Fogli38/2017
Rivista dell’Associazione
Biblioteca Salita dei Frati di Lugano
Contributi Jacques Dalarun, La ritrovata “Vita beatissimi
patris nostri Francisci (Vita brevior)” di Tommaso da Celano
[p. 1] / Luigi Pellegrini, Considerazioni sulla “Vita brevior”
ritrovata [p. 13] / Risposte di Jacques Dalarun a quattro domande
di Luigi Pellegrini [p. 17] / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares”
di Cicerone in un codice umanistico milanese della Biblioteca
cantonale di Lugano [p. 19] / Marco Sampietro, ‘Nuovi’
esemplari a stampa della prima raccolta poetica del Parini [p. 50] /
Mauro Jöhri, I Cappuccini fra storia e nuove sfide [p. 58] /
Valeria Badasci, Innovazione e tradizione nel ‘Repertorio italianodialetti’ [p. 62] / Giancarlo Reggi, Postilla a “Filologia classica
nella Svizzera italiana dal 1852 ad oggi” [p. 68] / Per Giovanni
Pozzi Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini: «tu sei,
bestemmiando, dalla parte di zia Domenica». Lo sviluppo
di un racconto e la sua ultima svolta [p. 70] / Rara et curiosa
Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum,
Milano, Gottardo da Ponte, 1510. L’esemplare BSF 75 Ga 9:
provenienze marsigliesi e parigine [p. 103] / In biblioteca Fernando
Lepori, Incontri in biblioteca [p. 116] /Alessandro Soldini,
Le esposizioni nel porticato della biblioteca [p. 124] / Marina
Bernasconi Reusser, La mostra “Edizioni di Basilea del XVI
secolo a sud delle Alpi” [p. 133] / Cronaca sociale Relazione
del Comitato [p. 139] / Conti [p. 146] / Nuove accessioni Pubblicazioni
entrate in biblioteca nel 2016 [p. 149]
Fogli
Rivista dell’Associazione
Biblioteca Salita dei
Frati di Lugano. Esce di
regola una volta all’anno;
ogni fascicolo costa
7 franchi; ai membri
dell’Associazione è
inviato gratuitamente.
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biblioteca
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Edizione stampata:
2235-4697
Edizione online:
2235-5189
Redazione
Mila Contestabile
Claudio Giambonini
Fernando Lepori
Giancarlo Reggi
(caporedattore)
Fabio Soldini
Amministrazione
Associazione
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Tiratura
1’200 copie
In copertina
Dettaglio del frontespizio
(riprodotto a p. 105)
del Liber Conformitatum
(editio princeps del 1510)
di Bartolomeo da Pisa
Fogli 38/2017 Presentazione
Quando riemerge un’opera letteraria perduta, l’emozione
è sempre forte. Nell’ambito della letteratura latina medioevale,
è del 2014 la scoperta di uno scritto di Tommaso da Celano,
il più antico biografo francescano: si tratta di una Vita brevior
intermedia fra la Vita prima (1229) e la Vita seconda (12461250). Essa è contenuta in un codice duecentesco acquisito dalla
Bibliothèque nationale de France. Sul suo ritrovamento l’Associazione Biblioteca Salita dei Frati ha organizzato il 27 settembre 2016 un incontro tra Jacques Dalarun, editore critico della
Vita brevior, e il medioevista cappuccino Luigi Pellegrini: i primi
tre articoli costituiscono gli atti di quella serata.
Anche l’articolo successivo, di Giancarlo Reggi, riguarda
un manoscritto, ma quattrocentesco e umanistico: si tratta
di un codice milanese delle Epistulae ad familiares di Cicerone,
conservato alla Biblioteca cantonale di Lugano. Lo descrisse
Remigio Sabbadini nel 1908, rendendosi conto che esso era
una copia del codice di Parigi BnF lat. 8528 fatto confezionare
dall’umanista Guiniforte Barzizza per Alfonso d’Aragona.
La nuova indagine ha permesso di accertare che ciò è vero solo
per la prima metà del manoscritto; poi avviene un cambio di
mano, e con esso cambia anche l’antìgrafo, cioè il codice ‘padre’,
che potrà eventualmente essere individuato con ulteriori ricerche.
Un articolo di Marco Sampietro riguarda un’edizione
luganese del Settecento: Alcune poesie di Ripano Eupilino, la raccolta poetica giovanile di Giuseppe Parini, pubblicata con la
falsa data di Londra 1752. È stato Callisto Caldelari, con argomenti bibliologici, l’ultimo a rivendicarne l’edizione agli Agnelli
e la sua tesi è stata accolta dagli studiosi più recenti. Ai dieci
esemplari recensiti da Maria Cristina Albonico per l’edizione
critica dell’opera (2011), Marco Sampietro ne aggiunge altri
cinque.
Segue una panoramica di Mauro Jöhri tra passato, presente
e futuro dell’Ordine dei Cappuccini, di cui è Ministro generale
in carica, guardando al mondo intero.
Chiudono la sezione Contributi l’articolo di una giovane
italianista dell’Università di Losanna, Valeria Badasci, sul
Repertorio italiano-dialetti (edito dal Centro di dialettologia
e di etnografia di Bellinzona), e una postilla di Giancarlo Reggi
all’articolo Filologia classica nella Svizzera italiana dal 1852 ad
oggi, uscito in «Fogli», 37 (2016).
Il contributo Per Giovanni Pozzi è un articolo di Alessandro
Martini, allievo di Pozzi e suo successore alla cattedra di italianistica dell’Università di Friburgo. L’autore, fondandosi sull’archivio di casa, illustra e pubblica il carteggio fra suo padre, Plinio
Martini, e il suo maestro a proposito del romanzo Requiem
per zia Domenica, uscito nel 1976. Il carteggio inizia nel 1974
e permette di seguire le varie fasi di elaborazione del romanzo
da parte di Martini, oltre che di valutare l’influenza esercitata
dalle valutazioni di Pozzi.
In Rara et curiosa, Giancarlo Reggi descrive un esemplare
dell’editio princeps (1510) del Liber Conformitatum di Bartolomeo da Pisa. Si tratta di un’agiografia francescana in cui si
elencano quaranta conformità della vita di Francesco con quella
di Cristo. L’opera incontrò grande fortuna fino al Settecento,
tanto che a Wittenberg il luterano Erasmus Alber ne fece un’epitome polemica, altrettanto fortunata. L’esemplare acquisito
nel 2013 dalla Biblioteca Salita dei Frati è unico per le note
manoscritte sul frontespizio e altri segni di provenienza: appartenne dapprima al convento dei Cappuccini di Marsiglia, soppresso nel 1791, poi alla Casa generalizia degli Oblati di Maria
Immacolata, a Parigi fino al 1904, quando i chierici della Congregazione furono espulsi dalla Francia. Ciò permette di seguire l’itinerario carsico dell’esemplare fino all’acquisto da parte
della bsf.
La sezione In biblioteca comprende il rendiconto di Fernando Lepori su due cicli di conferenze (sul modernismo e su Bibbia
e letteratura), quello di Alessandro Soldini sulle mostre nel
Porticato, e il discorso di Marina Bernasconi Reusser per
l’inaugurazione della mostra Edizioni di Basilea del XVI secolo
a sud delle Alpi, che la bsf ha organizzato in quanto Centro
di competenza per il libro antico.
Completano il fascicolo la Cronaca sociale e l’elenco delle
Nuove accessioni, curato da Claudio Giambonini.
Contributi
Jacques Dalarun
La ritrovata “Vita beatissimi
patris nostri Francisci
(Vita brevior)”
di Tommaso da Celano
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Jacques Dalarun, storico del medioevo, è direttore di ricerca al Centre national de la
recherche scientifique francese, nel cui ambito lavora all’Institut de recherche et d’histoire des
textes a Parigi. È membro della Académie des Inscriptions et Belles-Lettres.
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Questo contributo e i due che seguono costituiscono gli atti di una serata organizzata
dalla Biblioteca Salita dei Frati nell’ambito della propria attività culturale sulle fonti francescane e sulle tematiche riguardanti il libro antico (27 settembre 2016). Il primo intervento, di
Jacques Dalarun, rifletteva in buona misura quanto il medesimo aveva scritto nella premessa
all’edizione italiana della Vita ritrovata (Id., La Vita ritrovata del beatissimo Francesco. La
leggenda sconosciuta di Tommaso da Celano, trad. di Filippo Sedda, Milano, Edizioni
Biblioteca Francescana, 2015, pp. 5-28); qui se ne ripropone il testo, riveduto e aggiornato
dall’autore.
1
Francesco d’Assisi morì nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226. Il 16 luglio 1228
fu solennemente canonizzato da papa Gregorio ix, che ordinò a Tommaso,
un frate Minore originario di Celano in Abruzzo, di comporre la biografia
del nuovo santo; si tratta della Vita del beato Francesco, che fu approvata il
25 febbraio 1229 dal sommo pontefice. Successivamente, nel 1244, il Capitolo generale dell’Ordine dei frati Minori e il suo ministro generale, Crescenzio
da Iesi, chiesero ai frati di raccogliere i loro ricordi sul fondatore e affidarono a Tommaso l’incarico riordinarli; ciò che lui fece dal 1246 al 1247 nel
Memoriale in desiderio dell’animo, completato verso il 1250 con un’abbondante raccolta di miracoli. Nacque così la consuetudine, a partire dal xiii
secolo, di dire che Tommaso da Celano era l’autore di una prima e poi di una
seconda ‘leggenda’ di san Francesco: la Vita prima e la Vita seconda, due
delle più importanti biografie tra le decine che furono consacrate al Poverello nell’epoca medievale.
Nel 2007, confrontando diversi frammenti di manoscritti, avevo ipotizzato l’esistenza di una leggenda che ripercorreva la biografia di Francesco solo
dalla stigmatizzazione sulla Verna nel 1224 alla traslazione del corpo verso
la basilica d’Assisi nel 1230, e che poi si prolungava con una raccolta di miracoli
postumi. In mancanza di meglio, l’avevo chiamata Leggenda umbra. Su basi
essenzialmente stilistiche, ne avevo attribuito la paternità a Tommaso da Celano
e, dopo aver esplorato diversi scenari, mi ero soffermato sull’idea che essa
fosse stata composta su richiesta di frate Elia, durante il suo mandato di mini-
stro generale dal 1232 al 1239. Nel corso della stessa ricerca, avevo scoperto
uno strano breviario presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, in cui le
letture dell’Ufficio di san Francesco erano state parzialmente raschiate per
renderle illeggibili. Ciononostante, avevo identificato il loro contenuto
come simile a quello delle letture di un altro breviario dello stesso fondo,
che coprivano solo gli inizi della conversione di Francesco. Anche in questo
caso avevo proposto di attribuire questa leggenda liturgica a Tommaso da
Celano. Nell’insieme, le mie ipotesi furono abbastanza ben accolte. Passarono sette anni.
Il 15 settembre 2014, ricevetti dal Vermont un messaggio del mio amico
Sean L. Field che mi segnalava un manoscritto in vendita sul sito “Les
Enluminures”: conteneva una Vita di san Francesco, includendo nello stesso
tempo le letture dei breviari della Biblioteca Apostolica Vaticana e la Leggenda umbra. Nella sua eccellente descrizione in linea, Laura Light sottolineava
l’importanza di questo testo. Concludeva prudentemente domandandosi se
fosse stato compilato da un autore sconosciuto, usando delle due fonti di cui
avevo trattato nel 2007, o se non si trattasse di una Vita dovuta a Tommaso
da Celano fino ad oggi sconosciuta, essa stessa fonte di due testi frammentari. Consultai in fretta la riproduzione in linea della prima pagina della Vita
e vi decifrai, non senza difficoltà, una lettera di dedica che inizia con queste
parole:
Al venerabile e reverendo padre frate Elia, ministro generale dei frati Minori.
La Vita del gloriosissimo padre nostro Francesco che, per ordine del signor papa
Gregorio, ma istruito da te, padre, da un certo tempo già ho composto in un’opera
più completa, a causa di quelli che adducono come motivo, forse a ragione, la
moltitudine delle parole, su tuo ordine ora l’ho sintetizzata in un opuscolo più
breve e ho procurato di scrivere in un discorso succinto almeno le cose essenziali
e alcune cose utili, ommettendo le più.
2
Quindi, non vi era alcun dubbio che si era in presenza di un profondo rimaneggiamento della prima Vita del beato Francesco, abbreviata dal suo autore
in persona, Tommaso da Celano, su richiesta di frate Elia allora Ministro
generale. Le mie ipotesi del 2007 trovavano improvvisamente una conferma
insperata. Segnalai questa scoperta a Isabelle Le Masne de Chermont, direttrice del Dipartimento dei manoscritti presso la Bibliothèque nationale
de France e l’istituzione decise di acquistare il manoscritto.
Questo volume di assai piccole dimensioni (120 × 82 mm), privo di coperta,
formato da centoventidue fogli di pergamena di cattiva qualità, fu certamente
copiato nel secondo terzo del Duecento in prossimità di Assisi, ad uso di frati
Minori. Sciupato, piegato, sgualcito, macchiato, non bello a vedersi, rappresenta certamente, da questo punto di vista, un’immagine della semplicità e
della povertà francescana, anche se, a un esame approfondito, il codice risulta
più accurato di quanto a prima vista si sarebbe indotti a pensare. Esso cela un
tesoro di testi sconosciuti. Quindi è ormai l’oggetto di una ricerca congiunta
del Dipartimento dei manoscritti della Bibliothèque nationale de France e
dell’Institut de recherche et d’histoire des textes del cnrs. Concentriamoci,
al momento, sulla leggenda francescana inedita.
3
1 Periodo di otto giorni che segue una determinata festa religiosa.
Fogli 38/2017 Contributi / Jacques Dalarun, La ritrovata “Vita beatissimi patris nostri Francisci (Vita brevior)”
Diedi l’annuncio della sua scoperta il 16 gennaio 2015 presso l’Académie
des Inscriptions et Belles-Lettres. La notizia suscitò una certa emozione, ben
al di là dei circoli degli studiosi: «Il san Francesco ritrovato», titolò L’Osservatore Romano. Bisogna dire che una tale scoperta non è così frequente.
L’ultima in ordine di tempo risale al 1922, con la messa in luce della Compilazione di Assisi, che raccoglie essenzialmente i ricordi di frate Leone. L’idea
generalmente ammessa, che la mia scoperta veniva a contraddire, era che il
corpus di leggende francescane fosse chiuso, che il tempo delle scoperte fosse
finito. La smentita è oggi senza appello.
Vediamo anzitutto l’apporto del nuovo testo sotto il profilo quantitativo.
Le mie ricostruzioni precedenti non ne restituivano che il 40%. Nella sua
integralità, la nuova Vita del beato padre nostro Francesco – questo il suo titolo
nel manoscritto – è dunque per il 60% del testo inedita. In quanto compendio
della Vita del beato Francesco (la Vita prima di Tommaso da Celano), essa è
forzatamente più breve del suo modello, ma ne rappresenta comunque più
della metà. È più lunga di altre leggende francescane, come la Vita di san Francesco di Giuliano da Spira, la Leggenda dei tre compagni o la Leggenda minore
di Bonaventura.
Con i particolari che essa restituisce, la Vita del beato padre nostro
Francesco chiarisce la genealogia così controversa delle leggende, oggetto del
grande dibattito ormai più che secolare, conosciuto sotto la formula di ‘questione francescana’. Fino ad oggi si era tentato di ricostruire un puzzle di cui
mancava almeno un pezzo decisivo. Grazie alla lettera di dedica, si apprende
che, se la prima Vita del beato Francesco è stata certo composta da Tommaso
da Celano per ordine di papa Gregorio ix, è stato tuttavia frate Elia, sebbene
in quel periodo non fosse a capo dell’Ordine, a offrire all’agiografo informazioni e istruzioni di prima mano: «Domino papa Gregorio iubente, sed te,
pater, edocente» (’Per ordine del signor papa Gregorio, ma istruito da te, padre’).
Questa composizione ufficiale, di cui Tommaso aveva tutte le ragioni di
essere fiero, aveva tuttavia suscitato una critica: troppo ampia, andava ridotta.
La richiesta venne questa volta dal ministro generale, non più dal sommo
pontefice. La questione era interna all’Ordine, perché anche le critiche erano
certamente sorte al suo interno. La Vita del beato padre nostro Francesco:
un tale titolo esprime (oggi come allora) senza mezzi termini la destinazione
della nuova leggenda ad indirizzo dei figli spirituali del padre in questione,
i frati Minori. Ora, quale uso può avere un ‘breve opuscolo’ agiografico in seno
ad un Ordine religioso? La risposta s’impone da sé: provvedere alle nove
letture dell’ufficio liturgico del fondatore, in un’epoca in cui la sua festa non
era ancora accompagnata da un’ottava1. Come prova, nel manoscritto
ritrovato, l’inizio della Vita di Francesco è divisa in nove letture, numerate
e segnalate come tali.
Ma rileggiamo la lettera-prologo: ne traspare che Tommaso da Celano
assume questo nuovo incarico a malincuore: non ha abbreviato la sua precedente redazione quanto avrebbe dovuto fare: alla fine della nona lettura,
il racconto è appena arrivato al reclutamento dei primi compagni! Uno dei
breviari della Biblioteca Apostolica Vaticana ha tentato di rispondere allo
stesso uso, con un taglio leggermente differente delle letture: non riesce
comunque a restituire la vita del santo nella sua integralità, anzi ne è ben
lontano. Allora si chiarisce il breve prologo della prima leggenda liturgica
realmente concepita e diffusa come tale nell’Ordine dei frati Minori,
la Leggenda ad uso del coro:
Tu mi hai domandato, frate benedetto, di estrarre certi elementi dalla Leggenda
del nostro beatissimo padre Francesco e di ordinarli in une serie di nove letture,
perché queste devono essere inserite nei breviari: cosicché a motivo della loro
brevità tutti possano averle.
4
La leggenda, da cui questo frater benedictus («frate Benedetto» o «frate
benedetto»?) domanda ad un anonimo abbreviatore di estrarre nove letture
per uso liturgico, non è la Vita prima di Tommaso da Celano, come si
è sempre creduto, ma il suo stesso tentativo di abbreviazione che continua
a peccare di prolissità. Il parallelo scrupoloso dei tre testi lo prova: la Leggenda
ad uso del coro non ha alcun bisogno di riferirsi alla più lunga prima Vita;
essa è esclusivamente l’abbreviazione dell’abbreviazione. Quanto alla Vita
di san Francesco di Giuliano da Spira, che ha conosciuto un notevole successo
in Francia, si può osservare che essa a sua volta è redatta attingendo alle due
opere di Tommaso da Celano, la lunga e la breve: la lunga per aver più
particolari; la breve perché, più recente, offre informazioni – sulla traslazione del 1230, per esempio – che mancavano al suo modello.
Vita del beato padre nostro Francesco di Tommaso da Celano, Leggenda
ad uso del coro, Vita di san Francesco di Giuliano da Spira: questi tre testi,
intimamente legati, furono tutti composti tra il 1232 e il 1239, sotto il generalato di frate Elia. Ma la Vita ritrovata assume un valore aggiunto quando si
afferma – come credo di poter fare – che sia, in assoluto, la seconda biografia
mai scritta su Francesco di Assisi e la prima mai scritta per uso specifico dei
frati Minori.
La brutale deposizione di Elia nel 1239, bersaglio dell’opposizione interna
dei frati universitari e privato del sostegno di papa Gregorio ix, trascinò
la Vita del beato padre nostro Francesco nella damnatio memoriae del suo
committente. Il testo ebbe tuttavia un recupero d’interesse quando, nel 1244,
la riforma liturgica dell’Ordine dei frati Minori impose di celebrare un’ottava
nella settimana seguente la festa di San Francesco del 4 ottobre: non erano più
nove, ma sessantatré le letture che bisognava produrre. La stessa lunghezza
del testo, troppo poco abbreviato, gli conferì allora un valore, seppure effimero. La maggior parte dei frammenti che avevo ricucito sotto il titolo di Leggenda umbra, quasi tutti estratti da breviari, ha origine in questo momento.
Il poco che circolava ancora della Vita del beato padre nostro Francesco
scomparve, definitivamente o quasi, nel 1266, quando il capitolo generale di
Parigi, presieduto dal ministro generale Bonaventura, decretò di eliminare
le leggende liturgiche precedenti quella che il ministro in persona aveva composto per mettere fine alle discordanze nell’Ordine: la Leggenda minore.
Il breviario della Biblioteca Apostolica Vaticana con le letture raschiate fu
Incipit della Vita brevior.
Paris, Bibliothèque
nationale de France, nal
3245, c. 69r, con il
consenso della BnF.
vittima di questa decisione: i frati non distrussero un volume così prezioso, ma
tuttavia, obbedendo al comando, resero illeggibili gli estratti di una Vita
ormai proibita. A tutti gli effetti, la sopravvivenza del manoscritto della Vita
del beato padre nostro Francesco, sepolto in una collezione privata fino alla
sua messa in vendita e oggi riemerso, ha del miracoloso; per fugare questa
impressione, si dovrà tentare di ricostruire la sua storia dal 1230 al 2014,
un compito per il quale gli indizi sembrano flebili.
Nel frattempo, la Vita del beato padre nostro Francesco aveva direttamente
influito sulla Leggenda dei tre compagni e soprattutto sul Memoriale che
Tommaso da Celano compose dal 1246 al 1250 circa. Con quest’ultima compilazione impropriamente chiamata Vita seconda, l’agiografo era in realtà alla
sua terza redazione della Vita di Francesco! Le ultime parole che consacra al suo
eroe, a chiusura della raccolta dei miracoli che termina lo stesso Memoriale,
furono per lungo tempo interpretate come una reticenza da parte sua a produrre
dei racconti miracolosi. L’idea è assurda e totalmente anacronistica: un agiografo che tentenna a scrivere dei miracoli è un pianista che rifiuta di suonare
Chopin, un panettiere a cui ripugna cuocere il pane. Rileggiamo questa
conclusione nella prospettiva del lavoro agiografico completo di Tommaso,
oggi ricostituito:
Non possiamo inventare ogni giorno delle novità, noi non possiamo cambiare in
tondo quello che è quadrato, non possiamo applicare ad una diversità così
molteplice di epoche e di volontà quello che noi abbiamo ricevuto in un sol uomo.
Non ci siamo per nulla impegnati a scrivere per il vizio della vanità e non ci
siamo immersi in una così grande varietà di parole su istigazione della nostra
stessa volontà; ma l’importunità dei frati che ce lo domandavano l’ha estorto
e l’autorità dei nostri responsabili ci ha ordinato di compierlo.
6
Ora che si conosce la lettera-prologo della Vita del beato padre nostro Francesco,
non si ritrova la medesima delusione da un testo all’altro, spinto qui – una
quindicina d’anni più tardi – al parossismo dell’amarezza? ‘Ma che cosa rimproverate esattamente alla mia prima Vita, dove io avevo messo tutta la mia
arte, tutto il mio cuore e tutta la mia anima’, sembra ribadire Tommaso.
«Benché alcuni vogliano forse che si dicano certe cose diversamente e che altre
non si dicano», dichiara polemicamente già in apertura della sua seconda
versione. L’autore ferito recalcitra, denuncia gli importuni. Ma si deve essere
loro grati di averlo costretto a riprendere la penna, perché, in ciascuna delle sue
riscritture, nonostante tutto, lui aggiunge del nuovo.
Senza dubbio questa è la domanda che mi è stata più spesso posta – e molto
legittimamente – dopo l’annuncio della scoperta della Vita del beato padre
nostro Francesco: che cosa essa apporta alla nostra conoscenza di Francesco
di Assisi? Cose nuove sul Poverello, uno dei personaggi meglio documentati
del medioevo, con biografi innumerevoli? La sfida non è da poco. Ho paura di
deludere gli amanti del sensazionale e gli adepti della teoria del complotto:
Francesco d’Assisi non era un cripto-eretico, né un ribelle alla Chiesa romana
e frate Elia non ha perforato le mani e i piedi del suo cadavere per simulare a
posteriori le stigmate. Ma alla gente con giudizio, vorrei provare a rispondere
Fogli 38/2017 Contributi / Jacques Dalarun, La ritrovata “Vita beatissimi patris nostri Francisci (Vita brevior)”
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in modo conveniente: senza sopravvalutare o sottovalutare la portata della
scoperta.
Che cosa si intende per «nuovo»? O più esattamente, nuovo in rapporto
a cosa? Qual è la novità che il testo riesumato apporta oltre il mio tentativo di
ricostituzione editato sotto il titolo di Leggenda umbra? Qual è la novità in
rapporto alla sola biografia francescana precedente, la Vita del beato Francesco
dello stesso Tommaso da Celano? Quali sono le informazioni inedite rispetto
a tutto quello che noi sappiamo già su Francesco dal corpus completo delle sue
biografie? Prendiamo l’esempio dei miracoli postumi: ne avevo raccolti
trentanove nella Leggenda umbra. La Vita ritrovata ne conta settantuno: trentadue in più, si dirà. Ma al momento in cui Tommaso pubblicò la sua nuova
raccolta, aggiunge in realtà trentatré miracoli ignorati dalla Vita prima. Il guadagno si accresce di un’unità. Ma, ahimè, dal momento che tutti questi nuovi
prodigi degli anni 1230 furono ripresi nella grande raccolta del Memoriale
verso il 1250, il guadagno in assoluto è ridotto a zero. Niente che non sia
logico: essendo la seconda leggenda francescana l’ultima riscoperta, bisogna
attendersi che la maggior parte dei suoi contributi siano stati alterati dalle
versioni ulteriori che vi hanno attinto.
Non è pertanto indifferente sapere che un’informazione che si credeva
ritornata alla memoria verso il 1250 in realtà era già stata consegnata una
quindicina d’anni prima. E quando la Vita del beato padre nostro Francesco
porta la prima versione di un episodio, è assai probabile che la sua formulazione
sia più esatta, che i suoi dettagli siano più vicini alla realtà, prima che, di
rimaneggiamento in rimaneggiamento, il racconto sia stato deformato ed
edulcorato.
La Vita ritrovata non è solamente un’abbreviazione della Vita prima, suo
modello, ma ne è anche un’attualizzazione. Così la traslazione del santo corpo
dalla chiesa di San Giorgio verso la nuova basilica di San Francesco, che
avvenne il 25 maggio 1230 e che è debitamente riportata nella Vita del beato
padre nostro Francesco, non avrebbe potuto essere riferita nella Vita del beato
Francesco, terminata all’inizio dell’anno precedente; allo stesso modo, il cardinal Rainaldo, futuro papa Alessandro iv, non avrebbe potuto essere designato come vescovo di Ostia, un titolo che ricevette solo nel 1231; non ci sarebbe
potuta essere neppure l’allusione alla canonizzazione di Antonio di Padova,
proclamata il 30 maggio 1232, né l’elogio funebre di Giovanni Parenti, che era
stato ministro generale dal 1227 al 1232.
La principale novità della Vita ritrovata è costituita dai suoi trentatré
nuovi miracoli postumi. Un miracolo che si produce dopo la morte di un
santo, ma per sua intercessione, è senz’altro la prova dell’attualità della sua
santità, della resistenza della sua fama all’usura del tempo, della sua potenza
presente e sempre efficace, attiva e attuale. Questo discorso è difficilmente
comprensibile ai nostri giorni. I miracoli non interessano molto, si preferisce
il vissuto, non il meraviglioso! Addirittura, essi mettono a disagio: i credenti
temono di essere sospettati di credulità, quando se ne interessano mentre gli
altri non sanno che farsene di queste attestazioni soprannaturali delle fonti
medievali, con tanto di garanzie formali quanto l’ammontare di un censo
o il risultato di una battaglia. In fondo, i miracoli imbarazzano tutti.
8
Prendiamo però il tempo di leggere questi micro-racconti, che rivelano
nel volgere di un istante tanti particolari di vite quotidiane e dolorose:
vediamo il dolore dei genitori che credono il loro figlio annegato nel Volturno, o schiacciato sotto il crollo di una casa a Sessa Aurunca o sotto un
torchio per il vino in Sicilia; la loro gioia quando il fanciullo riprende vita.
Vediamo l’uomo accusato di eresia a Roma, confinato sotto la custodia
del vescovo di Tivoli, coperto di catene, e che riesce tuttavia a fuggire mentre
il prelato è svenuto per lo spavento – un episodio che si può molto precisamente datare nel 1231, grazie a stretti controlli incrociati con la documentazione esterna. Veniamo a conoscere la reclusa romana che aveva molto ben
conosciuto Francesco in vita, che fa appello a lui quando non può rialzarsi
da una terribile caduta nel suo eremo e rischia di morire, se nessuno la
soccorre. Non ci sono effetti speciali in questi episodi palpitanti, ma una
tensione estrema tra la vita e la morte, la paura e la speranza, il dubbio
e la fede; e Francesco che improvvisamente appare in sogno, per affermare
che il peggio non è sempre certo e per insegnare, come nell’episodio
del frate con la pelliccia, che la conversione dell’anima e del cuore è ben più
importante della guarigione del corpo che la manifesta.
Ritorniamo al santo ancora in vita: una serie di episodi inediti della
leggenda ritrovata tratta della povertà. Uno di questi, che non fu mai ripreso
in seguito e che dunque costituisce una novità assoluta, descrive le vesti
di Francesco, preoccupato di conformarsi «in tutto ai poveri»: «La tonaca di
cui era vestito, che condivideva frequentemente con loro e portava alla
maniera dei poveri, lui la riparava spesso non con fili ma con cortecce di alberi
o di piante». Questo vestito in parte vegetale è in stretta consonanza con
l’habitat di Francesco, sovente decritto nella Compilazione di Assisi: povere
capanne amovibili di canne o giunchi. Nei due casi, la connotazione sociale
è chiara per i lettori e uditori del xiii secolo: essi identificano immediatamente l’habitat e i vestiti tipici dei contadini a giornata, braccianti stagionali
itineranti in cerca di lavoro che, con il prezzo del loro sudore, si mantengono
sulla soglia della sopravvivenza.
Un altro aneddoto, ripreso anch’esso nella Compilazione di Assisi e nel
Memoriale, mette in scena Francesco in un eremo: deplorando la cura
apportata dai frati alla tavola, che «non era quella dei poveri, ma dei ricchi»,
si rifugia in un angolo e, accovacciato, domanda l’elemosina. Un episodio
ammirabile, reimpiegato solo nel Memoriale dello stesso Tommaso da
Celano, racconta l’incontro di Francesco e di un contadino che, dopo essersi
assicurato del suo nome, l’apostrofa: «Cerca, o frate, di essere così come
ti annunciano gli uomini. Molti, infatti, confidano in te. Ti esorto che di te
non sia mai diversamente da quanto si spera». Francesco scende dal suo
asino e, pieno di riconoscenza, si prostra ai piedi del contadino.
Senza dubbio la più eloquente delle novità su questo tema è l’episodio
della basilica di San Pietro, conosciuto dalla Leggenda dei tre compagni, ma
registrato qui in una versione più autentica, più gustosa e ben più profonda.
Francesco si reca a Roma «da mercante con mercanti» – e non in pellegrinaggio come vorrebbe poi far credere la Leggenda dei tre compagni per suggerire
l’idea di una conversione in germe, di una traiettoria progressiva verso la santità.
Fogli 38/2017 Contributi / Jacques Dalarun, La ritrovata “Vita beatissimi patris nostri Francisci (Vita brevior)”
9
La realtà è più cruda: Francesco è in viaggio d’affari, ancora totalmente inserito
nel secolo. Lo sconcerto è ancora più forte. Lui vede i poveri che mendicano
presso la basilica di San Pietro e vuole allora «sperimentare le loro privazioni, se sarebbe stato capace sopportarle almeno una volta». Cambia i suoi
vestiti con i loro e condivide con loro il cibo mendicato, affermando che «mai
aveva mangiato qualcosa di più dilettevole». Il latino è luminoso, di una
formulazione che sembra quasi moderna: «volens miserias experiri». Non
solamente compatire, nemmeno alleviare, ma condividere una condizione reale, farne l’esperienza fisica.
Sono persuaso che questi episodi fin qui sconosciuti non sorgano per caso
sotto la penna di Tommaso da Celano dopo il 1232. Mentre l’Ordine cresce
numericamente con l’arrivo di frati chierici e universitari, l’agiografo, certamente in accordo con il ministro committente frate Elia e una parte dei
compagni prossimi alla fraternità originaria, vuole ricordare che la povertà
francescana non è una disposizione spirituale o una figura simbolica, come
potevano pensare questi intellettuali che vivevano in conventi sempre più confortevoli, sollevati da tutti i compiti materiali dai frati laici che li servivano,
circondati di libri che, senza dubbio, non appartenevano loro, ma costavano
una fortuna agli occhi dei veri poveri. Ci sono delle attese ‘politiche’ in questo
recupero della memoria: sono convinto che questi episodi siano storicamente fondati, che Francesco li abbia veramente vissuti, che alcuni compagni se
ne siano opportunamente ricordati e li abbiano riportati a Tommaso da Celano,
perché l’evoluzione dell’Ordine sembrava loro un tradimento del messaggio
ricevuto dal maestro, nelle parole e più ancora negli atti.
Al contrario, se nella Vita del beato padre nostro Francesco l’agiografo
omette di riportare la spogliazione del figlio di Pietro di Bernardone davanti
al vescovo di Assisi (di cui lo stesso biografo aveva fatto uno dei pezzi di
bravura della sua Vita prima) non è perché improvvisamente ha dubbi sulla
veridicità dell’episodio, ma semplicemente perché non ha più voglia di
riattivarne il ricordo. Niente a che vedere con un eccesso di pudore di fronte
allo spettacolo del giovane che si denuda in pubblico! È la tappa immediatamente successiva che Tommaso vuole mantenere occulta: il momento in cui il
vescovo copre Francesco «del mantello di cui era rivestito». Perché questo
gesto non è ispirato da un movimento di pudicizia o da uno slancio di compassione, ma costituisce un atto giuridico: il penitente sfugge alla giurisdizione
comunale e, da allora in poi, rientra nelle competenze del foro ecclesiastico,
sotto la giurisdizione del prelato che l’accoglie. Ora né Elia, né Gregorio ix si
auguravano di dare ai vescovi argomenti per sostenere che i frati Minori, come
il loro fondatore, dovessero essere sottomessi ai prelati ordinari delle diocesi
in cui si erano stabiliti. Il ministro e il papa, concordi, tenevano ad affermare
l’esenzione dell’Ordine, la sua diretta affiliazione alla Sede Romana senza
alcun intermediario; così come lo era «la basilica del beato Francesco» celebrata
in conclusione della Vita ritrovata; era quindi meglio tralasciare tutto ciò che
poteva mettere in discussione questa strategia condivisa.
Su un ultimo punto la Vita ritrovata apporta una piccola luce supplementare. Quando Tommaso scrisse la sua Vita prima, non avendo vissuto nella
familiarità di Francesco come frate Elia o frate Leone, aveva sotto gli occhi il
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Cantico di frate Sole, questa magnifica poesia in volgare umbro che celebra la
fraternità delle creature in lode all’Altissimo e inaugura, di fatto, la letteratura
italiana. Conoscendo il solo testo, Tommaso immagina dunque Francesco
che contempla «nelle creature la saggezza del Creatore, la sua potenza e la sua
bontà» e prova una «gioia stupefacente e ineffabile» quando guarda il sole,
la luna, le stelle, il firmamento, i vermi della terra, le api, i fiori, i campi, le vigne,
le pietre, le foreste, l’acqua delle fontane, la vegetazione del giardino, la terra
e il fuoco, l’aria e il vento. L’agiografo non manca evidentemente di notare che
il santo «chiamava tutte le creature con il nome di fratello». Quello che
Tommaso non sapeva, e che Leone consegna solo tra il 1244 e il 1246, e di cui
si ha traccia unicamente nella Compilazione di Assisi, è che Francesco non
poteva materialmente estasiarsi alla vista di questo spettacolo: al momento
della composizione del Cantico di frate Sole, egli era a San Damiano, malato,
perseguitato dai topi, cieco, devastato dai dolori. Quando riprende la penna
dopo il 1232 per abbreviare la Vita del beato padre nostro Francesco, Tommaso
non ha informazioni supplementari sui fatti ma ha avuto modo di riflettere.
Come il lievito nella pasta, il testo del Cantico lo ha fatto reagire. Nella sua
redazione precedente, aveva tratteggiato un Francesco felice e aveva tentato di
trascinare, con il suo estro pittoresco, il lettore in questo rapimento.
Ora l’agiografo comprende progressivamente che nell’amore del Poverello
per tutte le creature si trova un motivo più profondo, le cui implicazioni teologiche gli erano in parte sfuggite.
Nella sua versione abbreviata, Tommaso avrebbe potuto saltare qualcuno
degli episodi relativi agli animali, che sono molti e potrebbero anche apparire
ripetitivi. Invece ne riassume alcuni ma non ne omette nessuno. Soprattutto
non elimina il commento, che torna in modo insistente da un episodio all’altro. Francesco si rivolge agli uccelli di Bevagna «come se fossero dotati
di ragione» e dopo questo momento decide di esortare «anche le creature
insensibili». Le rondinelle d’Alviano tacciono a sua richiesta «come capaci
di ragione». Le bestie selvagge comprendono l’affetto che Francesco ha per
loro «come se avessero l’uso della ragione». «L’uomo di Dio abbondava di
spirito di carità, recando viscere di pietà non solo verso gli uomini, ma anche
verso i muti e bruti animali e le altre creature». «Infine, chiamava tutte le
creature con il nome di fratello propter unum principium».
L’idea del principio unico (una sola e comune origine), che fa di tutti gli
esseri dei fratelli, non era presente nella Vita prima. Tutti fratelli e sorelle
perché tutti figli e figlie dello stesso Padre: Tommaso, nella sua riscrittura,
ha prodotto questo piccolo passo avanti. Esso era ovvio, si dirà; invece vi
giunse solo alla fine di questo percorso. Ora, è precisamente questa dimensione verticale di una filiazione universale al medesimo Padre che ignorano
o che trascurano coloro che vogliono credere che Francesco cantasse il
fascino della natura. Si è liberi di amare la natura, ma citare come testimone
di questo amore l’autore del Cantico di frate Sole è possibile solo a causa
di un malinteso o di cattiva fede.
Per prolungare la meditazione medievale, per attualizzarla a otto secoli
di distanza nella nostra stessa lingua, io direi che il discorso di Francesco,
come il suo agiografo a poco a poco intuisce, è risolutamente anti-identita-
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2 Jacques Dalarun, Thome Celanensis Vita beati patris nostri Francisci (Vita brevior).
Présentation et édition critique, «Analecta Bollandiana», 133 (2015), pp. 23-86.
3 Jacques Dalarun, Tommaso da Celano, La Vita del beato padre nostro Francesco, «Frate
Francesco», 8 (2015), pp. 289-386.
Fogli 38/2017 Contributi / Jacques Dalarun, La ritrovata “Vita beatissimi patris nostri Francisci (Vita brevior)”
rio – e dunque particolarmente salutare per i tempi che corrono. Francesco
non si trincera nell’identico: aveva fratelli di sangue, l’altro o gli altri figli di
Pietro di Bernardone, se ne era volontariamente allontanato, a sua volta era
stato ripudiato dai suoi. Aveva poi compagni della sua terra: i concittadini di
Assisi, con cui aveva condiviso la spensierata giovinezza e che ora, ostili alle
sue idee, gli gettavano fango e pietre. Si era però formata attorno a lui una
calorosa fraternità di cuore, una famiglia spirituale, elettiva, presto costituita nell’Ordine dei frati Minori. Avrebbe potuto limitare il suo sentimento
fraterno a questa milizia di mendicanti superbi, che gli rinviavano l’immagine
lusinghiera del suo successo al rovescio. I suoi fratelli e sorelle animali sono
esattamente ciò che non sono i suoi simili; i quali, nonostante le apparenze e i
pregiudizi, partecipano tuttavia alla ragione universale, e ai quali egli si
sente strettamente legato per quel principio unico che, come a lui, ha dato loro
la vita.
In realtà, l’abbreviazione della Vita si rivela essere una reductio nel senso
teologico del termine: riduzione non materiale ma all’essenziale: reductio
ad Christum. I nuovi appellativi di Francesco nella Vita ritrovata lo provano:
«amico di Cristo», «servitore di Cristo», «signifero di Cristo», «santo
di Cristo». Ed è il motivo per cui la Vita del beato padre nostro Francesco
appare più di una volta come il laboratorio della Leggenda maggiore di
Bonaventura.
Questa breve presentazione è lontana dall’esaurire il significato della Vita
ritrovata: spero solo che abbia convinto il lettore che merita di essere letta.
L’edizione critica latina è stata pubblicata in «Analecta Bollandiana»2, con le
necessarie precisazioni storiografiche, la presentazione del manoscritto, la
discussione stemmatica, l’apparato delle varianti e delle fonti. Sono già state
pubblicate le traduzioni francese, spagnola, inglese, tedesca, portoghese e
ungherese; quelle in polacco, croato e cinese sono invece in preparazione. Una
traduzione italiana a cura di Filippo Sedda, annotata, provvista di un’indispensabile tavola di concordanze tra la Vita ritrovata e undici altre leggende
francescane primitive, è uscita nelle pagine della rivista «Frate Francesco»3.
Per renderlo accessibile a un più largo pubblico, il testo è stato pubblicato
dalle Edizioni Biblioteca francescana di Milano in versione italiana senza alcun
apparato. Seguirà certamente un dibattito internazionale, che permetterà
di approfondire l’importanza del rinvenimento della Vita ritrovata.
Sono convinto che anche le altre parti del manoscritto riserveranno belle
sorprese: la leggenda ha attirato le luci della ribalta, ma essa occupa poco
più di un ottavo del manoscritto, che rappresenta probabilmente il più antico
testimone delle Ammonizioni di Francesco d’Assisi. Il commento del Padre
nostro, che segue, non manca di suscitare interesse. E anche il resto, un apparente guazzabuglio di sermoni, florilegi, trattati, libri biblici apparentemente
incoerente, avrà bisogno di essere studiato: da dove sono stati estratti, dove
e da chi sono stati copiati, per quale uso? Quale frate Minore portava nella
tasca della sua tunica, durante le sue peregrinazioni, questo vademecum rovinato dall’usura nei primi e negli ultimi fogli? Con chi lo condivideva? Il nostro
gruppo di ricerca si sta impegnando per saperne di più. La conservazione del
manoscritto nel fondo pubblico della Bibliothèque nationale de France e la
messa in rete sul sito Gallica della sua riproduzione integrale, digitalizzata
in alta definizione, ne garantiscono a tutti l’accesso.
L’avventura è solo all’inizio.
12
Contributi
Luigi Pellegrini
Considerazioni sulla “Vita brevior”
ritrovata
*
*
Fra Luigi Pellegrini, dell’Ordine dei Frati minori cappuccini, dal 1990 al 2006 è stato
professore ordinario di Storia medioevale all’Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio”
di Chieti e Pescara.
1 Dominique Poirel, Un écrit inédit de François d’Assise? Le commentaire du Pater dans le
manuscrit BnF, NAL 3245, «Académie des Inscriptions & Belles-Lettres. Comptes rendus des
séances de l’année 2016», janvier-mars, p. 415-485.
2 Si è notato che uno dei primi a utilizzare i sermoni è stato frate Sopramonte da Varese,
successore di Antonio alla guida della provincia minoritica di Lombardia, forse fin dal 1230
(vedi in proposito Antonio Rigon, La fortuna dei Sermones nel Duecento, in Id., Dal Libro alla
folla: Antonio di Padova e il francescanesimo medievale, Roma, Viella, 2002, pp. 69-88).
3 Amandine Postec, Un Nouveau témoin des Sermons d’Antoine de Padoue, Padova, Centro
Studi Antoniani, 2016, fornisce la trascrizione dei testi dei sermoni riprodotti nel manoscritto
e il confronto con i passaggi analoghi dell’edizione critica Sancti Antonii Patavini [...] Sermones
[...], a cura di Diego Ciccarelli, Patavii, Edizioni del Messaggero, 1979-1980 (3 vol.). Una nuova
edizione è stata curata da Leonardo Frasson, Laura Gaffuri e Cecilia Passarin, In nome di Antonio:
13
Lasciando all’amico e collega Jacques Dalarun il compito di entrare dettagliatamente nel merito della Vita beati Francisci e della sua riscoperta, mi limiterò
a dare sintetiche indicazioni sugli altri contenuti del codice, perché mi sembrano di notevole interesse. In seguito porrò alcune quaestiones allo studioso
francese, che ha editato la ‘Vita ritrovata’.
Tra i numerosi scritti riportati, va innanzitutto segnalata la più antica
raccolta di testi di frate Francesco. Nel manoscritto, infatti, sono riprodotti:
la Regola, inglobata nella lettera con la quale Onorio iii l’aveva approvata,
le Admonitiones e un commento al Pater noster, redatto e fatto scrivere, probabilmente, dello stesso Francesco, ma diverso da quello tradizionalmente
trasmesso1. Altre opere sono state inserite in questa collezione, con netta
preferenza per i sermonari: indice evidente della destinazione del manoscritto
quale materiale per la predicazione. Tra essi spiccano numerosi e corposi
estratti dei sermones di Antonio di Padova. Particolarmente interessante è questa
precoce riproduzione, forse la prima in ordine di tempo2, segno che la fissazione sulla pergamena della predicazione del frate recentemente canonizzato
aveva avuto un’ampia e immediata circolazione ed esercitava un’attrattiva
particolare sui confratelli che intendevano dedicarsi alla pastorale della parola3.
Il frate lusitano era stato canonizzato di fresco, il giorno di Pentecoste del
la miscellanea del codice del tesoro (XIII in.) della Biblioteca Antoniana di Padova, Padova,
Centro Studi Antoniani, 1996.
4 Luciano Bertazzo, Un Antonio ritrovato nella “Vita ritrovata”, «Il Santo», 56 (2016),
pp. 221-230.
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1232, a solo undici mesi dalla morte: il più breve processo canonico nella storia
delle canonizzazioni. Frate Antonio è, appunto, qualificato dal trascrittore
con il titolo di beato4. Si noti la coincidenza: nel Capitolo generale di Pentecoste di quell’anno era stato eletto Ministro di tutto l’Ordine frate Elia, il committente della Vita beati patris nostri Francisci riportata nel codice.
La serie dei testi raccolti nel manoscritto evidenzia gli interessi culturali
di un frate Minore negli anni Trenta del Duecento, un decennio, o forse meno,
dalla morte di frate Francesco. Brani e libri scelti della Bibbia: Giobbe,
Zaccaria, Atti degli Apostoli e relativi commentari; estratti dal Vangelo di Matteo.
Tali testi, posti accanto alla nutrita raccolta di sermoni, evidenziano lo
spazio dell’attenzione ai prodotti della attività intellettuale, trasmessa da una
secolare tradizione, che si va ampliando all’interno dell’Ordine, distanziandosi
dalla proposta di frate Francesco di semplice essenzialità evangelica.
Diamo un’occhiata agli scritti collezionati nel codice: vi sono sermoni
di noti autori ecclesiastici dei secoli precedenti. Fra essi spicca il principale
sermocinatore della tradizione cistercense, Bernardo di Chiaravalle.
Non mancano, né potevano mancare, estratti dall’allora più famosa e utilizzata
opera di ricostruzione storica: la Historia ecclesiastica di Pietro il Mangiatore
(Petrus Comestor). Il trascrittore risale di diversi secoli nel tempo riproducendo il Liber de virtutibus et vitiis di Alcuino: una ‘guida morale’, particolarmente interessante per un predicatore francescano, il quale leggeva nel capitolo ix del testo definitivo della Regola (la così detta Regula bullata):
«annuncino ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso».
Forse il nostro predicatore, che aveva fatto raccogliere e che, comunque,
utilizzava i testi trascritti nel codice, non si atteneva alla «brevità di discorso».
Particolarmente significativo di ‘quanto bolliva nella pentola’ dei frati
Minori di quel decennio e dei successivi il testo delle Revelationes dello pseudo
Metodio: non siamo ancora nell’effervescenza di quel gioachimismo che
procurò non pochi problemi all’Ordine, comprese le dimissioni del Ministro
generale frate Giovanni da Parma. Si sta, però, già navigando nel mare
dell’interpretazione ‘mistico-esoterica’ della storia della Chiesa.
Estesi brani della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, testi di predicazione, con l’abbondante ricupero dei sermones di Antonio, opere di carattere
morale, ricostruzioni storiche, reinterpretazioni della vicenda della Chiesa: il
tutto costituisce un chiaro indice della cultura che ormai circola tra i Minori.
Si noti che frate Salimbene de Adam attribuisce proprio a frate Elia il merito
di aver sollecitato e organizzato gli studi all’interno dell’Ordine, pur fra tante
colpe che il cronista gli attribuisce ricalcando pesantemente le dure contestazioni a suo carico che formeranno il bagaglio della sua damnatio memoriae,
con la quale verrà consegnato alla storia, in seguito alla sua deposizione.
Nel nostro manoscritto sono riportati alcuni testi di e su frate Francesco:
la Regula bullata, patente di autenticazione minoritica di colui che riunì in
un solo codice i vari scritti; la Vita beati Francisci, qui inserita – per nostra fortuna
Fogli 38/2017 Contributi / Luigi Pellegrini, Considerazioni sulla “Vita brevior” ritrovata
15
– a preferenza della biografia, precedentemente redatta da Tommaso da
Celano; le Admonitiones; una sconosciuta parafrasi al Pater noster che, posta
di seguito alla Regula e alle Admonitiones, sembra che il copista la intenda
attribuita allo stesso autore, frate Francesco.
L’insieme dei testi riprodotti dimostra che essi furono fatti trascrivere
– da vari amanuensi e in tempi diversi, ma molto ravvicinati – a uso di un
predicatore; certamente un frate Minore: la Regola con la lettera pontificia di
approvazione fungeva da identificazione e ‘patente’ di appartenenza all’Ordine.
Gli estratti dei sermoni di frate Antonio, assieme alle Admonitiones (delle
quali è la copia più antica che possediamo, risale, infatti, a un decennio dalla
morte di frate Francesco), danno un ‘sapore francescano’ al contenuto e alla
funzione del complesso dei pezzi collezionati nel manoscritto. Il tutto appare
funzionale alla costituzione di un piccolo bagaglio personale, trasportabile
e utilizzabile all’occorrenza per l’elaborazione di sermoni.
Il frate Minore che aveva ‘commissionato’ il manoscritto, o vi aveva
raccolto i diversi testi, rimane nell’anonimato, ma egli aveva probabilmente
conosciuto frate Francesco; era comunque un suo contemporaneo e forse
un conterraneo; oppure originario dalle confinanti Marche, terra con la quale
il santo aveva avuto una buona consuetudine e dove i frati Minori avevano
costituito un elevato numero di comunità. Da una di queste proviene molto
probabilmente il codice.
Mi si consenta, a titolo di conclusione, qualche considerazione sul contesto
‘liturgico’, da cui nasce la Vita brevior, oggetto del nostro incontro. È il primo,
parziale tentativo fra i diversi redatti antecedentemente alla Legenda minor di
frate Bonaventura, giunti fino a noi: la Legenda choralis umbra, la Legenda ad
usum chori. Esse furono compilate tutte negli anni Trenta e sono frutto dell’iniziativa liturgica di frate Elia per celebrare san Francesco. Bisognerà attendere
il suo secondo successore, Aimone di Faversham, per un’organizzazione sistematica dell’azione liturgica nell’Ordine minoritico; proprio colui che aveva
promosso la deposizione di Elia ne continuò, e non solo in questo settore,
l’opera promotrice.
Ma la storia della rivisitazione e revisione della vicenda umana di frate
Francesco non si limitò alle esigenze delle celebrazioni festive del santo.
Nel decennio successivo si volle riformulare l’immagine stessa del fondatore.
‘Vittima designata’ di tale gravoso impegno fu Tommaso da Celano, al quale
nel giro di due decenni vennero commissionati sei testi agiografici: la Vita
beati Francisci in occasione della canonizzazione (1228); la Vita brevior, la
Legenda choralis Umbra, probabilmente la Legenda ad usum chori negli anni
Trenta del Duecento. Date le mutate situazioni ed esigenze all’interno
dell’Ordine, gli venne richiesta (o imposta) una nuova biografia: il Memoriale
in desiderio anime. Ma il suo nuovo lavoro non incontrò la soddisfazione dei
frati: bisognava rivederlo e aggiungere i miracoli operati per intercessione del
santo. Ecco allora una seconda stesura del Memoriale con l’aggiunta del
Tractatus de miraculis. Nel giro di 25 anni sei opere con cinque diversi committenti: Gregorio ix, frate Elia, frate Benedetto, Crescenzio da Iesi, Giovanni
da Parma. Una nuova biografia ad ogni cambio di gestione. La desolata
conclusione del Tractatus de miraculis è l’espressione di una evidente protesta:
Non possiamo sempre forgiare cose nuove, non possiamo sempre far diventare
quadrato ciò che è rotondo, né applicare alle varietà così molteplici di tempi
e tendenze ciò che abbiamo ricevuto come unica verità. Certo non siamo stati
spinti a scrivere per vanità, né ci siamo lasciati sommergere dall’istinto della
nostra volontà fra tanta diversità di espressioni. Ci ha estorto questo l’importunità dei frati.
Più chiaro di così!
16
Contributi
Risposte di Jacques Dalarun
a quattro domande
di Luigi Pellegrini
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lp Hai accennato alla composizione della Legenda choralis umbra.
Potresti riassumere i problemi circa autore e caratteristiche di tale testo e
accennare ai suoi rapporti con la Vita brevior e la Legenda ad usum chori?
jd Nel 2007 mi ero interessato alla disputatio erudita avviata negli anni
Trenta tra due grandi studiosi frati minori, Giuseppe Abate e Michael Bihl,
a proposito di una leggenda francescana frammentaria, conosciuta sotto i titoli
(peraltro fittizi) di Legenda neapolitana, poi di Legenda choralis umbra.
Dopo di loro la pista era stata abbandonata, ma avevo trovato altri frammenti
che mi avevano permesso di dare più consistenza al testo. Avevo proposto
di attribuirlo a Tommaso da Celano e di datarlo al generalato di frate Elia
(1232-1239), di cui la Legenda fa un elogio notevole. Nel 2014, quando l’amico
Sean Field mi ha segnalato un codice francescano in vendita negli Stati Uniti,
mi sono reso conto che esso conteneva una leggenda francescana corrispondente al testo completo di cui la Legenda cosiddetta umbra comprendeva solo
alcuni estratti. Se si legge la lettera di dedica della leggenda francescana scoperta
nel codice ritrovato, si capisce che è opera di Tommaso da Celano ed è un
riassunto aggiornato della sua Vita beati Francisci (la Vita cosiddetta prima):
di qui il mio appellativo di Vita brevior per questa Vita beati patris nostri Francisci (è il titolo nel codice). Dunque, le Vite conosciute sotto i titoli di Legenda
neapolitana e Legenda choralis umbra non sono testi a sé stanti ma solo
frammenti della Vita brevior utilizzati in contesto liturgico. Invece, tutte le
mie ipotesi basate su questi frammenti nel 2007 sono state confermate nel
2014: la Vita brevior fu scritta da Tommaso da Celano, sotto il generalato di
frate Elia e a gloria sua.
lp La Vita brevior delle tre è la più estesa, ma presenta una struttura
strana. Le nove lectiones, trascritte su quattro pagine (due carte), s’interrompono
all’arrivo dei primi sette compagni. Perché il seguito non è stato strutturato
‘liturgicamente’?
jd La presenza di nove rubriche indicanti nove lezioni liturgiche ‘tagliate’
nell’inizio della Vita brevior è una realtà codicologica nel manoscritto francescano ritrovato. Come spiegarla? Due le ipotesi. La prima: può essere un’iniziativa
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del copista; le nove lezioni portano fino al reclutamento dei primi compagni
di Francesco (ben prima della fine del suo percorso terreno); si potrebbe
immaginare che il resto della Legenda potesse essere utilizzato per le lezioni
liturgiche durante l’ottava della festa di san Francesco, un’ottava introdotta
solo nel 1244. Seconda ipotesi: la partizione in nove lezioni è opera originaria
di Tommaso da Celano. Ciò significherebbe che aveva ricevuto da frate Elia
la committenza di una Legenda brevior ad uso liturgico, ma che ha solo finto
di obbedire con nove lezioni iniziali che non permettono di conoscere il
percorso di Francesco. Tutto il resto della leggenda è in eccesso, perché Tommaso non voleva troppo abbreviare la sua Vita prima. La Legenda ad usum chori,
conosciuta da molto tempo, offre davvero tutto il percorso biografico di
Francesco in nove lezioni. È una buona leggenda liturgica anteriore all’introduzione dell’ottava, dunque al 1244. Come ho dimostrato filologicamente,
la Legenda ad usum chori è il riassunto non della Vita prima (come si credeva),
bensì della Vita brevior, quindi, il riassunto del riassunto che, finalmente,
perviene alle dimensioni di una leggenda liturgica prima dell’introduzione
dell’ottava. Questa produzione, secondo me, rinforza la seconda ipotesi
suaccennata sulla genesi della Vita brevior.
lp I due fascicoli di seguito (cc. 69r-84v) nei quali è trascritta la Vita
costituivano inizialmente un’unità codicografica autonoma, vergata da un
unico amanuense?
jd I due quaderni viii e ix (cc. 69-78 e 80-85) corrispondono rispettivamente alla parte biografica della Vita brevior e alla raccolta di miracoli.
Sono opera di due amanuensi diversi, ma il cambiamento di mano avviene nel
corso della stesura della raccolta di miracoli; quindi, i due quaderni corrispondono bene ad un’unica unità di produzione codicologica.
lp Il codice fa pensare a uno scriptorium o a più scriptoria, già attivi nei
conventi dei frati Minori nei primi anni Trenta del sec. xiii. La diversità delle
mani è testimone di unità codicologiche originariamente diverse oppure si
tratta di vari frati che scrivono in seguito a un’unica commissione? In pratica:
il codice è nato così o è stato confezionato in seguito?
jd Il nostro gruppo di ricerca dell’Institut de recherche et d’histoire des
textes presso la Bibliothèque nationale de France ha identificato una mano
principale nell’insieme di questo codice di 122 fogli, con interventi più brevi
di altre mani. Il formato del codice (mm 122 x 80) fa propendere per un
progetto unitario (sarebbe stato difficile raccogliere a posteriori quaderni che,
per caso, avessero dimensioni tanto piccole). La diversità dei testi raccolti fa
pensare a una raccolta protratta nel tempo, forse nel corso di più anni, e realizzata da un gruppetto di frati itineranti da un monastero all’altro. Certe parti
del codice (come i quaderni che contengono la Vita brevior o libri biblici) tradiscono un’organizzazione di tipo micro-scriptorium; altre una produzione
più aleatoria e opera di copisti solitari. Quindi, secondo noi, il codice stesso,
nella sua produzione come nel suo uso, testimonia della vita di un gruppetto
di frati minori che era desideroso di vivere secondo la forma primitiva della
fraternitas minoritica: povertà, itineranza, predicazione penitenziale.
Contributi
Giancarlo Reggi
Le “Ad familiares” di Cicerone
in un codice umanistico milanese
della Biblioteca cantonale
di Lugano
*
**
Che la Biblioteca cantonale di Lugano possegga un cospicuo patrimonio
di incunaboli è cosa nota1. Invece è assai meno noto che possegga anche tre
manoscritti del xv secolo, già descritti da Remigio Sabbadini nel 19082.
Si tratta di:
– un codice membranaceo di Cicerone, Epistolae ad familiares;
– un codice cartaceo di Paolo Veneto, Summa naturalium Aristotelis;
– un piccolo codice membranaceo intitolato Quaestiones Christianae,
mutilo all’inizio e alla fine, contenente testi di Zenone, vescovo di Verona nel
iv secolo d.C. e passi del Breviloquium di Bonaventura da Bagnoregio.
Su questi ultimi mi riprometto di tornare in futuro, qui mi limiterò a un
riesame del manoscritto delle Ad familiares, necessario per due ragioni.
Innanzitutto, rispetto ai tempi di Sabbadini, disponiamo di studi molto più
vasti e approfonditi sulla cultura umanistica milanese d’età viscontea e
sforzesca3 ; le Epistulae ad familiares, infatti, ebbero particolare fortuna nella
19
*
Giancarlo Reggi, già professore di latino e greco al Liceo cantonale di Lugano 1 (1977-2013),
attualmente è cultore della materia presso la cattedra di Letteratura latina all’Università Statale di
Milano. È membro scientifico della Société Internationale des Amis de Cicéron.
