Quaderni di Studi Indo-Mediterranei
Collana diretta da Carlo Saccone
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Direttore: Carlo Saccone
Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini (responsabile per il Nord America), Carlo Saccone
Comitato dei consulenti scientifici: Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mistica
comparata), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), Francesco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Daniela Boccassini (UBC Vancouver, filologia romanza), Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), Patrizia Caraffi (UniBologna, iberistica), Carlo Donà (Uni-Messina, letterature comparate), Patrick
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iranistica), Ermanno Visintainer (ASTREA, filologia delle lingue turco-mongole)
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ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi e Ricerche EuroAsiatiche) e affiliata al centro di ricerca FIMIM (Filologia e Medievistica Indo-Mediterranea)
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Quaderni di Studi
Indo-Mediterranei
IX
(2016)
Sguardi su Dante da Oriente
a cura di
Carlo Saccone
Edizioni dell’Orso
Alessandria
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture
Moderne dell’Università “Alma Mater” di Bologna
© 2017
Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.
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compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41
ISSN 2532-8492
ISBN 978-88-6274-786-8
Questo volume è dedicato al grande maestro e amico Johann Cristoph Bürgel
(Università di Berna), pir-e moghān-e irānshenāsi
Indice
Introduzione
di Carlo Saccone
Maria Corti: Dante e la cultura islamica
di Maurizio Capone
p.
IX
1
La simbolica del viaggio nel mondo spirituale musulmano.
Dal pellegrinaggio alla Mecca al mi‘râj di Maometto
di Johann Christoph Bürgel
21
Dante e al-Ma’arrî: un confronto a distanza
di Mario Mancini
43
Una cortesia mediterranea tra Cordova e Firenze? Il collare della colomba
di Ibn Ḥazm e La vita nuova di Dante
di Andrea Celli
55
Le traduzioni della “Commedia” in arabo
di Djaouida Abbas
75
Il mi‘rāj del mistico iranico Abū Yazīd Bisṭāmī nelle redazioni di al-‘Ārif
e di Farīd al-Dīn ‘Aṭṭār
di Nahid Norozi
97
Ancora su Dante e le influenze orientali nella Divina Commedia.
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
di Andrea Piras
121
La Commedia di Dante e il Viaggio nel Regno del Ritorno di Sanā’i
di Ghazna: quale confronto
di Carlo Saccone
135
Indice
Aspetti dell’amore mistico nella Vita Nuova di Dante e nel ‘Abhar al‘āsheqin (Il gelsomino dei Fedeli d’Amore) di Ruzbehān Baqli di Shiraz
di Sergio Foti
151
Dante Alighieri in armeno: dalla traduzione alla creazione
di Sona Haroutyunian
179
Dante Ermete e la Tavola di smeraldo
di Ezio Albrile
197
Medieval or Early Modern Hebrew Authors in Italy: Sometimes
They Were Responding to Dante, Sometimes Themes Are Merely Shared
di Ephraim Nissan
237
Dante tantrico e vedico
di Nicola Licciardello
271
Dante e l’India
di Alessandro Grossato
299
OMAGGIO AL MAESTRO
Alcuni ghazal e poesie su Dante
di J. C. Bürgel
327
RECENSIONI (R. CONTE, E. NISSAN)
335
NOTIZIE SUGLI AUTORI
369
VIII
Ancora su Dante e le influenze orientali nella Divina Commedia.
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
Andrea Piras
Accettare inviti periodici di coinvolgimento in pubblicazioni dedicate alla
Commedia, e ai suoi discussi e controversi influssi orientali, è sempre un evento
che agisce come un pungolo di apprensione e di sfida, nel tentativo di sceverare
la materia dell’opera per estrarne nuovi indizi, rimasti imbrigliati, si auspica, nel
palinsesto narrativo di una stesura che certo non fu solo opera di sommo ingegno
poetico ma che dovette riflettere tutta un’epoca e un ambiente di formazione
intellettuale in cui Dante visse. Non essendo un dantista mi sottrarrò a ciò. Però
non mi sono sottratto, comunque, al pungolo che il collega Carlo Saccone mi ha
lanciato, come uno strale, con tutta la sua fiducia riposta in tale invito che spero
di soddisfare. Ma come sempre per tutti noi iranisti, denuncio in premessa l’ardua
e vana impresa – e la sconfitta annunciata – di proclamare nuove trouvailles. No:
in questa impervia queste di Graal testuali non vi sono valenti cavalieri di nobile
sang real che conquistino il sacro calice di inedite rivelazioni; e così mi limiterò
a una onesta rassegna di quanto è stato prodotto negli studi iranologici in questi
ultimi anni. Darò anche notizia di contributi che giungono a completare riusciti
eventi congressuali di studi, seminari e conferenze, organizzati a Ravenna1, grazie
all’alacrità delle iniziative dantesche che producono ogni anno degli
aggiornamenti sulla critica storico-letteraria. E oltre a ciò spiegano il senso della
fortuna, anche mediatica, che la contemporaneità tributa al Sommo Poeta,
stimolando rinnovati interessi di lettura e di approfondimenti: in specie nei giovani
lettori, ragazzi che ne scoprono il gusto avvincente e, direi, la capacità di
rapimento narrativo, di sogno, immaginazione e creatività fantastica. Insomma,
buone nuove per il mondo: Spes ultima dea.
