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SI VIS PACEM, PARA BELLUM La memoria delle armi a cura di M arcello R otili e G iuse p p e P ig n atelli La polvere il sangue le mosche e l’odore per strada fra i campi la gente che muore e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos’è e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché Fabrizio De André, Terzo intermezzo, 1968 Comitato scientiico: Salvatore Cerasuolo, Cettina Lenza, Luigi Mascilli Migliorini, Matteo Palumbo, Giovanni Polara, Gianni Carlo Sciolla In copertina, Pittore C, La presa di Troia. Coperchio di lekane attica a igure nere da Cuma, 580-570 a.C. Baia, Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Particolare (foto di Giulio Festa) Nei risguardi, Vista del Exercito de S.M. Cat.a en Orden de Batalla en las Cercanias de la Ciudad de Bitonto Situada en Provincia de Bari, bajo las Ordenes del Cap.n General Duque de Montemar [...], 1734. Particolare. Napoli, Archivio di Stato©, fondo Montemar Alla pagina 3, Fortunino Matania, Trained mountaineers as well as soldiers. Italy’s famous Alpine troops forcing a frontier pass in the Carnic Alps. Riproduzione da lastra al bromuro d’argento. Collezione privata Sul retro, Plan de la Ville de Capoue dans le Royaume de Naples. Fait par Vervier, du 1er régiment du génie le 4 brumaire an III de la République, 1794. Paris, Bibliothèque Nationale de France© © 2017 DiLBeC - Dipartimento di Lettere e Beni Culturali, Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’ ISBN-13: 978-88-7431-908-4 Progetto graico ed editing di Giuseppe Pignatelli Indice Marcello rotili Presentazione 7 Nadia Barrella Musei ed opere d’arte di Napoli attraverso la guerra: alcune considerazioni sul libro di Bruno Molajoli 9 SiMoNetta coNti Uno ‘sconosciuto’ atlante dell’epoca della Grande Guerra 17 alMeriNda di BeNedetto Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920) 25 SereNella eNSoli L’avanguardia nell’esperienza coloniale delle Terre d’Oltremare. L’archeologia in Libia tra il 1913 e il 1937 33 luca FraSSiNeti Guerre letterarie del Neoclassicismo napoleonico: su tre lettere inedite di Vincenzo Monti a Giovanni Rosini 41 criStiNa GiaNNiNi Lettere dal fronte. Restauri e restauratori al tempo della Grande Guerra 49 FerNaNdo Gilotta Guerrieri e immagini di guerrieri tra Etruria e mondo italico 55 Ἐν πολέμῳ: Marcello lupi osservazioni sulle forme di commemorazione dei morti in guerra a Sparta 61 GiovaNNi MorroNe La forma infranta. La Lezione di guerra di Wilhelm Windelband 67 Federico paoliNi Gli impatti ambientali delle guerre: un breve compendio dall’età moderna al tempo presente 73 aStrid pellicaNo La Prima guerra mondiale e l’industria bellica 79 Maria GaBriella pezoNe Dalla guerra alla cultura. Il riuso delle opere di difesa nel Settecento a Napoli nella biblioteca di San Giovanni a Carbonara 85 GiuSeppe piGNatelli Nouvelle Maniere Suisse de Fortiier les Places. Jean Antoine d’Herbort e la difesa di Capua (1730-34) 93 eleNa porciaNi Dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta. Le partigiane nella narrativa della Resistenza 101 MarGaret raSulo Dear Dora... Perceptions of love, home and country from the trenches 107 carlo reSciGNo Il Pittore C alla guerra di Troia. Osservazioni su di un vaso cumano del Museo di Baia 115 Marcello rotili Castelli, dominio, difesa 123 ariaNNa Sacerdoti Di assedi, suicidi, lessemi: appunti a margine di guerre e città nei Punica di Silio 131 Gaia Salvatori RAW WAR: metafore e strategie del conlitto nell’arte contemporanea 137 daNiele SaNtarelli Uniformità religiosa o tolleranza come antidoto alla ‘guerra civile aperta’? Venezia, Firenze e il Papato di fronte all’esplosione delle guerre di religione in Francia 145 claudia SaNti Un caso di guerra rituale presso i Celtiberi, nell’interpretazione romana 151 Federico ScaraNo Giulio Andreotti e la Guerra Fredda: alcune osservazioni storiograiche 157 Giulio SodaNo Il Genio bellicoso del Filamondo: una presa di coscienza delle forme moderne della guerra nel Regno di Napoli alla ine del Seicento 163 daNiele Solvi Tre variazioni sullo ‘scontro di civiltà’: la crociata, Francesco d’Assisi e i suoi Fioretti 171 paola zito Guerrieri di carta. Don Chisciotte e i suoi antenati 177 Indice dei nomi 185 Elenco delle illustrazioni a colori 195 Presentazione Il volume Si vis pacem, para bellum. La memoria delle armi ha preso forma nel 2015 in occasione del primo centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra. La nota parafrasi del principio enunciato da Publio Flavio Vegezio Renato (ma anche da autori precedenti, come Platone) molto probabilmente agli inizi del V secolo, «ergo qui desiderat pacem, praeparet bellum» (Epitoma rei militaris, III, prologo) è parsa adatta a indicare in questa sede l’attività bellica (o, meglio, la sua predisposizione) solo come un deterrente rispetto a minacce di conquista: e ciò nel tentativo di attenuare, per quanto possibile, il valore negativo di una pratica fra le meno commendevoli per i suoi contenuti di sopraffazione e di violenza funzionali al conseguimento di scopi economici e politici. Grazie alla disponibilità di tanti colleghi del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università di Napoli, che da poco più di un anno è stata ridenominata Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, il tema della guerra viene affrontato da punti di vista diversi: quelli dell’archeologo, dello storico dell’arte, dello storico e del letterato. L’ideologia della guerra e la rappresentazione delle armi è il tema dei contributi di Fernando Gilotta e Carlo Rescigno, i quali analizzano la concezione guerresca del mondo etrusco-italico e magno-greco (cumano in particolare) attraverso il confronto fra la documentazione archeologica e le fonti antiche. Le testimonianze