**
Desidero ringraziare quanti in un modo o nell’altro mi hanno aiutato nella ricerca:
innanzitutto i proff. Mirella Ferrari e Marco Petoletti, dell’Università Cattolica di Milano, che
mi hanno sciolto dubbi, attirato l’attenzione su particolari importanti, integrato la ricerca
bibliografica; inoltre il prof. Massimo Zaggia, dell’Università di Bergamo, per il giudizio
espresso sulla problematica qui affrontata. Ringrazio infine il dr. Luca Saltini, responsabile del
fondo antico della Biblioteca cantonale di Lugano, che mi ha agevolato il lavoro in tutti i modi,
fra l’altro facendo digitalizzare il manoscritto, ora gratuitamente a disposizione del pubblico
all’indirizzo www.tectel.services/dbook/BibliotecaLugano/Varia
1 Basti pensare al libro fondamentale di Adriana Ramelli, Catalogo degli incunaboli della
Biblioteca cantonale di Lugano, Firenze, Olschki, 1981 (Biblioteca di bibliografia italiana, 92).
Oggi sia la Biblioteca Salita dei Frati (e il Centro di competenza per il libro antico, che ne è un
servizio) sia la Biblioteca cantonale di Lugano collaborano con il progetto internazionale MEI,
che permetterà importanti aggiornamenti; per una sua descrizione si veda Alessandro Ledda,
Lettori, possessori, biblioteche. Gli incunaboli attraverso il database MEI (Material Evidence in
Incunabula), «Fogli», 36 (2015), pp. 11-18.
2 Cit. infra, p. 24, in calce alla descrizione tecnica.
3 Della vasta bibliografia di cui disponiamo oggi, interessano strettamente la presente
indagine: Mirella Ferrari, La “littera antiqua” à Milan, 1417-1439, in Renaissance- und
Milano del Quattrocento e furono più volte copiate4. In secondo luogo, Sabbadini, ingannato dall’uniformità dell’inchiostro, non si avvide che sul codice
lavorarono due diversi amanuensi, con cambio di mano alla c. 57r l. 11; è un
dato importante perché, come vedremo, al cambio di mano si accompagnò un
cambio di antigrafo. Dopo la presente indagine, a Remigio Sabbadini resterà
un merito importante: avere individuato la dipendenza del codice luganese da
quello che Guiniforte Barzizza fece copiare a Milano per Alfonso d’Aragona,
l’attuale codice di Parigi BnF latin 8528. Ciò però vale soltanto per la parte
scritta dalla prima mano; il secondo amanuense copiò da un codice diverso,
che si potrà eventualmente identificare con una collazione più vasta di quella
che mi è stata possibile a tutt’oggi.
Su questo, e sui problemi di cronologia connessi, tornerò nel corso dell’articolo. Prima di esporre per sommi capi la storia della tradizione delle Ad
familiares, e prima di proporre una collazione aggiornata del nostro codice,
conviene presentarne le caratteristiche paleografiche.
1. Descrizione tecnica e commento
Indico i dati principali in una descrizione tecnica sul modello di quelle presentate dalla piattaforma e-codices, il servizio dell’Università di Friburgo (ch)
che cura la messa in linea dei codici posseduti dalle biblioteche svizzere. Farò
seguire alcuni approfondimenti in un commento, posto subito dopo.
Sede e collocazione: Lugano, Biblioteca cantonale, d.2.e.18.
Titolo del codice: s.t. [«Epistolạẹ | Ciceronis» manoscritto nel primo compartimento sul dorso della legatura, disposto parallelamente a cuffia e nervatura; la
prima parola non è abbreviata, ma delle ultime tre lettere restano soltanto tracce;
sul cartiglio novecentesco incollato sulla controguardia anteriore si legge:
«Cicero (m.t.), Epistolae ad familiares»].
Luogo d’origine: s.l. [Milano].
Datazione: s.d. [secondo quarto del xv secolo].
Segnature precedenti: non più leggibile la più antica; b.212 quella primitiva della
20
Humanistenhandschriften, a cura di Johanne Autenrieth e Ulrich Eigler, München, Oldenburg,
1988, pp. 13-29 (illustrazioni alle pp. 165-169); Massimo Zaggia, Copisti e committenti di codici
a Milano nella prima metà del Quattrocento, «Libri e documenti», 21 (1995) n. 3, pp. 1-45;
Giliola Barbero, Manoscritti e scrittura in Lombardia nel secondo quarto del secolo XV, in
Palaeography, Manuscript Illumination and Humanism in Renaissance Italy: Studies in Memory
of A. C. de la Mare, a cura di Robert Black, Jill Kraye e Laura Nuvoloni, London, Warburg;
Turin, Aragno, 2016, pp. 149-168 (l’articolo è utile anche per la bibliografia aggiornata a p. 150
n. 3). Sui titoli relativi alle biblioteche d’età viscontea e sforzesca, occorre ricordare almeno
Élisabeth Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza Ducs de Milan au XVe siècle, Paris,
cnrs, 1955 (19752); Ead., La bibliothèque des Visconti et des Sforza Ducs de Milan. Supplément
avec 175 planches, Firenze, Olschki; Paris, De Nobele, 1969 (19752); Edoardo Fumagalli,
Appunti sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, «Studi Petrarcheschi»,
7 (1990), pp. 93-211.
4 Oltre a quelli di cui si tratta qui, i manoscritti di Oxford Magdalen College lat. 83 (datato
1428), New York Columbia University x87.c48 (anteriore al 1450), Biblioteca Capitolare di
Monza cod. d-12/168, ecc.; frammenti da reimpiego in legature: Biblioteca Capitolare di Milano,
c/17/295 (comprende viii, 12, 3 - 13, 2; 14, 1-3; 15, 2, 4-5; descrizione in Mirella Ferrari, Archeologia del libro: frammenti di Cicerone nella biblioteca del Capitolo Metropolitano di Milano,
in Archeologia classica e post-classica tra Italia e Mediterraneo. Scritti in ricordo di Maria
Pia Rossignani, a cura di Silvia Lusuardi Siena, Claudia Perassi, Furio Sacchi, Marco Sannazaro,
Milano, Vita e Pensiero, 2016, pp. 627-633).
Incipit delle Epistulae
ad familiares nel codice
di Lugano, c. 1r.
Le immagini del manoscritto
sono state fornite
dalla Biblioteca cantonale
di Lugano.
22
Biblioteca cantonale di Lugano (dal catalogo a stampa del 1882).
Supporto materiale: pergamena.
Dimensioni: un volume di 105 fogli + coperta + foglio di guardia posteriore
(foglio di guardia anteriore asportato per strappo).
Formato: 207 x 273 mm.
Numerazione delle pagine: fogli originariamente non numerati, tranne la c. Aiiiij,
segnata con un inchiostro rosso scuro; numerazione moderna a matita
sul recto in alto a destra: 1-105; sulla c. 105r si legge in alto a destra, a inchiostro
nero moderno, 106, o per errore, o per aver tenuto conto del foglio di guardia
anteriore, oggi asportato.
Composizione dei fascicoli: 13 quaternioni, più un ultimo foglio aggiuntivo,
cucito all’atto dell’indorsatura originale; richiamo non decorato del tipo
Derolez 1 (orizzontale sul margine inferiore al centro) in calce a ciascuno dei
primi 12 fascicoli, nella stessa scrittura del testo principale: c. 8v: «Sera gratulatio»; 16v: «meos peniteat»; 24v: «coniuratione»; 32v: «Sed q(ui)a»; 40v: «Scripsit»; 48v: «existimatio»; 56v: «quid est»; 64v: «quod michi»; 72v: «semper»; 80v:
«sed neque»; 88v: «Alicinius» (sic); 96v: «Sed me». I fascicoli iniziano con il lato
carne; è rispettata la regola di Gregory, per cui il lato pelo, più scuro, combacia
con il lato pelo della carta successiva e il lato carne combacia con il lato carne.
Disposizione della pagina: a piena pagina; dimensioni dello specchio: 165 x 205
mm; 39 linee di testo entro 40 righe per pagina (testo below top line); rigatura del
tipo Derolez 11 (a piena pagina con una sola linea di margine verticale a sinistra
e a destra dello specchio), con righe verticali a piombo (rilevabili alle cc. 2v-3r,
4v-7r, 11v-12r, 13v-19r, 20v-23r, 24v-25r, 26v-29r, 30v-33r, 34v-35r, 36v-37r,
38v-39r, 40v-41r, 42v-43r, 47r, 48v-49r, 50v-53r, 54v-55r, 56v, 58v-61r, 62r-65r,
71r, 72v-73r, 74v, 76v-77r, 78v-79r, 80v-83r, 84v-86v, 87v, 89v-90v, 91v, 92v, 95v,
96v-98r), righe orizzontali a inchiostro bruno probabilmente tracciate con un
pecten (rilevabili alle cc. 44r, 50r, 51v-52r, 66r, 68r, 69r, 70r, 71v-72r, 73v-74r,
75v-76r, 77v-78r, 80r, 81v-84r, 85v-86r, 87r-88r, 89v-90r, 91v-92r, 93v-94r,
95v-96r, 97v-98r, 99v-102r, 104r); interlinea: mm 5; non si vedono fori sui
margini esterni, la cui rifilatura è certa (cfr. infra, Legatura).
Tipo di scrittura e mani: scrittura umanistica lombarda, opera di due amanuensi,
con cambio di mano nella c. 57r l. 11, senza cambio di scriptorium; le rubriche
sono tutte della seconda mano.
Decorazione: sul frontespizio capolettera «E» di stile gotico, blu su un fondo
intrecciato di fregi rossi (cm 6,2 x 4,8); da lì il fregio si diparte in due rami e
recinge la pagina sui margini sinistro, superiore e inferiore; in basso al centro
è interrotto da un blasone bipartito, il cui disegno interno (con in capo una
croce a otto punte circinate, in punta tre rosette) è seriore. Un capolettera blu su
sfondo a fregi rossi, ma di dimensioni minori (cm 3 x 2 ca.) si trova all’inizio di
ciascuno dei sedici libri delle Epistulae ad familiares: ora in scrittura capitale
tendente al quadrato (cc. 7v «Q», 12v «S», 24v «S», 39r «S», 45v «Q», 67v «Q»),
ora in gotica (cc. 19r «G», 32r «E», 51r «E», 58r «E», 81r «E», 92v «E», 95v «E»,
101v «V»). Le lettere non in apertura di libro hanno invece un capolettera rosso,
come le rubriche, quasi mai in scrittura propriamente capitale.
Aggiunte: integrazioni, varianti e glosse marginali o interlineari, correzioni sul
testo dopo rasura ad opera di varie mani, non sempre facili da distinguere.
Le più antiche sono in inchiostro bruno simile a quello del testo, ma più
chiaro; sono tutte in scrittura umanistica lombarda e si trovano alle cc. 2r, 3v, 8r,
9r-12v, 13v-22v, 23v, 24v-26v, 27v, 41v, 52v, 58v, 60v, 61v-62r, 64r, 65r-65v,
66v-67r, 69r-v, 71v, 74v, 78r, 79r, 83v, 95r, 96r-97v, 103r, 104r, 105r. Altre sono in
inchiostro nero: è possibile distinguere una mano in scrittura umanistica
23
Contenuto
– cc.1r r. 1 - 45v r. 18, Cicero, Ad familiares i, 1, 1 - vii, 23, 2 >Marci Tullij
Cicero(n)is ep(isto)la(rum) ad publium lentulu(m) liber primus incipit< | Ego
omni officio ac pocius pietate erga te ceteris satisfacio omnibus [...] ac uelim post
hac sic statuas tuas m(ihi) l(itte) ras lo(n)gissimas quasq(ue) gratissimas fore. |
>M(arci) Tullij Ciceronis ad M(arcum) mariu(m) et cet(er)os liber septim(us)
explicit.<
– cc. 45v r. 18 - 46r r. 12, ivi, viii, 1, 1 - 2, 1 > eiusdem ad M(arcum) Celium
liber octau(us) incipit. Celius Ciceroni salute(m).< | Qvod tibi decede(n)s
pollicit(us) sum me om(ni)s res urbanas diligentissi(m)e tibi perscriptu(rum),
data op(er)a p(ar)aui qui sic o(mn)ia p(er)seq(ue)retur [...]. >Celius Ciceroni
sal(utem)< | Certe inq(uam) absolut(us) est me rep(re)sentare [sic] pronu(n)ciatum est et q(ui)d(em) o(mn)ibus ordinib(us) s(ed) singulis i(n) uno quoq(ue)
g(e)n(er)e s(e)nt(ent)ijs. Vide m(od)o inq(ui)s
– cc. 46r r. 12 - 48v r. 5, ivi, viii, 9, 3 -17, 2 m(ih)i l(itte)ris ostenderis, me isto
missu(rum) alios. [...] n(ost)ri ualde depug(na)re & facile algere & exurire (con)sueru(n)t. | [5 linee bianche] |
– cc. 48v r. 6 - 51r r. 31, ivi, viii, 2, 1 - 9, 3 puto etia(m) si nullam spem. |
>M(arci) Tullij Ciceronis epistola(rum) ad M(arcum) celiu(m) et ceteros liber
octau(us) explicit.<
– cc. 51r r. 31 - 105v r. 4, ivi, ix, 1, 1 - xvi, 27, 2 >Eiusdem ad M(arcum)
Varrone(m) liber nonus incipit. Cicero M(arco) Varroni salute(m)< | Ex his
lit(teri)s quas atticus a te missas m(ihi) legit [...] ego uos ad iij k(alendas) uidebo
tuosq(ue) oculos etia(m) si te ueniens in medio foro uidero dissaniabor me ama.
Vale. | [1 linea bianca] |
– c. 105v rr. 5-17, Gellius, Noctes Atticae iii, 8, 8 >[non rubricato] Ep(isto)la
C(ai) fabricij et Emilii consulum Romano(rum) super proditione scripta ad
regem Pirrhum [...] s(e)c(un)d(u)m alias [sic] Nicias q(ui) co(n)sulibus obtulerat
regem uenenis necare.< | Nos pro tuis iniurijs co(n)tinuo a(n)imo com(m)oti
inimiciter bellare tecum studem(us). [...] et q(uo)d nob(is) non placet p(re)tio
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
lombarda, una in littera antiqua di corpo maggiore, una in umanistica corsiva,
e forse una in scrittura seriore coeva alle prove di penna; si trovano alle cc. 1r-1v,
4r, 6v-8r, 10r, 11r-12r, 13r, 14v, 20v, 22v, 27r, 29r, 30v, 32v, 35v-37r, 47r, 51v-52v,
53v-54v, 58v-59r, 62r, 64r, 65v, 67r, 68r, 69r-v, 72r, 73v-74r, 75r, 76r-77v (greco
supplito malamente nella c. 77r), 81r-81v, 85r, 88r, 92v, 94r, 95r, 98v-99r,101v,
103v-104r, 105r; rasura semplice nelle cc. 14r r. 19 («Lentulum clodium» è stato
ridotto a «L· clodium», tracce della scrittura primitiva rimangono visibili) e 94r
(eraso «scripsi» dittografico); manicula nell’inchiostro originario alla c. 9r;
prove di penna seriori in inchiostro nero alle cc. 18r, 31r, 33v, 42v, 44v, 45v, 46v,
51r, 56v, 64r, 69r, 70v («Omni vitio carere debetis [sic] qui in alterum dicere
paratus est | Papis librarius mediolanensis est mea sentenzia [sic]»), 71r, 80v, 84r,
85r, 92v-93r, 94v, 103r, 105r-v.
Legatura: pergamena priva di decorazione, di borchie e di cantonali, montata su
piatti di cartone, con controguardie e guardie di carta bianca; 3 nervature sul
dorso, capitelli semplici; il foglio di guardia anteriore è stato asportato per strappo.
La coperta riveste un codice che in origine ne era privo, con danno per la c. 1r,
oggi molto sbiadita, e la c. 105r-v, che presenta un taglio nella pergamena. In
occasione della legatura è stato rifilato il foglio, e la rifilatura ha mozzato alcune
note marginali in scrittura semigotica (cc. 11v, 12r, 15v, 17v, 20r, 21v, 22v, 23v,
41v, 52v, 62r, 97r) e umanistica rotonda (c. 36v, 62r, 76v). Datazione presumibile:
xvii secolo.
aut premis aut dolis pugnare. Tu nisi caues iacebis. | >[non rubricato] Pirrhus rex.
Consulibus et p(o)p(u)lo Romano laudes gratiasq(ue) scripsit. Captiuosq(ue)
omnes quos secum h(ab)ebat Consulibus restituit reddiditq(ue) | [2 linee
bianche] | Deo Gratias Amen | [2 linee bianche] | Marci Tullij Ciceronis ep(istu)la(rum) ad Tironem liber ultimus explicit feliciter.<
Bibliografia
– Catalogo delle opere esistenti nella Biblioteca del Liceo Cantonale in
Lugano, [a cura di Lucio Mari], Bellinzona, Tipografia cantonale, 1882, p. 129:
«Ciceronis M.T. Omnes Epistolas... (sic) – Un vol. in 4°, b.212 (manoscritto
in pergamena senza data)».
– Remigio Sabbadini, Manoscritti di Cicerone, San Zenone e Paolo Veneto
nella Biblioteca Cantonale di Lugano, «Bollettino Storico della Svizzera
Italiana», 30 (1908), pp. 79-83.
– Catalogo generale della Biblioteca Cantonale fino a tutto il 1912, ordinato
per materie, Bellinzona, Tipografia e litografia cantonale, 1915, p. 39.
– Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum. Accedunt alia itinera. A Finding List of
Uncatalogued or Incompletely Catalogued Humanistic Manuscripts of the
Renaissance in Italian and Other Libraries, v (Alia itinera III and Italy III):
Sweden to Yougoslavia, Utopia, Supplement to Italy (a-f), London, Warburg;
Leiden, Brill, 1990, p. 121.
5 Franca Petrucci Nardelli, Guida allo studio della legatura libraria, Milano, Sylvestre
Bonnard, 2009, pp. 59-65, in particolare a p. 63.
6 Petrucci Nardelli, Guida allo studio, cit., p. 63.
24
Parto dalla legatura, seriore rispetto al codice. In origine esso non era protetto
da una coperta, ma soltanto indorsato, ed era conservato appoggiato sul verso
dell’ultimo foglio; lo si evince dal cattivo stato di conservazione della prima
e dell’ultima carta. Perciò va escluso che sia appartenuto a una biblioteca
pubblica o principesca, perché in quel caso sarebbe stato coperto con assi lignee
e sarebbe stato incatenato al pluteo di lettura o allo scaffale sottostante; la
coperta sarebbe stata necessaria anche perché il libro collocato sul piano inclinato
del pluteo avrebbe scaricato parte del peso sul piede, e l’unghiatura della
coperta avrebbe evitato che l’appoggio avvenisse direttamente sui fogli5. È più
probabile che sia appartenuto a un privato a scopo di libera fruizione o di
studio; questi lo conservò, probabilmente, in posizione orizzontale, in un
armadio o in un cassone6.
In occasione della rilegatura i bordi dei fogli furono rifilati, cosicché
risultarono mozzate alcune note marginali quattrocentesche, vergate in una
scrittura ancora debitrice della littera textualis gotica, e anche alcune in
umanistica rotonda. Quelle in umanistica corsiva e le prove di penna settecentesche non sono mozzate. L’attuale coperta pergamenacea, priva di decorazioni,
è sostenuta da piatti di cartone, con guardie e controguardie di carta bianca.
Il titolo «Epistolae Ciceronis», posto nel compartimento superiore del dorso,
scritto parallelamente al capitello e alla prima nervatura, ma assente sul taglio
davanti, fa pensare che dopo la rilegatura il libro sia stato conservato in posizione verticale così come è conservato oggi: con il dorso rivolto verso l’esterno.
Quest’uso da parte dei privati può essere già cinquecentesco, ma a Milano fu
l’Ambrosiana, aperta nel 1609, la prima biblioteca pubblica a conservare i libri
25
7 Petrucci Nardelli, Guida allo studio, cit. pp. 95-96. Cfr. anche ead., La legatura italiana.
Storia, descrizione, tecniche (XV-XIX secolo), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989, pp. 17-18,
29; utile anche, per la nomenclatura, Federico e Livio Macchi, Dizionario illustrato della
legatura, in collaborazione con Milena Alessi, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002.
8 Lo annotai in un mio appunto per uso personale che redassi prima della chiusura
temporanea della Biblioteca cantonale per restauro e ampliamento (giugno 2004 - novembre
2005, cfr. Gerardo Rigozzi, Progetto Biblioteca, in Progetto Biblioteca. Spazio, storia e
funzioni della Biblioteca cantonale di Lugano, Lugano, Biblioteca cantonale - Losone, elr,
2005, pp. 17-33, alle pp. 18-19); ne trascrivo la parte che interessa qui: «Segnatura sul dorso non
più leggibile, ma con qualche traccia di inchiostro rosso».
9 A meno che il codice ciceroniano non sia stato compreso, magari per svista, fra le le 1568
«Opere non complete, e di un solo volume di poco valore compresovi 43 dizionari <di> diverse
lingue, e fatti illustri» (f. 31), perciò non inventariate minutamente. Ringrazio il dr. Pietro
Montorfani, direttore dell’Archivio, dell’aiuto generosamente prestatomi. Esisteva anche un
inventario del 1722, completo per l’epoca; lo vide Gabriel Rudolf Ludwig von Sinner (in francese
Louis de Sinner), autore di un rapporto datato 16 aprile 1853 a Stefano Franscini, allora Consigliere
federale, cioè ministro del governo centrale svizzero (leggibile in Epistolario di Stefano Franscini,
a cura di Mario Jäggli, Bellinzona, Istituto editoriale ticinese, 1937, pp. 385-386, n. 1 [ristampa
anastatica: Lugano, Aurora, 1984]; non lo riporta, purtroppo, Stefano Franscini, Epistolario,
a cura di Raffaello Ceschi, Marco Marcacci e Fabrizio Mena, ii: 1848-1857 [vedere alle pp. 10321033, n. 7]). Nel medesimo rapporto, von Sinner parla anche dell’inventario del 1841 e di una sua
appendice del 1842, nonché di una «liste des livres du C. Abbondio (feuillet volant)» contenente un totale di 11 libri, di cui due soli non ecclesiastici. Ultimo a vedere e citare l’inventario del
1722 fu Isidoro Marcionetti, Chiesa e convento di Santa Maria degli Angeli in Lugano, Lugano,
Edizioni Banca del Sempione, 1975, pp. 175-178. Ne dichiara il successivo smarrimento Paola
Costantini, Il Fondo antico, in Progetto Biblioteca, cit. (2005), pp. 107-123, a p. 115. Il prof. don
Giorgio Paximadi, attuale co-parroco degli Angeli, me lo ha confermato, soggiungendo che esso
riguarda l’intero archivio antico della parrocchia. È introvabile anche l’Appendice all’inventario
della biblioteca dei pp. Min. Riformati della Madonna degli Angeli in Lugano, dell’anno 1722,
che Paola Costantini dice conservato nell’archivio diocesano; tuttavia l’archivista Gabio Figini
non ha confermato tale possesso.
10 Sabbadini, Manoscritti di Cicerone, cit., p. 79.
11 L’errore di Sabbadini si riverberò nel Catalogo generale della Biblioteca Cantonale, cit.,
nello schedario cartaceo della stessa biblioteca e nel cartiglio a stampa incollato sulla contro-
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
in quel modo, e l’uso divenne normale nelle biblioteche francesi del xvii
secolo. Al contrario, la biblioteca del Monastero di San Lorenzo all’Escorial,
voluta da Filippo ii e aperta nel 1585, conservava i volumi con rivolto verso
l’esterno il taglio anteriore, e lo stesso avveniva in Inghilterra7. Ciò considerato, senza escludere perentoriamente una datazione più antica, propendo per
ascrivere l’attuale legatura al Seicento.
Sempre sul dorso, ma in basso, fino al 2004 si potevano ancora vedere
a occhio nudo tracce di inchiostro rosso; queste potevano essere un residuo
della lettera che contrassegnava lo scaffale nella biblioteca dei Francescani di
S. Maria degli Angeli in Lugano, soppresso nel 18488 ; in tal caso palchetto e
numero d’ordine erano segnati rispettivamente con un numero romano e un
numero arabico neri, indicazioni che oggi potrebbero essere nascoste
dall’etichetta con la segnatura della Biblioteca cantonale. La provenienza è
tuttavia problematica, perché l’Inventario del Convento de’ Minori Riformati
di Lugano, del 1841, oggi conservato dall’Archivio Storico della Città di Lugano, non ne attesta il possesso9 ; esso, per contro, lo attesta per il sopra citato
codice di Paolo Veneto, al f. 22 num. progressivo 396.
Quanto agli aspetti propriamente paleografici, Remigio Sabbadini, come
già accennavo, parlava di «scrittura italiana, tutta di una sola mano»10. Si tratta,
più precisamente, di una scrittura umanistica lombarda, opera non di una, bensì
di due mani11, che tuttavia lavorarono nel medesimo scriptorium, come si evince
Codice di Lugano,
cc. 56v-57r.
Si osservi il cambio
di mano nella c. 57r l. 11.
guardia. Invece il cambio di mano è ravvisato in un appunto manoscritto incollato nel 1974
sulla stessa controguardia (su di esso riferisco nella descrizione tecnica). Kristeller, Iter italicum,
cit., p. 121, si avvede del carattere semigotico della scrittura.
12 Su quanto dirò ora, vedere Ferrari, La “littera antiqua” à Milan, cit., e soprattutto Barbero,
Manoscritti e scrittura in Lombardia, cit., che si sofferma anche sulle tecniche di scrittura e
rigatura.
13 Da essa deriva la scrittura normalmente usata nella stampa di libri e giornali. Ricordo
d’aver conosciuto, ai tempi della mia gioventù, un maestro tipografo che la chiamava ‘romana
antica’. Per saperne di più: Giulio Battelli, Lezioni di paleografia, Città del Vaticano, Pontificia
scuola vaticana di paleografia e diplomatica, 19493, pp. 245-254, oppure Bernhard Bischof,
Paleografia latina. Antichità e medioevo, a c. di Gilda P. Mantovani e Stefano Zamponi, Padova,
Antenore, 1992 (Medioevo e umanesimo, 81), pp. 336-340 e tav. 29-30.
14 Cioè a forma di H maiuscola larga con un terzo tratto verticale che si diparte verso il
basso dal centro del tratto orizzontale.
15 Con rare eccezioni nella scrittura della prima mano, dove c’è qualche esempio di ‘e’ caudata,
a meno che non si tratti di interventi del correttore: è il caso dell’incipit del libro vii, che do in
trascrizione diplomatica (c. 39r ll. 3-4): «Si te dolor aliq(ui)s corporis aut i(n)firmitas valitudinis tuę tenuit quomin(us) ad ludos ve(n)ires fortu(n)ę mag(is) tribuo q(uam) sap(ient)ię tuę»;
28
dall’inchiostro, che non varia fra una parte e l’altra. La mano cambia alla c. 57r l.
11, ma sono della seconda mano le rubriche dell’intero codice.
Per ‘scrittura umanistica lombarda’ si intende una scrittura usata a Milano
e in Lombardia per i testi degli autori latini classici12. Essa era diversa dalla
scrittura umanistica introdotta da Poggio Bracciolini e progressivamente
irradiata da Firenze all’Italia intera; gli umanisti la chiamavano littera
antiqua perché erano convinti che si trattasse della scrittura romana antica,
anche se, in realtà, la leggevano su codici del ix-x secolo in scrittura carolina13. Caratteristici della littera antiqua fiorentina sono il tratteggio con la
penna a punta sottile, l’impiego parco di segni abbreviativi, le forme rotonde
e regolari, l’uso costante della scrittura capitale per le maiuscole, l’uso della
‘g’ a due anelli separati da un breve tratto curvilineo discendente, della ‘a’
onciale, della ‘r’ e della ‘d’ esclusivamente diritte, della ‘s’ diritta (ſ ) anche in
fine di parola, del nesso ‘et’ in due lettere o legato (&), dei nessi ‘ct’ e ‘st’ legati,
dei dittonghi ‘ae’ ed ‘oe’ o, in alternativa, della e caudata (ę). La scrittura
umanistica lombarda, invece, conserva caratteristiche della scrittura gotica
italiana detta littera textualis, più larga e tondeggiante di quelle d’oltr’Alpe,
ma scritta a punta larga, con l’uso della ‘a’ rotonda (detta anche ‘chiusa’)
accanto a quella onciale, con l’uso della ‘d’ onciale o rotonda (con asta inclinata
all’indietro invece che verticale), con l’uso della ‘s’ rotonda specialmente
in fine di parola, con l’uso dell’abbreviazione tironiana (⁊), con la persistenza della semplice ‘e’ in luogo dei dittonghi, con la ‘m’ finale a forma di 3.
Nel codice luganese sono tratti caratteristici della littera antiqua:
– nella scrittura della prima mano l’uso di ‘et’ legato; l’impiego esclusivo
della ‘a’ onciale;
– nella scrittura della seconda mano e nelle rubriche, l’uso di ‘et’ prevalentemente in due lettere distinte; l’uso della ‘m’ maiuscola di stile bizantino14 ;
la bassa frequenza di segni abbreviativi.
Per contro risentono della tradizione della littera textualis:
– in tutto il testo la scrittura con penna a punta larga, ma con un’angolosità
più marcata nella scrittura della seconda mano; l’uso di ‘g’ con il tratto inferiore
aperto, non chiuso ad anello; l’uso di ‘e’ senza segni diacritici per i dittonghi
‘ae’ e ‘oe’15; la facile confondibilità delle lettere ‘c’ e ‘t’, il cui trattino verticale
29
nella scrittura della seconda mano le ‘e’ caudate sono frequenti in certe pagine, per esempio
alla c. 103r, ma almeno in taluni casi si direbbe che l’inchiostro usato (nero o tendente al nero)
sia diverso da quello del testo.
16 A p. 39.
17 Si tratterebbe di un pecten grande, tale da tracciare almeno una ventina di righe a
intervalli regolari; purtroppo la rifilatura subita dal codice quando fu rilegato (cfr. infra) ha
eliminato i fori lasciati dallo strumento. Specificamente sulla tecnica della rigatura vedere
Maria Antonietta Casagrande Mazzoli, Foratura, rigatura e pectines in codici italiani tardomedioevali, «Aevum», 71 (1997), pp. 423-440, alle pp. 430 (fig. 1), 432-439; per la classificazione
Albert Derolez, Codicologie des manuscrits en écriture humanistique sur parchemin, 2 vol.,
Turnhout, Brepols, 1984; sulla rigatura dei codici umanistici lombardi Barbero, Manoscritti
e scrittura, cit.
18 Derolez, Codicologie des manuscrits, cit., i, pp. 65-83; Barbero, Manoscritti e scrittura, cit.
19 Barbero, Manoscritti e scrittura, cit., p. 161.
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
supera appena e spesso non supera affatto il trattino orizzontale; l’uso promiscuo di ‘r’ diritta e rotonda; l’uso promiscuo di ‘s’ diritta e rotonda; l’uso
saltuario della ‘m’ finale in forma di 3 (sporadico nella seconda mano); l’uso di
lettere maiuscole raramente in capitale.
– nella scrittura della prima mano l’alta frequenza di segni abbreviativi;
l’impiego saltuario della lettera ‘d’ onciale.
– nella scrittura della seconda mano l’alternanza di ‘a’ onciale con ‘a’ rotonda;
l’uso abbastanza frequente dell’abbreviazione tironiana per la congiunzione
et, l’uso di capilettera non rigidamente in scrittura capitale, anzi, più spesso
goticizzanti.
Quelle elencate non sono le sole differenze fra le due mani. La più importante è d’ortografia: la prima mano è abbastanza rigorosa nella scrittura delle
scempie e delle geminate, inoltre, quando non abbrevia, scrive «mihi» e
«nihil»; la seconda mano scrive «michi» e «nichil» e non ha rigore ortografico.
Si tratta di una spia rivelatrice dell’influenza o della non influenza di un
mondo culturale. Su questo tornerò più avanti16.
C’è anche una terza mano, che scrive nello stesso scriptorium, integra
(per lo più in margine) le parti di testo saltate meccanicamente ed è autrice
di alcune glosse. Anche questa mano presenta caratteri fortemente goticizzanti, in particolare la ‘g’ aperta in basso, la ‘d’ onciale, la ‘et’ tironiana e la ‘s’
rotonda. Vi sono infine note marginali o interlineari scritte con inchiostro nero
e di epoche differenti. Quelle di mano più antica presentano ancora caratteristiche goticizzanti; distinguerle dalla mano del correttore principale è problematico.
Il carattere lombardo del codice si vede anche dalla rigatura dei fogli
e dall’impaginazione, con le righe verticali a piombo e le righe orizzontali a
inchiostro bruno, tracciate a intervalli regolari, con ogni probabilità per
mezzo di un pecten17. Il testo, inoltre, inizia below top line, sotto la prima riga
dello specchio; insomma l’impaginazione è del tipo Derolez 11, in questo
come in molti altri codici umanistici lombardi18.
Questi caratteri arcaizzanti, come ha osservato acutamente Giliola Barbero, non sono il segno di una transizione lenta dalla scrittura gotica a
quella umanistica, ma il contrassegno di un ambiente umanistico che aveva
orizzonti propri. Ne trascrivo per esteso l’importante conclusione19.
Anche se nel xx secolo l’Umanesimo è stato talvolta descritto da studiosi
eminenti come un movimento culturale, esso non fu un’esperienza omogenea.
[...] Anche nella cultura scritta la littera antiqua fiorentina non costituì uno
standard universale in Italia e – confrontando queste scritture con quella di Guarino Veronese – perfino l’idea di una scrittura semitestuale ‘padana’ risulta
troppo generica. A Milano, nell’ambiente specifico che abbiamo analizzato qui
sopra, durante il secondo quarto del secolo xv, la littera antiqua coesistette con
uno stile di scrittura textualis rinnovata che fu utilizzata per divulgare le nuove
letture dei classici latini, soprattutto i testi retorici ciceroniani riscoperti a Lodi,
la gloria milanese del momento. Questa scrittura risulta condivisa dal maestro
del primo Umanesimo lombardo, Gasparino Barzizza, che gestì direttamente
la circolazione del vetus Laudensis, assumendo un ruolo quasi simbolico
relativamente a quella scoperta, e il cui legame con la tradizione petrarchesca fu
forte e significativo. Questa scrittura ha molte forme in comune con quelle di
Francesco Petrarca, il quale continuava a essere presente e vivo in Lombardia
tramite la propria biblioteca. Per tutti questi motivi, allo stato attuale delle
conoscenze, ritengo lecito ipotizzare che nella Lombardia del secondo quarto del
Quattrocento, e soprattutto a Pavia e a Milano, la scrittura ibrida testimoniata
dai codici analizzati in questo contributo non sia un proseguimento delle forme
tradizionali avvenuto per forza d’inerzia, ma piuttosto il frutto di una scelta
consapevole e costituisca un importante elemento distintivo rispetto alla littera
antiqua fiorentina e alla cultura che essa stava prepotentemente veicolando.
20 Sabbadini, Manoscritti di Cicerone, cit., p. 81 n. 2.
21 Si sono espressi in tal senso Mirella Ferrari e Claudio Petoletti, in una comunicazione
privata.
22 Si tratta del Codice Trivulziano 1360, oggi consultabile in facsimile: Stemmario Trivulziano, a cura di Carlo Maspoli, Milano, Niccolò Orsini De Marzo, 2000; lo stemma dei Della
Croce si trova a p. 134; per la datazione del codice, da situare prudenzialmente fra il 1450 e il
1466, ivi, pp. 49-50. I blasoni bipartiti o con croce a punte circinate ascrivibili ai Della Croce,
sono cinquecenteschi; è bipartito quello dei Della Croce di Riva San Vitale, risalente a
Bernardino, che fu segretario del cardinale Alessandro Farnese (poi papa Paolo iii), in seguito,
nel 1546, vescovo di Casale Monferrato, infine, nel 1548, vescovo di Como (notizie in GianAlfonso Oldelli, Dizionario storico ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino, Lugano,
Veladini, 1807 [ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1988], pp. 78-81, e da Pablo Crivelli,
Della Croce, Bernardino, in Dizionario storico della Svizzera, s.v. [2000]); da allora lo stemma
dei Della Croce di Riva San Vitale è bipartito, con in capo i gigli farnesiani e in punta la croce
a otto punte che conosciamo dallo Stemmario Trivulziano (lo assume erroneamente come
blasone di tutta la famiglia Vittorio Spreti, s.v. Croce (Della), in Enciclopedia storico-nobiliare
30
Vedremo più avanti che il nostro codice, nella sua prima metà, riflette l’influenza culturale di Gasparino Barzizza e di suo figlio Guiniforte anche per certi
aspetti filologici. Prima devo porre il problema dello stemma sul margine
inferiore del frontespizio. Entro una cornice rossa, parte del fregio che
contorna il testo in alto, a sinistra e in basso, è disegnata a inchiostro bruno
una croce a otto punte circinate che sormonta tre rosette. Sabbadini riteneva
che si trattasse di un blasone ascrivibile a un membro della famiglia Della
Croce20. Credo che sia sbagliato, anche se al mio ‘no’ non ho un ‘sì’ da contrapporre. Innanzitutto il disegno appare posticcio, anche per la tonalità dell’inchiostro bruno, più chiara rispetto a quello usato per il testo21; inoltre il
tratteggio appare frettoloso e maldestro. Inoltre, nello Stemmario Trivulziano, coevo del nostro codice, il blasone dei Della Croce di Milano non è
bipartito e la croce ha le otto punte dritte, non circinate22. Forse in origine lo
Codice di Lugano, c. 15r.
Nelle ll. 21-22 è distinguibile
l’integrazione ad opera
del correttore antico.
scudo raffigurato sul codice luganese era puramente decorativo, o forse era
destinato a ospitare un blasone che poi non fu integrato. Di più non mi sento
di dire.
Occorre discutere brevemente anche la prova di penna della c. 70v, che
nella scheda tecnica ho dato in trascrizione diplomatica. Qui ne ripropongo
il testo ripulito dagli errori, con la mia interpretazione:
“Omni vitio carere debet is qui in alterum dicere paratus est” Papis librarius
Mediolanensis est mea sententia.
(’“È tenuto ad essere moralmente ineccepibile chi è pronto ad accusare l’altro”
secondo me è Papis, il libraio di Milano’).
La frase è una citazione approssimativa dall’iscrizione «Carere debet omni vitio
qui in alterum dicere paratus est», che si trova su un monumento milanese23.
Essa è incisa sul suggestum raffigurato su un rilievo romano del i secolo d.C. che
rappresenta la figura togata di un magistrato anonimo (la testa è d’epoca
tardoantica, ma ciò per noi qui non conta). Il rilievo si trova in Corso Vittorio
Emanuele, e il magistrato raffigurato è popolarmente noto, in dialetto, come
Omm de preja e come sciur Carera24. Quest’ultima è un’evidente deformazione
comica della prima parola dell’iscrizione, un nome per burla. La scrizione sul
codice estende il nome burlato all’intera frase; è come se lo scrivente, ponendo
mente al volto del sciur Carera, ravvisasse non so quale somiglianza con il Papis
libraio, a noi totalmente ignoto. Sia come sia, la prova di penna è inimmaginabile al di fuori dell’ambiente milanese, perciò aveva ragione Remigio Sabbadini
di inferirne un indizio della lunga permanenza a Milano del manoscritto,
giunto a Lugano al più presto nel corso del Settecento25.
Questo, tuttavia, non basta per confermare che il codice sia stato confezionato a Milano. Ciò, peraltro, è assai probabile, e certamente milanese è il
mondo culturale in cui bisogna situarne lo scriptorium, ma l’assunto può essere
dimostrato incrociando argomenti propriamente paleografici come il tipo
di scrittura usato, la rigatura, la decorazione (molto limitata, nel caso nostro),
con quanto insegna la storia della tradizione del testo.
32
italiana. Famiglie nobili e titolate viventi e riconosciute dal R. governo d’Italia, compresi città,
comunità mense vescovili, abazie, parrocchie ed enti nobili e titolati riconosciuti, a cura di Id.,
ii: BE- D, Milano, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1929, pp. 580-581). Invece la croce a
punte circinate, ma entro uno stemma a un solo campo, si trova, per i Della Croce, nel codice
di Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Cod.Icon. 270 (Italia, 1550-1555), c. 165r.
23 Questa, a sua volta, non è che il textus receptus in età umanistica di Pseudo-Cicerone, In
Sallustium invectiva 8, 21, il cui testo in edizione critica, basata sui codici migliori, suona: «Carere decet omni vitio qui in alterum dicere parat» (’Sarebbe elegante che chi si appresta a
inveire contro l’altro fosse moralmente ineccepibile’); l’ho letto in Pseudo-Salluste, Lettres à
César. Invectives, a cura di Alfred Ernout, Paris, Les Belles Lettres, 1962 (Collection des
universités de France), p. 61, e in Anna A. Novokhatko, The Invectives of Sallust and Cicero,
Berlin - New York, de Gruyter, 2009, p. 188 r. 9. L’iscrizione milanese invece riflette il testo
che è dato, per esempio, negli incunaboli curati da Pomponio Leto e stampati a Venezia, Bernardino Benaglio, 1493 (c. [g8]r); ivi, Cristoforo de’ Pensi, 1496 (c. tr).
24 Fotografia del monumento e indicazioni di didascalia in Donatella Caporusso, Maria
Teresa Donati, Sara Masseroli e Thea Tibiletti, Immagini di Mediolanum. Archeologia e storia
di Milano dal v secolo a.C. al v secolo d.C., Milano, Civiche Raccolte archeologiche e Numismatiche, 2007, p. 41 fig. 37.
25 Sabbadini, Manoscritti di Cicerone, cit., p. 81.
33
26 Il titolo è improprio, perché solo una piccola parte delle lettere, quelle dall’esilio al genero
Dolabella (libro ix) e alla moglie Terenzia (libro x), nonché quelle al proprio liberto e segretario
Marco Tullio Tirone (libro xvi), hanno per destinatari veri e propri familiari, e le Lettere ad
Attico, che di Cicerone fu l’amico più stretto, costituiscono un corpus a sé stante. In tal senso
aveva ragione Martin Schanz, Geschichte der römischen Litteratur bis zum Gesetzgebungswerkdes Kaisers Justinian, i: Die römische Litteratur in der Zeit der Republik, München,
Beck, 1890, pp. 238-239, a distinguere fra «Generalkorrespondenz» e «Spezialkorrespondenzen».
27 Su cronologia e modalità della pubblicazione gli indizi certi sono estremamente scarsi.
Uniche fonti sono Cic. Att. xvi, 5, 5 (del 9 luglio 44 a.C.) e Nepote xxv, 16, 3 (Vita di Tito
Pomponio Attico). Dalla lettera di Cicerone sappiamo che l’autore aveva l’idea di pubblicare,
un giorno, il proprio epistolario, non senza averlo minutamente riveduto e corretto. Ciò di
fatto non avvenne, anzi, alla morte di Attico, avvenuta il 31 marzo 32 a.C. (Nep. xxv, 22, 3),
le lettere a lui indirizzate erano ancora inedite.
28 Citazione di passi precisi in Sen. Epist. 97, 4 (è citato Cic. Att. i, 10, 7); 118, 1 (è citato Cic.
Att. i, 12, 4); allusioni generiche in 118, 2 (ma con la menzione del fenerator Cecilio, zio
materno di Tito Pomponio Attico, Seneca allude a Cic. Att. i, 1, 3-4; 12, 1); giudizio generale
sul valore dell’opera in 21, 4 («Nomen Attici perire Ciceronis epistulae non sinunt»).
29 Gell. i, 22, 19 cita la frase «nam neque desse neque superesse rei publicae volo» (’ché non
intendo né tradire lo stato repubblicano né sopravvivergli’) da Cic. Fam. x, 33, 5. Gellio indica
il riferimento nel modo seguente: «ita enim scriptum est in libro epistularum M. Ciceronis ad
L. Plancum et in epistula M. Asini Pollionis ad Ciceronem» (’così in effetti si trova scritto
nel libro di Marco Cicerone a Lucio Planco [il x delle Ad familiares, appunto], e precisamente
in una lettera di Marco Asinio Pollione a Cicerone’ [la 33, ultima del trittico 31-33]).
30 Generalmente si pensa all’età costantiniana, ma cfr. Paolo Gatti, Introduzione all’edizione critica citata nella nota seguente.
31 Nonio, pp. 83 r. 30 M. (Cic. Fam. ix, 20, 3 «ad Varronem C. Paeti»); 109 r. 16 (ii, 2 «ad
Curionem»); 259 r. 24 (xv, 14, 5 «ad Cassium»); 264 r. 33 (xv, 4, 2 «ad M. Catonem»); 273 r. 31
(Fam. xv, 3, 2 «ad M. Catonem»); 274 r. 2 (xv, 2, 2 «ad senatum»); 278, r. 5 (xv, 16, 3 «ad Cassium
liber i»); 291 r. 9 (xv, 16, 1 «ad Cassium»); 421 r. 33 (ix, 14, 5 «ad Dolabellam»). Impaginazione
di riferimento è quella della Nonii Marcelli nova editio [...], [a cura di Josias Mercier], Parisiis,
ex officina Hadriani Perier, 1614 (nello stesso anno anche: Sedani, sumptibus Hadriani Perier].
Nell’Ottocento l’edizione parigina fu ristampata in facsimile con il titolo: Nonius Marcellus,
De proprietate sermonis [...], ex recensione et cum notis Iosiae Mercerii, Lipsiae, in bibliopolio
Hahniano, 1826. L’edizione critica a cura di Wallace M. Lindsay, 3 vol., Leipzig, Teubner, 1903,
ne riprende la numerazione per pagine e righi, ma con errori minimi che si ripercuotono sulle
citazioni che si rifanno ad essa. Nuova edizione critica, ancora parziale: Nonio Marcello, De
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
2. Tradizione del testo.
Dall’antichità al ix secolo
Le cosiddette Epistulae ad familiares di Cicerone26 furono pubblicate postume, forse qualche decennio dopo l’assassinio dell’autore, perpetrato nel 43
a.C.27 Si tratta di un corpus suddiviso in sedici libri, cioè, approssimativamente, in sedici rotoli di papiro. La più antica di queste lettere, scritta a Pompeo
nel 62, è la settima del decimo libro (x, 7), la più recente, scritta al cesaricida
Cassio nel 43, è la decima del dodicesimo libro (xii, 10).
La fortuna dell’epistolario ciceroniano nella letteratura latina inizia a
manifestarsi in età imperiale. Il primo a menzionarlo, ma limitatamente alle
Lettere ad Attico, è Seneca nelle Lettere a Lucilio, dunque intorno al 60 d.C.28 ;
in seguito le attestazioni, anche di missive non pervenuteci, si fanno numerose,
ma solo a partire da Aulo Gellio (ii secolo d.C.) si trovano citazioni puntuali di
lettere tramandate nel medioevo come Familiares o Epistolae familiares29. Dopo
Gellio, il primo in cui si trovino riferimenti puntuali è il grammatico Nonio,
il cui trattato De compendiosa doctrina è databile, sulla base dell’uso del latino,
a cavaliere fra il iv e il v secolo30 , ed è comunque anteriore a Prisciano, che
all’inizio del vi secolo lo cita. Vi si trovano nove citazioni delle Ad familiares,
sempre con il nome dell’occasionale corrispondente31.
Certo è, per quanto riguarda l’antichità, che l’intero carteggio ciceroniano
fosse assai letto, ammirato e studiato. Ne troviamo attestazioni all’inizio
del ii secolo d.C. in Tacito e Svetonio, fra il ii e il iii secolo in Frontone, nel iv
secolo in Diomede e in Carisio, nel v secolo in Macrobio, fra il v e il vi secolo in
Pompeo e Prisciano32. Va da sé che lo abbiano letto e studiato anche quei
grandi epistolografi che furono Ambrogio, Gerolamo e Agostino, anche se
mancano le citazioni dirette; tutti e tre, infatti, furono in vario modo affascinati da Cicerone33.
L’epistolario ciceroniano, inizialmente tramandato su rotoli di papiro,
nella tarda antichità fu trascritto su codici pergamenacei, in scrittura maiuscola e continua, cioè senza interruzioni fra una parola e l’altra. Di questo lavoro
editoriale ci resta, per le Epistulae ad Familiares, un frammento palinsesto
di Torino in scrittura onciale34 riferibile al vi secolo d.C., che contiene Fam.
vi, 9, 1 - 10, 6 («hunc a puero [...] quid etiam polliceri»). Il codice medioevale
più antico delle Ad familiares è invece il Mediceo Laurenziano 49, 9, del ix
secolo, in una scrittura minuscola carolina ancora semicontinua; esso, come si
evince dalle varianti testuali, apparteneva a una tradizione diversa e generalmente più autorevole rispetto al palinsesto torinese35.
3. Tradizione del testo
Dalla riscoperta del codice Mediceo 49, 9 al codice luganese
Il Mediceo 49, 9, siglato m nelle edizioni critiche, non è l’unico codice medioevale che tramandi le Ad familiares, ma è l’unico a tramandare l’intero corpus
oggi a noi noto36. Fu scoperto nella Biblioteca Capitolare di Vercelli dal cancelliere visconteo Pasquino Capelli (o de’ Capelli), che su incarico di Coluccio
Salutati, cancelliere di Firenze soggiornante pro tempore a Padova, vi aveva
cercato un manoscritto delle Lettere ad Attico. Subito dopo la scoperta, nel
1392, Pasquino ne fece confezionare un apografo per Coluccio, ed è il codice
in scrittura gotica corsiva conosciuto oggi come Mediceo Laurenziano 49, 7,
siglato p nelle edizioni critiche. Serve all’editore critico perché occasionalmente
sana guasti di m con felici congetture37; non solo: presenta varianti marginali
34
compendiosa doctrina, i: Libri I - III, a cura di Rosanna Mazzacane, con la collaborazione
di Elisa Magioncalda; introduzione di Paolo Gatti; iii: Libri V-XX, a cura di Paolo Gatti e
Emanuela Salvatori, Firenze, sismel - Edizioni del Galluzzo, 2014.
32 Rispettivamente Tac. Dial. 18, 5; Suet. Gramm. 14; 16; Iul. 9, 1; 49, 3; Aug. 3, 2; Tib. 7, 2;
Front. Caes. 3, 15; Antonin. 3, 7-8; Diom. i p. 381 r. 26 Keil; Charis. i, 17 (p. 160 r. 18 Barwick).
33 Mi limito a ricordare il De officiis ministrorum di Ambrogio, che è una rivisitazione del
De officiis ciceroniano, al punto da risultare utile per costituirne il testo critico; il «Ciceronianus es, non Christianus» rimproverato a Gerolamo (Hier. Epist. 22, 30); il fascino che esercitò
sul giovane Agostino la lettura dell’Hortensius (Aug. Conf. iii, 4, 7).
34 Collocazione nello schedario cartaceo: A ii 2*. Sul palinsesto lo scritto più completo è
l’articolo di Paul Krüger, Ciceroniana, «Hermes», 5 (1871), pp. 146-149. La scrittura onciale era
sì maiuscola, ma presentava lettere che più tardi sarebbero state usate come minuscole, come
la ‘a’ e la ‘d’. Dalla più antica e prestigiosa scrittura capitale, a sua volta distinguibile in forme
stilisticamente differenti, deriva direttamente il nostro alfabeto maiuscolo.
35 Krüger, Ciceroniana, cit., pp. 147-149, seguito dagli editori successivi.
36 Gli altri sono, per i libri i-viii, i codici Harleiano 2773 (xii secolo), Parigino BnF lat. 17812
(xii secolo), più il fragmentum Hamburgense (xii secolo, tramanda solo v, 10a, 1); per i libri
ix-xvi, i codici Harleiano 2682 (xi secolo), Berlinese lat. fol. 252 (xii-xiii secolo), Palatino 598
(xv secolo), Parigino 14761 (xv secolo), più il fragmentum Heilbronnense (forse del xii secolo).
37 Angelo Maria Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Mediceae Laurentianae [...], ii, Florentiae, [s.n.], 1775, col. 464-465, lo indica come opera di mano di Francesco
Certe, inquam, absolutus est – me †repraesentare† pronuntiatum est – et quidem
omnibus ordinibus sed singulis in uno quoque ordine sententiis. “Ride modo”
inquis. Non me hercules; nihil umquam enim tam praeter opinionem, tam quod
videretur omnibus indignum, accidit.
†repraesentare†] repraesentante p2 : ride Wesenberg] vide i ‘codices antiqui’.
Dopo la dislocazione, invece, ecco che cosa si legge nei codici:
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
che difficilmente sono divinationes, ma sembrano risalire a un ramo perduto
della tradizione manoscritta. Infine, presenta note marginali di mano di
Coluccio Salutati e di Niccolò Niccoli, che ne fu l’ultimo proprietario prima
che il codice passasse alla Biblioteca Laurenziana38.
Oggi, per merito del Poliziano, il codice p si presenta con l’ordinamento
corretto dei fascicoli e delle pagine. In origine però, anche a causa di un errore
nella scrizione dei richiami, durante la legatura il fascicolo comprendente le
cc. 115r-122v fu dislocato di due quaternioni. In tal modo Cic. Fam. viii, 2, 1
- 9, 3 («non me hercules [...] puto etiam si ullam spem»), che contiene, come
il resto del libro viii, lettere di Marco Celio Rufo a Cicerone, venne a trovarsi
inserito fra ix, 15 e ix, 16. Il libro viii risultò fortemente accorciato, il libro
ix assai allungato. L’incipit corretto di viii, 2, 1 si presenta così39 :
Certe, inquam, absolutus est (me †repraesentare† pronuntiatum est) et quidem
omnibus ordinibus et singulis in uno quoque ordine sententiis. “Vide modo”
inquis. [viii, 9, 3] mihi litteris ostenderis, me isto missurum alios.
Angelo Poliziano si rese conto del guasto perché poté confrontare il textus
receptus con la lezione di p e di m. Il grande umanista capì che i manoscritti
derivati da p presentavano il medesimo disturbo del testo, e che lo stesso p era
stato copiato da m. Ecco il testo polizianeo, che riporto per esteso nella sua
parte più importante perché è una pagina di filologia metodologicamente
esemplare40 :
Petrarca, ma si tratta di un errore, perché Petrarca morì nel 1374, diciotto anni prima della
scoperta vercellese di Pasquino Capelli. L’errore tuttavia si ripercuote nella presentazione del
codice digitalizzato in teca.bmlonline.it e nel nuovo portale mss.bmlonline.it
38 Su tutto questo rimando all’eccellente edizione critica con traduzione italiana e commento di Marco Celio Rufo, Lettere (Cic. fam. l. VIII), a cura di Alberto Cavarzere, Brescia,
Paideia, 1983 (Testi classici, 6), pp. 89-91.
39 Il testo latino corrisponde a quello stabilito da Håkan Sjögren (Lipsiae, in aedibus B.G.
Teubneri, 1923-1925, 4 vol., nel vol. ii, 1924, p. 235); è l’edizione con l’apparato critico più probo
e, a mio avviso, con il testo più convincente.
40 Angeli Politiani Miscellaneorum centuria prima, Firenze, Antonio Miscomini, 1489,
c. 5r-v.
35
Nactus sum Ciceronis epistolarum familiarium volumen antiquissimum, de quo
supra dixi, tum ex eo ipso alterum descriptum sicuti quidam putant Francisci
Petrarchae manu; descriptum autem ex ipso liquet multis argumentis quae nunc
omiserim. Sed hic posterior quem dixi codex ita est ab indiligente bibliopola
conglutinatus uti una transposita paginarum decuria contra quam notata sit
numeris depraehendatur. Est autem liber in publica gentis Medicae bibliotheca.
Per cogliere appieno il valore di questo testo si consideri che con il suo ragionamento Angelo Poliziano precorse di quattro secoli il principio metodologico
della eliminatio codicum descriptorum cioè dell’eliminazione, ai fini della
costituzione del testo critico, dei codici copiati (descripti) da manoscritti esistenti42. Il Poliziano, insomma, pensava che i codici e le edizioni a stampa del suo
41 Politiani Miscellaneorum, cit., cap. 18, c. [d6]v: «[...] cum verior scriptura maneat adhuc
in libro pervetere quondam doctissimi viri Philelphi, nunc Laurenti Medicis patroni litterarii
simulque in libro altero de vetere (ut apparet) exscripto qui nunc in bibliotheca publica
Medicae familiae» (‘ [...] però il testo più corretto si conserva in un libro antichissimo appartenuto in passato all’insigne umanista Filelfo, ora invece appartiene al patrono delle lettere
Lorenzo de’ Medici; si conserva altresì nell’altro libro, copiato dall’antico (come risulta evidente)
che ora sta nella biblioteca pubblica della famiglia Medici’).
42 Così Leighton D. Reynolds - Nigel G. Wilson, Copisti e filologi. La tradizione dei classici
36
De hoc itaque uno quantum coniciam cuncti plane quotquot extant adhuc
epistolarum earundem codices ceu de fonte capiteque manarunt inque omnibus
praeposterus et perversus lectionis ordo qui mihi nunc loco restituendus
quasique instaurandus. [...] Igitur in libro octavo Caeli epistola ad Ciceronem sic
incipit: «Certe, inquam, absolutus est! (me repraesentante pronuntiatum est)
et quidem omnibus ordinibus et singulis in uno quoque ordine sententiis. “Vide
modo” inquis», hucusque ordo nondum interpellatus. Quae autem statim
sequuntur verba, «litteris ostenderis» et cetera, diversa prorsus a superioribus
atque alterius epistolae invenias. Perge porro ab ea ipsa epistola deinceps
numerare sequentis ad eam quae sit quarta et vigesima, cuius erit ita principium:
«Non mehercules. Nihil unquam enim». Quae cum superiore continuatur, ut
legas ita: «Certe, inquam, absolutus est! (me repraesentare pronuntiatum est) et
quidem omnibus ordinibus et singulis in uno quoque genere sententiis. “Vide
modo” inquis. Non me hercules! Nihil umquam enim» [...].
(’Mi sono imbattuto in un codice antichissimo delle Epistole familiari di Cicerone,
quello di cui ho già detto in precedenza41, poi nell’altro, suo apografo, di mano
– ritengono certuni – di Francesco Petrarca; che però quest’ultimo sia apografo
dell’altro risulta da molti indizi certi, su cui ora preferisco sorvolare. Peraltro,
questo codice seriore, appunto, fu legato da un libraio inaccurato in guisa tale che
una decuria di pagine [scil. ‘due quinterni’, al caso ‘due quaternioni’] risulta
spostata, come colta in flagrante, contro la numerazione data dei fascicoli. Il libro
si trova nella biblioteca della famiglia Medici aperta al pubblico. Pertanto, a mia
stima, sostanzialmente tutti i codici ancora superstiti del citato epistolario sono
derivati da quest’unico codice come da un’unica fonte e sorgente, e in tutti si trova
l’ordine delle frasi sovvertito e bislacco. Io ora devo rimetterlo a posto e, vorrei
dire, rifarlo daccapo. [...] Dunque, nel libro ottavo una lettera di Celio a Cicerone
così comincia: «’Come no?’ dico, ‘È stato assolto! La sentenza è stata pronunciata
†me rappresentante†, e per giunta da tutti e tre gli ordini di giudici e con la maggioranza di un solo voto entro ciascun ordine! ‘Ma guarda un po’!’ dirai». Fin qui
l’ordine non si presenta ancora interrotto. Le parole che seguono, invece, «mostrerai per lettera» eccetera, a leggerle le diresti incompatibili, da lì in poi, con il testo
antecedente, e proprie di una lettera altra. Prosegui, partendo proprio da quella
lettera lì, e conta le seguenti, fino alla ventiquattresima; inizierà così: «Eh no,
corpo di Bacco! Mai niente, infatti...». Queste ultime parole sono la continuazione
con la parte antecedente, cosicché nell’insieme si legge: «‘Come no?’ dico, ‘È stato
assolto! La sentenza è stata pronunciata †me repraesentare†, e per giunta da tutti e
tre gli ordini di giudici e con la maggioranza di un solo voto entro ciascun ordine!’
‘Ma guarda un po’!’ dirai. Eh, no, corpo di Bacco! Mai niente, infatti...» [...]’) .
Hic nichil deficit quod ab aliis habeatur, sed ea que per evidentissimum errorem
sunt translata in librum sequentem et incorporata in epistolis ad Petum cum sint
Celii ad hunc locum magis congruum sunt reducta. Deficit tamen principium
epistole cuius ressiduum fragmentum hic subicitur. Suntque omnes he Celii
quemadmodum et superiores eiusdem, valde incorrecte. Guinifortus Brazizius.
