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Ancora su Dante e le influenze orientali nella Divina Commedia. Prospettive iranico-islamiche e nuovi sviluppi. in C. Saccone (a cura di), Sguardi su Dante e l'Oriente (Quaderni di Studi Indo-Mediterranei IX, 2016)

Quaderni di Studi Indo-Mediterranei Collana diretta da Carlo Saccone 9 Direttore: Carlo Saccone Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini (responsabile per il Nord America), Carlo Saccone Comitato dei consulenti scientifici: Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mistica comparata), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), Francesco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Daniela Boccassini (UBC Vancouver, filologia romanza), Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), Patrizia Caraffi (UniBologna, iberistica), Carlo Donà (Uni-Messina, letterature comparate), Patrick Francke (Uni-Bamberg, arabistica), Alessandro Grossato (Facoltà Teologica del Triveneto, indologia), Giancarlo Lacerenza (Uni-Napoli, giudaistica), Mario Mancini (Uni-Bologna, francesistica), Roberto Mulinacci (Uni-Bologna, lusitanistica), Carla Corradi Musi (Uni-Bologna, studi sciamanistici), Giangiorgio Pasqualotto (Uni-Padova, filosofie orientali), Carlo Saccone (Uni-Bologna, iranistica), Tito Saronne (Uni-Bologna, slavistica), Mauro Scorretti (Uni-Amsterdam, linguistica), Giulio Soravia (Uni-Bologna, maleo-indonesistica), Kamran Talattof (Uni-Arizona, iranistica), Ermanno Visintainer (ASTREA, filologia delle lingue turco-mongole) La Collana “Quaderni di Studi Indo-Mediterranei” (QSIM) ha sede presso il Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna, Via Cartoleria 5, 40124 Bologna, ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi e Ricerche EuroAsiatiche) e affiliata al centro di ricerca FIMIM (Filologia e Medievistica Indo-Mediterranea) del Dipartimento di Lingue dell’Università di Bologna, raggiungibile al sito: http://fimim.altervista.org/index.html La posta cartacea può essere inviata a Carlo Saccone, all’indirizzo ufficiale qui sopra indicato. Sito web ufficiale della Collana: http://www2.lingue.unibo.it/studi%20indo-mediterranei/ sito in inglese: http://qusim.arts.ubc.ca/ Ulteriori materiali e informazioni sul sito di “Archivi di Studi Indo-Mediterranei” (ASIM) http://www.archivindomed.altervista.org/ Per contatti, informazioni e proposte di contributi e recensioni, che verranno sottoposti a procedimento di valutazione con peer review, si prega di utilizzare il seguente indirizzo: carlo.saccone@unibo.it Per ordinazioni dei volumi della Collana si prega di contattare l’Editore all’indirizzo ordini@ediorso.it o al sito: www.ediorso.it Quaderni di Studi Indo-Mediterranei IX (2016) Sguardi su Dante da Oriente a cura di Carlo Saccone Edizioni dell’Orso Alessandria Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell’Università “Alma Mater” di Bologna © 2017 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. via Rattazzi, 47 15121 Alessandria tel. 0131.252349 fax 0131.257567 e-mail: info@ediorso.it http://www.ediorso.it Realizzazione editoriale a cura di ARUN MALTESE (bibliotecnica.bear@gmail.com) Realizzazione grafica a cura di PAOLO FERRERO (paolo.ferrero@nethouse.it) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41 ISSN 2532-8492 ISBN 978-88-6274-786-8 Questo volume è dedicato al grande maestro e amico Johann Cristoph Bürgel (Università di Berna), pir-e moghān-e irānshenāsi Indice Introduzione di Carlo Saccone Maria Corti: Dante e la cultura islamica di Maurizio Capone p. IX 1 La simbolica del viaggio nel mondo spirituale musulmano. Dal pellegrinaggio alla Mecca al mi‘râj di Maometto di Johann Christoph Bürgel 21 Dante e al-Ma’arrî: un confronto a distanza di Mario Mancini 43 Una cortesia mediterranea tra Cordova e Firenze? Il collare della colomba di Ibn Ḥazm e La vita nuova di Dante di Andrea Celli 55 Le traduzioni della “Commedia” in arabo di Djaouida Abbas 75 Il mi‘rāj del mistico iranico Abū Yazīd Bisṭāmī nelle redazioni di al-‘Ārif e di Farīd al-Dīn ‘Aṭṭār di Nahid Norozi 97 Ancora su Dante e le influenze orientali nella Divina Commedia. Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi di Andrea Piras 121 La Commedia di Dante e il Viaggio nel Regno del Ritorno di Sanā’i di Ghazna: quale confronto di Carlo Saccone 135 Indice Aspetti dell’amore mistico nella Vita Nuova di Dante e nel ‘Abhar al‘āsheqin (Il gelsomino dei Fedeli d’Amore) di Ruzbehān Baqli di Shiraz di Sergio Foti 151 Dante Alighieri in armeno: dalla traduzione alla creazione di Sona Haroutyunian 179 Dante Ermete e la Tavola di smeraldo di Ezio Albrile 197 Medieval or Early Modern Hebrew Authors in Italy: Sometimes They Were Responding to Dante, Sometimes Themes Are Merely Shared di Ephraim Nissan 237 Dante tantrico e vedico di Nicola Licciardello 271 Dante e l’India di Alessandro Grossato 299 OMAGGIO AL MAESTRO Alcuni ghazal e poesie su Dante di J. C. Bürgel 327 RECENSIONI (R. CONTE, E. NISSAN) 335 NOTIZIE SUGLI AUTORI 369 VIII Ancora su Dante e le influenze orientali nella Divina Commedia. Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi Andrea Piras Accettare inviti periodici di coinvolgimento in pubblicazioni dedicate alla Commedia, e ai suoi discussi e controversi influssi orientali, è sempre un evento che agisce come un pungolo di apprensione e di sfida, nel tentativo di sceverare la materia dell’opera per estrarne nuovi indizi, rimasti imbrigliati, si auspica, nel palinsesto narrativo di una stesura che certo non fu solo opera di sommo ingegno poetico ma che dovette riflettere tutta un’epoca e un ambiente di formazione intellettuale in cui Dante visse. Non essendo un dantista mi sottrarrò a ciò. Però non mi sono sottratto, comunque, al pungolo che il collega Carlo Saccone mi ha lanciato, come uno strale, con tutta la sua fiducia riposta in tale invito che spero di soddisfare. Ma come sempre per tutti noi iranisti, denuncio in premessa l’ardua e vana impresa – e la sconfitta annunciata – di proclamare nuove trouvailles. No: in questa impervia queste di Graal testuali non vi sono valenti cavalieri di nobile sang real che conquistino il sacro calice di inedite rivelazioni; e così mi limiterò a una onesta rassegna di quanto è stato prodotto negli studi iranologici in questi ultimi anni. Darò anche notizia di contributi che giungono a completare riusciti eventi congressuali di studi, seminari e conferenze, organizzati a Ravenna1, grazie all’alacrità delle iniziative dantesche che producono ogni anno degli aggiornamenti sulla critica storico-letteraria. E oltre a ciò spiegano il senso della fortuna, anche mediatica, che la contemporaneità tributa al Sommo Poeta, stimolando rinnovati interessi di lettura e di approfondimenti: in specie nei giovani lettori, ragazzi che ne scoprono il gusto avvincente e, direi, la capacità di rapimento narrativo, di sogno, immaginazione e creatività fantastica. Insomma, buone nuove per il mondo: Spes ultima dea. Non sorprende, va detto, questa periodica coscrizione degli iranisti in senso ampio (pre-islamisti e islamisti), invitati a commentare una tipologia di narrazioni che hanno per oggetto il viaggio dell’anima in geografie oltremondane (infernali 1 Mi riferisco all’iniziativa “Ravenna per Dante. Settembre Dantesco, Letture Classensi. Le celebrazioni della città in onore del Sommo Poeta” (23 agosto- 12 novembre 2016); e inoltre al ciclo di quattro incontri dell’autunno 2016: “Conversazioni Dantesche. L’alto volo. Tra sciamani, poeti e aviatori” a cura di Sebastiana Nobili e Luigi Canetti. «Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», IX (2016), pp. 121-134. Andrea Piras e paradisiache), evento escatologico/visionario che nella sua formulazione di viaggio post-mortem è inscrivibile nella ideologia funeraria o nel viaggio estatico mazdaico, sperimentabile in una condizione di morte simulata e di stati alterni (o alterati) di coscienza2. In ragione della sensibilità mazdaica per una “cultura dell’anima” (e anzi, della molteplicità delle anime: alcune psichico-emotive e sensoriali, altre trascendenti e immortali) e per una tipologia di racconti modellati su categorie dell’anima e sulle peregrinazioni ultraterrene delle stesse (o di sosia animico-spirituali), la cultura iranico-zoroastriana nelle sue declinazioni e nella sua continuità, dalla fase mazdea a quella islamica, rappresenta un fertile vivaio di dottrine, speculazioni e rituali che intorno a questa dimensione escatologica hanno costruito un’architettura di pensiero e di opere, la cui trasmissione in area islamica (diretta o indiretta) potrebbe aver stimolato nuove fioriture narrative, nell’alveo del Levante e del Mediterraneo nel Medioevo italiano. È su ciò che si dibatte, nel tentativo di rinvenire tracce di passaggio dall’Iran mazdeo all’Islam, iranico e non, per riprendere un tema caro a Henry Corbin3: ma per quel che ci interessa in questa trafila (temi escatologici zoroastriani→testi islamici→ traduzioni in lingue romanze→Dante), constatiamo l’evidenza di numerose lacune. Tuttavia gli esperti dell’area iranologica vengono interpellati comunque, quando si affrontano esplorazioni e ricerche su quell’inesauribile sorgente di intuizioni e suggestioni che fu la Commedia dantesca, e il tempo e gli ambienti che intorno ad essa si svilupparono o che ad essa erano preesistenti, nel Duecento e nel Trecento. Dopo questa rassegna iniziale di tre saggi iranologici, distribuiti lungo l’arco di un decennio (2005, 2008, 2014) si darà notizia dettagliata di un importante contributo di italianistica (2015) con una attenta disamina di teorie antiche e recenti circa l’influsso islamico esercitato sulla “fabbrica” della Commedia, e quindi sul noto libro di Miguel Asín Palacios e la polemica che ingenerò. Il contributo di Adriano V. Rossi, comparso nella “Lectura Dantis 2001” organizzata dall’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, muove da un testo molto noto della letteratura escatologica zoroastriana, ovvero il “Libro di Ardā Wīrāz” (Ardā Wīrāz Nāmag: AWN d’ora in poi), opera che appunto per il suo intendimento pedagogico in merito alla sorte dell’anima nel post-mortem ebbe un’ampia diffusione non solo nel panorama testuale in pahlavi (medio-persiano 2 È quindi ovvia la presenza di Dante in trattazioni storico-religiose dedicate ai viaggi dell’anima, su cui cf. Couliano 1991: 200-217, e Couliano 1986: 145-176 (anche per la questione del miʿrāj [“viaggio”] di Muḥammad). 3 Cf. estesamente il libro di Corbin 1986. 