Non sorprende, va detto, questa periodica coscrizione degli iranisti in senso
ampio (pre-islamisti e islamisti), invitati a commentare una tipologia di narrazioni
che hanno per oggetto il viaggio dell’anima in geografie oltremondane (infernali
1
Mi riferisco all’iniziativa “Ravenna per Dante. Settembre Dantesco, Letture Classensi. Le celebrazioni
della città in onore del Sommo Poeta” (23 agosto- 12 novembre 2016); e inoltre al ciclo di quattro incontri
dell’autunno 2016: “Conversazioni Dantesche. L’alto volo. Tra sciamani, poeti e aviatori” a cura di Sebastiana
Nobili e Luigi Canetti.
«Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», IX (2016), pp. 121-134.
Andrea Piras
e paradisiache), evento escatologico/visionario che nella sua formulazione di
viaggio post-mortem è inscrivibile nella ideologia funeraria o nel viaggio estatico
mazdaico, sperimentabile in una condizione di morte simulata e di stati alterni (o
alterati) di coscienza2. In ragione della sensibilità mazdaica per una “cultura
dell’anima” (e anzi, della molteplicità delle anime: alcune psichico-emotive e
sensoriali, altre trascendenti e immortali) e per una tipologia di racconti modellati
su categorie dell’anima e sulle peregrinazioni ultraterrene delle stesse (o di sosia
animico-spirituali), la cultura iranico-zoroastriana nelle sue declinazioni e nella
sua continuità, dalla fase mazdea a quella islamica, rappresenta un fertile vivaio
di dottrine, speculazioni e rituali che intorno a questa dimensione escatologica
hanno costruito un’architettura di pensiero e di opere, la cui trasmissione in area
islamica (diretta o indiretta) potrebbe aver stimolato nuove fioriture narrative,
nell’alveo del Levante e del Mediterraneo nel Medioevo italiano. È su ciò che si
dibatte, nel tentativo di rinvenire tracce di passaggio dall’Iran mazdeo all’Islam,
iranico e non, per riprendere un tema caro a Henry Corbin3: ma per quel che ci
interessa in questa trafila (temi escatologici zoroastriani→testi islamici→
traduzioni in lingue romanze→Dante), constatiamo l’evidenza di numerose
lacune. Tuttavia gli esperti dell’area iranologica vengono interpellati comunque,
quando si affrontano esplorazioni e ricerche su quell’inesauribile sorgente di
intuizioni e suggestioni che fu la Commedia dantesca, e il tempo e gli ambienti
che intorno ad essa si svilupparono o che ad essa erano preesistenti, nel Duecento
e nel Trecento. Dopo questa rassegna iniziale di tre saggi iranologici, distribuiti
lungo l’arco di un decennio (2005, 2008, 2014) si darà notizia dettagliata di un
importante contributo di italianistica (2015) con una attenta disamina di teorie
antiche e recenti circa l’influsso islamico esercitato sulla “fabbrica” della
Commedia, e quindi sul noto libro di Miguel Asín Palacios e la polemica che
ingenerò.
Il contributo di Adriano V. Rossi, comparso nella “Lectura Dantis 2001”
organizzata dall’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, muove da un testo
molto noto della letteratura escatologica zoroastriana, ovvero il “Libro di Ardā
Wīrāz” (Ardā Wīrāz Nāmag: AWN d’ora in poi), opera che appunto per il suo
intendimento pedagogico in merito alla sorte dell’anima nel post-mortem ebbe
un’ampia diffusione non solo nel panorama testuale in pahlavi (medio-persiano
2
È quindi ovvia la presenza di Dante in trattazioni storico-religiose dedicate ai viaggi dell’anima, su cui
cf. Couliano 1991: 200-217, e Couliano 1986: 145-176 (anche per la questione del miʿrāj [“viaggio”] di
Muḥammad).
3
Cf. estesamente il libro di Corbin 1986.