(’Qui non manca nulla che sia attestato da altri codici. Invece le lettere che per un
errore evidentissimo sono state spostate nel libro seguente (e incorporate nelle
lettere a Peto, quando invece sono di Celio) sono state riportate in questo punto,
più congruo. Manca tuttavia l’inizio della lettera di cui qui si presenta il frammento residuo. Eh sì, tutte queste lettere sono di Celio, esattamente come le
precedenti! Grave errore! Guiniforte Barzizza’).
dall’antichità al Rinascimento, traduzione di Mirella Ferrari, Padova, Antenore, 1969
(Medioevo e umanesimo, 7), pp. 126-127 e 148-151 (originale inglese: Scribes and Scholars.
A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford, Clarendon Press, 1968
[testo verificato alle pp.144 e 210-213 della 3a ed., ivi, 1974]). È ignoto quando M sia stato
portato da Vercelli a Firenze, ma certamente prima del 1481, anno di morte del Filelfo.
43 La firma di Thomas Guarimbertus si trova nel colophon finale del codice.
44 La trascrizione non è diplomatica, ma è aderente all’ortografia dell’autore; la punteggiatura è moderna. La scrittura di Guiniforte Barzizza è umanistica (con la ‘g’ chiusa in basso
alla maniera della littera antiqua) ma con elementi d’ascendenza gotica (per esempio la ‘d’ onciale).
45 Con ciò non escludo che ce ne siano altri. Non ho visto, perché ne ho avuto notizia troppo
tardi, il manoscritto della Biblioteca Capitolare di Monza, cod. d-12/168, segnalatomi da
Mirella Ferrari. Non sono riuscito a ottenere una riproduzione digitale del ms. x87.c4 della
Columbia University di New York e del ms. lat. 83, datato del 1428, del Magdalen College
di Oxford. La Bibliothèque nationale de France, per contro, mi ha sollecitamente inviato una
nitida copia digitale in scala di grigi del suo manoscritto latino 8528, e a un prezzo assai
contenuto; la menzione è doverosa, perché si tratta di un servizio eccellente per gli studiosi.
46 Élisabeth Pellegrin, Jeannine Fohlen, Colette Jeudy e Yves-François Riou (con la
collaborazione di Adriana Marucchi), Les manuscrits classiques de la Bibliothèque Vaticane, i:
37
Per quanto ho potuto accertare, presentano le stesse caratteristiche, ma senza
la nota marginale, tre codici45:
– il nostro codice di Lugano d.2.e.18, alla c. 48v;
– l’Ambrosiano a 235 inf., anch’esso in scrittura umanistica lombarda ma
cartaceo, alla c. 87r;
– il codice Vaticano Ottoboniano latino 1581, pergamenaceo, fortemente
lacunoso, ma integro nel libro viii46 .
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
tempo non avessero valore perché copie di p inevitabilmente deteriores, e che
anche p fosse di scarso valore perché copia di m, conservato integro.
Un certo exploit, peraltro, era stato compiuto circa cinquant’anni prima a
Milano da Guiniforte Barzizza che, senza disporre di m, per puro senso del
testo si era reso conto che la seconda parte del carteggio con Celio non poteva
stare nel ix libro e, faute de mieux, l’aveva spostata in calce al libro viii. Ne dà
documento il codice oggi a Parigi, BnF Latin 8528, curato da Barzizza e
materialmente copiato in una bella scrittura umanistica rotonda (o littera
antiqua) da Thomas Guarimbertus per Alfonso d’Aragona43. In quel codice
il libro viii si presenta come negli altri manoscritti discendenti da p, ma dopo
l’explicit della lettera 17, l’ultima («et facile algere et esurire consuerunt»),
nella pagina, alla c. 79v, si osserva un salto di cinque linee. Segue la parte della
corrispondenza con Celio che ha per incipit «Non me hercules». Barzizza
giustifica l’operazione con la seguente nota marginale, che firma44 :
38
Codice di Lugano, c. 48v.
Il salto di cinque linee
mostra la separazione fra
l’explicit del libro viii
e la parte qui ricollocata
secondo l’indicazione
di Guiniforte Barzizza nel
codice Parigino lat. 8528.
Nel margine inferiore,
richiamo del tipo Derolez 1.
Fonds Archivio San Pietro à Ottoboni, Paris, cnrf, 1975, pp. 689-690, che indica la sequenza
viii, 1 - 2, 1; 9, 3 - 17; 2, 1 - 9, 3 alle cc. 41v-52v.
47 Con ciò metto in discussione, per l’Ambrosiano a 235 inf., la datazione suggerita dalle
caratteristiche paleografiche e comunemente accettata, fra il 1420 e il 1440.
48 Su questi problemi cronologici ho consultato con molto profitto Massimo Zaggia, Copisti
e committenti di codici a Milano nella prima metà del Quattrocento, «Libri e documenti», 21
(1995) f. 3, pp. 1-45, alle pp. 36-38 e nn. 196-198, un articolo risalente al tempo in cui la
Biblioteca Ambrosiana era chiusa.
49 Ho letto quanto riporto qui in Barbero, Manoscritti e scrittura, cit.
50 Si tratta del Codex Laudensis, oggi perduto, ricostruibile attraverso i suoi apografi.
51 Verificato in Gasparini Pergamensis Orthographiae liber, [Parigi], [1470], passim.
52 Verificato ivi, cc. [16r], [26r].
53 Verificato ivi, c. [32v].
54 Ciò non sorprende: si legga Giuseppe Billanovich, Un esercizio di cultura umanistica in casa
Barzizza, in Forme e vicende. Per Giovanni Pozzi, a cura di Ottavio Besomi, Giulia Gianella,
Alessandro Martini e Guido Pedrojetta, Padova, Antenore, 1988 (Medioevoe e umanesimo, 72),
pp. 67-73.
39
4. Il mondo culturale intorno allo scriptorium
del codice di Lugano
Guiniforte Barzizza curò un codice che per caratteristiche ortografiche non
corrisponde alle norme codificate da suo padre Gasparino. Questi49 aveva
iniziato la composizione del suo De orthographia nel 1416, ma poi lo aveva
riveduto dopo il 1421, in seguito alla scoperta, nella Biblioteca Capitolare di
Lodi, di un codice contenente l’Orator, il De oratore e il Brutus di Cicerone50.
Ebbene, Gasparino Barzizza aveva stabilito tre principî fondamentali:
– regole rigorose nell’uso delle geminate e delle scempie51;
– che i dittonghi ‘ae’ ed ‘oe’ dovessero essere scritti o per esteso o con la ‘e’
caudata52 ;
– che, nonostante la pronuncia del tempo, mihi e nihil dovessero essere
scritti senza la ‘c’ davanti alla ‘h’ (non michi e nichil)53.
Invece il codice Parigino lat. 8528 delle Ad familiares dimostra sì una
certa cura nell’uso di geminate e scempie, però non distingue i dittonghi
(segnati come ‘e’ semplici) e presenta le grafie michi e nichil. In questo il figlio
Guiniforte si scosta dalla norma voluta dal padre Gasparino54.
Nella prima parte del codice di Lugano, a parte la scrittura ibrida (in
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
Dunque, tutti e tre sono posteriori al codice della BnF lat. 852847. Ebbene, per
il manoscritto parigino si può fissare un terminus post quem al 1432, tempo a cui
risalgono i primi rapporti di Guiniforte Barzizza con Alfonso d’Aragona, e un
terminus ante quem nel 1458, anno della morte di Alfonso. È probabile, tuttavia,
che la confezione del codice sia da ascrivere al tempo della prigionia di Alfonso a
Milano, nella seconda metà del 1435, oppure agli anni immediatamente successivi;
nel 1440, infatti, Guiniforte affidò a Iñigo di Avalós codici da consegnare ad
Alfonso, ormai a Napoli (dove sarebbe divenuto stabilmente re delle Due Sicilie
nel 1443), ed è probabile che il codice delle Ad familiares vi fosse compreso48.
Pertanto, sia per il codice Ambrosiano sia per la prima parte del luganese,
converrà stimare il 1440 come terminus ante quem, perché è necessario che i due
manoscritti siano stati descripti quando il codice Barzizza era ancora a Milano. La
collazione, infatti, dimostra che i due codici in scrittura umanistica lombarda, pur
molto simili, sono indipendenti l’uno dall’altro. Ne riparlerò nel capitolo finale.
parte antiqua, in parte textualis), si può osservare un certo rigore ortografico
e l’uso di mihi e nihil; i dittonghi, per contro, sono segnati come ‘e’ semplici.
Anche da questo punto di vista le caratteristiche sono quelle osservabili nel
codice Ambrosiano a 235 inf.55
Se ne può concludere che i due codici apografi — l’uno in tutto, l’altro in
parte — si attengano alle norme di Gasparino Barzizza più che il loro antigrafo,
curato da Guiniforte. L’uno e l’altro riflettono una cultura umanistica che a
Milano si era affermata, anche se non aveva dato luogo a una prassi scrittoria
d’uso generale.
5. Collazione del codice di Lugano (prima parte)
con il Parigino lat. 8528 e con l’Ambrosiano a 235 inf.
La concordanza in errore dei codici Parigino lat. 8528 (b), Ambrosiano a 235 inf.
(a) e Luganese d.2.e.18 (l) contro il Mediceo Laurenziano 49, 9 (m) e il Mediceo
Laurenziano 49, 7 (p) si può osservare spesso, anzi, come abbiamo visto, è
dirimente nella sistemazione del libro viii. Può capitare però che b e i suoi
apografi concordino con il codice Harleyano 2773 (g) e il codice Parigino lat.
17’812 (r), ambedue del xii secolo (e risalenti a un subarchetipo altomedioevale
comune). Qui presenterò una selezione di due lettere: Fam. iii, 7 e vii, 2656.
Ecco i passi che ci interessano.
55 Il codice Ambrosiano tuttavia presenta una spaziatura e un’interlinea larghe, quello di
Lugano un’interlinea ridotta con 40 righe per pagina, ancora alla maniera gotica.
56 Nell’edizione Sjögren, cit., rispettivamente nei vol. i (1923), pp. 74-76, e ii (1924), pp. 224-225.
57 La precedente amministrazione di Appio Claudio, infatti, era stata dissanguante per
la provincia; questo almeno è il giudizio che emerge soprattutto da Cic. Att. vi, 1, 2.
58 Cfr. Cic. Off. ii, 8, 26-31 (fonte Panezio); iii 22, 87-88 (fonte Atenodoro).
59 Cicerone afferma che l’urbanitas per gli Stoici è virtù pensando a paradossi come «all’anima
del gentiluomo (ταῖς τῶν ἀστείων [...] ψυχαῖς) non sopravvengono passioni’ (SVF iii 465), dove
appare evidente che l’ἀστεῖος (’urbano’ o ‘gentiluomo’) coincide con il σοφός (’sapiente’).
Pertanto non condivido la sostanziale sospensione del giudizio da parte di Raffaella Tabacco
40
5.1 Cic. Fam. iii, 7
Si tratta di una lettera del 50 a.C., inviata da Cicerone ad Appio Claudio Pulcro,
suo predecessore nel governo della Cilicia. Si tratta di uno scritto di dura
contrapposizione politica, giocata però in punta di fioretto. Contro le pretese
dei clientes di Appio Claudio, che speravano di poter proseguire nello sfruttamento della provincia57, e contro quelle del loro patronus (che li appoggiava),
Cicerone fa valere i principî etici dello stoicismo di mezzo, che ebbe i suoi
esponenti in Panezio, in Posidonio e, al tempo della lettera, in Atenodoro il
Calvo; questi esortavano i detentori degli imperî a impedire le ingiustizie
verso e fra i sudditi, e sono princìpi che Cicerone stesso avrebbe codificato nel
suo ultimo trattato, il De officiis, del 4358. Alle pretese del nobile di sangue
Appio Claudio, addirittura un patrizio, Cicerone oppone la virtù stoica; lui
che era assurto sì al consolato, ma da homo novus (cioè, essendo privo di
antenati consoli). Lui che non era romano di Roma, ma proveniva da Arpino,
nell’attuale Ciociaria, chiamava urbanitas non l’appartenenza all’Urbe per
lignaggio, ma ciò che gli Stoici chiamavano τὸ ἀστεῖον, cioè la signorilità che
connota l’uomo di cultura; la prima, dal punto di vista stoico, è bene di
fortuna, cioè moralmente indifferente, la seconda è virtù59. Dove Cicerone
Par. 2
Legati Appiani mihi volumen a te plenum querelae iniquissimae reddiderunt
quod eorum aedificationem litteris meis impedissem61.
querelae iniquissimae] querelis iniquissimis a
L’ablativo «querelis iniquissimis» di a è isolato rispetto al genitivo «querelae
iniquissimae» di tutti gli altri codici. Il significato del testo non cambia,
perché i costrutti di genitivo annominale e di ablativo strumentale con plenus
sono concorrenziali; però si banalizza, perché l’ablativo fa perdere il doppio
cretico. Per quel che importa a noi qui, l, che dà la lezione corretta, non
dipende da a.
Par. 5
Quaeso, etiamne tu has ineptias, homo mea sententia summa prudentia, multa
etiam doctrina, plurimo rerum usu, addo urbanitatem, quae est virtus, ut Stoici
rectissime putant? Ullam Appietatem aut Lentulitatem valere apud me plus
quam ornamenta virtutis existimas? Cum ea consecutus nondum eram quae
sunt hominum opinionibus amplissima, tamen vestra ista nomina numquam
sum admiratus; viros eos qui ea vobis reliquissent magnos arbitrabar. Postea
vero quam ita et cepi ed gessi maxima imperia, ut mihi nihil neque ad honorem
neque ad gloriam adquirendum putarem, superiorem quidem numquam sed
parem vobis me speravi esse factum. Nec mehercule aliter vidi existimare vel Cn.
Pompeium, quem omnibus qui umquam fuerunt, vel P. Lentulum, quem mihi
ipsi antepono. Tu, si aliter existimas, nihil errabis si paulo diligentius, ut quid sit
ευγένεια [quid sit nobilitas] intellegas, Athenodorus Sandonis filius quid de his
rebus dicat adtenderis.
In questo passo, rispetto ad «adquirendam putarem» di mp (ma «acquirendam» p), lezione comune di bal è «adcquirendam deesse putavi» (ma «acquisulla possibilità di individuare precise fonti stoiche: vedi Epistole di Marco Tullio Cicerone,
iv-v: Ad familiares, a cura di Giovanna Garbarino e Raffaella Tabacco, Torino, utet, 2008
(nel vol. iv, p. 560, n. 13); dico questo pur riconoscendo acribia e probità dell’edizione, della
traduzione e del commento.
60 Doppiamente tali, perché vengono dalla città di Appia in Frigia e perché sono legati ad
Appio Claudio
61 Non si sa di che provvedimento si tratti.
41
acquirendum putarem] adquirendam deesse putarem bal (ma acq- a) : quidem
numquam] equidem numquam a : vobis me] me vobis bal : qui umquam
fuerunt] qui nu(n)q(uam) fueru(n)t l: P. Lentulum] publium lentulum b (p. lent- a
pu. lent- l) : diligentius ut quid sit εὐγένεια] diligentius quid sit excellentia b (ma
ex- seguito da rasura b, corr. b2 ) diligentius quid sit existentia a (ma excelentia s.l.
a 2 ) diligentius quid sit excellentia l: Athenodorus] et si athenodorus bl et si
Anthenodorus a
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
bolla di querela iniquissima l’atteggiamento dei «legati Appiani»60 , usa un
doppio cretico («querēlae ĭnīquīssĭmāe»), metro che connota parole scandite
con gravità (è il giudizio morale del governatore in carica), seguito da un
ditrocheo («rēddĭdērūnt»), che invece è di leggerezza asiana, intonato con la
leggerezza morale degli ‘Appiani’ e, sottinteso, di Appio stesso.
Par. 6
Sed ut ad rem redeam, me tibi non amicum modo verum etiam amicissimum
existimes velim. Profecto omnibus meis officiis efficiam ut ita esse vere possis
iudicare. Tu autem si id agis ut minus mea causa, dum ego absim, debere videaris
quam ego tua laborarim, libero te ista cura:
παρ’ ἔμοιγε καὶ ἄλοι
οἵ κέ με τιμήσουσι, μάλιστα δὲ μητίετα Ζεύς.
Si autem natura es φιλαίτιος, illud non perficies, quo minus tua causa velim;
hoc adsequere, ut quam in partem tu accipies minus laborem. Haec ad te scripsi
62 È però «adquiro» la forma preferita da Gasparino Barzizza, De orthographia, cit., c. [5r].
63 L’esempio più antico si trova in Simmaco, Epistolae 81 (lettera al praefectus urbi Costanzo),
dunque nel iv secolo, ma ha le prime ricorrenze frequenti (52) nelle Epistolae di papa Gregorio i
Magno (vi-vii secolo).
42
rendam» a); la variazione nel preverbio fra l’etimologico «ad-» e l’assimilato
«ac-» è trascurabile; 62 nello stesso paragrafo b inverte meccanicamente «vobis
me» in «me vobis», come accadeva spesso, e l’errore passa ad a e ad l. Inoltre bal
divergono da mp con la lezione «etsi Athenodorus» invece che «Athenodorus», a
tuttavia aggiunge un errore: «Anthenodorus» invece che «Athenodorus».
I confronti più istruttivi sono però quelli che riguardano l’omissione di
parole o frasi greche riportate più o meno correttamente da m e p, ma sostituite
in b dal segno abbreviativo «·g·», che sta per «graecum»; in b questo segno
abbreviativo è dello stesso corpo del testo e occupa lo spazio strettamente
indispensabile: tre caratteri. Non così in a ed l, che tendono a lasciare spazi
bianchi; quelli in a sono spesso angusti, in l sono più adeguati e talora, anzi,
sovrabbondanti. Più raramente b, a ed l inseriscono traduzioni latine d’età
umanistica, e anche in questo caso è utile valutare le varianti.
Nel paragrafo che stiamo esaminando, ometto la discussione del testo
greco, limitandomi alle sue traduzioni in latino. La nota marginale di m 2,
«nobilitas εὐγένεια», è una glossa con la traduzione latina corretta. In p due
mani successive, entrambe siglate convenzionalmente p2, appongono l’una
la glossa supra lineam «bona generatio» (calco insoddisfacente dal punto di
vista semantico), l’altra in margine «nobilitas eugenia», dove si vede che, a
parte la traslitterazione della parola greca, è stata copiata la glossa marginale
di m2. Nel testo di b ed l, invece, in luogo del greco si legge «excellentia», che
è appellativo d’uso tardoantico, medioevale e moderno per gli alti dignitari63.
In a, sempre in luogo del greco, si legge, nel testo originario, «existentia»,
strano per noi, ma che va inteso come sinonimo del nostro ‘eminenza’.
Ebbene, in b «excellentia» è frutto di una correzione in rasura, cioè a dire,
sono state raschiate e sovrascritte le lettere dopo «ex-»; se interpreto bene, b
originariamente dava «existentia», come a, ma in un secondo tempo è stato
corretto, e la correzione si riflette in l. Se è così, a è una copia di b cronologicamente prossima all’originale, l (o meglio, la sua prima parte) è una copia
successiva, descripta prima che il codice Barzizza fosse portato a Napoli
e consegnato ad Alfonso d’Aragona, cui era destinato fin dall’inizio.
La datazione probabile del primo codice va situata fra il 1435 e il 1440; quella
del secondo nello stesso intervallo d’anni, ma subito dopo il primo; la prima
parte del codice luganese, per contro, verso la fine di quell’intervallo d’anni.
videaris] videris mp videaris grbal : παρ’ ἔμοιγε [...] μητίετα Ζεύς p2] adsunt mihi
et alii qui me honorabunt maxime autem consilii plenus Iupiter p2 l2 (spazio
bianco in l) adsunt mihi et alii qui me orabunt [...] b adsunt etiam mihi alii qui
me honorabunt [...] a : φιλαίτιος] querulosus φιλαίτιος p2 querulosus bal2 (spazio
bianco l)
Al par. 6 si trova una citazione omerica da Il. i, 174-175: «παρ’ ἔμοιγε καὶ ἄλοι /
οἵ κέ με τιμήσουσι, μάλιστα δὲ μητίετα Ζεύς» (’io ho anche altri che mi onoreranno,
e più di tutti il saggio Zeus’). Anche qui ometto la discussione del testo greco.
In p le due mani siglate p2 annotano varianti marginali e versioni latine: una
più antica, cancellata a penna da una mano posteriore, ha scritto in scrittura
minuscola, oltre a un greco mal redatto, «penes me et alii qui me honorant
maxime autem consultor Iupiter»; una più recente ha scritto un greco corretto
e la resa latina «adsunt mihi et alii qui me honorabunt maxime autem consilii
plenus Iupiter». b non riprende il testo greco, ma solo questa seconda versione
latina, con un errore meccanico («orabunt» invece che «honorabunt»); a
ripristina «honorabunt» ma inverte «et alii» con «alii etiam»; l’amanuense di
l, infine, lasciò uno spazio bianco adeguato per un eventuale inserimento del
greco, poi però la mano del correttore antico (l2) inserì senza errori la seconda
versione latina di p2.
Qualche cosa del genere si può osservare subito dopo, a proposito di φιλαίτιος
(’recriminoso’). p2 annota a margine «querulosus φιλαίτιος». In b e a si legge
«querulosus» entro il testo, in l invece c’era uno spazio bianco fra fine linea e
l’inizio della linea successiva, successivamente riempito da l 2 : nella linea
superiore con un trigramma illeggibile chiuso dal segno abbreviativo per «-us»
finale, nella linea inferiore con «querulosus». Anche in questo caso è forte
l’impressione che il curatore del codice intendesse inserire il greco, poi vi abbia
rinunciato e, faute de mieux, si sia attenuto al testo risalente a p2.
Par. 1
cicero s. d. gallo
Cum decumum iam diem graviter ex intestinis laborarem neque iis qui mea
opera uti volebant me probarem non valere quia febrim non haberem, fugi in
Tusculanum, cum quidem biduum ita ieiunus fuissem ut ne aquam quidem
gustarem. itaque confectus languore et fame magis tuum officium desideravi
quam a te requiri putavi meum. ego autem quom omnis morbos reformido tum –
43
5.2 Cic. Fam. vii, 26
La seconda lettera qui proposta è utile a titolo complementare. Si tratta di un
testo molto spiritoso in cui l’autore si diverte a giocare con il linguaggio medico,
naturalmente greco. In questo caso in a ed l restano gli spazi bianchi, che in l
sembrano più adeguati a ricevere gli inserimenti necessari; invece in b, loro
antigrafo di lusso, destinato a un principe, la rinuncia a inserire il greco è
assoluta.
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
liberius fretus conscientia officii mei benevolentiaque quam a me certo iudicio
susceptam quoad tu voles conservabo.
Codice di Lugano,
cc. 101v-102r.
Incipit del libro xvi.
quod Epicurum tuum Stoici male accipiunt, quia dicat στραγουρικὰ καὶ δυσεντερικὰ
πάθη sibi molesta esse; quorum alterum morbum edacitatis esse putant, alterum
etiam turpioris intemperantiae – sane δυσεντερίαν pertimueram; sed visa est mihi
vel loci mutatio vel animi etiam relaxatio vel ipsa fortasse iam senescentis morbi
remissio profuisse.
languore] langore bal : putavi meum] meum putavi a : quia dicat] quia dicant bal :
στραγουρικὰ καὶ δυσεντερικὰ πάθη] ·g· b grecum in spazio bianco A spazio bianco l:
δυσεντερίαν] ·g· b grecum in spazio bianco a spazio bianco l
Par. 2
Ac tamen ne mirere unde hoc acciderit quo modove commiserim, lex sumptuaria
quae videtur λιτότητα attulisse, ea mihi fraudi fuit. nam dum volunt isti lauti
terra nata quae lege excepta sunt in honorem adducere, fungos helvellas herbas
omnis ita condiunt ut nihil possit esse suavius. in eas cum incidissem in cena
augurali apud Lentulum, tanta me διάρροια adripuit ut hodie primum videatur
coepisse consistere. ita ego, qui me ostreis et murenis facile abstinebam, a beta
et a malva deceptus sum. posthac igitur erimus cautiores.
mirere] mirer bal : λιτότητα] ·g· b grecum in spazio bianco a spazio bianco
abbondante l: dum volunt] cum volunt bal : helvellas] helvelas bal : διάρροια] ·g·
b grecum in spazio bianco A spazio bianco l: et a malva] etiam et malva pl
Par. 3
Tu tamen cum audisses ab Anicio (vidit enim me nauseantem) non modo mittendi
causam iustam habuisti sed etiam visendi. ego hic cogito commorari quoad me
reficiam, nam et viris et corpus amisi; sed si morbum depulero, facile, ut spero,
illa revocabo.
ab Anicio] ab initio bl ab Anitio a : non modo mittendi] non mittendi l: viris]
vires pbal
5.3 Cic. Fam. ix, 22
Tutto cambia, nel codice luganese, dalla c. 57 l. 11 in poi. Già le prime parole
scritte dal secondo amanuense rivelano che anche l’antigrafo non è più il
medesimo. Riporto l’intera frase; la doppia barra verticale indica il punto del
cambio di mano (par. 3):
Socraten fidibus || docuit nobilissimus fidicen; is ‘Connus’ vocitatus est; num id
obscaenum putas?
nobilissimus fidicen is] nobilissimusfidicenis m nobilissimus fidicenis p (ma
fidicenIs p2 ) nobilissimus fidicen is b nobilissimis (o nobilissinus) fidicinis l
46
Nei tre paragrafi si vedono esempi della reciproca indipendenza di a ed l:
nel par. 1 l’inversione «meum putavi» è del solo a. Nel par. 3, invece, l è il solo
a presentare la lezione erronea «non mittendi» invece della corretta «non
modo mittendi». Ancora: il solo a torna sulla lezione corretta di mp «ab Anicio»
(la sua variante «ab Anitio» è di scarso rilievo dal punto di vista paleografico).
itaque non modo in comoediis res ipsa narratur, ut ille in Demiurgo: “modo
forte...” [...]. Totus est sermo verbis tectus, re impudentior; sed etiam in tragoediis [...].
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
Di Conno, maestro di musica di Socrate, parla Platone, Eutidèmo 272c e 295d.
Cicerone gioca sul fatto che in latino connus o cunnus è parola molto volgare
per dire ‘vulva’; non così il greco κόννος, che vale ‘ciondolo’ o ‘ninnolo’, e che
può essere anche la barba. Cicerone, con tono serio-comico (σπουδαιογέλοιον),
fa notare che non ha senso attribuire connotazioni oscene a parole greche
somiglianti solo foneticamente a quelle latine.
Nel testo, errore fondamentale è «fidicinis», derivante da un fraintendimento di scrittura continua che il subarchetipo m e il suo immediato apografo
p permettono di verificare. In m, codice in scrittura carolina ancora semicontinua, si legge «nobilissimusfidicenis», separato in «nobilissimus fidicenis» in
p; un correttore di p corregge la ‘i’ di «-is» in maiuscola, lasciando intendere,
correttamente, che in quel punto non vadano soltanto separate le parole, ma si
debbano distinguere due periodi sintatticamente differenti. È quanto fa b.
Invece il nostro codice l, o il suo antigrafo, corregge «fidicenis» nel genitivo
«fidicinis» (in modo plausibile, dal punto di vista strettamente paleografico),
ma poi, nell’impossibilità di dare un senso alla frase, corregge anche «nobilissimus» in «nobilissimis», concordando l’aggettivo con il precedente «fidibus».
Il cambio d’antigrafo qui si palesa. Non è così nella parte antecedente della
stessa lettera, per esempio verso la fine del par. 1, dove Cicerone dice:
in Demiurgo modo] indemiurgomodo m in demiurgomodo p in demiurgo modo
p2 inde tu uirgo modo b uide tu uirgo modo l
Qui l incorre nello stesso errore di b, aggiungendone uno in più per l’estrema
somiglianza fra ‘in’ e ‘ui’ se non si trova il puntino sulla ‘i’. Se si lasciano da
parte gli errori meccanici di l, puramente aggiuntivi rispetto a b, un’altra coincidenza in errore si trova poco più sotto, al par. 2:
penicillus] peniculus bl
La variante di b passata ad l, «peniculus» vale ‘spazzola’, perciò dà un senso
altrettanto soddisfacente che «penicillus» (’pennello’) di mp.
Insomma, fino al par. 3a, cioè fin che fu all’opera il primo amanuense,
antigrafo fu il codice della BnF lat. 8528, scritto da Thomas Guarimbertus
e curato da Guiniforte Barzizza. Dopo, dal par. 3b in poi, non più.
64 Bisogna pensare a mentula (cfr. Catullo 29, 13; 94, 1-2; 105, 1; 114, 1; 115, 1 e 8), vocabolo
che Cicerone, per decentia, non usa mai.
47
Caudam antiqui ‘penem’ vocabant, ex quo est propter similidudinem ‘penicillus’; ad hodie penis est in obscenis. at vero Piso ille Frugi in Annalibus suis
queritur adulescentis ‘peni deditos’ esse. quod tu in epistula appellas suo
nomine, ille tectius penem; sed quia multi, factum est tam obscenum quam id
verbum quo tu usus es64.
5.4 Cic. Fam. xvi, 5
Il cambio di antigrafo appare evidente anche nella lettera xvi, 5, che nel codice
Mediceo 49, 9 (m) e in tutti i suoi apografi è quella d’apertura dell’ultimo libro65.
Par. 1
tvllivs et cicero et q. q. tironi humanissimo et optimo s. p. d.
Vide quanta sit in te suavitas. Duas horas Thyrrei fuimus. Xenomenes hospes
tam te diligit quasi vixerit tecum. Is omnia pollicitus est quae tibi essent opus;
facturum puto. Mihi placebat, si firmior esses, ut te Leucadem deportaret, ut ibi
te plane confirmares. Videbis quid Curio, quid Lysoni, quid medico placeat.
Volebam ad te Marionem remittere quem, cum meliuscule tibi esset, ad me mitteres; sed cogitavi unas litteras Marionem adferre posse, me autem crebras
exspectare.
suavitas] humanitas l : duas] duras mp duas p2bl : Thyrrei] thirrei ml thirei pb :
Xenomenes] xenomones l : hospes tam] hospestam m hospectam p hospes tam
p2bl : quasi] quasi ml quamsi m3 qua si p quam si p2 quam b : mihi] michi pb2l
nichil b : ut ibi] ut ubi mp ut tibi b ut ibi p2 b2l : Lysoni] lisoni pl : placeat] placeat
mp2b placebat p placebit l : mitteres] remitteres l
Par. 2
Poteris igitur et facies, si me diligis, ut cotidie sit Acastus in portu. Multi erunt
quibus recte litteras dare possis, qui ad me libenter perferant; equidem Patras
euntem neminem praetermittam. Ego omnem spem tui diligenter curandi in
65 Questa è la sequenza: 5, 7, 1-4, 6, 8-9, 11-12, 10, 15, 14, 13, 16-27.
66 m1 indica le correzioni della stessa mano del copista, m 2 quelle di una mano successiva, ma
anteriore a p, m3 quelle posteriori a p.
48
Nell’incipit si legge «quanta sit in te suavitas», che nel nostro codice diventa
«quanta sit in te humanitas»; in b «svavitas» è in scrittura capitale, perciò
l’errore non ha quell’origine; caso mai può essere indotto da «humanissimo»
nell’indirizzo di saluto, oppure derivare da un ‘ſuauitas’, in lettere minuscole
e con ‘s’ iniziale diritta, scambiato per ‘hūanitas’; solo una collazione più vasta
potrebbe chiarire il problema.
L’indipendenza di l da b risulta evidente, per contro, in «quasi vixerit».
Lezione genuina dell’archetipo era «quasi», attestato anche dalla scrittura
originaria di m; anche la lezione originaria di p è «qua si». Successivamente p2
espunge «ua» e segna l’abbreviazione di quam sulla ‘q’ e un trattino sovrascritto
per ‘m’ è tracciato in m (per questo la mano è chiamata m3: poiché è posteriore
a p2) 66. Orbene, b legge «q(uam)», come p2, ma omettendo «si», l invece legge
«q(uas)i», riflettendo uno stato del testo più antico e, al caso, migliore.
Che l’antigrafo della seconda mano di l riflettesse una lettura umanistica più
antica, rispetto a b, del testo ciceroniano è confermato da un errore interessante: «placebit», derivato indirettamente dall’erroneo «placebat» di p. Invece
p2 ripristina la lezione corretta «placeat». L’antigrafo di l fu copiato da p prima
che questo fosse corretto; allo stato, non posso dire se a congetturare il futuro
sia stato chi curò l’antigrafo o chi curò il codice luganese. Solo una collazione
più vasta potrà gettare ulteriore luce.
sit Acastus] sit acastus mp2b si ita captus p sit a castris l : perferant equidem]
perfer ante quidem p perferant equidem p2bl : Patras] patratis m pa transeuntem
p patras euntem p2 pertranseuntem bl : ei te totum trade] eitotum trade mp ei
totum trade p2 ei totum tradere bl ei totum trade te l 2 : paulo post valentem]
paulo valentem mpbl paulo post valentem m3l3 : nisi ut tu valeas] nisiuttua valeas
mp nisi ut tu valeas p2bl : vii idus novembres] vii idus maii l.
Quest’ultimo paragrafo non permette osservazioni importanti; è appena il
caso di notare che il restauro di «post» fra «paulo» e «valentem» è comune a m3
e a un correttore in littera antiqua di l. La variante di l sulla data di spedizione deriva dal fraintendimento di un id. nou., scambiato per «id. maii».
6.
49
Conclusione
Probabile data di composizione del codice
e problemi ancora aperti
Quanto si è potuto accertare fin qui permette comunque una prima conclusione: per il manoscritto di Lugano, il momento in cui il codice Barzizza fu
portato a Napoli è il probabile terminus ante quem per quanto riguarda l’opera
della prima mano e il probabile terminus post quem per quanto riguarda
l’opera della seconda mano. Se Massimo Zaggia, come credo, ha ragione, esso
va fissato al 1440. Deve indurre a cautela il fatto che la causa per il cambio di
antigrafo potrebbe anche essere un’altra, a noi sconosciuta, e questo potrebbe
anticipare, piuttosto che ritardare, la datazione del nostro codice. Comunque
sia, per ragioni paleografiche il codice di Lugano va datato entro il secondo
quarto del Quattrocento; la collazione permette una stima ancora più precisa,
tra gli ultimi anni Trenta e i primi anni Quaranta di quel secolo.
Rimane aperto il problema del secondo antigrafo. Per cercarlo occorrerà
una collazione di tutti i codici di origine milanese o lombarda delle Ad
familiares. Non servono, per contro, i manoscritti quattrocenteschi fiorentini
della Laurenziana, che, come ho potuto verificare facilmente, appartengono
a un altro ramo della famiglia di m e p rispetto al codice di Lugano. Dall’indagine condotta fin qui, e non ancora conclusa, emerge una linea milanese nella
tradizione delle Ad familiares, in rapporto diretto con p, cioè con il codex
descriptus nel 1392 dall’umanista visconteo Pasquino Capelli per Coluccio
Salutati, oggi Mediceo Laurenziano 49, 7, apografo immediato di m, oggi
Mediceo Laurenziano 49, 9, che è il codex antiquus in scrittura carolina scoperto dallo stesso Pasquino nella Biblioteca Capitolare di Vercelli.
Di questa linea milanese il nostro codice è un testimone importante, anche
se non fu confezionato per un principe né per una biblioteca principesca, e
anche se oggi si trova in una sede periferica rispetto alle grandi biblioteche che
custodiscono codici tardoantichi, medioevali e umanistici.
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Le “Ad familiares” di Cicerone
Curio habeo. Nihil potest illo fieri humanius, nihil nostri amantius. Ei te totum
trade. Malo te paulo post valentem quam statim imbecillum videre. Cura igitur
nihil aliud nisi ut valeas; cetera ego curabo. Etiam atque etiam vale. Leucade
proficiscens vii Id. Nov.
Contributi
Marco Sampietro
‘Nuovi’ esemplari a stampa
della prima raccolta poetica
del Parini
*
**
Nel 1752 veniva pubblicata la prima opera poetica di Giuseppe Parini (17291799), alias Ripano Eupilino1, che consentì al poeta ‘milanese’ di Bosisio,
nonostante uno scarso riscontro di pubblico, il suo ingresso ufficiale nell’Accademia dei Trasformati assumendo in seguito lo pseudonimo arcadico di
Darisbo Elidonio. Il libretto (che dovette molto probabilmente rappresentare
il risultato di una cernita di più numerosi componimenti, come il titolo
implicitamente rivela) è una raccolta di novantaquattro testi poetici, divisa in
due parti: la prima sezione non ha titolo e contiene cinquantaquattro sonetti,
per lo più di argomento religioso e amoroso; la seconda, intitolata Poesie
Piacevoli (un genere corrente in Arcadia), comprende quaranta testi: trentatré
sonetti, di cui diciannove caudati, di carattere burlesco e satirico, secondo
la tradizione bernesca, tre capitoli in terza rima, un’epistola in endecasillabi
sdruccioli, e infine tre egloghe, cosiddette ‘piscatorie’, in terza rima. Il tutto
per un totale di ben duemilatrecento versi.
50
*
Marco Sampietro è professore di latino e greco al Liceo “Alessandro Manzoni” di Lecco
ed è cultore della materia in Letteratura latina e Storia della lingua latina presso l’Università
Cattolica di Milano, dove si è laureato in lettere classiche. I suoi interessi di ricerca prevalenti
vertono sulla storia locale della Valsassina, dell’Alto Lario e della Valtellina, incluso lo studio
del libro antico in quell’area geografica.
**
Desidero innanzitutto esprimere profonda gratitudine a Paolo Bartesaghi, William
Spaggiari e Gianfranco Scotti per avere condiviso con me questa mia prima ricerca pariniana
e per essermi stati prodighi di utili critiche e di suggerimenti preziosi. Un particolare ringraziamento va poi ai ‘custodi’ degli esemplari a stampa di questa raccolta di poesie del Parini per
avermeli messi a disposizione con rara liberalità unitamente a preziose informazioni e
competenti osservazioni che hanno agevolato e di gran lunga migliorato questo mio lavoro di
ricerca: Marco Albertario (direttore dell’Accademia di belle arti Tadini, Lovere), Simonetta
Santucci e Marco Petrolli (Biblioteca Museo Archivio Casa Carducci, Bologna), Pedro Nari
(Bibliothèque de l’Université de Genève), Susan Halpert (Houghton Library Harvard
University), Giuseppe Vanzella (Libreria antiquaria Vanzella, Treviso), e infine, ma non da
ultimo, il bibliofilo Giancarlo Valera. Un grazie di cuore infine a Mirella Ferrari che non si è
mai stancata di guidare con pazienza e illuminato rigore questa mia ricerca.
1 Ripano Eupilino è lo pseudonimo scelto da Parini per firmare la sua prima raccolta di
poesie: ‘Eupilino’ è aggettivo che deriva da Eupili, nome latino del lago di Pusiano; ‘Ripano’,
che probabilmente è anche aggettivo derivato dal latino ripa (’riva’), e indicherebbe l’abitazione
del poeta sulle rive del Pusiano, è anagramma di ‘Parino’, il cognome originario della famiglia
del poeta, da lui mutato in Parini.
51
Frontespizio dell’esemplare
di Lovere, Accademia
di belle arti Tadini, con
il consenso dell’Accademia.
Pubblicata grazie all’aiuto economico fornitogli da amici e conoscenti del
suo ristretto entourage provinciale, in particolare dal canonico Candido
Agudio di Malgrate2, questa prima opera pariniana dal titolo Alcune poesie di
Ripano Eupilino è un volumetto uscito per i tipi chiaramente apocrifi di un
improbabile stampatore, Giacomo Tomson, e con l’indicazione tipografica
altrettanto improbabile di Londra3.
A seguito degli studi di Callisto Caldelari che, sulla base dell’incisione
(medaglione con il volto di Cristo) che orna il frontespizio del libretto pariniano, ha dimostrato l’origine ticinese della stampa4, sembrerebbe ormai accertato e pacificamente accettato dalla critica odierna5 che quest’opera giovanile
del Parini sia proprio uscita dai torchi della storica tipografia dei fratelli Agnelli
di Lugano, non già dai torchi milanesi di Giovan Battista Bianchi, come
invece sostenuto dal Carducci6 e con lui da altri studiosi, tra cui Guido Mazzoni, curatore di una edizione benemerita che, sia pure uscita nel 1925, resta
a tutt’oggi insostituibile sul piano di una maggiore completezza testuale delle
opere del Parini7.
52
2 Carlo Antonio Vianello, Il canonico Agudio e il Parini, Como, Tipografia Editrice
Ostinelli di Cesare Nani, 1930.
3 «Appresso C. Thompson» a Londra sono stati pubblicati nel 1786 anche i tre volumi del
Nuovo progetto d’una riforma d’Italia di Carlo Antonio Pilati (cfr. Callisto Caldelari,
Bibliografia luganese del Settecento. Le edizioni Agnelli di Lugano. Libri, periodici, Bellinzona, Casagrande, 1999, pp. 343-345). Per altre edizioni Agnelli pubblicate a Londra con falsa
indicazione tipografica cfr. Ivi, p. 226, n. 173; p. 246, n. 200; p. 263, n. 224; p. 324, n. 285; pp.
340-344, n. 298; pp. 363-364, n. 325; sulle false edizioni luganesi in generale, cfr. Ivi, pp.
431-532, 567-572, 684-689.
4 «L’incisione che orna il frontespizio è identica ad altre che figurano su edizioni Agnelli»
(Caldelari, Bibliografia luganese, cit., pp. 332-333). Cfr. inoltre Id., Bibliografia luganese del
Settecento. Le edizioni Agnelli di Lugano. Fogli. Documenti. Cronologia, Bellinzona, Casagrande, 2002, p. 712; Id., Editoria e Illuminismo fra Lugano e Milano, Milano, Edizioni Sylvestre
Bonnard, 2005, pp. 173-179. Il fregio, ascrivibile alla tipografia Agnelli, è pubblicato in
Caldelari, Bibliografia luganese, cit., p. 521: lo troviamo sul frontespizio di un volume di Angelo
Maria da Lugano stampato a Lugano nel 1752 (n. 8, pp. 74-75) e di un volume di Francesco
Innocenzo Fileppi stampato a Lucca ma in realtà a Lugano nel 1757 (n. 158, p. 218).
5 Cfr. da ultimo Giuseppe Nicoletti, Parini, Roma, Salerno Editrice, 2015, p. 37.
6 Giosue Carducci, Studi su Giuseppe Parini. Il Parini minore, Bologna, Zanichelli, 1922, p.
4. Nel suo Parini principiante, apparso per la prima volta nella «Nuova Antologia», serie iii,
fasc. lv (1 gennaio 1886) e ripreso ‘con emendazioni’ nel 1913 da Zanichelli nel vol. xiii delle
Opere, Bologna 1889-1919 (in venti volumi) e nel 1937, con lo stesso titolo e lo stesso marchio
editoriale, nel vol. xvi della ‘Edizione Nazionale delle Opere di Giosue Carducci’, Bologna
1937, pp. 1-51, nonché nell’edizione critica di ‘Alcune poesie di Ripano Eupilino’ a cura di
Dante Isella (Milano, Fondazione Pietro Bembo – Parma, Guanda, 2006, pp. 179-218), il Carducci
scrive: «Alcune poesie di Ripano Eupilino è un libretto in piccolo ottavo, pubblicato nel 1752.
L’onomastico locale ricorda a tutti il Bell’Eupili mio, cioè il laghetto di Pusiano su le cui rive
era nato un ventitre anni prima a’ 23 maggio del 1729, l’autore del Giorno: Ripano suona
anagramma di Parino, come il poeta è cognominato in una raccolta di versi del ’53 e in lettere
del ’54, e come è cognominato il padre di lui, messer Francesco Maria, nell’atto battesimale
del figliolo. Questo immascheramento di nomi, e la data della stampa da Londra “presso Giacomo
Tomson” (sic), quando il libro uscì in Milano dai torchi di Giovan Battista Bianchi, e l’assenza
d’ogni Imprimatur ecclesiastico e regio, sveglierebbe, ripensando i tempi, qualche sospetto di
contrabbando politico o religioso, se una dichiarazione non venisse nell’ultima facciata a
rassicurarci, che tutte le espressioni le quali possano in quei versi suonar male a orecchi delicati
devono recarsi alla libertà della poesia e non già ai sentimenti dell’autore, “che crede da buon
cattolico, e in ogni luogo e tempo vuol essere figliuolo ubbidiente della Santa Chiesa”» (Studi su
Giuseppe Parini. Il Parini minore nell’Edizione Nazionale, cit., xvi, pp. 3-4).
7 Giuseppe Parini, Tutte le opere edite ed inedite, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze,
Barbèra, 1925, p. 288. Per approfondimenti cfr. William Spaggiari, Parini e la scuola storica, in
L’amabil rito. Società e cultura nella Milano di Parini, a cura di Gennaro Barbarisi, Carlo
Descrizione bibliografica
Prima di presentare le schede descrittive dei cinque nuovi esemplari, si fornisce
qui di seguito una descrizione bibliografica generale dell’opuscolo pariniano
al fine di comprendere la struttura dell’oggetto editoriale, indicando, in forma
discorsiva, la collazione, la descrizione, nonché alcune note all’edizione12.
Quanto al formato, il volume è in 8°, cioè il foglio di risma è stato piegato
tre volte a formare 16 pagine. Le pagine sono in totale 130: le prime quattro e
le ultime due non sono numerate; le altre sono numerate in cifre romane tra
parentesi tonde poste al centro del margine bianco superiore (i-cxxiv).
A queste 130 pagine in quasi tutti gli esemplari finora studiati è stata inserita
tardivamente una carta numerata xx.ii-xx.iii con due sonetti (uno al recto, I’
Muojo, alfine, alfine o cruda Eumolpi, l’altro al verso, Lungo ‘l Sagrin mentre
i pastor le gote), che però non tiene conto delle parole guida da pagina a
pagina: il richiamo Pendi in calce a p. xx non trova, infatti, riscontro nell’incipit del sonetto successivo, ma solo in quello di p. xxi (Pendi mia cetra umil
53
Capra, Francesco Degrada, Fernando Mazzocca, Bologna, Cisalpino, 2000, pp. 693-727 (con
ampia bibliografia).
8 Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano, Stamperia
e Fonderia del Genio Tipografico, 1801, i, p. vi. Sul Reina cfr. Pietro Dettamanti, Francesco
Reina: un patriota cisalpino amico di Stendhal, in «Archivi di Lecco», 1990, n. 4, pp. 298-334.
Fondamentale resta, inoltre, lo studio di William Spaggiari, F. Reina editore del Parini (1998),
in William Spaggiari, L’eremita degli Appennini. Leopardi e altri studi di primo Ottocento,
Milano, Unicopli, 2000, pp. 133-172.
9 Cfr. Nicoletti, Parini, cit., p. 42, n. 10. Padre Francesco Antonio Zaccaria scriveva: «Di
quanto diverso Soggetto sono alcune Poesie di Ripano Eupilino colla data di Londra uscite in
Italia nel 1752!» (Storia letteraria d’Italia sotto la protezione del serenissimo Francesco III,
Duca di Modena ec. ec. Volume VI, Dal Marzo 1752 al Settembre 1752, vi, Modena, Per gli Eredi
di Bartolomeo Soliani, 1754, lib. i, cap. ii, p. 60); così pure le «Novelle della Repubblica
letteraria» di Venezia (per il dì 6 del 1753). Ringrazio William Spaggiari e Paolo Bartesaghi per
avermi gentilmente passato questa preziosa notizia.
10 Due esemplari, quello di Casa Carducci e quello di Lovere, sono citati in sbn.
11 Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico,
introduzione di Anna Bellio, presentazione di Giorgio Baroni, Edizione Nazionale delle opere
di Giuseppe Parini, Pisa-Roma, Serra, 2011, pp. 25-39. Gli esemplari della Biblioteca Nazionale
Braidense, della Biblioteca Comunale Centrale di Milano, della Biblioteca Trivulziana e della
Biblioteca Universitaria di Pisa sono citati in sbn; la Albonico cita in più i quattro esemplari
dell’Ambrosiana, l’esemplare della Biblioteca Comunale di Como e un esemplare, incompleto,
appartenente alla collezione privata di Giovanni Biancardi.
12 In questa descrizione bibliografica si è tenuto conto di Edoardo Barbieri, Guida al libro
antico. Conoscere e descrivere il libro tipografico. Premessa di Luigi Balsamo, Firenze,
Le Monnier Università, 2006, pp. 35-85.
Fogli 38/2017 Contributi / Marco Sampietro, ‘Nuovi’ esemplari a stampa della prima raccolta poetica del Parini
Non è questa la sede per disquisire sulla vexata quaestio del luogo di
stampa, visto che già a ridosso dell’uscita dell’opera circolava la notizia che
il volume fosse stato stampato ora a Lugano, come sosteneva nel 1801 Francesco
Reina, primo editore del Parini nonché suo primo biografo8, ora a Milano,
come riteneva, già nel 1754, il gesuita Francesco Antonio Zaccaria9.
Scopo del presente contributo è quello di descrivere cinque ‘nuovi’ esemplari a stampa10 di questa prima opera poetica del Parini, da aggiungere ai dieci
già presi in esame e studiati da Maria Cristina Albonico per la sua edizione
critica di Alcune poesie di Ripano Eupilino apparsa nella prestigiosa Edizione
Nazionale delle Opere di Giuseppe Parini (Pisa-Roma, Serra, 2011-), diretta da
Giorgio Baroni11.
da questo salce). Quando questa carta aggiunta si trova inserita tra la p. xx e la
p. xxi e quindi in modo sequenziale, si parla di variante a; quando invece la
carta si trova inserita tra la p. xxii e la p. xxiii, di variante b. A causa dell’inserimento della carta xx.ii-xx.iii, compare una brachetta tra la p. xxviii e la p.
xxix negli esemplari di variante a, mentre negli esemplari di variante b, la
brachetta sporge tra la p. xxvi e la p. xxvii13 .
Allo stato attuale degli studi, la variante b risulta essere più rara della
variante a: dei quindici esemplari finora reperiti, fatta eccezione per quello di
Harvard che manca della carta xx.ii-xx.iii, appartengono alla variante a ben
otto esemplari contro i sei della variante b. Nonostante l’inserimento di questa
carta e quindi di questa variante, ci troviamo comunque di fronte ad un
prodotto editoriale che è frutto di una sola edizione e di una sola emissione14.
Per quanto riguarda la fascicolatura, il volume risulta formato dalle
pagine liminari, quindi da otto fascicoli marcati da segnatura consistente in
una lettera maiuscola seguita da cifra araba15, inserita da ultimo la carta con
l’errata corrige. Tenendo conto dell’inserimento di una carta nel fascicolo b,
ora dopo b2 (variante a), ora dopo b3 (variante b), e conteggiando le carte non
numerate indicate con asterico tra quadre [*], la serie dei fascicoli risulta
essere la seguente: [*]3 a8 b9 c-g8 h6 [*]1.
Il carattere del testo è romano e corsivo. In calce ad ogni pagina sono segnate
le parole di rinvio.
Il frontespizio recita:
«alcune || poesie || di || ripano || eupilino. || [fregio: medaglione con il volto
di Cristo] || londra || [segno tipografico] || c i i cclii. || [linea di asterischi] ||
Presso Giacomo Tomson.»
13 Nel volume sono altresì presenti altre brachette, in particolare quelle che rispondono al
frontespizio e all’errata corrige, che variano da esemplare a esemplare.
14 Sul concetto di edizione e di emissione cfr. Barbieri, Guida al libro antico, cit., pp.
115-127.
15 a, a 2, a3, a 4 ; b, b2, [b3], b4 ; c, c2, c3, c4 ; d, d2, d3, d4 ; e, e2, e3, e4 ; f (molto sbiadita), f2, f3, [f4];
g, g2, g3, g4 ; h, h 2, h3 .Tra parentesi quadre sono indicate le segnature di fatto non stampate.
16 Essa recita: «Tutte l’espressioni, che a qualunque orecchio più delicato possano suonar
male, si attribuiscano alla libertà della Poesia sì Amorosa, che Satirica, Berniesca, o di qual
altra specie essa sia, non già a’ sentimenti dell’animo dell’Autore, che crede da buon Cattolico,
e in ogni luogo e tempo vuol essere Figliuolo ubbidiente della Santa Chiesa».
54
Per quanto riguarda infine le note all’edizione, si forniscono qui di seguito
notizie sulla partizione dell’opera: dopo il frontespizio [*1] r seguono l’introduzione A’ leggitori ([*2] r-[*3] v), la prima sezione senza titolo con cinquantaquattro sonetti (pp. i-lii, compresa la carta aggiunta), la seconda sezione
intitolata Poesie Piacevoli (pp. liii-lxxxxiii), Capitoli i (pp. lxxxxivlxxxxvii), ii (pp. lxxxxviii-cii), iii (pp. ciii-cvi), Pistola (cvii-cix), Egloga
pescatoria Licone (pp. cx-cxiv), Egloga pescatoria Sebeto (pp. cxv-cxviii),
Egloga pescatoria Nilalga, Alceo, Telgone (pp. cxix-cxxiv), l’errata corrige
finale ([*] r) e la celebre dichiarazione conclusiva dell’autore ([*] v)16.
Esemplare 2
Ubicazione: Harvard, University Houghton Library
Collocazione: *IC 7 P2183 752a.
Variante: manca la carta xx.ii-xx.iii
Misure: 20 x 12,5 cm (legatura 20,5 x 13 cm)
Legatura: legatura moderna marrone-verdastro marocco, con decorazioni
dorate sui bordi interni e risguardi marmorizzati. Non sono presenti carte di
guardia.
Note storiche: già di proprietà di Giovanni Puccinelli Sannini18, come risulta
dall’ex libris incollato sul risguardo marmorizzato del piatto anteriore19 , il
volumetto entrò a far parte del patrimonio librario della Harvard University
Houghton Library nel 195820 quando venne acquistato dal libraio antiquario
di Milano, Carlo Alberto Chiesa21, grazie al lascito di Amy Lowell di Brookline,
55
17 Si tratta de «I nuovi goliardi: periodico mensuale di storia, letteratura, arte», i, fasc. 1-2
(feb.-mar. 1877), Firenze, Tip. dell’arte della stampa, 1877. Una copia, donata con dedica «dei
cinque Goliardi» a G. Carducci, è conservata presso la Biblioteca Museo Archivio Casa Carducci, Bologna (collocazione: 5. a. V. 150).
18 Dovrebbe essere un collezionista e libraire a Roma tra il 1922 e il 1936 (cfr. Grand Palais.
Salon du livre ancien. Paris, du 27 au 29 avril 2012, Saint-Jean-Pied-de-Port, Librairie
ancienne Séverine Hervelin, 2012). Una sua lettera su carta intestata, datata 1934 e indirizzata a
Giuseppe Gentili, è conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Arc 21. 59/2). In
rete esistono diversi volumi che riportano il suo ex libris.
19 L’ex libris rappresenta un cane collarinato che rimanda all’arme araldica della famiglia dei
Puccinelli di Lucca (cfr. Giovanni Battista Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle
famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, ii, Sala Bolognese, Forni, 1986, p. 384). Il
cognome Puccinelli risulta essere il 14° cognome per frequenza a Lucca e provincia e il
cognome Sannini, assai meno numeroso di Sannino, si trova in Campania e a Roma (cfr. Enzo
Caffarelli-Carla Marcato, I cognomi d’Italia. Dizionario storico ed etimologico, ii, Milano,
Garzanti, 2008, pp. 1392, 1512).
20 Notizia gentilmente fornitami da Susan Halpert dell’Houghton Library Harvard University.
21 Libraio antiquario tra i più importanti del Novecento, Carlo Alberto Chiesa (1926-1998)
è stato per molti anni un punto di riferimento non solo per bibliofili e collezionisti, ma anche
Fogli 38/2017 Contributi / Marco Sampietro, ‘Nuovi’ esemplari a stampa della prima raccolta poetica del Parini
Esemplare 1
Ubicazione: Bologna, Biblioteca Museo Archivio Casa Carducci
Collocazione: 2. d. 294
Variante: b
Misure: 19,5 x 12,5 cm
Legatura: legatura in cartone. Sul dorso sono impressi i dati dell’edizione su
tassello rosso ma senza nessuna etichetta o timbro. Non sono presenti carte di
guardia.
Note storiche: l’esemplare proviene dalla biblioteca personale di Giosuè Carducci
che lo acquisì il 25 luglio 1865, come risulta da annotazioni manoscritte, in parte
carducciane, riportate sul risguardo incollato al piatto anteriore. In alto a sinistra è
indicata a penna la segnatura: «2.d.294». Un’altra mano ha scritto al centro:
«Sono queste le Rime / giovanili dell’ab. / Giuseppe Parini / divenuto poi celeberrimo». Segue una nota manoscritta di Carducci: «Vedi articolo di Severino
Ferrari / in I nuovi Goliardi (Firenze 1877) / pag. 51-61»17. In basso a destra altra
annotazione carducciana: «Bologna 25 luglio 1865 / cent. 20 leg. ag. 1882 cent.
20 / Giosue Carducci».
Sul frontespizio vi è in basso al centro un timbro rotondo con la scritta «Biblioteca Casa Carducci».
Su molte pagine segni (sottolineature), interventi a matita verosimilmente di
Carducci.
come risulta dalla etichetta incollata sul risguardo marmorizzato: «harvard
college / library / [stemma con il motto “veritas” ripetuto tre volte] /
purchased with the / income of / the bequest of / amy lowell / of Brookline».
L’esemplare, pesantemente rilegato, non conserva più le brachette originarie
all’interno dei singoli fascicoli e manca della carta aggiunta. Presenta qua e là
vicino ad alcuni versi delle linee tracciate a matita.
L’esemplare, pur essendo incompleto, è la versione riprodotta nella risorsa
elettronica a pagamento Eighteenth century collection online (consultabile nelle
biblioteche che vi sono abbonate) 22.
Esemplare 3
Ubicazione: Lovere (bg), Biblioteca dell’Accademia di belle arti Tadini
Collocazione: o.vii.12
Variante: a
Misure: 20,5 x 13 cm
Legatura: legatura probabilmente originale in cartone floscio. Sul dorso è evidente
l’ancoraggio dei fascicoli attraverso due corde. È presente solo una carta di guardia
tra il risguardo e il frontespizio.
Note storiche: il volume faceva parte della biblioteca del conte Luigi Tadini
(1745-1829), ma in precedenza era di proprietà della famiglia loverese dei Gaja23,
come risulta dalla doppia nota di possesso «Gaja» vergata a inchiostro bruno
sul frontespizio ai lati del medaglione con il volto di Cristo. Il volume in oggetto
è menzionato nei due cataloghi ottocenteschi della biblioteca Tadini e segnatamente nel Catalogo alfabetico nomenclativo degli Autori, opere dei quali
esistono nella Biblioteca Tadini 24 e nel Catalogo delle opere esistenti nella
Biblioteca Tadini25.
Sul dorso della coperta una mano settecentesca ha riportato in alto una scritta a
56
per gli storici del libro e i filologi più illustri. Cfr. Carlo Alberto Chiesa, ‘Un mestiere semplice’.
Ricordi di un libraio antiquario: per i novant’anni di Gianni Antonini, Milano, Officina
libraria, 2016.
22 Questa versione elettronica è consultabile nelle seguenti biblioteche svizzere: Ginevra,
Neuchâtel, Friburgo, Berna e Basilea (cfr. swissbib.ch). È possibile altresì consultarla, exempli
gratia, anche nelle seguenti biblioteche: Universitätsbibliothek Eichstätt - Zentralbibliothek
und Teilbibliotheken in Eichstätt (Sigel: 824); Universitätsbibliothek Bayreuth (Sigel: 703);
Landesbibliothek Coburg (Sigel: 70); Universitätsbibliothek Bamberg (Sigel: 473); Universitätsbibliothek Augsburg (Sigel: 384); Bibliothek der Ludwig-Maximilians-Universität München
(Sigel: 19); Bayerische Staatsbibliothek München (Sigel: 12); Universitätsbibliothek ErlangenNürnberg - Hauptbibliothek (Sigel: 29); Staatliche Bibliothek Regensburg (Sigel: 155);
Universitätsbibliothek Regensburg (Sigel: 355).
23 Sui De Gaja di Lovere cfr. Giovanni Conti, Cronologia di Lovere. Particolarità notabili e
sue vicende. Compilate ed accresciute da Conti Prete Giovanni nell’anno MDCCCXL dietro la
scorta degli antichi manoscritti del M.R. Sig. D. Rusticiano Barboglio fu già Parroco di Lovere,
a cura di Giovanni Silini e Vincenzo Mosca, [Clusone], Ferrari, 2002, p. 102. La famiglia
donò un bellissimo ostensorio d’argento alla chiesa di Lovere: cfr. Adriano Peroni, L’oreficeria
dei secoli XV e XVI, in Storia di Brescia, iii, Brescia, Morcelliana, 1964, p. 751, n. 2; Nel lume
del Rinascimento. Dipinti, sculture ed oggetti dalla Diocesi di Brescia, catalogo della mostra
(Brescia, Museo Diocesano), Brescia, Museo Diocesano, 1997, pp. 89-90.