122 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi dei libri zoroastriani) ma anche in successive sue traduzioni in sanscrito e in pazand, oppure in lingue più correnti, come il persiano moderno e il gujarati, parlate dalle comunità dei fedeli zoroastriani diffuse sia in Iran che in India. Libro quindi attuale, nella sua ispirazione didattica in merito alle cose dell’Aldilà, e forse perciò fu la prima opera zoroastriana tradotta in una lingua occidentale, l’inglese, nel 1816; e non a caso quanto mai rispondente anche al gusto islamico per la storie oltremondane e escatologiche, come è del resto provato dal successo di Dante nel gusto letterario delle culture dell’Islam contemporaneo, se si ricordano le recenti traduzioni della Commedia nella lingua farsi (Iran) e urdu (Pakistan), presentate alcuni anni fa a Ravenna4. Adriano Rossi ripercorre le fortune del testo escatologico all’interno della comunità zoroastriana, notando non solo eventi comunicativi pubblici, legati a una lettura a fini edificanti verso una assemblea di fedeli, ma anche, in questa dimensione socio-letteraria del testo, «l’esistenza di numerosi rimaneggiamenti manoscritti contenenti immagini miniate, sviluppatisi in modo del tutto simmetrico alla nostra vignettistica medievale, sui tormenti che vengono inflitti alle varie categorie di peccatori»5, ricordando come la percezione anche visiva di un testo figurato potesse contribuire a esaltare quelle intenzioni pedagogiche che una comunità elabora e rafforza, intorno a un nucleo di concetti e di imperativi comportamentali, utili alla coesione sociale e al rafforzamento di valori tradizionali che vengono così rinnovati e perpetuati nel tempo. Il riferimento a una attualità del testo e dei suoi insegnamenti, nella vita culturale della comunità zoroastriana dell’India del XIX secolo, è una testimonianza interessante della perpetuità e della trasmissione delle dottrine escatologiche nella società parsi, e conferma – bisogna aggiungere – al pari di altri testi come il libro Ayādgār ī Jāmāspīg, recentemente studiato da Domenico Agostini6, fino a che punto determinate concezioni potessero essere sentite e vissute, in epoche di crisi sociale ed economica, come indizi epocali di scenari catastrofici (e in tale senso “apocalittici”), come quelli descritti da opere tradizionali che riassumevano speculazioni sul senso della storia e sulla sua comprensione religiosa, in quell’ambito di eventi millenaristici ricorrenti nella 4 Per la versione farsi: F. Mandavi Damghani, Komedi-e elahi: asar-e javdane-ye Dante Alighieri, Tehran 2000 (presentata a Ravenna nel 2001). Versione urdu: A. Ahmad, Ṭarbiya-i khudāwandī La Divina Commedia – Inferno, Delhi 1943 (presentata a Ravenna nel 2016). Ringrazio Francesca Masi e Anna Guidazzi, del Centro Relazioni Culturali del Comune di Ravenna, per questa segnalazione dei titoli delle due opere. 5 Rossi 2005: 257. Questa valutazione di Rossi mi sembra particolarmente utile per comprendere quelle pratiche performative di testi raccontati e disegnati che si ritrovano nella cultura iraniana e centro-asiatica, su cui cf. Piras 2010. 6 Agostini 2013: 22. 123 Andrea Piras storia letteraria e sociale della comunità zoroastriana all’indomani della sua sconfitta (e integrazione conflittuale) ad opera dell’Islam. In questa fruizione comunitaria, agevolata da una diffusione multilinguistica di traduzioni in idiomi parlati e non solo di antica autorevolezza (come il pahlavi), Rossi sottolinea quelle valenze di prodotto sì colto (proveniente dalla cerchia sacerdotale del mazdeismo) ma di destinazione popolare, diffuso per esigenze catechetiche ed etico-religiose da quegli ambienti culturalmente elevati degli studiosi parsi che, non a caso, conobbero e apprezzarono l’opera di Dante. Tra questi viene citato il dotto Jivanji Jamshedji Modi, socio della Società Dantesca di Londra che nel 26 febbraio 1892 tenne una conferenza nella sede di Bombay della Reale società di studi asiatici, dal titolo “The Divine Comedy of Dante and the Virâf nâmeh of Ardâi Virâf”, che insieme ad altri articoli dedicati a questo argomento portò negli anni alla composizione di un volumetto chiamato Dante Papers. Per questi motivi, il “Libro di Ardā Wīrāz” costituisce un oggetto privilegiato di analisi, quando si congettura su temi escatologici di inferni e paradisi antecedenti la Commedia, incoraggiati da quelle accertate sopravvivenze di immaginari di provenienza zoroastriana nella cultura islamica7. E perciò si specula nel merito di cosa (e quanto) possa essere poi confluito nella vasta mediazione di una fase islamica di trasmissione che avrebbe reso possibile, in ramificazioni intertestuali spesso a noi oscure, un transito di cicli narrativi che potrebbero essersi intrecciati con altre ispirazioni letterarie, queste più identificabili per contiguità culturale e confessionale: da una parte, di chiara trafila classica, se si riflette sul ruolo di guida psicopompa di Virgilio; e poi nel vasto ambito di provenienza biblica e in quelle declinazioni apocalittiche di racconti visionari e escatologici, appartenenti a tradizioni cristiane. Anche se è inevitabile che una mera recensione di analogie letterarie non equivalga a determinare un legame storico tra queste, è pur vero che la loro sovrapposizione è accattivante e stimola a indugiare in tali meccanismi comparativi, come suggerisce un giudizio cauto di Pagliaro che Rossi cita8, in merito al parallelo tra i fiumi infernali alimentati dalle lacrime della statua del Veglio di Creta, simbolo delle epoche dell’umanità (Inferno, XIV, 103 e sgg.), e il fiume infernale delle lacrime che in AWN (XVI, 2) fluisce dal lamento dei congiunti che piangono per la morte dei loro cari e perciò dopo la morte sono ostacolati dall’attraversarlo. «Precisare per quali vie tali suggestioni possano essere pervenute nel raggio della cultura dantesca – affermava Pagliaro – è 7 8 Cf. Bausani 1999: 149-187; 305-354. Rossi 2005: 271-272. 