e una cultura nuova, totalitaria, fascista. In un tempo di miti, il fascismo non proponeva un ritorno al passato, ma piuttosto una via alternativa nella modernità, benché si ispirasse ad un’idea del passato come insieme di valori eterni e sacri. In questo senso, il fascismo non andava incontro alla modernità, ma la anticipava. Il mito della romanità, o la permanenza dell’antico nel segno dello Stato nuovo fascista Una lettura dell’estesa storiografia sul mito della romanità sotto il fascismo evidenzia le difficoltà che gli studiosi hanno incontrato nell’analizzare l’uso contemporaneo di un passato antico, di un «historic imaginary» (13). Infatti, una volta stabilito l’argomento di interesse specifico, sia questo la romanità nella sua totalità o in qualche suo aspetto particolare (vd. infra), inizia il grave compito di soppesarne la portata, di giudicarne la natura, o, per così dire, il suo essere intimo. Anche se oggi la communis opinio riguardante il fascismo e la cultura fascista si è allontanata dall’idea del movimento e del regime come semplice « parentesi storica » o come « malattia del tempo » (14), risulta molto difficile per lo studioso non lasciarsi guidare, in un modo o un altro, dal sopraccennato bilancio storico del ventennio. Come osservò Fleming, parlando dello studio di arte ed estetica sotto il fascismo: While many studies are prepared to explore and highlight ways in which Italian Fascism and Nazism engaged with, manipulated, and controlled the artistic and to Fascism, in « Modernism/Modernity », I (1994), 3, pp. 55-87; IDEM La via italiana al totalitarismo, Roma 1995; IDEM Il fascismo e la modernità totalitaria, in Che cos’è il fascismo? Interpretazioni e prospettive di ricerca, a cura di A. Campi, Roma 2003, pp. 37-63; IDEM The Struggle for Modernity. Nationalism, Futurism, and Fascism, Westport 2003; IDEM La Grande Italia: Il mito della nazione nel XX secolo, Roma-Bari 2006 e La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, nuova ediz. Roma 2008. (13) Si veda C. FOGU, The Historic Imaginary. Politics of History in Fascist Italy, Toronto-Buffalo-London 2003. (14) Questa metafora è presente negli studi di, tra gli altri, Angelo Tasca, Fabio Cusin, Luigi Salvatorelli e Palmiro Togliatti. Si vedano: L. SALVATORELLI, Nazionalfascismo, Torino 1923; A. TASCA, Nascita e avvento del fascismo, Firenze 1999; A. ROSSI, La naissance du fascisme, Parigi 1938; F. CUSIN, Antistoria d’Italia. Una demistificazione della storia ufficiale. Un’Italia sotto luce diversa, Torino 1948 e P. TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo, Roma 1970. 364 JAN NELIS wider cultural world for their own ideological ends, the idea that these regimes approached the artistic and the aesthetic in any other respect than political and ideological opportunism was, and for many remains, an anathema. Obviously this perspective has been heavily influenced by the human cost of these regimes (15). Nel contesto che qui ci interessa, cioè la romanità, basti notare che parole come « abuso » dell’antichità classica (16), « falsificazione » della realtà storica (17), o altri giudizi molto pronunciati, come quello di Giardina e Vauchez sull’archeologia fascista (18) o di La Penna sulla cultura della romanità in generale (19), costituiscono la regola piut(15) K. FLEMING, The Use and Abuse of Antiquity. The Politics and Morality of Appropriation, in Classics and the Uses of Reception, a cura di C. Martindale e R. F. Thomas, Oxford-Malden (Mass.) - Carlton 2006, pp. 127-137 (p. 133). Riguardo lo studio del classicismo architettonico nazista rimandiamo a J. NELIS, Classicismo nell’arte del nazismo, in « Rivista Storica dell’Antichità », XXXII (2002), pp. 271-286. Per uno studio del Nachleben dell’antichità sotto il nazismo dal punto di vista dell’attivismo culturale nazista, specie da parte di Adolf Hitler, si veda IDEM, Modernist Neo-classicism and Antiquity in the Political Religion of Nazism: Adolf Hitler as Poietes of the Third Reich, in « Totalitarian Movements and Political Religions », IX (2008), 4, pp. 475-490. (16) È significativo non solo il titolo dell’articolo di Maria Wyke, ma anche il fatto che sia stato pubblicato come capitolo di un libro intitolato The Uses and Abuses of Antiquity: M. WYKE, Sawdust Caesar: Mussolini, Julius Caesar, and the drama of dictatorship, in The Uses and Abuses of Antiquity, a cura di M. Wyke e M. Biddiss, Bern-Berlin-Bruxelles-FrankfurtNew York-Wien 1999, pp. 167-186. (17) M. R. CHIAPPARO, Le mythe de la Terza Roma ou l’immense théâtre de la Rome fasciste, in Présence de l’Antiquité grecque et romaine au XXe siècle, Atti del convegno a cura di R. Poignault, Tours 30 novembre - 2 dicembre 2000, Tours 2002, pp. 399-420 (p. 409): « Le projet d’exaltation de la nouvelle grandeur acquise par la Rome fasciste avait permis la destruction de toutes les parties de l’ancienne ville qui ne rentraient pas dans le cadre représentatif et de célébration préconçu par le pouvoir, bouleversant en même temps l’ancien équilibre urbanistique de la ville. Au-delà des nécessités de modernisation des anciennes structures de Rome et d’aménagement du territoire, le fascisme opéra une falsification de l’histoire, se servant des travaux archéologiques dans un but d’auto-célébration et de mise en scène de sa conception de l’État, habilement masqué derrière des motivations scientifiques ». Anche in http://www.nuovorinascimento.org/n-rinasc/saggi/pdf/chiapparo/roma.pdf. (18) A. GIARDINA - A. VAUCHEZ, Il mito di Roma (Da Carlo Magno a Mussolini), Roma-Bari 2000, p. 231: « Nei lunghi anni in cui tutto ciò (cioè la politica urbanistica durante il ventennio) fu pensato e realizzato, decine di architetti, ingegneri, archeologi, storici dell’arte, fecero a gara nell’offrire al duce i propri servigi arrivando spesso a sottoporgli progetti molto più assurdi e devastanti di quelli che egli stesso aveva concepito: quasi un’intera generazione di tecnici e di studiosi partecipò a questa macabra competizione sulle spoglie di Roma. Per un ovvio fenomeno d’imitazione, il contagio si propagò dalla capitale in tutta la penisola, e furono poche le città che ne uscirono indenni ». (19) In questo contesto, parla della « trivialità pacchiana del tempo » A. LA PENNA, La rivista Roma e l’Istituto di Studi Romani. Sul culto della romanità nel periodo fascista, in Anti- LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 365 tosto che l’eccezione nel campo dei romanità studies. Anche se, salvo in casi eccezionali (vd. infra), tali giudizi non impediscono lo svolgimento di un discorso di alta qualità scientifica, questo tipo di engagement rimane, almeno così ci sembra, emblematico nello studio di argomenti legati al fascismo (20). È stato merito del cambiamento paradigmatico nell’indagine su questo ultimo fenomeno, manifestatosi sotto l’influsso di De Felice (21), Gentile (vd. supra) e George L. Mosse (22), l’aver riconosciuto il grande valore della cultura (intesa in senso ampio) nel fascismo italiano. Di conseguenza, nell’ambito della mitologia fascista, è oggi possibile analizzare la romanità come parte integrante della realtà fascista, non solo come ornamento, retorico e estetico, o come semplice strumento propagandistico. Eccezion fatta per Luisa Quartermaine, che, parlando del quartiere romano dell’EUR, definì in modo riduttivo la romanità come « rhetoric alone » (23), già nel 1980 Dino Cofrancesco fece la seguente osservazione: Nel periodo tra le due guerre mondiali, il mito [romano] accentua i suoi tratti retorici, ma sul termine c’è ancora qualcosa da dire. Se retorica significa, infatti, forme ke und Altertumswissenschaft in der Zeit von Faschismus und Nationalsozialismus, a cura di B. Näf, Mandelbachtal-Cambridge 2001, pp. 89-110 (p. 96). (20) Più categorico è il giudizio di Fleming: « The use of a vocabulary of ‘misappropriation’ and ‘abuse’, while still seen as politically and morally necessary, might nevertheless be theoretically and intellectually unnecessary. The challenge posed by fascism’s use of the past, then, lies in our engagement with it: simply to dismiss, explicitly or implicitly, the appropriation of antiquity in the fascist regimes of the twentieth century as abuse is to understand neither the dynamics of that appropriation nor, ultimately, the regime that made it » (The Use and Abuse of Antiquity … cit., p. 137). (21) Si vedano, ad esempio, R. DE FELICE, Intellettuali di fronte al fascismo, Roma 1985 e IDEM, Fascism and Culture in Italy: Outlines for further Study, in « Stanford Italian Review », VIII (1990), pp. 5-11. (22) Si vedano, ad esempio, G. L. MOSSE, The Political Culture of Italian Futurism: A General Perspective, in « Journal of Contemporary History », XXV (1990), 2-3, pp. 253-268 e IDEM, Fascist Aesthetics and Society: Some Considerations, in « Journal of Contemporary History », XXXI (1996), 2, pp. 245-252. Per un riassunto critico degli studi concernenti la cultura fascista, si vedano S. LUZZATTO, The Political Culture of Fascist Italy, in « Contemporary European History », VIII (1999), 2, pp. 317-334; R. GRIFFIN, The Primacy of Culture: The Current Growth (or Manufacture) of Consensus within Fascist Studies, in « Journal of Contemporary History », XXXVII (2002), 1, pp. 21-43 e J. NELIS, Italian Fascism and Culture: Some Notes on Investigation, in « Historia Actual Online », IX (2006), pp. 141-151. (23) L. QUARTERMAINE, “ Slouching towards Rome ”: Mussolini’s imperial vision, in Urban Society in Roman Italy, a cura di T. J. Cornell e K. Lomas, London 1995, pp. 203-215 (p. 213). 366 JAN NELIS magniloquenti che rivestono contenuti spirituali assai poveri e disposizioni all’agire assai fiacche, non è corretto definire tout court retorica l’idea romana del fascismo nella misura in cui si traduce in attitudine al sacrificio, in volontà determinata di fare valere i diritti di chi se ne fa portatore. Richiamandosi consapevolmente al mito romano, quindi, il fascismo non dissotterrava un cadavere, ma tentava di costruire la propria legittimità fondandola su un patrimonio ideale non ancora completamente esaurito, ed anzi suscettibile di apertura a nuovi bisogni – e illusioni – indotti dallo sconvolgimento bellico e dal caos del dopoguerra (24). Cofrancesco non negò il carattere altamente retorico del mito della romanità, ma al contrario lo affermò; riconobbe tuttavia l’importanza essenziale della retorica, del discours o discourse, negli studi storici. Nella sua opinione fu seguito dall’olandese Romke Visser, autore delle prime analisi approfondite sulla romanità (25), e soprattutto da Antoine Leca (26) e Maria Rosa Chiapparo (27). È stato merito di quest’ultima studiosa l’avere sottolineato la forza e la continuità del mito della romanità, a partire dall’unificazione dell’Italia, facendolo risalire alla Rivoluzione Francese, quando nacque il fenomeno della nazionalizzazione delle masse, richiamando così le tesi di Emilio Gentile e soprattutto di George L. Mosse (28). Il mito di Roma fu una delle matrici culturali dell’ideologia fa(24) D. COFRANCESCO, Appunti per un’analisi del mito romano nell’ideologia fascista, in « Storia Contemporanea », XI (1980), pp. 383-411 (pp. 404-405). (25) R. VISSER, Fascist Doctrine and the Cult of the Romanità, in « Journal of Contemporary History », XXVIII (1992), 1, pp. 5-22. (26) Cfr. A. LECA, Le référent antique dans l’Italie fasciste, in L’influence de l’Antiquité sur la pensée politique européenne (XVI e-XX e siècles), a cura di M. Ganzin, Aix-en-Provence 1996, pp. 437-455 (p. 441): « Les quelques auteurs qui en (dei riferimenti all’antichità nell’Italia fascista) ont esquissé une analyse n’y ont vu qu’un discours de propagande, en quelque sorte un plaquage artificiel, destiné à justifier des ambitions impérialistes, bien réelles quant à elles. Assurément, si les références antiques dans l’Italie de Mussolini ne sont que de ‘pures formes’, masquant un phénomène de fond, leur étude ne répondrait qu’à une curiosité érudite et serait absolument inutile pour comprendre le fascisme. Mieux vaudrait alors les écarter et étudier directement la réalité dont ce vernis antiquisant n’est que l’expression. En fait cette position est trop réductionniste: le référent antique dans l’Italie de l’entre-deux-guerres est beaucoup plus qu’une opération de propagande: ses racines sont pluri-séculaires et sa portée est autrement plus profonde, elle dépasse largement les seules préoccupations d’ordre expansionniste ». (27) (28) M. R. CHIAPPARO, Le mythe de la Terza Roma … cit. Si vedano G. L. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse, Bologna 1975 e IDEM, Fascism and the French Revolution, in « Journal of Contemporary History », XXIV (1989), 1, pp. 5-26. LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 367 scista – per quanto diffusa quest’ultima possa essere stata – un elemento attivo nella progettata creazione dell’ “ uomo nuovo ” fascista, pietra basilare dell’auspicato Stato nuovo (29). Non fu solo un recupero del passato o un ritorno ad esso, ma piuttosto la sua proiezione quale fonte di ispirazione e serbatoio di forme e idee per il presente e per il futuro (30). Seguendo le osservazioni fatte da Griffin (vd. supra) su quest’aspetto, si potrebbe argomentare che il fascismo – e con esso la romanità – fosse parte della modernità, non come una corrente mainstream, ma quale variante, seppur alternativa, di quest’ultima, risposta alla crisi provocata dalla modernità stessa. La romanità fu in un certo senso « una particolare via di incontro con la modernità » (31). La « modern quality which Fascism added to the combination of older erudite and cultic traditions » (32) non evoca solo il ruolo edificante della romanità in una sorta di modernismo fascista, ma si riferisce anche al modo efficace e moderno con cui il mito della romanità venne propagato. Il valore propagandistico, diremmo pure “ sociologico ”, della romanità fascista non risiedette solo negli studi eruditi e accademici, dedicati, in primo luogo, a Virgilio (1930, anno del suo (29) Cfr. E. GENTILE, Il mito dello stato nuovo … cit. (30) A tale proposito, è altamente significativo che la parte dedicata alla romanità fascista del libro di Giardina e Vauchez sia intitolata Ritorno al futuro: la romanità fascista. Cfr. A. GIARDINA - A. VAUCHEZ, Il mito di Roma … cit., pp. 212-296. (31) G. BELARDELLI, Il mito fascista della romanità, in Il classico nella Roma contemporanea. Mito, modelli, memoria, Atti del convegno a cura di F. Roscetti con la collaborazione di L. Lanzetta e L. Cantatore, Roma, 18-20 ottobre 2000, Roma 2002, pp. 325-358 (p. 340). È in questo senso che l’idea del fascismo potrebbe anche essere interpretata come “ terza via ” tra capitalismo e socialismo. Cfr. M. R. CHIAPPARO, Le