SI VIS PACEM, PARA BELLUM
La memoria delle armi
a cura di
M arcello R otili
e
G iuse p p e P ig n atelli
La polvere il sangue le mosche e l’odore
per strada fra i campi la gente che muore
e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos’è
e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché
Fabrizio De André, Terzo intermezzo, 1968
Comitato scientiico: Salvatore Cerasuolo, Cettina Lenza, Luigi Mascilli Migliorini, Matteo Palumbo,
Giovanni Polara, Gianni Carlo Sciolla
In copertina, Pittore C, La presa di Troia. Coperchio di lekane attica a igure nere da Cuma, 580-570 a.C.
Baia, Museo Archeologico dei Campi Flegrei. Particolare (foto di Giulio Festa)
Nei risguardi, Vista del Exercito de S.M. Cat.a en Orden de Batalla en las Cercanias de la Ciudad de Bitonto
Situada en Provincia de Bari, bajo las Ordenes del Cap.n General Duque de Montemar [...], 1734. Particolare.
Napoli, Archivio di Stato©, fondo Montemar
Alla pagina 3, Fortunino Matania, Trained mountaineers as well as soldiers. Italy’s famous Alpine troops forcing a
frontier pass in the Carnic Alps. Riproduzione da lastra al bromuro d’argento. Collezione privata
Sul retro, Plan de la Ville de Capoue dans le Royaume de Naples. Fait par Vervier, du 1er régiment du génie le 4
brumaire an III de la République, 1794. Paris, Bibliothèque Nationale de France©
© 2017 DiLBeC - Dipartimento di Lettere e Beni Culturali, Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’
ISBN-13: 978-88-7431-908-4
Progetto graico ed editing di Giuseppe Pignatelli
Indice
Marcello rotili
Presentazione
7
Nadia Barrella
Musei ed opere d’arte di Napoli attraverso la guerra:
alcune considerazioni sul libro di Bruno Molajoli
9
SiMoNetta coNti
Uno ‘sconosciuto’ atlante dell’epoca della Grande Guerra
17
alMeriNda di BeNedetto
Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920)
25
SereNella eNSoli
L’avanguardia nell’esperienza coloniale delle Terre d’Oltremare.
L’archeologia in Libia tra il 1913 e il 1937
33
luca FraSSiNeti
Guerre letterarie del Neoclassicismo napoleonico:
su tre lettere inedite di Vincenzo Monti a Giovanni Rosini
41
criStiNa GiaNNiNi
Lettere dal fronte. Restauri e restauratori al tempo della Grande Guerra
49
FerNaNdo Gilotta
Guerrieri e immagini di guerrieri tra Etruria e mondo italico
55
Ἐν πολέμῳ:
Marcello lupi
osservazioni sulle forme di commemorazione dei morti in guerra a Sparta
61
GiovaNNi MorroNe
La forma infranta. La Lezione di guerra di Wilhelm Windelband
67
Federico paoliNi
Gli impatti ambientali delle guerre: un breve compendio dall’età moderna al tempo presente
73
aStrid pellicaNo
La Prima guerra mondiale e l’industria bellica
79
Maria GaBriella pezoNe
Dalla guerra alla cultura. Il riuso delle opere di difesa nel Settecento
a Napoli nella biblioteca di San Giovanni a Carbonara
85
GiuSeppe piGNatelli
Nouvelle Maniere Suisse de Fortiier les Places.
Jean Antoine d’Herbort e la difesa di Capua (1730-34)
93
eleNa porciaNi
Dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta.
Le partigiane nella narrativa della Resistenza
101
MarGaret raSulo
Dear Dora... Perceptions of love, home and country from the trenches
107
carlo reSciGNo
Il Pittore C alla guerra di Troia. Osservazioni su di un vaso cumano del Museo di Baia
115
Marcello rotili
Castelli, dominio, difesa
123
ariaNNa Sacerdoti
Di assedi, suicidi, lessemi: appunti a margine di guerre e città nei Punica di Silio
131
Gaia Salvatori
RAW WAR: metafore e strategie del conlitto nell’arte contemporanea
137
daNiele SaNtarelli
Uniformità religiosa o tolleranza come antidoto alla ‘guerra civile aperta’?