124 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi purtroppo impossibile», anche se cogliere queste sintonie di immagini può incoraggiare, almeno, una schedatura tipologica come operazione preliminare di confronto, in attesa che nuovi indizi testuali ci permettano di completare tale quadro con una più certa e documentata linea di trasmissione. La trattazione di Antonio Panaino si sofferma, dopo una rituale premessa sulla letteratura zoroastriana in medio-persiano (pahlavi) – e sugli strumenti reperibili in lingua italiana, per chiarire le basi testuali da cui muovere verso ulteriori considerazioni – sulla varietà mitopoietica e narrativa di una produzione testuale didattica eterogenea, diffusa nel bacino Mediterraneo fra tarda antichità e medioevo, a suffragio di una plausibile dinamica di interazioni e circolazioni di varie categorie di racconti di edificazione (novelle, fiabe, apologhi) che il mondo islamico avrebbe inglobato in un contesto interconfessionale (giudaismo, cristianesimo, gnosi, zoroastrismo, manicheismo, buddhismo) e poi trasmesso. Fra i vari testi, giustamente Panaino evidenzia anche l’importanza del ciclo – originariamente buddhista – di Barlaam e Josaphat che per effetto di adozioni e rimaneggiamenti sarebbe poi finito, per mediazione islamica, nel patrimonio bizantino e cristiano del Mediterraneo e poi della cultura europea9. L’argomento della letteratura escatologica zoroastriana, costituisce un ovvio refrain di sfondo per indagare quelle trame di narrazioni soprannaturali e di peregrinazioni oltremondane che avrebbero potuto affiancarsi, o intricarsi, con altri filoni testuali dell’antichità ellenistica o ebraico-cristiana e islamica, per giungere a un qualche documento pervenuto all’attenzione di Dante. Ma oltre alla cultura scritta, Panaino menziona anche l’importanza di quella categoria di menestrelli di corte, i partici gōsān, studiati in un lavoro memorabile di Mary Boyce che ancora fa scuola, con gli inevitabili aggiornamenti dovuti10. La multiforme oralità che ha permesso la trasmissione di cicli narrativi epico-mitologici nell’Iran pre-islamico è un vettore testuale che illustra la circolazione e la vitalità di un patrimonio leggendario – repertorio dei bardi – che si sarebbe mantenuto per secoli, contribuendo a creare quelle situazioni di audience socio-linguistica, come quella evidenziata da Rossi, che avrebbe rappresentato un pubblico di fruitori analogo a coloro che assistevano alle performance di lettura dei contenuti didattici e pedagogici dell’AWN. La lunga disamina della struttura del testo dell’AWN e delle sue geografie paradisiache e 9 Panaino 2008: 171-173. Segnalo anche quanto da me affrontato in Piras 2011, in merito a questo ciclo di Barlaam e Josaphat e ai suoi passaggi, dalla mediazione islamica a quella greco-bizantina e poi alle letterature medievali. Sull’uso del testo come repertorio di exempla da trasporre iconograficamente nell’arte medievale italiana, cf. Tagliatesta 2009. 10 Si rimanda all’aggiornamento della stessa Mary Boyce nella Encyclopaedia Iranica: http://www. iranicaonline.org/articles/gosan. 125 Andrea Piras infernali – laddove le ultime sono più dettagliate delle prime, a scopo terroristicopedagogico – si sofferma sulla molteplicità di interazioni culturali che si trovarono in una medesima amalgama al tempo della prima elaborazione dell’AWN (VI secolo) e della sua conseguente peregrinazione testuale nell’ambito delle lingue della comunità zoroastriana (pahlavi, pazand, neopersiano, gujarati). Come poi una qualche versione dell’AWN possa essersi trasmessa, in epoca islamica, in idiomi di ampia diffusione come l’arabo: questo è il tassello che ci manca. Constatiamo solo, in ambito islamico, una materia narrativa escatologica e visionaria, con un retroterra ebraico e cristiano comune, in molti casi, alle tre religioni abramitiche; a cui si aggiunga tutto un altro filone narrativo che è quello dell’apocalittica e dei suoi risvolti, sia profetici sia di visione estatica, massimo obiettivo del quale è quel viaggio soprannaturale e quell’esperienza oltremondana che fonda la veridicità di assunti dottrinali e dei codici sociali e comportamentali. Bisogna ricordare in questa disamina, iniziative di ormai lontani convegni, come quello dedicato all’Ascensione di Isaia, al cui interno vi fu una presenza iranologica come quella di Gherardo Gnoli11, invitato ad esaminare forme e motivi di provenienza mazdea comparabili con i materiali dell’immaginario giudaico, per sottolineare una volta di più il legame tra approccio iranologico e giudaico nel difficile lavoro di ricostruzione di contiguità tra ambiti che furono culturalmente vicini, e nelle cui convivenze possono essersi sviluppate forme e sintonie tra motivi condivisi. Il richiamo