122
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
dei libri zoroastriani) ma anche in successive sue traduzioni in sanscrito e in
pazand, oppure in lingue più correnti, come il persiano moderno e il gujarati,
parlate dalle comunità dei fedeli zoroastriani diffuse sia in Iran che in India. Libro
quindi attuale, nella sua ispirazione didattica in merito alle cose dell’Aldilà, e
forse perciò fu la prima opera zoroastriana tradotta in una lingua occidentale,
l’inglese, nel 1816; e non a caso quanto mai rispondente anche al gusto islamico
per la storie oltremondane e escatologiche, come è del resto provato dal successo
di Dante nel gusto letterario delle culture dell’Islam contemporaneo, se si
ricordano le recenti traduzioni della Commedia nella lingua farsi (Iran) e urdu
(Pakistan), presentate alcuni anni fa a Ravenna4. Adriano Rossi ripercorre le
fortune del testo escatologico all’interno della comunità zoroastriana, notando
non solo eventi comunicativi pubblici, legati a una lettura a fini edificanti verso
una assemblea di fedeli, ma anche, in questa dimensione socio-letteraria del testo,
«l’esistenza di numerosi rimaneggiamenti manoscritti contenenti immagini
miniate, sviluppatisi in modo del tutto simmetrico alla nostra vignettistica
medievale, sui tormenti che vengono inflitti alle varie categorie di peccatori»5,
ricordando come la percezione anche visiva di un testo figurato potesse
contribuire a esaltare quelle intenzioni pedagogiche che una comunità elabora e
rafforza, intorno a un nucleo di concetti e di imperativi comportamentali, utili alla
coesione sociale e al rafforzamento di valori tradizionali che vengono così
rinnovati e perpetuati nel tempo. Il riferimento a una attualità del testo e dei suoi
insegnamenti, nella vita culturale della comunità zoroastriana dell’India del XIX
secolo, è una testimonianza interessante della perpetuità e della trasmissione delle
dottrine escatologiche nella società parsi, e conferma – bisogna aggiungere – al
pari di altri testi come il libro Ayādgār ī Jāmāspīg, recentemente studiato da
Domenico Agostini6, fino a che punto determinate concezioni potessero essere
sentite e vissute, in epoche di crisi sociale ed economica, come indizi epocali di
scenari catastrofici (e in tale senso “apocalittici”), come quelli descritti da opere
tradizionali che riassumevano speculazioni sul senso della storia e sulla sua
comprensione religiosa, in quell’ambito di eventi millenaristici ricorrenti nella
4
Per la versione farsi: F. Mandavi Damghani, Komedi-e elahi: asar-e javdane-ye Dante Alighieri, Tehran
2000 (presentata a Ravenna nel 2001). Versione urdu: A. Ahmad, Ṭarbiya-i khudāwandī La Divina Commedia
– Inferno, Delhi 1943 (presentata a Ravenna nel 2016). Ringrazio Francesca Masi e Anna Guidazzi, del Centro
Relazioni Culturali del Comune di Ravenna, per questa segnalazione dei titoli delle due opere.
5
Rossi 2005: 257. Questa valutazione di Rossi mi sembra particolarmente utile per comprendere quelle
pratiche performative di testi raccontati e disegnati che si ritrovano nella cultura iraniana e centro-asiatica, su
cui cf. Piras 2010.
6
Agostini 2013: 22.
123
Andrea Piras
storia letteraria e sociale della comunità zoroastriana all’indomani della sua
sconfitta (e integrazione conflittuale) ad opera dell’Islam.
In questa fruizione comunitaria, agevolata da una diffusione multilinguistica
di traduzioni in idiomi parlati e non solo di antica autorevolezza (come il pahlavi),
Rossi sottolinea quelle valenze di prodotto sì colto (proveniente dalla cerchia
sacerdotale del mazdeismo) ma di destinazione popolare, diffuso per esigenze
catechetiche ed etico-religiose da quegli ambienti culturalmente elevati degli
studiosi parsi che, non a caso, conobbero e apprezzarono l’opera di Dante. Tra
questi viene citato il dotto Jivanji Jamshedji Modi, socio della Società Dantesca
di Londra che nel 26 febbraio 1892 tenne una conferenza nella sede di Bombay
della Reale società di studi asiatici, dal titolo “The Divine Comedy of Dante and
the Virâf nâmeh of Ardâi Virâf”, che insieme ad altri articoli dedicati a questo
argomento portò negli anni alla composizione di un volumetto chiamato Dante
Papers.
Per questi motivi, il “Libro di Ardā Wīrāz” costituisce un oggetto privilegiato
di analisi, quando si congettura su temi escatologici di inferni e paradisi
antecedenti la Commedia, incoraggiati da quelle accertate sopravvivenze di
immaginari di provenienza zoroastriana nella cultura islamica7. E perciò si specula
nel merito di cosa (e quanto) possa essere poi confluito nella vasta mediazione di
una fase islamica di trasmissione che avrebbe reso possibile, in ramificazioni
intertestuali spesso a noi oscure, un transito di cicli narrativi che potrebbero essersi
intrecciati con altre ispirazioni letterarie, queste più identificabili per contiguità
culturale e confessionale: da una parte, di chiara trafila classica, se si riflette sul
ruolo di guida psicopompa di Virgilio; e poi nel vasto ambito di provenienza
biblica e in quelle declinazioni apocalittiche di racconti visionari e escatologici,
appartenenti a tradizioni cristiane. Anche se è inevitabile che una mera recensione
di analogie letterarie non equivalga a determinare un legame storico tra queste, è
pur vero che la loro sovrapposizione è accattivante e stimola a indugiare in tali
meccanismi comparativi, come suggerisce un giudizio cauto di Pagliaro che Rossi
cita8, in merito al parallelo tra i fiumi infernali alimentati dalle lacrime della statua
del Veglio di Creta, simbolo delle epoche dell’umanità (Inferno, XIV, 103 e sgg.),
e il fiume infernale delle lacrime che in AWN (XVI, 2) fluisce dal lamento dei
congiunti che piangono per la morte dei loro cari e perciò dopo la morte sono
ostacolati dall’attraversarlo. «Precisare per quali vie tali suggestioni possano
essere pervenute nel raggio della cultura dantesca – affermava Pagliaro – è
7
8
Cf. Bausani 1999: 149-187; 305-354.
Rossi 2005: 271-272.
124
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
purtroppo impossibile», anche se cogliere queste sintonie di immagini può
incoraggiare, almeno, una schedatura tipologica come operazione preliminare di
confronto, in attesa che nuovi indizi testuali ci permettano di completare tale
quadro con una più certa e documentata linea di trasmissione.