scritte e l’evidenza materiale sono altresì centrali nella ricostruzione degli scenari bellici di età medievale, oggetto del saggio di chi scrive: assedi, assalti e battaglie campali sono azioni che inevitabilmente sottendono aspetti dell’organizzazione e della difesa del territorio in età post-antica. La valenza politico-istituzionale e simbolicorituale del coinvolgimento nella guerra è inoltre il il rouge che lega i tre contributi di Marcello Lupi, Arianna Sacerdoti e Claudia Santi con riguardo ai testi di autori greci e latini: pur con oscillazioni semantiche signiicative, l’alone religioso che avvolse da subito le campagne militari dell’antichità giunse ino all’età moderna, allorché le guerre di religione francesi del XVI secolo costituirono addirittura lo ‘sfondo’ culturale entro cui osservare la politica estera di alcuni stati italiani (Venezia, Firenze e il Papato), come mostra il lavoro di Daniele Santarelli. Anche lo studio della manualistica militare, oltre ad evidenziare l’evoluzione delle tecniche anche alla luce delle nuove scoperte scientiiche, costituisce una miniera di notizie circa le forme di autorappresentazione del potere e le strategie di politica estera di un altro importante stato italiano, il Regno di Napoli alla ine del XVIII secolo: il saggio di Giulio Sodano mostra come sia possibile ricostruire, attraverso le pagine de Il Genio bellicoso del Filamondo, la pratica dell’arte militare nel Mezzogiorno d’Italia proprio in relazione ai conlitti europei. Un aspetto certamente poco analizzato, le conseguenze della guerra sull’ambiente, è affrontato da Federico Paolini che pone l’accento sulla percezione della limitatezza delle risorse naturali e sulla corsa al loro accaparramento generate dalla drammatica esperienza dei due conlitti mondiali del XX secolo e dalla ‘guerra fredda’. Su quest’ultima e sulle sue ricadute più che mai attuali nella politica italiana, il lavoro di Federico Scarano illustra il ruolo che ebbe l’Italia, e in specie la strategia andreottiana, tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, per il superamento della ‘cortina di ferro’ e la realizzazione dell’Europa unita, un percorso che pur tra mille dificoltà appare oggi sempre più ineludibile. Gli ultimi conlitti mondiali sono il minimo comune denominatore dei contributi di Nadia Barrella, Cristina Giannini e Almerinda Di Benedetto: la prima analizza l’impatto del libro di Bruno Molajoli (Musei ed opere d’arte attraverso la guerra) negli allestimenti post-bellici di alcune istituzioni museali napoletane; la seconda illustra attraverso le testimonianze epistolari le dificoltà degli addetti ai lavori (restauratori, storici dell’arte, ecc.) nella gestione del patrimonio culturale italiano durante gli anni della Grande Guerra; inine la Di Benedetto spiega la vivace e realistica verve comunicativa di Fortunino Matania, igura insolita di illustratore, corrispondente 7 dal fronte, nel quadro pressoché muto – a proposito delle immagini – della stampa dell’epoca. A dispetto delle condizioni storiche non sempre favorevoli, appaiono molto fervidi per i risultati conseguiti gli anni dell’attività archeologica italiana nel Mediterraneo tra le due guerre (1913-37): alla luce delle sue esperienze di ricerca e scavi a Cirene, Serenella Ensoli sottolinea come certe strategie messe a punto proprio in quelle circostanze si mantengano ancora attuali tanto da risultare, ad oggi, valide per la progettazione di missioni archeologiche in area mediterranea. Prendendo spunto da un lavoro di Bruce Nauman (WAR-RAW), Gaia Salvatori esamina quindi il contributo di alcuni artisti contemporanei sul conlitto: accanto alla dimensione puramente militare, emerge il senso di ‘intermezzo’, di ‘area grigia’ che paradossalmente separa ed unisce vittime e carneici in un gioco di simmetrie simili a quelle del palindromo dello stesso Nauman che propone il medesimo signiicato tragico di fondo in forme speculari. Ma la Grande Guerra fu anche un’occasione di rilancio dell’industria bellica italiana che proprio in quell’occasione – secondo Astrid Pellicano – gettò le basi per l’attuale sistema di produzione o costituì una circostanza per la realizzazione di minuziosi e sconosciuti atlanti dei fronti di guerra italiani, come mostra Simonetta Conti nel suo lavoro a proposito dell’Atlante delle valanghe delle Alpi Orientali in Italia nel periodo 1915-19, pubblicato nel 1968 a cura di Elena Capello: quest’opera, purtroppo sottovalutata, evidenzia il peso non indifferente, nei casi di conlitto bellico, della conoscenza metereologica, ambito in cui allora si iniziarono a muovere i primi passi. Che la guerra sia stata spesso occasione della messa a punto di sistemi difensivi sempre più eficaci è quanto espone Giuseppe Pignatelli, altro curatore del presente volume, nel suo saggio sulla difesa di Capua in occasione dell’occupazione austriaca del Regno di Napoli nel primo terzo del XVIII secolo: i sette bastioni progettati dall’ingegnere Jean Antoine d’Herbort per la difesa urbana resero meno esposta la cinta muraria all’assalto delle armi da fuoco e costituirono un prototipo architettonico molto seguito dagli ingegneri napoletani ed austriaci nel corso del secolo. Altrove, a Napoli ad esempio, la memoria dello scontro bellico viene esorcizzata da nuove iniziative edilizie per la riqualiicazione di alcuni settori urba- 8 ni, come nel caso della quattrocentesca torre aragonese trasformata nell’importante biblioteca annessa al monastero di San Giovanni a Carbonara, un caso straordinario di riutilizzo e di radicale cambio di destinazione d’uso di un monumento napoletano, oggetto del saggio di Maria Gabriella Pezone: purtroppo oggi la biblioteca non esiste più in quanto venne soppressa insieme al monastero nel 1799, ed anche la torre del Salvatore