ad ascendenze neoplatoniche (Macrobio e il commentario al Somnium Scipionis I, 1, 9) – parimenti attestate nel ribollente bacino del Mediterraneo ellenistico e tardo-antico – consente di inquadrare la fenomenologia dell’esperienza oltremondana in quelle categorie oniriche di percezione sovrasensibile e immaginale di una tipologia visionaria pertinente alla Himmelsreise e alle sue narrazioni che si prestavano a intrecciarsi con il materiale apocalittico, e che si deve aggiungere al nostro dossier per fissare le coordinate tipologiche di ambiti e contesti in interferenza dialogica. Cosa importante: nell’elenco delle differenze che rendono inconciliabile e irriducibile ogni peculiarità e originalità di una cultura, nei confronti di un’altra, bisogna citare l’osservazione di Panaino12 in merito a una idiosincratica particolarità che allontana l’inferno zoroastriano da ogni comparazione con l’inferno dantesco: la presenza del fuoco. Il fuoco è un elemento sacro per il culto mazdeo, al centro della ideologia rituale e di eccelsa filiazione divina – visto il suo epiteto di “figlio di Ahura Mazdā” come è detto nei testi avestici e pahlavi –: quindi è impensabile 11 12 Gnoli 1983: 117-132. Panaino 2008: 186-187. 126 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi come elemento collegabile all’inferno, dove è invece la tenebra spessa e densa (in AWN 18. 3-6) ad essere presenza opprimente dell’abbandono divino e della dannazione (seppure non eterna) che marca con una desolazione di solitudine il castigo del dannato, sottomesso a una serie di pene di contrappasso che in effetti possono ricordare analoghi scenari danteschi, come è stato notato. Sicuramente la mancanza del fuoco nell’inferno mazdeo, nella sua contrastiva alterità rispetto all’inferno della Commedia, in virtù del suo carattere numinoso, è uno dei tanti punti di estraneità fra i due ambiti, viceversa paragonabili laddove determinati scenari ambientali come quello del fiume gelato del Cocito infernale (Inf. XIV, 112 e ssg.) suggeriscono una analogia, data la percezione demoniaca del gelo e del vento gelido proveniente dal settentrione, nella cultura zoroastriana. Panaino suggerisce inoltre – parlando del “limbo” dei confronti tematici – che possono darci strumenti aggiuntivi, suggestivi ma non euristici, tuttavia significativi nella loro provvisorietà: «il fatto che Satana sia imprigionato nella Giudecca, in un luogo ghiacciato e non nel fuoco, rievoca simbolicamente un’immagine che non sarebbe per nulla dispiaciuta ad un sacerdote mazdeo» e che forse, in effetti, i dotti parsi che sono venuti conoscenza della Commedia, tra i quali, in primis, il sopracitato Modi, potrebbero aver notato con giustificabile favore e concordia, sulla base delle loro abitudini e mentalità. L’ultimo dei contributi iranologici, quello di Domenico Agostini (2014), affronta un tema connesso alla figura di Beatrice, dal punto di vista zoroastriano di un ricco immaginario centrato su personificazioni di una bellezza celestiale che svolgono un ruolo di guida nelle vicende post-mortem, conducendo l’anima del defunto verso quelle dimensioni paradisiache (o infernali) preannunciate dalla epifania di una divina (o stregonesca) fanciulla, la Daēnā, una sorta di emblema animico che rispecchia quanto è stato compiuto di buono (o di riprovevole) durante l’esistenza e che in virtù di tale rispecchiamento consente all’anima di transitare lungo un percorso ascensionale, sino alle tre sfere di Stelle, Luna e Sole (in un ordine simbolico di luminosità crescente) per giungere infine nella dimora paradisiaca delle Luci Infinite. A differenza di questa manifestazione di grazia divina e di fragranza, che avanza nello splendore aurorale delle prime luci del mattino, in un vento balsamico e aulente – tutti prodromi di una estetica della salvezza che assomma bontà, bellezza, luminosità e profumo –, è facile ricavare gli esiti opposti di una orrida Daēnā accompagnata da un vento gelido e fetido, che riflette il male, le iniquità e l’empietà di un’anima malvagia, condannata a precipitare in un inferno di Tenebre Infinite. A completamento di questo viaggio post-mortem vi è un’altra situazione di escatologia visionaria e di morte apparente che contraddistingue un’altra tipologia di esperienze oltremondane, quella che appunto occorre a Wīrāz nell’AWN o al gran sacerdote Kirdīr nelle sue iscrizioni: il primo è guidato da Srōš e Ādur e il secondo è guidato dalla sua Daēnā. Il 127 Andrea Piras parallelo che Agostini suggerisce è di natura formale e tipologica, e non vuol certo proporre impervie e impossibili ricostruzioni storiche nell’affiancare la Daēnā psicopompa zoroastriana alla Beatrice dantesca, guida dell’anima, l’una, e guida del Sommo Poeta, l’altra. Ma indubbiamente il confronto è suggestivo e fenomenologicamente congruo – e ricorre nella scolastica degli studi e degli insegnamenti iranologici, quando si spiega agli studenti il ruolo di Daēnā paragonandola a una sorta di “Beatrice del mazdeismo”. La trattazione di Agostini è quindi stimolante per offrire, oltre alla bibliografia di settore iranologico, anche spigolature italianistiche nella Enciclopedia Dantesca o la menzione di autori come G. Rossetti, B. Croce, M. Galdenzi, V. Branca e M. Corti. Allo stesso modo, è rimarchevole il passo che Agostini