La trattazione di Antonio Panaino si sofferma, dopo una rituale premessa sulla
letteratura zoroastriana in medio-persiano (pahlavi) – e sugli strumenti reperibili
in lingua italiana, per chiarire le basi testuali da cui muovere verso ulteriori
considerazioni – sulla varietà mitopoietica e narrativa di una produzione testuale
didattica eterogenea, diffusa nel bacino Mediterraneo fra tarda antichità e
medioevo, a suffragio di una plausibile dinamica di interazioni e circolazioni di
varie categorie di racconti di edificazione (novelle, fiabe, apologhi) che il mondo
islamico avrebbe inglobato in un contesto interconfessionale (giudaismo,
cristianesimo, gnosi, zoroastrismo, manicheismo, buddhismo) e poi trasmesso.
Fra i vari testi, giustamente Panaino evidenzia anche l’importanza del ciclo –
originariamente buddhista – di Barlaam e Josaphat che per effetto di adozioni e
rimaneggiamenti sarebbe poi finito, per mediazione islamica, nel patrimonio
bizantino e cristiano del Mediterraneo e poi della cultura europea9. L’argomento
della letteratura escatologica zoroastriana, costituisce un ovvio refrain di sfondo
per indagare quelle trame di narrazioni soprannaturali e di peregrinazioni
oltremondane che avrebbero potuto affiancarsi, o intricarsi, con altri filoni testuali
dell’antichità ellenistica o ebraico-cristiana e islamica, per giungere a un qualche
documento pervenuto all’attenzione di Dante. Ma oltre alla cultura scritta, Panaino
menziona anche l’importanza di quella categoria di menestrelli di corte, i partici
gōsān, studiati in un lavoro memorabile di Mary Boyce che ancora fa scuola, con
gli inevitabili aggiornamenti dovuti10. La multiforme oralità che ha permesso la
trasmissione di cicli narrativi epico-mitologici nell’Iran pre-islamico è un vettore
testuale che illustra la circolazione e la vitalità di un patrimonio leggendario –
repertorio dei bardi – che si sarebbe mantenuto per secoli, contribuendo a creare
quelle situazioni di audience socio-linguistica, come quella evidenziata da Rossi,
che avrebbe rappresentato un pubblico di fruitori analogo a coloro che assistevano
alle performance di lettura dei contenuti didattici e pedagogici dell’AWN. La lunga
disamina della struttura del testo dell’AWN e delle sue geografie paradisiache e
9
Panaino 2008: 171-173. Segnalo anche quanto da me affrontato in Piras 2011, in merito a questo ciclo
di Barlaam e Josaphat e ai suoi passaggi, dalla mediazione islamica a quella greco-bizantina e poi alle
letterature medievali. Sull’uso del testo come repertorio di exempla da trasporre iconograficamente nell’arte
medievale italiana, cf. Tagliatesta 2009.
10
Si rimanda all’aggiornamento della stessa Mary Boyce nella Encyclopaedia Iranica: http://www.
iranicaonline.org/articles/gosan.
125
Andrea Piras
infernali – laddove le ultime sono più dettagliate delle prime, a scopo terroristicopedagogico – si sofferma sulla molteplicità di interazioni culturali che si trovarono
in una medesima amalgama al tempo della prima elaborazione dell’AWN (VI
secolo) e della sua conseguente peregrinazione testuale nell’ambito delle lingue
della comunità zoroastriana (pahlavi, pazand, neopersiano, gujarati). Come poi
una qualche versione dell’AWN possa essersi trasmessa, in epoca islamica, in
idiomi di ampia diffusione come l’arabo: questo è il tassello che ci manca.
Constatiamo solo, in ambito islamico, una materia narrativa escatologica e
visionaria, con un retroterra ebraico e cristiano comune, in molti casi, alle tre
religioni abramitiche; a cui si aggiunga tutto un altro filone narrativo che è quello
dell’apocalittica e dei suoi risvolti, sia profetici sia di visione estatica, massimo
obiettivo del quale è quel viaggio soprannaturale e quell’esperienza oltremondana
che fonda la veridicità di assunti dottrinali e dei codici sociali e comportamentali.
Bisogna ricordare in questa disamina, iniziative di ormai lontani convegni, come
quello dedicato all’Ascensione di Isaia, al cui interno vi fu una presenza
iranologica come quella di Gherardo Gnoli11, invitato ad esaminare forme e motivi
di provenienza mazdea comparabili con i materiali dell’immaginario giudaico,
per sottolineare una volta di più il legame tra approccio iranologico e giudaico
nel difficile lavoro di ricostruzione di contiguità tra ambiti che furono
culturalmente vicini, e nelle cui convivenze possono essersi sviluppate forme e
sintonie tra motivi condivisi. Il richiamo ad ascendenze neoplatoniche (Macrobio
e il commentario al Somnium Scipionis I, 1, 9) – parimenti attestate nel ribollente
bacino del Mediterraneo ellenistico e tardo-antico – consente di inquadrare la
fenomenologia dell’esperienza oltremondana in quelle categorie oniriche di
percezione sovrasensibile e immaginale di una tipologia visionaria pertinente alla
Himmelsreise e alle sue narrazioni che si prestavano a intrecciarsi con il materiale
apocalittico, e che si deve aggiungere al nostro dossier per fissare le coordinate
tipologiche di ambiti e contesti in interferenza dialogica. Cosa importante:
nell’elenco delle differenze che rendono inconciliabile e irriducibile ogni
peculiarità e originalità di una cultura, nei confronti di un’altra, bisogna citare
l’osservazione di Panaino12 in merito a una idiosincratica particolarità che
allontana l’inferno zoroastriano da ogni comparazione con l’inferno dantesco: la
presenza del fuoco. Il fuoco è un elemento sacro per il culto mazdeo, al centro
della ideologia rituale e di eccelsa filiazione divina – visto il suo epiteto di “figlio
di Ahura Mazdā” come è detto nei testi avestici e pahlavi –: quindi è impensabile
11
12
Gnoli 1983: 117-132.