24 Direzione dell’Accademia Tadini, registro senza segnatura, manoscritto, sec. xix, s.v. EU:
«(i il cognome, ed il nome dell’Autore) Eupilino Ripano, (ii il titolo dell’opera) Poesie, (iii il
luogo, ove è seguita l’Edizione) Londra, (iv l’anno dell’edizione) 1752, (v il nome, ed il cognome
dell’editore), manca, (vi la scansia ove trovasi l’Autore) 0 (vii la casella nella scansia) 6».
25 Direzione dell’Accademia Tadini, registro senza segnatura, manoscritto, sec. xix, s.v.
Poeti d’ogni genere. Poeti Seri a tutto il 1700 in più: «(i il cognome e nome dell’Autore)
Eupilino Rip., (ii il titolo dell’opera) Poesie, (iii il luogo, ove seguita l’edizione) Londra, (iv
l’anno dell’edizione ) 1752, (v il nome, ed il cognome dell’editore) Giac. Tomson, (vi la scansia
in cui trovasi l’opera) 0 (vii la casella nella scansia medesima) 6».
Esemplare 4
Ubicazione: Treviso, Libreria antiquaria Vanzella
Variante: b
Misure: 20,8 x 13,8 cm
Legatura: cartonato alla rustica con dorso in cuoio in parte avulso. È presente
solo una carta di guardia tra il risguardo e il frontespizio.
Note storiche: sul risguardo incollato al piatto anteriore è vergata a inchiostro
bruno una nota di possesso: «D. Duini» o «D. Puini», non altrimenti noto. Sul
frontespizio, a completamento del titolo, sono riportate le seguenti note a matita:
una mano, del sec. xx, ha scritto: «e traduzioni dal Greco e dal Latino»; un’altra
mano, sempre del sec. xx, ha scritto: «ossia Giuseppe Parini che sotto al suddetto
nome egli / pubblicò per / la prima volta un / tal lavoro / avendo 23 anni / V(edi)
tutto il volume 13° / delle opere di Carducci». L’esemplare è completo.
57
Esemplare 5
Ubicazione: Collezione privata milanese
Variante: b
Misure: 20 x 12,7 cm
Legatura: legatura originale in cartone floscio. Sui piatti è evidente l’ancoraggio
dei fascicoli. Non sono presenti carte di guardia.
Note storiche: l’esemplare appartiene alla collezione privata del bibliofilo
Giancarlo Valera che lo acquistò nel 2014 sul mercato antiquario. Sul risguardo
incollato al piatto posteriore è riportata a matita la collazione dell’esemplare:
«3cc, 124 pp, 1c / 1c tra le pp. 22/23 / [parini]». L’esemplare è in un buono stato
di conservazione.
Non vi sono timbri né alcuna postilla o annotazione.
Fogli 38/2017 Contributi / Marco Sampietro, ‘Nuovi’ esemplari a stampa della prima raccolta poetica del Parini
inchiostro: «Ripano / Eupilino»; in basso è incollata una etichetta otto-novecentesca con l’indicazione della precedente segnatura: «2162».
Sul recto del primo foglio di guardia è indicata a matita in alto a destra l’attuale
segnatura: «o vii 12».
L’ultima pagina reca in basso a destra in matita il numero dell’inventario: «n. inv.
2038».
L’esemplare è in un buono stato di conservazione.
Non vi sono timbri della biblioteca e non presenta alcuna postilla o annotazione.
Giova ricordare che presso la Biblioteca Tadini sono conservate altre due
edizioni delle opere del Parini e precisamente: Odi dell’abate Giuseppe Parini
già divolgate, Milano 1791, Nella Stamperia di Giuseppe Marelli, Con approvazione (collocazione: o.iii.1); i sei volumi delle Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano, Presso la Stamperia e Fonderia
del Genio Tipografico, 1801-1804 (collocazione: o.vii.13, 1-6).
Le Odi non presentano note di possesso, mentre l’edizione del Reina apparteneva
al Tadini come risulta dalla firma «Tadini» sulla coperta anteriore del quarto
volume.
Contributi
Mauro Jöhri
I Cappuccini fra storia
e nuove sfide
*
**
*
Fra Mauro Jöhri, di Bivio (Grigioni), dal 2006 è Ministro generale dell’Ordine dei Frati
minori cappuccini.
**
Si pubblica qui il testo della conferenza tenuta il 21 settembre 2016 da fra Mauro alla
Biblioteca Salita dei Frati nell’ambito dell’attività culturale sulla storia del francescanesimo.
1 Sono le sigle che contraddistinguono i tre Ordini francescani: ofm sta Ordo Fratrum
Minorum (sono i frati dell’Osservanza), ofmConv sta per Ordo Fratrum Minorum Conventualium, ofmCap sta per Ordo Fratrum Minorum Cappuccinorum.
58
In questo contributo intendo parlare brevemente del passato, del presente
e delle sfide cui l’Ordine dei Cappuccini è chiamato a far fronte in questo
preciso momento storico.
Il nostro fondatore è certamente San Francesco di Assisi. Noi siamo sorti
a due secoli di distanza, poco dopo il tentativo avvenuto sotto Papa Leone x
di unificare le varie correnti esistenti nel Francescanesimo, ancora agli inizi
del Cinquecento. Nel 1517 infatti venne promulgata una Bolla, dal titolo Ite
vos, che doveva segnare la riunificazione dell’Ordine sotto un solo Ministro
generale. Tale data segnò invece l’inizio della divisione definiva tra i frati
dell’Osservanza e i frati Conventuali. Noi Cappuccini siamo sorti pochi anni
dopo quella Bolla.
Prima di entrare nel merito, mi fa piacere ricordare un aneddoto di
qualche anno fa.
Papa Francesco venne per la prima volta ad Assisi il 4 ottobre del 2013 e,
incontrando i vari Ministri degli Ordini francescani presso la tomba di San
Francesco, esclamò: «Ma allora esiste anche un ecumenismo francescano?»
E poi aggiunse: «Rimanete uniti!». Oggi esiste una bella collaborazione tra i
tre Ordini (ofm, ofmConv, ofmCap)1 e stiamo lavorando per un avvicinamento progressivo.
Ma torniamo alla storia!
Otto anni dopo la Bolla di cui sopra, un frate osservante delle Marche,
frate Matteo da Bascio, lasciò il convento; semplificò il saio, dotandolo di un
cappuccio un po’ più grande di quello abituale, e si mise a percorrere le
borgate predicando alla gente sulle piazze. I suoi superiori si allarmarono e lo
fecero incarcerare. Intervenne a suo favore, presso Papa Clemente vii, la
59
2 I Camaldolesi sono una suddivisione dell’ordine benedettino, a sua volta distinta in
due congregazioni, una dedita alla vita eremitica, l’altra dedita alla vita cenobitica; prendono il
nome da Camaldoli, in provincia di Arezzo, nell’Appennino Tosco-romagnolo, dove il
ravennate Romualdo fondò intorno al 1012 dapprima un eremo poi, tre km. più a valle, un cenobio.
3 Fu il quarto della Provincia religiosa di Milano e il primo in territorio elvetico.
Fogli 38/2017 Contributi / Mauro Jöhri, I Cappuccini fra storia e nuove sfide
contessa di Camerino, Caterina Cybo, ottenendo che venisse scarcerato. Fu
allora che si unirono a lui i due fratelli Tenaglia, Ludovico e Raffaele, anche
loro marchigiani. Il loro ideale era quello di un ritorno stretto alla Regola di
San Francesco e scelsero, come luoghi di vita, degli eremi abbandonati.
Anch’essi vennero perseguitati dai loro superiori del tempo ed andarono per
questo a rifugiarsi dai Camaldolesi2.
Comunque, già nel 1528, su intervento sempre della contessa di Camerino, ottennero da Clemente vii la bolla Religionis zelus, che praticamente
sanciva la loro indipendenza dai frati dell’Osservanza. Si erano distinti in
particolare per la cura prestata agli appestati e agli incurabili in genere. Le
loro fila si infoltirono velocemente, e si moltiplicarono per questo anche gli
eremi da loro occupati. Non per nulla in un primo tempo li chiamarono ‘Frati
della vita eremitica’. Nel 1529 decisero di precisare il loro proposito di vita e
stesero quelle che conosciamo come Le Ordinazioni di Albacina. Volevano
vivere una vita ritirata e di penitenza. Le celle dove abitavano dovevano sembrare piuttosto dei sepolcri che luoghi di abitazione. Ci si preparava quotidianamente alla morte! Ludovico venne eletto quale Vicario del nuovo Ordine.
A Roma si distinsero in particolar modo nella cura degli appestati. Potevano
avvalersi dell’appoggio di un’altra influente signora di quel tempo, Vittoria
Colonna.
Prima di proseguire nella descrizione, ritengo opportuno soffermarmi
un momento a considerare il contesto in cui tutto ciò avvenne. Siamo nella
prima metà del Cinquecento, un secolo effervescente, ricco di colpi di scena e
segnato da un gran desiderio di rinnovamento. Pensate semplicemente a
Martin Lutero e alla Riforma Protestante!
Accanto ai Cappuccini stavano sorgendo altri Ordini di rilievo; mi
riferisco in particolare alla Compagnia di Gesù, cioè ai Gesuiti. I papi dell’epoca, in particolare Leone x e Clemente vii, entrambi della famiglia de’
Medici di Firenze, erano preoccupati più delle sorti della loro città che non
della riforma della Chiesa. Comunque fu proprio uno di loro a permettere
ai primi Cappuccini di diventare autonomi.
Nel 1535 – l’anno in cui fu fondato il convento del Bigorio3 – venne convocato a Roma il primo Capitolo generale. Ludovico da Fossombrone venne
sostituito da Bernardino d’Asti. Ludovico non gradì il fatto e lasciò l’Ordine.
L’anno seguente i frati si riunirono una seconda volta a Capitolo e stilarono
in poco tempo le prime Costituzioni dell’Ordine, un testo che rimase pressoché inalterato fino ai tempi del Concilio Vaticano ii.
Si stavano preparando tempi burrascosi!
In quegli anni entrò nell’Ordine frate Bernardino Ochino da Siena, un
brillante predicatore, conosciuto in tutta Italia. Nel 1542 venne eletto Ministro generale dell’Ordine al posto di Bernardino d’Asti. Essendo vicino idealmente alle correnti che anche in Italia proponevano con insistenza una
60
riforma della Chiesa, venne sospettato di eresia. Stava predicando nel nord e
lo citarono a Roma. Temendo di doversi sottoporre all’Inquisizione, con tutte
le conseguenze nefaste del caso, preferì prendere la strada del nord. Si recò a
Ginevra da Calvino e, in seguito, lo troviamo a Zurigo quale cappellano delle
famiglie locarnesi passate alla riforma.
Di fronte a questo fatto, il Papa del tempo, Paolo iii, era deciso a sospendere l’Ordine da poco sorto. Di fatto, i frati continuavano a distinguersi per la
loro cura disinteressata degli appestati, godendo della stima di molti. A Roma,
per altro, ci fu la figura di un frate questuante che tutti reputavano un santo,
frate Felice da Cantalice. Tutto ciò concorse al fatto che l’Ordine non venne
soppresso, ma gli venne comminata la proibizione di oltrepassare le Alpi.
Una trentina di anni più tardi, grazie all’intervento del Cardinale di Milano,
Carlo Borromeo, il divieto venne tolto e così l’Ordine poté espandersi velocemente in tutta Europa. Nel 1581 i frati arrivarono ad Altdorf. Nel Seicento,
grazie soprattutto all’opera di frate Lorenzo da Brindisi, aprirono un
convento a Praga.
Godevano della stima tanto dei nobili che delle frange più povere di quei
tempi. Non per nulla la Casa d’Austria volle che i membri della famiglia
imperiale venissero sepolti sotto il convento dei Cappuccini, in quella che è
conosciuta ancor oggi come la Kapuzinergruft.
Il Seicento, come pure il secolo seguente, vide la partenza dei frati per l’Africa, in particolare per le regioni attuali del Congo e dell’Angola, e poi anche
per il Tibet. Il clima e le malattie tropicali erano motivo di morte prematura,
ma questo non fu di impedimento all’invio di nuovi gruppi di frati.
Nel Settecento l’Ordine raggiunse la sua espansione numerica massima,
con oltre 37’000 membri. Lo stesso secolo segnò tuttavia anche la sua drastica
diminuzione, sia per il massiccio intervento dell’imperatore Giuseppe ii, sia,
sul finire del secolo, per la Rivoluzione francese e le numerose soppressioni di
conventi, che perdurarono fino agli inizi del Novecento.
Spesso i frati dovettero abbandonare i loro conventi e partire per paesi
lontani, come la Mesopotamia, dandosi da fare per riuscire a rendersi utili e
guadagnarsi di che vivere. Così in mezzo alle popolazioni di fede islamica si
industriarono anche a fare i medici, consentendo loro di sopravvivere.
Questo mi permette di far notare che l’Ordine non ha mai avuto un tipo
di opere che lo contraddistinguesse in particolare. Pensate ai Gesuiti con le
università, ai Salesiani con il lavoro giovanile, ai Camilliani con gli ospedali.
Sta di fatto che incontrando un bisogno urgente al quale nessuno faceva
fronte, i Cappuccini si misero pure a fondare Università; prova ne è l’università di Pasto in Colombia, una zona periferica ai confini con l’Ecuador.
Ciò che le varie soppressioni non riuscirono a fare, cioè ridurre considerevolmente la presenza dei frati cappuccini fino alla loro sparizione, oggi
praticamente sta avvenendo con il diffondersi della secolarizzazione.
Un profondo cambiamento di mentalità, il benessere e uno stile di vita
improntato al provvisorio, stanno minando le basi della vita consacrata alla
radice. Chi si sente ancora di impegnarsi per tutta una vita?
Si assiste ad una diminuzione senza precedenti del numero dei frati e delle
loro presenze in Europa. Anche la chiusura del Convento di Lugano è dovuta
Fogli 38/2017 Contributi / Mauro Jöhri, I Cappuccini fra storia e nuove sfide
a questo fatto. La mancanza di vocazioni sta portando a questo fenomeno che
tocca praticamente larghi settori sia della vita consacrata, sia dell’appartenenza alle Chiese, nei paesi dell’Europa e dell’America del nord. Oggi la sfida
consiste nel salvaguardare alcuni luoghi significativi in Europa, accettando
la scomparsa di molte strutture e presenze a cui altre faranno seguito. È
corretto segnalare, tuttavia, che la diminuzione è in progressivo rallentamento e che l’Ordine sta fiorendo in Asia, Africa e in America del Sud.
Oggi più della metà dei frati vive nell’emisfero sud del mondo. Ciò comporta inevitabilmente un cambiamento del volto stesso dell’Ordine. Il saio
rimane quello di sempre, ma lo si porta sempre meno. Stanno scomparendo
i conventi tradizionali, con la chiesetta povera e il chiostro. L’attività principale si concentra praticamente nel lavoro pastorale, come la cura delle parrocchie
e la predicazione. Non mancano presenze dedite alla promozione dei ceti meno
abbienti e opere di tipo sociale.
La sfida più grande consiste certamente nella trasmissione integrale di un
carisma consistente soprattutto in una disponibilità a tutto campo: frati
pronti a dare la loro vita per il Vangelo e per stare accanto all’appestato, prestandogli tutte le cure di cui era capace. Le nuove generazioni sono segnate dalle
comodità della vita di oggi e, pur essendo generose, non vorrebbero lasciarsi
sfuggire alcune delle tante comodità che la vita moderna offre. L’Ordine dei
Cappuccini – ma non solo noi, direi tutta la vita consacrata – è ad una svolta, alla
ricerca della sua identità, in contesti del tutto nuovi e, per il momento, è assai
difficile dire in quale direzione questa si svilupperà.
Per saperne di più
– Mariano D’Alatri, I Cappuccini. Storia d’una famiglia francescana,
Roma, Istituto Storico dei Cappuccini - Edizioni Collegio S. Lorenzo
da Brindisi, 1994.
– Giovanni Pozzi, Devota sobrietà. L’identità cappuccina e i suoi simboli,
Bologna, edb, 2015.
61
Contributi
Valeria Badasci
Innovazione e tradizione
nel Repertorio italiano-dialetti
pubblicato nella Svizzera
italiana
*
*
Lavoro eseguito nell’ambito del progetto di ricerca Svizzera italiana: storia linguistica di
un’espressione geografica (coordinatore: Lorenzo Tomasin, Università di Losanna), finanziato
dal Fondo Nazionale Svizzero, 10012_156355. Nello stesso ateneo Valeria Badasci ha conseguito
nel 2014 il Baccalauréat universitaire ès Lettres in italiano e storia dell’arte, e nello stesso anno ha
iniziato la Maîtrise universitaire ès Lettres in italiano, ciclo che concluderà entro il semestre
primaverile 2017.
1 www4.ti.ch/decs/dcsu/ac/cde/pubblicazioni/repertorio-italiano-dialetti
2 Repertorio italiano-dialetti, Bellinzona, Centro di dialettologia e di etnografia, 2013.
62
«L’opera si rivolge agli specialisti e agli appassionati di dialetto, a coloro che lo
parlano come a quelli che desiderano conoscerlo. Può essere consultata autonomamente o insieme al Lessico; le due pubblicazioni, affiancate l’una all’altra,
compongono una sorta di dizionario bilingue, con la particolarità che all’italiano, da una parte, corrispondono, dall’altra, tutte le varietà dialettali della
Svizzera italiana. Rispetto al Lessico esso permette di scoprire o ritrovare voci
sconosciute o dimenticate e offre una visione sinottica dei vari modi con cui si
nomina un oggetto o si esprime un concetto in vari dialetti»1. Sono le parole di
presentazione del Repertorio italiano-dialetti (rid)2, edito dal Centro di
dialettologia e di etnografia di Bellinzona. Si tratta di un’opera che per forma
e struttura rappresenta un’eccezione nel panorama dei vocabolari dialettali.
Il rid si inserisce, infatti, nella grande tradizione della lessicografia dialettale,
ampliandola e innovandola con un’impostazione decisamente originale.
La Svizzera, come i Paesi limitrofi, conosce nel corso dell’Ottocento un
forte interesse verso lo studio delle varietà linguistiche regionali; nascono
così, tra il xix e il xx secolo, vari dizionari, improntati a diverse concezioni
delle lingue locali e del loro rapporto con le grandi lingue di cultura.
In Italia, la realizzazione di vocabolari dialettali ha inizio già nel Settecento, quando almeno sette compilazioni importanti, che interessano quasi
tutte le regioni italiane, giungono a pubblicazione (Michele Del Bono, Dizionario siciliano italiano latino, 1751; Bartolommeo Pellizzari, Vocabolario
bresciano e toscano, 1759; Giuseppe Antonio Compagnoni, Raccolta di voci
romane e marchiane, 1768; Gasparo Patriarchi, Vocabolario veneziano e
padovano, 1775; Maurizio Pipino, Vocabolario piemontese, 1783; Michele
63
3 Manlio Cortelazzo, I dialetti e la dialettologia in Italia (fino al 1800), Tübingen, Gunter
Narr Verlag, 1980, p. 105.
4 Claudio Marazzini, L’ordine delle parole. Storia di vocabolari italiani, Bologna,
Il Mulino, 2009, p. 313.
5 Stampato dapprima a Lugano, dal 1952, in seguito a Bellinzona, dal1997.
6 Lessico dialettale della Svizzera italiana, Bellinzona, Centro di dialettologia e di
etnografia, 2004.
7 www4.ti.ch/decs/dcsu/ac/cde/collezioni/archivi-lessicali
Fogli 38/2017 Contributi / Valeria Badasci, Innovazione e tradizione nel Repertorio italiano-dialetti
Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino, 1785; Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano,
1789)3. Nel corso dell’Ottocento, però, i dizionari dialettali assumono un’altra
ambizione e importanza, grazie all’acuito interesse verso le lingue locali, il cui
studio si accompagna alla curiosità per le tradizioni popolari, per la cultura
orale, per canti e racconti. Il vocabolario dialettale diventa così anche lo strumento per meglio comprendere il materiale popolare, poetico e letterario4. Con
questo stesso spirito si sviluppano sia il Vocabolario dei dialetti della Svizzera
Italiana (vsi)5, sia i suoi ‘derivati’. Infatti, a causa del lungo periodo di gestazione richiesto per la compilazione del vsi, e vista la necessità di uno strumento
completo, si decise, verso la fine del secolo scorso, di dare avvio a un’opera che si
basasse sugli stessi materiali del vsi, ma che ne costituisse una versione ridotta,
facilmente consultabile e soprattutto pronta per le stampe in un tempo più
breve. Nacque così il Lessico dialettale della Svizzera italiana (lsi) 6.
A partire dal lsi è stato poi creato quello che si può considerare il suo
‘rovesciamento’ (per usare un termine già impiegato dalla lessicografia
italiana), almeno nella struttura: il rid. Quest’ultimo si sviluppa in seguito
all’elaborazione della versione informatica del lsi, avviata nel 2007. Vi convergono gli stessi materiali che sono alla base del progetto maggiore (vsi) ma,
in quanto prodotto successivo, esso accoglie sia le informazioni raccolte nel
lsi, sia quelle aggiunte allo schedario dopo il 2006. Questi materiali sono,
infatti, in continuo aumento e vengono costantemente rivisti, in modo tale da
arricchire l’Archivio Lessicale7. Questo, in gran parte cartaceo, è composto
dai materiali raccolti con l’inizio del progetto del vsi: si calcola che il numero
di schede sia complessivamente di 2 milioni e mezzo. Nuove informazioni,
costantemente inserite, concorrono ad accrescere e aggiornare l’archivio lessicale informatico, il quale contiene attualmente circa 300’500 schede.
Il rid consta di due volumi, annoverando pressappoco 24’000 lemmi
italiani, cui corrispondono all’incirca 103’000 termini e 35’000 locuzioni
vernacolari. Strutturalmente, si basa su entrate in italiano di cui vengono
offerte le relative traduzioni dialettali. La particolare attenzione prestata
ai modi di dire e ai giochi di parole, attraverso cui si valorizza l’elemento
folklorico legato al territorio e alle peculiarità della regione, unita alla descrizione onomasiologica offerta, concorrono a riunire in una stessa opera un
dizionario, un atlante linguistico e un repertorio etnografico.
Si tratta, come detto, di una novità: già nell’Ottocento si trovano elenchi
di voci italiane con la relativa traduzione dialettale, posti in appendice ad
alcuni vocabolari, come ad esempio quello presente nella seconda edizione del
dizionario veneziano di Giuseppe Boerio (1856) o quello del vocabolario
bolognese-italiano di Carolina Coronedi Berti (1869-1874). Il rid segue lo
8 Il tipo lessicale è la forma a cui vengono ricondotti i termini che condividono la stessa
origine, ma che possono presentare varianti fonetiche. Si tratta quindi di una forma tipizzata,
di un ‘termine tetto’, che presenta la realizzazione più diffusa, ma non l’unica variante fonetica
possibile.
9 Il lemmario è l’insieme delle voci, poste come entrate, di un dizionario.
10 Dafne Genasci, Il Repertorio italiano-dialetti (RID): genesi e struttura, in Dialetto
parlato, scritto, trasmesso, a cura di Gianna Marcato, Padova, Cleup, 2015, pp. 294-297.
11 Locuzioni e sintagmi non vengono formalmente distinti nel rid.
64
stesso principio, ampliando però il campo di indagine e quindi la mole, divenendo un lavoro a sé. L’opera è pensata come complementare al lsi (il quale,
proponendo la forma fonetica di ogni variante dialettale, è necessario per sapere
come si realizza un tipo lessicale8), ma essendosi sviluppata in modo diverso
rispetto al progetto iniziale di semplice indice, è andata distanziandosi, in corso
d’opera, dall’idea originaria, raggiungendo una sua autonomia.
Data la mancanza di un lemmario9 del lsi, uno dei problemi riscontrati
durante la redazione del rid consisteva nell’impossibilità di sapere quante e
quali sarebbero state le voci italiane poste come entrate lessicali. Per questo
motivo i dati del lsi sono stati trasferiti dapprima in un’applicazione informatica e in seguito in una tabella Excel. Questa operazione ha permesso di
comporre una lista di circa 165’000 definizioni italiane ordinate alfabeticamente, e delle corrispondenti monorematiche o polirematiche dialettali.
Con l’esportazione del risultato nell’applicazione informatica è stato dunque
possibile creare un lemmario di circa 23’000 parole italiane, che avrebbero
potuto quindi essere riorganizzate e riordinate direttamente on line.
L’operazione di lemmatizzazione ha interessato sia definizioni perifrastiche o sintagmatiche, che sono state ridotte a termine unico, sia voci dialettali ritenute particolarmente significative per una determinata realtà locale10.
Oltre ad alcuni regionalismi, sono state inserite, sotto un lemma italiano,
accezioni che non trovano riscontro nei dizionari. In entrambe le situazioni,
il significato particolare viene espresso fra parentesi, come ad esempio per
‘smungere’ (spremere le mammelle fino all’ultima goccia di latte), ‘sterzo’
(diradamento, sfoltimento di un bosco), ‘picchiotto’ (martelletto di legno
usato per sdiricciare o smallare).
La redazione del rid ha operato nell’ottica di disperdere la quantità minore
di materiale dialettale, ricorrendo anche a sintagmi italiani11 per la traduzione
di parole dialettali. Soltanto il 17% dei materiali estrapolati dal lsi non è stato
tradotto nel rid: si tratta di perifrasi che risultavano troppo vaghe, perlopiù
corrispondenti a denominazioni botaniche e zoologiche.
Le diverse accezioni che uno stesso lemma poteva avere erano state divise
già in fase di traduzione, ma alcune sfumature erano sfuggite: è stato necessario, dunque, distinguerle, a seconda del genere o della funzione grammaticale (questo è il caso di ‘mangiare’, che ha due accezioni, ‘cibarsi’ e ‘atto del
mangiare’, e che rinvia anche a ‘cibo’).
L’istituzione di un sistema di rimandi che raggruppasse sotto un solo
lemma i traducenti sinonimici è stata necessaria, poiché più redattori avevano
lavorato simultaneamente sulla traduzione dei dati per il rid giungendo a
risultati diversi per termini dialettali tra loro sinonimi: questo sistema permette
di evitare la ridondanza all’interno del vocabolario.
12 Per maggiori spiegazioni e esempi rimando all’articolo di Rosanna Zeli, La «Gotthardbahn» nella «Sonnenstube»: gli alemannismi nella vita quotidiana del Ticino di ieri e di
oggi, in Elementi stranieri nei dialetti italiani, Atti del xiv Convegno del c.s.d.i (Ivrea, 17-19
ottobre 1984), ii, Pisa, Pacini Editore, 1988, pp. 176-195.
13 Nicola Arigoni, Biglietti prego! In viaggio nella realtà dialettale attraverso il Repertorio
italiano-dialetti (RID) della Svizzera italiana, in Dialetto parlato, scritto, trasmesso, cit., p. 285.
65
svizzero svizzer
svizzero naturalizzato svizzer da carta ◊ svizzar cun / dala cúa
(Chiasso), svizzer da Cóm (Vaglio)
svizzero tedesco 1. tedésch 2. (persona nativa o abitante della Svizzera
tedesca) cabis; maiacráuti; tognín; züchín ◊ tèsta quadra ◊ patatócch (ArbedoCastione, Lumino); plófer (SopraC., Lug., Moes., Poschiavo); sciüsciavínerli
(Vaglio); slifer (Moleno); töden (circ. Tesserete); tóndar (Biasca); tötet (Malc.);
tubar (Posch.); túderli (Bell., SottoC.); zubrú (circ. Tesserete); zücöö (Gudo,
Bedigliora, Viganello, Riva S. Vitale) – pl. snizz (Airolo) ◊ crapa dólza (Ascona) 3. (dialetto svizzero tedesco) svizzer (Mendrisio).
Fogli 38/2017 Contributi / Valeria Badasci, Innovazione e tradizione nel Repertorio italiano-dialetti
L’ultima fase di redazione del rid è consistita nell’esportazione dei dati
dal supporto informatico a quello cartaceo.
Il risultato finale è dato dalla parola italiana, posta a lemma, cui corrispondono i traducenti dialettali, che si organizzano secondo quattro gruppi:
si hanno dunque, in sequenza, monorematiche generali, polirematiche
generali, monorematiche localizzate, polirematiche localizzate.
Il rid evidenzia la situazione dialettale della Svizzera italiana, bipartita
tra la regione settentrionale e quella meridionale, divise fisicamente dal Monte
Ceneri. Il contatto linguistico nelle due zone, dovuto sia all’influsso delle aree
italiane attigue, sia a quello delle regioni allofone della Svizzera, segue varie
fasi, legate a diversi momenti della storia elvetica. Le relazioni commerciali
della fine del secolo xii tra i cantoni germanofoni e l’attuale Svizzera italiana,
il periodo dei baliaggi e gli scambi in epoca più recente, sono all’origine del
riflesso linguistico consistente nella larga diffusione di voci alemanniche nei
dialetti del Ticino e delle valli italofone della Svizzera12.
Inoltre, il Repertorio consente un approccio onomasiologico particolarmente attento alla geografia linguistica13, grazie all’inserimento di 22 tavole
nomenclatorie, che riportano le varianti diatopiche di denominazioni di cibi,
attrezzi e soprannomi, e di 25 carte geolinguistiche, che mostrano la diffusione sul territorio di esiti particolari dei vari tipi lessicali designanti oggetti o
concetti (ad esempio ‘arcobaleno’, ‘caldarrosta’, ‘casa’, ‘coccinella’, ‘granoturco’, ‘lucertola’, ‘mirtillo’, ‘nebbia’, ‘nonna’, ‘panna’, ‘patata’, ‘talpa’).
Questa originale compilazione permette di apprezzare l’estro inventivo
popolare, particolarmente ampio e fantasioso, per esempio, nella definizione
di qualità negative: la trattazione di termini come ‘stupido’, ‘avaro’, ‘incapace’,
‘sempliciotto’, si estende su più colonne, invece parole come ‘intelligente’,
‘gentile’, ‘bello’ presentano un numero inferiore di traducenti. La ricchezza di
definizioni, basate anche su giochi di parole, si vede nei casi di soprannomi di
abitanti, sia di paesi della Svizzera italiana, come si può notare dall’elenco dei
Soprannomi degli abitanti di paesi, circoli e distretti della Svizzera italiana, sia
delle zone limitrofe (il carattere corsivo indica termini o locuzioni tipizzate):
italiano 1. italián ◊ d’in giü ◊ francés (circ. Tesserete, Mendrisio); lía
gerg.(VColla); resóngia gerg. (VColla, Sonvico) 2. (persona nativa o abitante
dell’Italia) badín; badóla; nápoli; terón ◊ badolígn (Biasca); bedüín (circ.
Tesserete); bògia (Lev.); cirle gerg. (VColla); códega (circ. Tesserete); códegh
(circ. Tesserete); codeghín (circ. Tesserete); copín (circ. Tesserete); falcín
(Medeglia, Malvaglia, Locarno, circ. Tesserete, gerg. VColla, Mendrisio); grill
(Bedigliora, Castaro); maiamá (circ. Tesserete); maiaramina (Tic.); nòlu
(Isone); piüma (Biasca); ramina (Lumino, SottoC.); saltaramina (Colla);
sciüsciagèra (Lugano); sciüsciamanübri (Vaglio); sciüsciaramina (SopraC.);
sullo (Biasca; SottoC.); tèra (Loc.) – pl. polénta e scigull (Brione Verz.) 3.
(lingua italiana) italián ◊ léngua bóna (Gudo, Intragna, Cimo, Balerna);
léngua giüsta (Minusio, Capolago, Cabbio).
Da un’analisi incrociata tra vsi, rid e il primo volume del lsi risulta evidente la
volontà dei redattori di garantire la fruibilità del rid anche ai non addetti ai
lavori. Come per le altre opere edite dal Centro di dialettologia e di etnografia,
lo scopo principale di questo lavoro è quello della preservazione della memoria. Nella Presentazione al lsi, infatti, Dante Isella aveva messo in evidenza
come una realtà, di cui la parola si fa portavoce, già alla fine del Novecento
poteva considerarsi in via d’estinzione14 :
Ma quale patrimonio, le parole dei nostri dialetti! […] Parole in cui ciascuno può
ritrovare la vita di chi le ha usate in passato; su su, di generazione in generazione,
fino ai padri dei nostri padri, i quali continuano a vivere in noi anche in virtù di
esse; così che quando qualcuna ne cade è come se di colpo si disattivasse una
sinapsi della nostra memoria collettiva e una piccola parte di noi si estinguesse
per sempre.
L’importanza di mantenere una memoria culturale che sta svanendo è testimoniata anche dalla citazione incipitaria del rid:
In verità, s’as pénza e quist’istòria,
a s’a da dir ch l’è dégna da memòria15.
66
In linea con questo principio, grazie alla forma che i redattori hanno voluto
dare al rid, al suo lemmario da un lato e alla sua organizzazione interna
dall’altro, esso risulta essere un utile strumento linguistico per gli studiosi,
nonché un’opera capace di suscitare l’interesse dei non specialisti e un’importante attestazione di realtà locali16.
Già nella Prefazione al vsi del 1952, Silvio Sganzini definiva l’opera:
14 Dante Isella, Presentazione di LSI, cit., I, p. 10. Il passo è stato ripreso ultimamente
da Felice Milani, Dal “Lessico dialettale” al “Repertorio italiano-dialetti”, «Il Cantonetto», 68
(2016), pp. 59-65, a p. 63.
15 Giacomo Maurizio, La Stria ossia i stinqual da l’amur: tragicomedia nazionale bargaiota,
Bergamo, Tipografia fratelli Bolis, 1875, p. 167. Traduzione: ‘In verità, se si pensa a questa
storia / c’è da dire che è degna di memoria’.
16 Così Arigoni, Biglietti prego! cit., p. 291.
Le tre opere lessicografiche rispecchiano proprio questo principio, permettendo l’approccio non solo alle parlate locali, ma anche alla cultura, alle
tradizioni e alla letteratura in dialetto, e fornendo un valido aiuto nell’analisi
dei testi della tradizione della Svizzera italiana.
Fogli 38/2017 Contributi / Valeria Badasci, Innovazione e tradizione nel Repertorio italiano-dialetti
Nata dal popolo e per il popolo, di cui si propone di illustrare la vita nelle sue
espressioni del passato e di oggi, essa è piuttosto manifestazione collettiva:
autore, più che collaboratore per quanto importante ed anzi necessario, ne è il
popolo stesso.
67
Contributi
Giancarlo Reggi
Postilla a “Filologia classica
nella Svizzera italiana
dal 1852 ad oggi”
*
*
(«Fogli», 37, 2016, pp. 30-65).
68
Nella rassegna pubblicata nel 2016 sono incorso in una svista; quando me ne
sono reso conto era troppo tardi per rimediare. Ho omesso i titoli di Richard
John Howden Matthews, alumnus dell’Università di Auckland, in Nuova
Zelanda. Matthews dal 1972 risiede nel Canton Ticino, dove è stato per più
di trent’anni insegnante di inglese al Liceo di Lugano 1; inoltre, per qualche
anno, ha insegnato anche latino e greco al Liceo di Mendrisio. Dunque le
sue pubblicazioni rientrano a pieno titolo in una rassegna sugli studi di filologia
classica prodotti nella Svizzera italiana, anche se sono uscite tutte in Oceania e Australia, donde l’autore proviene. Inoltre, occorre ricordare la tesi dottorale On the Epitaphios Adonidos, or, Lament for Adonis (Diss. Bern 1991),
che non è segnalata da «L’année philologique» perché è rimasta in forma di
Hochschulschrift, di pro manuscripto, ma è reperibile in alcune biblioteche
(in Svizzera a Berna, Friburgo, Basilea e Zurigo). Sull’argomento sono però
usciti, intorno a quell’anno, due articoli sulla rivista australiana «Antichthon». Questi lavori e due recensioni (a Bionis Smyrnaei Adonidis epitaphium,
a cura di Marco Fantuzzi, Leeds, Cairns, 1985, in «Classical Review», n.s.
38, 1988, pp. 217-219, e a Bion of Smyrna, The Fragments and the Adonis,
a cura di Joseph D. Reed, Cambridge - New York, Cambridge University
Press, 1997, sempre in «Classical Review», n.s. 48, 1998, pp. 13-15) fanno di
Matthews l’unico filologo residente nella Svizzera italiana che si sia occupato
di poesia bucolica greca. I suoi studi precedenti sono d’altro ambito, etnografico e patristico, e sono stati pubblicati in «Prudentia», rivista dell’Università
di Auckland. Infine, occorre citare una monografia sulla fortuna dell’antico
nella poesia neozelandese, pubblicata a Dunedin nel 1985.
Approfitto di questa necessaria postilla per aggiungere uno studio
recente che mi era totalmente ignoto, opera di un giovane italianista ticinese,
Joël F. Vaucher-de-la-Croix ; interessa la fortuna della poesia satirica di
Aulo Persio Flacco fra Sette e Ottocento.
Fogli 38/2017 Contributi / Giancarlo Reggi, Postilla a “Filologia classica nella Svizzera italiana dal 1852 ad oggi”
Bibliografia
Richiamo i criteri con cui è allestita la bibliografia. Essa comprende tutti i
titoli di filologia classica, lingua e letteratura greca, lingua e letteratura
latina, escluse le recensioni. Inoltre, i titoli di studi di storia antica fondati
essenzialmente su fonti letterarie o epigrafiche, i titoli di filologia neotestamentaria e patristica se citati ne «L’année philologique», nonché i titoli che
riguardino esplicitamente la fortuna dell’antico. I riferimenti sono in ordine
alfabetico per autore e, internamente, in ordine di data. I titoli citati ne «L’année
philologique» sono preceduti da un asterisco (*).
– *Matthews Richard J.H., Romans and Germans, «Prudentia», 3 (1971),
pp. 110-117.
– *Matthews Richard J.H., A Linguistic Commentary on the NiceoConstantinopolitan Creed, «Prudentia», 14 (1982), pp. 23-37.
– *Matthews Richard J.H., A Commentary on Canon XXVIII on the Council
of Chalcedon, «Prudentia», 16 (1984), pp. 109-120.
– *Matthews Richard J.H., New Zealand Poetry Based on Greek and Latin
Models, Dunedin, University of Otago, 1985.
– *Matthews Richard J.H., The Lament for Adonis. Questions of Authorship,
«Antichthon», 24 (1990), pp. 32-52.
– *Matthews Richard J.H., A Sylloge of Minor Bucolic, «Antichthon», 28
(1994), pp. 25-51.
– Vaucher-de-la-Croix Joël, Le “Satire di Persio” tradotte da Vincenzo
Monti, edizione critica e commento, Firenze, Società Editrice Fiorentina,
2015 («Quaderni Aldo Palazzeschi»).
69
Per Giovanni Pozzi
Alessandro Martini
Giovanni Pozzi a Plinio Martini:
«tu sei, bestemmiando, dalla parte
di zia Domenica». Lo sviluppo
di un racconto e la sua ultima svolta
*
**
*
Alessandro Martini è professore emerito di letteratura italiana all’Università di Friburgo
(Svizzera).
**
Ringrazio di cuore Pia Gianella per aver messo a mia disposizione le lettere di mio padre
a sua sorella Giulia, utili anche a questo contributo, Maurilia Minoli e mia figlia Valeria per altre
attenzioni che lo hanno favorito.
1 Sui vari titoli immaginati per il romanzo da Martini si veda Matteo Ferrari, Genesi di un
titolo: «Il fondo del sacco» di Plinio Martini, in Variante et Variété. Actes du VIe Dies Romanicus
70
Giovanni Pozzi, ancora Paolo Pozzi, conobbe Plinio Martini durante le vacanze estive trascorse con la famiglia a Cavergno. Erano coetanei ed ebbero modo
di gareggiare da chierichetti nella sagrestia della chiesa parrocchiale per il
maneggio del turibolo, ossia per assumere il compito di provvedere a una buona
combustione dell’incenso e persino a qualche incensamento, in occasione
dei rosari quotidiani seguiti da benedizione o dei più solenni vespri domenicali.
Fu Pozzi stesso a ricordare la circostanza cominciando la sua presentazione
del Requiem per zia Domenica alla Biblioteca cantonale di Lugano, il 5
maggio 1977 (ma non ne resta traccia nella resa scritta). Ai tempi di Cavergno
in quella gara era normale che l’indigeno avesse la meglio sul foresto, ma,
aggiunse Pozzi, venendo al proposito, «oggi il turibolo ce l’ho in mano io».
Exemplum minimo, non privo di una sua moralità e ben rappresentativo di
chi l’ha raccontato. Chi l’ha conosciuto di persona vi riconoscerà il carattere
tanto generoso quanto combattivo del Maestro.
Il rapporto adulto e fecondo tra i due si stabilì molti anni dopo, quando io,
figlio primogenito di Plinio Martini, nell’autunno del 1966 cominciai a studiare
lettere all’università di Friburgo ed ebbi in Giovanni Pozzi il docente della mia
materia principale, sotto la cui direzione feci la tesi e di cui poi fui assistente.
Fui infatti diretto e indiretto tramite di quei contatti, quando e in che modi
precisamente non ricordo, ma di quel che ne è nato parlano diversi documenti
in mio possesso. Manca purtroppo il primo, relativo all’elaborazione del Fondo
del sacco, che mio padre avviò alla fine del 1965 e concluse, in quella che però
finì per essere soltanto la prima delle varie redazioni dell’opera, nell’estate del
1967, intitolata Addio, monti1 . Padre Pozzi ne lesse una redazione dattiloscritta
sicuramente più avanzata. Quale delle molte che oggi Matteo Ferrari sta
71
Turicensis, Zurich, 24-25 juin 2011, a cura di Cristina Albizu, Hans-Jörg Döhla, Lorenzo
Filipponio, Marie-Florence Sguaitamatti, Harald Völker, Vera Ziswiler e Reto Zöllner, Pisa,
ets, 2013, pp. 177-188.
2 Sandro Bianconi, L’italiano lingua popolare. La comunicazione scritta e parlata dei
“senza lettere” nella Svizzera italiana dal Cinquecento al Novecento, Firenze, Accademia della
Crusca; Bellinzona, Casagrande, 2013.
3 Si veda l’attenta ricostruzione di questo rapporto da parte di Matteo Ferrari, Plinio
Martini - Enrico Filippini: storia di un incontro impossibile, «Archivio storico ticinese», 152
(2012), pp. 277-299.
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
studiando in vista di un’edizione critica, è meno facile dire. Ricordo che a Pozzi
piacque il titolo che il libro allora aveva, una volta accantonato quello manzoniano: Gesù Maria, con riferimento a una iscrizione bavonese resa appunto
celebre da Plinio Martini. Anche questo titolo fu accantonato, certo perché era
difficile coglierne l’intonazione, a meno di dare la riproduzione fotografica
dell’iscrizione, alla quale pure l’autore aveva pensato (e come avviene ai
nostri giorni nella copertina di un importante libro di Sandro Bianconi, dove
sta a indicare l’antica realtà di una pratica in lingua troppo a lungo
dimenticata)2. Dapprima, nel novembre del ’67, il titolo manzoniano è cambiato
in GIESV MARIA, forma più aderente all’iscrizione, poi in quella di Gesummaria,
attestata in una redazione conclusa dalla data 14 febbraio 1968, mentre una del
1° giugno 1969 porta il titolo definitivo. È dunque probabile che Pozzi leggesse
un testo fornitogli dopo il febbraio del ’68 (gradito il titolo, avvertì infatti di
abbandonarne il non lombardo raddoppiamento fonosintattico) e che entro
quell’anno ne scrivesse all’autore (e, se la memoria non mi inganna, gli restituisse
anche il dattiloscritto con qualche annotazione). La lettera è persa. Ricordo
per lo meno che in quella Pozzi suggeriva di soprassedere alla pubblicazione,
riflettendo e rivedendo. Il suggerimento e più le puntuali osservazioni, non so
se espressi prima o dopo la sentenza negativa sul libro emessa da Enrico Filippini
nel maggio del ’68, contribuirono certo, forse più di quel viscerale diniego,
a una proficua revisione del testo che ancora non aveva trovato editore, Mondadori essendosi dichiarato non interessato già nell’ottobre del 1967 e l’accesso
a Feltrinelli, via quell’autorevole consulente, essendosi chiuso dopo troppo lunga
attesa, appunto nel maggio del ’683. La ricerca di un editore italiano, che,
vedremo, anche Pozzi riteneva di primaria importanza, non diede il risultato
sperato. Il fondo del sacco fu finalmente pubblicato a Bellinzona da Casagrande,
nel settembre del 1970.
Tra le prime copie inviate in omaggio dall’autore sta quella a p. Pozzi, che
ringraziò Martini da Friburgo già il 25 di quel mese, senza avere il tempo di
rileggere il libro a stampa, ma ribadendo, per nostra fortuna, due linee essenziali
di quel primo parere (lett. 2). La prima tocca una possibile diversa impostazione
della materia. A mio ricordo si trattava della prima persona del narratoreprotagonista, che risolta nella terza a Pozzi sarebbe risultata meno compromessa con la grande tradizione memorialistica novecentesca (quella che fa capo
alla Recherche di Proust: questo il nome illustre avanzato). La seconda tocca
la scelta dell’«area culturale entro cui agire», ossia riguarda, beninteso, la scelta
dell’editore e ribadisce una persuasione profonda dello studioso, che certo
la riteneva «opinabile» ma che sempre opinò nel senso affermato in termini
perentori: «nulla merita di essere fatto a livello esclusivamente ticinese».
Mio padre provvide in seguito, ma abbastanza presto, alla revisione, anzi in
parte riscrittura, del romanzo per la seconda edizione (finita di stampare il 5
maggio 1973), obbedendo a sue nuove esigenze e a sollecitazioni di altri lettori4.
L’influsso del primo parere di Pozzi, ricostruibile solo per sommi capi,
sull’elaborazione del Fondo del sacco è difficile da misurare e quello sulla
revisione in occasione della seconda edizione è, direi, da escludere, Pozzi
essendosi a suo tempo espresso su elementi non più in discussione. Le carte di
casa permettono invece di accertare l’impatto che ebbe la sua lettura del
Requiem per zia Domenica sull’ultima elaborazione del libro. Ma per valutarne meglio la portata, è bene risalire alle origini e allo sviluppo di quel racconto,
più complessi di quanto risulti da una pur ricca e attenta bibliografia in merito5.
Il 15 marzo del 1973, dunque appena terminata la revisione del Fondo del
sacco, Martini riceve la proposta dell’editore Armando Dadò, rivolta a lui
oltre che a Piero Bianconi, Giovanni Bonalumi, Giorgio e Giovanni Orelli, di
stendere «20/30 pagine dattiloscritte ognuno» per il 30 marzo 1974. Ne
verranno i «cinque racconti di paese» dei cinque autori contattati, ciascuno
seguito da fotografie di Alberto Flammer a quelli intonate, raccolti sotto il
titolo bianconiano di Pane e coltello e pubblicati soltanto alla fine del 1975.
Fra di essi stanno I funerali di zia Domenica: 18 pagine su due colonne a
stampa, corrispondenti a un dattiloscritto di 24/25 cartelle, che ha a sua volta
una sua storia. Fu consegnato poco dopo la scadenza fissata, probabilmente
in aprile, come vedremo più avanti, ma (lo si sa e lo si vedrà qui, spero, anche
meglio) è subito sottoposto a nuovi sviluppi, lungo più di un anno, fino ad
assumere la dimensione di un romanzo. L’avvio della scrittura è dell’inizio del
1974. Il 20 febbraio mio padre mi aveva infatti inviato a Friburgo una Descrizione di Sonlerto di 9 cartelle, che inizia «Nella grande cucina di zia Domenica» (incipit rimasto inalterato in tutte le versioni):
4 Matteo Ferrari, «Il fondo del sacco» tra prima e seconda edizione. Ragioni e modi di una
revisione, «Versants», 60, 2 (2013), pp. 19-28.
5 Mi riferisco a due pregevoli lavori rimasti inediti: Dionisia Maggini, Dai «Funerali» al
«Requiem» di Plinio Martini. Lavoro personale svolto per l’ottenimento della patente di scuola
maggiore: ciclo di studi 1978-1980, Biasca, luglio 1980 (consultabile alla Biblioteca Salita dei
Frati di Lugano e al Centro di Documentazione del Dipartimento Formazione e Apprendimento
di Locarno) e Ilario Domenighetti, Metamorfosi di uno stile. Saggio sull’opera di Plinio
Martini «Requiem per zia Domenica». Mémoire de licence présenté à la Faculté de Lettres,
Université de Genève, août 1980. La Maggini, attraverso un confronto metodologicamente
esemplare delle due redazioni a stampa, già dà un’idea precisa della crescita per digressioni
dell’opera. Ai risultati della sua analisi questo mio contributo non fa che aggiungere la
dimensione cronologica e fornire le motivazioni esterne di alcune importanti modificazioni.
Il primo lavoro su Martini di Domenighetti contiene una vera e propria edizione critica del
testo, svolta tenendo conto di tre testimoni dattiloscritti dell’opera, su cui tornerò. La parte
bio-bibliografica del mémoire, rielaborata, è confluita nella monografia dello stesso Domenighetti, Plinio Martini. I giorni. Le opere, Lugano, Edizioni Cenobio, 1987; l’edizione critica
nonché il saggio sul romanzo hanno sorretto l’edizione commentata dello stesso studioso:
Requiem per zia Domenica, Locarno, Dadò, 2003, edizione alla quale rinvio in questo studio.
72
Caro Sandro,
fammi sapere se si può continuare così, se si può leggere.
Ciao, grazie
papà
Non mi devi rimandare la copia.
Giovanna lo aspettava fuori, a pochi passi dal cancello, e si misero da parte a
lasciar passare gli altri.
– Mi piacerebbe proprio sapere cosa ti è saltato in mente!
– Non essere così amaro, ti prego. Se tu sapessi cosa vuol dire la carità di un
collegio di suore convinte che devono salvarti l’anima... E insieme alla mia,
la tua, Marco. Oh, Marco, non parliamone adesso, ti prego. Eravamo ragazzi
indifesi.
– Non ti commuovere troppo, ci guardano. Dopotutto ci siamo ancora, e c’è
questo bel sole... – La prese per un braccio incamminandosi verso la chiesa: era
tremante ma non rigida, e gli parve di sentire lo stesso profumo che l’aveva
6 Così ancora in I funerali di zia Domenica, in Piero Bianconi, Giovanni Bonalumi, Plinio
Martini, Giorgio Orelli e Giovanni Orelli, Pane e coltello. Cinque racconti di paese, Locarno,
Dadò, 1975, p. 79, e non più nel passo corrispondente in Requiem, p. 87.
7 Nella redazione definitiva del Requiem a p. 105.
73
a.
Il 19 marzo 1974 Martini firma e così data un dattiloscritto di 24 cartelle dal
titolo Sonlerto, arricchito da ampie citazioni in nota di testi devozionali come
Il Giovane Provveduto di don Bosco, La Giovane Cristiana, la Filotea dei
Defunti, del «lunario» Il Pescatore di Chiaravalle, quasi a prova o ad appoggio
di quanto affermava nel testo. Il racconto primo (la messa) e il racconto
secondo (gli amori contrastati dei due giovani intrecciati a quelli altrettanto
impicciati dei due adulti Maria e Giacomo) sono portati a termine. Il racconto
primo finisce con una pagina di conversazione tra Marco e Giovanna fuori del
cimitero.
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
Oggi posso dirmi contento di avergli risposto presto, il 23, se pur in un
linguaggio da neodottore poco adatto a una lettera familiare, che mi piaceva
«il periodare complesso, ad ampio respiro, prospettico, allontanantesi dal
modello dialettale a semplice giustapposizione di elementi», ma ero perplesso
di fronte all’«eterea Giovanna, pur in tanto nerore d’occhi, perfezione d’archi
e paurose dolcezze. Immagino che per te la figura sia essenziale e irrinunciabile, ma se deve restare deve epifanizzarsi in tutt’altro modo». E si epifanizzava,
noto adesso, all’avviarsi del corteo funebre, con il viso non «mortificato
dal velo monacale»6. L’avventura fra i due giovani non era ancora raccontata in
quelle pagine, che giungevano fino alla rilettura campestre del passero di
Catullo da parte di Marco7, ma la punizione per quella infrazione (il collegio
dalle suore) aveva conseguenze ben più gravi di quelle che conosciamo:
monacazione e smonacamento (in quelle prime pagine non esplicitati, ma
impliciti nella nota sulla mancanza del velo).
Dopo questo inizio il lavoro ferve. Lo posso seguire grazie a quattro
diverse stesure a macchina del racconto, complete, datate, firmate e conservate in casa, che chiamerò a, b, c e d. La consuetudine di datare e firmare, già
ben attestata per alcune redazioni del Fondo, è ovviamente molto preziosa per
lo studio dei testi, non tanto per stabilire una successione che con qualche
attenzione si imporrebbe in ogni modo, ma per fissarla nel tempo e per renderci
attenti a un fatto di qualche rilievo: quelle che per noi sono tappe del lavoro,
sono state agli occhi dell’autore veri e propri traguardi.
incantato a Sonlerto. Ne fu stupidamente (pensò) ma irresistibilmente commosso. Quasi senza volerlo gli uscì di bocca: sono vent’anni che ti aspetto; e in
questo momento era vero.
– Non sarei venuta, non mi avessero detto che eri separato dalla moglie. No,
forse non è vero, avevo paura... “On peut quelquefois retrouver un être, mais non
abolir le temps”.
– Proust, credo.
– L’ho trovata ieri sera per caso, e ho capito che la mia paura aveva quella
motivazione. – Sorrise. – I sonniferi che avevo una volta erano peggiori di Proust.
Si fermarono di nuovo senza motivo; nel camposanto un gruppetto di persone
stava ancora avviandosi all’uscita; accanto alla fossa erano rimasti i due becchini
e pochi ragazzi a guardare riempirla con frettolose palate. Il padre di Marco,
solo, sul cancello, accese una sigaretta e si fermò a raddrizzare un piolo di legno
che avrebbe dovuto indirizzare la crescita di un alberello.
È l’unica menzione di Proust caduta sotto la penna di Martini, sicuramente
sbirciata nella Recherche, edizione economica Folio, che allora io stavo
percorrendo per la prima volta8. Marco l’intellettuale riconosce l’autore e
Giovanna pesantemente commenta, entrambi voci dell’autore ideale.
Ricordo questi dettagli perché nella lettera di risposta a p. Pozzi (lett. 4), a
dimostrare che su quell’«ultima travagliatissima pagina» rimessa in causa dallo
studioso, aveva già lavorato in levare, mio padre si riferirà a questo dialogo,
che caratterizza quella che è per lui la «seconda redazione» (mentre, a stare
alle carte di casa, direi proprio trattarsi della prima).
Giovanna lo aspettava fuori, a pochi passi dal cancello, e la prese per il braccio,
tremante ma non rigida, per scostarla dagli altri e indirizzarla verso una scaletta
di pietra che portava alla campagna soprastante. Si fermarono, lei si lasciò
guardare senza dir nulla; era diversa di come la ricordava, il volto teso e dimagrito, gli occhi più pensosi, forse più bella; poi si voltarono entrambi a guardare il
camposanto che era ormai vuoto: l’ultimo gruppetto di persone stava avviandosi
all’uscita, lasciando alle spalle quattro ragazzi intorno ai becchini che riempivano la fossa con palate frettolose. Il padre di Marco, solo, fu sul cancello, oltrepas8 Disperso oramai l’economico Folio, rinvio all’edizione allora di referenza: Marcel
Proust, À la recherche du temps perdu, édition établie et présentée par Pierre Clarac et André
Ferré, Paris, Gallimard, 1973 (19541), ii, p. 883 (Sodome et Gomorrhe ii).
9 Già in a p. 10, poi in Requiem, p. 105.
74
b.
Il 10 aprile 1974 Martini firma e così data un dattiloscritto della stessa misura
del precedente ma che porta il titolo Due cose sole al mondo (allusione e
citazione a memoria dell’a sua volta proverbiale «Due cose belle ha il mondo /
amore e morte» del Consalvo leopardiano, ben rispondente ai «sospiri per
Silvie e Nerine inesistenti» che il giovane Marco trae nella solitaria estate di
Sonlerto9 e, certo, ai due temi portanti del racconto). Le citazioni dai manuali
devozionali e popolari sono trasferite a testo. Alla fine Giovanna continua ad
aspettare Marco fuori del cimitero, ma i due se ne stanno zitti a guardare quel
che avviene attorno alla fossa nel nuovo finale che, pur con qualche ritocco,
sostanzialmente resisterà sino alla lettura di Pozzi:
Scompare la conversazione satura di nuove aspettative, ma un passo prima,
ancora in chiesa, dopo il Benedictus, con il girare della cassa «in modo che zia
Domenica, o chi la guardava o la portava, chissà, avessero ancora l’illusione di
un ultimo volontario procedere verso l’attesa resurrezione dei corpi» nasce la
rappresentazione di quello «splendido terribile giorno», ossia una delle pagine
più memorabili del libro e meglio messe in luce da Pozzi nella sua analisi10.
c.
Il 19 aprile 1974 (sono passati solo nove giorni) Martini torna a firmare quella
che è essenzialmente la messa in pulito della precedente versione, sempre con
il titolo Due cose sole al mondo, sempre di 24 cartelle, con pochissimi interventi a penna, a correggere quattro refusi. Il paragrafo finale non muta, se non
nella rinuncia all’inerte «a pochi passi dal cancello» (occupato più avanti dal
padre) e all’inutile tramite della «scaletta di pietra».
d.
Il 24 aprile 1974 (cinque giorni dopo) un dattiloscritto di 25 cartelle (una in
più) non si discosta molto dal precedente (ne è in gran parte la fotocopia),
ma si intitola Funerali di zia Domenica (senza articolo) e soprattutto al verso
dei fogli dattiloscritti porta varie sostanziali aggiunte manoscritte, non
comprese nella stampa degli stessi Funerali, probabilmente consegnati all’editore poco prima di questo intervento amplificante. Infatti, a prescindere dalle
aggiunte e da interventi vari a penna, il testo dattiloscritto è esattamente quello
che si legge in Pane e coltello11. Sulle bozze di quella stampa, conservate,
l’autore si limiterà a correggere i refusi, astenendosi dall’aggiornare un racconto
a quel punto (se la pubblicazione di Pane e coltello, ricordiamo, è della fine
dell’anno successivo) più che triplicato nella sua mole, fattosi ormai romanzo
e romanzo concluso, distinto dal racconto almeno a partire da questo 24 aprile.
Sono molto occupato perché, oltre alla scuola, vorrei poter finire al più presto un
nuovo racconto, la cui prima stesura è ormai terminata, con il titolo (provvisorio) di “Requiem per zia Domenica”. Con l’aiuto di eccellenti critici come Isella,
Dionisotti e Pozzi, spero questa volta di poter apparire in Italia. Ma per l’edizione in lingua tedesca, se Lei vorrà interessarsene, non mi rivolgerò ad altri.
È la prima attestazione del titolo definitivo. Pozzi sappiamo in che termini si
era espresso sul Fondo del sacco, fra i primi, il 25 ottobre 1970, e certo ne parlò
10 In b p. 23, corrispondente a Requiem, pp. 197-201.
11 Dunque anche privo del gesto simbolico del padre (un «richiamo alla vita» ben illustrato
nella lett. 4), resistente sino a c e tolto su suggerimento di Vincenzo Snider (che ha dubbi anche
sul titolo leopardiano), come risulta da alcuni appunti («Vincenzo su “Due cose sole”») in un
«Quaderno Ufficiale - Cantone Ticino» di colore grigio, fitto anche di altri preziosi appunti.
75
Il 19 ottobre 1974 Martini ringrazia il suo editore zurighese Werner Classen,
che gli ha inviato le prime copie della traduzione tedesca del Fondo, e aggiunge:
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
sando il quale si fermò per accendere una sigaretta; poi lo videro chinarsi e
raddrizzare il piolo di legno cui era legata la crescita di un giovane noce.