mythe de la Terza Roma … cit., pp. 405-406: « La Terza Roma mussolinienne était donc une sorte de synecdoque de l’État fasciste, illustrant la nouveauté et la grandeur du régime avec l’image qu’elle affichait; elle devait laisser percevoir, par sa spécificité et sa structure, cette troisième voie que le fascisme se proposait de suivre pour faire front à la crise de la modernité ». Molto significativa ci sembra anche la seguente osservazione fatta da Belardelli: « I riferimenti alla romanità fatti dal Duce e da tanti fascisti rappresentavano dunque qualcosa di diverso da un semplice uso strumentale della analogia storica o da un modo per ancorare l’Italia fascista a una tradizione. Il cortocircuito tra passato e presente, il ponte disinvoltamente gettato su duemila anni, implicavano un annullamento della prospettiva storica » (G. BELARDELLI, Il mito fascista … cit., p. 337). (32) F. SCRIBA, The sacralization of the Roman past in Mussolini’s Italy. Erudition, aesthetics, and religion in the exhibition of Augustus’ bimillenary in 1937-1938, in « Storia della Storiografia », XXX (1996), pp. 19-29 (p. 25). 368 JAN NELIS bimillenario) (33), Orazio (1935) (34) e Augusto (1937-1938) (35), ma anche, e soprattutto, nei mezzi moderni con cui questa propaganda veniva organizzata: aldilà della grande efficacia dell’introduzione di simboli romani, tra cui i fasci littori e il saluto romano, del “ Natale di Roma ” (21 aprile) come giorno feriale nazionale, e del calendario fascista che incominciava con la Marcia su Roma (36), di parole latinizzanti come dux e, in generale, di un’intera simbologia “ latina ” (37), la romanità penetrò anche nella stampa divulgativa (38), nella letteratura, nella radio e nel cinema (39), nei manuali scolastici (40), nei francobol(33) Si vedano R. FABER, “ Présence de Virgile ”: Seine (pro)faschistische Rezeption, in « Quaderni di storia », XVIII (1983), pp. 233-271 e L. CANFORA, Fascismo e bimillenario della nascita di Virgilio, in Enciclopedia virgiliana, Roma 1985, vol. II, pp. 469-472. (34) Sul bimillenario di Orazio, si vedano M. CAGNETTA, L’edera di Orazio. Aspetti politici del bimillenario oraziano, Venosa 1990; F. CITTI, Il bimillenario oraziano nell’era fascista, in « Aufidus », XVI (1992), pp. 133-142 e M. CAGNETTA, Bimillenario della nascita oraziana, in Enciclopedia oraziana, Roma 1998, vol. III, pp. 615-640. (35) Sul bimillenario di Augusto, in rapporto alla Mostra Augustea della Romanità, vd. infra. (36) A parte il Natale di Roma, infatti, notarono Giardina e Vauchez, la « occupazione fascista del calendario si attuò anche tramite l’indicazione, introdotta nel 1926, dell’anno dell’era fascista (a decorrere dal 1922) accanto a quella dell’anno dopo Cristo. L’associazione delle due ere avveniva mediante l’accostamento dei numeri romani a quelli arabi – per esempio, ‘1927, VI dell’era fascista’ – ma poteva anche essere usato il solo numero romano. L’impatto psicologico di questa innovazione era forte, perché propagava l’idea del carattere epocale del regime che – proprio in quanto regime intriso di romanità – si presupponeva destinato a durare molto oltre l’esistenza dei contemporanei » (A. GIARDINA - A. VAUCHEZ, Il mito di Roma … cit., p. 229). (37) Su questo si vedano soprattutto M. STONE, A flexible Rome: Fascism and the cult of romanità, in Roman Presences. Receptions of Rome in European Culture, 1789-1945, a cura di C. Edwards, Cambridge-New York 1999, pp. 205-220 e M. R. CHIAPPARO, Le mythe de la Terza Roma …cit. (38) Un esempio della presenza della romanità nella stampa divulgativa è la rivista « Capitolium », già oggetto di un nostro studio (J. NELIS, Het Italiaanse fascisme en de cultus van de romanità: röntgenfoto van het tijdschrift Capitolium, in « Bulletin de l’Institut Historique Belge de Rome », LXXV [2005], pp. 117-154), che sarà parzialmente ripreso nel nostro libro intitolato From ancient to modern: the myth of romanità during the ventennio fascista. The written imprint of Mussolini’s cult of the ‘Third Rome’, Turnhout 2011. (39) Su questo si veda M. WYKE, Projecting the Past. Ancient Rome, Cinema and History, New York-London 1997 e EADEM, Screening ancient Rome in the new Italy, in Roman Presences … cit., pp. 188-204. (40) Si vedano ad esempio U. PIACENTINI, Über die Rolle des Lateinunterrichtes und der römischen Geschichte im faschistischen Italien, in « Das Altertum », X (1964), pp. 117-126 e L. AMBROSOLI, Recherches sur les thèmes impérialistes dans les programmes et les livres de tex- LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 369 li (41), nello sport (42) e nelle arti visive (43). Ogni singolo ambito della cultura fu, in un modo o in un altro, penetrato dall’idea di una eredità spirituale o materiale dell’antichità romana, in un continuo crescendo a partire dalla seconda metà degli anni Venti. (44) Lo sviluppo della romanità, elemento edificante nel culto del littorio (vd. supra), fu in primo luogo un’attività svolta dal basso verso l’alto, cioè più per iniziativa di singoli protagonisti che per un piano governativo (45). Uno di questi protagonisti, senza dubbio uno dei più importanti nel contesto della romanità, fu l’Istituto di Studi Romani, fondato nel 1925 da Carlo Galassi Paluzzi. Durante l’intero ven- tes de culture fasciste (1925-1941), in « Guerres mondiales et conflits contemporains », CLXI (1991), pp. 51-61. (41) L. SCHUMACHER, Augusteische Propaganda und faschistische Rezeption, in « Zeitschrift für Religions und Geistesgeschichte », XL (1988), pp. 307-334. (42) Un esempio molto eloquente è il Foro Mussolini, l’odierno Foro Italico, dove fu costruito lo Stadio dei marmi, circondato da statue dal linguaggio formale altamente classicistico. Per maggiori informazioni, si vedano C. BRICE, Les fastes impériaux, in Rome 19201945 (Le modèle fasciste, son Duce, sa mythologie), a cura di F. Liffran, Paris 1991, pp. 124132 e P. AICHER, Mussolini’s Forum and the Myth of Augustan Rome, in « Classical Bulletin », LXXVI (2000), 2, pp. 117-139. (43) Si veda, ad esempio, L. MALVANO BECHELLONI, Le mythe de la romanité et la politique de l’image dans l’Italie fasciste, in « Vingtième Siècle. Revue d’histoire », LXXVIII (2003), pp. 111-120. (44) Questa nostra opinione differisce leggermente da quella di Romke Visser, il quale asserisce che « il culto della romanità svolse un ruolo di primo piano nella propaganda quotidiana fascista solo negli ultimi anni trenta, ma, bisogna dirlo, sempre in modo molto generico e ispirato al credo di Mussolini: ‘Italiani, fate che le glorie del passato siano superate dalle glorie dell’avvenire’. Nei mass-media si prestava solo un’attenzione superficiale alla romanità: si mostrava regolarmente l’immagine cesariana del Duce e si ripetevano le sue frasi retoriche » (R. VISSER, Da Atene a Roma, da Roma a Berlino. L’Istituto di Studi Romani, il culto fascista della romanità e la “ difesa dell’umanesimo ” di Giuseppe Bottai (1936-1943), in Antike und Altertumswissenschaft … cit., pp. 111-123 (p. 111). Per la presenza dell’antichità romana negli scritti e nei discorsi mussoliniani, si vedano P. FORO, L’autorité de l’antiquité romaine dans le discours mussolinien, in Les autorités. Dynamiques et mutations d’une figure de référence à l’Antiquité, a cura di D. Foucault e P. Payen, Grenoble 2007, pp. 75-88 e J. NELIS, Constructing fascist identity: Benito Mussolini