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Comune di Milano, omaggio a Gino Valle Gli sarà intitolata la piazza principale del Portello, l’ex area industriale da lui riqualificata e presto luogo simbolo dell’Expo. La decisione assunta dal Comune di Milano di intitolare a Gino Valle la piazza principale dell’ex area industriale del Portello, un tempo occupata dagli stabilimenti Alfa Romeo e Lancia, è un prestigioso riconoscimento all’architetto autore del piano urbanistico di riqualificazione (1998-2001) e di due complessi pubblici (palazzi per uffici, piazza pubblica, centro commerciale) che costituiscono l’intervento urbano più importante, ancora in corso, realizzato in Italia negli ultimi anni e destinato a diventare uno dei luoghi simbolo dell’Expo 2015. Piazza Portello, ventimila metri quadrati di superficie, è una delle più grandi d’Italia insieme con quella di San Pietro e la scelta effettuata dall’amministrazione milanese è un omaggio all’architetto che ne ideò il progetto complessivo. Sono passati dieci anni (2003) dalla scomparsa dell’architetto udinese, ma la sua inconfondibile cifra permane, grazie anche al riuscito passaggio del testimone allo Studio Architetti Valle, dove la moglie Piera Ricci Menichetti, il figlio Piero e molti validi collaboratori lavorano secondo le indicazioni di metodo che Gino Valle aveva tracciato, vale a dire il dialogo tra luogo e edificio, tra questo e il sistema urbano, una ricerca costruttiva e funzionale di volta in volta adattata al progetto specifico: in sostanza un esercizio di libertà e coerenza che affronta e propone soluzioni “caso per caso” dato che ogni volta contesto e problemi offrono interrogativi differenti. Questo modus operandi di Gino Valle è stato paragonato, particolarmente dalla critica italiana, all’eclettismo, definizione utile a etichettare le sue soluzioni sempre diverse, che rivelavano la sua siderale noncuranza per “ismi” e tendenze. La ricerca della modernità, in Valle, si è sempre distinta per l’indifferenza allo “stile”, cosicché la sua architettura non risulta consumabile né è immediatamente riconoscibile, proprio perché scevra da un linguaggio unitario. Risulta particolarmente calzante la definizione datane da Boris Podrecca, «un pragmatico colto e sensibile», perché in effetti Gino Valle è stato da subito compreso nel mondo anglosassone, dato che il suo approccio empirico e antidogmatico era maggiormente in sintonia con le ragioni del costruire e della funzionalità. Joseph Rykwert (1965) sosteneva che la «diversità» dell’architettura di Valle è il «risultato di un modo elastico di affrontare ogni diverso problema»: e infatti ciascun edificio è coerente con la sua «necessità», la «sola domina» dell’arte, come sosteneva il viennese Otto Wagner. Sempre Rykwert, annotando la relazione tra l’opera di Valle e la cultura architettonica e costruttiva del Friuli, impiega il termine «provinciale», ma secondo una connotazione positiva che può essere ricondotta alla definizione di «regionalismo critico» coniata da Kenneth Frampton (1982). Con questa denominazione si identifica «una cultura del costruire che, mentre accetta un ruolo potenzialmente liberativo della modernizzazione, nondimeno resiste all'essere totalmente assorbita dagli imperativi globali della produzione e del consumo». Esemplare la colta interpretazione della tipologia povera della casa popolare friulana che affascina Valle per quell’essenziale rigore che ritroverà nel mondo dell’industria e della prefabbricazione, dimostrandosi ugualmente capace di destreggiarsi tra grande e piccola scala, dalla fabbrica all’oggetto di design (da Solari a Zanussi). Con la stessa disinvoltura affronta il tema dell’inserimento del nuovo nel tessuto urbano storico, così nasce uno dei suoi capolavori, l’udinese Casa Talmone Brigo, in via Mercatovecchio, dove un materiale icona dell’architettura contemporanea come il ferro viene scelto perché è quello che secondo Valle meglio si accosta alla vicina facciata in pietra e intonaco. Ma anche quando si è confronta con altri contesti urbani, quali New York (sede della Banca Commerciale) o Parigi (isolato Édouard VII commissionato dalla Société Générale), o Milano con la Deutsche Bank alla Bicocca e l’area del Portello, Gino Valle non rinuncia a tracciare in maniera incisiva il proprio segno, lasciando talora trasparire il modello di riferimento, come nella sede della Facoltà di psicologia dell’ateneo di Padova, che rievoca l’edificio delle Poste di Adalberto Libera a Roma nelle scale che si intersecano sul prospetto, o alludendo alle tendenze alla moda, come succede con le ironiche citazione ispirate al decostruttivismo degli uffici Deutsche Bank alla Bicocca o nei tre corpi di fabbrica destinati a uffici al Portello con le caratteristiche sagome a parallelepipedo tagliate diagonalmente. Quando con una punta di divertimento si definiva un «indiano con le piume sulla testa, osservabile da lontano, ma non catturabile», Gino Valle enunciava con schiettezza il suo approccio anticonvenzionale e libero all’architettura, libero soprattutto da categorie preconfezionate, poiché preferiva ogni volta intraprendere un percorso di auto rinnovamento, senza timore di rimettersi in discussione. Ogni progetto diventa un’avventura diversa poiché fedele alla propria impostazione rigorosa, Valle rimette sempre in discussione gli assunti di partenza e avvia la ricerca del linguaggio architettonico più confacente. La sua lezione permane non soltanto nello studio che ne prosegue l’attività, ma anche come modello per chi intende l’architettura come forma sostanziata da struttura e funzione, evento unico e irripetibile. I linguaggi architettonici sperimentati da Valle sono quindi coerenti a una sola logica che è quella originata dalla necessità e dall’urgenza, due fattori chiavi per comprendere se siamo di fronte a un’opera d’arte. Questa architettura “fuori moda” che accomuna Gino Valle ad altri architetti inquieti ed eccentrici da Raimondo D’Aronco a Marcello D’Olivo), si può interpretare come un omaggio alla filosofia di Platone che collocava l’architettura tra le scienze esatte e quelle empiriche, lasciando fluttuare la disciplina tra il mondo delle idee e quello dell’esperienza, in un equilibrio sempre mutevole e mai uguale a se stesso, ma proprio per questa sua natura sempre vitale e autorigenerante.