Panaino 2008: 186-187.
126
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
come elemento collegabile all’inferno, dove è invece la tenebra spessa e densa
(in AWN 18. 3-6) ad essere presenza opprimente dell’abbandono divino e della
dannazione (seppure non eterna) che marca con una desolazione di solitudine il
castigo del dannato, sottomesso a una serie di pene di contrappasso che in effetti
possono ricordare analoghi scenari danteschi, come è stato notato. Sicuramente
la mancanza del fuoco nell’inferno mazdeo, nella sua contrastiva alterità rispetto
all’inferno della Commedia, in virtù del suo carattere numinoso, è uno dei tanti
punti di estraneità fra i due ambiti, viceversa paragonabili laddove determinati
scenari ambientali come quello del fiume gelato del Cocito infernale (Inf. XIV,
112 e ssg.) suggeriscono una analogia, data la percezione demoniaca del gelo e
del vento gelido proveniente dal settentrione, nella cultura zoroastriana. Panaino
suggerisce inoltre – parlando del “limbo” dei confronti tematici – che possono
darci strumenti aggiuntivi, suggestivi ma non euristici, tuttavia significativi nella
loro provvisorietà: «il fatto che Satana sia imprigionato nella Giudecca, in un
luogo ghiacciato e non nel fuoco, rievoca simbolicamente un’immagine che non
sarebbe per nulla dispiaciuta ad un sacerdote mazdeo» e che forse, in effetti, i
dotti parsi che sono venuti conoscenza della Commedia, tra i quali, in primis, il
sopracitato Modi, potrebbero aver notato con giustificabile favore e concordia,
sulla base delle loro abitudini e mentalità.
L’ultimo dei contributi iranologici, quello di Domenico Agostini (2014),
affronta un tema connesso alla figura di Beatrice, dal punto di vista zoroastriano
di un ricco immaginario centrato su personificazioni di una bellezza celestiale
che svolgono un ruolo di guida nelle vicende post-mortem, conducendo l’anima
del defunto verso quelle dimensioni paradisiache (o infernali) preannunciate dalla
epifania di una divina (o stregonesca) fanciulla, la Daēnā, una sorta di emblema
animico che rispecchia quanto è stato compiuto di buono (o di riprovevole)
durante l’esistenza e che in virtù di tale rispecchiamento consente all’anima di
transitare lungo un percorso ascensionale, sino alle tre sfere di Stelle, Luna e Sole
(in un ordine simbolico di luminosità crescente) per giungere infine nella dimora
paradisiaca delle Luci Infinite. A differenza di questa manifestazione di grazia
divina e di fragranza, che avanza nello splendore aurorale delle prime luci del
mattino, in un vento balsamico e aulente – tutti prodromi di una estetica della
salvezza che assomma bontà, bellezza, luminosità e profumo –, è facile ricavare
gli esiti opposti di una orrida Daēnā accompagnata da un vento gelido e fetido,
che riflette il male, le iniquità e l’empietà di un’anima malvagia, condannata a
precipitare in un inferno di Tenebre Infinite. A completamento di questo viaggio
post-mortem vi è un’altra situazione di escatologia visionaria e di morte apparente
che contraddistingue un’altra tipologia di esperienze oltremondane, quella che
appunto occorre a Wīrāz nell’AWN o al gran sacerdote Kirdīr nelle sue iscrizioni:
il primo è guidato da Srōš e Ādur e il secondo è guidato dalla sua Daēnā. Il
127
Andrea Piras
parallelo che Agostini suggerisce è di natura formale e tipologica, e non vuol certo
proporre impervie e impossibili ricostruzioni storiche nell’affiancare la Daēnā
psicopompa zoroastriana alla Beatrice dantesca, guida dell’anima, l’una, e guida
del Sommo Poeta, l’altra. Ma indubbiamente il confronto è suggestivo e
fenomenologicamente congruo – e ricorre nella scolastica degli studi e degli
insegnamenti iranologici, quando si spiega agli studenti il ruolo di Daēnā
paragonandola a una sorta di “Beatrice del mazdeismo”. La trattazione di Agostini
è quindi stimolante per offrire, oltre alla bibliografia di settore iranologico, anche
spigolature italianistiche nella Enciclopedia Dantesca o la menzione di autori
come G. Rossetti, B. Croce, M. Galdenzi, V. Branca e M. Corti. Allo stesso modo,
è rimarchevole il passo che Agostini riporta, tratto dal Purgatorio (XXX, 22-24)
sull’apparizione di Beatrice nel momento dell’aurora:
«Io vidi già nel cominciar del giorno,
la parte oriental tutta rosata,
e l’altro ciel di bel sereno adorno»
Il fatto poi che Beatrice compaia «dentro una nuvola di fiori» (28) sottolinea
una ambientazione davvero simile a quanto si appalesa nei racconti escatologici