nella quale era ubicata è stata in parte demolita. Le impressioni dei protagonisti, le abitudini delle donne della resistenza, la nascita di eroi ‘di carta’ (in guerra tra lo spauracchio della censura e i plotoni sempre più agguerriti di lettori), il dibattito quasi casuale sulle guerre raccontate da Omero ingeneratosi in epoca neoclassica e la valenza polisemica della guerra in età medievale tra conlitto militare nel senso proprio del termine e incontro di culture diverse, sono solo alcune delle suggestioni che si riscontrano nei lavori rispettivamente di Margaret Rasulo, di Elena Porciani, di Paola Zito, di Luca Frassineti e di Daniele Solvi: l’ambito letterario offre ancora una volta un caleidoscopio di sfumature e di toni che arricchisce a dismisura le valenze semantiche del tema in esame. Ma quanto è lontana la guerra vera e propria dalla ‘lotta culturale’? L’accurata disamina di Giovanni Morrone, attraverso la revisione critica di un lavoro incompiuto di Wilhem Windelband, ci immette nel dibattito ilosoico nella Germania del primo ventennio del XIX secolo, allorché una fetta consistente dell’intelligentia tedesca ritenne di dover dare un contributo all’idea della ‘guerra tedesca’ e della sua inevitabilità, mettendo in crisi i princîpi del neokantismo di cui la scuola di Baden e lo stesso Windelbald erano illustri esponenti. Da quanto esposto deriva un panorama ricco di sfumature che, oltre a offrire spunti e modelli interpretativi nuovi nei diversi campi specialistici, costituisce un’altra testimonianza signiicativa – dopo i volumi già editi Lungo l’Appia, I due Risorgimenti, Intra ed Extra moenia – delle diverse anime che compongono il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’. Marcello Rotili Direttore del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920) Almerinda Di Benedetto During First World War the illustrated newspapers were an irreplaceable document of the war events. The Italianborn Fortunino Matania created for The Sphere more than 250 illustrations. Matania’s images present, with the strength of representations in a realistic way, unique and clear vision of how the war was transmitted through a medium so popular communication. What redeems the artist from the status of ‘mere illustrator’, is the extraordinary ‘truth’ with which he used the pencil on the paper, so as to able to orient, in accordance with the directions of the press, the mass perception of the conlict. Nel 1922 Fortunino Matania, di rientro nella capitale inglese dopo un breve soggiorno napoletano, scrive: «Comunque sia, giunsi a Londra dopo essermi abbeverato in fretta e furia di tutto quello che poteva allargarmi la mente aggrinzita da parecchi anni di ottusità e di lavoro da mulo, durante i quali il mio sguardo si doveva concentrare sull’antiestetica parafernalia militare insozzata materialmente e moralmente dalla guerra»1. Sono trascorsi ormai quattro anni dal termine del terribile conlitto mondiale che provocò com’è noto circa 17 milioni di morti tra militari e civili, ma l’artista rievoca ancora con vivo e profondo turbamento le sensazioni provate in diretta con gli avvenimenti, quando, inviato come reporter al fronte, aveva documentato con febbrile puntualità la vita della trincea. Allo scoppio della Grande Guerra Matania aveva 33 anni e viveva a Londra ormai da dodici2. Da ragazzo aveva militato, perfettamente a suo agio, nel corpo dei Bersaglieri, come apprendiamo da alcune foto d’epoca e da un disegno a matita rialzato a biacca, nel quale si ritrae sul campo di addestramento dietro al cavalletto con pennelli e colori, intento a riprendere un commilitone con fucile imbracciato3. Tuttavia l’esperienza della trincea avrebbe messo a dura prova il suo brillante spirito. Poiché era un eccellente illustratore, richiesto per la singolare rapidità del tratto e l’accuratezza dei dettagli, nel 1914 il governo inglese avviò una breve corrispondenza con il governo italiano allo scopo di non farlo rientrare in Italia e impiegarlo al fronte come reporter di guerra. Diciotto giorni dopo l’invasione del Belgio da parte delle truppe tedesche, Matania fu inviato nelle Fiandre con le truppe inglesi per documentare gli eventi e realizzare subito i disegni che avrebbero corredato le edizioni della rivista Illustrated London News prima, del The Graphic e del The Sphere poi. Per quest’ultima, deinita in seguito «inrivalled» per la qualità delle immagini di guerra pubblicate4, Matania realizzò un corpus costituito da più di 250 illustrazioni dal vero, riproducendo con originale attenzione i diversi momenti della vita al fronte, le dinamiche delle battaglie, le posizioni degli uomini fuori e dentro le trincee (ig. 1)5, il terrore negli occhi dei feriti, l’impiego dei micidiali gas, la crudeltà della morte. Le riviste dell’epoca con le pagine illustrate sono un documento insostituibile degli avvenimenti bellici, e le immagini realizzate da Matania offrono, attraverso la forza delle rappresentazioni straordinariamente realistiche e al tempo stesso cariche di coinvolgimento, una visione unica e chiara di come la guerra fu trasmessa e assorbita attraverso un mezzo di comunicazione così popolare6. Dell’intero triennio dedicato a registrare gli avvenimenti di guerra – che l’artista intervallava con periodi durante i quali rientrava a Londra – racconterà poi con orgoglio di non essere mai stato ferito nonostante si trovasse spesso a pochi centimetri dallo scoppio delle granate. Gli articoli che accompagnavano le illustrazioni interpretavano naturalmente il propagandismo del governo, in linea con l’esaltazione interventista che percorreva l’Europa tutta: una follia esaltata che coinvolse artisti, poeti, letterati, molti dei quali, mortiicati in seguito dall’esperienza della guerra, ne avrebbero riportato ferite