riporta, tratto dal Purgatorio (XXX, 22-24) sull’apparizione di Beatrice nel momento dell’aurora: «Io vidi già nel cominciar del giorno, la parte oriental tutta rosata, e l’altro ciel di bel sereno adorno» Il fatto poi che Beatrice compaia «dentro una nuvola di fiori» (28) sottolinea una ambientazione davvero simile a quanto si appalesa nei racconti escatologici zoroastriani, dove in effetti, oltre agli aromi e alle fragranze, si constata una ambientazione aurorale di un colore rosato, cui allude anche un riferimento cromatico all’incarnato della Daēnā, dalle bianche e rosate braccia, epifania divina di un fulgore mattutino che esempla nuances attenuate e opalescenti, diverse dal rosso più acceso della piena manifestazione del sole, conseguente ai bagliori tenui della sua auriga aurorale13. Lasciandoci prendere dal gusto delle collazioni tra immagini letterarie, svincolate dai loro referenti storici, indugiamo ancora in questo gioco, citando un brano delle letteratura escatologica zoroastriana avestica (Hādōxt Nask II, 7-9) che descrive l’apparizione di Daēnā: «Alla fine della terza notte, l’anima dell’uomo giusto ha l’impressione di risplendere come l’aurora, ha l’impressione di essere trasportata verso le piante e i profumi; le sembra che un vento soffi dalla parte del meridione, dalle direzioni del meridione, fragrante, più fragrante di ogni vento […] Nell’avanzare di questo vento gli appare la propria Daēnā dalla forma di fanciulla, bella, splendente, dalle bianche braccia»14 13 Questo immaginario cromatico-poetico suggerisce un ovvio parallelo con l’omerica “Aurora dalle dita di rosa”: ho affrontato una comparazione tra tali ambiti iranico-ellenici (e indoeuropeistici) in Piras 2003, che ora si completano in questo passo citato da Agostini. 14 Piras 2000: 52. 128 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi Ancora una volta, i raffronti tipologici tra immaginari poetici sovrapponibili non richiedono certificazioni storiche di derivazione, ma suscitano interrogativi e ipotesi, spingono a indagare, con rinnovati stimoli, quei fermenti dottrinali e quei viaggi testuali che si incrociarono nel continente euroasiatico e indomediterraneo, alimentandosi a vicenda sino a confondersi in una indistinzione di contaminazioni che veicolava apporti, suggestioni, creazioni intellettuali e speculazioni poetiche, letterarie, estetiche. Il saggio di Agostini incita in questa direzione, proponendo oltre a questi confronti un approccio fenomenologico condotto nel segno di quella trafila di concezioni che si trasmisero alla filosofia medievale e che avevano come oggetto la Sapienza e l’intelletto, le potenze dell’anima e dello spirito: di cui sia Beatrice che Daēnā possono esserne epifanie e raffigurazioni, che vengono evocate per descrivere esperienze della coscienza e simboli di trasformazione e di unificazione. Tale è il senso dell’incontro dell’anima con la Daēnā e tale è il senso dell’esperienza poetica di Dante, nel suo movimento anagogico di reintegrazione di una unità divisa, in una esperienza di meditazione e introspezione che si riflette nella formazione della sua opera. Le speculazioni medievali sulla Sapienza e sull’Intelletto Attivo, sulle diverse modalità noetiche (pensiero, fantasia, immaginativa) della coscienza, possono senz’altro avvalersi di questo vasto insieme di dottrine che offrono sonde di scandaglio morfologico per indagare contesti difformi e storicamente indipendenti, anche se la mediazione della filosofia islamica potrebbe aver fornito un vettore aggiuntivo di trasmissione, non solo di Avicenna e di Averroé ma anche di credenze del misticismo Sufi e di quelle dottrine di un lirismo d’amore che già da diverso tempo sono nell’agenda di comparazioni tra letterature romanze e arabe (poesia trobadorica), nei punti di incontro della Spagna moresca e della successiva diffusione verso l’Europa. A cui non si può dimenticare di aggiungere il ponte di transito e diramazione di Bisanzio e dell’Italia meridionale, specialmente nell’epoca normanna e poi sveva, o in quella terra di Sicilia15 che per effetto di molteplici immigrazioni conseguenti alla conquista araba dell’isola, e per vicinanza con l’Egitto fatimide, fu un’altra piattaforma di diffusione della cultura islamica: di creatività architettonica, artistico-iconografica, e di certo anche testuale, verso ambienti intellettuali come quelli della Scuola siciliana, di impianto federiciano, e poi del Dolce stilnovo16. Un tale approccio di ricostruzione della 15 Rimando a un avvincente studio del compianto Giovanni D’Erme (1995) sulla Cappella Palatina di Palermo, per un inquadramento storico-culturale di quanto ho sopra accennato. 16 Cf. diversi capitoli del libro di Agamben 2006: 73-155, per un inquadramento della lirica d’amore del Duecento e per la riflessione filosofica su aspetti noetici (sapienza, intelletto, fantasia) e ispirativi delle sue poetiche. 