zoroastriani, dove in effetti, oltre agli aromi e alle fragranze, si constata una
ambientazione aurorale di un colore rosato, cui allude anche un riferimento
cromatico all’incarnato della Daēnā, dalle bianche e rosate braccia, epifania divina
di un fulgore mattutino che esempla nuances attenuate e opalescenti, diverse dal
rosso più acceso della piena manifestazione del sole, conseguente ai bagliori tenui
della sua auriga aurorale13. Lasciandoci prendere dal gusto delle collazioni tra
immagini letterarie, svincolate dai loro referenti storici, indugiamo ancora in
questo gioco, citando un brano delle letteratura escatologica zoroastriana avestica
(Hādōxt Nask II, 7-9) che descrive l’apparizione di Daēnā:
«Alla fine della terza notte, l’anima dell’uomo giusto ha l’impressione di risplendere
come l’aurora, ha l’impressione di essere trasportata verso le piante e i profumi; le
sembra che un vento soffi dalla parte del meridione, dalle direzioni del meridione,
fragrante, più fragrante di ogni vento […] Nell’avanzare di questo vento gli appare la
propria Daēnā dalla forma di fanciulla, bella, splendente, dalle bianche braccia»14
13
Questo immaginario cromatico-poetico suggerisce un ovvio parallelo con l’omerica “Aurora dalle dita
di rosa”: ho affrontato una comparazione tra tali ambiti iranico-ellenici (e indoeuropeistici) in Piras 2003, che
ora si completano in questo passo citato da Agostini.
14
Piras 2000: 52.
128
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
Ancora una volta, i raffronti tipologici tra immaginari poetici sovrapponibili
non richiedono certificazioni storiche di derivazione, ma suscitano interrogativi
e ipotesi, spingono a indagare, con rinnovati stimoli, quei fermenti dottrinali e
quei viaggi testuali che si incrociarono nel continente euroasiatico e indomediterraneo, alimentandosi a vicenda sino a confondersi in una indistinzione di
contaminazioni che veicolava apporti, suggestioni, creazioni intellettuali e
speculazioni poetiche, letterarie, estetiche. Il saggio di Agostini incita in questa
direzione, proponendo oltre a questi confronti un approccio fenomenologico
condotto nel segno di quella trafila di concezioni che si trasmisero alla filosofia
medievale e che avevano come oggetto la Sapienza e l’intelletto, le potenze
dell’anima e dello spirito: di cui sia Beatrice che Daēnā possono esserne epifanie
e raffigurazioni, che vengono evocate per descrivere esperienze della coscienza
e simboli di trasformazione e di unificazione. Tale è il senso dell’incontro
dell’anima con la Daēnā e tale è il senso dell’esperienza poetica di Dante, nel suo
movimento anagogico di reintegrazione di una unità divisa, in una esperienza di
meditazione e introspezione che si riflette nella formazione della sua opera. Le
speculazioni medievali sulla Sapienza e sull’Intelletto Attivo, sulle diverse
modalità noetiche (pensiero, fantasia, immaginativa) della coscienza, possono
senz’altro avvalersi di questo vasto insieme di dottrine che offrono sonde di
scandaglio morfologico per indagare contesti difformi e storicamente
indipendenti, anche se la mediazione della filosofia islamica potrebbe aver fornito
un vettore aggiuntivo di trasmissione, non solo di Avicenna e di Averroé ma anche
di credenze del misticismo Sufi e di quelle dottrine di un lirismo d’amore che già
da diverso tempo sono nell’agenda di comparazioni tra letterature romanze e arabe
(poesia trobadorica), nei punti di incontro della Spagna moresca e della successiva
diffusione verso l’Europa. A cui non si può dimenticare di aggiungere il ponte di
transito e diramazione di Bisanzio e dell’Italia meridionale, specialmente
nell’epoca normanna e poi sveva, o in quella terra di Sicilia15 che per effetto di
molteplici immigrazioni conseguenti alla conquista araba dell’isola, e per
vicinanza con l’Egitto fatimide, fu un’altra piattaforma di diffusione della cultura
islamica: di creatività architettonica, artistico-iconografica, e di certo anche
testuale, verso ambienti intellettuali come quelli della Scuola siciliana, di impianto
federiciano, e poi del Dolce stilnovo16. Un tale approccio di ricostruzione della
15
Rimando a un avvincente studio del compianto Giovanni D’Erme (1995) sulla Cappella Palatina di
Palermo, per un inquadramento storico-culturale di quanto ho sopra accennato.
16
Cf. diversi capitoli del libro di Agamben 2006: 73-155, per un inquadramento della lirica d’amore del
Duecento e per la riflessione filosofica su aspetti noetici (sapienza, intelletto, fantasia) e ispirativi delle sue
poetiche.