insanabili nel corpo e nello spirito. Matania seppe tuttavia mostrare il volto terribile e 25 Almerinda Di Benedetto straziante della guerra con piglio straordinariamente realistico, riuscendo a regalare anche squarci di commovente umanità. L’immagine in copertina comparsa sul The Sphere il 13 febbraio 1915 (igg. 27 e 3) – un soldato inglese ‘pietosamente’ seduto a confortare un milite tedesco in in di vita – possiede ancora un’eccezionale forza di comunicazione, e mostra quanto Matania fosse abile a veicolare messaggi di grande potere mediatico. Le parole al fondo pagina, infatti, non avrebbero potuto essere interpretate in modo più eficace: «Mi sono fermato per alcuni secondi a ianco di un tedesco che stava morendo», dice un soldato al fronte in una lettera che appare in un recente numero del Manchester Guardian. Stava soffrendo molto, e quando ho chiesto cosa potevo fare per lui, ha detto, con un tono patetico che è andato al mio cuore, «Niente, a meno che non fossi così gentile da tenere la mia mano ino a quando tutto è inito», gli ho dato la mano e sono rimasto ino alla ine. Sembrava essere di grande conforto a quel povero sconosciuto. Era in grado di parlare un buon inglese e abbiamo scambiato una piacevole chiacchierata, considerando le circostanze. Pensava che la guerra sarebbe durata un altro anno almeno, ma non aveva alcun dubbio che il suo paese sarebbe stato battuto alla ine. «La nostra gente non ha messo in conto lo spirito combattivo degli inglesi», ha detto8. 1. F. Matania, With our artist in the british trenches in Flanders. Pitching Sand Bags out of a trench During an Advance. The Sphere, 1 maggio 1915 Purtroppo i diari al fronte dell’artista sono andati perduti; nonostante ciò, il suo contributo alla ricostruzione dei disastri provocati dalla Grande Guerra è tale che egli può essere considerato uno dei più grandi illustratori del primo conlitto mondiale. Spesso la pubblicazione delle sue opere a causa dei limiti imposti dalla tecnica, o dei costi da contenere, era realizzata in toni di grigio o seppia, in bianco e nero. Tale scelta, solo in apparenza un limite alla fruizione, ne valorizzava l’impatto drammatico. Le sue illustrazioni ‘istantanee’ furono segnate da un pittoricismo luido e dinamico, sospinto da una carica emotiva in grado allora di superare nell’occhio dello spettatore la resa ancora troppo inanimata di una semplice riproduzione fotograica. Brani di disperata quotidianità in grado di ‘travolgere’ tutti i lettori con la forza di una diffusione capillare che nessun altro mezzo poteva allora esercitare. D’altra parte, «in tale utilizzo dell’immagine in funzione suggestiva e persuasiva – è stato giustamente osservato – la fotograia […] non poteva che risultare perdente al confronto con l’illustrazione, la quale aveva al suo arco la freccia di una forza immaginiica nella ricostruzione degli eventi cui l’‘obiettività’ della prima non poteva attingere»9. La capacità inoltre di allestire scene drammatiche con una potente vis teatrale costituiva il tratto caratterizzante della sua pittura – Matania era molto richiesto sul mercato internazionale per le strepitose rappresentazioni dell’antica Roma e della immortale Pompei10 – e questo rese la sua opera unica e popolarissima. Egli non fu il solo artista reclutato per questo genere di impegno. Ma fu certamente colui che più di ogni altro seppe elaborare uno stile originale di reportage illustrato, schizzato dal vero e poi rielaborato sulla memoria, capace di costruire una narrativa eroica e carica di pathos. Deinito ‘un fotografo con pennello e colori’, per decine di milioni di lettori fu possibile seguire gli eventi in tempo di guerra per mezzo delle sue illustrazioni settimanali. Il suo punto di vista era quello trasmesso da una posizione per alcuni versi privilegiata, e comunque tale da rendere 26 Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920) 2. F. Matania, “The ighting spirit of the british”. An incident on the battleield. Riproduzione da lastra al bromuro d’argento. 1915, collezione privata particolarmente credibile il senso del racconto per immagini. Visitando le linee del fronte in prima persona egli poteva parlare con i soldati delle loro esperienze e conoscerne le condizioni dificili e aberranti, ma anche i pochi momenti di relativa calma. Se da un lato la dimensione quotidiana e quasi naturale della vita di trincea sortiva nel lettore un effetto tranquillizzante – è facile immaginare che ogni nucleo familiare poteva contare almeno una persona cara al fronte – dall’altro gli scenari desolanti delle battaglie che riempivano le pagine delle riviste favorivano in misura esponenziale la tiratura. La scelta da parte dell’Italian Red Cross di commissionare proprio a Matania un incarico dal chiaro intento propagandistico, oltre che ilantropico, si lega non solo alle origini italiane dell’artista, ma soprattutto al fatto che il pittore napoletano, giunto a Londra nel 1902, era divenuto in breve tempo molto popolare con le toccanti illustrazioni realizzate per le riviste. Così il 7 ottobre 1915, giorno in cui a Londra si celebrava l’Italian Day, la giornata italiana delle forze armate alleate al Governo Inglese, lungo le strade della capitale giovani volontarie offrirono ai passanti un piccolo foulard sul quale era stato stampato un disegno realizzato da Matania. L’iniziativa, che vide il sostegno di 3. F. Matania, “The ighting spirit of the british”. An incident on the battleield. The Sphere, 13 febbraio 1915 altre associazioni inglesi, aveva lo scopo di raccogliere fondi per la causa alleata attraverso la vendita del souvenir reclamizzato dall’iscrizione ‘Pro Italia’ - Allies and Brothers - In - Arms for Justice11. Lo spazio centrale del foulard era interamente occupato dall’immagine di un bersagliere al ianco