129 Andrea Piras variegata filiera culturale sottesa agli ambienti del medioevo italico, diviso tra regni e dinastie in alleanza o in conflitto, potrà servire per valutare quegli influssi che si composero nella molteplice e stratificata formazione di Dante, nel tentativo di comprendere aspetti di introspezione e di affinamento della coscienza, dei sensi e dell’intelletto. Insieme ad una attitudine alla interiorizzazione che è stata talvolta valutata come “esoterismo”17, per definire l’operato di cenacoli di poeti, filosofi e letterati che condivisero, in un mutuo scambio di idee e di ispirazioni, quei frutti spirituali di una creatività espressa nei linguaggi poetici che la storia della letteratura italiana ha poi ordinato e compreso nelle sue tassonomie euristiche di generi e di stilistica. L’ultimo contributo di cui do notizia è una stimolante messa e punto di un italianista e storico della letteratura, Paolo De Ventura (2015), che ha il merito di sintetizzare la storia della ricerca sul Libro della Scala, sulla questione islamicodantesca, da Miguel Asín Palacios a Maria Corti, con una ingente mole di informazioni bibliografiche e di ricognizioni metodologiche sulla evoluzione della critica. Il fascicolo del Bollettino Dantesco (4, 2015) in cui è inserito tale ricco saggio ha inoltre il pregio di fornire ai lettori una ristampa dell’articolo di Giuseppe Gabrieli (“Dante e il Pensiero Musulmano”), pubblicato nel fascicolo 4 del 1919 (pp. 87-88), in occasione del sesto centenario del Sommo Poeta. Vi si troveranno considerazioni incoraggianti su quanto, dopo quasi un secolo, la critica letteraria continua ancora a discutere in merito a transiti o influssi dell’Islam in luoghi (la Spagna di Alfonso il Savio), personalità (Brunetto Latini) o eventi storici (le Crociate) che favorirono una circolazione di conoscenze. A completamento di questa riproposizione delle due pagine di G. Gabrieli, il lungo articolo di De Ventura completa e aggiorna nella contemporaneità del dibattito i molti rivoli degli approcci critici e degli snodi intertestuali che si presentano, nei crocevia di filologie molteplici (romanza, italiana, araba) e con una ammirevole compiutezza di dati in ambiti di non sua specifica pertinenza come l’islamologia (Capezzone, Baffioni, G. Gabrieli e F. Gabrieli). La fortuna delle traduzioni italiane del libro di Asín Palacios (Escatologia musulmana en la Divina Comedia) dalla prima edizione del 1994, fino alle successive ristampe (1997, 2005, 2014), con l’ausilio critico di una introduzione di Carlo Ossola, testimoniano una sicura fortuna editoriale dell’opera nel nostro paese e forniscono argomenti per continuare il dibattito. Anche grazie alla prosopografia autoriale degli studiosi, che De Ventura affronta nel caso di Asín Palacios e della sua formazione sugli 17 Diverse pagine del libro di Valli 1928: 100 ssg., necessiterebbero quindi di una lettura rinnovata e attenta alle sue molteplici suggestioni che andrebbero vagliate e approfondite. 130 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi scritti neoplatonici e mistici della filosofia ispano-musulmana o sulla metafisica della luce di Ibn ʿArabī, le cui ascensioni allegoriche influirono sulla genesi della trattazione dell’autore. Ugualmente importante è il profilo di Giuseppe Gabrieli e la sua disputa con Miguel Asín Palacios, non solo per ripercorrere una polemica che a partire dalla prima età del Novecento ancora oggi anima la critica, ma anche per riprendere note critiche di Gabrieli quanto mai condivisibili, laddove imputava ad Asín Palacios di aver considerato solo la Spagna musulmana e non l’oriente siro-egizio e lo «schermo condensatore e riflettore, anzi radiatore, di Bisanzio». Nell’aggiornamento degli ambienti sociali dell’epoca di Dante sono interessanti le pagine sulla cultura veronese e scaligera, nonché su certi aspetti di quella moda musulmana18 che pervadeva il medioevo, prova ne furono i drappi funerari di Cangrande, con scritte arabe recanti una preghiera ad Allah. Allo stesso modo è suggestiva e plausibile l’ipotesi che un testo come il Libro della Scala avrebbe potuto trovare per il suo titolo, una degna accoglienza nelle biblioteche “scaligere” della corte veronese. La ricognizione continua nel merito di una messa a giorno dei contributi più recenti della critica (G. Battistoni, A. Celli, A. Longoni): nei domini della italianistica, delle filologie medio-latina e romanza e dei ritrovamenti di testi che arricchiscono il panorama letterario medievale con una varietà di documenti che aumentano la sensazione di un debito di Dante verso una cultura che potrebbe aver ingenerato nel suo animo una sorta di “anxiety of influence”. E di conseguenza, una “sindrome del debitore” che opera una rimozione difensiva, per fare della Commedia – sotto il velame dei suoi versi – una sorta di “controtesto” in risposta alle sollecitazioni ispirative provenienti da generi non solo colti, come il Libro della Scala e altri della Collectio Toletana, ma anche di più ampia divulgazione, in una alternanza quindi tra registro erudito e registro popolare che specie per le narrazioni oltremondane appare quanto mai pertinente19. Il dibattito su un celebre saggio di Maria Corti (1995) – verso il quale noi iranisti tributiamo omaggio – non ha risparmiato l’esercizio della critica e dei pareri avversi, nella denuncia di toni islamofili e di suoi pregiudizi ideologici, oltre che a esprimere riserve sulle tre direttive (intertestualità, interdiscorsività e fonte diretta) che la studiosa proponeva, riserve che tuttavia non impediscono all’autore di apprezzare il lavoro della Corti e la attualità del suo saggio su Dante e l’Islam, tradotto in inglese per il numero monografico dei Dante Studies del 2007. Le conclusioni di De Ventura sono quanto mai propositive e propulsive 18 Su cui cf. anche Saccone 1997: 164. Si veda il capitolo “Aspetti eruditi e popolari dei viaggi dell’Aldilà nel Medioevo” di Le Goff 1993: 75-98. 