12 Ringrazio Silvia Isella di questa conferma.
13 La lettera è pubblicata da Ottavio Besomi, Dante Isella e il Ticino, «Archivio storico
ticinese», 143 (2008), pp. 67-94 (a 93-94). In base al timbro postale Besomi deduce che possa
trattarsi del 5.9.1970. In realtà l’anno è di lettura incerta e non può trattarsi del 1970, in quanto
le prime copie del libro (benché questo risulti stampato il 10 agosto) giungono in mano
all’autore soltanto il 10 settembre. Si tratterà del 5 settembre 1972, poiché il timbro postale non
consente di pronunciarsi per il 1971, in tempo comunque perché le indicazioni di Isella
(«Dovessimo incontrarci, potrei forse indicarLe poche pagine che, a mio giudizio, sono meno
valide, ma basterà accennare ai dialoghi dell’avvocato e a certa America un po’ di maniera»)
possano avere avuto un influsso sulla seconda edizione, come ipotizza Besomi.
14 L’ho resa nota nel mio contributo Dionisotti e i moderni, attraverso la Svizzera, in Carlo
Dionisotti. Geografia e storia di uno studioso, a cura di Edoardo Fumagalli, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2001, pp. 135-49 (a p. 139).
15 Domenighetti, Metamorfosi di uno stile, pp. 73-76 (descrizione dei testimoni). Vi accenna
più brevemente nella nota al testo di Requiem, pp. 35-36.
76
a colleghi e amici. Isella, fra questi uno dei primi, ricevuto il libro in prima
edizione, che sta ancora nella sua biblioteca12, un 5 settembre scrive anche a
Martini in termini lusinghieri, e generosamente aggiunge: «Non so che cosa
si potrà farne in Italia: voglio dire che non so se sia possibile trovargli un
editore intelligente disposto a farlo uscire dalla Svizzera. Ne parlerò, per quel
che io conto in quel settore, agli amici della Mondadori. Se ci sarà qualcosa
da dirLe, mi rifarò vivo»13. Dionisotti scrive pure una commovente lettera di
ringraziamento per aver ricevuto il libro, presumibilmente in seconda
edizione (maggio 1973), l’8 ottobre 197314 , ma non si pronuncia sull’aspetto
editoriale. Le speranze di Martini di pubblicare il nuovo libro in Italia erano
fondate sulle parole di Isella e sul rapporto stabilito con Pozzi. Ed entrambi,
si vedrà, si mossero in quel senso.
Posso dedurre a che punto fosse il Requiem al momento in cui Martini
ne parla a Werner Classen dalla versione dattiloscritta di 74 cartelle che tre
settimane dopo firma e data 10 novembre 1974, con interventi a penna, non
conservata nella sua interezza in casa, ma sì presso una persona amica (Agnese
Dalessi) e primo di tre testimoni (denominato a) dell’edizione critica preparata da Ilario Domenighetti15. È certamente la versione che Plinio Martini fece
avere in quel novembre a Giulia Gianella, docente di italiano al Liceo di
Bellinzona, già allieva di Pozzi e amica mia. Ne ebbe il primo dicembre un
dettagliatissimo parere, che pone, a non dir altro, l’Ite missa est («La messa
era finita», inizio del decimo e ultimo tratto del libro) a p. 71, ossia a tre pagine
dalla fine di quella versione. È la lettura che provoca il maggiore sconvolgimento del testo, prima e più radicalmente, e soprattutto minutamente, di quel
che faccia l’ultima scossa, più netta e più breve, dovuta al parere di Pozzi nel
maggio successivo. Se il testimone a in casa sussiste solo a spezzoni e a fogli
sparsi, ciò è dovuto quasi certamente al fatto che l’autore vi ha rimesso le
mani dopo aver ricevuto la lettera della Gianella. Una lettera in due parti: una
di considerazioni generali, l’altra di minuti rinvii alle pagine del testo con
relativi commenti di tipo linguistico, stilistico, narratologico e ideologico.
Se ne potrà parlare in altra sede, valutandone i minuti effetti sulle pagine del
Requiem. Riguardo alla sostanza, di cui qui solo intendo trattare, anche
perché è il piano ideologico sul quale si incontrano e scontrano tutti gli interlocutori (la Gianella, p. Pozzi e soprattutto Martini nelle sue risposte), l’acuta
quanto pungente studiosa scrive:
16 Requiem, pp. 87-92 (cartelle 22-35 di b e c).
77
Il 5 dicembre, Martini ringrazia, accettando pressoché tutte le minute osservazioni (una quarantina), anche perché rispondenti, dice, «a dubbi che già
tenevo dentro di me», ma difendendo la commistione tra stilnovismo e carnalità, criticata fino all’irrisione dalla Gianella. «Ciò che mi turba di più è
l’osservazione che fai a proposito dell’intelligenza delle suore». La Gianella a sua
volta ribadisce il 9 dicembre: «Mantengo le mie obiezioni al convento: per me
basterebbe il collegio». L’autore, sappiamo, se ne è pure persuaso, togliendo
quanto di romantico e persino di gotico (e nel suo caso di forzatamente manzoniano) la mossa narrativa suggeriva, non senza sentire l’esigenza di un compenso.
Alla tardiva resipiscenza (la smonacazione) fece corrispondere, nello stesso
tratto del racconto (l’inizio del terzo), una precoce rivolta da parte della ragazza
in collegio, contro il fervore del suo amico reduce dagli esercizi spirituali
appena seguiti nel suo, di collegio, ossia inserì quel dialogo sul «trenino valfondese», dove (memore dell’accusa rivoltagli dalla Gianella, che si muta dunque
in suggerimento) fa dire a Giovanna furente: «perché non vai anche tu a farti frate?»16.
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
si direbbe proprio che tu hai una mania punitiva nei confronti delle gentilissime
che diciamo «cedono». La Maddalena l’hai fatta morire (sì, anche per altre ragioni,
ma insomma) e questa la mandi a far la dura espiazione fra le suore (espiazione è
parola tua). Sai, la Giovanna, così tranquillamente spudorata, non mi pare il tipo
da farsi rincretinire da una superiora qualsiasi e neppure mi risulta che nel xx
secolo le suorette siano use a rimpolparsi le file attirando nell’ordine tutte le
«gentilissime» che si son fatte beccare in flagrante con il loro ragazzo. Dio buono,
lo sanno anche le suore che quando una comincia, se non lo decide lei è un bel
rischio pretendere che smetta. Sono più oculate di quanto si pensi, le suore. Quindi
a me l’intreccio appare poco probabile per quel poco che si dice del personaggio
e per i possibili rimandi extratestuali.
Ne deduco che la Giovanna è spedita in convento non dai suoi genitori, non dalle
suore, ma proprio per esigenze interne del Plinio Martini. Il quale del resto si
guarda bene dal far andare a frate Marco. Eh, no, queste esigenze il Plinio Martini
non le sente… Bisogna che la fanciulla sia punita da un’inesorabile forza (la Morte,
la società) senza che il protagonista ne sappia nulla (aveva avuto la fortuna di non
averla mai vista vestita da suora) e poi la pianga morta o sia lì a plaudire quando
«riacquista se stessa alla libertà»… Ce ne vorranno di concilii e di benedizioni
e di sinodi per cambiare le cose, caro mio.
Ti immagino abbastanza furibondo e quindi mi affretto subito a dirti che sono
stata faziosamente femminista per divertirmi un po’ (il Sandro capirebbe), anche
se poi non sarei affatto disposta a ritrattare proprio tutto.
Bene ora sono stanca di battere a macchina e mi pare di averti dimostrato se non
altro che ho letto coscienziosamente il tuo racconto e che un pochino ci ho pensato
su. Quanto al valore di queste mie divagazioni tieni presente che la botte dà il vino
che ha e il mio, specialmente se istigata, volta subito in aceto. Il tuo racconto nel
complesso mi è piaciuto molto, ma non ti darò la soddisfazione di tesserne le lodi.
Saluta tutti lì a Cavergno e, se ce ne sono ancora, specialmente le zie Domeniche.
Erano donne tutte sbagliate, ma uno sente l’impulso di render loro omaggio.
Siamo migliori noi post cristiani, post freudiani, post marxisti e post tutto quello
che non sia grana e merce?
E con questi eletti sentimenti ti saluto e sono / la Giulia
La revisione porta alla redazione datata 3 marzo 1975, di 87 cartelle, 13 in
più rispetto a quella letta dalla Gianella, ossia al testimone b dell’edizione
critica di Domenighetti. Io lo possiedo soltanto nell’esemplare controfirmato
e ridatato 20 maggio 1975, che palesemente porta al testimone c, suggellato
da questa sola ultima data, che caratterizza anche la stampa. Ora va detto che
quel 20 maggio è anche la data in cui Martini è raggiunto dalle osservazioni
di un ultimo autorevolissimo lettore del manoscritto: Giovanni Pozzi. Il quale,
il 19 maggio, il giorno prima di quel sigillo, dopo aver letto il libro nella
redazione b, ne dà una sintesi degna della lucidità e della determinazione delle
sue migliori pagine (lett. 3). Vide subito l’essenziale di quanto avrebbe più
distesamente ragionato in sede di presentazione e che in seguito avrebbe elaborato (non ribadito: la critica che ribadisce gli era invisa), estendendo il discorso
all’assieme della narrativa di Martini; lo fissò in parole di cui l’autore andò
fierissimo, ricopiandole a vari corrispondenti, fra i quali l’editore Werner
Classen (il 30 settembre) e l’editore italiano nella persona di Rodolfo Molo
(il 25 gennaio 1976), ai quali suggerì di citarle, con il consenso dell’autore,
per favorire la diffusione del libro:
In mezzo a tanti libri noiosi, eccone uno che sa divertire. Dico divertire nel senso
serio della parola; avvince, per la passione e il calore con cui son viste cose tanto
grandi quanto la vita e la morte, il di qua e l’aldilà. Lì non c’è astio, ma collera;
non sufficienza, ma dubbio doloroso; non odio, ma amore. È il più bel libro ch’io
conosca sulla crisi di un certo cattolicesimo, del nostro cattolicesimo. […] Qui
[nella figura di zia Domenica] sei scrittore quali pochi ne ha la narrativa italiana
di oggi; e lì, in quel mostro, c’è tutto il tuo amore e il tuo rancore. Zia Domenica
è Cavergno tutta intera; e tu sei, bestemmiando, dalla parte di zia Domenica.
ah, sì? Le lettere di San Paolo? Le Confessioni di Sant’Agostino? Uffa! Ne aveva
fin sopra i capelli, lei, e dei preti e della loro morale ipocrita e delle suore di
Königshofen che avevano in cura l’educazione sua e di cento altre disgraziate
come lei. Vederle, le suore, in cappella, ricamare le modulazioni graziose del
Salve Regina, le mani in orazione con gli occhi in su, tanti angeli rapiti in estasi,
e poi uscire umilmente in fila una dopo l’altra in ordine di anzianità, con gli
occhi in giù…
Con quel che segue a p. 24, in crescendo di furore, sino al «perché non vai
anche tu a farti frate», ma non di sostanza17. Nel passo, a dir vero, il lettore
attuale e non teologo ravvisa difficilmente l’empietà. Il risentito indiretto
libero di Giovanna è contro le magagne suorili, la loro doppia morale, sfiora
17 Corrisponde a Requiem, pp. 90-92.
78
Tra l’uno e l’altro altissimo riconoscimento, Pozzi tornò a puntare l’occhio
critico, se non il dito inquisitore, come il contesto suggerisce, su Giovanna,
e proprio sull’ultima sua mutazione: sull’allieva ribelle delle suore. «Le
dichiarazioni volterrianamente empie di Giovanna a p. 23 investono il personaggio di una funzione allegorica che travisa lo stato profondo del sentimento
tuo verso la crisi ideologica». Ecco quanto, in merito, Pozzi leggeva a p. 23
della versione che aveva sotto gli occhi:
Di un’altra minima rinuncia è spia nella lettera quella «desiderabile strisciola
bianca e basta», alla quale l’autore sin troppo facilmente riduce la sua protagonista a seguito della barocca ironia di Pozzi («un nastro bianco, povera Venere
da fienile»), dettata da un preciso dettaglio del testo che gli era stato sottoposto, là dove Giovanna sale la scaletta del fienile e Marco distoglie «lo sguardo
dal nastro bianco, secondo la promessa fatta». Punto sul vivo, c’è da credere
quattro giorni prima, sempre in quel decisivo 20 maggio, aveva espunto dal
testo il nastro bianco19. Accetta persino l’idea che sarebbe meglio togliere del
tutto Giovanna dal racconto primo, ossia di non farla apparire al funerale, ma,
18 In b e c, p. 82, corrispondente a Requiem, p. 193.
19 In b e c, p. 54, corrispondente a Requiem, p. 144.
79
Marco ora sapeva che Giacomo si era poi confidato con un amico: stai vent’anni
in un ranch a sognare la ragazza che hai lasciato in paese, e quando torni trovi
l’asse degli gnocchi e la dentiera18.
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
appena i loro supporti dottrinali. Si capisce come il suo autore, nella risposta
del 24 maggio (lett. 4) la difendesse e ne rigettasse la qualifica di volteriana (in
questa occasione e poi anche a seguito della presentazione del libro da parte
di Pozzi, l’anno successivo). Rimase invece persuaso che quella stessa «Giovanna libera pensatrice incontrata sulla porta del cimitero» diventava «la liberazione del libero pensiero dalle catene della bigotta zia Domenica» e che come
tale stonava nel suo Requiem, al punto che, con mossa che sentiamo matura
e felice, provvide a comporre un nuovo finale, già molto ridotto rispetto a quella
che chiama «seconda stesura» (per così dire proustiana) e che «ora» ha «cambiato del tutto», rinunciando all’incontro di Marco e Giovanna all’uscita dal
cimitero, negli esatti termini che trascrive nella lettera e che andranno a stampa
(salvo la lieve variante segnalata in nota). Concretamente sbarrò a penna blu le
otto righe del finale (immutate sin dai Funerali congedati per la stampa) e,
riinserendo il foglio nella macchina da scrivere, le sostituì con le otto righe
ricopiate anche nella risposta a Pozzi, dove Giovanna si riduce alla sua mano
senza epiteti, la mano che compie il gesto rituale della sua gente, e del testo
primitivo non rimangono che i «quattro ragazzi» a guardare «i becchini
riempire con energiche palate la fossa di zia Domenica». L’unico e nuovo epiteto
(le «energiche palate») è breve compenso alla grande ma felice rinuncia; se
quello non era il luogo opportuno per esaltare la vita, lo fosse almeno di un
congedo definitivo da quella morta. Ed è nell’assieme una nuova prova di
quello sguardo cinematografico di cui l’autore si mostra consapevole e del quale
lo stesso Pozzi lo gratificò in morte.
Martini rinuncia quindi a proporre come risolta sul piano narrativo
quella che Pozzi chiama «la crisi di un certo cattolicesimo» vissuta da Marco.
Rinuncia poi all’impietoso commento di Giacomo dopo il suo incontro con
Maria (la «bella facezia» nei termini di Pozzi). Tra la rampogna di zia Domenica («ecco, te l’avevo detto che non dovevi farti illusioni!») e la triste fine
di zia Maria («povero automa ricaricato a chiavetta per tre giorni di vita») si
leggeva in b (sbarrato a penna blu con lo stesso tratto del finale, e ancora si
legge in c, cassato, ma non senza un ultimo debole tentativo di recupero):
Siamo in una situazione tutt’altro che semplice, che magari ti illusterò a voce,
e di cui mi è testimone il comune amico Dante Isella. Cercheremo di considerare
globalmente il tuo lavoro, anche tenendo conto del libro precedente. Spero di
non dover far passare, questa volta, troppo tempo.
Passò un semestre e riscrisse il 9 dicembre che «in altri tempi avremmo potuto
decidere liberamente e rapidamente la pubblicazione del tuo libro, e con
piena convinzione», ma che nella situazione, fattasi ora «strana» non v’è spiraglio di riuscita.
Nel frattempo Stefano Jacini, per la sua casa editrice, mi ha chiesto di leggere il
tuo testo e io non ho esitato a mandarglielo. Gli è piaciuto come mi aspettavo
80
essendo mutamento più strutturale, non se la sente di operarlo, perché stanco
e bisognoso di liberarsi dal libro «per qualche mese almeno». I due (tre con
il «nastro bianco») mutamenti sono iscritti (con altri fitti interventi a pressoché
ogni pagina, ma di carattere meno ideologico e comunque non immediatamente riconducibili ai pareri di Pozzi) nella versione dattiloscritta di 87 pagine
che porta sull’ultima pagina la firma e la data cassate «Cavergno, 3 marzo
1975» (come nel testimone b dell’edizione critica Domenighetti) ma anche, dopo
il mutato finale, la firma e la data «Cavergno, 20 maggio 1975», che sola sta
nel testimone c e nella stampa.
La data del 20 maggio tuttavia segna quella importante decisione ed
esecuzione, non il ne varietur del libro: fra le carte di casa proprio il testimone
c, dove l’intervento sul finale non è più percepibile in pagina ma integrato
nel testo, è portatore di non poche nuove correzioni e varianti a penna (per
esempio l’accennato tentativo di salvare la battuta di Giacomo) e di cui varie
pagine sono state ribattute a macchina. Eppure quest’ultima versione, che ha
certo richiesto giornate intere di lavoro, ribadisce la data «Cavergno, 20
maggio 1975», a quel punto certamente superata. Il bisogno di sospendere il
lavoro «per qualche mese almeno», manifestato nella lettera del 24 maggio,
è stato soddisfatto e il lavoro è stato ripreso in un’ultima fase, più tranquilla per
quanto minuziosa, e probabilmente molto più breve, ma come si trattasse
di rifiniture a edificio ormai concluso.
Nell’urgenza del confronto con Pozzi, come anche in altre occasioni simili,
colpisce il fatto che Martini non difenda il libro ma la propria posizione
ideologica. Lo dice esplicitamente: non parla «in difesa del racconto o di Giovanna» ma stende «una confessione da amico scettico e deluso ad amico
credente», salvo poi il ritorno al racconto e a Giovanna in quanto portatrice di
quell’ideologia. Il discorso su quella che per lui è «l’involuzione paolina
della Chiesa» è quello che da lui ci si aspetta e non è qui il caso di dilungarvisi.
Pozzi afferma (lett. 3) di aver scritto a Sereni per promuovere il Requiem
in Italia. Martini gli risponde (lett. 4) di averlo nel frattempo conosciuto a Lugano
(non saprei dire in che occasione) e di aver fatto subito amicizia con lui.
Difatti pochi giorni dopo, il 29 maggio, gli invia il dattiloscritto, accompagnato da una bella lettera. Sereni risponde il 12 giugno, su carta intestata della
Mondadori:
Nel frattempo in effetti Jacini aveva sottoposto un contratto a Martini,
datato 5 dicembre, e faceva spedire a Cavergno le bozze del libro il 12 marzo
1976. Nel giugno il Requiem era a stampa. Ricevutolo dall’editore, p. Giovanni ne scrisse a Plinio il 3 luglio (lett. 5), già reagendo contro chi nel libro
leggeva soprattutto la nostalgia del passato (nel caso la segnalazione di Paolo
Milano sull’ «Espresso» del 27 giugno, ma rimase l’interpretazione prevalente
in Italia) per insistere sul fatto che si trattasse di «un libro sul presente».
La lunga attesa aveva fatto sì che il romanzo apparisse prima nella traduzione tedesca, dovuta a Trude Fein, sempre presso l’editore Werner Classen di
Zurigo, nel novembre del 1975, prima dell’originale italiano presso il Formichiere e addirittura prima, se pur di pochi giorni, della sua forma breve presso
Dadò. Vi fu una presentazione del libro da parte di Dante Isella a Milano,
a una data che non riesco a recuperare20 e vi fu poi quella di p. Pozzi alla biblioteca cantonale di Lugano, il 5 maggio 1977, che per il suo taglio sottilmente
apologetico, ottenuto tramite rovesciamento di ogni più immediata reazione
di lettura, suscitò la meraviglia (madre, si sa, del sapere) dello stesso autore,
per non dire d’altri21. Fu stampata il 7 luglio in «Cooperazione»; in questa forma,
devo credere poco tempo dopo, comunque sempre in quel mese, Martini la
rimeditò, dando atto della sua soddisfazione, ma soprattutto di un disaccordo
che non poteva sottacere: non aveva inteso ordire il trionfo di zia Domenica:
«Io non la pensavo così, e, malgrado l’acutezza delle tue argomentazioni, non
riesco ancora a crederlo oggi» (lett. 6). La sua polemica politica e sociale,
indistinguibile per lui da quella religiosa, messa in second’ordine da Pozzi22,
con un giudizio che la mia rilettura odierna non può che condividere, faceva
parte irrinunciabile del messaggio che l’autore voleva trasmettere. Sono certamente le ultime distese pagine che Martini ebbe modo di scrivere, la lettera
più lunga, a mia conoscenza, da lui mai scritta. Ebbe ancora modo di ribadire
le sue persuasioni in un paio di memorabili interviste e di scrivere qualche
81
20 Recupero invece un preciso ricordo di Martini del discorso che vi tenne Isella e lo
trascrivo nelle note alla lett. 6.
21 Una sorpresa espresse anche Dionisotti, in risposta alla lettera in cui p. Pozzi il 16 ottobre
1977 gli annunciava un miglioramento della salute della sorella, che già aveva tenuto la famiglia
«in grande angoscia», e la malattia di mio padre: «è stato operato di tumore al cervello e sta
riprendendo, ma sono cose queste disperate»: «Che dire del papà di Martini? Quell’articolo che
lei mi aveva mandato a Romagnano mi aveva riproposto il romanzo in figura diversa da come
lo ricordavo, e mi propongo di riguardarlo» (7.11.77); in Carlo Dionisotti – Giovanni Pozzi,
Una degna amicizia, buona per entrambi. Carteggio 1957-1997, a cura di Ottavio Besomi,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, pp. 202-203.
22 «Non c’è dubbio che la preminenza in questo settore ideologico-simbolico vada
riconosciuta all’elemento religioso. Ci sono indubbiamente dei dati che non si riducono alla
religione. Fatti politico-sociali, come l’evocazione di certi aspetti della vita contadina; la sua
dispersione, sotto il sopravvento di un mondo industriale; lo sfruttamento del contadino da
parte del ceto borghese; la diversità di classe dell’intellettuale; il decadimento dell’ambiente
in seguito alla spinta della civiltà di massa; l’idiozia di un certo mondo politico appartenente
a un determinato partito. Sono dati che non si inseriscono nella viva circolazione del racconto
come invece vi si inseriscono gli altri, che ho genericamente indicato come religiosi» (Giovanni
Pozzi, Per il «Requiem» di Plinio Martini, «Cooperazione», 7 luglio 1977, pp. 5-6, poi «Humanitas», 37, 1, febbraio 1981, pp. 79-89, la citazione a p. 83).
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
e ha chiesto di pubblicarlo. Dico subito che ti conviene : il «Formichiere» svolge
un’azione utile rispetto alla produzione più recente, di giovani o poco noti.
23 Plinio Martini, Corona dei Cristiani, Locarno, Dadò, 1996.
24 Giovanni Pozzi, Postface a Martini, Requiem pour tante Domenica. Traduction et notes
de Christian Viredaz, Lausanne, Éditions de l’Aire, 1987, pp. 151-62.
25 Giovanni Pozzi, Tempi cristiani nei romanzi di Martini, in Plinio Martini. Dieci anni dopo.
Testi di Plinio Martini, Alessandro Martini, Giovanni Pozzi, Ilario Domenighetti, Francesco
Guardiani. Disegni di Fra Roberto del Convento di Santa Maria del Bigorio, Lugano, Edizioni
Cenobio, 1989, pp. 23-31 (la citazione a p. 23). Memore dei molti anni friburghesi per lui appena
conclusi, in cui la mia famiglia aveva avuto una certa qual parte, il saggio di Pozzi è dedicato
«a Olivia oggi Martini / riandando a memorie diverse / ugualmente care». Non senza significato il fatto che citi il testo del Fondo del sacco rinviando alle pagine della prima edizione (1970).
82
commovente messaggio di congedo, ma la malattia, dichiaratasi a fine agosto,
con l’operazione al cervello del 31 agosto al Kantonspital di Zurigo, la successiva diagnosi, la caduta dal letto d’ospedale che comportò una lunga degenza
in stato comatoso e poi una semiparalisi, non gli permisero, nonostante ogni
sforzo, di riprendere il lavoro nei due anni di vita che gli rimasero. Anche il
libro postumo da me pubblicato appartiene al fervore creativo che il Requiem
e la sua crescita manifestano e protraggono ancora per un paio d’anni oltre
la data cardine del 20 maggio 197523.
Padre Giovanni accompagnò il calvario di Plinio con i vari messaggi che
qui rendo noti: dopo l’operazione, il 4 settembre 1977, esprimendo «il desiderio profondo di vederti superare il difficile passaggio nel tuo cammino esistenziale così poderoso e sicuro» (lett. 7), augurando un buon rientro a casa il 28
settembre (lett. 8) e poi il buon Natale 1978 (lett. 9) e infine con una cartolina
che vuole associare l’amico all’evolversi della mia situazione universitaria
il 15 gennaio 1979 (lett. 10). Plinio Martini morì nel suo letto il 6 agosto 1979,
a 56 anni appena compiuti. Nel diario culturale radiofonico (rsi) di quel
giorno Pozzi, sollecitato in merito, lo ricordò brevemente ma a tutto tondo,
per la sua forza linguistica e narrativa («con un’impaginazione così mossa
da far pensare qualche volta ai montaggi del cinema»), caratterizzando il suo
racconto come «esemplare», in quanto radicato nella moralità e nella religiosità: «Una moralità di interazione sicuramente evangelica tesa alla simpatia
verso i poveri in senso lato si scontra talora anche con le forme della religione
positiva, e che si proietta in una prospettiva politica di riscatto. Ed una religiosità che permea tutto il senso dell’esistenza, ma che, lontanissima dall’essere
indeterminata e vaga, si lega consciamente a delle verità di ordine ideologico».
Parole nelle quali spicca la nuova formula nella quale riafferma la sua interpretazione (il racconto esemplare) e in quella la considerazione degli elementi più
cari all’autore, da lui rivendicati nella lettera del luglio 1977.
In occasione della traduzione francese del Requiem Pozzi stese una postface che non è la traduzione della presentazione orale di dieci anni prima, ma,
pur conservando le linee portanti di quella, una rilettura del libro, con nuovi
prelievi24 ; una rilettura già intonata a quei «tempi cristiani» ai quali intitolò
il successivo intervento sui due romanzi, estendendo dunque al Fondo del sacco
il partecipe e penetrante colpo d’occhio religioso che per primo aveva
dedicato al Requiem: «Mentre l’uno, il Requiem, imprigiona la storia dentro
la trama stretta e obbligata d’un rito, l’altro, Il fondo, la sprigiona in una serie
tentacolare di anacronie» 25. L’ultimo contributo, I novissimi di Plinio Martini,
come avverte la nota introduttiva ad Alternatim, «nasce dalla fusione di
Per il Requiem di Plinio Martini […] e Tempi cristiani nei romanzi di Marti-
Sulla cultura religiosa e teologica di Martini ho già discusso: non trascurabile ma
datata; trasmessa da fonti professionali ma mediocri, ferme ai dati di casistica
e alle pigre sistemazioni dei manuali neoscolastici. Perfino la sua informazione
in materia di religione praticata è folta di dati, ma riduttiva nelle fonti (si veda
la sparuta e incolore serie di manuali di preghiere e comportamento della p. 21
[73-74]), tanto da non consentirgli una valutazione culturalmente esatta del vero
humus religioso del suo popolo, distratto anche da un accanito anelito a sottrarre
sé e gli altri all’asfissia clericale. La sua lettura liturgica della messa da requiem
è povera […] 27.
Vi rinuncia perché, come conclude in entrambi i contributi: «il concetto di
tempo soteriologico non deriva da una speculazione astratta, ma appartiene
ai modi con cui il credente vive la fede»28. A Pozzi non sfuggì dunque mai
l’evidente «accanito anelito a sottrarre sé e gli altri all’asfissia clericale», ma
ritenne ben più interessante ascrivere i due libri «nella loro intima organizzazione mentale […] come pochi altri ch’io sappia nell’Italia di oggi, a quelli che
con felice sigla una vecchia collana chiamava “i libri della fede”»29.
Infine p. Giovanni sentì ancora risonare la voce di Plinio in Grammatica
e retorica dei santi, là dove ricordò le interminabili aggiunte di «pater ave
gloria» ai rosari di zia Domenica e «il coro di voci montanare use a trovare
nell’antico gregoriano le loro scorciatoie collettive e individuali, come lungo
i sentieri alpestri»30 . E in quel coro i due pedemontani tanto diversamente
inurbati e acculturati li sentiamo idealmente cantare all’unisono.
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
ni», ossia della presentazione del 1977 con il saggio a dieci anni dalla morte:
fusione, non semplice sovrapposizione26, con una rinuncia anche significativa.
Affermava in Tempi cristiani:
83
26 Giovanni Pozzi, I novissimi di Plinio Martini, in Id., Alternatim, Milano, Adelphi, 1996,
pp. 437-48.
27 Tempi cristiani, pp. 30-31.
28 Alternatim, p. 447; Tempi cristiani, p. 31 (ma esordendo: «Quella nozione di tempo non
deriva» ecc.).
29 Alternatim, p. 448; Tempi cristiani, p. 31.
30 Giovanni Pozzi, Grammatica e retorica dei santi, Milano, Vita e pensiero, 1997, pp.
29-30, 340 (citando da Requiem, pp. 134-35 e 94-95). Lo sottolinea la dedica autografa apposta
nell’esemplare di casa: «A Olivia e Sandro / dove ancora risuona / la voce di Plinio / p.
Giovanni / 25.i.98».
1.
Cavergno, 15 ott. 70
Caro Giovanni,
Ho incontrato per caso Don Martino. Dice che telefonare al Papio è un
guaio, visto che non c’è portinaio. Crede che dev’essere senz’altro possibile
fare un buon lavoro sulla nostra popolazione dalla fine del Settecento in su.
Tutti i comuni nella prima metà dell’Ottocento istituiscono i ruoli della
popolazione, che sono conservati tutti (salvo incendio), e che elencano anche
i nati nella fine del secolo precedente. Inoltre le parrocchie conservano in
archivio i libri dei battesimi. Ci vuole soltanto molta pazienza. I comuni più
indicativi potrebbero essere Campo, Cerentino, Maggia e Cevio. Cavergno
e Bignasco potrebbero essere indicativi per la ragione opposta: per aver meglio
resistito allo spopolamento.
Ciao, con molto affetto,
Plinio
ps Se puoi, dì a Sandro che martedì 11 sarò a Bigorio, dove alle 14.30 ci
riuniremo per fondare il gruppo Marino in Ticino, trattare del Trissino
e fare il programma della riunione a Bigorio per il 30-31 agosto dell’anno
prossimo.
84
2.
Friburgo, 25.x.70
Caro Plinio,
ho ricevuto con grande piacere il tuo libro. Sarà per te una bella soddisfazione.
Io te ne scrissi a tempo suo; in questi giorni non ho avuto tempo di riprenderlo
e prevedendo di non averne per qualche settimana non voglio tardare a ringraziarti dell’omaggio. Che il libro sia sincero e profondamente sentito mi
risultava chiarissimo a quella lettura; che la materia fosse nuova o elaborata con
novità d’animo mi pareva anche fuori di dubbio. Che poi si potesse impostare
in altro modo era cosa opinabile cui tu solo potevi rispondere. Come tua doveva
essere la scelta dell’area culturale entro cui agire. Mie riserve o mie critiche
allora fatte si basavan sulla persuasione che nulla merita di essere fatto a livello
esclusivamente ticinese. Ma è materia opinabile. Ora non mi resta che augurarti / i successi migliori, le soddisfazioni più autentiche. Ti ringrazio anche
molto delle informazioni sugli archivi: saranno utilissime per la ricerca che
Ruffieux intende fare. Spero che Sandro passi un anno felice e fruttuoso a
Milano. Io credo che, pur nella sua riservatezza, farà molta strada. Finezza di
gusto e chiarezza di pensiero, modestia di lavoratore e finezza di artista si
uniscono bene nella sua forma mentis; se avrà le opportune occasioni, andrà
molto avanti. Questa mi pare una; ed egli saprà senz’altro prenderla per i
capelli. Invio anche i miei ossequi alla tua signora, ricordando la sua gentile
ospitalità. Spero l’anno venturo di tornare a Roseto: diventerà il nostro punto
d’incontro tradizionale.
Coi più cari saluti tuo
P. Giovanni
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
85
3.
Giov. Pozzi 235 Rue de Morat, Fr.
037/22.67.69
Friburgo, 19.v.75
Caro Plinio,
ho letto con gran gusto il tuo racconto. In mezzo a tanti libri noiosi, eccone
uno che sa divertire. Dico divertire nel senso serio della parola; avvince,
per la passione e il calore con cui son viste cose tanto grandi quanto la vita e la
morte, il di qua e l’aldilà. Lì non c’è astio, ma collera; non sufficenza, ma
dubbio doloroso; non odio, ma amore. È il più bel libro ch’io conosca sulla
crisi di un certo cattolicesimo, del nostro cattolicesimo. Per questo mi piaccion meno le parti dove la crisi è intravista come risolta, sia sul piano ideologico
che del narrato. Le dichiarazioni volterrianamente empie di Giovanna a p. 23
investono il personaggio di una funzione allegorica che travisa lo stato profondo del sentimento tuo verso la crisi ideologica. Giovanna libera pensatrice
incontrata sulla porta del cimitero è la liberazione del libero pensiero dalle
catene della bigotta zia Domenica. Se questo è il tuo stato d’animo ed il tuo
credo novello, sia; nel libro però ciò [1v] sta malissimo, non tanto perché la
soluzione sia piattamente banale, ma perché risolve ex machina la crisi che
invece fa ribollire le pagine migliori. Anche l’incontro amoroso con Giovanna
assume in quella prospettiva una piega ingenua e sgradevole: il luogo comune,
per cui al libero pensiero sempre si accoppia il libertinismo (che oltre tutto è
un luogo comune della parte avversa, quella di zia Domenica). Insomma
questa Beatrice rovesciata sarebbe meglio che lasciasse per sempre il suo Dante
nel suo purgatorio, e non comparisse del tutto nel racconto primo, né accanto
alla bara, né al funerale, né men che meno sulla porta del cimitero; e vivesse
tutta e sola nel ricordo di Marco e nel desiderio e speranza di vederla al
funerale; speranza frustrata, che sarebbe in linea con la funzione che essa ha.
Tra le caratteristiche della poesia c’è preminente il disinganno teso al lettore con
l’inganno. Non è perch’io sia credente che faccio questi appunti o perché
ammicchi ad un ritorno all’ovile di zia Domenica. Io parlo dal punto di vista
della tua invenzione poetica e della sua funzio-[2r]nalità. Lo stesso peccato
del finale offerto al lettore torna nella conclusione della vicenda di Maria: l’asse
dei gnocchi e la dentiera è una bella facezia, ma sta malissimo nel racconto.
Lo dirige verso la formula più banale, fa sapere che anche lui, merlo, aveva atteso
per esser banalmente frustrato. Perché non lasciare al lettore stesso di sciogliere il dilemma? La macchina narrativa non asseconda, così stando le cose,
lo sviluppo descrittivo del funerale e lirico-evocativo, sia esso di natura
nostalgica che irosa, dei ricordi che è la parte viva dello scritto; dove Gadda ha
insegnato in modo trasparente, ma lo scrivente ha imparato in modo originale
e sentito. Ah ma come è possibile dopo la grande sfuriata del giudizio trovare
una [2v] qualunque Giovanna e prenderla a braccetto? in confronto a zia
Domenica, la povera Giovanna svanisce; diavoletto nero per chi sta di qua,
mefistofelino in 24° per chi di là. Ed anche le sue grazie carnali sono proprio
da poco: un nastro bianco, povera Venere da fienile. Meglio dunque lasciarla
una larva, di contro alla figura tanto riuscita di zia Domenica; qui sei scrittore
quali pochi ne ha la narrativa italiana di oggi; e lì, in quel mostro, c’è tutto il
Lettera di Giovanni Pozzi
a Plinio Martini
(19 maggio 1975), recto.
87
4.
Cavergno, 24 maggio 1975
A Padre Giovanni Pozzi
Caro Giovanni,
Grazie per la tua lettera bella e utile, e grazie per l’appoggio presso la
Mondadori. Le cose andranno bene, penso; ho conosciuto Sereni a Lugano
e ci siamo subito fatti amici. È però chiaro che il consenso tuo e di Isella sono
per me molto importanti: è sempre difficile sfondare. La tua è una prova di
amicizia che mi ha fatto un grande piacere: ma ti devo essere riconoscente anche
per l’aiuto che hai sempre dato a Sandro.
Purtroppo devo ammettere che tu hai molte ragioni di criticare il personaggio Giovanna, e soprattutto il suo incontro con Marco a funerale compiuto (cosa per fortuna rimediabile) come elemento che abbassa a un livello
banale il racconto del funerale e le relative meditazioni sull’aldiqua e l’aldilà.
Comincio subito a dirti che quell’incontro, per me, era soltanto una
sciocca concessione all’aspettativa dei lettori comuni, quelli per cui scrivo, se
non sbaglio d’indirizzo. Una chiusura da film americano: i quali qualche volta
sarebbero anche passabili, non finissero immancabilmente con un dolciastro
confetto moralistico o con una caccarella umoristica (pulita caccarella di
capra, se ricordi ancora). Era anche il pretesto per vedere il cimitero dall’alto:
adottando anche qui, come mi capita spesso, un procedimento cinematografico.
Tu hai caricato quell’incontro di significati che io non avevo previsto e che
non sento di portare dentro di me: è quindi un mio errore. Sentivo Giovanna,
in quel momento, come un semplice richiamo alla vita: è ciò che mi succedeva
sempre, quando, come giudice di pace, dopo aver frugato un cadavere ancora
tiepido e schifoso, o già freddo perché dissanguato da orribili squarci, ritornavo in mezzo alla gente comune, viva, con donne dalle movenze flessuose.
La mia crisi religiosa non si è affatto conclusa con una soluzione libertaria, volterriana. Mi sento distaccato dalla Chiesa cattolica, ne respingo l’involuzione paolina, non posso [2] credere che la Verità sia sempre di destra, dalla
parte dei ricchi e del potere. Da quella parte, se storicamente non sbaglio, è
sempre stata la Chiesa dopo l’editto di Teodosio, salvo eccezioni: ma quando i
papi erano d’accordo con il popolo, si trattava ancora sempre di una scelta di
potere, e non di amore per i diseredati. Non è Alessandro VI che mi scandalizza. I papi venivano sempre dalle classi sociali più elevate, oppure di quelle
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
tuo amore e il tuo rancore. Zia Domenica è Cavergno tutta intiera; e tu sei,
bestemmiando, dalla parte di zia Domenica. Ho scritto due parole a Sereni;
altre ne dirò ad Isella; e farò in modo che il libro possa trovare la sua giusta
strada in Italia.
Mi ha detto Sandro del male che ha colpito il papà. Gli sono vicino con
la preghiera. Capisco il vostro dolore, tanto più in vicinanza d’una lieta
ricorrenza. Ma il rinvio renderà la festa più bella e la ripresa più cara. Scusami
la tirata lunga e disordinata. Salutami la tua signora e ricordami.
Aff.mo
P. Giovanni Pozzi
88
classi avevano accettato il punto di vista e sposato la causa: penso al monaco
Ildebrando, all’appoggio papale dato ai comuni contro il Barbarossa, ecc. Le
pagine migliori del mio Requiem credo siano la prova di quanto affermo, e
cioè di non aver risolto il mio travaglio accettando le facili formule dell’anticlericalismo ottocentesco, liberal-massonico, volterriano o garibaldino:
non avrei studiata tanta teologia, quella ortodossa, più qualche scappata nei
moderni.
Questo naturalmente non lo dico in difesa del racconto o di Giovanna; è
una confessione da amico scettico e deluso ad amico credente. Anch’io credo
ancora in un Dio totaliter alter; e se non sono più sicuro che Cristo sia il
Verbo, il Figlio-pensiero-del-Padre al quale è unito dall’Amore, i Vangeli,
soprattutto quello giovanneo, continuano a commuovermi. E trovo motivi,
soprattutto in quest’ultimo, dalla prima pagina all’imprevedibile colloquio
con Pilato, che non sono mai comparsi nella predicazione che ho dovuto
subire in trent’anni di fedele pratica religiosa (non conto l’infanzia).
Per me, il problema non è mai stato l’erotismo, o la repressione ecclesiastica
in materia di sesso, di evidente eredità veterotestamentaria. Cioè: il problema
c’è stato, ma prima; e quando ero ancora membro dell’a.c. l’avevo già risolto
convincendo me stesso che quel peccato non poteva essere preso proprio così
sul serio; confortato dalle mie letture, dallo studio di alcune opere sull’evoluzione e sulla psicanalisi, e, più tardi, anche da Chardin, mi ero creata una
scala di valori morali diversa da quella ufficialmente accettata. Credevo più
necessario operare verso il bene che fuggire con tremore le occasioni dei
fienili. La mia crisi religiosa, il mio rifiuto vengono dal potere e dalla ricchezza
della Chiesa ufficiale, che è quella che conta, che prende le decisioni: non
esistendo nel suo interno, [3] nemmeno oggi, nessuna forma di democrazia
(il Sinodo non è evidentemente una cosa seria). E vengono, crisi e rifiuto,
dalla repressione di ogni libertà di ricerca al di fuori degli schemi già fissati e
collaudati, magari con dogmi alla cui formazione si era giunti dopo secolari
diatribe dove la politica temporale aveva avuto un peso determinante.
(Il Filioque…) Anche la scelta dei Santi ubbidiva a criteri politici: e la povera
gente accorrere davanti alle loro reliquie… Inquisizione, guerre religiose,
monsignori, destre fedeli, Franco, il partito cattolico che deve combaciare
i padroni con gli sfruttati, ai quali occorre dare «giusta mercede»… E i cardinali
protettori di mafiosi, e l’inchino come norma di vita. Per salire le scale della
gerarchia aiutava, e forse aiuta ancora, la tendenza all’ossequio più che la
castità dell’anima. Ripeto cose certamente dolorose per te; per me lo furono
fino all’ulcera. Tu certamente hai trovato altre risposte: sono tuttavia contento
che tu stia nell’ordine di San Francesco: quello almeno era un santo davvero.
E non era nemmeno prete…
Ma torniamo al libro. Giovanna sul trenino valfondese non è volterriana,
almeno per me: è una ragazza delusa nella sua aspettativa di femmina, e
aggredisce il maschio in quel modo. È una povera cosa Giovanna, una desiderabile strisciola bianca e basta; nella seconda stesura del racconto l’ultima
travagliatissima pagina si dilungava in un colloquio che doveva precisarne la
psicologia, ma mi sono subito accorto che era un errore imperdonabile.
Ho ridotto quelle pagine a poche righe, e ora le ho cambiate del tutto, così:
Plinio Martini,
Requiem per zia Domenica,
ultima pagina della
versione b.
«Si scostò per cedere il posto agli altri, sostando a guardare le mani che si
protendevano nella ripetizione del rito: la mano grassoccia di Margherita,
quelle nodose del padre e delle vecchie amiche della zia, la mano di Giovanna,
le manine dei piccoli raccogliere e gettare una brancatella di quell’humus
di trapassati riemerso per un’ora di sole. Sfilarono tutti, avviandosi poi verso
l’uscita, lasciando alle spalle quattro ragazzi che guardavano i becchini
riempire con energiche palate la fossa di zia Domenica.»
Ciò che mi rincresce è di non aver pensato prima che lasciar [4] fuori
Giovanna dal funerale sarebbe stata soluzione migliore, come tu ora mi suggerisci. Dovrei rifare tutto, e sono troppo stanco. Ho bisogno di liberarmi del
libro, ho bisogno di vivere in altro modo, per qualche mese almeno. L’errore
mio deriva dal fatto che la prima idea del racconto (che doveva essere di circa
venti pag. per la Tip. Stazione) mi è venuta proprio da Giovanna e da zia Maria,
dalle due avventure legate nel tempo e opposte nel contenuto umano; zia
Domenica, entrata nel racconto per il pretesto di avviarlo, mi è poi cresciuta fra
le mani, diventando la vera protagonista del racconto. È stata lei, prepotente,
con la sua ferrea volontà, a chiedere quel posto: che le spettava.
Anche l’asse degli gnocchi e la dentiera a me non sembravano una boutade, ma la rappresentazione della tragica insensibilità dell’americano che si
sente il solo defraudato, dopo vent’anni di lavoro. Comunque ho tolto le tre
righe.
Grazie, quindi, del tuo aiuto. E grazie anche per il ricordo che hai di mio
padre: sapessi che effetto mi ha fatto vederlo frastornato da quella prima e
improvvisa aggressione della morte… È stata una leggera trombosi cerebrale,
e ora migliora di giorno in giorno, è già uscito dal letto.
Con il più grande affetto,
Plinio
90
5.
Friburgo, 3. vij. 76
Caro Plinio,
ho ricevuto dall’editore il tuo romanzo. Tu già sai cosa ne pensi; che questo
lavoro ti porti al primo rango dell’attuale letteratura ticinese, è cosa fra le
meno significative delle molte provocate dall’evento. Importerà il posto che tu
hai fra gli scrittori italiani: e importerà chi tu sia, lo scrittore non professionale, ma non dilettante; il maestro di scuola secondaria e non delle scuole
privilegiate; l’uomo estraneo al mercato librario, ai salotti ed alle conventicole. Il ticinese, razza d’uomo linguisticamente stento e imbellettato, che
possiede un registro linguistico ricco e corposo; e poi il portatore e interprete
di una crisi spirituale / che tutti interessa e che nessuno ha saputo sinora
esprimere in Italia così: da laico e non da chierico od ex-chierico, ma da laico
non laicista, che conosce la pietà e l’amor di Dio. Ho visto di gran fretta,
perché, benché sia abbonato, il numero non mi è giunto, la recensione dell’Espresso. Mi compiaccio assai di questa apparizione, ma debbo dire che quello
lì non ha capito niente. No no, non è un libro di memorie il tuo; è, al rovescio,
un libro sul presente: dove precisamente il doppio registro temporale non
91
6.
Al Prof. Giovanni Pozzi
Rue de Morat 235
Friburgo
Caro Giovanni,
sono veramente contento che tu abbia permesso la pubblicazione del tuo
lavoro critico sul mio Requiem; mi hanno già telefonato alcuni lettori per
esprimermi la loro meraviglia per i numerosi significati che erano loro sfuggiti
in prima lettura. Era importante per me che il libro fosse presentato da un
religioso; questo non tanto per ovvii motivi provinciali, per la solita stupidità
del giornalismo locale, culturalmente refrattario, e per l’idiozia dei tanti che
mi vorrebbero anticlericale per partito preso e quasi per dispetto; ma soprattutto perché soltanto un critico teologicamente e liturgicamente informato era in
grado di valutare la mia testimonianza sulla nostra cultura popolare religiosa,
testimonianza che, malgrado l’ironia, la satira, le varie denunce, l’affiorante
scetticismo messo in evidenza da Mario Forni in Dialoghi 46 (impossibilità di
credere oltre nella capacità di crescita e di miglioramento degli uomini), è
tuttavia un’onesta e rispettosa testimonianza, spesso anche colma di affetto e
di nostalgia. La pubblicazione è adesso per me l’occasione di rileggere e di
rimeditare il racconto. Posso, ora, spiegare meglio le riserve che avevo fatto a
Lugano, ringraziandoti con molto affetto ma tuttavia in modo maldestro,
impacciato, come mi capita spesso quando devo improvvisare, forse per l’abitudine dello scrittore di stare attento a non lasciar sfuggire l’occasione di una
variante utile. Perché, certi punti di resistenza che avevo incontrato ascoltandoti, rimangono ancora, e cerco ora di spiegarli: senza tuttavia avere la pretesa
di essere un lettore più qualificato. Uno scrittore sa da che punto iniziare,
ma non sa di solito dove arriverà, ciò vale soprattutto per un racconto come il
Requiem, e mi pare risponda alla logica dell’invenzione. Credo cioè che la
lettura che un autore fa di se stesso sia una delle tante possibili, e non necessariamente la più valida. Ti scrivo | quindi cercando di capire meglio me stesso,
e non con la pretesa di toglierti il turibolo, per ricordare la tua divertente
battuta iniziale, a Lugano.
Posso d’altro canto dire subito che sono d’accordo con te sul nòcciolo
centrale delle tue argomentazioni: il Requiem è un racconto dove «il funerale,
nonché il supporto, è la parte integrante di un unico racconto»: e l’aggettivo
unico mi sembra di particolare importanza. Isella, Gibellini e Forni, per citare
i tre che, lasciando da parte la tua mirabile presentazione, si sono occupati
con maggior attenzione critica del mio Requiem, hanno scoperto piuttosto
l’intreccio di due racconti, uno sul piano presente del funerale, ricco di
meditazioni, di connotazioni, di excursus liturgici, teologici, letterari, ecc., e
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
serve al vagheggiamento d’un passato, bensì all’urto del presente al di là della
presenza della morte. Sandro vive? Ricordami a tutto l’entourage e specialmente alla tua Signora e credimi il tuo aff.mo
P. Giovanni Pozzi
Ricordati d’inviare il libro a Dionisotti e Contini
92
l’altro, sul piano della memoria, denso di affetti nostalgici e di amore per la
vita, e anche per una forma di vita che appartiene definitivamente al passato.
Quello era proprio stato il mio punto di partenza, e tu, avendo letto per
primo la prima stesura completa del racconto, già lo sai.
Originariamente io avevo l’intenzione di raccontare la storia di un fresco
amore adolescente, favorito dai temporali che possono anche essere una grazia
di Dio, ma represso dalla terribile zia dal naso borromeo; il funerale doveva
essere il pretesto per la rievocazione dell’accaduto, e magari anche l’occasione
di un nuovo incontro a lieto fine dei due. (Una volta si concludeva con il
matrimonio; oggi sarebbe stato più à la page lasciar intravvedere la possibilità
di una notte in albergo. Tempora mutantur malgrado le zie). Tu sai benissimo
che, proprio ubbidendo alla spinta iniziale, in quella prima stesura avevo ancora
inserito un incontro, anche se muto, dei due non più giovani amanti sopra il
camposanto, a guardare i becchini riempire la fossa, quasi a dire che quel lavoro
era la rimozione dell’ostacolo che impediva il proseguimento della loro
avventura amorosa. Sei stato tu ad avvertirmi dell’errore che stavo commettendo; e se ho immediatamente tolto quel passo, sostituendolo con il rito
delle mani che gettano | brancatelle di terra sopra la cassa (azione più gentile
e affettuosa, durante la quale i nostri due rimangono staccati), non è stato
certo per farti un piacere, ma perché avevo subito capito che sarebbe stato un
grosso errore, visto che la conclusione del racconto vero era già tutta nel
giudizio universale.
Certo, nessuno può impedire che il lettore desideroso di tenerezze immagini i due riuniti a funerale finito: ma questo, dal punto di vista della coerenza
creativa, poteva essere l’inizio di una nuova storia, non la conclusione di
quella raccontata nel Requiem. Quindi, il racconto è veramente la celebrazione della vita e della morte della famula Domini: la quale, proprio durante
la stesura, si è prepotentemente imposta con il suo naso, fino a diventare eroica
come un cavaliere antico, e mettendo in ombra Giovanna, la bella, la grazia
di Dio (sicuro! e magari anche per dispetto, come tu hai detto con un’ombra
di elegante cattiveria: non è grazia di Dio tutto ciò che in questa vita, piena
di condizionamenti, di repressioni, di malattie, può farci veramente piacere?)
Un altro punto, marginale e opinabile, di una mia resistenza è dove tu
accenni a «troppo scoperte confessioni letterarie che rinviano a Leopardi e a
Catullo». (Ma sono d’accordo sull’«infelice collocazione» delle letture
teologiche di Marco). Il fatto che Marco adolescente legga quegli autori (nota
che di Catullo conosce soltanto l’unica poesia che di quel poeta si concedeva
nei testi scolastici) lo pone fra i pochi studenti che sono tanto disponibili da
non sbadigliare durante la lettura dei classici: è una caratterizzazione autobiografica, / come parecchie altre (io ho curato le vacche con il Leopardi in tasca):
era quindi normale che egli vivesse i suoi affetti e soprattutto il suo amore
adolescente proprio attraverso il filtro magico di quella poesia. (Giulia Gianella
ha scoperto qualcosa di stilnovistico, e non era un complimento, nella
Maddalena di «Il fondo del sacco»). Ecco perché la descrizione della campagna aldrionese richiama così apertamente il Tasso dell’Aminta, e perché,
ancora durante il funerale, guardando il paesaggio, torna in mente a Marco
il buon Pascoli (i prati velati di un tenero verde mi sembra imitazione colloca-
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
93
ta in luogo giusto); e perché infine Giovanna, psicologicamente poco identificata (è grazia di Dio e basta) ha però aspetto e movenze petrarchesche:
e il Marco adulto, questo mi piace che tu l’abbia sottolineato, sarà capace di
sorridere di quel suo innamorarsi prima della convenzione che della ragazza
in carne e ossa. Al punto che, durante l’occasione del fienile, non toccherà la
ragazza, e cercherà addirittura di non guardarla fino a quando non sarà
liberato, con il lancio del pane e formaggio, dai miti della tribù, e quindi anche
dalle convenzioni petrarchesche e stilnovistiche.
Più importante è invece il mio disaccordo quando tu accenni ai «luoghi
vieti e consunti dell’anticlericalismo più corrente». Il mio non è mai stato
un anticlericalismo di maniera. E se tu hai la pazienza di rileggere certe mie
impennate, anche quelle che denunciano scopertamente la parte vassalliana
del partito cattolico vedaschese; se rileggi la lista che a un certo punto faccio
dei sagrestani, degli scaccini, dei prefetti di collegio, delle beghine, dei monsignori, ecc., puoi scoprire subito (come del resto ha subito capito Forni) che se
io ce l’ho con quella gente è proprio perché la loro adesione al cristianesimo
non è, come fu la mia e come resta naturalmente la tua, una generosa accettazione della legge della carità; è invece, nel migliore dei casi, un mimetizzarsi per
paura (dell’inferno, del prete, di essere guardato male, di perdere l’impiego);
nel caso peggiore è poi un profittare della fede altrui, di mio padre per esempio, della sua onestà e ingenuità, | per raggiungere le leve del potere e manovrarle
nei modi pipidini che tutti i ticinesi oggi dovrebbero finalmente conoscere.
(In Italia e altrove, con tutti i Tanassi e i Sindona che circolano, le cose non vanno
meglio, e pare che il papa ne soffra parecchio).
Ora tu mi puoi dire che queste sono le mie motivazioni, le quali però nel
testo non sono venute fuori con chiarezza, o che, qua e là, hanno assunto
quelle forme viete e consunte che dici. Magari hai ragione, e me ne spiacerebbe
moltissimo. A me pare però che il mio Galileo non sia il Galileo dell’800,
eroe che combatte insieme a Bruno l’oscurantismo. La ‘mia’ Chiesa, più che
oscurantista, è una chiesa che si allea al potere temporale e capitalista e che
nega all’interno il dibattito. Io ho sofferto molto per questo, e avendo ‘posto
delle domande’, come Galileo con le sue lenti, quando ancora partecipavo
all’Azione Cattolica, e con in fronte la fede che mi splendeva, sono stato castigato duramente. E il mio caso non fu un’eccezione!
Un altro punto che potrebbe ricordare i luoghi comuni dell’anticlericalismo è l’impennata di Giovanna, che è però semplicemente una ragazza
indispettita, arrabbiata anche contro Marco: il quale, durante il funerale, avrà
ben diverse e più sofferte meditazioni. Non voglio ora, per non dilungarmi
troppo, togliere delle citazioni da un testo che tu conosci così bene, sia sulla
sofferenza non del tutto superata di Marco, sia sulla paura della quale ho
parlato prima, e, quindi, sull’esaltazione del coraggio che chiamo virtù cardinale, assumendo polemicamente un sintagma della dottrina cattolica.
Insomma, mi sembrava di aver chiarito bene la posizione di Marco, excattolico che ha meditato dolorosamente un non facile rifiuto. Ecco perché,
pur essendo iscritto, senza pentimenti malgrado le numerose angherie subite
per quella scelta, in un partito marxista, io posso benissimo accettare che
Forni, chiuso il Requiem, mi definisca un buon cristiano. Ha ragione, perché
7.
Lugano, 4.ix.77
Caro Plinio,
Voglio solo dirti quanto ti sono vicino in questa circostanza, con il desiderio profondo di vederti superare il difficile passaggio nel tuo cammino
esistenziale così poderoso e sicuro e con la solidarietà dell’amico che cerca di
94
quella scelta la feci proprio, a dirla in linguaggio cristiano, per carità di coloro
che sono i più poveri e i più sfruttati. E quella scelta non | implicava il rifiuto
di Dio; sì quello della Chiesa, troppo chiaramente schierata su posizioni opposte (lo era già ai tempi di San Francesco).
E non sono d’accordo infine quando tu parli del «trionfo» di zia Domenica. Io non la pensavo così, e, malgrado l’acutezza delle tue argomentazioni,
non riesco ancora a crederlo oggi. Quando ho scelto il titolo Requiem, io intendevo proprio dire requiem per lei e per il mondo contadino e religioso che
inblei si incarnava: e mi sembra evidente che in molti passi del libro ho detto
chiaramente come quel mondo sia defunto, e come i suoi valori siano irrecuperabili, anche se non sono nati dei nuovi valori alternativi. Né da noi, né altrove.
La pagina finale della resurrezione non è evidentemente una prova del
«trionfo», se la resurrezione deve avvenire con «il naso a picchio rimediato» e
i calli trasformati nei «piedini della gheisha». E tutta la meditazione di Marco
non è forse una sconfitta per Domenica? No, più ci penso e più mi convinco che
tu volevi semplicemente affermare che il mondo di zia Domenica resiste
ancora nella mente e nel cuore di Marco, che è anche qui personaggio autobiografico. E allora posso anche essere d’accordo con te, perché io non ho mai
rinnegato le mie origini, e ciò che di buono ho ricevuto da una troppo severa
educazione religiosa: senza la quale però, per dare a Cesare quel che è di
Cesare, non sarei mai diventato scrittore. Era quindi meglio nascere nella fitta
boscaglia dei divieti della terribile zia piuttosto che nella landa dell’indifferenza, dove non cresce albero che dia frutti. |
Ora che ho vuotato il sacco con maggior chiarezza, posso finalmente
aggiungere il grande piacere che ho provato man mano che tu scoprivi
l’impalcatura ideologica che sostiene la descrizione del funerale: cosa che probabilmente nessun altro lettore sarebbe stato capace di scavar fuori; e posso
dire infine che il tuo attento e acuto lavoro, così come il brillante e preciso
discorso tenuto da Isella a Milano o l’analisi di Gibellini pubblicata su
«Brescia Oggi» (il quale pose soprattutto la sua attenzione nell’analisi letteraria, il dialetto, il latino, la scuola di Gadda, ecc.) sono per me la prova di aver
scritto un testo culturalmente valido e utile. Il che è per me di soddisfazione
e di incoraggiamento: non ci fossero persone come voi, che siete del resto
tra i più grossi calibri della critica italiana di oggi, quasi non varrebbe la pena
di scrivere.
Grazie, quindi, con tutto il mio riconoscente affetto. E se capiti a Foroglio
in agosto, non mancare di venire a trovarmi; ci saranno, spero, anche Sandro e
Olivia, che saranno felici di rivederti. Tuo
Plinio
Lettera di Giovanni Pozzi
a Plinio Martini
(4 novembre 1977), recto.
Lettera di Giovanni Pozzi
a Plinio Martini
(4 novembre 1977), verso.
8.
Lugano, 28.ix.77
Caro Plinio,
In un momento in cui ti sarà particolarmente penoso essere assente,
permettimi di sbarcare al tuo fianco e tenerti un momento compagnia;
ti lascio il mio ricordo e il mio affetto, il mio augurio e la mia sicurezza di un
presto ritorno a casa tua.
Aff.mo P. Giovanni
9.
Friburgo, 23.xii.78
Caro Plinio,
mi è caro ricordarti in queste feste ed augurarti, insieme con il buon natale,
un 1979 pieno di soddisfazioni. Auguri anche alla tua Signora e ai tuoi.
Il tuo aff.mo
P. Giovanni Pozzi
97
10.
Friburgo, 15.i.79
Caro Plinio, cara Signora,
Il dono ed il ricordo mi hanno fatto molto piacere e ringrazio del gentile
pensiero, bene augurando e raddoppiando i voti in questa vigilia importante
per Sandro.
Aff.mo
P. Giovanni Pozzi
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
misurare le tue ansie e di farle proprie. Vorrei poterti visitare e tenerti compagnia per un momento. Affidare ad un po’ di carta un compito così arduo | è
presunzione. Ma dietro l’ottusità dell’inchiostro leggi la risonanza dell’affetto
più intenso. Ti ricordo lungamente e caramente.