di un soldato inglese entrambi pronti a combattere in nome di un’altissima e giusta causa12. La donna alle loro spalle, con la bilancia nella mano sinistra, disegnata in forme procaci secondo i modi di un’iconograia ancora tardo-ottocentesca, simboleggiava infatti la Giustizia. Talvolta l’artista riusciva ad alternare l’attività intensissima di illustratore – che praticava per necessità economiche e per la quale lamentava tempi di consegna massacranti – a quella certamente più amata di pittore da cavalletto; allora le immagini strazianti di paesaggi lacerati e sconvolti da corpi senza vita, ammucchiati con drammatico disordine gli suggerivano rappresentazioni di grande respiro. In Neuve Chapelle 1915 (ig. 4)13, presentato alla Royal Academy of Arts nel 1918 in occasione della Imperial War Exhibition e pubblicato su The Sphere il 15 giugno di quell’anno, 27 Almerinda Di Benedetto 4. F. Matania, Neuve Chapelle 1915. Royal Worcestershire Regiment Museum, Worcestershire, UK (da Gosling, 2014) Matania trasferisce sulla tela gli esiti della terribile battaglia svoltasi in Francia tra il 10 e il 13 marzo del 1915 nella zona dell’Artois tra le truppe inglesi e quelle tedesche, dove le perdite umane furono ingentissime, 11.200 fra morti e feriti nelle ile inglesi che annoveravano anche soldati indiani, e 10.600 in quelle tedesche. La scena è ricostruita da Matania sulla lezione forte della tradizione risorgimentale, che aveva dato fulgidi contributi alla storia della pittura del genere, da Gerolamo Induno a Michele Cammarano. Se pensiamo a composizioni splendide come La Battaglia di Dogali, realizzata da quest’ultimo nel 1896, comprendiamo come Matania mantenga vive le radici profonde della sua formazione, quando fanciullo seguiva gli insegnamenti del padre Edoardo e assorbiva a piene mani quelli fertili della scuola morelliana14. La tecnica è sempre quella di schizzare dal vero e inire in studio il dipinto. In una foto conservata dagli eredi osserviamo infatti Fortunino alle prese con la realizzazione di una grande tela con una scena di battaglia. L’immagine è particolarmente signiicativa e si lega al senso di appartenenza culturale cui si accennava: oltre ad osservare l’artista al lavoro, vi scorgiamo infatti anche il padre Edoardo e il cugino Ugo, entrambi intenti a dipingere. È una foto preziosa, che documenta eficacemente la fantastica circolazione di attitudini e insegnamenti tra i membri di una straordinaria famiglia di artisti. Il 15 giugno del 1918, in un’intervista rilasciata alla 28 rivista The Sphere che pubblicava il dipinto in occasione dell’esposizione alla R.A., Matania racconta con tono avvincente come ha raccolto i dettagli e le azioni sul campo di battaglia per quanto avrebbe poi composto sulla tela cercando di ‘replicare’ fedelmente quanto aveva visto: Fu subito dopo la battaglia di Neuve Chapelle che ho avuto la fortuna di visitare il famoso campo dove gli inglesi avevano fatto il loro grande attacco contro l’esercito tedesco. Il frastuono della tempesta era scomparso, ma il campo di battaglia era ancora caldo, fumoso, e disseminato di oggetti del combattimento. Sono arrivato proprio di fronte allo spazio aperto, passando la prima linea di trincee, e mi sono fermato nella seconda linea. Anche la terza linea era stata strappata ai tedeschi, ma si trovava alle spalle del paese. Non sarebbe stato necessario vedere ulteriormente, perché il terreno intorno a me mi avrebbe fornito il materiale per una decina di quadri se fossi riuscito a fare i miei schizzi, senza alcuna paura che le mie fatiche fossero interrotte da un proiettile al cervello. Ho camminato, o meglio corso, almeno per un miglio, mantenendomi il più vicino al suolo come ho potuto, e per tutto il tempo ho continuato a dire a me stesso, se esco da questo va bene farò un quadro che deve essere il più vicino possibile alla realtà [... ]. A casa ho scavato una trincea nel mio giardino. Ho fatto una decina di sacchi di sabbia in modo simile a uno tedesco che avevo portato con me, e con l’aiuto dei miei schizzi fatti sul Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920) 5. F. Matania, 2nd Bn., The Green Howards Holding the Petit Kruiseek Crossroads on the Ypres-Menin Road, October 1914 – painted in 1925. The Green Howards Museum, Richmond, North Yorkshire, UK posto, ho fatto del mio meglio per realizzare una replica di un angolo del campo di battaglia nel quadro. Quando ebbi vestito i miei modelli con le uniformi originali raccolte sul campo e dopo averli collocati nella stessa posizione, ho avuto realmente l’impressione di essere lì di nuovo15. La simulazione era un espediente al quale Matania ricorreva molto spesso, con l’ausilio talvolta del mezzo fotograico come elemento di transito per l’opera inita, ripercorrendo le tracce di una prassi comune tra gli artisti di ine Ottocento. Sfogliando l’archivio privato della collezione di lastre al bromuro d’argento da lui stesso realizzate, ritroviamo numerosi scatti che documentano in che modo avesse simulato scorci di trincea nel giardino della propria abitazione al 104 di Priory Road, collocandovi come comparse alcuni membri della famiglia; in altre ancora scorgiamo nel suo studio un manichino in uniforme, uno dei modelli in cartapesta richiamati nell’intervista al giornale, da lui stesso realizzato e che avrebbe conservato a lungo16. Nel 1923 i Green Howards inglesi, glorioso reggimento dell’esercito britannico, commissionarono a Matania un dipinto in memoria della terri- bile battaglia delle Fiandre svoltasi ad Ypres-Menin nel 1914 in difesa di un crocevia strategico, individuando, come già era accaduto in altre committenze, nell’artista italiano colui che meglio di ogni altro avrebbe potuto creare un’opera di forte impatto e tale da trasmettere ai posteri il valore dell’impegno