19 131 Andrea Piras nell’indicare nuovi punti di partenza: dando ormai per assodato che non è certo possibile dubitare della diffusione in ambito neolatino di fonti islamiche20, e del fatto che fossero accessibili a Dante. Il che è sicuramente un notevole passo in avanti, per nulla scontato, vista la pruderie dei puristi. Perciò l’autore indirizza gli sforzi dei dantisti «verso la sfida antica di arricchire il banco di Dante di nuovi volumi e dare una nuova e più credibile misura alla sua biblioteca», richiamando la novità di un recente libro di L. Gargan (Dante, la sua biblioteca e lo studio di Bologna, Roma-Padova 2014) dove vi è la prova che un “liber qui dicitur Scala Mahometti” circolava negli ambienti bolognesi, nel convento di San Domenico. Questo particolare non solo aumenta la percezione delle zone d’ombra di quanto sfugga alle nostre conoscenze e di quanto tali assenze debbano far riflettere. Questo va detto per italianisti, dantisti e filologi medio-latini e romanzi: gli iranisti possono riallacciarsi alle parole introduttive di Carlo Ossola alla edizione italiana del libro di Asín Palacios, quando indicava tre direzioni di ricerca, per non disperdere la ricca messe di suggestioni raccolta dallo studioso spagnolo, e cioè: 1) i testi latini e romanzi che oltre al Liber de scala conducono a Dante; 2) la cultura romanza nelle sue ascendenze ispano-arabe (ma meglio sarebbe dire ispano-musulmane) lungo l’affermarsi dei moduli siciliani e provenzali fino allo Stil Novo, alla Vita Nova, al Convivio e alle Rime; 3) una rilettura del Paradiso per ciò che riguarda la metafisica della luce. Punto, quest’ultimo, che un iranista versato nello studio della letteratura pahlavi non può che assumere e rivendicare, aggiungendovi anche l’Inferno (specie per ciò che concerne alcune descrizioni truculente di pene e di supplizi), e indagare con pazienza quei sentieri accidentati di possibili intertestualità che dalla letteratura zoroastriana escatologica (pahlavi, pazand, neopersiana, gujarati) possano in qualche modo, fortunosamente, pervenire a livelli di traducibilità (completa o riassuntiva) confluiti nelle letterature islamiche (araba, persiana, turca) e in loro transiti, resi poi in altri idiomi veicolari delle narrazioni oltremondane del medioevo europeo. Il desideratum di Giuseppe Gabrieli, formulato nel 1921, «occorre un dantista orientalista e in particolare islamista, uno studioso del medio evo che sia forte negli studi romanici come nelle lingue orientali, specialmente nell’ebraico e nell’arabo» potrebbe dunque essere un auspicio e un incitamento a contemperare l’iranologia dei testi zoroastriani in questo collegium trilingue orientale della dantistica. In conclusione, per sottolineare come uno sguardo islamistico sulla Divina Commedia sia ormai nell’agenda più recente21 delle iniziative dantesche, 20 21 Cf. Mancini 1992 sulla diffusione della cultura araba nel medioevo. Cf. ora l’agile raccolta di saggi in Capone 2015 (E. Benigni, C. Capone, M. Corti, V. Pucciarelli). 132 Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi bisogna menzionare il recente Congresso Dantesco Internazionale22, tenutosi a Ravenna dal 24 al 27 maggio 2017, nelle cui sessioni due giovani studiosi23, Salah Kamal Hassan Mohammed e Maurizio Capone, hanno appunto affrontato relazioni in tale prospettiva di islamo-dantistica. Riferimenti bibliografici Agamben, G. (20062) Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino. Agostini, D. (2013) Ayādgār ī Jāmāspīg. Un texte eschatologique zoroastrien, Roma. Agostini, D. (2014) Encountering a Beautiful Maiden: On the Zoroastrian dēn in Comparison with Dante’s Beatrice, in Bulletin of the Asia Institute 24, pp. 1523. Bausani, A. (1999) Persia religiosa, Cosenza (Introduzioni di G. Gnoli, G. Scarcia, A. Ventura). Capone, C. (2015) Dante e la cultura islamica, Milano. Corbin, H. (1986) Corpo spirituale e Terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, Milano. Corti, M. 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Visione ed esegesi profetica cristiano-primitiva nell’Ascensione di Isaia, Brescia, pp. 117-132. 22 Sotto l’egida dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna: Dipartimento di Beni Cuturali e Dipartimento di Filologia classica e Italianistica (comitato scientifico: S. Nobili, G. Ledda, A. Mangini e M. Veglia). 23 S. K. Hassan Mohammed “Intertestualità della Divina Commedia con le Sacre Scritture, con particolare sguardo sul Corano”; M. Capone “Maria Corti: Dante e la cultura islamica”. 133 Andrea Piras Le Goff, J. (1996) La nascita del Purgatorio, Torino. Le Goff, J. (1993) L’immaginario medievale, Milano. Mancini, M. (1992) La cultura araba, in G. Cavallo et alii (a c. di), Lo spazio letterario del Medioevo, 1. Il Medioevo latino, vol. 1: la produzione del testo, Roma, pp. 199-217. Panaino, A. (2008) L’Aldilà zoroastriano e quello dantesco. Appunti per una riflessione comparativa e tipologica su forme e motivi ricorrenti nei viaggi ultraterreni, in A. 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