and the myth of romanità, in « Classical World », C (2007), 4, pp. 391-415. (45) Un episodio molto significativo è la pianificazione della Mostra Augustea della Romanità, organizzata nel 1937-1938 per iniziativa di Giulio Quirino Giglioni. Su questa, si vedano F. SCRIBA, Augustus im Schwarzhemd? Die Mostra Augustea della Romanità in Rom 1937/38, Frankfurt 1993; IDEM, Il mito di Roma, l’estetica e gli intellettuali negli anni del consenso: la Mostra Augustea della Romanità 1937/38, in « Quaderni di storia », XLI (1995), pp. 67-84, e IDEM, The sacralization of the Roman past … cit. 370 JAN NELIS tennio esso fu responsabile dello sviluppo e dell’organizzazione materiale del culto di Roma antica, papale e fascista (46). L’Istituto di Studi Romani, Carlo Galassi Paluzzi e Giuseppe Bottai Benché l’Istituto di Studi Romani (ISR) avrebbe raggiunto l’apice della sua attività solo verso la seconda metà degli anni Trenta, la sua finalità non sarebbe mutata sostanzialmente dai tempi della pubblicazione del primo fascicolo della rivista « Roma » nel 1923 e dalla fondazione dell’Istituto stesso nel 1925 (47): la diffusione della conoscenza della città di Roma, della sua storia e della sua cultura, dalle origini fino ai giorni presenti. Sin dall’inizio fu chiaro che non si trattò di una semplice « convergenza spontanea » (48) tra il regime e l’Istituto, che si mise attivamente a disposizione della politica culturale e (46) Per una rassegna degli studi dedicati alla romanità durante il ventennio fascista, si veda J. NELIS, La romanité (romanità) fasciste. Bilan des recherches et propositions pour le futur, in « Latomus. Revue d’Etudes Latines », LXVI (2007), 4, pp. 987-1006. Si veda inoltre: E. C. KOPFF, Italian Fascism and the Roman Empire, in « Classical Bulletin », LXXVI (2000), 2, pp. 109-115; W. ANDERSEN, The Ara Pacis of Augustus and Mussolini. An Archaeological Mystery, Genève-Boston 2003; G. TURI, Fascismo e antichità, in La storia e l’economia. Miscellanea di studi in onore di Giorgio Mori, a cura di A. M. Falchero, A. Giuntini, G. Nigro, L. Segreto, Varese 2003, vol. II, pp. 663-673; O. ROSSINI, Ara Pacis, Milano 2006; J. DUNNETT, The Rhetoric of Romanità: Representations of Caesar in Fascist Theatre, in Julius Caesar in Western Culture, a cura di M. Wyke, Malden-Oxford-Victoria 2006, pp. 244-265; W. SCHIEDER, Rom – die Repräsentation der Antike im Faschismus, in Erinnerungsorte der Antike. Die römische Welt, a cura di E. Stein-Hölkeskamp e K.-J. Hölkeskamp, München 2006, pp. 701-721; J. NELIS, Cesare in scena. Achter de schermen van theater ten tijde van het Italiaanse fascisme, in « Documenta », XXIV (2006), 1, pp. 3-22; IDEM, Tra Pais e fascismo: Carolina Lanzani, la rivista Historia e il mito della romanità. Con fonti inedite, in « Rivista Storica dell’Antichità », XXXVI (2006), pp. 277-295; E. GENTILE, Fascismo di pietra, Roma-Bari 2007; J. NELIS, Un mythe contemporain entre religion et idéologie: la romanité fasciste, in « Euphrosyne. Revista de Filologia Clássica », XXXV (2007), pp. 437-450; P. TABARONI, La Storia di Roma edita da Cappelli per l’Istituto di Studi Romani: un capitolo di storia romana durante il fascismo, in Editoria e cultura in Emilia e Romagna dal 1900 al 1945, a cura di G. Tortorelli, Bologna 2007, pp. 223-248 e J. NELIS, Catholicism and the Italian Fascist Myth of Romanità: Between Consciousness and Consent, in « Historia Actual Online », XLII (2008), pp. 139-146 (http://www.historia-actual.com). (47) L’ISR fu dichiarato Ente morale con Regio Decreto del 21 febbraio 1926; la sua fondazione venne annunciata nella « Gazzetta Ufficiale » del 15 marzo 1926 e nel « Bollettino Ufficiale » del 23 marzo 1926. Per maggiori informazioni sulla fondazione si veda A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani e il suo fondatore Carlo Galassi Paluzzi dal 1925 al 1944, in Il classico nella Roma contemporanea … cit., pp. 507-537 (pp. 507-508). (48) A. LA PENNA, La rivista Roma … cit., p. 89. LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 371 identitaria del regime. Tra questi ci fu un rapporto « sia ideale che organizzativo » (49); la retorica di Galassi Paluzzi lo dimostra chiaramente: Oggi che su questo colle […] viene inaugurata la nuova sede di un ente che nel nome e per l’amore di Roma ha voluto ed è riuscito ad operare una riforma negli alti studi, ed a creare un organismo che è divenuto roccaforte addottrinata di romanità […] pensiamo alle origini così piccole, così povere e così difficili della nostra Istituzione, e ripensiamo alla cameretta di poco men di 8 metri quadrati di superficie nella quale sin dall’ormai lontano ma vicino 1922 abbiamo – con certa fede – tracciato il piano di un’opera che in parte è stato già realizzato, e che, a cominciare da oggi, sarà realizzato con la stessa fede, con la medesima organica metodicità e con lo stesso amore perseverante […]. E mi è caro ripetere che noi abbiamo chiara coscienza di essere soltanto strumenti volonterosi di un piano che ci trascende; che ci consideriamo una milizia, un’arma dotta – come un tempo si sarebbe detto – al servizio del Re, agli ordini del Duce, per concorrere ad una rinascita vittoriosa della idea di Roma. […] Sento il dovere di riaffermare oggi la nostra volontà di marciare ancora e meglio nel settore di battaglia che ci è stato assegnato affinché trionfino nell’ordine nuovo le verità antiche e eterne della Roma dei Cesari, della Roma cristiana e della Roma Sabauda e Littoria (50). Con queste parole Carlo Galassi Paluzzi, fondatore e dal 1934 presidente dell’ISR, inaugurò la nuova sede dell’Istituto sull’Aventino nel mese di maggio del 1941. Il discorso non lascia alcun dubbio sui fondamenti ideologici dell’ISR: la visione del mondo della cultura come « campo di battaglia », il concetto della marcia e dell’« ordine nuovo » (51), la « cameretta » che evoca il “ covo ” milanese mussolinia(49) A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani … cit., p. 509. (50) Minuta del discorso conservata nell’Archivio dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, sezione Affari generali, busta 11, fasc. 25. Il discorso fu in seguito pubblicato nella rivista « Roma »: C. GALASSI PALUZZI, Il Re Imperatore inaugura la nuova sede dell’Istituto di Studi Romani, in « Roma », XXIX (1941), pp. 211-215. (51) Abbiamo trovato un’eco di questi elementi in una lettera indirizzata da Galassi Paluzzi al Ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini, datata 3 luglio 1942, conservata nell’Archivio Centrale dello Stato, sezione Minculpop, Gabinetto, busta 71, fasc. 473, in cui Galassi Paluzzi tenta di salvaguardare l’intervento finanziario del Ministero nelle attività editoriali dell’ISR: « Non dare inizio alla pubblicazione dei volumi e quindi non realizzare l’impresa significherebbe una battaglia perduta su quel fronte culturale che diventa particolarmente importante quando la piazzaforte è Roma stessa. E mai come ora noi abbiamo assolutà necessità di svolgere una vasta azione, al tempo stesso di difesa e di penetrazione, che parta da questa che non è soltanto la roccaforte per eccellenza della nostra civiltà, ma che deve (perché la nostra battaglia sia veramente compiuta) essere il faro di luce e di conquista spirituale e culturale per tutto il nuovo ordine che deve essere costituito ». 