Il tuo affmo
P. Giovanni Pozzi
Note alle lettere
1.
Martini a Pozzi, 15.10.1970. La lettera manoscritta sul recto di un foglio A 4
è conservata nel Fondo Pozzi. Il destinatario ha aggiunto di sua mano, sotto
«Plinio», «Martini». Il tono della lettera dice che lo scambio epistolare si è già
avviato, e difatti comprende, oltre che la probabile richiesta di informazioni
sugli archivi valmaggesi, almeno una prima lettera di Pozzi sul dattiloscritto
di quel che diverrà Il fondo del sacco, persa ma probabilmente del 1968.
Don Martino Signorelli, valmaggese di Prato (1896-1975), a lungo docente
al Seminario diocesano di Lugano e per un certo tempo rettore dello stesso.
Tra 1964 e 1965 rettore del Collegio Papio di Ascona, poi parroco a Bignasco,
al momento in cui Plinio Martini lo interpella sulla questione degli archivi
valmaggesi stava concludendo la sua Storia della Valmaggia (Locarno, Tipografia Stazione, 1972), di cui lo stesso Martini, assieme a Alberto Lanzi,
compilò l’indice analitico. Per porre termine alla sua vasta impresa Signorelli
era tornato ospite del Papio. Su di lui si veda Aldo Lanini, Martino Signorelli,
un dissenziente fedele. Frammenti e contrappunti, Locarno, Dadò, 1979.
Come risulta dalla lett. 2, Pozzi aveva chiesto queste informazioni per il collega
di storia Roland Ruffieux. Quanto gli siano state utili non posso dire.
Non mi risulta comunque che ricerche sugli archivi valmaggesi siano state
promosse dalla sua cattedra.
2.
Pozzi a Martini, 25.10.1970. Lettera autografa di un foglio di cm 21 x 15,
scritto sulle due facciate.
A Milano io stavo lavorando alla mia tesi di dottorato sull’opera letteraria
del cardinal Federico Borromeo. Sulle riunioni al Bigorio, attorno alle
edizioni del Marino e del Trissino, ospite costante Carlo Dionisotti, si hanno
larghe informazioni in Carlo Dionisotti - Giovanni Pozzi, Una degna
amicizia, buona per entrambi. Carteggio 1957-1997, a cura di Ottavio Besomi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013.
4.
Martini a Pozzi, 24.5.1975. Dattiloscritto di quattro cartelle A4, numerate,
conservato nel Fondo Pozzi. Il destinatario ha sovrascritto sulla prima
cartella il nome del corrispondente. L’originale, rispetto alla copia conservata
in casa, porta alcune correzioni e una variante a penna nel terzo paragrafo:
‘umoristica’ (caccarella) è epiteto sovrascritto a ‘moralistica’.
98
3.
Pozzi a Martini, 19.5.1975. Lettera autografa di due fogli A4 (il secondo numerato
2), scritti sulle quattro facciate. L’intestazione preposta è battuta a macchina.
Non so quale sia la «lieta ricorrenza» vicina (il 19 maggio era il lunedì di
Pentecoste). Adeodato Martini era stato colpito da una trombosi cerebrale,
come suo figlio precisa nella risposta, aggiungendo che si era ripreso. Morì il 5
febbraio 1976.
99
5.
Pozzi a Martini, 3.7.1976. Lettera autografa di un foglio A4 scritto sulle due
facciate, intestato al Seminario di letteratura italiana dell’Università di
Friburgo. La recensione a cui si riferisce è quella di Paolo Milano, Un’infanzia
in due romanzi, «L’Espresso», 27 giugno 1976, p. 60. L’altro romanzo, appena
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
Una più articolata riflessione sul destinatario della propria scrittura,
rispetto all’affermazione, pur dubitativa, del terzo paragrafo, ma in fin dei
conti convergente con questa, Martini aveva proposto rispondendo alla
domanda «Per chi scrive Lei?» rivoltagli dalla «Neue Zürcher Zeitung», risposta datata 19 agosto 1974, ora leggibile in Plinio Martini, Nessuno ha pregato
per noi. Interventi pubblici 1957-1977, a cura di Ilario Domenighetti, Locarno, Dadò, 20013, p. 265.
L’«involuzione paolina» della Chiesa (par. 4) deve intendersi riferita a san
Paolo, non, come più congiunturalmente si potrebbe pensare, a Paolo VI, anche
se per Martini v’era stata pure un’involuzione dovuta al pontefice regnante.
Si veda l’accenno infastidito di Giovanna alle lettere paoline (Requiem, p. 90)
e l’ironico «ossequio a san Paolo» costituito dal fatto che in chiesa copra i suoi
capelli con un fazzoletto di seta (p. 121).
«i Vangeli, soprattutto quello giovanneo, continuano a commuovermi»
(par. 5). Martini ribadirà l’importanza che per lui assumeva il vangelo di
Giovanni in una intervista televisiva del 29 novembre 1978 rilasciata a Eros
Bellinelli, dove ribadisce la sua «fedeltà di fondo posso dire al cristianesimo,
almeno come il cristianesimo l’ho imparato leggendo i Vangeli. Mi riferisco
sopratutto al Vangelo di san Giovanni che comincia con quella pagina, famosissima perché la si legge in tutte le messe, dove si dice che Gesù è il Verbo di Dio.
Nello stesso Vangelo c’è scritto che Gesù dice “Chiunque cerca la verità,
chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce”. E poi verso la fine quando
Gesù è arrestato ha il famoso colloquio con Pilato sulla verità, dove Pilato
a un certo punto dice “Quid est veritas?” che potrebbe sembrare una frase
pronunciata con un’alzatina di spalle, oppure potrebbe essere anche una
domanda veramente seria da parte di Pilato: il Vangelo non lo dice. Mi pare
che il Vangelo di san Giovanni insegni ai cristiani a cercare prima di tutto
la verità e ad agire in conformità, con coerenza a questa verità che si è trovata».
«confortato … anche da Chardin» (par. 6). Si intenda Pierre Teilhard
de Chardin. Vari suoi volumi in possesso di Martini mostrano questo vivo
interesse: La vision du passé, Paris, Editions le Seuil, 1963; Le milieu divin,
ivi, 1964, con segni di lettura; Le phénomène humain, ivi, 1964 (molto sottolineato); Lettere di viaggio, Milano, Feltrinelli, 1962 (con nota di possesso
all’occhiello «Agnese Dalessi /Pasqua 1963» e sottolineature); Paul Grenet,
Il cristiano fedele alla terra. Teilhard de Chardin, Firenze, Vallecchi, 1963
(con nota di possesso «PMartini / 64»); Paul Chauchard, Teilhard de Chardin
e il fenomeno umano, traduzione di A. Mazzenga, Città di Castello, Carabba,
1964 (con una sottolineatura); Norbertus Maximiliaan Wildiers, Introduzione a Teilhard de Chardin, Milano, Bompiani, 19643 (con sottolineature).
Nella citazione del nuovo finale del Requiem (par. 8) si legge «verso
l’uscita», ma «verso il cancello» sia in B che in C e finalmente in Requiem, p. 203.
nominato, è quello di Rosetta Loy, La porta dell’acqua, Torino, Einaudi,
1976. Milano conclude: «appena assunta coscienza civile, il racconto cade un
po’ di tono. Mutevole è anche lo stile di “Requiem”: Plinio Martini scrive
una prosa nutrita e perfino eloquente; ma ogni tanto, grandi esempî lombardi
lo attirano, da Manzoni a Gadda, e allora echeggia uno di quelli per un
istante. Perché i nostri scrittori italo-svizzeri coltivano quasi soltanto una
“letteratura della memoria”? Come sarebbe, il Ticino di oggi, visto da uno
scrittore?».
100
6.
Martini a Pozzi, senza data, ma luglio 1977. Copia dattiloscritta di 7 cartelle,
con un’ottava manoscritta che è a un tempo revisione e conclusione della parte
finale dattiloscritta, di una lettera inviata a Pozzi senza indicazione di data
(almeno nella copia di casa), ma posteriore al 7 luglio 1977 (giorno della pubblicazione discussa) e anteriore al primo agosto, come risulta dall’invito in
chiusa. Con la copia in pulito è conservata anche una redazione anteriore corretta
a mano. L’occasione della lettera è la pubblicazione della presentazione del
libro, tenuta da Pozzi alla Biblioteca cantonale di Lugano il 5 maggio 1977,
Per il «Requiem» di Plinio Martini, «Cooperazione» (7 luglio 1977), pp. 5-6;
poi, senza varianti, «Humanitas», 27, 1 (febbraio 1981), pp. 79-89 (alle quali di
seguito rinvio).
La citazione di Mario Forni (par. 1) è tratta dalla sua presentazione del
Requiem per zia Domenica, in «Dialoghi», num. 46, a. 10, aprile 1977, pp.
25-27: «Si tratta, ci sembra, di una accanita ricerca di significati e di valori che
sfocia su una specie di vuoto metafisico, e almeno profondo scetticismo,
d’impossibilità di credere oltre nella capacità di crescita e di miglioramento
degli uomini» (p. 26).
«Isella, Gibellini e Forni» (par. 2). Della presentazione milanese del
Requiem da parte di Dante Isella non rimane memoria tra le carte di casa, né,
a mia conoscenza, traccia di registrazione o pubblicazione. Avvenne certo
prima della presentazione luganese del 7.5.77. Isella, a ricordo di Armando
Dadò, che accompagnò il suo compaesano a Milano, parlò a braccio. Martini
sintetizzò però l’intervento di Isella in una lettera a Mario Forni del 16.5.77,
ringraziandolo a sua volta della citata recensione in «Dialoghi»: «Per Isella
il libro è il requiem non soltanto per la zia e per la sua pietà superata e travolta
dal tempo, ma è pure il requiem per tutto quel mondo patriarcale, i cui valori
sono praticamente irrecuperabili. Per Isella il protagonista è Marco, e il valore
del libro sta nell’intenso affetto con il quale egli rimedita quel mondo, non
disgiunto da ironia, da rabbia e da satira mordente, che creano i diversi registri
fusi in un linguaggio duttile e organizzato gaddianamente: tale da fare del
Requiem “una delle opere più colte della letteratura italiana del novecento”».
Pietro Gibellini disse del Requiem sotto il titolo Scrittore di razza in «Brescia
oggi», 6 giugno 1976. Sul suo approccio Martini torna a esprimersi al par. 13.
«Originariamente io avevo l’intenzione di raccontare la storia di un fresco
amore adolescente» (par. 4): eco dell’affermazione iniziale di Pozzi, secondo
cui in apparenza «il nocciolo narrativo del libro spiega la storia di un amore
frescamente sensuale tra due adolescenti» (p. 79).
Fogli 38/2017 Per Giovanni Pozzi / Alessandro Martini, Giovanni Pozzi a Plinio Martini
101
«il racconto è veramente la celebrazione della vita e della morte della
famula Domini» (par. 5): si riferisce a un tratto del Requiem, p. 95, ricordato
anche da Pozzi (p. 87) per il significato del nome della zia: «offerentes eam in
conspectu Altissimi: eam, e cioè l’anima bella e monda della famula dal solenne
nome latino di Dominica»; «eroica come un cavaliere antico»: è l’espressione
usata in Requiem, p. 110, anche in Pozzi, p. 88. «Giovanna, la bella, la grazia di
Dio (sicuro! e magari anche per dispetto, come tu hai detto con un’ombra di
elegante cattiveria […])»: «qui è certo chiamata così per antifrasi, o almeno per
dispetto, a designare come grazia divina il rovescio di quella che zia Domenica
chiamava tale; ma la funzione resta ben quella» (Pozzi, p. 87).
Le «troppo scoperte confessioni letterarie» nonché teologiche (par. 6)
sono discusse da Pozzi a pp. 83-84. I «miti della tribù» seguono il dettato
di Pozzi, per cui il Requiem «è un libro ideologico: è l’apologo della propria
sconfitta di fronte ai miti della tribù» (p. 89), ma da parte di Martini il
richiamo è un tentativo di rivendicare una certa qual liberazione da quei miti.
Quanto all’«anticlericalismo più corrente» (par. 7) va pur detto che
Pozzi aggiungeva «e, perfino, della derisione del sacro. Più importa sottolineare come la ragione segreta che insidia la pietà e la fede sia quella della
scientificità razionalizzata: lo dicono bene la paraboletta positivista del pulcino
a p. 15 [61], le lenti galileiane a p. 27 [83], il moltiplicarsi della luce a p. 103
[195], la danza rituale del prete a p. 104 [197]: qui la cosa è assai più seria, perché
questa è una delle motivazioni che maggiormente travagliano la coscienza
moderna di fronte al problema religioso» (p. 88). Mentre Martini rivendica
anzitutto le sue impennate contro gli esponenti del partito cattolico («vassalliano» e «pipidino» sono epiteti derivati dal nome di Fabio Vassalli, uno dei
Consiglieri di Stato allora in carica, e dall’acronimo, ppd, del Partito popolare democratico).
Su Giovanna (scarsamente difesa al par. 9) Pozzi era infatti tornato
a infierire, e non tanto per il suo anticlericalismo: «L’antagonista Giovanna,
Beatrice volteriana di scarsa dialettica, Alcina dai filtri annacquati (tali
sono gli strip tease propiziati da provvidenziali buzze, il farsi strizzar panni
dal sottomesso eroe) può ben poco contro la virtuosa bruttezza della zia,
contro il suo naso, che è veramente il naso che domina tutta la nostra pietà:
il naso di s. Carlo Borromeo» (p. 88). Il «coraggio che chiamo virtù cardinale»
rinvia a Requiem, p. 165.
Forni, che Martini torna a ricordare con consenso pieno al par. 10, dopo
aver largamente citato passi dell’«indiavolato giudizio universale che chiude il
racconto», aveva concluso: «E questo non è ancora cristianesimo? Intendiamo: fede cristiana? Studiando il rapporto tra i due protagonisti, Domenica e
Marco, pare di scorgere proprio il drammatico raffronto tra due interpretazioni del Vangelo, ambedue profondamente radicate nell’autore. Esiste una
feconda ambiguità di base: chi è l’eroe del Requiem? Può essere tanto zia
Domenica, quanto Marco» («Dialoghi», pp. 26-27). Si capisce come l’intervento di Forni stesse particolarmente a cuore a Martini, che agli incontri
organizzati dal gruppo di «Dialoghi» aveva partecipato con una certa frequenza. Ringraziandolo il 16.5.77 esordiva: «se per me le tue pagine sono la prova
che non ho scritto invano e che ci sono ancora dei lettori intelligenti (intus
legentes), il Requiem deve essere stato per te e per altri cattolici del dissenso
o ex-cattolici un testo sollecitatore di affetti, di memorie e di non inutili
meditazioni. Un incontro, quindi, o un dialogo».
Il «trionfo» di zia Domenica (par. 11) è soprattutto nella conclusione
narratologico-teologica di Pozzi: «il funerale non è il supporto dei ricordi;
è invece la celebrazone della vittoria di zia Domenica: vittoria che conduce
dritto, nella ripetizione della battesimale discesa nel sepolcro, alla risurrezione
e alla parusia. Giovanna, durante la celebrazione di quel trionfo è del tutto
fuori gioco: le velleità di un ritorno di Marco non sono realizzabili, perché zia
Domenica ha vinto per sempre: quel rito di morte è un semplice post-factum
della sconfitta di Marco e Giovanna; è la marcia trionfale del vero protagonista, la vecchia beghina» (p. 89).
7.
Pozzi a Martini, 4.9.1977. Lettera manoscritta di un foglio 21x15 cm, intestato
al Seminario di letteratura italiana dell’Università di Friburgo, scritto sulle
due facciate.
Il 31 agosto mio padre era stato operato al Kantonspital di Zurigo per
cancro al cervello, che risultò essere una metastasi. Il 4 settembre, giorno
in cui Pozzi gli scrive, conosce la diagnosi: adeno-carcinoma.
8.
Pozzi a Martini, 28.9.1977. Lettera manoscritta in bifoglio scritto sulla prima
facciata. Il «momento» si riferisce al mio matrimonio con Olivia Bianchi,
celebrato a Brè sopra Lugano il primo ottobre 1977 in assenza di mio padre,
ancora degente al Kantonspital di Zurigo.
10.
Pozzi a Martini, 15.1.1979. Cartolina con la riproduzione di un Aquarium au
tissu rayé di André Minaux. La vigilia importante per me era quella della mia
prova orale per l’abilitazione all’insegnamento universitario in letteratura
italiana, sostenuta l’8 febbraio. Non saprei dire quale dono (una torta della
mamma?) i miei avessero mandato a p. Pozzi.
102
9.
Pozzi a Martini, 23.12.1978. Cartolina rappresentante Maria sotto la croce, da
affresco della chiesa di San Carlo a Negrentino in val di Blenio. L’anno che si
chiudeva per Plinio Martini, tornato a Cavergno, era stato di relativa ripresa,
segnata da due interviste radiofoniche molto seguite (in particolare quella
trasmessa il 16 novembre, dovuta a Giò Rezzonico) e da una conferenza alla
Società Dante Alighieri di San Gallo il 5 dicembre, su invito di Pio Fontana.
1 La biblioteca del convento del Bigorio possiede la seconda edizione, stampata nel 1513,
sempre a Milano, ma da Giovanni Castiglione e a cura di Giovanni Mapello, con il titolo Opus
auree et inexplicabilis bonitatis et continentie, Conformitatum scilicet vite Beati Francisci ad
vitam domini nostri Iesu Christi. Anch’esso presenta note manoscritte che lo rendono unico;
mi propongo di descriverlo l’anno prossimo.
2 Data d’ingresso in Pubblicazioni entrate in biblioteca nel 2013, [a cura di Luciana
Pedroia], «Fogli», 35 (2014), pp. 92-106, a p. 106, sezione 13. Antiquariato; l’etichetta della
libreria antiquaria è incollata in alto a sinistra sulla controguardia del piatto superiore.
3 Raul Manselli, Bartolomeo da Pisa (da Rinonico, de Rinonichi), in Dizionario biografico
degli Italiani, vi (1964), pp. 756-758, a p. 756.
103
Fra le acquisizioni recenti della Biblioteca Salita dei Frati merita particolare
attenzione un esemplare della prima edizione a stampa del Liber Conformitatum, composto fra il 1385 e il 1390 da Bartolomeo da Pisa (†1401)1. Il volume è stato acquistato nel 2013 presso la Libreria antiquaria Pregliasco di
Torino2. L’autore è detto anche Bartolomeo da Rinonico o de Rinonichi
o de Rinonicho, per evitare confusioni con Bartolomeo domini Albisi e con
Bartolomeo da San Concordio, anch’essi noti come Bartolomeo da Pisa.
Il Nostro, «testimoniato per la prima volta a Pisa e già come frate minore il
15 ott. 1352, anteriormente al 1373 aveva raggiunto nella sua città il grado
accademico di baccelliere, assolvendo anche in vari Studi generali dell’Ordine (Padova e Firenze) le funzioni di lettore. Destinato poi dal capitolo
generale francescano di Tolosa del 1373 allo studio di Cambridge, per conseguirvi il magistero in teologia, non avendo potuto raggiungere l’Inghilterra
per le vicende della guerra dei Cent’anni, dopo aver studiato anche qualche
tempo a Bologna, ottenne dal papa Gregorio xi con una bolla da Avignone
del 27 apr. 1375 il magistero in teologia»3.
La sua opera più importante è appunto il Liber Conformitatum, approvato ad Assisi dal Capitolo generale dell’Ordine il 2 agosto 1399. Si tratta
di un complesso di storie e leggende della vita di San Francesco in cui i frati
minori ravvisavano quaranta conformità della vita del loro fondatore e
patrono con quella di Cristo. L’autore compilò le biografie francescane di
Tommaso da Celano e di Bonaventura da Bagnoregio, i Fioretti, lo Speculum
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
Rara et curiosa
Giancarlo Reggi
Bartolomeo da Pisa,
Liber Conformitatum, Milano,
Gottardo da Ponte, 1510.
L’esemplare BSF 75 Ga 9:
provenienze marsigliesi e parigine
Foglio di guardia e frontespizio dell’esemplare
del Liber Conformitatum
(editio princeps del 1510).
Note manoscritte e timbro
attestano le provenienze.
perfectionis, la Legenda antiqua, gli Actus beati Francisci, atti legislativi
dell’Ordine, cronache sulla vita dell’Ordine anche fuori d’Italia 4 .
Il Liber Conformitatum conobbe una grande fortuna5, sia nella spiritualità francescana, sia, a rovescio, in mondo luterano, dove era letta (a ragione,
dal punto di vista protestante) come esempio negativo rispetto alla teologia
della sola fides, del solus Christus e della sola Scriptura 6. Anzi ravvisavano
nella venerazione di San Francesco un errore ereticale, quasi che per essa Gesù
Cristo fosse interpretato di fatto come figura anticipatrice dell’Assisiate;
donde il paragone del Liber Conformitatum al Corano. In tale prospettiva il
luterano Erasmus Alber (latinizzato in Alberus) produsse un’epitome
polemica del Liber, uscita a Wittenberg nel 1542, in tedesco, con la prefazione di Martin Lutero7 ; con la stessa data nel colophon, ma con quella dell’anno successivo sul frontespizio, uscì poi in latino a Francoforte, con il testo di
Lutero come postfazione8. Ne seguirono due edizioni in francese, stampate
106
4 Esposizione ampia nella prefazione all’edizione critica De conformitate vitae Beati
Francisci ad vitam Domini Iesu, auctore fr. Bartholomaeo de Pisis, i, Ad Claras Aquas
(Quaracchi), ex typographia Collegii S. Bonaventurae, 1906, pp. i-xxiii; più succintamente
Manselli, Bartolomeo da Pisa, cit., p. 757.
5 Prima dell’editio princeps, nel xv secolo, il manoscritto fu più volte copiato in tutto o in
parte. L’edizione critica De conformitate vitae Beati Francisci cit., pp. xxiv-xxix, elenca e
descrive dodici codici: Codex Alvernae, 2 tomi; Ambrosianus G 75 inf. (contiene solo il i
libro); Andegavensis 821; Assisiensis sive S. Mariae Angelorum; Codice di Monteprandone;
Codice Campori E vi 14 della Biblioteca Estense di Modena (contiene il i libro non completo); Parisinus BnF lat. 3328 (contiene il ii e il iii libro); Neapolitanus Bibl. Naz. viii. b. 11;
Romanus Bibl. Naz. 1015 (contiene il i libro); Vaticanus lat. 7600; Urbinas 397 e 398 della
Biblioteca Vaticana; inoltre, usa per la costituzione del testo il volgarizzamento di fr. Dionisio
Pulinari, L’opera intitolata Delle conformità della vita del B . P . nostro San Francesco alla
vita del nostro Signor Gesù Cristo, contenuto nei codici della Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze ii. iii. 162, 163 (autografo) e Conventi C. 5. 573.
6 Per rendersene conto basti leggere gli incipit che ho riportato nella descrizione tecnica,
con l’insistenza della grazia di Cristo associata con i meriti di Francesco. Sul ‘giudeo-cristianesimo’ nel solco dell’apostolo Giacomo proprio della teologia cattolica in generale e di
quella francescana in particolare (ma anche del valdismo medioevale), in opposizione al paolinismo del principio della giustificazione per la sola fede, è ottima la monografia del teologo
valdese Vittorio Subilia, La giustificazione per fede, Brescia, Paideia, 1976 (Biblioteca di
cultura religiosa, 27). Da filologo, tuttavia, non posso condividere il principio, affermato
dall’autore a p. 37, che talora la teologia sistematica possa far cogliere con chiarezza il senso
del messaggio biblico più che l’esegesi, troppo facilmente soggetta a «servaggi filosofici e
perfino politici e sociologici». È la teologia sistematica che non può prescindere dalle
risultanze dell’indagine storico-critica del testo biblico, con tutti i rischi di provvisorietà
che un’indagine scientifica comporta.
7 Erasmus Alberus, Der Barfüser Münche Eulenspiegel und Alcoran, mit einer Vorrede
D. Martini Luther, Wittemberg, Hans Lufft, 1542 (esergo sul frontespizio: «Versiculum
Franciscanorum. Franciscus est in coelo. Responsorium. Quis dubitat de illo? Antiphona.
Totus mundus»).
8 Erasmus Alberus, Alcoranus Franciscanorum. Id est blasphemiarum et nugarum
Lerna, de stigmatisato idolo, quod Franciscum uocant, ex Libro Conformitatum. Versiculum Franciscanorum. Franciscus est in coelo. Responsio. Quis dubitat de illo? Antiphona.
Totus mundus, Francofurdiae, ex officina Petri Brubacchii, 1542, ma sul frontespizio: «Anno
xliii» (esergo sul frontespizio: «i Timo. 4. Spiritus aperte dicit, quod in posterioribus
temporibus desciscent quidam a fide, attendentes spiritibus impostoribus ac doctrinis daemoniorum etc.»). Leggendo Manselli, Bartolomeo da Pisa, cit., si ha l’impressione che
l’edizione originale fosse quella in latino. Tuttavia, a parte il dato sul frontespizio dell’edizione
francofortese, occorre osservare che è il testo tedesco ad essere uscito a Wittenberg,
centro accademico del luteranesimo.
Se neget atque crucem tua post vestigia quisquis
Prosequitur tollat. tu, bone Christe, iubes.
Non egre hanc presta ipse feram per tella (sic) per hostes,
Ingrediar tutus te duce quaque sequar.
(’Chiunque ti vuol venir dietro rinneghi sé stesso e seguendo le tue orme si carichi
la sua croce. Tu, Cristo buono, lo ordini. Non riottosamente io la porterò, pur fra i
presti dardi, fra i nemici; avanzerò sicuro: te guida, ovunque ti seguirò’).
Il primo distico, infatti, allude a Ev. Matth. 16, 24, a Ev. Marc. 8, 34 e a Ev. Luc.
9, 23, cioè a un detto di Gesù tramandato da tutta la tradizione sinottica.
L’orientalista e teologo protestante tedesco Joachim Jeremias osservò che il testo
marciano, alla base anche di Matteo e Luca, in retroversione aramaica dà
luogo a un ritmo di 4 + 4 + 2 ictus, un ritmo pacato, didattico, proprio anche di
altri passi in cui Gesù ammaestra i suoi discepoli11. Se è così, ci troviamo di fronte
a un testo risalente fino a un ambiente giudaico-palestinese che conservava un
ricordo vivo del Maestro, se non a un’epoca prepasquale e a ipsissima verba di
Gesù. Parole che a fine Trecento il Liber Conformitatum a suo modo recepiva.
107
9 Erasmus Alberus, L’Alcoran des Cordeliers, tant en latin qu’en françois; c’est a dire, la mer
des blasphemes et mensonges de cest idole stigmatizé, qu’on appelle S. François; recueilli par le
Docteur M.Luther, du livre des Conformitez de ce beau S. François, imprimé a Milan l’an M.D .X.,
et nouvellement traduit, Genève, Conrad Badius, 1556, e quattro anni dopo: L’Alcoran des
Cordeliers, tant en latin qu’en françois; c’est à dire, la mer des blasphemes et mensonges de cest
idole stigmatizé, qu’on appelle S. François; lequel livre a esté recueilli mot à mot par le Docteur
Erasme Albere, du livre des Conformitez de ce beau S. François à Jesus Christ: livre meschant et
abominable s’il en fut oncq, composé par un Cordelier, et imprimé a Milan l’an M.D .X. Nouvellement a esté adiousté le second livre prins au mesme retraict, afin de mieux descouvrir la saincteté
de ceste secte infernale, que le monde adore, Genève, Conrad Badius, 1560.
10 Erasmus Alberus, Den Alcoran der Franciscaner Monnicken. Waer in de grouwelijcke
ende afgodische leere der Barvoeter-Monnicken, ende de superstitie der Papisten bloot wert
aengewesen. Getrocken uyt have eygene Schriften, insonderheyt uyt een Boeck ghenaemt Liber
Conformitatum D. N. J. Christi, et S. Francisci, by haer uytgegeven, Genève, [s.n.], 1664; Id.,
Anatomie Van der Barvoeter-Monniken Alcoran, Of Der Minder-Broeders Wet-Boek,
Eertijds door D. Lutherus getrokken uit het Boek der Conformiteiten, of Overeen-komingen
Francisci met Christo, gemaakt door Bartholomæus de Pisis, Minder-Broeder, traduzione
di Johannes Mauritius, Amsterdam, Arnoldus van Ravesteyn, 1695.
11 Joachim Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, traduzione di Felice Montagnini, i:
La predicazione di Gesù, Brescia, Paideia, 19762, p. 33 (originale tedesco: Neutestamentliche
Theologie, i: Die Verkündigung Jesu, Gütersloh, Mohn, 19732, p. 32).
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
nella Ginevra calvinista9 , e due in olandese10 . I titoli stessi e gli eserghi sui
frontespizi hanno il tono dell’invettiva.
Di questo non mi occuperò, perché non sono né francescanista, né storico
della Riforma. L’unica cosa che mi sento di affermare è che la recezione
protestante, sia luterana sia riformata, del Liber Conformitatum è importante
per il Fortleben dell’opera di Bartolomeo da Pisa, ma, in ogni caso,
non si può giudicare uno scritto del tardo xiv secolo fondandosi su pur rigorose, profonde e liberatorie dottrine teologiche del xvi. In altre parole, l’idea
della conformitas vitae ad vitam Christi è pur evangelica. Non per nulla sul
frontespizio dell’edizione del 1513, precedente di quattro anni l’inizio
della Riforma, in una xilografia sono raffigurati Cristo e Francesco che portano
la croce, l’uno davanti, che si volge verso il seguace, l’altro dietro, che guarda
alla sua guida; in esergo si legge il seguente epigramma:
L’albero delle conformità
sul verso del frontespizio.
Descrizione tecnica e commento
I dati indispensabili, comprese le trascrizioni delle note manoscritte e delle
altre indicazioni di provenienza, si trovano nella scheda opac del Sistema
bibliotecario ticinese, allestita da Luciana Pedroia. Qui si presenta una descrizione più particolareggiata, cui seguirà un commento in cui i dati più
importanti saranno ripresi in forma discorsiva.
12 Edizioni del Liber Conformitatum: Milano, Gottardo da Ponte, 1510; ivi, Giovanni
Castiglione, 1513; Bologna, Alessandro Benacci, 1590; ivi, Vittorio Benacci, 1620. Edizioni
dell’epitome di Erasmus Alber in tedesco: Wittenberg, Hans Lufft, 1542; Strasburgo, Jakob
Fröhlich, 1555; ivi, Christian Müller il Vecchio, 1560; [s.l.], [s.n.], 1573; [Strasburgo], [Jobin?],
1614; in latino: Francoforte, Peter Braubach, 1543; Deventer (nl), Jan Colomp, 1651; in latino
e francese: Ginevra, Conrad Badius, 1556, 15602; ivi, Guillaume de Laimarie, 1578; Amsterdam,
La Compagnie, 1734; in olandese: Ginevra, [s.n.], 1664; Amsterdam, Arnoldus van Ravesteyn,
1695.
13 Bisogna cercarlo all’indirizzo www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/
14 books.google.ch/books?id=xJGIRM3K _ 3QC &printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q
&f=false. Proveniente dalla biblioteca del Collegio Romano dei Gesuiti, è privo del frontespizio, sostituito con un’antiporta recante unicamente il titolo, bianco il verso; ciò ne fa un esemplare della variante B. L’esemplare della bsf, invece, con il frontespizio e le relative xilografie, e
con l’albero delle conformità sul verso, è della variante A.
15 reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10857268_ 00001.html
109
Dimensioni esterne: cm 29 x 20,5 (fol.).
Dimensioni dello specchio: cm 22,5 x 15,5 suddiviso in due colonne larghe cm 7,5.
Legatura: in cuoio bruno scuro montato su piatti di cartone, con 4 nervature sul
dorso (1691, vedi infra) e capitelli semplici. Decorazione a fregi aurei sui compartimenti del dorso; tassello con titolo conform|itates in caratteri oro nel secondo
compartimento; nel quinto compartimento l’etichetta con la segnatura della bsf:
75 Ga 9. Taglio di testa, davanti e di piede spruzzato di bruno e verde. Controguar-
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
Altro discorso è quello che riguarda le riedizioni fino al Settecento sia del
Liber Conformitatum, sia delle epitomi polemiche di Erasmus Alber12 ; in
questo caso sì, il conoscere i sistemi teologici consente di capire il senso delle
polemiche moderne fra cattolici e protestanti.
Quanto ho esposto fin qui basta per far capire che l’editio princeps del Liber
Conformitatum era troppo importante per essere rara: solo l’opac dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (iccu) del Sistema Bibliotecario Nazionale
italiano (sbn) ne annovera 66 esemplari, e quello posseduto dalla Biblioteca
comunale Pietro Siciliani di Galatina (Lecce), che conserva la legatura originale, è stato digitalizzato integralmente13, così come quello della Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma14; l’edizione è però relativamente diffusa anche fuori
d’Italia, e la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco ha digitalizzato il suo
esemplare presso il Münchener Digitalisierungszentrum15. Qui, dunque, concentrerò l’attenzione sull’esemplare oggi posseduto dalla Biblioteca Salita dei
Frati, che ha carattere di unicità per le note manoscritte vergate sul verso del
foglio di guardia e sul frontespizio, nonché per il timbro ottocentesco, sempre
sul frontespizio; sono tutte indicazioni di provenienza che permettono di ripercorrere l’itinerario carsico di questo particolare postincunabolo, da quando
apparteneva alla biblioteca del convento dei Cappuccini di Marsiglia a quando
fu di proprietà dalla Casa generalizia degli Oblati di Maria Immacolata a
Parigi, fino al suo approdo a Lugano.
110
die e fogli di guardia di carta bianca. Pagine rifilate in occasione della rilegatura.
Scrittura: gotica sul frontespizio e sul suo verso, romana nelle pagine di testo.
Fascicolatura: [non numerato] 4 a-f10 g11 h-n10 o8 p6 q-x10 y2-z3-8 z26 aa-cc10 dd8
Pagine: [8], 512 numerate da i (a1r) a cclvi (dd8r), ordinate come segue:
– [n.n.]1r (frontespizio): «Francisce sequens dogmata superni creatoris | tibi
impressa stigmata sunt Christi saluatoris» | [xilografia] | «Liber Conformitatum» |
[marca tipografica];
– [n.n.]1v: [xilografia].
– [n.n.]2r r. 1: titolo: «Tabula sequentis operis. Primus numerus est foliorum
secundus columnarum».
– [n.n.]2r r. 2 - [n.n.]4v r. 48: «Adve(n)tus christi a quibus prophe|tis p(ro)nunciatus sit 5 4 [...] Verbu(m) dei qu(omod)o fili(i)s est semini 191 2».
– [n.n.]4v r. 49 - [n.n.]8v r. 35: «Venerandis in (christ)o p(atribus)
diffinitorib(us) [...] si pro me dominum rogare dignabuntur».
– ir col. 1 - iv col. 3 (=ar-av) [xilografia] >In nomine d(omi)ni n(ost)ri iesu
c(hristi) et beatissime Virginis Marie : m(at)ris sue, ac beati p(at)ris n(ost)ri Fra(n)cisci. Incipit opus quod intitulat(ur) de co(n)formitate uite beati Francisci: ad
uita(m) d(omi)ni iesu (christ)i rede(m)ptoris n(ost)ri. editum a fratre Bartolomeo
de Pisis:ordinis minorum sacre theologie magistro:ob reuerentiam sui patris
precipui Beati Francisci.anno domini. M.ccc.lxxxv. Incipit primus prologus pro
opere prefato.< | Sanctorum uita probis fulcta op(er)ibus [...]. et in futuro eterne
felicitatis regnu(m) tribuat(ur). Amen.
– iv col. 3 - vv col. 3 (=av-a5v) >Incipit prologus secundus pro opere prefato< |
Simile(m) illu(m) fecit in gloria sanctorum [...]. Iesus (christu)s nos p(er)ducat
b(eati) F(rancisci) meritis.q(ui) cu(m) p(at)re et sp(irit)u s(an)c(t)o de(us) uer(us)
regnat et uiuit p(er) i(n)finita secula seculo(rum) ame(n). | >Explicit prologus.<
– vv col. 3 - cxlivv col. 4 (=a5v-p6v): >Incipit liber qui dicitur co(n)formitatu(m) et primo de ordine seruando in hoc opere.< | Expedit(us) a p(ro)logo
isti(us) operis (christ)i Iesu gr(ati)a opitula(n)te meritis b(eati) Fra(n)cisci p(at)ris
n(ost)ri [...]. xvi. Iesus dux formidabil(is). Fra(n)cisc(us) d(e)testator. xxviii. |
<Explicit liber primus de. xii conformitatibus vite B(eati) F(rancisci) ad vita(m)
d(omi)ni n(ost)ri Iesu (christ)i. Deo gratias. Amen.<
– cxlvr col. 1 - ccxviiiv col. 4 (=qr-z26v) [xilografia] >Incipit liber s(e)c(un)dus de xvi. aliis (con)formitatib(us) b(ea)ti F(rancisci) ad vita(m) d(omi)ni n(ost)ri Iesu (christ)i. [...] Iesus signis mirificus.< | Postq(uam) libro p(re)cede(n)ti de
xii (con)formitatib(us) b(eati) F(rancisci) ad d(omi)n(u)m Iesum (christu)m [...].
Ad honore(m) et laudem ipsius beate Marie et beati partis nostri Francisci. Amen. |
>Explicit liber secundus de conformitate vite beati Francisci ad vitam domini
nostri Iesu (christ)i.<
– ccxixr col. 1 - cclvv col. 4 (aar-dd7v) [xilografia] >Incipit liber 3(us) de
co(n)formitate uite b(ea)ti Francisci ad uitam d(omi)ni n(ost)ri Iesu (christ)i [...].
Exp(ositi)o pr(im)e partis u(idelicet) Iesus cu(m) suis comede(n)s.< | Virtus illa et
sapientia diuina [...]. Qui cu(m) patre tuo et spiritu sancto vivis et regnas deus
benedictus per infinita secula seculo(rum). Amen. | >Finis arboris et operis.<
– cclvv col. 4 - cclvir col. 1 (=dd7v-dd8r) >Copia littere a magistro Bartholomeo directe generali ministro et capitulo generali pro approbatione operis
precedentis.< | Reuerendis in (christ)o patrib(us) fr(atr)ib(us) Henrico generali
ministro et aliis ministris:ceteris(que) diffinitoribus capituli generalis ordinis
fr(atr)um minoru(m) apud sacrum conuentum Assisii [...]. et ad gaudia perducat
eterna. Amen. | Data in loco prefato Assisii.die p(ri)ma mensis augusti.
– cclvir col. 1 (=dd8r) >Littera responsiua capituli generalis illud opus
approbantis.< | In christo sibi charissimo fratri Bartholomeo de Pisis sacre
111
Fra le notazioni manoscritte sul frontespizio, una si trova fra il titolo e la marca
tipografica; è l’unica datata e riguarda la legatura: «Secundo Compactus
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
theologie magistro:frater Henricus ordinis fratrum minorum generalis minister
et seruus:ceteriq(ue) ministri ac diffinitores capituli generalis apud sacrum locum
de Assisio die secunda augusti.Anno domini M.ccclxxxxix. [...] Data in dicto
sacro loco anno die et mense superius annotatis.
– cclvir col. 1 - col. 2 (=dd8r) Salue lector. [...] Vale. | Impressum Mediolani per
Gotardum Ponticu(m): cuius Officina libraria est apud templum sancti Satiri.
Anno Domini.m.cccccx. Die.xviii. Mensis Septembris. | [rigo bianco] | Registrum huius operis | [...] | Omnes sunt quinterni:exceptis oydd qui sunt q(ua)terni. p uero et z2 sunt terni. | [marca] | [Bianco il verso].
Decorazione: sul frontespizio: xilografia di cm 8,7 x 7,6 raffigurante Francesco che
riceve le stimmate (ripetuta alle cc. ir col. 1, in capo al prologo; vv col. 3, in capo al
libro ii; ccxixr col. 1, in capo al libro iii); incornicia il frontespizio un fregio
xilografico di motivi pagani, con tre medaglioni circolari raffiguranti cantori
mitologici; in alto a destra, Anfione con le mura di Tebe sullo sfondo, con inscritto
nella corona circolare «lyra·constrvxit·amphion·mvros·thebanos»; in basso
a destra, Arione, la nave dei pirati e i delfini che lo salvarono, con inscritto nella
corona circolare «arion·inter·delphinas»; in basso a sinistra, Orfeo che
incanta piante e animali, con inscritto nella corona circolare «orphevs·in·silvis»;
in alto al centro: maschera raffigurante un satiro; in basso al centro: due putti
reggono uno scudo araldico su cui è stampata la data di stampa: 1510; lega il tutto
un intreccio di piante e fiori; al verso: xilografia a tutta pagina: Francesco in
ginocchio abbraccia l’albero delle 40 conformità, cui è crocifisso Cristo. I capilettera di libri e capitoli, xilografici, sono costituiti da raffigurazioni di santi frati che
reggono la lettera iniziale alternate con altre a motivi floreali e con altre astratte,
senza un criterio preciso. I capilettera di capitoli riferiti all’Ordine fondato da
Francesco a partire da dodici frati sono semplici iniziali rosse.
Marche tipografiche: sul frontespizio: marca del cigno con iscrizione del nome
nella cornice circolare in quadrato «gotardvs de ponte» (Giuseppina Zappella,
Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, ii: Tavole, Milano,
Editrice Bibliografica, 1986, figura 347); alla c. cclvir (=dd8r) in calce: doppia
croce bianca in campo nero con le iniziali pg (Zappella, Le marche dei tipografi,
cit., figura 289).
Impronta: 54is adun ordi rich (3) 1510 (R).
Aggiunte: sulla prima controguardia in alto a sinistra, etichetta: «libreria
antiquaria | pregliasco | torino»; più in basso a destra: milan - 1510 (a
matita); altre annotazione a lapis, forse in francese, cancellate. Sul verso del foglio
di guardia anteriore, nota manoscritta: «[illeggibile] Cet ouvrage est très précieux ;
on l’a | vendu à paris (sic) quatre cent cinquante livres». Sul frontespizio: note
manoscritte: a inchiostro nero, fra il titolo e la marca, «Secundo Compactus Anno
Christi 1691»; distribuita a sinistra, destra e sotto la marca, «Usui Fratrum |
Capucinorum | Massiliensium»; sul margine inferiore, a inchiostro bruno,
«Conuentus Ca[pu]ccinorum Massicịạẹ» (lettura incerta delle ultime tre lettere;
ultima parola sovrascritta, forse a «Marsicensium»); sul margine superiore,
tagliata dalla rifilatura, «U(sui) f(rat)ru(m) Capucinorum [9 lettere?] M[assiliae?];
sul margine destro, parallelamente al taglio, «ad usum Capucinorum Marsiliae» (a
inchiostro bruno). Timbro ovale a inchiostro paonazzo, con al centro la croce
oblata e in esergo la sigla omj; entro la corona ellittica «pauperes evangelizantur – domus generalis» (scrittura maiuscola moderna).
Anno Christi 1691» (’legato per la seconda volta nell’anno di Cristo 1691’).
Ciò significa che il volume, danneggiato dall’usura, fu interamente rilegato:
la precedente coperta fu tolta, i fascicoli furono slegati, furono rilegati con
una nuova indorsatura, nuovi nervi, nuovi capitelli, nuovi piatti, nuovo dorso,
nuove guardie e controguardie; i margini furono rifilati. Risale ad allora
l’attuale legatura coriacea montata su piatti di cartone.
È probabile che a quell’epoca il libro fosse già di proprietà dei Cappuccini
di Marsiglia. Ad essi si riferiscono altre cinque note manoscritte. Una, a inchiostro nero come la precedente ma d’altra mano, è divisa in tre parti: a sinistra, a
destra e sotto la marca; è in scrittura simil-libraria, forse ancora secentesca:
«Usui Fratrum Capucinorum Massiliensium» (’ad uso dei frati cappuccini di
Marsiglia’). La più problematica, in una scrittura corsiva a inchiostro bruno e
con tracce di cancellazione e sovrascrittura, è di lettura incerta nella seconda e
soprattutto nella terza parola; se si trascrivono solo le lettere inequivocabili, si
legge: «Conuentus Ca...cinorum Massici....»; a me pare che si possa leggere
«Conuentus Capuccinorum Massiciae»; è però stata depennata una terminazione «-ium» e si vede bene che al nesso ‘ss’ sottostava un nesso ‘rs’; inoltre il nesso
‘ci’ di ‘Massiciae’ è correzione di un precedente ‘ce’ (o viceversa); perciò azzarderei che in origine si leggesse «Conuentus Capuccinorum Marsicensium».
Inutile tentare di trarne conclusioni. Non doveva essere troppo diversa la nota
sul margine superiore, a inchiostro bruno scuro, tagliata dalla rifilatura.
Certo è che il libro appartenne, sotto l’ancien régime, ai Cappuccini di
Marsiglia, che si erano insediati nella città portuale nel 1579, su terreni
acquistati da Caterina de’ Medici, a quel tempo regina madre16 ; scopo dell’insediamento era il contrasto al protestantesimo ugonotto, che si era fortemente
affermato in Provenza17.
Nei primi anni della Rivoluzione Francese l’ordine dei Cappuccini andò
soggetto al decreto dell’Assemblée nationale constituante sulla Suppression des
vœux monastiques - Abolition des ordres religieux, del 13 febbraio 1790.
Di conseguenza, nel 1791 i Cappuccini di Marsiglia furono espulsi dal loro
convento nel quartiere Noailles. Il sito fu completamente distrutto e trasformato in una piazza, l’attuale Place du marché des Capucins18.
112
16 L’atto di donazione, datato 25 giugno 1579, è conservato a Marsiglia, Bibliothèque
municipale, Ms. 1202: Recueil des bulles, décrets, facultés, indulgences, lettres patentes, arrêts et
autres concessions faites aux RR . PP. Capucins, i: 1525-1527, ff. 573-574; è edito per intero da
Pierre Dubois, Les capucins italiens et l’établissement de leur ordre en Provence (1576-1600),
«Collectanea Franciscana», 44 (1974), pp. 71-140, alle pp. 84-85. Sulla fondazione del convento
da parte del p. Mattia Bellintani da Salò disponiamo di notizie comprese in una biografia
annalistica redatta da suo fratello, p. Giovanni Bellintani; la tramanda il manoscritto di Assisi,
apc, Ms. M. 3, ed oggi è edita in I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del I secolo, a
cura di Costanzio Cargnoni, iii, 1, Perugia, efi, 1991, pp. 2483-2505, alle pp. 2492 e 2494.
17 Dubois, Les capucins italiens, cit., pp. 83-86, dove si vede che l’insediamento provenzale
ha le stesse caratteristiche di quello grigionese, e non fa meraviglia, sol che si pensi che Carlo
Borromeo era zio di Caterina de’ Medici. La bibliografia fino al 1993 è raccolta nel Rapport de
recherche bibliographique di Anne Flateau, Les Capucins en France aux XVIIème et XVIIIème
siècles: établissements et activités [Vuilleurbanne], École Nationale Supérieure des Sciences de
l’Information et des Bibliothèques - Université Claude Bernard Lyon 1, 1993, p. 27. Per gli anni
successivi «Bibliographia Franciscana» non segnala più nulla.
18 L’antica presenza del convento è ricordata anche dall’attigua Rue Longue-des-Capucins.
Su queste vicende, vedi Adrien Blès, Dictionnaire historique des rues de Marseille. Mémoire de
Marseille, Marseille, Laffitte, 20012, pp. 273-274 e soprattutto 286. Quello di Blès, membro
113
della Académie de Marseille, è un lavoro ponderoso, minuzioso e indispensabile, anche se
nell’opera le fonti, in massima parte d’archivio, non sono mai citate.
19 Fonte: Patrick Kelly, Le cambiste universel ou Traité complet des changes, monnaies,
poids et mesures de toutes les nations commerçantes et de leurs colonies, avec un exposé de leurs
banques, fonds publics et papiers-monnaies, i, Paris, Aillaud-Bossange, 1823, p. 141.
20 Corso di umanità vuol dire 4a e 5a ginnasio; ad esso seguiva lo studentato filosofico,
equivalente al Liceo. Fonte sullo stipendio annuale: Carlo Cattaneo, Alla Congregazione
municipale - Milano (Milano, 20 febbraio 1830), in Carteggi di Carlo Cattaneo, serie i: Lettere
di Cattaneo, i: 1820 - 15 marzo 1848, a cura di Margherita Cancarini Pietroboni e Mariachiara
Fugazza, Firenze, Le Monnier - Bellinzona, Casagrande, 2001, lettera 13, pp. 13-15. Gli stipendi
pagati ai professori ginnasiali e liceali del Canton Ticino nel 1852 sono mal comparabili,
perché più modesti: 1500 fr. annui per il Ginnasio, 2000 fr. annui per il Liceo. Fonte: Carlo
Cattaneo, Progetto per una riforma dell’insegnamento superiore nel Ticino. Memoria,
Supplemento straordinario al «Foglio Officiale», 9 f. 6 (21 aprile 1852), pp. 68-99, ai par. 18-19.
21 Kelly, Le cambiste universel, cit., p. 331.
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
Dopo l’esproprio la biblioteca andò dispersa. Il libro probabilmente andò
all’incanto, com’era d’uso in questi casi, a meno che lo Stato non incamerasse
le biblioteche. Risale a quell’epoca, o a qualche decennio più tardi, la nota
manoscritta sul verso del foglio di guardia: «ce livre est très précieux. On l’a
vendu à Paris 450 livres». La livre (’lira’ in italiano) era una moneta che aveva
corso sotto l’ancien régime, per essere poi soppiantata dal franco nel 1795; ciò
costituisce un terminus ante quem probabile, ma non sicuro, perché la livre
circolava ancora nel 1823, a una parità, fissata da un decreto del 1810, di 81 lire
per 80 franchi19. Per capire il valore di 450 lire francesi dell’epoca, si consideri
che lo stipendio di Carlo Cattaneo come professore di umanità al Ginnasio di
Santa Marta a Milano nel 1830 era di 2’100 lire annue, salito a 2’800 al compimento del decimo anno di servizio20. Ora, fin dall’epoca napoleonica la lira di
Milano era paritaria rispetto al franco francese, perché era coniata secondo
il medesimo regolamento, e gli Austriaci lasciarono invariato quel regime21.
Comunque sia, dopo la soppressione del convento cappuccino di Marsiglia,
il nostro postincunabolo rimase sostanzialmente sommerso, per riemergere
soltanto nella Parigi di fine Ottocento. Lo contrassegna sul frontespizio il timbro
ovale a inchiostro di una «domus generalis» della Congregazione clericale
dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (omi).
La Congregazione fu fondata nel 1815 a Aix-en-Provence, nel clima della
Restaurazione. Ne fu fondatore l’abate Eugène de Mazenod, presbitero da tre
anni, rampollo di una nobile famiglia di Aix che fin dall’inizio della Rivoluzione aveva lasciato la Francia ed era riparata in Italia. Il giovane Eugène, nato
nel 1782, era stato dapprima alunno del Collegio dei Nobili di Torino dal 1791
al 1794, poi si era trasferito con la famiglia a Venezia (1794-1797), a Napoli
(1797-1799) e a Palermo (1799-1802), per poi rientrare infine in Francia. Nel
1823 divenne vicario generale del nuovo Vescovo di Marsiglia, suo zio Fortuné
de Mazenod, poi, dal 1837, Vescovo della stessa città fino alla morte (1861).
Frattanto rimase Superiore generale della Congregazione da lui fondata. Fu il
primo Vescovo di Francia, dopo la Rivoluzione, su posizioni apertamente
ultramontane, cioè, per così dire, papiste, non gallicane e non gianseniste.
Eugène de Mazenod, insomma, fu un conservatore, sia in politica sia in teologia. Ciò spiega in buona misura le difficoltà incontrate dalla Congregazione
omi dopo la sua morte, dapprima sul fronte interno, ecclesiastico, poi sul
fronte esterno, politico.
Prima sede della Congregazione, inizialmente denominata Société des
Missionnaires de Provence, fu l’ex convento dei Carmelitani di Aix, ma una vera
e propria casa generalizia ci fu soltanto dal 1856, presso lo studentato del
Montolivet di Marsiglia. Nel frattempo la Congregazione, che aveva ottenuto
l’approvazione pontificia nel 1826 e che contestualmente aveva assunto la
denominazione definitiva, da società di chierici volti a rievangelizzare le campagne provenzali si era progressivamente orientata verso le missioni estere.
La casa generalizia restò per poco tempo a Marsiglia. Nel 1861, alla morte
di de Mazenod, ci fu una rivolta del clero diocesano nei confronti degli Oblati,
considerati troppo numerosi e troppo potenti. Il nuovo Vescovo, ostile, tolse
loro il controllo del Seminario maggiore; il nuovo Superiore generale preferì
lasciare anche il Montolivet e trasferire la domus generalis a Parigi, ciò che
avvenne nei primi mesi del 1862. Lo stabile marsigliese del Montolivet sarebbe
stato ceduto allo Stato nel 1864, che lo avrebbe messo a disposizione del
Vescovo ad uso di Seminario.
La domus generalis rimase a Parigi fino al 1904, quando gli Oblati di Maria
Immacolata furono espulsi dalla Francia, come tutte le congregazioni non
autorizzate dallo Stato repubblicano. L’anno precedente, la loro domanda
d’autorizzazione era stata respinta. La casa generalizia fu incamerata dallo
Stato, che ne fece la sede del Ministero del Commercio. La biblioteca andò
dispersa. Parecchi anni più tardi gli Oblati, che nella Grande Guerra avevano
lealmente servito la patria, poterono tornare in Francia, ma questa è un’altra
storia. Oggi la casa generalizia si trova a Roma22.
Ebbene, della biblioteca oblata di Parigi resta, conservato a Roma,
un registro manoscritto che annovera i volumi posseduti dal 1894 al 1901, fra
cui il nostro esemplare del Liber Conformitatum. Ecco la trascrizione diplomatica dell’annotazione23.
22 Sul primo secolo di storia degli Oblati fonti e bibliografia sono abbondanti e facilmente
accessibili grazie al sito www.omiworld.org, dove si trova, fra l’altro, il diario ( Journal) del
fondatore Eugène de Mazenod; sono molto comode le voci del Dictionnaire historique (da cui
cito, ma ne esiste il portale in inglese, intitolato Historical Dictionary, che in taluni casi
potrebbe essere l’originale), tutte con indicazione di fonti e bibliografia; mi sono state utili le
voci Mazenod, Mgr Charles Joseph Eugène de, di Émilien Lamirande; Aix, maison oblate
(depuis 1815), di René Motte; Marseille, Montolivet, di Yvon Beaudoin; Paris, maison générale,
rue Saint-Pétersbourg (1862-1904), del medesimo.
23 Ringrazio il p. Maciej Michalski, omi, archivista generale della Congregazione, che mi ha
gentilmente inviato una copia digitale della nota manoscritta (registro segnato H b 47, indicato
fra le fonti da Beaudoin, Paris, maison générale, cit.).
114
Série G. Ascétisme
Le Livre des Conformités de S(ain)t Françoie d’Assise avec J(ésus) C(hrist)
- Liber Conformitatum vitae S(ancti) Francisci ad vitam J(esu) C(hristi).
Imprimé à Milan en 1510, par Gotardum de Ponte. Il a pour auteur fr(ère)
Barthélémy da Pisa, de Pisis, mort en 1351. C’est un in f(olio) à 2 colonnes.
Il a un frontispice illustré, et au verso l’arbre des 40 conformités de la vie de
S(ain)t Francoie [sic] avec J(ésus) C(hrist). Cet ouvrage s’est vendu jusqu’à 450
livres. Une édition de 1513, à Milan également – Zanotti Castilione [sic], s’est
vendue 180 f(rancs) l’exempl(aire). Certains érudits prétendent que l’auteur
n’est pas f(ra) Bartholomeo de Pisis ou Degli Albrizzi, mort en 1351 – mais de
fra Bartholomeo de Dirionico [sic] mort en 1401 –
Non so come interpretare l’ultima nota, che potrebbe anche essere un deprezzamento dissimulatorio, per cercare di conservare la proprietà del libro,
minacciata dallo Stato francese. Fatto sta che il Liber Conformitatum seguì
la sorte di altri libri di conventi soppressi: finire in mani private e sul mercato
antiquario; fin che fu annoverato nel catalogo della Libreria Pregliasco di Torino.
Indi è pervenuto, per acquisto, alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano.
Fogli 38/2017 Rara et curiosa / Giancarlo Reggi, Bartolomeo da Pisa, Liber Conformitatum
Cet ouvrage vendu à un si haut prix, 450 livres, a beaucoup perdu de sa valeur,
des exemplaires sont descendus à 80 fr(ancs) à 50 fr(ancs) et même à 45 fr(ancs).
Aujourd’hui il est probable qu’on n’en retirerait guère que 20 fr(ancs).
115
In biblioteca
Fernando Lepori
Incontri in biblioteca
Nel 2016 sono state proposte in biblioteca nove conferenze, su tematiche di
cultura religiosa (in particolare biblica e francescana), bibliografica, letteraria
e di storia locale (v. questo numero di «Fogli», pp. 142-143). In questa nota si dà
conto di alcune di esse: le lezioni sul modernismo e quelle su Bibbia e letteratura.
116
1. Il modernismo
Con lo scopo di illustrare gli aspetti salienti e gli autori più importanti del movimento di riforma religiosa indicato con il termine di ‘modernismo’, sono
state proposte tre conferenze: il 10 maggio Annibale Zambarbieri ha animato
l’incontro introduttivo, sul tema La crisi modernista: riformismi, fratture,
continuità; il 24 maggio sono stati sviluppati due temi centrali con la lezione
di Ezio Bolis su Il modernismo: un modo nuovo di leggere la Bibbia e la storia
del cristianesimo; il 2 giugno, infine, è stata analizzata un’opera letteraria che
è stata interpretata come un ‘manifesto’ modernista (e che si può con buone
ragioni considerare tale, al di là delle intenzioni dell’autore): Elisabetta Selmi
ha parlato su Il modernismo nel romanzo Il Santo di Antonio Fogazzaro.
In termini molto generali, si può dire che il modernismo è un movimento
di riforma religiosa che, in campo cattolico, si è sviluppato in Francia, in Italia
e in Inghilterra tra la fine del secolo xix e l’inizio del secolo xx. Come indica il
nome, gli autori che diedero inizio a questa corrente erano mossi essenzialmente dall’esigenza di conciliare la fede cristiana con la cultura moderna. Ciò
comportava – per indicare alcuni temi centrali – l’applicazione del metodo
storico-critico nella lettura della Bibbia, la consapevolezza dell’evoluzione
storica dei dogmi, il rifiuto del neotomismo e una nuova attenzione alla filosofia moderna. Il modernismo si diffuse soprattutto in Francia, con le opere di
Alfred Loisy (1857-1940), di Louis Duchesne (1843-1922) e di Henry Bremond
(1865-1932), autore di una monumentale Storia della spiritualità (1915-1933).
In Italia il modernismo si sviluppò nel solco del cattolicesimo liberale ed ebbe
il suo autore più importante in Ernesto Buonaiuti (1881-1946), con il quale
vanno ricordati Giovanni Semeria (1867-1931), Romolo Murri (1870-1944) e
Giovanni Genocchi (1860-1926). In forma letteraria manifestò la sua adesione
117
1 Il Programma dei Modernisti. Risposta all’Enciclica di Pio X “Pascendi dominici gregis”,
Roma, Società internazionale scientifico-religiosa, 1908, pp. 5 n. 1, 130, 132. Il Programma, che
è una risposta puntuale alla Pascendi di Pio x che condanna il modernismo, venne pubblicato
anonimo ma è in gran parte opera di Ernesto Buonaiuti.
Fogli 38/2017 In biblioteca / Fernando Lepori, Incontri in biblioteca
alle idee moderniste Antonio Fogazzaro (1842-1911), soprattutto con il suo
romanzo Il Santo (1905). Ma l’espressione più originale del modernismo si
deve a George Tyrell (1861-1909), anglicano irlandese che nella sua giovinezza
aderì al cattolicesimo.
Conviene anche ricordare che il termine modernismo apparve solo tra il
1904 e il 1905 e fu impiegato all’inizio unicamente da chi era contrario,
suscitando il dissenso dei ‘modernisti’ i quali, in un testo di estrema importanza
e chiarezza, dichiarano che il loro «atteggiamento religioso […] vuol essere
semplicemente di cristiani e di cattolici, viventi in armonia con lo spirito del
loro tempo» e di essersi «accinti a riavvicinare la esperienza religiosa del
cristianesimo ai dati della scienza e della filosofia contemporanee, e a segnalare gli elementi di religiosità e di cristianesimo che la democrazia porta in sé
stessa»; essi volevano vivere la propria fede cristiana tenendo conto delle conquiste dell’epoca moderna, nella consapevolezza che «una grande crisi di anime,
non cominciata da oggi, ma giunta oggi al più alto grado di sua intensità, travaglia
tutte le confessioni religiose positive in Europa: il cattolicesimo, il luteranesimo, l’anglicanismo»1. I modernisti insomma furono molto espliciti nell’affermare di voler rimanere nella Chiesa e sviluppare una riforma in essa
e non contro di essa.