del II° Battaglione coinvolto in quella circostanza. Matania portò a termine il dipinto, un olio di grandi dimensioni, nel 1925, apponendovi sulla cornice in basso l’iscrizione 2nd Bn., The Green Howards Holding the Petit Kruiseek Crossroads on the Ypres-Menin Road, October 1914 - painted in 1925 (ig. 5). Sempre straordinario nella capacità di fare leva sull’emotività collettiva, l’artista scelse di rafigurare un momento di sospensione dalla battaglia. La rappresentazione era costruita per indirizzare lo sguardo dello spettatore sul lato destro del quadro. Qui, in primo piano un soldato avanza con dignitosa ierezza tenendo sulle spalle un compagno ferito allo stremo delle forze. La rappresentazione non si limita a raccontare un avvenimento, ma sembra riassumere in un unico fotogramma un’intera narrazione. È una sensazione che diviene, per molti esempi di questa parte di produzione dell’artista, un suggestivo leit-motiv. Il quadro, custodito nel Museo del Reggi29 Almerinda Di Benedetto 6. F. Matania, Trained mountaineers as well as soldiers. Italy’s famous Alpine troops forcing a frontier pass in the Carnic Alps. Riproduzione da lastra al bromuro d’argento. Collezione privata mento17, ci racconta ancora una storia dai contorni drammatici, ma questa volta ci consente di individuarne anche l’attore principale, come se la camera da presa ‘in soggettiva’ zoomasse sul giovane eroe, bello e dalla fulva chioma scomposta, per esaltarne l’abnegazione del gesto e metterne in evidenza i tratti isiognomici. Nel milite rafigurato riconosciamo infatti il ‘soldato semplice’ Henry Tandey, in seguito pluridecorato al valore militare, il quale riiutò ogni promozione di grado e per questa ragione nel 1918 fu insignito del Victoria Cross, il più alto riconoscimento del governo inglese per meriti guadagnati sul campo di battaglia. L’aspetto più intrigante dell’opera – da cui la ‘fortuna’, ma sarebbe più corretto parlare di notorietà – è legato soprattutto alla leggendaria ipotesi che Adolph Hitler avesse ordinato una copia del dipinto nella sua residenza di Berchtesgaden in Baviera, dove aveva fatto costruire il rifugio noto come Nido dell’aquila. La ragione di tale richiesta sarebbe stata quella di aver riconosciuto in Tandey l’uomo che gli aveva risparmiato la vita nel ’18, e da questo il desiderio di conservarne il ricordo. Tralasciando qualunque considerazione sulle note convinzioni del Führer di essere un predestinato per il quale la provvidenza aveva previsto un ruolo senza precedenti per la storia del mondo e della Germania, sappiamo 30 quanto egli fosse abile nel costruire storie credibili a scopo propagandistico. Quasi certamente la circostanza legata a Tandey, resa pubblica nel 1940, era frutto di un’invenzione, come prova il recente e circostanziato studio di David Johnson e nonostante la diffusione di questo racconto e il grande successo riscosso attraverso tutti i canali di informazione mondiale da allora ino ai nostri giorni18. Durante la lunga campagna di guerra Matania partecipa con i Bersaglieri ad alcune operazioni sulle Alpi. Le illustrazioni che ne realizza – spettacolari talvolta per l’arditezza degli scorci (ig. 6) – possiedono una carica emotiva fortissima. La ‘guerra verticale’, come fu chiamata quella che si svolse sulla cima delle montagne per tre anni e tre terribili inverni, costituisce uno dei tanti aspetti devastanti del conlitto. Migliaia di uomini furono scaraventati sul fronte che dallo Stelvio e dall’Ortles scende verso l’Adamello, le Dolomiti, il Pasubio e l’Asiago con pioggia, rafiche di vento e la neve, in particolare, che limitava i movimenti, isolando i presidi e obbligando i soldati a patire fame e freddo e a compiere percorsi di notte con carichi pesantissimi. Attraversare i pendii estremamente ripidi in condizioni climatiche terribili condusse a perdite ingentissime, aggravate spesso dalle violente valanghe che si staccavano dai costoni. Nel numero di Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920) The Sphere del 27 maggio 1916 Matania documenta con stupefacente verità la discesa di una valanga che trascina in un crepaccio gli uomini coinvolti in uno scontro. Solo in quell’anno si sarebbero contati centinaia di morti tra italiani e austriaci. Achille Beltrame, autore di punta della Domenica del Corriere e molto popolare presso i lettori italiani, realizzò come Matania numerose illustrazioni che andarono ad occupare le copertine del celebre settimanale. Poste a confronto con quelle di Matania, le immagini a colori create da Beltrame, di grande appeal quando affrontano eventi di costume, appaiono al contrario quasi fumettistiche e poco credibili nell’interpretazione degli avvenimenti bellici. Quello che rende ancora oggi singolare questo aspetto della proliica produzione di Matania, e che sdogana l’artista dalla qualiica di ‘mero illustratore’, è la straordinaria ‘verità’ con la quale egli sapeva gestire la matita sulla carta, al punto da riuscire ad orientare, secondo le indicazioni della stampa, la percezione di massa del conlitto. Note 1 Lettera al cugino Mario del 16 febbraio 1922. Collezione privata. 2 Per altre informazioni sulla vita e la carriera di Matania si rinvia a a. di BeNedetto, Ritratto di signora in un interno. Variazioni sull’antico nella pittura di Fortunino Matania, in Pompei e l’Europa, Atti del convegno internazionale di studi (PompeiNapoli, 1-3 luglio 2015), a cura di M. Osanna, R. Ciofi, A. Di Benedetto, L. Gallo, Milano 2016, pp. 169-177, con bibliograia precedente. 3 Il disegno è in collezione privata. 