129
Andrea Piras
variegata filiera culturale sottesa agli ambienti del medioevo italico, diviso tra
regni e dinastie in alleanza o in conflitto, potrà servire per valutare quegli influssi
che si composero nella molteplice e stratificata formazione di Dante, nel tentativo
di comprendere aspetti di introspezione e di affinamento della coscienza, dei sensi
e dell’intelletto. Insieme ad una attitudine alla interiorizzazione che è stata talvolta
valutata come “esoterismo”17, per definire l’operato di cenacoli di poeti, filosofi
e letterati che condivisero, in un mutuo scambio di idee e di ispirazioni, quei frutti
spirituali di una creatività espressa nei linguaggi poetici che la storia della
letteratura italiana ha poi ordinato e compreso nelle sue tassonomie euristiche di
generi e di stilistica.
L’ultimo contributo di cui do notizia è una stimolante messa e punto di un
italianista e storico della letteratura, Paolo De Ventura (2015), che ha il merito di
sintetizzare la storia della ricerca sul Libro della Scala, sulla questione islamicodantesca, da Miguel Asín Palacios a Maria Corti, con una ingente mole di
informazioni bibliografiche e di ricognizioni metodologiche sulla evoluzione della
critica. Il fascicolo del Bollettino Dantesco (4, 2015) in cui è inserito tale ricco
saggio ha inoltre il pregio di fornire ai lettori una ristampa dell’articolo di
Giuseppe Gabrieli (“Dante e il Pensiero Musulmano”), pubblicato nel fascicolo
4 del 1919 (pp. 87-88), in occasione del sesto centenario del Sommo Poeta. Vi si
troveranno considerazioni incoraggianti su quanto, dopo quasi un secolo, la critica
letteraria continua ancora a discutere in merito a transiti o influssi dell’Islam in
luoghi (la Spagna di Alfonso il Savio), personalità (Brunetto Latini) o eventi
storici (le Crociate) che favorirono una circolazione di conoscenze. A
completamento di questa riproposizione delle due pagine di G. Gabrieli, il lungo
articolo di De Ventura completa e aggiorna nella contemporaneità del dibattito i
molti rivoli degli approcci critici e degli snodi intertestuali che si presentano, nei
crocevia di filologie molteplici (romanza, italiana, araba) e con una ammirevole
compiutezza di dati in ambiti di non sua specifica pertinenza come l’islamologia
(Capezzone, Baffioni, G. Gabrieli e F. Gabrieli). La fortuna delle traduzioni
italiane del libro di Asín Palacios (Escatologia musulmana en la Divina Comedia)
dalla prima edizione del 1994, fino alle successive ristampe (1997, 2005, 2014),
con l’ausilio critico di una introduzione di Carlo Ossola, testimoniano una sicura
fortuna editoriale dell’opera nel nostro paese e forniscono argomenti per
continuare il dibattito. Anche grazie alla prosopografia autoriale degli studiosi,
che De Ventura affronta nel caso di Asín Palacios e della sua formazione sugli
17
Diverse pagine del libro di Valli 1928: 100 ssg., necessiterebbero quindi di una lettura rinnovata e
attenta alle sue molteplici suggestioni che andrebbero vagliate e approfondite.
130
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
scritti neoplatonici e mistici della filosofia ispano-musulmana o sulla metafisica
della luce di Ibn ʿArabī, le cui ascensioni allegoriche influirono sulla genesi della
trattazione dell’autore. Ugualmente importante è il profilo di Giuseppe Gabrieli
e la sua disputa con Miguel Asín Palacios, non solo per ripercorrere una polemica
che a partire dalla prima età del Novecento ancora oggi anima la critica, ma anche
per riprendere note critiche di Gabrieli quanto mai condivisibili, laddove imputava
ad Asín Palacios di aver considerato solo la Spagna musulmana e non l’oriente
siro-egizio e lo «schermo condensatore e riflettore, anzi radiatore, di Bisanzio».
Nell’aggiornamento degli ambienti sociali dell’epoca di Dante sono interessanti
le pagine sulla cultura veronese e scaligera, nonché su certi aspetti di quella moda
musulmana18 che pervadeva il medioevo, prova ne furono i drappi funerari di
Cangrande, con scritte arabe recanti una preghiera ad Allah. Allo stesso modo è
suggestiva e plausibile l’ipotesi che un testo come il Libro della Scala avrebbe
potuto trovare per il suo titolo, una degna accoglienza nelle biblioteche “scaligere”
della corte veronese. La ricognizione continua nel merito di una messa a giorno
dei contributi più recenti della critica (G. Battistoni, A. Celli, A. Longoni): nei
domini della italianistica, delle filologie medio-latina e romanza e dei ritrovamenti
di testi che arricchiscono il panorama letterario medievale con una varietà di
documenti che aumentano la sensazione di un debito di Dante verso una cultura
che potrebbe aver ingenerato nel suo animo una sorta di “anxiety of influence”.