372 JAN NELIS no (52) e, significativamente, il fatto di menzionare l’anno 1922 invece del 1923 o del 1925 (vd. supra), identificano con chiarezza l’ISR come un istituto fascista. Benché molte attività e pubblicazioni entrassero perfettamente nella magniloquente campagna fascista intorno alla grandezza dell’antica Roma, il cardine dell’interesse dell’ISR fu, come si è detto, la diffusione della conoscenza complessiva di Roma, che includeva elementi non rientranti, o solo in parte, nell’interesse propagandistico del regime. Infatti l’ISR nutriva anche un grande interesse per la Roma cristiana, facilmente rintracciabile nella rivista « Roma » e in una serie di monografie (53). Non deve dunque stupire che alcuni dei membri e collaboratori occasionali dell’ISR furono accademici cattolici molto credenti (primo fra tutti Galassi Paluzzi, ma anche eminenti studiosi come Carlo Cecchelli) ed esponenti dell’alto clero vaticano (si pensi prima di tutto a Pietro Tacchi Venturi, che negoziò parte dei Patti Lateranensi e del Concordato con Mussolini). Verso la fine degli anni Trenta fu inoltre creato da alcuni di loro un sottocomitato denominato Roma cristiana, mentre già nel 1929 Galassi Paluzzi aveva fondato segretamente una « lega per la scienza e la fede », alla quale si riferiva come « opera di Preghiera per coloro che studiano ». Tale iniziativa ebbe lo scopo di diffondere la preghiera, ad opera di ordini religiosi attivi in tutta Italia tra gli scienziati, cioè tra coloro che « cercano la verità ». Essa ottenne persino la be- (52) Intendiamo il leggendario “ covo ” negli uffici del Popolo d’Italia, dove Mussolini si preparò ad intraprendere la Marcia su Roma (vd. anche R. VISSER, Storia di un progetto mai realizzato: il Centro Internazionale di Studi Romani, in « Mededelingen Rome », LIII [1994], pp. 44-80, [p. 48]). Il “ covo ”, elemento centrale nella simbologia e mitologia autoriferenziali fasciste, fu ricostruito nella Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932. Su questa mostra, si vedano D. GHIRARDO, Architects, Exhibitions, and the Politics of Culture in Fascist Italy, in « Journal of Architectural Education », XLV (1992), 2, pp. 67-75; M. STONE, Staging Fascism: The Exhibition of the Fascist Revolution, in « Journal of Contemporary History », XXVIII (1993), 2, pp. 215-243 e J. T. SCHNAPP, Anno X. La Mostra della rivoluzione fascista del 1932, Ghezzano 2003. (53) Tra queste la più significativa è senza dubbio il volume Roma “ onde Cristo è romano ”, a cura dell’Istituto di Studi Romani, Roma 1937, a cui collaborarono, tra altri, Eugenio Pacelli (il futuro papa Pio XII), Pio Paschini, Pirro Scavizzi e Pietro Tacchi Venturi. È significativo il fatto che Galassi Paluzzi avesse stretti contatti sia con Paschini sia con Scavizzi e Tacchi Venturi, come appare da una rapida visione dei materiali custoditi a casa Galassi Paluzzi. LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 373 nedizione di diversi papi, tra cui Pio XI e Pio XII (54). Per via di tali accenti religiosi, l’antica percezione della Roma pagana come praeparatio alla Roma cristiana e, in seguito, a quella risorgimentale e fascista, l’idea delle « tre Rome » (55), fu ripresa dall’ISR. In quest’ottica si possono analizzare le sue attività durante il ventennio fascista, cioè come l’interpretazione della storia romana, specie del provvidenziale Imperium Romanum e della Roma cristiana, in una visione “ messianica ” del presente e del futuro, che trae la sua ispirazione dalla Roma pagana e cristiana (56). A parte la sua evidente politicizzazione, l’ISR aveva un’altra caratteristica predominante, quella di essere un istituto moderno, che sviluppò un piano metodico, altamente efficace, di divulgazione culturale (57). Avendo già scritto alcuni contributi concernenti l’organizzazione dei musei (58), sin dai suoi inizi, Galassi Paluzzi fu un instan(54) Per alcuni cenni, si vedano A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani … cit., pp. 534-535 e B. COCCIA, Carlo Galassi Paluzzi. Bibliografia e appunti biografici, Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 2000, p. 20. Questo aspetto sarà oggetto di un nostro prossimo studio. (55) Per un’analisi sull’ISR come propagatore dello schema delle tre Rome, si veda A. LA PENNA, La rivista Roma … cit. (56) Anche Galassi Paluzzi sembra aver avuto quest’ottica lungimirante per il suo Istituto, che privò, più di dieci anni dopo il suo allontanamento (1944), di ogni diretto legame con il regime fascista. Vd. una lettera a Giuseppe Bottai, datata 8 gennaio 1958 e conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi: « L’Istituto di Studi Romani è stato fondato con la piena, chiarissima consapevolezza che esso avrebbe potuto dare i suoi veri frutti (e non soltanto i primi vistosi fiori) almeno dopo due o tre generazioni ». (57) Si veda anche A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani … cit., p. 527: « Si tratta di un complesso di attività e di organismi che implicava – secondo il progetto molto preciso di Galassi Paluzzi – un’organicità tanto degli studi quanto della metodologia, accanto a una sistemazione razionale di tutto l’apparato organizzativo (si tenga tra l’altro conto che l’Istituto, al momento della caduta del fascismo, contava un’ottantina di impiegati). Al fondo del quale, inoltre, era un’impostazione moderna, se così si può dire, dell’attività culturale, basata su un uso articolato di strumenti tradizionali (quelli di alta cultura e quelli di divulgazione, le pubblicazioni e le conferenze ecc.) e di strumenti nuovi (come ad esempio la radio e il cinema): tutto finalizzato all’obiettivo di trasmettere il messaggio ad ampio raggio e di coinvolgere un vasto strato di popolazione ». (58) Vd. C. GALASSI PALUZZI, Il riordinamento dei musei. Decentriamo accentrando, in « Corriere d’Italia », 26 ottobre 1921; IDEM, Il riordinamento dei musei. Distinguo per non confondere, ibidem, 21 dicembre 1921 e IDEM, Il riordinamento dei musei. Tra il dire e il fare, ibidem, 5 febbraio 1922. Dell’importanza dell’organizzazione culturale in Galassi Paluzzi testimonia anche il fatto che ancora nel 1938 questi spedì una copia di tali testi – almeno supponiamo che di essi si tratti – a Giuseppe Bottai, all’epoca Ministro della Educazione Nazionale, a cui scriveva: « Non dico che quanto propugnavo sedici anni fa sosterrei ancora oggi al cento per cento; ma, mi sembra, che senza insistere troppo nella creazione dei grandi mu- 374 JAN NELIS cabile propagatore della romanità, nonostante ottenesse a volte scarso successo (59) o risultati indesiderati, che oggi si definirebbero “ danni collaterali ” (60). La modernità imprenditoriale dell’ISR è inoltre evidenziata dalla vasta produzione scientifica e divulgativa dell’Istituto durante il ventennio (61), di cui si possono seguire le tracce nell’archivio storico dell’ISR e nell’Archivio Centrale dello Stato, dove è conservata, tra l’altro, la corrispondenza tra Galassi Paluzzi, la segreteria particolare del duce (62) e il Ministero della Cultura Popolare (Minculpop) (63). Da questa documentazione risultano chiaramente le grandi qualità diplomatiche e imprenditoriali di Galassi Paluzzi, che presupponevano un « vero e proprio discorso metodologico di organizzazione della cultura » (64). Dallo studio di queste fonti emerge anche che, sebbene il regime strumentalizzasse a più riprese l’opera dell’ISR – come nel caso del bimillenario