4 The Sphere. An illustrated newspaper for the home, questo il nome completo della rivista, fu fondata da Clement Shorter nel 1900 manifestando già dal sottotitolo l’intenzione di avere un target popolare. In concorrenza con l’Illustrated London News e The Graphic la rivista, a cadenza settimanale, si caratterizzò per il ricco corredo illustrativo e soprattutto divenne strumento privilegiato di informazione di massa – molto diffuso anche nelle colonie del governo britannico – puntando l’attenzione sui conlitti che caratterizzarono la prima metà del Novecento, dalla guerra boera alla seconda Guerra Mondiale con i cosiddetti ‘war numbers’. Già reduce da un grande successo durante la Grande Guerra, la rivista divenne popolarissima durante il secondo conlitto mondiale. Molti illustratori collaborarono con The Sphere: oltre Matania, Sidney Paget, Henry Matthew Brock, Ernest Prater, Edmund Blampied e Claude Grahame Muncaster. La rivista cessò le pubblicazioni il 27 giugno del 1964. Cfr. C. zilBoorG, Shorter, Clement King, in Oxford Dictionary of National Biography, Oxford 2004. 5 «The ighting on and around Hill 60 gives point to Mr. Matania’s irst picture after his return from the British lines. The order for the advance has been given and the men are scrambling from the french. A certain number of men carry forward with them bundles of a dozen sand bags with which to reconstruct the captured German trench, for as soon as occupied the new position has to be reconstructed on its rearward face in order to present the necessary protection and loopholes. The sand-bag men work like demons in order to secure cover for their comrades with the least possible delay. This drawing has all the accuracy that personal observation conveys, and will be followed by others giving a vivid presentation of what Mr. Matania witnessed during his visit to the western iring-line». Questa la didascalia all’illustrazione sulla copertina della rivista The Sphere. An illustrated newspaper for the home, vol. LXI, n. 797, 1 maggio 1915. 6 In una recensione comparsa sul Sunday Mirror del 26 dicembre 1915 a proposito delle illustrazioni di guerra pubblicate dalla rivista The Sphere si legge: «Its drawings by Signor Matania made with the knowledge which comes from actual experience in the trenches and elsewhere at the Front in France, have be pronounced to be the most lifelike, the most graphic and realistic which have yet been published of the great truggle». Cfr. Sunday Mirror, n. 42, 26 dicembre 1915, p. 14. 7 Il disegno qui pubblicato è ricavato dalla lastra al bromuro d’argento realizzata dall’artista. Matania aveva l’abitudine di fotografare ogni lavoro eseguito, dai disegni agli oli agli acquerelli. Numerose di queste lastre, divise tra gli eredi alla sua morte, sono oggi conservate in collezione privata e spesso costituiscono un documento prezioso per rintracciare opere disperse. 8 «I stopped for a few seconds by the side of a German who was dying», says a soldier at the front in a letter which appears in a recent issue of «The Manchester Guardian». He was in great pain, and when I asked what I could do for him, he said, in a pathetic tone that went to my heart, «Nothing, unless you would be so good as to hold my hand until all is over». I gave him my hand and stayed to the end. It seemed to comfort that poor chap a lot. He was able to speak good English and we had quite a pleasant chat, considering the circumstances. he thought the war would last another year at least, but had no doubt that his own country would be beaten in the end. «Our people didn’t make enough allowance for the ighting spirit of the British», he said. Cfr. The Sphere. An illustrated newspaper for the home, vol. LX, n. 786, 13 febbraio 1915. 9 Cfr. M.a. cuozzo, Illustrazione e fotograia nella stampa periodica napoletana. Dalla Belle époque al fascismo, Napoli 2005, p. 62. 10 Per questo aspetto della produzione dell’artista rimando al mio recente contributo. Si veda a. di BeNedetto, Ritratto di signora, cit. 11 Il disegno era apparso sul numero del 28 agosto della rivista The Sphere, accompagnato dal seguente commento: «This beautiful drawing has been presented by Signor Fortunino Matania to his compatriots of the Italian organisations in London who have arranged for an Italian celebration on ‘Italian Day’, October 7th, when it is intended that the above design shall be disposed of in the streets in the form of a souvenir pocket handkerchief. The sole copyright of the drawing has been vested by Signor Matania in the hands of the Italian Red Cross Society». 12 Un esemplare di questi è stato esposto in occasione della mostra sulla Grande Guerra dal titolo When the lamps went out organizzata nel 2015 presso il Discovery Museum di Newcastle City. Il foulard reca in basso la sua irma e la data 1915. 31 13 Il dipinto è conservato presso il Royal Worcestershire Regiment Museum, in Inghilterra. L’immagine qui riprodotta è tratta da l. GoSliNG, Goodbye, old man, Stroud, Gloucerstershire 2014. 14 Matania fu un autodidatta. Formatosi con il padre, Edoardo, pittore come lui, aveva conosciuto e osservato in opera, tra gli altri, Domenico Morelli e Filippo Palizzi, nel giro di frequentazioni della famiglia. Per informazioni sulla famiglia di artisti cfr. G. Salvatori, Fortunino e Ugo Matania in In margine. Artisti napoletani fra tradizione e opposizione 1909-1923, a cura di M. Picone Petrusa, Milano 1986, pp. 205-213; ead., Ugo Matania. Il quadro in copertina, in Il Mattino illustrato 1924-1933. Dieci anni di cronache dal mondo nelle copertine di Ugo Matania, a cura di A. Fratta, V. Paliotti. G. Salvatori, vol. I, Napoli 1991. 