Per quanto il modernismo non sia un sistema teologico organico (come lo
è invece la neoscolastica), l’intenzione di fondo, pur con differenze anche
significative fra i vari teologi modernisti, è di ripensare la teologia cristiana
alla luce del pensiero moderno. E qui val la pena ricordare che il pensiero
moderno nasce con l’umanesimo, che si caratterizza in particolare per una nuova
coscienza storica e filologica nel rapporto coi testi, e quindi pure con la
Scrittura. Non dimentichiamo che fu Lorenzo Valla, con le sue Adnotationes
in Novum Testamentum, ad applicare per la prima volta alla Bibbia i principi
della filologia umanistica: ma sappiamo che il Valla fu accusato di empietà e
che la sua opera fu pubblicata solo nel 1505, a Basilea, da Erasmo. Possiamo
dire con buone ragioni che l’opera del Valla anticipa, in nuce, quello che sarà
un tema centrale dei modernisti, cioè la lettura della Bibbia secondo il metodo
storico-critico. E pensiamo che con l’umanesimo si sviluppa il neoplatonismo
cristiano di Ficino e di Pico, in alternativa all’aristotelismo come chiave
interpretativa del dogma. Dopo l’umanesimo, pensiamo all’erudizione settecentesca, prima in Francia e poi in Italia, che significa un modo nuovo di
intendere e praticare la ricerca storica, l’accertamento della verità storica.
E pensiamo, come componente radicalmente innovativa e propria della
modernità, all’illuminismo razionalistico, che comporta necessariamente un
nuovo e diverso modo di interpretare il cristianesimo. E aggiungiamo, infine,
lo sviluppo della scienza, lo spirito scientifico. Con questi sommari riferimenti alla ‘modernità’, si può capire quali fossero l’orientamento e la sensibilità
religiosa di chi, da teologo o semplicemente da credente, poteva ritenersi
modernista.
2 Enchiridion delle Encicliche, iv, Bologna, edb, 1999, p. 277. Osservo che il testo latino
dell’enciclica è tradotto sia con ‘sintesi’ (più frequentemente) sia con ‘ricettacolo’. Ma non è
inutile segnalare che in latino il vocabolo è ‘conlectus’, traducibile di per sé con ‘raccolta’,
‘ammasso’, con evidente connotazione negativa.
3 Carlo Bellò, Geremia Bonomelli vescovo di povera santa Chiesa, Brescia, Queriniana,
1975, p. 487. Cfr. Annibale Zambarbieri, Modernismo e modernisti, i. Il movimento, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2013, p. 123.
4 «Non so che dire! Ho reverenza per il Vicario di Cristo, ma non posso approvare. Questo
modo di agire fa più male che bene. Genera ribelli o ipocriti, con grande scapito per la Chiesa.
Sembra che quest’uomo soffra di un’ossessione grave, per quanto lo si possa e debba credere
buono di sua natura. Ha forse cattivi consiglieri? È forse, la sua, una fede e una devozione
carente di cultura? Chi lo sa? Certo è che la Chiesa ne paga il fio e noi piangiamo».
5 Basti, fra gli altri, questo passo dell’enciclica: «Se un laico cattolico, se un sacerdote
dimentica il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo
seguire Gesù Cristo, né sradica dal suo cuore la mala pianta della superbia, sì, costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo!» (Enchiridion delle Encicliche,
cit., p. 283).
118
Va subito detto, a questo punto, che il modernismo fu condannato dalla
Chiesa, con il decreto Lamentabili sane exitu del S. Uffizio (1906) e l’enciclica
Pascendi dominici gregis di Pio x (1907), nella quale «l’intero sistema» è definito
«la sintesi di tutte le eresie»2. Agli occhi dello storico di oggi la repressione
antimodernista della Chiesa ufficiale non stupisce. A una lettura anche superficiale dell’enciclica, non può non colpire la durezza della condanna, a proposito
della quale è interessante ricordare il giudizio che Geremia Bonomelli, vescovo
di Cremona, espresse nel 1909 in un appunto solo recentemente pubblicato3,
nel quale a una domanda sull’enciclica formulata in italiano risponde, cautelativamente in latino, con queste parole: «Che dirò del modo con cui Pio x
procede contro il cosiddetto Modernismo? Nescio quid dicam! Revereor
Vicarium Christi sed approbare nequeo. Haec agendi ratio magis officit quam
prosit. Rebelles parit aut hipocritas magno ecclesiae detrimento. Homo iste
videtur obsessione mala laborare, licet bonus ex natura sua credi possit et debeat.
Sunt-ne consiliarii mali? Est-ne fortasse fides et pietas scientia carens? Quis
scit? Profecto ecclesia poenas luit et nos lugemus»4 . Si può aggiungere che la
Pascendi si caratterizza per i giudizi non solo dottrinali ma anche morali
espressi sui modernisti, accusati in particolare di superbia, colpa molto grave
per chi si professa cristiano5.
Nella prima lezione Zambarbieri, il più autorevole studioso italiano
di modernismo, ha spiegato come la crisi modernista sia il sintomo di un
confronto tra una mentalità ancorata al trascendente e una visione del mondo
tendenzialmente immanentista o, se si vuole, tra cristianesimo e mondo
contemporaneo. Questa concezione si diffuse dapprima in Francia, con le
opere di Alfred Loisy, il padre del modernismo, che sostenne la storicità
dei dogmi nella loro interpretazione e formulazione, e si diffuse poi in Italia
soprattutto con il pensiero di Ernesto Buonaiuti, il grande innovatore
della seconda generazione modernista. È pure stato citato l’irlandese George
Tyrell, il più originale dei modernisti, per il quale la fede è un’esperienza
spirituale che precede il pensiero in termini concettuali. Con queste premesse,
Zambarbieri ha dimostrato che i modernisti non costituiscono comunque
un sistema teologico organico, come risulta evidente dalle differenze che si
possono ravvisare tra di loro, mentre la Pascendi cerca di sistematizzare le
119
6 Zambarbieri, Modernismo, cit., p. 108.
7 Le 50 o anniversaire de la mort de Mgr Duchesne. Allocution à l’École française de Rome,
«La documentation catholique», 70 (1973), pp. 556-557.
8 Il giorno successivo, nel suo Diario, Primo Mazzolari scrive questa nota che mi pare
estremamente interessante riportare: «Oggi uscì la condanna della Sacra Congregazione
dell’Indice contro Il Santo del Fogazzaro […]. Senza avere la pretesa di far il maestro o il saputello,
voglio esporre le mie povere idee su questo libro. Il mio giudizio l’ho già dato su queste pagine
subito dopo averlo letto e mi pare d’aver trovato nulla che in qualche modo potesse offendere o
il domma o la Chiesa. Erano idee belle, idee forse un po’ troppo spinte o premature. Parlando
del domma, egli non afferma la mutabilità dell’essenza di questo, ma bensì del modo e della maniera
di intenderlo, che può cambiare col mutare degli uomini e dei tempi. Della Chiesa poi non
parla e non discute sulla parte divina di questa, ma della chiesa degli uomini e mi pare che certe
Fogli 38/2017 In biblioteca / Fernando Lepori, Incontri in biblioteca
loro idee, per condannare questa nuova teologia come «sintesi di tutte le
eresie». Lo studioso ha infine ricordato come i modernisti si caratterizzino
per una sensibilità ecumenica allora sorprendente, tanto che alcune loro
posizioni sono definibili come «protoecumeniche»6.
Nella seconda lezione Ezio Bolis ha sviluppato due obiettivi fondamentali perseguiti dai modernisti: un nuovo modo di interpretare il testo
biblico, che tenga conto del metodo storico-critico, e una nuova lettura della
storia del cristianesimo che, abbandonata l’apologetica tradizionale, si basi
scrupolosamente sulle fonti documentarie. Sul primo punto val la pena ricordare che gli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento
sono caratterizzati da un rinnovato interesse per la lettura e l’interpretazione della Bibbia. Al 1893 risale la Providentissimus Deus di Leone xiii, che
esorta gli esegeti cattolici a mettere in atto una specifica competenza scientifica studiando le antiche lingue dell’Oriente e applicando il metodo storicocritico anche sulla base delle discipline connesse, quali l’archeologia e la filologia. Nel 1890 il domenicano francese Marie-Joseph Lagrange, il maggior
biblista dei primi decenni del Novecento, fonda a Gerusalemme l’École biblique. Lagrange fu poi accusato di modernismo e fu all’origine di una discussione per aver messo in dubbio la paternità mosaica del Pentateuco. Sul tema
dell’ispirazione della Scrittura il relatore s’è rifatto soprattutto a Loisy,
secondo il quale la Bibbia è stata scritta da uomini, e come tale deve essere letta:
questa concezione, allora inaccettabile, la troviamo ora autorevolmente
espressa nella costituzione Dei Verbum (n. 12) del Concilio Vaticano ii. Quanto
alla storia del cristianesimo, Bolis ha parlato dell’evoluzione dei dogmi
nel permanere della fede, spiegando come si debba fare una lettura storica
dei ‘dati della fede’. Per il nuovo modo di interpretare la storia della Chiesa
bisogna ricordare soprattutto Louis Duchesne, le cui sue opere furono
messe all’Indice ma che fu riabilitato da Paolo vi, il quale, in un discorso
pronunciato il 24 maggio 1973 all’École française di Roma per il 50 o anniversario della sua morte, lo definì fra l’altro «artiste de la narration historique»
e «noble figure de prêtre français et romain» nonché «sévère et génial
chercheur»7. Le questioni poste dai modernisti rimangono insomma attuali
nel dibattito teologico: per questo il modernismo non è un movimento
storico superato.
Nella terza lezione, di Elisabetta Selmi, è stato preso in esame il romanzo Il Santo di Antonio Fogazzaro, che per le idee moderniste che vi sono
espresse venne messo all’indice con decreto del 5 aprile 19068. Il Fogazzaro,
noto al grande pubblico come autore di Piccolo mondo antico (1895), è un
letterato, non propriamente un teologo: ma un letterato che esprime la sua
adesione al modernismo con il romanzo che è la continuazione di quello
citato, Piccolo mondo moderno (1901) e soprattutto – con piena consapevolezza – con Il Santo (1905). Anche se il Fogazzaro negò di averne avuto il
progetto fin dall’inizio, si tratta di fatto di una trilogia, perché il protagonista di Piccolo mondo moderno è Piero Maironi, concepito – come sappiamo –
nell’ultimo incontro di Franco e Luisa, all’Isola Bella, alla fine di Piccolo mondo
antico. E Piero che, persa la moglie, asseconda la sua tendenza mistica
giovanile e si ritira a Subiaco, come semplice ortolano dei monaci, con il nome
di Benedetto, è il protagonista del Santo. Benedetto è deciso a restare
separato da Jeanne, la donna atea che è innamorata di lui, ma le promette di
chiamarla a sé prima di morire. Allontanato dai benedettini, va a vivere
sui monti e aiuta i poveri vivendo fra loro miseramente. Lo credono santo.
Poi fugge a Roma e chiede un colloquio al papa, al quale espone le ‘piaghe
della Chiesa’. Il papa lo benedice e gli dà ragione, ma si dice prigioniero del
suo ruolo. Benedetto infine muore e Jeanne, accorsa da lui, bacia il suo
crocefisso. Elisabetta Selmi ha spiegato come Il Santo, dopo un periodo di
febbrile attesa negli ambienti del cattolicesimo riformatore, costituì un caso
clamoroso soprattutto sotto il profilo religioso, nel contesto delle polemiche
sul modernismo che si protrassero a lungo, nonostante il dignitoso riserbo
assunto dall’autore dopo la messa all’indice dell’opera e la durissima stroncatura comparsa, nello stesso anno, sulla «Civiltà Cattolica», che valutò
il protagonista Piero Maironi-Benedetto un modello di santità «eretica» ed
«affettata». Oggi la revisione critica di quei giudizi, per cui Il Santo non
è più ritenuto un ‘romanzo a tesi’ ma un documento dell’autentica ricerca
religiosa di Fogazzaro, invita a leggere l’opera come la testimonianza
di una nuova apologetica moderna o modernista e di un misticismo non
‘decadente’. Sulla religiosità dello scrittore nel periodo tra Piccolo mondo
moderno e Il Santo è illuminante questo passo di una lettera da lui scritta
a Geremia Bonomelli il 27 dicembre 1902.
idee su ciò non siano proprio il non plus ultra del modernismo, né nient’altro fuorché la verità.»
(Primo Mazzolari, Diario (1905-1926), a cura di Aldo Bergamaschi, Bologna, edb, 1974, p. 75).
9 Corrispondenza Fogazzaro - Bonomelli, a cura di Carlo Marcora, Milano, Vita e
Pensiero, 1968, p. 63.
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In questi ultimi mesi ho molto vissuto nella corrente delle idee religiose che
rappresentano, nel campo cattolico, l’avvenire e la vita. Lettura di Loisy,
di Houtin, di Tyrell, conversazioni con Semeria, P. Gazzola, D. Brizio, P.
Genocchi mi hanno scossa, illuminata, qualche volta pure, se vuole, turbata
l’anima […]. Ho finalmente capito, leggendo quei libri, quello che Semeria
mi disse anni sono: “bisogna conoscere la critica biblica”. Infatti la notizia dei
risultati sicuri degli studi biblici, se può uccidere una fede debole, rinvigorisce
invece la fede forte, allarga e approfonda il concetto del divino, è quindi efficacissima a preparare quella evoluzione nella intelligenza del dogma che i
tempi domandano.9
Fogli 38/2017 In biblioteca / Fernando Lepori, Incontri in biblioteca
121
2. Bibbia e letteratura
Anche nell’autunno del 2016, nell’ambito dei consueti incontri biblici, la nostra
Associazione ha proposto un breve corso di tre lezioni sul tema “Bibbia e
letteratura”. Gli incontri hanno avuto inizio il 17 novembre, con una lezione
di Adalberto Mainardi su La parola risuscitata. Il processo a Jeshua HaNozri nel Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Il 23 novembre Piero
Stefani ha parlato sul tema “Vi comando queste parole”: dall’imperativo
biblico alla testimonianza di Primo Levi. Il 29 novembre, infine, Elisabetta
Selmi ha tenuto una lezione sui volgarizzamenti dei Treni di Geremia, con
il titolo Le Lamentazioni di Geremia profeta: da modello per “l’elegia sacra”ad
archetipo romantico di “una poesia veramente sublime”.
Il romanzo Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov (1891-1940) è il
capolavoro di uno dei maggiori scrittori russi del Novecento. L’opera nasce in
un contesto biografico e storico- culturale che è opportuno richiamare. Dopo le
prime opere Bulgakov, che alla fine degli anni Venti fu condannato sistematicamente dai critici sovietici, non poté più pubblicare né lavorare. Ridotto ad uno
stato di disperazione, il 28 marzo 1930 si rivolse con una lettera al governo
dell’Unione Sovietica chiedendo di poter lasciare la patria o di poter lavorare
come regista o come comparsa in un teatro. In questa lettera Bulgakov scrisse
anche di aver gettato «con le proprie mani nella stufa» la «minuta di un romanzo
sul diavolo». Si tratta del Maestro e Margherita, già almeno iniziato e dato alle
fiamme. Ritroveremo il tema del manoscritto bruciato nel dialogo tra Woland
e il Maestro. Il 18 aprile Stalin telefonò a Bulgakov, rispondendo alla lettera del
28 marzo: gli accordava un impiego al Teatro d’Arte di Mosca. Dopo il 1930 lo
scrittore riprese a scrivere il romanzo, che tuttavia fu pubblicato solo molti
anni dopo la sua morte (1940). La prima edizione integrale in russo uscì nel 1967
dall’editore Einaudi. Quando apparve la prima edizione italiana, sempre nel
1967, Eugenio Montale pubblicò sul «Corriere della Sera» del 9 aprile una breve
recensione e, prevedendo un sicuro successo internazionale, scrisse tra l’altro:
«il poco noto Bulgakov si congiunge con la più profonda tradizione letteraria
della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol
e di Dostoevskij». Ma per il rapporto con la Scrittura conta il capitolo secondo,
con l’interrogatorio di Gesù (Jeshua Ha-Nozri) da parte di Pilato, del quale
ancora Montale scrisse «che è forse il più stupefacente del libro». Si tratta di un
vero e proprio ‘romanzo nel romanzo’, una ri-scrittura insieme fantastica e
affascinante dei Vangeli della passione.
Nella sua relazione, Mainardi ha mostrato come il paradossale dialogo tra
Woland (uno dei nomi di Mefistofele nel Faust goethiano) e l’eroe de Il Maestro
e Margherita delinei la metafora fondamentale attorno a cui è costruito il romanzo: la parola autenticamente poetica, come l’amore, brucia di una fiamma
più forte della morte. Il romanzo è perciò al tempo stesso un’impietosa satira
del sistema staliniano e una sorprendente ricomparsa dell’epopea faustiana
in pieno xx secolo, «un miracolo che ciascuno deve salutare con commozione»
(Montale). Come ha detto Mainardi, «nella struttura a incastro dell’opera,
la vicenda di Pilato, ossessionato dalla parte avuta nella condanna di Jeshua
Ha-Nozri, è il romanzo nel romanzo che fornisce la chiave alla storia surreale
di Satana apparso nella Mosca degli anni Venti, per smascherare doppiezze,
10 Per questa poesia di Levi e il suo rapporto con le fonti bibliche qui sommariamente
illustrato si veda lo studio di Piero Stefani Riprese letterarie. Lo Shemà di Primo Levi, nella sua
raccolta di saggi L’esodo della Parola. La Bibbia nella cultura dell’Occidente, Bologna, edb,
2014, pp. 126-132.
122
finzioni, ipocrisie, ma anche per ricongiungere misteriosamente Margherita
e il suo Maestro-Faust. Teatralità e poesia, tragedia e commedia, si armonizzano attorno a una riscrittura fantastica dei Vangeli della passione, che sembra
seguire le tracce di un apocrifo perduto, rendendo indicibilmente viva nel
lettore la nostalgia di verità e luce, di giustizia e pace».
Primo Levi (1919-1987) è uno scrittore italiano noto soprattutto per
il romanzo Se questo è un uomo, definibile come la narrazione-testimonianza
di uno dei pochi ebrei sopravvissuti all’esperienza dei campi di sterminio
nazisti. Di Levi è stata analizzata, mettendola in rapporto con le sue matrici
bibliche, del resto non immediatamente riconoscibili, una poesia, intitolata
Shemà (in ebraico “Ascolta”), scritta nel gennaio del 1946 poco dopo il suo
ritorno da Auschwitz, dove lo scrittore – ebreo e attivo come partigiano in
Val d’Aosta – era stato deportato nel febbraio del 1944. In seguito Levi pubblicò
la poesia all’inizio di Se questo è un uomo, edito nel 1947 e poi, con più ampia
diffusione, nel 1958 da Einaudi. L’opera di Levi vuole essere prima di tutto una
testimonianza delle condizioni atroci e disumane in cui vivevano i prigionieri.
Come si legge nella prefazione, il libro vuole «fornire documenti per uno studio
pacato di alcuni aspetti dell’animo umano». E poco sotto: «La storia dei
campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale
di pericolo». Alla luce di queste informazioni, si comincia a capire il senso
profondo della poesia, evidenziato nel verso «Vi comando queste parole»:
testimoniare per fare in modo che queste atrocità non si ripetano. E qui
comincia ad apparire il rapporto con i testi biblici che sono stati illustrati da
Piero Stefani: il testimone Levi è un profeta del nostro tempo, e la sua testimonianza è vana se non viene accolta come un imperativo. Come ha spiegato il
relatore, noto biblista e studioso di ebraismo, Shemà è l’incipit della più nota
tra le preghiere ebraiche (Deuteronomio 6, 4-9). Perché Levi riprende questo
passo? Innanzitutto perché esso comincia in modo imperativo, nella poesia
diventato «Considerate [...] Meditate». Tuttavia a comandare non è più Dio; a
farlo è invece una voce umana che ha conosciuto l’abiezione. Del testo biblico
rimane perciò la dimensione del comando, mentre muta radicalmente chi è nelle
condizioni di comandare. La poesia si richiama però anche ad un altro sottotesto biblico: si tratta di Deuteronomio 28, 15-46, che contiene una sezione di
maledizioni precedute da un’altra dedicata alle benedizioni di cui non c’è
significativamente traccia in Levi. Un messaggio della poesia è sicuramente
quello secondo cui la voce del testimone deve essere ascoltata, eppure questo
verbo è presente solo nel titolo e in una lingua ‘altra’. Neanche questo particolare è casuale10.
I Treni, o Lamentazioni di Geremia sono uno dei testi più importanti ed
affascinanti dell’Antico Testamento. Fanno parte dei libri profetici, e sono
cinque poesie destinate al canto, in cui ricorre come tema di fondo la caduta di
Gerusalemme e la distruzione del tempio ad opera di Nabucodonosor re di
Babilonia: sono perciò canti di dolore, lamenti per una sciagura che ha colpito
Fogli 38/2017 In biblioteca / Fernando Lepori, Incontri in biblioteca
il popolo. E, come si dice nella seconda Lamentazione, la sciagura è stata voluta da Dio a causa del peccato del suo popolo. Il poeta perciò, nel suo lamento,
invoca pietà e clemenza. Anche perché sono testi fondamentali per la spiritualità cristiana e la devozione cattolica, le Lamentazioni conobbero una
singolare fortuna di parafrasi poetiche nel volgare italiano e riscritture letterarie
nei generi illustri della prima e piena modernità. La lezione di Elisabetta Selmi
ha proposto esempi di traduzione-riscrittura, mostrando in particolare come
dal secolo xvi al secolo xix si sviluppi una sperimentazione volta alla ricerca
di nuovi modelli espressivi e di una letteratura più impegnata nel recupero delle
radici bibliche della tradizione cristiana. Sono stati proposti e analizzati testi
di Niccolò Strozzi, Carlo Maria Maggi, Benedetto Menzini ed Evasio Leone.
Questi autori mettono in atto una nuova assimilazione del modello scritturale
nelle forme della tradizione poetica italiana11.
123
11 Su questi temi è fondamentale lo studio di Elisabetta Selmi, Lagrime, pianti, lamentazioni. I volgarizzamenti dei Treni di Geremia e dei Canti profetici tra fine Cinquecento e
Settecento, in La Bibbia in poesia, a cura di Rosanna Alhaique Pettinelli, Rosanna Morace,
Pietro Petteruti Pellegrini e Ugo Vignuzzi, Roma, Bulzoni, 2015, pp. 167-196.
In biblioteca
Alessandro Soldini
Le esposizioni nel porticato
della biblioteca
Introduzione
L’anno sociale appena trascorso ha conosciuto tre eventi diversi tra di loro:
l’esposizione Edizioni di Basilea del XVI secolo a Sud delle Alpi, curata dal
Centro di competenza del libro antico della nostra Biblioteca, la mostra di
libretti e plaquette dell’editore salernitano Gaetano Bevilacqua e la mostra
di ‘legature’, termine che va necessariamente posto tra virgolette per quanto si
leggerà più avanti, dell’artista Antonio Teruzzi. Tre mostre dalle caratteristiche
molto diverse, significative della ricchezza del mondo librario e di quanto
ancora sappia offrire sul piano culturale in un’epoca in cui i media elettronici
la fanno da padrone.
Alle tre mostre realizzate dalla nostra associazione si sono intercalate tre
proposte di grafica organizzate dall’aaac, nostra tradizionale associazione
ospite.
Tra queste mani, dentro la carta
Le Edizioni dell’Ombra di Gaetano Bevilacqua
(15 ottobre–19 novembre 2016)
Nato a Casagiove (Caserta) nel 1959 e cresciuto a Salerno, dove vive e lavora,
Gaetano Bevilacqua inizia a incidere all’acquaforte frequentando per due
anni, dal 1989 al 1991, le lezioni di Francesca Fornerone al Civico Corso di
Arti Incisorie di Milano. Nel 1990, sotto la guida di Lucio Passerini, insegnante di xilografia presso la stessa scuola, si avvicina al mondo della tipografia e stampa la sua prima plaquette con cinque poesie di Bartolo Cattafi e
cinque sue incisioni. Dal 1991 collabora, come incisore o come stampatore,
a diverse edizioni: Galleria Il Catalogo di Salerno, El Mendrugo de Pan
dell’artista argentino Duilio Gabriel López, Pulcinoelefante di Alberto Casira-
124
1 Le mostre organizzate dalla nostra Associazione
Sulla prima mostra, Edizioni di Basilea del XVI secolo a Sud delle Alpi (12
maggio - 12 agosto 2016) riferisce Marina Bernasconi Reusser in un articolo
autonomo (qui, pp. 133-138)
125
avendo assunto ciò che viene definito ‘libro d’artista’ svariate forme, nel corso
della sua evoluzione, mi è difficile darne una definizione che possa renderlo nel
suo complesso. Nell’esperienza a me più vicina, si tratta di edizioni a tiratura
limitata che conservano in sé gli effetti di un lavoro interamente manuale, dal taglio
della carta alla stampa su torchi a mano, alla piegatura dei fogli e cucitura finali;
uno spazio ove testo, immagine, pressioni, inchiostri, caratteri tipografici,
Fogli 38/2017 In biblioteca / Alessandro Soldini, Le esposizioni nel porticato della biblioteca
ghy, Lo Sciamano di Pierluigi Puliti, Nuove Carte di Giordano Perelli,
L’Obliquo di Giorgio Bertelli, Materiali infiammabili di Roberto Alquati, La
Veglia con Simonetta Melani e Luna e Gufo di Fabrizio Mugnaini, insieme al
quale avvia la collana Le Conchiglie, con il cui logo sono state stampate finora
sette plaquette con testi di Roberto Roversi, Gian Ruggero Manzoni, Franco
Facchini, Maurizio Marotta, Anna Cascella, Alberto Cappi, Mario Rigoni Stern
ed incisioni di Mario Guadagnino, Renzo Galardini, Mario Calandri, Renato
Bruscaglia, Walter Piacesi, Raimondo Rossi, Giancarlo Vitali. Nel 1992 dà vita
ad un progetto di edizioni private a tiratura limitata con il marchio Edizioni
dell’Ombra, libretti interamente tirati su torchi a mano che abbinano brevi testi
poetici e in prosa di autori contemporanei o classici a grafiche originali.
L’amalgama tra l’interesse per la poesia, la curiosità appassionata suscitata dalla
scoperta delle tecniche incisorie e la voglia di ‘autoprodurre’ piccoli ‘luoghi
d’incontro’ tra testo poetico e immagine, ne è stato l’alchimia originaria. Il tutto
confortato dalla complicità paziente di amici poeti e incisori che hanno
nutrito e continuano a nutrire con testi e matrici da stampare l’impulsiva fiamma
iniziale. Un avvio più istintivo che progettato – afferma Bevilacqua – un’idea
in progresso che dura e pervade ancor oggi il suo lavoro, mosso da un solo
obiettivo, lo scambio amichevole, sovente nato da un incontro nuovo e
inaspettato, da un «incontro di carta», come ama definirlo, alimentato dalla sua
costante attenzione alla letteratura e alla poesia non solo di lingua italiana,
ma anche di lingue straniere, soprattutto dell’inglese, sua materia d’insegnamento nelle scuole superiori.
Il nome ‘dell’Ombra’ dato alle sue edizioni indica un vivere nascosto e
discreto, una passione privata coltivata con lentezza e in massima parte
nell’ombra di un piccolo studio, dove la stampa dei libretti si alterna alla produzione di grafiche originali, acquerelli e acrilici.
La mostra nel Porticato della Biblioteca Salita dei Frati a Lugano ha
proposto uno spaccato significativo dell’opera di Gaetano Bevilacqua,
testimonianza di una passione che è nata, ha tratto e continua a trarre linfa
‘nell’ombra’, vale a dire da un lavoro discreto, silenzioso, lontano dal chiasso,
dalla vistosità e persino dal kitsch che caratterizzano molte delle odierne
manifestazioni; un modus operandi che privilegia la lentezza, la riflessività,
la raffinatezza, che ci rammenta un fare antico intriso di manualità e di
saggezza.
Queste caratteristiche, unite alla manualità, contraddistinguono le
plaquette pubblicate dalle Edizioni dell’Ombra, che sono veri e propri libri
d’artista di piccolo formato. In una dichiarazione rilasciata a Martine Beuchat, reperibile sul sito www.bulino.com/liber-libenter/dettodellombra.html,
Bevilacqua così definisce o, meglio, descrive, quello che intende per libro
d’artista:
A sinistra: due copertine
delle Edizioni dell’Ombra.
Walt Whitmann, To You,
Edizioni dell’Ombra,
xilografia di
Gaetano Bevilacqua.
A destra: Cesare Pavese,
Poesie, Torino, Einaudi, 1961,
copertina di Antonio Teruzzi,
tecnica mista.
spessori e goffratura delle carte si sintetizzano, in uno scambio continuo di rimandi,
in un luogo ‘altro’, in una esperienza in cui tatto, vista, odorato siano stimolati.
Sulle Edizioni dell’Ombra e sulle incisioni di Gaetano Bevilacqua hanno
scritto, tra gli altri, Stella Romano, Simonetta Melani, Marcello Napoli,
Gerardo Pedicini, Maurizio Marotta, Francesca Fornerone e Fernanda
Ferraresso (www.bulino.com/info.html)
1 Raffaele Deluca, Legature di attese, in Legature, Milano, Edizione d’arte Severgnini, 2012
(pagine non numerate).
2 Alberto Crespi, Cometarum intercettore, in Legature, cit., [s.n.p.].
128
Tempo unico
Antonio Teruzzi
(25 febbraio–8 aprile 2017)
Antonio Teruzzi è nato nel 1945 a Brugherio (mb) dove vive e lavora. Pittore,
scultore e incisore, è profondo conoscitore di tecniche rare come l’encausto e
l’affresco su muro e su tela o stucco lucido. Sperimenta senza posa, affascinato
dall’unire materia e spirito, traguardo delle antiche pratiche alchemiche. Da
molti anni raccoglie vecchi libri, che trova nei mercatini, da rivenditori di libri
usati o da antiquari: vecchi libri, che veicolano i valori fondamentali etici,
filosofici, estetici, giuridici, su cui poggia la civiltà occidentale di matrice cristiana. Non si tratta necessariamente di libri di pregio; nella maggior parte dei
casi sono libri usati, passati fra diverse mani. Per garantirne la sopravvivenza
l’artista li impreziosisce con un’opera d’arte. Teruzzi parla di legature, termine
che nel suo caso acquisisce una duplice valenza. Con legatura intende l’applicazione sul piatto anteriore della copertina, dopo aver consolidato il libro, di
un’opera d’arte originale, unica, un vero e proprio bassorilievo realizzato con
materiali diversi quali, ad esempio, la terracotta, il cartone, il rame o altri
metalli. Ma legatura sta anche a indicare il legame con il contenuto del volume
e il dialogo che nasce tra opera d’arte e contenuto. Per rendere fruibile al visitatore, al lettore il dialogo che lo attende, «un’attesa piena di tensione creativa
e di conoscenza che punta ad altre attese, metafora dell’attesa che è essa stessa
tempo, durata, vita»1, il fotografo Carlo Pozzoni ha realizzato per ognuno dei
libri esposti una o più fotografie del frontespizio o di pagine significative del testo.
In un’epoca in cui il libro è sempre più penalizzato dai media elettronici
che invadono la nostra quotidianità, «Antonio Teruzzi – come ha rilevato
Ilona Biondi, curatrice della mostra, nel pieghevole – cerca, con la sensibilità
propria dell’artista, di restituire al libro il suo originario valore facendolo
rivivere in un tempo unico». «In questo modo, l’opera d’arte continuerà a
vivere – continua Ilona Biondi – nelle nostre case garantendo ancora per molto
la presenza del libro altrimenti destinato a scomparire».
Secondo Alberto Crespi, «l’idea di una nuova veste, una cover semirigida
come una corazza leggera ma protettiva a celare l’antica facciata velandola di
nuovi segreti chiaroscuri, incidendola in segni di una luce nuova e antica, si
è fatta strada e si è imposta facilmente alle scelte dell’artista, sulla scorta di
un saper fare elegantemente agguerrito nelle tecniche, e di un’amorosa ipersensibilità verso la materia»2.
2. Le mostre dell’Associazione Amici dell’Atelier
Calcografico (aaac)
La necessità di dare corpo alle percezioni dell’ambiente vissuto mi porta attualmente a privilegiare indagini su supporti plastici di varia natura. Il plexiglas
in particolare con la sua trasparenza mi riconduce all’ambiente dell’acqua e delle
forme naturali che qui si esprimono. Il segno su questo tipo di matrice non si
orienta esclusivamente secondo i punti cardinali, ma si avventura anche nel concetto
di profondità e di altezza. L’incisione diretta con le tecniche classiche e con
quelle più tecnologiche è il linguaggio prescelto.
129
Ubaldo Rodari
(2 aprile–7 maggio 2016)
Ubaldo Rodari è nato a Bergamo nel 1952. Conseguita la maturità scientifica,
intraprende l’attività artistica come autodidatta. Dopo un viaggio di studio
a Parigi nel 1977, frequenta a Venezia la Scuola internazionale di Grafica con i
maestri Riccardo Licata e Giuseppe Zigaina. Pittore e incisore, attualmente
è presidente e direttore artistico dell’associazione Il Brunitoio, Officina di
Incisione e Stampa a Ghiffa, con sede presso la sala d’esposizioni dell’ex
Cappellificio Panizza. Vive e lavora a Verbania.
Rodari racconta che nello stesso caseggiato in cui viveva la nonna paterna
a Bergamo aveva trovato sede la Tipografia Secomandi. Entra così in contatto
con le pile di risme di carta della tipografia e con il denso odore d’inchiostro
fresco che si respirava nei locali, dove in un angolo «troneggiava – ben tenuto
– un torchio calcografico attorno al quale era indaffarato un uomo con il grembiule di cuoio». Questo incontro lasciò in Rodari un segno indelebile, che si
manifestò imperioso quando, frequentando gallerie che esponevano incisioni
all’acquaforte, si imbatté in una citazione di Paul Valéry: «amo l’incisione
perché ci restituisce il massimo delle nostre impressioni con il minimo dei
mezzi sensibili».
Nella pittura di Rodari, l’incisione gioca un’influenza fondamentale (ma
non viceversa), ciò che lo ha sospinto verso un’estetica intima. Afferma a
questo riguardo:
Fogli 38/2017 In biblioteca / Alessandro Soldini, Le esposizioni nel porticato della biblioteca
Nel corso della mostra hanno avuto luogo due eventi, che hanno visto
protagonisti un fotografo e un musicologo in dialogo con Teruzzi, di cui
condividono i valori veicolati dalla sua arte:
– il 15 marzo 2017, l’incontro, dal titolo Tempi moderni, con Carlo Pozzoni, autore di numerosi reportage fotografici apparsi sulle più prestigiose
testate italiane e internazionali e protagonista di svariate mostre fotografiche
che interpretano in maniera singolare architetture, persone, arte e momenti
storici della città di Como;
– il 25 marzo 2017, l’incontro sul tema Legature d’attesa. Il tempo della
musica scritta con il musicista e musicologo Raffaele Deluca, collaboratore,
tra l’altro, di numerose biblioteche storiche e musicali in qualità di ricercatore
e di coordinatore scientifico.
Quando invece incide su lastre di rame o di zinco prevalgono le acquetinte
e gli acidi diretti controllati per interpretare i toni e i mutamenti dell’ambiente
acquatico. «È lo stravolgimento e il ribaltamento di molte delle tecniche
apprese che a mio parere – così conclude il suo scritto nel Quaderno n. 88 dell’aaac, apparso nella primavera del 2016 – giustificano il linguaggio dell’incisione, passando per la necessaria e vitale re-interpretazione al fine di dare forma a
ciò che, come un’ombra, si è depositato a livello intellettuale. Questa lettura
sensibile di ciò che accade nel mio contemporaneo ha bisogno di ‘questa’ incisione
senza preclusioni e rigidità, nella speranza di costruire nuovi ponti e nuove
finestre sul mondo».
L’artista ha ulteriormente illustrato gli aspetti della sua ricerca creativa
nel corso di un coinvolgente incontro con un folto pubblico presente nella sala
di lettura della biblioteca, il 9 aprile 2016 , in cui ha ribadito che la ricerca di
supporti non tradizionali, come il plexiglas, gli consente di portare in superficie sensazioni latenti, intime, utilizzando quando necessario due lastre, una
stampata in rilievo a secco (goffratura), l’altra inchiostrata calcograficamente,
così da trasmettere alla carta al tino le sottili e intime vibrazioni sedimentate
in anni di frequentazione dell’ambiente lacustre.
Da sempre preoccupata dalla vita, dalle sue metamorfosi, dalle sue tracce e dai
suoi ricordi – afferma ancora l’artista – il rapporto con il tempo ha assunto poco
a poco uno spazio essenziale nelle mie ricerche. La vita, la morte, sensazioni
indicibili e ineffabili sono al centro del mio lavoro e ogni solco inciso deve trovare
il suo giusto collocamento per essere il più vicino possibile all’essenziale.
130
Catherine Gillet
(3 settembre–8 ottobre 2016)
Catherine Gillet, nata nel 1960 a Le Blanc nel Centro della Francia, si è diplomata all’Institut d’Arts visuels di Orléans nel 1984. A soli vent’anni vince
il prestigioso Prix Lacourière, creato sotto l’egida della Fondation de France
in onore all’incisore e maestro stampatore Roger Lacourière, ottenendo
negli anni successivi numerosi riconoscimenti. Vive e lavora a Drex e a Parigi.
Attualmente presiede l’associazione Manifestampe.
Per l’artista «incidere significa perdersi per ritrovarsi: affidarsi alla lastra
di rame, ai suoi riflessi, alla sua superficie dura e tenera nel contempo, che
la lama affilata del bulino incide amorevolmente, vero prolungamento della mano
che lì deve dissolversi ». Si tratta di un lungo viaggio alla cieca dal quale è
impossibile tornare indietro, sovente mesi e mesi di lavoro senza sapere se la
strada intrapresa è la buona, poiché l’artista non imprime prove di stampa
fintanto che la sequenza delle incisioni non è terminata, «fintanto – così si esprime Catherine Gillet – che non ha esaurito quel che doveva dare, e che ignorava».
Attraverso le opere esposte si è potuto toccar con mano o, meglio,
cogliere con sguardo attento come l’incisione a bulino coniughi lentezza
realizzativa e urgenza espressiva in una sorta di matrimonio improbabile
che conduce al superamento di sé.
Fogli 38/2017 In biblioteca / Alessandro Soldini, Le esposizioni nel porticato della biblioteca
Samuele Gabai
(3 dicembre 2016–21 gennaio 2017)
Samuele Gabai è nato a Ligornetto nel 1949. Si è diplomato all’Accademia di
Belle Arti di Brera a Milano. Dal 1985 al 1987 è stato artista membro dell’Istituto Svizzero di Roma. Per svariati anni ha insegnato al Centro Scolastico
per le Industrie Artistiche (c.s.i.a.) di Lugano. Vive a Campora e lavora a Vacallo
in Valle di Muggio (Cantone Ticino).
La posizione di Gabai è ben profilata. Egli si definisce un peintre-graveur
per il quale pittura e incisione sono un tutt’uno. «Quando l’immagine, nel suo
linguaggio analfabetico, rimane coerente al suo scopo – per lo più misterioso
– si ha un’espressione di ‘poetica’ visiva chiamata anche opera d’arte», afferma
Gabai, al quale non piace «sia in pittura come nell’incisione, l’esibizionismo
tecnico, seppur di abilissima qualità, il ‘grafismo’ e la decorazione a sé stanti».
Nel Quaderno n. 90 destinato ai soci dell’aaac, Gabai, prendendo spunto da
Emergenze. Note da sketchbook e opere su carta (Edizioni Medusa, Milano
2016, p. 194), in cui sono raccolte le sue riflessioni sull’arte, la pittura e l’incisione, offre alcuni sprazzi di riflessione su ciò che per lui significa fare arte,
che confermano l’intima coesione del suo creare, laddove afferma di cercare
«un’immagine come scolpita, un’incisione pittorica, dipinta da un disegno
non privo di senso anche se gravoso e misterioso». Fondamentali nel cogliere
il significato della sua opera sono la percezione e le sensazioni che suscita
nell’osservatore, chiamato a farsi co-autore e nel contempo critico della creazione.
Gabai non si stanca comunque di ripetere, come si legge in uno dei suoi
lampi intuitivi, che «l’incisione calcografica dà un segno di carattere unico,
essendo in profondità incavata, ciò che si vede è tecnicamente un microbassorilievo. Il suo valore sta in questa unicità e non nella moltiplicazione
dell’immagine che, semmai, ne costituisce un ‘valore aggiunto’».
131
Frontespizio
di Alfonso Corradi,
In Apocalypsim d. Ioan.
apostoli commentarius,
Basilea 1560.
In biblioteca
Marina Bernasconi Reusser
La mostra “Edizioni di Basilea
del XVI secolo a sud delle Alpi”
*
*
Si pubblica qui l’intervento di Marina Bernasconi Reusser, tenuto il 12 maggio 2016 in
occasione della inaugurazione della mostra “Edizioni di Basilea del xvi secolo a sud delle Alpi”
esposta nel porticato della biblioteca dal 12 maggio al 12 agosto 2016. Il testo, pur avendo
subito gli adeguamenti indispensabili, conserva alcune caratteristiche tipiche della comunicazione orale.
133
Nella mostra sono stati esposti libri antichi, di per sé non particolarmente
belli né particolarmente preziosi; loro denominatore comune è il fatto di
essere conservati in biblioteche religiose presenti nel nostro territorio. Ciò
spiega le origini della mostra. Con essa si è voluto sottolineare un anniversario, un giovane anniversario: un anno dalla costituzione, presso la Biblioteca
Salita dei Frati, del Centro di competenza per il libro antico, fondato nel
maggio del 2015.
L’Associazione Biblioteca Salita dei Frati svolge da oramai 35 anni la sua
attività di gestione del fondo librario dei Cappuccini del convento di Lugano.
Oltre alla gestione, si impegna a garantire l’apertura, seppur limitata, della
biblioteca al pubblico, ad acquistare opere legate alla storia del libro, alla
religiosità popolare e al francescanesimo, e svolge inoltre attività culturali,
organizzando cicli di conferenze su temi biblici e religiosi ed esposizioni.
La partenza nel 2014 dei Cappuccini ha messo a nudo la fragilità di queste
istituzioni religi ose ancora presenti sul nostro territorio e il pericolo nel quale
si sarebbero potuti trovare i fondi librari, non solo quelli depositati in questa
biblioteca ma, in generale, quelli affidati a enti o istituzioni religiose.
I lunghi anni di familiarità con questo tipo di raccolte librarie, con la relativa
esperienza accumulata nella loro gestione, fanno di questa biblioteca e delle
persone che vi lavorano il luogo ideale nel quale istituire un centro di questo
genere.
Di cosa si occupa il Centro di competenza per il libro antico?
Della salvaguardia e della valorizzazione dei numerosi fondi librari antichi
conservati sia in biblioteche aperte al pubblico (in particolare religiose),
sia private, presenti nel Canton Ticino.
La prima operazione che si è resa necessaria, e che è ancora in corso,
1 Per l’elenco si rinvia a Edizioni di Basilea del XVI secolo a sud delle Alpi, Catalogo
dell’esposizione a cura del Centro di competenza per il libro antico (Lugano, Biblioteca Salita
dei Frati, 12 maggio - 12 agosto 2016), numero monografico di «Arte e Storia», 16, num. 68
(marzo-aprile 2016), sommario alle pp. 10-11.
134
consiste nell’effettuare un censimento di questi fondi librari. Sono numerosi,
sparsi in tutto il territorio, e per la maggior parte poco o nulla conosciuti
dal grande pubblico.
Al censimento deve necessariamente seguire, e in questo senso si sta
lavorando, una catalogazione. Questa catalogazione, per la quale siamo
continuamente alla ricerca di finanziamenti, viene effettuata con criteri scientifici, immettendo direttamente i dati raccolti nel catalogo in linea del Sistema
bibliotecario ticinese. In questo modo, tramite i metacataloghi nazionali e
sovranazionali, anche il volume conservato nella più sperduta biblioteca
parrocchiale ticinese ottiene una sua visibilità, non solo nazionale ma anche
internazionale.
I criteri con i quali abbiamo scelto i venti volumi esposti1 sono sostanzialmente due: i libri provengono tutti da biblioteche religiose e sono stati stampati
a Basilea, tutti nel xvi secolo tranne un incunabolo.
Parlando di ‘biblioteche religiose’ non dobbiamo pensare unicamente a
quelle dei conventi, per lo più francescani, che noi tutti conosciamo, come
questo di Lugano, della Madonna del Sasso o del Bigorio. In realtà nel territorio sono presenti vari fondi librari, conservati per la maggior parte nelle
parrocchie, di consistenza più o meno grande, ma non per questo meno degni
di conservazione.
In questa mostra abbiamo esposto, per esempio, un volume proveniente
dalla Biblioteca del letterato e pedagogo abate Antonio Fontana (1784-1865),
da lui lasciata in eredità alla Parrocchia di Sagno.
Abbiamo esposto, inoltre, un esemplare proveniente dalla Biblioteca
parrocchiale di Cavergno: una raccolta di libri radunata nell’Ottocento con
grande passione da don Luigi Alessandro Zanini (1807-1855). Aveva frequentato le scuole in Olanda, dove era nato, ed aveva poi proseguito gli studi presso
il Collegio gesuitico di Roma; era infine tornato in Valle Maggia, paese
di origine della famiglia. I suoi 500 volumi comprendono scritti spirituali,
raccolte di prediche, ma anche opere di teologia ed erudizione ecclesiastica,
e mostrano come anche in una località discosta fosse possibile costituire un fondo
librario di una certa qualità. Il fondo è tornato alla luce fortunosamente nel
2013, in occasione dei lavori di ristrutturazione della casa parrocchiale.
Questa circostanza si sta presentando ultimamente con preoccupante frequenza: sempre più spesso le case parrocchiali rimangono vuote e vengono
destinate a nuovi usi. In queste occasioni vengono alla luce tesori non solo
librari ma anche archivistici che, se non debitamente riconosciuti e velocemente messi in sicurezza e tutelati, corrono il pericolo di venire dispersi o,
peggio ancora, distrutti.
In questa fase è fondamentale il lavoro di tutti coloro che, a livello parrocchiale e tra mille difficoltà sia finanziarie sia di reclutamento di nuove leve,
si impegnano per la salvaguardia e la conservazione, spesso onerosa, di edifici
religiosi, suppellettili, archivi e fondi librari. Senza l’impegno e l’abnega-
Fogli 38/2017 In biblioteca / Marina Bernasconi Reusser, La mostra “Edizioni di Basilea del XVI secolo”
D. Gregorii Nazianzeni
Orationes XXX, Basilea 1531,
con i nomi di Willibald
Pirckheimer e di Erasmo da
Rotterdam depennati.
Martini Borrhai
In Cosmographiae elementa
Commentatio. Basilea 1555.
zione di queste persone molto di più sarebbe già scomparso. A loro va quindi
il nostro ringraziamento anche per la fiducia che ci hanno accordato affidandoci i loro beni per la catalogazione e prestandoci alcuni volumi per questa
mostra.
Per tornare agli esemplari esposti, ci teniamo a sottolineare che la scelta
che abbiamo operato non è stata dettata da criteri estetici o di rarità, ma dal
fatto che un esemplare di una certa particolare edizione è presente in una di
queste biblioteche. Ne ricaviamo, infatti, informazioni importanti per
gettare una prima luce sulle modalità di diffusione della cultura libraria in un
territorio ritenuto, per i secoli passati, arretrato e culturalmente povero.
Siamo ancora lontani da poter trarre conclusioni e ancora agli inizi di questa
appassionante ricerca.
Tutte le edizioni presentate, come dicevo, sono state stampate a Basilea,
una città che nei primi decenni del Cinquecento era un importante centro
culturale, nel quale l’arte tipografica che vi si esercitava ottenne rapidamente
vasta fama a livello europeo. Questa era dovuta sia alla qualità e accuratezza
delle caratteristiche tipografiche e delle illustrazioni, sia alla varietà delle opere
che vi venivano stampate. Ciò attirò eruditi ed importanti autori, tra i quali
mi limito a ricordare Erasmo da Rotterdam e Sebastian Brant, che scelsero la
città e le sue tipografie per la prima pubblicazione delle loro opere.
Il possesso di un’edizione stampata in quell’epoca e in quella città, getta
una luce sul gusto, sulle possibilità materiali e sul livello culturale del proprietario.
Vorrei infine attirare l’attenzione sulla piantina che abbiamo esposto.
Si tratta di una carta geografica dei nostri territori risalente al 1578, nella quale abbiamo indicato il luogo di stampa dei volumi – Basilea – e le numerose
biblioteche, sparse nel territorio, che costituivano le destinazioni originarie,
che ovviamente non corrispondono sempre a quelle nelle quali sono conservate oggigiorno.
138
Cronaca sociale
Relazione del Comitato
sull’attività svolta nell’anno sociale
2016-2017 e programma futuro
a. Attività svolta
Nel 2016 hanno lavorato per l’Associazione in qualità di dipendenti Luciana
Pedroia, bibliotecaria responsabile della
biblioteca (80%), Jean-Claude Lechner,
bibliotecario (44%), Laura Luraschi Barro,
collaboratrice scientifica (50%), Katia
Bianchi, segretaria (22%), Roberto Garavaglia, bibliotecario (40%), Laura Quadri,
studente usi (10%, da settembre a dicembre), Margherita Negri, ausiliaria per la
pulizia. Il totale delle ore lavorative è
di 5’139.50. Hanno inoltre lavorato in qualità
di volontari, a vario titolo ed in varia
misura, i membri del Comitato ed i membri
della redazione di «Fogli».
139
1. Biblioteca
1.1. Catalogo e nuove acquisizioni
Al 9 gennaio 2017 la bsf contava 70’868
notizie bibliografiche con un incremento
di 4’155 notizie rispetto all’anno precedente. Le nuove acquisizioni comprendono per il 2016 i nuovi acquisti librari, i
libri del fondo antico ripresi retrospettivamente e i doni. Sono inoltre inclusi i
libri della Madonna del Sasso, i libri del
Bigorio e i libri di Sagno che figurano nel
catalogo Sbt come due fondi speciali della
bsf, localizzati nelle rispettive sedi (vedi
qui a.2.1, a.2.2 e a.2.3). Nel dettaglio, la
catalogazione dei fondi librari nel 2016
comprende: 814 notizie bibliografiche della
Biblioteca Salita dei Frati, 2’016 della
Madonna del Sasso, 591 del Bigorio e 734
della Biblioteca Abate Fontana di Sagno.
1.2. Servizio al pubblico
La biblioteca è stata aperta al pubblico
per 184 mezze giornate; abbiamo contato
1’208 lettori durante gli orari di apertura
(dal mercoledì al giovedì, ore 14.00-18.00,
sabato mattina ore 9.00-12.00, tranne i
mesi di luglio e agosto in cui chiudiamo il
sabato mattina). I prestiti a domicilio
registrati dal sistema Aleph sono stati 1’057
(769 nel 2013, 948 nel 2014, 815 nel 2015),
quelli di libri del magazzino in sala di lettura
sono stati 490 (547 nel 2013, 489 nel 2014,
815 nel 2015), i prestiti interbibliotecari di
libri nostri ad altre biblioteche 82 (116
nel 2013, 134 nel 2014, 103 nel 2015). La
differenza rispetto alle statistiche Sbt
del 19 gennaio 2017, che danno per la nostra
biblioteca un numero superiore di prestiti
Aleph, di 1’533, è dovuta al fatto che questa
comprende anche i rinnovi.
L’attività di consulenza al servizio degli
utenti è stata come sempre impegnativa
per tutti i bibliotecari, richiedendo un
totale di 156 ore lavorative. Le consulenze
toccano vari settori: verifiche di particolarità di libri antichi da noi posseduti,
ricerca di materiali per la redazione
di schede di cataloghi di esposizioni
riguardanti il nostro territorio oppure
l’Ordine francescano, saggi specialistici,
aiuto a studenti di vari livelli scolastici.
1.3 Doni
Abbiamo ricevuto doni di libri da
istituzioni e da privati, in particolare da
parte di: Susanne Atherley, Marina
Bernasconi, Fabio Bernasconi, Maria
federale, malgrado e-rara.ch sia uscito
dallo stato di progetto per diventare un
vero e proprio servizio istituzionale. Dal
mese di dicembre 2016 tutti i libri della
bsf sono pubblicati in e-rara.ch con la
licenza Public Domain Mark. Il problema
del salvataggio di copie di sicurezza delle
immagini, al quale si accennava nel
rapporto di lavoro dello scorso anno, è
stato risolto grazie alla collaborazione
del csi del Cantone Ticino che ci ha offerto
uno spazio sul suo server per l’archiviazione di materiali multimediali.
1.6. Siti web e media sociali
Il sito web dell’Associazione è curato e
aggiornato da Katia Bianchi, che provvede anche a pubblicare un bollettino con
le nuove accessioni mensili derivandolo
dall’analogo bollettino che il personale
bibliotecario compila per la pagina Sbt
della bsf. Laura Luraschi Barro gestisce
la pagina Facebook della biblioteca, dove
pubblica notizie riguardanti le manifestazioni dell’Associazione e i lavori di catalogazione e valorizzazione dei vari fondi
librari. Abbiamo attualmente 554 ‘amici’
su Facebook che seguono la pagina.
È stato creato anche un account Twitter
della bsf, che per ora funziona solo come
rinvio verso Facebook.
1.7. Sistema bibliotecario ticinese
Luciana Pedroia fa parte del gruppo di
lavoro CooCat, costituito con risoluzione
del Dipartimento dell’educazione, della
cultura e dello sport del 12 aprile 2016. Il
gruppo di lavoro coordina le regole di
catalogazione per le biblioteche del Sbt con
particolare attenzione ai nuovi formati
e all’implementazione di rda (Resource
Description and Access).
1.8. Corsi di aggiornamento
e formazione del personale
Laura Luraschi Barro ha frequentato il
corso di soggettazione Sbt nei giorni 19,
21, 26 e 28 aprile 2016 (Sheila Paganetti).
Roberto Garavaglia e Luciana Pedroia
hanno frequentato il corso di aggiornamento Sbt: Sfoltire per arricchire, Criteri
bibliografici e modalità operative della
revisione il 11.11.2016 (Loredana Vaccani).
Laura Luraschi Barro e Luciana Pedroia
hanno partecipato all’incontro informativo sul tema dell’archiviazione di documenti digitali organizzato dall’Ufficio dei
beni culturali il 18.05.2016 (Simonetta
140
Teresa Bise Casella, Biblioteca del Liceo
di Lugano 2, Lorenza e Giovanni
Bolzani, Franco Buzzi, Thea Businger,
Matteo Ceppi, Giuseppe Costa, don
Ottavio Cheda, Vito Cocimano, Giovanni Contarin, Maurizio Figliaggi, Fondazione del Centenario della bsi, Roberto
Garavaglia, don Mario Gasparoli,
Kantonsbibliothek Stans, Jean-Claude
Lechner, Giampietro Mondada, Anna
Maria Moschker, fra Boris Muther, fra
Roberto Pasotti, Gabriele Alberto
Quadri, Elena Sala, Aurelio Sargenti, fra
Ottaviano Schmucki, Alessandro
Soldini, Elena Vuille.
1.4. Conservazione e restauro
Nel corso del 2016 abbiamo restaurato,
a cura dell’Atelier di restauro di Roberta
Cozzi, alcuni libri del nostro fondo
librario, scegliendo fra quelli il cui stato
precario di conservazione ne impediva
la consultazione da parte degli utenti. Tra
questi: un volume degli Annali sacri della
città di Como (1683-1785), l’esemplare del
Fondo Pozzi degli Esercizi spirituali di S.
Ignazio (1673), una lettera di Alberto Pio
di Carpi (1529) e due fascicoli editi a
Lugano nell’Ottocento.
1.5. Libri antichi digitalizzati
Nel corso del 2016 abbiamo reso accessibili in linea, via e-rara (www.e-rara.ch), altri
24 titoli della bsf (6 titoli nella collezione
Poesia e prosa del Seicento, e 18 nella
collezione Edizioni ticinesi). Tra questi si
possono segnalare gli opuscoli riguardanti la censura di stampa in Ticino a
inizio Ottocento, un anonimo opuscolo
intitolato Apologia: dx.doi.
org/10.3931/e-rara-51128, al quale
rispose Franscini con Due lettere sulla
memoria di un parroco ticinese: dx.doi.
org/10.3931/e-rara-51121, e con
Sulla memoria: dx.doi.
org/10.3931/e-rara-51130. Altri 19 titoli
sono stati consegnati a Zurigo il 12
dicembre 2016 e saranno in linea nella
prima metà del 2017. A fine dicembre
2016 i nostri titoli inseriti in e-rara sono
280. Per il 2016 ci sono stati comunicati
i seguenti dati di consultazione che
riguardano la bsf: 5’906 visite e 25’598
visualizzazioni di pagine. Contrariamente a quanto comunicato lo scorso anno,
non è stato necessario un nuovo contratto
tra l’Associazione e il Politecnico
141
2. Centro di competenza
per il libro antico
Dopo che la bsf ha assunto nel 2015 il
ruolo di Centro di competenza per il
libro antico, con la modifica dello statuto
dell’Associazione Biblioteca Salita dei
Frati, si sta operando per riorientare in
quest’ottica l’attività della bsf. Compiti
fondamentali del ccla sono la catalogazione e la valorizzazione di fondi librari
antichi.
2.1. Biblioteca della Madonna
del Sasso, Orselina
Dal 2013 è stato affidato al ccla dall’Associazione pro restauro Sacro Monte
Madonna del Sasso di Orselina il progetto
di catalogazione e valorizzazione del
fondo librario antico. A fine dicembre 2016
i titoli della Madonna del Sasso catalogati
all’interno del catalogo Sbt sono 5’658 per
un totale di 7’144 volumi. Per la maggior
parte si tratta di libri ascrivibili per
argomento al settore religioso (2’913 titoli),
seguono la lingua e letteratura italiana
(712 titoli), la letteratura latina (231
titoli), la filosofia (208 titoli), la letteratura francese (177 titoli), tedesca (117 titoli),
la storia (117 titoli), le scienze (89 titoli).
Oltre a 36 incunaboli, si contano attualmente 256 edizioni del xvi secolo (compresi alcuni rari postincunaboli), 439
edizioni seicentine, 714 edizioni del
Settecento e 1’428 edizioni dell’Ottocento. Sono emersi dal fondo librario, grazie
al lavoro di catalogazione, anche due
sconosciute edizioni Agnelli.
È stato ultimato il restauro del volume di
Plinio, studiato e presentato da Laura
Luraschi Barro in «Fogli», 36 (2015), pp.
42-48, a cura della restauratrice Meret
Bächler. Il restauro è stato finanziato
generosamente da Maria Teresa Bise
Casella. Abbiamo effettuato due trasporti di libri in data 8 marzo e 4 ottobre,
sempre con la preziosa collaborazione
della Protezione civile di Lugano Città.
2.2. Biblioteca del convento
di Santa Maria del Bigorio
Siamo al secondo anno del progetto
affidatoci dalla Associazione Amici del
Bigorio. A fine dicembre 2016 nel
catalogo del Sistema bibliotecario ticinese
sono presenti 1’260 notizie bibliografiche
della biblioteca del Bigorio, corrispondenti a 1’900 volumi. In larga maggioranza
nel fondo librario conventuale troviamo i
titoli di argomento religioso, con 1’065
titoli. In misura molto minore sono presenti
libri di letteratura e lingua italiana (39
Fogli 38/2017 Cronaca sociale / Relazione del Comitato
Biaggio Simona, Giulio Foletti, Peter
Fornaro). Laura Luraschi Barro e
Luciana Pedroia hanno partecipato al
convegno Digitalizza la cultura, la
gestione sostenibile e aperta dei patrimoni
digitali per il Cantone Ticino, organizzato
dal Sistema per la valorizzazione del
patrimonio culturale (svpc) del decs il 18
novembre 2016. A questo convegno ha
partecipato anche il presidente della Associazione Biblioteca Salita dei Frati,
Fernando Lepori. Il convegno era stato
preparato da un Workshop, svoltosi il 27
ottobre 2016, al quale Marina Bernasconi
Reusser e Luciana Pedroia sono state
invitate a presentare l’attività della nostra
biblioteca nel campo della digitalizzazione.