augusteo –, fu spesso Galassi Paluzzi a prendere l’iniziativa, cioè a fare il primo passo verso le autorità. Uno degli innumerevoli episodi, che illustrano l’instancabile attivismo culturale del Galassi Paluzzi e del suo interesse verso il lato organizzativo e propagandistico della cultura, sono le negoziazioni con l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) per la pubblicazione della collana Roma Mater. Pare che l’iniziativa di pubblicare una collana con l’intento di fare « opera di effettiva divulgazione in mezzo al popolo della storia e delle glorie di Roma […] per la elevaziosei regionali, le idee che agitavo potrebbero anche oggi avere una utile attuazione ». Minuta di lettera datata 9 luglio 1938 e conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi. Per la bibliografia di Galassi Paluzzi, si veda B. COCCIA, Carlo Galassi Paluzzi … cit., pp. 27-112. (59) È significativo in questo contesto la volontà di Galassi Paluzzi di creare un’ala internazionale dell’ISR, il Centro Internazionale di Studi Romani. Su questa vicenda, si veda R. VISSER, Storia di un progetto mai realizzato … cit. (60) Ne abbiamo trovato un esempio piuttosto divertente in una lettera di Carlo Cecchelli a Galassi Paluzzi, datata 7 maggio 1940 e custodita nell’archivio privato Galassi Paluzzi. In questa lettera, Cecchelli racconta di aver sentito definire l’ISR da alcuni colleghi tedeschi « U.p.i.m. della cultura italiana », che interpretò come « la patente di una cultura spicciola ed anche la qualifica di una specie di emporio culturale di medio valore ». (61) Per una elaborata descrizione di questa ultima, riferiamo a A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani … cit., pp. 521-537. (62) Archivio Centrale dello Stato, sezione Segreteria particolare del duce, carteggio ordinario, busta 509.217/I, busta 509.217/II, e busta 552.007. (63) Archivio Centrale dello Stato, sezione Minculpop, Gabinetto, busta 71, fasc. 473, e busta 207. (64) A. VITTORIA, L’Istituto di Studi Romani … cit., p. 516. LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 375 ne culturale e spirituale del popolo italiano » (65), in « una forma piana e facile di esposizione, che renda comprensibile gli importanti temi trattati alla massa operaia, fra la quale saranno maggiormente divulgati i volumetti » (66), fu di Galassi Paluzzi. Mentre l’OND suggeriva gli argomenti dei testi, il presidente dell’ISR indicava, almeno nel 1937, i loro autori: Roberto Paribeni (L’Impero), Giulio Quirino Giglioli (Roma dalla Guerra Mondiale al nuovo Impero di Roma Fascista), Salvatore Riccobono (Il diritto romano e la civiltà), Francesco Saverio Grazioli (I grandi condottieri romani), Emilio Lavagnino (Le arti grafiche e figurative in Roma dall’antichità ai giorni nostri) e Paolo Orano (Roma e il Fascismo) (67). L’interesse del fondatore dell’Istituto per l’organizzazione culturale fu costante e non cessò neppure quando, nella primavera del 1943, fu chiaro che ormai la stella dell’Italia fascista stava definitivamente tramontando: agli inizi di marzo Galassi Paluzzi chiese a Mussolini 80 mila lire « per la costituzione di una ‘Biblioteca di metodologia organizzativa delle attività culturali’ presso il Reale Istituto di Studi Romani »; e le ottenne (68). Non essendo né un ente governativo né un’organizzazione privata (69), l’ISR aveva, come si è detto, legami sia con il mondo accademico e culturale sia con quello clericale e politico. Rilevante fu il sostegno ricevuto dal Governatorato di Roma, ed è probabilmente tramite questa via che si stabilirono i contatti, destinati a diventare sempre più stretti tra Galassi Paluzzi e Giuseppe Bottai. Governatore di Roma dal 24 gennaio 1935, Bottai era partito per l’Africa nell’ottobre del 1935 (dove fu nominato, dopo la cessazione delle ostilità, governatore di Addis Abeba) da cui era tornato in Italia per assumere la carica di Ministro della Educazione Nazionale a (65) Carlo Galassi Paluzzi a Pietro Capoferri, presidente dell’OND, lettera datata 7 ottobre 1940, archivio ISR, sezione Pubblicazioni, busta 160, fasc. 2. (66) Corrado Puccetti, direttore generale dell’OND, a Carlo Galassi Paluzzi, lettera datata 29 novembre 1937, archivio ISR, sezione Pubblicazioni, busta 160, fasc. 2. (67) Galassi Paluzzi alla Direzione Generale dell’OND, lettera datata 5 luglio 1937, archivio ISR, sezione Pubblicazioni, busta 160, fasc. 2. (68) Nota di Nicolò de Cesare, segretario particolare di Mussolini, per Mussolini, datata 11 marzo 1943, Archivio Centrale dello Stato, sezione Segreteria particolare del Duce, carteggio ordinario, busta 509.217/II. Si veda anche, nella stessa busta, un pro-memoria sulla vicenda, sul quale Mussolini scrisse, a matita, « Sì, M ». (69) Vd. R. VISSER, Storia di un progetto mai realizzato … cit., pp. 47-54. 376 JAN NELIS partire dal 22 novembre 1936. Dopo aver esordito, insieme ad altri, come intellettuale futurista (70), si convertì solo verso la seconda metà degli anni Trenta alla romanità (71), nel momento esatto dunque in cui entrò in contatto con Galassi Paluzzi e l’ISR, che sosteneva finanziariamente come governatore e in seguito come ministro, con il quale collaborò di frequente, fornendo diverse pubblicazioni (72). Bottai, insieme a Galassi Paluzzi, tenne un discorso in occasione dell’inaugurazione della nuova sede aventina dell’ISR nel maggio del 1941, in presenza del re (vd. anche supra). Come risulta dagli archivi privati Galassi Paluzzi, i contatti fra Bottai e il presidente dell’ISR furono molto frequenti e perdurarono anche dopo la fine della guerra, diventando una vera e, per quanto ne sappiamo, profonda amicizia. Durante l’epoca fascista il carattere di questi rapporti fu diverso (73), certamente perché Galassi Paluzzi si rendeva conto, coscientemente o inconsciamente, del grande valore che costituiva il sostegno di un potente gerarca come Bottai (74). (70) In questo contesto, si veda G. B. GUERRI, Bottai: da intellettuale futurista a leader fascista, in Futurismo, cultura e politica, a cura di R. De Felice, Torino 1988, pp. 221-245. Si vedano anche, G. L. MOSSE, The Political Culture of Italian Futurism … cit. e E. GENTILE, The Struggle for Modernity … cit. (71) Vd. R. VISSER, Da Atene a Roma … cit., p. 117. (72) Oltre a vari contributi per la rivista « Roma », si vedano, ad esempio, G. BOTTAI, L’Italia di Augusto e l’Italia di oggi, Roma 19372; IDEM, La funzione di Roma nella vita culturale e scientifica della nazione, Roma 1940 e IDEM, L’ideale romano e cristiano del lavoro in San Benedetto, Roma 1942. (73) Galassi Paluzzi lo testimonia in una lettera spedita alla moglie di Bottai, datata 12 maggio 1965, di cui una copia è conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi: « Ricordo che una volta, quando la nostra amicizia era sì basata su quella tale sincerità che ne fece una cosa seria, ma i nostri rapporti non erano così affettuosamente cordiali, Bottai fece un magnifico discorso. Volli andare a sentire cosa diceva (cosa rarissima perché alla Camera e al Senato sarò andato due o tre volte a sentire discorsi). Tornato a casa gli scrissi una lettera facendogli dei complimenti sincerissimi, ma dicendogli: ‘Il tuo discorso sarebbe stato completo e perfetto se non vi fosse mancata la parola Dio’ ». Galassi Paluzzi rinvia senza dubbio a una lettera a Bottai, di cui una copia è conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi, datata 2 luglio 1942. Si tratta di un discorso commemorativo sul gerarca Italo Balbo. Non abbiamo ritrovato la risposta di Bottai. (74) Riguardo a questo, abbiamo trovato la copia di una lettera di Galassi Paluzzi, indirizzata all’OND, dove utilizza l’opinione di Bottai come autorevole argomento per favorire un suo progetto di pubblicazione (si tratta della collana Roma Mater, vd. anche supra); scrivendo a Corrado Puccetti, Direttore Generale dell’OND, sostiene che Bottai: « si è vivamen- LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 377 Almeno fino alla caduta del fascismo, Bottai adottò il ruolo, per così dire, di praeceptor nei confronti di Galassi Paluzzi, eccetto per le questioni di religione, in cui i ruoli furono invertiti (75): numerose sono le lettere in cui Galassi Paluzzi fa riferimento a rimproveri o critiche rivoltigli – forse oralmente, visto che non ne abbiamo trovato tracce scritte e non ne conosciamo dunque l’esatta natura – da parte di Bottai. A uno di questi confronti Galassi Paluzzi alludette in una lettera del 24 settembre del 1939. Non conosciamo l’argomento esatto: Bottai aveva forse il sospetto che Galassi Paluzzi avesse utilizzato l’ISR per fare carriera altrove, forse nel mondo accademico? La lettera, di cui abbiamo trovato una minuta manoscritta nell’archivio privato Galassi Paluzzi e che riproduciamo quasi interamente, illustra la detta relazione, che potremmo prudentemente definire come un rapporto maestro-allievo. Per di più, è un raro documento in cui il fondatore dell’ISR parla apertamente della sua relazione con l’istituto. Galassi Paluzzi a Bottai: Caro amico, ho ripensato molto seriamente a quanto mi hai detto con tanta schiettezza. E prima di tutto voglio ringraziarti con cuore veramente gratissimo. È tanto difficile trovare un amico potente che non ti dica: va bene, stai tranquillo, farò tutto quello che posso – anche quando non crede affatto di poter fare, o non crede affatto che la cosa che ti sta a cuore e che, fidando in lui, hai messo nelle sue mani, vada de plano. Fa bene allo spirito, e rende meno totalitariamente pessimisti e increduli sul valore della parola amicizia, la chiarezza con la quale mi hai, senza giri di parole, aperto meglio gli occhi. Non già che li avessi chiusi totalmente, o che sia ingenuo per temperamento. Tutt’altro. Ma ho dovuto constatare ancora una volta quanto sia necessario fare come fanno i medici i quali quando si tratta te compiaciuto della iniziativa che mediante l’opera associata di due Enti del Regime [l’ISR e l’OND] avrà indubbia influenza nella formazione culturale delle masse ai fini d’una migliore conoscenza di ciò che Roma significa nella vita e nella storia della Nazione e nella formazione dell’italiano di Mussolini ». Lettera datata 21 dicembre 1938, Archivio ISR, sezione Pubblicazioni, busta 160, fasc. 2. Su questo argomento si veda anche R. VISSER, Storia di un progetto mai realizzato … cit., p. 51: « Anche se potrebbe essere vero che il prestigio di queste persone [i potenti Pietro Fedele, Luigi Federzoni e Vittorio Scialoja] lo attirasse molto e che la loro fama avesse dei riflessi anche su di lui, non si può dire che Galassi Paluzzi mirasse solo ad aumentare il proprio prestigio. Fu spinto piuttosto da un forte senso di realtà. Sapeva che senza l’appoggio di protettori di grande autorità non sarebbe riuscito a realizzare i suoi ideali. A questo scopo era indispensabile avere dei buoni rapporti con i rappresentanti più alti del nuovo ordine ». Su Bottai e l’ISR, si veda anche R. VISSER, Da Atene a Roma … cit., pp. 117-120. (75) Vd. la sopra menzionata lettera sull’assenza di Dio nel discorso su Balbo. 378 JAN NELIS di un figlio debbono chiamare un terzo per fare la diagnosi e prescrivere la cura. Io amo l’Istituto come si può amare un figlio al quale tutto, letteralmente, si è sacrificato; o se vuoi subordinato: perché quando si tratta della propria creatura non si può parlare di sacrifici: tanto questi diventano spontanei. Una cosa devi consentirmi di aggiungere. La lealtà con la quale mi hai parlato è stata una nuova ragione per aumentare in me quei sentimenti che, iniziati tanti anni fa semplicemente da un moto di ammirazione e di fiducia nelle tue genialità e nelle tue possibilità di capo, si sono andati arricchendo di affettuosità man mano che meglio conoscevo (e quasi direi ‘constatavo’ perchè li avevo intuiti) taluni aspetti del tuo spirito e del tuo cuore. Quel che desidero aggiungere è dunque questo: che troppo mi dorrebbe il pensare che tu, alla amicizia del quale sempre più vado tenendo, potessi supporre per un solo istante che io sarei capace di subordinare gli interessi dell’Istituto alla mia ambizione o vanità che dir si voglia. Ho inoltre cose delle quali debbo occuparmi ma di questa no: nè avanti gli uomini nè avanti a Dio. Superando difficoltà e incontrando dolori di ogni sorta ho creato l’Istituto e lo amo e ne voglio l’incremento perchè lo credo uno strumento di luce per gli spiriti: senza di che avendo sortito da natura qualche abilità e qualche attitudine avrei battuto altre strade facendo più rapidamente e più proficuamente qualche altra carriera. Vi sono, nella vita di ciascuno, delle attività che sono dei mezzi, e ve ne è una sola che è il fine. Per me, l’Istituto – mio figlio e mia ragion d’essere finché mia figlia non è venuta – è il fine, e spero in Dio che non diverrà mai, come mai non è stato, un mezzo. Questo desidero molto che tu abbia per certo. E grazie ancora, caro amico, del consiglio veramente prezioso e dell’esempio di schiettezza, che mi ha fatto bene non meno del consiglio. Con l’antico rispetto del gregario e con rinnovato affetto d’amico credimi (76). Non è nelle nostre intenzioni presentare uno studio approfondito su Giuseppe Bottai e il suo ruolo nella politica culturale fascista (77), ma vogliamo concludere queste nostre brevi riflessioni sulla romanità fascista, l’ISR e Carlo Galassi Paluzzi con la pubblicazione di una lettera, parzialmente inedita (78), che nel gennaio del 1936 Bottai spe(76) Una lettera molto simile è conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi. Fu inviata da Galassi Paluzzi a Bottai, ed è datata 7 agosto 1940: « Caro Amico, ancora una volta hai avuto ragione; ancora una volta ho visto come le […] viscere paterne possono non far veder chiaro dove un altro vede chiarissimo; e ancora una volta, quindi, debbo ringraziarti. Hai detto giustissimo: se l’opera è vitale, comunque vivrà; ed è bene che viva, con le sue forze, la sua vita, e le sue battaglie. Pensando all’avvenire dei figliuoli si è sempre tentati di risparmiare dolori e fatiche, ma si ha torto: almeno in molto casi perché ‘virtus in infirmitate perficitur’. Quindi, io non farò più cenno della cosa. E ti ringrazio ancora, e proprio molto, per avermi parlato con tanta lealtà e chiarezza ». (77) Questo lavoro è peraltro già stato intrapreso da altri. Si veda ad esempio A. DE GRAND, Bottai e la cultura fascista, Roma-Bari 1978. (78) Vd. C. GALASSI PALUZZI, Bottai romano, in « abc », III-IV-V (1958), pp. 38-39. LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 379 dì a Galassi Paluzzi dall’Africa Orientale, dove il gerarca partecipava alle azioni militari. La lettera è una rara e intima testimonianza del significato che ebbero in quel periodo Roma e la romanità per Giuseppe Bottai. È inoltre