15 «It was soon after the battle of Neuve Chapelle that I had the luck to visit the famous ield where the British had made their great attack on the German armies. The din of the storm had died away, but the battleield was still hot, smoky, and littered with relics of the ight. I went right across the open space, passing the irst line of trenches, and stopped in the second line. The third line had also been wrested from the Germans, but it lay behind the village. It was not necessary to see further, for the ground round me would have provided me with material for a dozen pictures if I had been able to make my sketches where I liked without fear of my labours being cut short by a bullet through the brain. I walked, or rather ran, for just urder a mile, keeping as close to the ground as I could, and all the time I kept saying to myself, If I get out of this all right I’ll do a picture which shall be as near the real thing as it can be.’ V e went on, and came abruptly on some bits of trench which had escaped the artillery of 1915 and had survived almost intact it was a sudden spurt of machine-gun ire which made us choose that spot to take breath in. ell, it was a very good background for a picture. I went search ing round through a labyrinth of trenches in order to choose my point of view. What I wanted was just the view which lay before me, but I wanted to see the village of Neuve Chapelle as well, and I asked a soldier of the Seaforths, who was on the spot, how this could be managed, and he told me I could see the village easily from where I was if I stood up on the parapet of the trench. This was not very advisable, however, because I should probably have seen it for the last time as well as the irst, and that was hardly what I wanted 1 Besides, I needed a little time to paint the place after I had seen it. So I prepared for a very quick look indeed. IK i put my head up and then down at record speed. But all the same it was there long enough to enable me to ix on paper the exact relation between the foreground of the picture and the village of Neuve Chapelle. Then I started to sketch all the small details of what I saw round me. I had my colours with me, so I was able to inish my sketch with colour. Nothing had been moved except the wounded and a certain number of dead bodies the kettle, the old bottle, a sardine tin, the basin all the jetsam of the battleield was lying there still. The German helmet was not there, but a soldier whispered in my ear that it had been until a chum of his had pinched it on that very morning. A German coat, which is in the extreme, foreground of the picture, I was luckily able to bring away with me, and it is now in my studio. While I was 32 deep in my sketch, a shell the last of a series which had been steadily coming nearer and nearer, a little happening which I had accepted without a murmur burst ive yards away from me. I took refuge in a dug-out and proceeded to scrape my sketch-book free from its share of the debris which covered me from head to foot. Half an hour later I had succeeded in persuading my guide to bring me to an old observation post from which I could get a good view of Neuve Chapelle. It was a little house, only three battered sides of which were left standing it was a skeleton of a house, with bits of old aprons and rags pinned across the gaps in the walls. It was from there that I saw Neuve Chapelle and was able to make a rapid sketch of the village, thus completing my material for the reconstruction of the subject […]. Once at home I dug a trench in my garden, I made a dozen or so blue sandbags similar to a German one which I had brought back with me, and with the aid of a couple of hundred others, and of my sketches made on the spot, I did my best to construct a replica of the corner of the battleield shown in the picture. When I had dressed my models in the original uniforms picked up on the ield and placed them in the same position, I really had the impression of being there again. Except for the action of the igures, which had to follow information received on the spot, the picture is a faithful copy of this little corner of the battleield of Neuve Chapelle, 1915 […] at home I dug a trench in my garden, I made a dozen of so blue sandbags similar to a german one which I had brought back with me, and with the aid of a couple of husdued others, and of my sketches made on the spot. I did my best to construct a replica of the corner of the battleield shown in the picture. When I had dressed my models in the original uniforms picked up in the ield and placed them in the same position, I reallly had the impression of being there again. Except for the action of the igures, which had to follow information received on the spot, the picture is a faithful copy of this little corner of battleield of Neuve Chapelle 1915». In The Sphere. An illustrated newspaper for the home, n. 374, 15 giugno 1918. 16 Prima di comporre Matania scattava decine di foto che, confrontate con gli acquerelli, ci confermano che egli ricostruiva in studio scenograie e contesti. Ho già avuto modo di ricordare tale pratica a proposito della produzione neopompeiana (a. di BeNedetto, Ritratto di signora, cit., p. 192) e come essa avesse radici in una lunga tradizione familiare. Si veda per questo p. pallottiNo, L’occhio della tigre: Alberto Della Valle fotografo e illustratore salgariano, Palermo 1994, e, all’interno dello stesso volume, G. Salvatori, Frammenti: Alberto Della Valle nell’Archivio Matania, pp. 37-43. 17 The Green Howards Museum, Trinity Church Square, Richmond, North Yorkshire, UK. 18 L’episodio è stato raccontato un numero illimitato di volte nel corso degli anni in giornali e riviste, spesso con nuove aggiunte e interpretazioni. Lo storico David Johnson ha ricostruito dettagliatamente i fatti così come si supponeva fossero andati e, dopo appassionate ricerche documentarie, ha evinto che, non potendo provare i fatti contro ogni ragionevole dubbio, la storia tramandata fu certamente il frutto di un’invenzione. Cfr. d. JohNSoN, One Soldier and Hitler, 1918: The Story of Henry Tandey VC DCM MM, Charleston, South Carolina 2012. 12 13 14 15 16