Il 13 ottobre 2016 ha avuto luogo nella
sede della bsf il corso della Protezione
civile per i Capi Protezione beni culturali.
Laura Luraschi Barro e Luciana Pedroia
vi hanno partecipato attivamente e,
nel segno di future collaborazioni, hanno
potuto conoscere militi di tutte le regioni
del Cantone e il signor Rino Büchel, capo
dell’Ufficio Protezione dei beni culturali
presso l’Ufficio federale della protezione
della popolazione, che ha raccomandato
a tutti la segnalazione al ccla del ritrovamento di libri antichi nel corso di operazioni e interventi della Protezione civile.
1.9. Istituto di studi italiani
Quest’anno il prof. Dupuigrenet ha tenuto
una giornata di corso presso la bsf, il 25
novembre, tramite un seminario di Paolo
Sachet sul tema della Riforma e Controriforma e delle implicazioni per la produzione a stampa dell’epoca
1.10. Varia
Nel corso del 2016 si sono potuti eseguire
alcuni lavori di manutenzione: in particolare la Protezione civile di Lugano Città
ha sistemato, in data 17-21 ottobre 2016,
la scala di accesso in legno che porta agli
uffici al primo piano attraverso il vigneto,
che si trovava in una situazione precaria e
pericolosa. Sono state posate nuove tende
nella saletta conferenze e negli uffici, e
nel mese di dicembre la saletta conferenze
è stata ritinteggiata.
che va salvaguardato e valorizzato, ma
per il quale resta difficile trovare una sede
idonea). Lo storico Flavio Zappa, in
collaborazione con noi, ha cercato di riunire
i vari enti di Valle che potrebbero essere
interessati a una soluzione comune.
Invece abbiamo potuto intervenire sui
fondi librari della Valle di Blenio: a
Prugiasco abbiamo evacuato e messo in
sicurezza, trasportandoli in luogo
idoneo, i libri della biblioteca parrocchiale, che sono stati puliti, fotografati e
inventariati (63 titoli). Alcuni passi in vista
di una possibile soluzione coordinata
con altre istituzioni proprietarie di libri
nella Valle sono stati fatti grazie alla
mediazione di un membro del Comitato
scientifico del ccla.
2.5. Mostra di edizioni di Basilea
Dal 12 maggio al 12 agosto, per presentare e mettere in risalto l’attività del
Centro di competenza per il libro antico,
è stata allestita nel porticato una mostra
dal titolo: Edizioni di Basilea del XVI secolo
a sud delle Alpi. Sono stati esposti 20
libri, oggi conservati in varie sedi, mentre
erano conservati nelle biblioteche della
nostra regione nei secoli precedenti gli
incameramenti ecclesiastici dell’Ottocento.
Della mostra è stato pubblicato un
catalogo, a cura del ccla, quale numero
unico della rivista «Arte e storia», anno
16, n. 68, marzo-aprile 2016. La mostra,
inaugurata il 12 maggio, con relazioni di
due membri del Comitato scientifico del
ccla, François Dupuigrenet Desroussilles
e Marina Bernasconi Reusser, ha avuto
un buon riscontro di pubblico, e il
catalogo a stampa è stato favorevolmente
segnalato in riviste specializzate.
3. Attività culturale
3.1. Conferenze
Nel corso dell’anno sociale 2016-2017 il
Comitato ha promosso e organizzato in
biblioteca le seguenti conferenze:
1. il 10 maggio, nell’ambito di un ciclo
sul Modernismo, conferenza di Annibale
Zambarbieri sul tema La crisi modernista: riformismo, fratture, continuità;
2. il 24 maggio, nell’ambito dello stesso
ciclo, conferenza di Ezio Bolis sul tema
Il Modernismo: un nuovo modo di leggere
la Bibbia e la storia del cristianesimo;
3. il 2 giugno, nell’ambito dello stesso
142
titoli), latina (32 titoli), di filosofia (19
titoli), di argomento medico o scientifico
(16 titoli), storico (12 titoli). La catalogazione secondo criteri scientifici permette
di ricuperare al patrimonio della biblioteca
del Bigorio libri preziosi rimasti finora
ignoti e valorizza quindi la biblioteca stessa.
Oltre ad alcune rarità già segnalate in
precedenza, nel corso del 2016 sono emersi
dal fondo del Bigorio ben quattro incunaboli che non erano finora mai stati identificati come tali perché privi della data di
stampa, ricostruita tramite la descrizione
nei repertori. Le cinquecentine finora
catalogate sono 202, le seicentine 345, le
edizioni del Settecento 545, dell’Ottocento 58. Abbiamo effettuato due trasporti di libri, il 24 maggio e il 22 settembre
2016 con la collaborazione di Gemma
Fumasoli e del personale del convento
del Bigorio.
2.3. Biblioteca Abate Fontana, Sagno
La catalogazione del fondo librario della
Biblioteca Abate Fontana di Sagno è
entrata nel vivo. La Parrocchia di Sagno si
è dimostrata favorevole al progetto e
disposta a sostenerlo con un contributo
finanziario. Sono state inserite nel
catalogo in linea del Sistema bibliotecario
ticinese le notizie bibliografiche riguardanti 734 opere a stampa, in 1’159 volumi,
compresi 466 fascicoli raccolti in 26
miscellanee. Il testo più antico è datato
1534, il più recente 1896. Finora la
collezione libraria rispecchia fedelmente
la formazione e gli interessi del suo
possessore. Al primo posto per numero
di opere troviamo infatti religione e storia
della Chiesa (con 394 titoli), a cui
seguono lingua e letteratura italiana (93
titoli), pedagogia (44 titoli) e lingue e
letterature classiche (30 titoli). Nel corso
dell’anno abbiamo eseguito due trasporti
di libri da Sagno a Lugano e viceversa,
con la collaborazione della Protezione
civile di Lugano Città, il 26 gennaio e il
20 ottobre 2016.
2.4. Fondi librari della Valle di Blenio
e della Valle Maggia
Ci siamo impegnati a portare avanti
anche i due progetti riguardanti la Valle
di Blenio e la Valle Maggia. Per ora i
risultati si fanno attendere per quanto
riguarda la Valle Maggia (e soprattutto
l’importante fondo librario di Cavergno,
musica scritta il 25 marzo.
Il ccla ha promosso ed organizzato, dal
12 maggio al 12 agosto, l’esposizione
Edizioni di Basilea del XVI secolo a sud
delle Alpi.
Da parte sua l’Associazione degli Amici
dell’Atelier Calcografico, nostro ente
ospite, ha curato le seguenti esposizioni:
1. dal 2 aprile al 7 maggio, Incisioni
di Ubaldo Rodari;
2. dal 3 settembre all’8 ottobre,
Incisioni di Catherine Gillet;
3. dal 3 al 22 dicembre 2016 e dal 9 al 21
gennaio 2017, Incisioni di Samuele Gabai;
3.3. Pubblicazioni
Il numero 37 di «Fogli», stampato in 1’200
esemplari e consultabile in linea all’indirizzo www.bibliotecafratilugano.ch, è
uscito a metà maggio 2016. Il ccla ha
pubblicato il catalogo dell’esposizione delle
edizioni di Basilea: Edizioni di Basilea
del XVI secolo a sud delle Alpi, a cura di
Marina Bernasconi Reusser, Jean-Claude
Lechner, Laura Luraschi Barro e Luciana
Pedroia, Lugano, Edizioni Ticino
Management, 2016. Sono di imminente
pubblicazione gli atti del convegno
su Francesco Soave (1743-1806), somasco
luganese, nel bicentenario della morte:
pedagogista, filosofo, letterato, nella collana «Ricerche» della casa editrice Vita
e Pensiero.
143
4. Amministrazione e finanze
Delle svariate attività amministrative e
della contabilità si è occupata la segretaria
Katia Bianchi. Il Comitato è molto grato
a tutti i privati e agli enti che, con i loro
contributi, ci hanno consentito di offrire
il servizio culturale pubblico che ci proponiamo. Ricordiamo che, secondo l’art. 2
dello Statuto, i compiti dell’Associazione
sono i seguenti: a) mettere a disposizione
del pubblico la biblioteca che la Provincia
svizzera dei Cappuccini ha concesso
all’Associazione con particolare convenzione; b) conservare ed arricchire il
patrimonio librario della biblioteca; c)
promuovere la valorizzazione della
biblioteca favorendo la ricerca sui suoi
fondi; d) promuovere ed organizzare
attività culturali (conferenze, convegni,
seminari, esposizioni), anche in rapporto
al patrimonio librario della biblioteca; d)
promuovere e sostenere il Centro di
Fogli 38/2017 Cronaca sociale / Relazione del Comitato
ciclo, conferenza di Elisabetta Selmi sul
tema Il Modernismo nel romanzo Il Santo
di Antonio Fogazzaro;
4. il 21 settembre conferenza di Mauro
Jöhri sul tema i Cappuccini fra storia
e nuove sfide;
5. il 27 settembre, nell’ambito delle
tematiche proprie del Centro di competenza per il libro antico, presentazione
dell’opera di Jacques Dalarun La Vita
ritrovata del beatissimo Francesco.
La leggenda sconosciuta di Tommaso da
Celano (Milano, Edizioni Biblioteca
Francescana, 2015), con relazioni dello
stesso Dalarun e di Luigi Pellegrini;
6. il 18 ottobre, presentazione dell’opera di Giorgio Cheda Cielo e terra
(Locarno, Edizioni Oltremare, 2016),
con relazioni dell’autore e di Fernando
Lepori;
7. il 17 novembre, nell’ambito del ciclo
su Bibbia e letteratura, conferenza di
Adalberto Mainardi su La parola risuscitata. Il processo a Jeshua Ha-Nozri
nel Maestro e Margherita di Michail
Bulgakov;
8. il 23 novembre, nell’ambito dello
stesso ciclo, conferenza di Piero Stefani
su «Vi comando queste parole»: dallo
imperativo biblico alla testimonianza di
Primo Levi;
9. il 29 novembre, nell’ambito dello
stesso ciclo, conferenza di Elisabetta
Selmi su Le Lamentazioni di Geremia
profeta. Da modello per “l’elegia sacra”
ad archetipo romantico di “una poesia
veramente sublime”.
3.2. Esposizioni
Nel corso dell’anno sociale 2016-2017 il
Comitato ha promosso ed organizzato
nel portico d’ingresso queste esposizioni:
1. dal 30 gennaio al 12 marzo, ScripsitSculpsit / Sculpsit – Scripsit: le Edizioni
“Il Ragazzo Innocuo” di Luciano
Ragozzino;
2. dal 15 ottobre al 19 novembre, Tra
queste mani, dentro la carta: le Edizioni
dell’Ombra, di Gaetano Bevilacqua;
3. dal 25 febbraio all’8 aprile, Tempo
unico di Antonio Teruzzi; in rapporto
a questa esposizione si sono tenuti due
incontri: con il fotografo Carlo Pozzoni
sul tema Tempi moderni il 15 marzo,
con il musicologo Raffaele Deluca sul
tema Legature d’attesa: il tempo della
competenza per il libro antico, che si
occupi della conservazione, dello studio
e della valorizzazione dei fondi librari
antichi, in particolare di quelli presenti
nella Svizzera italiana. Ringraziamo in
particolare i soci, la Provincia svizzera
dei Cappuccini, il Cantone Ticino, la
Città di Lugano, le Fondazioni Fidinam,
Torti-Bernasconi, Winterhalter, Pietro
Molinari, De Micheli, Pica-Alfieri, Araldi
Guinetti e l’a.i.l. (Aziende Industriali
di Lugano sa).
144
5. Rapporti con i Cappuccini
Con il 1° gennaio 2016 è entrata in vigore
la nuova convenzione con la Provincia
svizzera dei Cappuccini, la cui modifica
più importante è la diminuzione del
sussidio annuo versato all’Associazione,
che non è più di 60’000 fr. ma di 15’000 fr.
(art. iii). L’incontro annuale del Comitato con il Gruppo di consulenza dei
Cappuccini della Svizzera italiana, previsto
dalla nuova convenzione con lo scopo
di «discutere ed approvare il rapporto del
Comitato stesso sull’attività svolta»
(art. vi), ha avuto luogo il 18 aprile 2016.
La bibliotecaria responsabile di sede,
Luciana Pedroia, ha svolto un importante
intervento per illustrare, oltre a ciò che
è stato fatto nel 2015, le principali
innovazioni degli ultimi quindici anni:
l’adesione al Sistema bibliotecario ticinese
(2001), la partecipazione al progetto e-rara
(2010), la costituzione del Centro di
competenza per il libro antico (2015).
Con questo si può dire che la biblioteca
dei Cappuccini di Lugano ha messo
in atto, sotto il profilo biblioteconomico,
culturale e politico, una sostanziale
trasformazione rispetto al periodo iniziale
del suo trasferimento nel nuovo edificio
e della sua apertura al pubblico. Il presidente Fernando Lepori ha illustrato
l’attività culturale svolta, in particolare
con le conferenze sulla posizione dei
cattolici italiani nella prima guerra
mondiale, su Francesco d’Assisi e le
crociate e con il ciclo di lezioni sul
tema ‘Bibbia e letteratura’. Giancarlo
Reggi ha riferito sul contenuto del
numero di «Fogli» del 2016.
6. Organi dell’Associazione
6.1. Assemblea
L’Assemblea annuale ordinaria del 2016 si
è tenuta il 16 giugno per l’esame e
l’approvazione della relazione del Comitato sull’attività dell’anno sociale 20152016, del programma futuro, dei conti
consuntivi 2015 e preventivi 2016. È
stato fatto, come di consueto, un bilancio
sul lavoro svolto per la gestione della
biblioteca e per la promozione e l’organizzazione delle attività culturali
pubbliche: Luciana Pedroia, bibliotecaria
responsabile di sede, ha fornito le
informazioni più importanti relative alla
biblioteca; Fernando Lepori, presidente,
ha illustrato l’attività culturale; Alessandro Soldini ha riferito sulle esposizioni
e Giancarlo Reggi su «Fogli». La relazione del Comitato, come i conti consuntivi
2015 e preventivi 2016 sono stati approvati all’unanimità. I membri dell’Associazione sono attualmente 284, di cui 278
persone fisiche e 6 persone giuridiche.
Tutti vengono costantemente tenuti
informati sulle attività e le iniziative
dell’Associazione, oltre che nell’Assemblea annuale, con l’invito alle manifestazioni culturali e attraverso frequenti
circolari.
6.2. Comitato
I membri del Comitato dell’anno sociale
2016-2017 sono Matteo Ceppi, Mila
Contestabile, Fernando Lepori (presidente), Laura Luraschi Barro, Giancarlo
Reggi, Alessandro Soldini e Tiziana
Zaninelli, eletti dall’Assemblea del 12
maggio 2015 per il biennio 2015-2017;
Luciana Pedroia, bibliotecaria responsabile di sede e membro di diritto; Boris
Muther e Ugo Orelli, delegati del Gruppo
di consulenza dei Cappuccini della
Svizzera italiana. Nel corso dell’anno
sociale 2016-2017 il Comitato s’è riunito tre
volte (24 novembre, 31 gennaio, 4
maggio).
6.3. Redazione di «Fogli» e responsabile
delle esposizioni
Il Comitato del 18 giugno ha designato
membri del Gruppo di lavoro per la
redazione di «Fogli» Mila Contestabile,
Fernando Lepori, Giancarlo Reggi
(caporedattore) e Fabio Soldini; ad essi è
stato affiancato Claudio Giambonini,
designato nella seduta di comitato del 24
b. Programma futuro
2. Attività culturale
2.1. Conferenze
Il programma dell’attività culturale
dell’anno sociale 2017-2018 s’inizierà con
tre incontri (organizzati con l’Associazione Biblica della Svizzera italiana e con
l’Associazione italiana di Cultura classica,
Delegazione della Svizzera italiana) sul
tema Alle radici della cultura euro-mediterranea per la vita di tutti: la sapienza,
secondo questo programma: 2 maggio,
Ernesto Borghi, Le sapienze antiche
ebraica e cristiana; 9 maggio, Giancarlo
Reggi, Sapienza e sapienti nel mondo
145
1. Biblioteca e Centro di competenza
per il libro antico
Per il prossimo anno prevediamo in
via generale di continuare nel nostro lavoro
di valorizzazione, accrescimento,
conservazione e messa a disposizione del
patrimonio librario della biblioteca.
Lo sviluppo delle collezioni seguirà i criteri
definiti da tempo, privilegiando gli studi
sul libro antico, la religiosità e il francescanesimo. Nel 2017 dovrà essere ulteriormente precisata la strategia della biblioteca operante come Centro di competenza
per il libro antico. Continuerà il programma a termine dal titolo “Valorizzazione digitale di fondi librari antichi della
Svizzera italiana”, sostenuto dalla Divisione Cultura. Si porteranno avanti i progetti
di catalogazione e valorizzazione delle
biblioteche della Madonna del Sasso, del
Bigorio e della biblioteca Abate Fontana
di Sagno.
greco classico, ellenistico e romano; 16
maggio, Renzo Petraglio e Massimo
Lolli, Le sapienze antiche greca, latina,
ebraica e cristiana ‘servono’ all’umanità
di oggi? Seguiranno, in periodo da
definire, una conferenza sulla teologia di
Lutero e una sulla censura ecclesiastica
applicata all’opera di Erasmo da Rotterdam,
ricorrendo quest’anno il cinquecentesimo anniversario della nascita della Riforma
protestante. In autunno, infine, prevediamo un ‘corso’ di quattro lezioni su
“Bibbia e letteratura”, secondo l’impostazione dei nostri incontri biblici di questi
ultimi anni.
2.2. Esposizioni
Il programma dell’attività espositiva del
2017 prevede, dal 22 aprile al 27 maggio,
Edizioni di Giovanni Turria; dal 14
ottobre al 25 novembre, I libri d’artista
di Giulia Napoleone.
Dal canto suo l’aaac organizzerà una
prima mostra in giugno-luglio, sulle
incisioni di Lea Gyarmati e una seconda in
novembre-dicembre, su tema da definire.
Fogli 38/2017 Cronaca sociale / Relazione del Comitato
novembre. Responsabile delle esposizioni
nel porticato è stato confermato Alessandro Soldini.
6.4. Gruppo di lavoro per gli acquisti
librari
Il Gruppo di lavoro per gli acquisti librari
è così costituito: Matteo Ceppi, Fernando
Lepori, Laura Luraschi Barro, Luciana
Pedroia e Ugo Orelli.
6.5. Enti ospiti
È sempre nostro ente ospite, secondo l’art.
4 cpv. 1 b dello Statuto, l’Associazione
degli Amici dell’Atelier Calcografico (aaac),
sulla cui attività espositiva si veda il
punto a.7.2.
Cronaca sociale
Conti consuntivi 2016
e preventivi 2017
14’078.—
160’000.—
43’189.80
35’000.—
110’000.—
20’000.—
15’000.—
550.—
184.20
270.66
356.39
44’820.—
111’833.—
Fr. 555’282.05
146
Conto d’esercizio 2016
Entrate
1.1 Tasse dei soci
1.2 Contributi di Enti diversi
a) Città di Lugano
18’000.—
b) Fondazione Fidinam
20’000.—
c) Fondazione Torti-Bernasconi
50’000.—
d) AIL
13’000.—
e) Fondazione Pietro Molinari
4’000.—
f) Fondazione Winterhalter
10’000.—
g) Fondazione Araldi Guinetti
15’000.—
h) Fondazione De Micheli
20’000.—
i) Fondazione Pica-Alfieri
10’000.—
1.3 Associazione Pro Restauro Madonna del Sasso
1.4 Associazione Amici del Bigorio
1.5 Sussidio del Canton Ticino
1.6 Sussidio della Divisione della cultura
1.7 Contributo dei Cappuccini
1.8 Affitto della sala
1.9 Fotocopie
1.10 Vendita di pubblicazioni
1.11 Diversi
1.12 Lavoro dei volontari
1.13 Comodato concesso dai Cappuccini per l’uso della biblioteca
Maggior entrata
Fr. 3’088.72
Bilancio al 31 dicembre 2016
Attivo
Cassa
Conto corrente postale
L.C.R.
./. Riserva
Debitore (Cantone)
Totale
Saldo al 31 dicembre 2015
Fatture scoperte al 31 dicembre 2016
Maggior entrata 2016
Saldo al 31 dicembre 2016
349.55
31’035.97
23’886.33
-23’886.33
5’000.—
Fr. 36’385.52
53’291.83
-19’995.03
3’088.72
Fr. 36’385.52
147
Passivo
279’316.25
7’695.25
36.20
1’144.40
15’562.35
13’492.15
3’770.40
12’405.30
8’521.24
23’284.89
11’743.55
8’098.15
2’114.02
5’758.58
2’597.60
44’820.—
111’833.—
Fr. 552’193.33
Fogli 38/2017 Cronaca sociale / Conti consuntivi 2015 e preventivi 2016
Conto d’esercizio 2016
Uscite
2.1 Stipendi, AVS, assicurazione del personale
2.2 Spese postali e telefoniche
2.3 Prodotti di pulizia
2.4 Acquisto di apparecchiature / mobilio
2.5 Manutenzione degli impianti
2.6 Riscaldamento ed elettricità
2.7 Spese di cancelleria
2.8 Stampa di pubblicazioni
2.9 Abbonamenti a riviste
2.10 Acquisto di libri
2.11 Conservazione, restauro, rilegatura di libri
2.12 Manifestazioni culturali
2.13 Quote sociali e spese diverse
2.14 Digitalizzazione di libri rari
2.15 Spese di trasferta / rappresentanza
2.16 Lavoro dei volontari
2.17 Comodato concesso dai Cappuccini per l’uso della biblioteca
Preventivo 2017
Uscite
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
2.9
2.10
2.11
2.12
2.13
2.14
2.15
2.16
2.17
Entrate
285’000.—
10’000.—
1’000.—
2’000.—
20’000.—
22’000.—
5’000.—
10’000.—
7’000.—
22’000.—
10’000.—
10’000.—
3’000.—
8’000.—
3’500.—
44’820.—
111’833.—
Fr. 575’153.—
1.1 Tasse dei soci
1.2 Contributi di Enti diversi
a) Città di Lugano
17’000.—
b) Fondazione Fidinam
20’000.—
c) Fondazione Torti-Bernasconi
50’000.—
d) AIL
13’000.—
e) Fondazione Winterhalter
10’000.—
f) Fondazione De Micheli
20’000.—
g) Fondazione Pica-Alfieri
10’000.—
h) Fondazione Araldi Guinetti
10’000.—
1.3 Associazione Pro Restauro Madonna del Sasso
1.4 Associazione Amici del Bigorio
1.5 Consiglio Parrocchiale di Sagno
1.6 Sussidio del Canton Ticino
1.7 Sussidio della Divisione della cultura
1.8 Contributo dei Cappuccini
1.9 Affitto della sala
1.10 Fotocopie
1.11 Vendita di pubblicazioni
1.12 Lavoro dei volontari
1.13 Comodato concesso dai Cappuccini per l’uso della biblioteca
13’000.—
Maggior uscita
150’000.—
50’000.—
35’000.—
3’000.—
100’000.—
30’000.—
15’000.—
—.—
200.—
1’500.—
44’820.—
111’833.—
Fr. 554’353.—
Fr. -20’800.—
148
Stipendi, AVS, assicurazione del personale
Spese postali e telefoniche
Prodotti di pulizia
Acquisto di apparecchiature / mobilio
Manutenzione degli impianti / Assicurazioni e sicurezza
Riscaldamento ed elettricità
Spese di cancelleria
Stampa di pubblicazioni
Abbonamenti a riviste
Acquisto di libri
Conservazione, restauro, rilegatura di libri
Manifestazioni culturali
Quote sociali e spese diverse
Digitalizzazione di libri rari
Spese di trasferta/rappresentanza
Lavoro dei volontari
Comodato concesso dai Cappuccini per l’uso della biblioteca
Nuove accessioni
Pubblicazioni entrate
in biblioteca nel 2016
La lista delle nuove accessioni, a cura di
Claudio Giambonini, comprende tutti i libri
entrati in biblioteca nel 2016, per acquisto
o per dono. Essa è basata sulle schede allestite
dai bibliotecari e sulla verifica del registro
d’ingresso. Dei 559 titoli (per complessivi
606 volumi) qui di seguito elencati, il 72%
(402) all’interno del Sistema bibliotecario
ticinese risultano essere posseduti unicamente dalla Biblioteca Salita dei Frati.
149
1. Bibliografia e storia del libro
2. Teologia e biblica
3. Patristica antica e medioevale
4. Storia della Chiesa
5. San Francesco e francescanesimo
6. Agiografia e spiritualità
7. Filosofia
8. Storia delle religioni
9. Letteratura: testi
10. Letteratura: studi. Lingua
11. Storia
12. Storia svizzera e locale
13. Arti figurative e storia dell’arte
14. Varia
15. Doni della Facoltà di Teologia di Lugano
1. Bibliografia e storia del libro
Abracadabra. Medizin im Mittelalter.
Sommerausstellung [Stiftsbibliothek St.
Gallen] 8. März bis 6. November 2016,
a c. di Cornel Dora et al., St. Gallen, Verlag
am Klosterhof, 2016.
adam Renaud, Jean de Westphalie et
Thierry Martens. La découverte de la
Logica vetus (1474) et les débuts de
l’imprimerie dans les Pays-Bas méridionaux (avec un fac-similé), Turnhout,
Brepols, 2009.
Aldine marciane, a c. di Tiziana Plebani,
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana,
2015 (contiene anche: Aldine marciane.
Le edizioni di Aldo Manuzio in Biblioteca
Nazionale Marciana. Catalogo, a c. di
Saida Bullo e Donatella Benazzi).
Aldo Manuzio dal folio al tascabile. La vita
e l’opera del primo editore moderno.
Gli Ex Libris narrano ed illustrano, a c. di
Gian Carlo Torre, Latina, Il Levante, 2015.
Aldo Manuzio. Il Rinascimento di Venezia, a c.
di Guido Beltramini, Davide Gasparotto e
Giulio Manieri Elia, Venezia, Marsilio, 2016.
Antiquorum habet. I Giubilei nella storia
di Roma attraverso le raccolte librarie
e documentarie del Senato. Mostre del
Senato, Roma, Palazzo Giustiniani,
13 marzo - 1 maggio 2016, a c. di Raissa
Teodori e Alessandra Casamassima,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016.
Archivi e archivisti in Italia tra Medioevo ed
età moderna, a c. di Filippo De Vivo,
Andrea Guidi e Alessandro Silvestri, Roma,
Viella, 2015.
baldacchini Lorenzo, La descrizione del
libro antico, Milano, Bibliografica, 2016.
BAMAT. Bibliographie annuelle du Moyen
Âge tardif. Auteurs et textes latins, a c. di
Jean-Pierre Rothschild e Patrice Sicard, t.
25, Paris-Turnhout, Brepols, 2015.
dalla vecchia Jolanda, Rilievi e prime
ipotesi a margine degli studi sulle filigrane
in autografi di Tartini e Vallotti, Padova,
Centro Studi Antoniani, 1992 (Estratto
da: Il Santo, rivista antoniana di storia,
dottrina, arte, 32, 1992, pp. 335-343).
Dal torchio alle fiamme. Inquisizione e
censura: nuovi contributi dalla più antica
Biblioteca Provinciale d’Italia. Atti del
Convegno Nazionale di Studi, Salerno, 5-6
novembre 2004, a c. di Vittoria Bonani;
Censura e libri espurgati. Le Cinquecentine
della Biblioteca Provinciale di Salerno.
Catalogo della Mostra bibliografica, [5
novembre 2004 - 30 gennaio 2005], a c.
di Vittoria Bonani, Giuseppe Gianluca
Cicco e Anna Maria Vitale, Salerno,
Biblioteca Provinciale, 2005.
De l’argile au nuage. Une archéologie des
catalogues. Une exposition co-organisée
[par la Bibliothèque de Genève] avec la
Bibliothèque Mazarine de Paris, Genève,
Bibliothèque de Genève, 2015.
Del Culto e della Cultura. Archivi biblioteche e musei ecclesiastici in Italia, a c.
dell’Ufficio nazionale per i beni culturali
ecclesiastici della cei, Roma, Gangemi,
2015.
de simone Giuliana, La Biblioteca del
Collegium Goritiense Societatis Iesu
nella Biblioteca Statale Isontina di Gorizia,
vol. 2: C-F, Baden-Baden, Koerner,
2016; vol. 3: G-K, ivi, 2016.
Disciplinare la memoria. Strumenti e pratiche
nella cultura scritta (secoli XVI -XVIII). Atti
del Convegno Internazionale, Bologna,
13-15 marzo 2013, a c. di Maria Guercio et
al., Bologna, Pàtron, 2014.
Editoria e circolazione libraria nella Sicilia
del Settecento, a c. di Giuseppe Lipari
e Valentina Sestini, Messina, Università
degli Studi di Messina, 2012.
Edizioni di Basilea del X VI secolo a sud
delle Alpi. Catalogo dell’esposizione,
Lugano, Biblioteca Salita dei Frati, 12
maggio - 12 agosto 2016, a c. del Centro
di competenza per il libro antico,
Lugano, Edizioni Ticino Management,
2016 («Arte & Storia», 16, n. 68, marzoaprile 2016).
Edizioni di Storia e Letteratura. Catalogo
storico 1943-2010, a c. di Samanta
Segatori, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2012.
’Eν Βασιλεία πόλει τῆς Γερμανίας [En Basileia
polei tês Germanias] - Griechischer Geist
aus Basler Pressen. Universitätsbibliothek Basel 4. Juli bis 22. August 1992,
Staatsbibliothek zu Berlin - Preussischer
Kulturbesitz - 28. Januar bis 6. März
1993, Gutenberg-Museum, Mainz 8. Juni
bis 29. August 1993, [a c. di Frank
Hieronymus], Basel, Universitätsbibliothek, 1992.
150
Basler Buchillustration 1500-1545. Universitätsbibliothek Basel, 31. März bis 30.
Juni 1984, a c. di Frank Hieronymus,
Basel, Universitätsbibliothek Basel, 1984
(Oberrheinische Buchillustration, Bd. 2).
Biblioteche reali, biblioteche immaginarie.
Tracce di libri, luoghi e letture, a c. di
Anna Dolfi, Firenze, Firenze University
Press, 2015.
borsa Gedeon, Katalog der Drucke des 16.
Jahrhunderts in der österreichischen
Nationalbibliothek = Catalogus librorum
sedecimo saeculo impressorum qui in
Bibliotheca Nationali Austriae asservantur. Wien NB 16, Bd. 13: Soa-Vergil,
Baden-Baden, Koerner, 2016.
brindicci Monica, Libri in scena. Editoria
e teatro a Napoli nel secolo XVII, Napoli,
Libreria Dante & Descartes, 2007.
Le carte dell’Archivio di Acquafredda di
Lenno, Diocesi di Como (1011-120 0),
a c. di Rita Pezzola, Varese, Insubria
University Press, 2015.
Castello di Masino. Catalogo della Biblioteca dello Scalone, a c. di Lucetta Levi
Momigliano e Laura Tos, vol. 2: D-K,
Novara, Interlinea, 2015.
Catalogues régionaux des incunables des
bibliothèques publiques de France, vol. 20:
PARIS : Académie Nationale de Chirurgie
- Alliance Israëlite Universelle - Archives
Nationales - Arts Décoratifs - Assemblée
Nationale - Bibliothèque Interuniversitaire Cujas - Bibliothèque Polonaise de Paris
- Bibliothèque Universitaire des Langues
et Civilisations (Supplément) - Conseil
d’État - Cour de Cassation - École Nationale
Supérieure des Beaux-Arts (Supplément)
- École Normale Supérieure - Institut du
Monde Arabe - Institut National
d’Histoire de l’Art - Facultés Jésuites du
Centre de la rue de Sèvres (Supplément)
- Musée Jacquemart-André - Musée du
Louvre - Musée National du Moyen Âge
- Ordre des Avocats au Barreau de Paris
- Société de l’Histoire du Protestantisme
Français, a c. di Dominique Coq, Genève,
Droz, 2016.
caverzan Daniela, I graduali miniati
dell’arcivescovo Rinaldo Graziani
ofmConv. nella Biblioteca Comunale
di Bagnacavallo: storia e stile, Padova,
Centro Studi Antoniani, 1999 (Estratto
da: Il Santo, rivista francescana di storia,
dottrina, arte, 39, 1999, pp. 523-551).
Congregazione camaldolese dell’Ordine
di San Benedetto, a c. di Cécile Caby
e Samuele Megli, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 2014.
Congregazione di Santa Maria di Vallombrosa dell’Ordine di San Benedetto, a c.
di Samuele Megli e Francesco Salvestrini,
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, 2013.
151
lezowski Marie, L’Abrégé du monde.
Une histoire sociale de la bibliothèque
Ambrosienne (v. 1590 - v. 1660),
Paris, Garnier, 2015.
La “libraria” settecentesca di San Francesco
del Monte a Perugia. Non oculis mentibus
esca, a c. di Fiammetta Sabba, Perugia,
Fabbri, 2015.
I libri dei cappuccini: la Biblioteca OASIS di
Perugia. Con il supplemento al catalogo
delle cinquecentine. Atti dell’ incontro di
studio, Perugia, 16 aprile 2015, a c. di
Natale Vacalebre, Roma, Istituto Storico
dei Cappuccini, 2016.
Libri di Terra Santa. Un viaggio tra i libri
antichi della Biblioteca generale della
Custodia di Terra Santa a Gerusalemme,
a c. di Alessandro Tedesco, Torrita di
Siena, Società Bibliografica Toscana,
2013.
Il libro al centro. Percorsi fra le discipline del
libro in onore di Marco Santoro, a c.
di Carmela Reale, Napoli, Liguori, 2014.
Il libro e le sue reti, a c. di Lorenzo Baldacchini, Bologna, Bononia University Press,
2015.
Il libro figurato a stampa nel Rinascimento
a Venezia. Catalogo della mostra,
Venezia, Biblioteca nazionale Marciana,
20-30 settembre 1954, a c. di Tullia
Gasparrini Leporace, Venezia, Officine
grafiche Ferrari, 1954.
Lost Books. Reconstructing the Print World
of Pre-Industrial Europe, a c. di Flavia
Bruni e Andrew Pettegree, Leiden-Boston,
Brill, 2016.
murano Giovanna, Opere diffuse per
“exemplar” e pecia, Turnhout, Brepols,
2005.
Nel segno di Aldo. Catalogo della mostra,
Biblioteca universitaria, Bologna, 29
ottobre 2015 - 16 gennaio 2016, a c. di
Loredana Chines et al., Bologna,
Pàtron, 2015.
nocera Maurizio, Officina Mardersteig:
un incontro con Martino Mardersteig,
a c. di Massimo Gatta, Macerata,
Biblohaus, 2015.
Nuovi orizzonti per un antico sapere.
Le biblioteche nel mondo contemporaneo,
a c. di Gerardo Rigozzi, Roma, Carocci,
2016.
ottermann Annelen, Die Mainzer
Karmelitenbibliothek. Spurensuche
- Spurensicherung - Spurendeutung,
Berlin, Logos, 2016.
palmieri Giorgio, La mediazione difficile.
Tipografie, biblioteche, bibliografie
nell’Italia meridionale fra ’800 e ’900,
a c. di Massimo Gatta, Macerata,
Biblohaus, 2015.
peña díaz Manuel, Escribir y prohibir.
Inquisición y censura en los Siglos de Oro,
Madrid, Cátedra, 2015.
Fogli 38/2017 Nuove accessioni / Pubblicazioni entrate in biblioteca nel 2016
erasmo da rotterdam, Opulentia sordida
e altri scritti attorno ad Aldo Manuzio,
a c. di Lodovica Braida, Venezia,
Marsilio, 2016.
feld Maury D., Printing and Humanism
in Renaissance Italy: Essays on the Revival
of the Pagan Gods, Roma, Roma nel
Rinascimento, 2015.
firpo Luigi, Vita di Giuseppe Pomba
libraio, tipografo, editore, Torino, utet,
2013.
florescu Ileana, Libri prohibiti, Roma,
Lit, 2015.
Frammenti di manoscritti conservati ad
Arezzo. Biblioteca Diocesana del Seminario, Archivio di Stato (1.1-26), catalogo
a c. di Gianluca M. Millesoli, Spoleto, Centro
italiano di studi sull’alto medioevo, 2014.
fumagalli Giuseppe, Donne bibliofile
italiane, a c. di Henriette Doucé,
Macerata, Biblohaus, 2015.
fumian Silvia, Gli incunaboli miniati
e xilografati della Biblioteca Capitolare
di Padova, Padova, Istituto per la storia
ecclesiastica padovana, 2014.
Im Paradies des Alphabets. Die Entwicklung
der lateinischen Schrift. Winterausstellung [Stiftsbibliothek St. Gallen], 26.
November 2016 bis 12. März 2017,
a c. di Cornel Dora et al., St. Gallen,
Verlag am Klosterhof, 2016.
improta Andrea, Arma nostra sunt libri.
Manoscritti e incunaboli miniati dalla
biblioteca di San Domenico Maggiore di
Napoli, Firenze, Nerbini, 2015.
Incunaboli a Siracusa, a c. di Lucia Catalano
et al., Roma, Viella, 2015.
In nobili civitate Messanae. Contributi alla
storia dell’editoria e della circolazione del
libro antico in Sicilia. Seminario di studi,
Montalbano Elicona, 27-28 maggio 2011,
a c. di Giuseppe Lipari, Messina,
Università degli studi di Messina - Centro
internazionale di studi umanistici, 2013.
International Exchange in the Early
Modern Book World, a c. di Matthew
McLean e Sara Barker, Leiden-Boston,
Brill, 2016.
Istituti di assistenza, biblioteche e archivi:
un trinomio caratteristico. Conservare e
promuovere, a c. di Cristina Cenedella,
Milano, Vita e Pensiero, 2015.
Ein Kleid aus Noten. Mittelalterliche Basler
Choralhandschriften als Bucheinbände,
a c. di Matteo Nanni, Caroline Schärli e
Florian Effelsberg, Basel, Schwabe,
2014.
lechner Jean-Claude, À propos de l’édition
du De correptione et gratia dans l’édition
mauriste de 1690 : note sur l’exemplaire
de la Bibliothèque Ambrosienne, Paris,
Chroniques de Port-Royal, 2016
(Estratto da: Chroniques de Port-Royal,
66, 2016, pp. 397-400).
Xylographa Bavarica. Blockbücher in
bayerischen Sammlungen (Xylo-Bav),
a c. di Bettina Wagner, Wiesbaden,
Harrassowitz, 2016.
2. Teologia e biblica
adam Carlo, Gesù il Cristo, a c. di Pietro De
Ambroggi, Brescia, Morcelliana, 1955.
attinger Daniel, Evangelo secondo san
Marco. Il paradosso della debolezza
di Dio, Roma, Nuove Frontiere, 1991.
auer Johann, I sacramenti della Chiesa,
a c. di Carlo Molari, trad. di Giovanni
Moretto, Assisi, Cittadella, 1974 (auer
Johann - ratzinger Joseph, Piccola
dogmatica cattolica, vol. 7).
bartmann Bernardo, Teologia dogmatica,
a c. di Natale Bussi, Alba, Paoline, 1957.
benoît xvi, Lumière du monde. Le pape,
l’Église et les signes des temps. Un
entretien avec Peter Seewald, trad. di
Nicole Casanova e Olivier Mannoni,
Montrouge, Bayard, 2010.
ber ndt Rainer, André de Saint-Victor
(†1175) exégète et théologien, ParisTurnhout, Brepols, 1991.
Das bessere Bild Christi. Das Neue Testament in der Ausgabe des Erasmus
von Rotterdam, a c. di Ueli Dill e Petra
Schierl, Basel, Schwabe, 2016.
La Bibbia commentata dai Padri. Nuovo
Testamento, Roma, Città Nuova: vol. 1/1:
Matteo 1-13, a c. di Manlio Simonetti,
2011; vol. 1/2: Matteo 14-28, a c. di Manlio
Simonetti e Marco Conti, 2006; vol. 2:
Marco, a c. di Thomas C. Oden e Christopher A. Hall (ed. italiana a c. di Gianluca
Pilara), 2010 ; vol. 3: Luca, a c. di Arthur
A. Just Jr. (ed. italiana a c. di Sara Petri e
Giovanna Taponecco), 2006; vol. 5: Atti
degli Apostoli, a c. di Francis Martin e
Evan Smith (ed. italiana a c. di Gianluca
Pilara e Ilaria Maggiulli), 2009; vol. 12:
Apocalisse, a c. di William C. Weinrich
(ed. italiana a c. di Chiara Spuntarelli),
2008.
La Bibbia in poesia. Volgarizzamenti dei
Salmi e poesia religiosa in età moderna,
a c. di Rosanna Alhaique Pettinelli et al.,
Roma, Bulzoni, 2015.
La Bibbia nella letteratura italiana, a c.
di Pietro Gibellini, vol. 5: Dal Medioevo
al Rinascimento, Brescia, Morcelliana,
2013.
La biblioteca di Qumran, edizione bilingue
dei manoscritti, Bologna, Dehoniane: vol.
2: Torah. Esodo - Levitico - Numeri, a c.
di Katell Berthelot e Thierry Legrand (ed.
italiana a c. di Giovanni Ibba e Andrea
Ravasco), 2014; vol. 3a: Torah. Deuteronomio e Pentateuco nel suo insieme,
a c. di Katell Berthelot, Michaël Langlois
e Thierry Legrand (ed. italiana a c. di
Giovanni Ibba), 2016.
152
pestelli Giovanni, Antiche edizioni pratesi
nell’antiquariato. Schede e valutazioni
1999-20 02, Prato, Gruppo Bibliofili
Pratesi “Aldo Preti”, 2003.
petrella Giancarlo, I libri nella torre. La
biblioteca di Castel Thun, una collezione
nobiliare tra XV e XX secolo (con il catalogo
del fondo antico), Firenze, Olschki, 2015.
polo Marco, Das Buch der Wunder.
Handschrift Français 2810 der Bibliothèque nationale de France, Paris =
Le livre des Merveilles. Manuscrit
Français 2810 de la Bibliotèque nationale
de France, Paris, [Bd. 1]: Faksimile,
Luzern, Faksimile Verlag, 1995.
Qu’est-ce que nommer? L’image légendée
entre monde monastique et pensée
scolastique. Actes du colloque du RILMA ,
Institut Universitaire de France (Paris,
INHA , 17-18 octobre 2008), a c. di Christian Heck, Turnhout, Brepols, 2010.
ragionieri Delia, La Biblioteca dell’Accademia della Crusca. Storia e documenti,
Firenze, Accademia della Crusca;
Manziana, Vecchiarelli, 2015.
San Michele in Isola - Isola della conoscenza.
Ottocento anni di storia e cultura camaldolesi nella laguna di Venezia. Mostra
organizzata in occasione del millenario della
fondazione della Congregazione Camaldolese, catalogo a c. di Marcello Brusegan,
Paolo Eleuteri e Gianfranco Fiaccadori,
Torino, utet, 2012.
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Le Puy-en-Velay, a c. di Cécile Gall e Roger
Martin, Vic-en-Bigorre, msm, 2010.
rǎchiteanu Eugen, L’arte bellezza che
incorona il mondo. Visita guidata nella
Chiesa monumentale di San Francesco,
Cortona, con illustrazioni, messaggi
e spiegazioni delle più importanti opere
d’arte, Cortona, Giornale L’Etruria, 2009.
167
15. Doni della Facoltà
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tra creazione, caduta e redenzione.
L’antropologia del desiderio sessuale e la
sua redenzione in Cristo nella prospettiva
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Istituto Giovanni Paolo ii), Siena,
Cantagalli, 2015.
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a la santidad y estados de vida en el
Magisterio y en la manualística recientes
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di Dio. Religione, rivelazione, interpretazione in Emmanuel Lévinas (Tesi, Roma,
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Ecclesiae, sicut Christus. Sobre el simbolismo nupcial del sacerdote desde Hugo de
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la liturgia. Estudio teológico a partir del
Concilio Vaticano II y la reforma litúrgica
posterior (Tesi), Romae, Pontificia
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virtudes en el Comentario del Cardenal
Cayetano al Tratado de Virtudes de la
Summa Theologiae (I-II, qq. 55-67) (Tesi,
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secondo il pensiero di Adriano VI (Tesi),
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nullitatis. Origini, attualità e prospettive
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della Città del Vaticano e la nuova legge
fondamentale (Tesi), Romae, Pontificia
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uso y la gestión del agua (Tesi), Romae,
Pontificia Universitas Sanctae Crucis,
2014.
Fogli 38/2017 Nuove accessioni / Pubblicazioni entrate in biblioteca nel 2016
dell’era Romeo, Le campane della
cattedrale di Lugano: appunti di ricerca
campanologica = Les cloches de la
cathédrale de Lugano: notes de recherche
campanologique, in «Campanae Helveticae. Organe de la Guilde des Carillonneurs et Campanologues Suisses», 20,
2016, pp. 27-53.
Emblemata sacra. Rhétorique et herméneutique du discours sacré dans la littérature
en images = The Rhetoric and Hermeneutics of Illustrated Sacred Discourse, a c. di
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Figurata. Studies, 7).
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magia. La cultura esoterica nell’Italia di
oggi, Bari, Laterza, 1996.
Mundus emblematicus. Studies in Neo-Latin
Emblem Books, a c. di Karl A.E. Enenkel
e Arnoud S.Q. Visser, Turnhout, Brepols,
2003 (Imago Figurata. Studies, 4).
Nouvel Itinéraire portatif de Suisse, d’après
Ébel et les sources les plus récentes,
contenant une Introduction détaillée, la
Description complète de ce pays par
Cantons séparés, la Manière de voyager,
l’Itinéraire, la Statistique, l’Histoire et les
Curiosités naturelles qui font de ce pays
le rendez-vous de l’Europe; de plus, la liste
des Hôtels renommés; orné d’une belle
carte routière de Keller, et de cinq jolis
panoramas des villes principales, dessinés
par Perrot, Paris, Langlois fils, 1827.
probst Eduard, Führer durch die süddeutschen Burgen und Schlösser, Zürich,
Orell Füssli, 1968.
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Giuseppe Tartini, Padova, Centro Studi
Antoniani, 1992 (Estratto da: Il Santo,
rivista antoniana di storia, dottrina, arte,
32, 1992, pp. 265-289).
scandaletti Tiziana, Pietro Bresciani
(1802-1872) musicista padovano, tra
musica sacra nella basilica del Santo e
teatro d’opera, Padova, Centro Studi
Antoniani, 1992 (Estratto da: Il Santo,
rivista antoniana di storia, dottrina, arte,
32, 1992, pp. 361-384).
schiaparelli Luigi, Manuale completo di
geografia e statistica per uso delle famiglie,
degl’istituti d’educazione privata e delle
scuole classiche, tecniche, normali e
magistrali del Regno d’Italia, Torino,
Tommaso Vaccarino, 1876.
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la pianura, il riso, Novara, Interlinea, 2011.
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Sultanes en Marruecos. Relaciones entre
el poder (al-sultān) y la obra religiosa y
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Granada, Facultad de teología, 2013.
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pontificio nella diplomazia multilaterale
con particolare riferimento all’O .N .U.
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Lateranensis, 2015.
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los no cristianos en los principales autores
de lengua francesa del siglo XX y su
recepción en el Concilio Vaticano II (Tesi),
Romae, Pontificia Universitas Sanctae
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Vierge Marie le samedi”, dans “Liturgia
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beni ecclesiastici. Prospettive di diritto
canonico e civile (Tesi, Università Salesiana, 2000-2001), Romano Canavese,
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cristiano nella Chiesa e per la Chiesa.
Un commento dinamico al can. 1421 §2
(Tesi), Città del Vaticano, Lateran
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profeti» (At 3, 25). La profezia visiva del
Pulpito di San Fermo a Verona. Dalla
contemplazione artistica al secondo
annuncio (Tesi), Padova, Facoltà Teologica
del Triveneto, 2014.
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sacramento y carisma. La eclesiología de
E. Corecco (Tesi), Roma, Editrice
Pontificia Università Gregoriana, 2012.
spada Carmine, Il consiglio diocesano per
gli affari economici e l’economo diocesano
(Tesi), Romae, Pontificia Universitas
Lateranensis, 2015.
Pubblicazioni curate
dall’Associazione
Biblioteca
Salita dei Frati
Strumenti
bibliografici
Edizioni ticinesi nel
Convento dei Cappuccini
a Lugano (1747-1900)
Strumento fondamentale
per conoscere l’editoria
ticinese fino al 1900. 2’108
titoli in un volume di 574
p. con 31 tavole e indici.
Lugano, Edizioni Padri
Cappuccini, 1961.
In vendita a fr. 100.–
Guida alle biblioteche della
Svizzera italiana
Il risultato del censimento
delle biblioteche e centri di
documentazione aperti al
pubblico nella Svizzera
italiana. Curata e pubblicata dall’Associazione
Biblioteca Salita dei Frati,
Lugano 1984-1987. Schede
di identità di 80 istituti.
Con un’introduzione sulla
situazione delle biblioteche nella Svizzera italiana.
Esaurito.
Catalogo degli incunaboli
dellaBiblioteca Salita dei
Frati di Luciana Pedroia.
Descrizione dei 26 incunaboli dell’antica biblioteca
dei Cappuccini di Lugano.
Pubblicato su «Fogli», 11
(1991), pp. 3-20.
In vendita a fr. 7.–
Catalogo dei periodici
correnti della Biblioteca
Salita dei Frati di Luciana
Pedroia. Censimento dei
148 periodici che entrano
regolarmente in biblioteca. Pubblicato su «Fogli»,
15 (1994), pp. 15-25.
In vendita a fr. 7.–
Ad uso di… applicato alla
libraria de’ Cappuccini di
Lugano di Giovanni Pozzi
e Luciana Pedroia.
Analisi delle firme di
Cappuccini del sec. xviii
apposte ai libri del fondo
antico della biblioteca.
Catalogo di 1’086 opere
con rinvio a repertori,
bibliografie e biblioteche
che possiedono esemplari
della stessa edizione,
corredato dell’elenco dei
Cappuccini firmatari.
Indici tematico, dei luoghi
di stampa, degli editori,
tipografi e librai, dei nomi
di persona. Roma, Istituto
Storico dei Cappuccini,
1996 (Subsidia scientifica
franciscalia, 9), 388 p.
In vendita a fr. 45.–
Gli opuscoli in prosa della
Biblioteca Salita dei Frati
di Lugano 1538-1850.
Inventario e studio critico
di Stefano Barelli. Repertorio e studio del “materiale
minore’’ della biblioteca.
Bellinzona, Casagrande,
1998 (Strumenti storicobibliografici, 5), 236 p.
In vendita a fr. 68.–
Atti di convegni
Francesco d’Assisi e il francescanesimo delle origini
Atti del Convegno di studi
del 18-20 marzo 1983.
Contributi di Ignazio
Baldelli, Aldo Menichetti,
Ovidio Capitani, Mariano
d’Alatri, Servus Gieben,
Franco Alessio. Pubblicati
su «Ricerche Storiche», 13
(1983), pp. 559-695, tavole.
Esaurito.
La “Nuova Storia della Svizzera e degli Svizzeri”:
storia nazionale e metodologia storica
Atti del Convegno di studi
del 14-15 ottobre 1983.
Contributi di Ulrich Im
Hof, Ruggiero Romano,
Guy Marchal, François
De Capitani, Hans Ulrich
Jost, Raffaello Ceschi, Paul
Huber, Markus Mattmüller.
Pubblicati su «Archivio
storico ticinese», 100 (1984),
pp. 245-308.
In vendita a fr. 18.–
Il mestiere dello storico
dell’Antichità
Atti del Convegno di studi
del 29-30 settembre 1988.
Contributi di Mario Vegetti,
Giuseppe Cambiano,
Luciano Canfora.
Pubblicati su «Quaderni
di storia», 15 (1989), n. 30,
pp. 37-66.
In vendita a fr. 18.–
Il mestiere dello storico
del Medioevo
Atti del Convegno di studi
del 17-19 maggio 1990,
a cura di Fernando Lepori
e Francesco Santi.
Contributi di Claudio
Leonardi, Giuseppe Sergi,
Daniela Romagnoli,
Jean-Claude Schmitt, Cesare
Segre, Adriano Peroni,
Claudio Leonardi.
Spoleto, Centro italiano di
studi sull’alto Medioevo,
1994 (Quaderni di cultura
mediolatina. Collana della
Fondazione Ezio
Franceschini, 7), 124 p.
In vendita a fr. 38.–
Il mestiere dello storico dell’Età
moderna. La vita economica
nei secoli XVI-XVIII
Atti del Convegno di studi
del 14-16 aprile 1994.
Contributi di Philippe
Braunstein, Christian
Simon, Andrea Menzione,
Jon Mathieu, Pierre Jeannin,
Massimo Livi Bacci,
Anne-Marie Piuz, Alfred
Perrenoud, Jean-François
Bergier, Raffaello Ceschi,
Raul Merzario. Bellinzona,
Casagrande, 1997
(Biblioteca dell’Archivio
Storico Ticinese, 1), 213 p.
In vendita a fr. 32.–
Metodi e temi della ricerca
filologica e letteraria
di Giovanni Pozzi
Atti del Seminario di studi
del 10-11 ottobre 2003,
a cura di Fernando Lepori.
Contributi di Ottavio
Besomi, Franco
Gavazzeni, Mirella Ferrari,
Ezio Raimondi, Claudio
Leonardi, Giovanni
Romano. Appendice:
Bibliografia degli scritti
di Giovanni Pozzi
(1950-2014), a cura di
Luciana Pedroia. Firenze,
Ed. del Galluzzo, 2014
(Carte e carteggi, 19).
In vendita a fr. 30.–
Roberto Sanesi (1930-001)
Atti dell’incontro del
24 aprile 2004, a cura
di Raffaella Castagnola e
Alessandro Soldini.
Contributi di Gillo
Dorfles, Gilberto Isella,
Tomaso Kemeny,
Vincenzo Guarracino.
Lugano, Giampiero
Casagrande, 2004
(Oltre le frontiere, 2), 86 p.
In vendita a fr. 14.–
Francesco Soave (1743-1806),
somasco luganese, nel
bicentenario della morte:
pedagogista, filosofo,
letterato
Atti del Convegno di studi
del 25 novembre 2006,
a cura di Ottavio Besomi
e Fernando Lepori.
Contributi di Giovanni
Bonacina, Stefano Barelli,
Francesca Tancini, William
Spaggiari, Filippo Sani.
Milano, Vita e Pensiero
(Ricerche).
In corso di stampa.
Cataloghi
di esposizioni
Edizioni di Basilea del XVI
secolo a sud delle Alpi.
Catalogo dell’esposizione,
a cura del Centro di
competenza per il libro
antico, ideazione
e realizzazione di Marina
Bernasconi Reusser,
Jean-Claude Lechner,
Laura Luraschi Barro,
Luciana Pedroia,
(Lugano, Biblioteca Salita
dei Frati, 12 maggio – 12
agosto 2016). Pubblicato
su «Arte e storia», 68
(2016), 122 p.
Conferenze
Il pensiero filosofico
di Tommaso d’Aquino
Testi del ciclo di conferenze
tenute nella primavera del
1999. Contributi
di Alessandro Ghisalberti,
Ruedi Imbach, Alain De
Libera. Pubblicati su «Studi
medievali», 43 (2002), n. 2,
pp. 803-856.
Esaurito.
Varia
Quando sono in biblioteca
(Una lezione del 1991)
di Giovanni Pozzi.
Nota al testo di Fabio
Soldini.
Estratto da «Fogli» 33,
(2012), 32 p.
In vendita a fr. 7.–
La biblioteca della Madonna
del Sasso di LocarnoOrselina. Note su un
progetto in corso
di Marina Bernasconi
Reusser, Laura Luraschi
Barro, Luciana Pedroia.
Estratto da «Fogli» 35,
(2014), 20 p.
In vendita a fr. 7.–
Giovanni Pozzi e Giorgio
Orelli lettori reciproci.
Testimonianze epistolari
di Fabio Soldini.
Estratto da «Fogli» 35,
(2014), 20 p.
In vendita a fr. 7.–
L’Associazione
«Biblioteca
Salita dei Frati»
Costituita nel 1976, si occupa
della Biblioteca Salita dei
Frati, aperta al pubblico
dall’ottobre 1980 in un edificio di Mario Botta.
Dei 120’000 volumi e 400
periodici, la maggior parte
proviene dal Convento
dei Cappuccini di Lugano, la
cui biblioteca si è andata costituendo nel XVI secolo e
ingrossando dal XVIII. Sono
particolarmente rilevanti le
edizioni ticinesi (ne è stato
pubblicato il catalogo), la storia e segnatamente quella locale, l’ascetica e la predicazione
(molti i testi utili allo studio
della religiosità popolare), la
letteratura e la retorica.Negli
ultimi anni si sono aggiunti
altri fondi, donati o acquistati, e in particolare il cospicuo
fondo di p. Giovanni Pozzi
(10’000 libri e 4’400 estratti),
che comprende oltre a un
buon lotto di autori secenteschi alcuni rari, opere di
metodologia letteraria,
semiotica, iconologia, teoria
del linguaggio mistico. Alla
biblioteca è pure annesso
un consistente fondo di immaginette devozionali.
L’Associazione cura l’arricchimento della biblioteca
acquisendo soprattutto strumenti per lo studio del fondo
antico (secoli XVI-XVIII),
opere relative alla storia della
religiosità e a san Francesco
e al francescanesimo.
Accanto alla conservazione
e agli acquisti delle pubblicazioni, l’Associazione organizza in biblioteca un’attività
culturale (conferenze, convegni, seminari) su tematiche
di cultura bibliografica,
religiosa, francescana, storicofilosofica e letteraria (in
determinate circostanze viene
curata la pubblicazione
degli atti) e un’attività espositiva rivolta soprattutto al
libro d’artista.
Inoltre l’Associazione
pubblica dal 1981, di regola
una volta all’anno, il periodico «Fogli», dove tra
l’altro, nella rubrica Rara
et curiosa, si descrivono
opere di particolare pregio
e interesse bibliografico
conservate nei vari fondi
della biblioteca.
Dell’Associazione può
far parte chi approvi lo
statuto e versi la tassa sociale
annua (almeno 40 franchi
i soci individuali; 10 franchi
studenti, apprendisti,
pensionati; 100 franchi le
istituzioni). Chi è membro
dell’Associazione è informato regolarmente di ogni
attività che si tiene in biblioteca, in particolare ricevendo
gratuitamente «Fogli»
e gli inviti alle manifestazioni, partecipa alle scelte
dell’Associazione (nell’assemblea e nei gruppi di
lavoro) e contribuisce al
finanziamento dell’attività,
con la tassa annua.
Iscrizioni
Per iscriversi all’Associazione
e richiedere «Fogli»
o altre pubblicazioni,
ci si rivolga all’Associazione
«Biblioteca Salita dei Frati»:
Salita dei Frati 4a
ch-6900 Lugano
telefono
+41(0)91 923 91 88
telefax
+41(0)91 923 89 87
e-mail
bsf-segr.sbt@ti.ch
La Biblioteca
Salita dei Frati
Fa parte del Sistema bibliotecario ticinese (www.sbt.ch)
come biblioteca associata.
Le notizie bibliografiche delle
nuove acquisizioni librarie
vengono inserite nel catalogo
del Sistema dal 2001; la
ricatalogazione informatizzata del pregresso è in corso di
attuazione.
Dal 2010 partecipa al progetto
e-rara, il portale che riunisce
libri antichi digitalizzati provenienti da diverse biblioteche
svizzere, accessibili per il
lettore gratuitamente online.
Centro di competenza
per il libro antico
Dal 2014 la Biblioteca Salita
dei Frati ha assunto il ruolo
di Centro di competenza per
il libro antico. Fra i progetti
principali vi è la catalogazione di fondi librari antichi
(attualmente è in corso quella
delle seguenti biblioteche:
Madonna del Sasso di
Orselina, Santa Maria del
Bigorio , Abate Fontana di
Sagno) e il censimento dei
fondi librari antichi di
proprietà privata presenti
nella Svizzera italiana in vista
dell’inserimento dei dati nel
catalogo online del Sistema
bibliotecario ticinese.
Partecipa al progetto MEI
(Material Evidence in
Incunabula), banca dati che
raccoglie tutte le informazioni legate agli esemplari degli
incunaboli conosciuti.
Orari di apertura
al pubblico
Mercoledì, giovedì e venerdì
dalle 14 alle 18
sabato
dalle 9 alle 12
ISSN 2235-4697
Fr. 7.—