un documento che illustra numerosi aspetti che a nostro avviso sono di grande utilità per una giusta comprensione della cultura fascista: l’importanza della Marcia su Roma come elemento fondatore nel culto del littorio, la romanità come cardine della civiltà occidentale e principio di ordine e disciplina, il ruolo della guerra e del combattimento (79), l’imperialismo sia spirituale sia territoriale. Tutti elementi che si ritrovano nella lettera, la quale evidenzia come il mito della romanità fu sì propaganda, ma andava anche oltre: non fu solo vana retorica, ma una matrice culturale molto efficace in seno all’ideologia e alla mitologia fasciste, visto che operò pure come principio educativo e formativo, sino ai livelli dell’esercito (80) e dell’amministrazione statale. Bottai a Galassi Paluzzi: A.O. [Africa Orientale], 6 gennaio XIV. Caro amico, m’è giunta solo oggi la tua del 13 dec. Il ritardo m’à procurata una buona Befana, facendomi, sulla scorta d’un programma così denso, qual’è quello del X° anno del tuo, del ‘nostro’ Istituto, pensare ancora più intensamente a Roma. Tu sai, perché l’ò scritto e tu ài la bontà di leggere, qualche volta, le mie cose, che il mio amore per Roma è stato (79) In questo contesto, va notato che nel gennaio del 1941 il presidente dell’ISR confidò a Pirro Scavizzi di avere voglia di una « parentesi guerresca » (lettera datata 21 gennaio 1941 e conservata nell’archivio privato Galassi Paluzzi). (80) Qui pare che le idee di Galassi Paluzzi e Bottai fossero altamente convergenti, almeno se consideriamo il fatto che nel 1940 Galassi Paluzzi propose ad Alessandro Pavolini, Ministro della Cultura Popolare, la « diffusione tra le truppe e in tutte le classi della popolazione civile, di brevi agilissimi opuscoli (in formato tascabile di 24-30 pagine) che in mille modi e in forma piana (a tutti accessibile) di gradevolissima stesura, e convenientemente illustrati, mettessero in evidenza l’enorme contributo recato da Roma al sorgere e allo svilupparsi della civiltà dei vari Paesi europei, e ciò nell’antichità, nel medioevo, nel risorgimento sino ai giorni nostri ». Galassi Paluzzi specificò lo scopo di questa iniziativa nel seguente modo: « Far vedere, attraverso fatti inoppugnabili convenientemente esposti ed illustrati, che cosa Roma ha largito a tutti e in tutti i secoli, e particolarmente a quei popoli con i quali domani dovessimo trovarci in conflitto; accendere ancora più, quindi, nei cuori il senso di fierezza per ciò che siamo stati e quindi il senso del dovere per ciò che dobbiamo nuovamente essere; dare sempre più e sempre meglio coscienza di quello che può spettarci per diritto in considerazione dell’infinito tanto che abbiamo dato; tutto ciò mi sembra possa […] costituire uno strumento di propaganda che può avere una profonda ed intima influenza sugli spiriti: così dei soldati come dei civili » (copia di una lettera non datata, ma che probabilmente risale all’aprile o al maggio 1940, Archivio Centrale dello Stato, sezione Minculpop, Gabinetto, busta 71, fasc. 473). 380 JAN NELIS tardivo. Me lo sono sentito fluire nel mio sangue non romano di nato a Roma, in questi ultimi anni, a cominciare da quella Marcia, che fu per me una marcia ideale verso una città dello spirito. Ora, in questa terra sconfinata, senza città, e, cioè, bada, non rurale, ché il lavoro dell’uomo non scalfisce neppure la crosta dei campi, ma priva di quel principio di ordine e di disciplina politica, che per noi romani rappresenta la ‘città’ o l’ ‘urbe’, se credi meglio, in questa terra, dico, il pensiero e, talvolta, addirittura il fantasma di Roma, mi seguono in ogni momento della mia vita di soldato. Tutto quello, che nel falso intellettualismo critico dell’adolescenza ambiziosa di novità, mi parve retorica, sento, oggi, nella mia maturità, essere verità concreta: si combatte per Roma, si può combattere per Roma, si deve combattere per Roma. L’inno, che i soldati intonano con maggiore entusiasmo, con una foga da romanza d’amore, è l’inno a Roma. L’italianità è in Roma; ma in Roma, tu intendi, che è già molto più della Capitale: è mito, è somma di principii universali, è forza, che non piegherà, umiliandolo, ma ordinerà, innalzandolo, il mondo. Quale lunga divagazione mi sono lasciata sfuggire! Perdonami. Ma la colpa è del tuo programma. Tra le molte cose belle e nobili, che si fanno, in quest’ora solenne, per l’affermazione dei nostri diritti, l’opera dello Istituto appare a me, contro il parere dei metodici nemici della cultura, che godono ancora d’un certo favore, una delle più utili. Dirò la parola, che cotesti nemici della cultura ànno sempre in bocca: delle più pratiche. Rimettere l’idea di Roma tra le idee correnti dell’uomo contemporaneo; italiano e straniero, significa lavorare implicitamente per l’espansione italiana nel mondo. Se tu me ne vorrai tenere informato seguirò, anche di qui, attentamente i vostri corsi. Ti dico subito, che tutto quanto sarà dai varii docenti esposto intorno alla sistemazione urbanistica dei Castelli romani, m’interesserà enormemente; non meno, quanto sarà detto intorno alla struttura e alla funzione dei varii istituti scientifici di Roma. Lo stesso per le lezioni di Giovannoni (fagli i miei particolari saluti), intorno al quartiere del Rinascimento. Così attendo, a suo tempo, la conferenza di Calderini sull’Etiopia; di Pace (ma Pace era vicino a me, fino a due giorni fa!) sull’espansione di Roma nell’Affrica centrale; di Romanelli sulle strade romane in Affrica (tradizione ripresa dai nostri soldati; noi ne abbiamo fatto delle straordinarie); di Ussani sulla lingua di Roma in Affrica. Delle relazioni al Congresso, che già mi mandasti, ò fatto tesoro, per alcune indicazioni e direttive ai miei uffici. Così si potrà rendere, anche nel campo amministrativo, effettivo il contributo della cultura. Se seguito un altro poco a lasciarmi prendere dalle mie nostalgie romane, chissà che cosa ti chiederò. Magari, di mandarmi un soffio della nostra aria profumata di mare, che mi compensi di questa, secca e senza profumo. Ma il foglio finisce. Rimane appena lo spazio per un saluto affettuoso del tuo Bottai (81). JAN NELIS (81) L’archivio privato Galassi Paluzzi conserva anche la minuta di una lettera di Galassi Paluzzi a Bottai, datata 12 dicembre 1936. Nella lettera, il presidente dell’ISR menziona uno scritto di Bottai pervenutogli dall’Africa. Anche se possiamo supporre che non si tratti della risposta alla lettera appena citata, il tono e il contenuto erano indubbiamente simili: LA “FEDE DI ROMA” NELLA MODERNITÀ TOTALITARIA FASCISTA 381 « Caro Amico, puoi immaginare la gioia grande di chi ha ricevuto quella tua stupenda lettera dall’Affrica, che così incisivamente scolpiva quella che deve essere la missione degli Studi Romani; e di chi ha tanto ammirato il tuo articolo su la funzione della cultura, nel sapere il nuovo altissimo compito che in uno dei settori basilari ti ha affidato per la vita della Nazione il Capo. Se Roma non ti avrà più come Governatore (e questo è l’unico punto penoso del mutamento) ti avrà però (e ciò e tanto più alto del rimpianto) come assertore e propagatore della Sua luce nel pensiero nell’arte nella cultura e nella educazione di tutta la Nazione. Consenti dunque ad uno che è tra i più felici della cosa a dirti la sua gioia e a ripeterti la sua antica e veramente rispettosa amicizia ».