E di conseguenza, una “sindrome del debitore” che opera una rimozione difensiva,
per fare della Commedia – sotto il velame dei suoi versi – una sorta di
“controtesto” in risposta alle sollecitazioni ispirative provenienti da generi non
solo colti, come il Libro della Scala e altri della Collectio Toletana, ma anche di
più ampia divulgazione, in una alternanza quindi tra registro erudito e registro
popolare che specie per le narrazioni oltremondane appare quanto mai
pertinente19. Il dibattito su un celebre saggio di Maria Corti (1995) – verso il quale
noi iranisti tributiamo omaggio – non ha risparmiato l’esercizio della critica e dei
pareri avversi, nella denuncia di toni islamofili e di suoi pregiudizi ideologici,
oltre che a esprimere riserve sulle tre direttive (intertestualità, interdiscorsività e
fonte diretta) che la studiosa proponeva, riserve che tuttavia non impediscono
all’autore di apprezzare il lavoro della Corti e la attualità del suo saggio su Dante
e l’Islam, tradotto in inglese per il numero monografico dei Dante Studies del
2007. Le conclusioni di De Ventura sono quanto mai propositive e propulsive
18
Su cui cf. anche Saccone 1997: 164.
Si veda il capitolo “Aspetti eruditi e popolari dei viaggi dell’Aldilà nel Medioevo” di Le Goff 1993:
75-98.
19
131
Andrea Piras
nell’indicare nuovi punti di partenza: dando ormai per assodato che non è certo
possibile dubitare della diffusione in ambito neolatino di fonti islamiche20, e del
fatto che fossero accessibili a Dante. Il che è sicuramente un notevole passo in
avanti, per nulla scontato, vista la pruderie dei puristi. Perciò l’autore indirizza
gli sforzi dei dantisti «verso la sfida antica di arricchire il banco di Dante di nuovi
volumi e dare una nuova e più credibile misura alla sua biblioteca», richiamando
la novità di un recente libro di L. Gargan (Dante, la sua biblioteca e lo studio di
Bologna, Roma-Padova 2014) dove vi è la prova che un “liber qui dicitur Scala
Mahometti” circolava negli ambienti bolognesi, nel convento di San Domenico.
Questo particolare non solo aumenta la percezione delle zone d’ombra di quanto
sfugga alle nostre conoscenze e di quanto tali assenze debbano far riflettere.
Questo va detto per italianisti, dantisti e filologi medio-latini e romanzi: gli iranisti
possono riallacciarsi alle parole introduttive di Carlo Ossola alla edizione italiana
del libro di Asín Palacios, quando indicava tre direzioni di ricerca, per non
disperdere la ricca messe di suggestioni raccolta dallo studioso spagnolo, e cioè:
1) i testi latini e romanzi che oltre al Liber de scala conducono a Dante; 2) la
cultura romanza nelle sue ascendenze ispano-arabe (ma meglio sarebbe dire
ispano-musulmane) lungo l’affermarsi dei moduli siciliani e provenzali fino allo
Stil Novo, alla Vita Nova, al Convivio e alle Rime; 3) una rilettura del Paradiso
per ciò che riguarda la metafisica della luce. Punto, quest’ultimo, che un iranista
versato nello studio della letteratura pahlavi non può che assumere e rivendicare,
aggiungendovi anche l’Inferno (specie per ciò che concerne alcune descrizioni
truculente di pene e di supplizi), e indagare con pazienza quei sentieri accidentati
di possibili intertestualità che dalla letteratura zoroastriana escatologica (pahlavi,
pazand, neopersiana, gujarati) possano in qualche modo, fortunosamente,
pervenire a livelli di traducibilità (completa o riassuntiva) confluiti nelle
letterature islamiche (araba, persiana, turca) e in loro transiti, resi poi in altri
idiomi veicolari delle narrazioni oltremondane del medioevo europeo. Il
desideratum di Giuseppe Gabrieli, formulato nel 1921, «occorre un dantista
orientalista e in particolare islamista, uno studioso del medio evo che sia forte
negli studi romanici come nelle lingue orientali, specialmente nell’ebraico e
nell’arabo» potrebbe dunque essere un auspicio e un incitamento a contemperare
l’iranologia dei testi zoroastriani in questo collegium trilingue orientale della
dantistica. In conclusione, per sottolineare come uno sguardo islamistico sulla
Divina Commedia sia ormai nell’agenda più recente21 delle iniziative dantesche,
20
21
Cf. Mancini 1992 sulla diffusione della cultura araba nel medioevo.
Cf. ora l’agile raccolta di saggi in Capone 2015 (E. Benigni, C. Capone, M. Corti, V. Pucciarelli).
132
Prospettive iranico-islamiche recenti e nuovi sviluppi
bisogna menzionare il recente Congresso Dantesco Internazionale22, tenutosi a
Ravenna dal 24 al 27 maggio 2017, nelle cui sessioni due giovani studiosi23, Salah
Kamal Hassan Mohammed e Maurizio Capone, hanno appunto affrontato
relazioni in tale prospettiva di islamo-dantistica.
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cristiano-primitiva nell’Ascensione di Isaia, Brescia, pp. 117-132.
22
Sotto l’egida dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna: Dipartimento di Beni Cuturali e
Dipartimento di Filologia classica e Italianistica (comitato scientifico: S. Nobili, G. Ledda, A. Mangini e M.
Veglia).
23
S. K. Hassan Mohammed “Intertestualità della Divina Commedia con le Sacre Scritture, con particolare
sguardo sul Corano”; M. Capone “Maria Corti: Dante e la cultura islamica”.
133
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