Venezia, Firenze e il Papato di fronte all’esplosione delle guerre di religione in Francia
145
claudia SaNti
Un caso di guerra rituale presso i Celtiberi, nell’interpretazione romana
151
Federico ScaraNo
Giulio Andreotti e la Guerra Fredda: alcune osservazioni storiograiche
157
Giulio SodaNo
Il Genio bellicoso del Filamondo:
una presa di coscienza delle forme moderne della guerra nel Regno di Napoli alla ine del Seicento
163
daNiele Solvi
Tre variazioni sullo ‘scontro di civiltà’: la crociata, Francesco d’Assisi e i suoi Fioretti
171
paola zito
Guerrieri di carta. Don Chisciotte e i suoi antenati
177
Indice dei nomi
185
Elenco delle illustrazioni a colori
195
Presentazione
Il volume Si vis pacem, para bellum. La memoria delle
armi ha preso forma nel 2015 in occasione del primo centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande
Guerra. La nota parafrasi del principio enunciato da
Publio Flavio Vegezio Renato (ma anche da autori precedenti, come Platone) molto probabilmente
agli inizi del V secolo, «ergo qui desiderat pacem,
praeparet bellum» (Epitoma rei militaris, III, prologo)
è parsa adatta a indicare in questa sede l’attività bellica (o, meglio, la sua predisposizione) solo come un
deterrente rispetto a minacce di conquista: e ciò nel
tentativo di attenuare, per quanto possibile, il valore
negativo di una pratica fra le meno commendevoli
per i suoi contenuti di sopraffazione e di violenza
funzionali al conseguimento di scopi economici e
politici.
Grazie alla disponibilità di tanti colleghi del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda
Università di Napoli, che da poco più di un anno è
stata ridenominata Università degli studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, il tema della guerra viene
affrontato da punti di vista diversi: quelli dell’archeologo, dello storico dell’arte, dello storico e del
letterato.
L’ideologia della guerra e la rappresentazione delle armi è il tema dei contributi di Fernando Gilotta
e Carlo Rescigno, i quali analizzano la concezione
guerresca del mondo etrusco-italico e magno-greco
(cumano in particolare) attraverso il confronto fra la
documentazione archeologica e le fonti antiche. Le
testimonianze scritte e l’evidenza materiale sono altresì centrali nella ricostruzione degli scenari bellici
di età medievale, oggetto del saggio di chi scrive: assedi, assalti e battaglie campali sono azioni che inevitabilmente sottendono aspetti dell’organizzazione
e della difesa del territorio in età post-antica.
La valenza politico-istituzionale e simbolicorituale del coinvolgimento nella guerra è inoltre il
il rouge che lega i tre contributi di Marcello Lupi,
Arianna Sacerdoti e Claudia Santi con riguardo ai
testi di autori greci e latini: pur con oscillazioni semantiche signiicative, l’alone religioso che avvolse
da subito le campagne militari dell’antichità giunse
ino all’età moderna, allorché le guerre di religione francesi del XVI secolo costituirono addirittura
lo ‘sfondo’ culturale entro cui osservare la politica
estera di alcuni stati italiani (Venezia, Firenze e il Papato), come mostra il lavoro di Daniele Santarelli.
Anche lo studio della manualistica militare, oltre ad
evidenziare l’evoluzione delle tecniche anche alla
luce delle nuove scoperte scientiiche, costituisce
una miniera di notizie circa le forme di autorappresentazione del potere e le strategie di politica estera di un altro importante stato italiano, il Regno di
Napoli alla ine del XVIII secolo: il saggio di Giulio
Sodano mostra come sia possibile ricostruire, attraverso le pagine de Il Genio bellicoso del Filamondo,
la pratica dell’arte militare nel Mezzogiorno d’Italia
proprio in relazione ai conlitti europei.
Un aspetto certamente poco analizzato, le conseguenze della guerra sull’ambiente, è affrontato da
Federico Paolini che pone l’accento sulla percezione della limitatezza delle risorse naturali e sulla corsa
al loro accaparramento generate dalla drammatica
esperienza dei due conlitti mondiali del XX secolo
e dalla ‘guerra fredda’. Su quest’ultima e sulle sue
ricadute più che mai attuali nella politica italiana, il
lavoro di Federico Scarano illustra il ruolo che ebbe
l’Italia, e in specie la strategia andreottiana, tra gli
anni ’70 e ’80 del secolo scorso, per il superamento
della ‘cortina di ferro’ e la realizzazione dell’Europa
unita, un percorso che pur tra mille dificoltà appare
oggi sempre più ineludibile.
Gli ultimi conlitti mondiali sono il minimo comune denominatore dei contributi di Nadia Barrella, Cristina Giannini e Almerinda Di Benedetto: la
prima analizza l’impatto del libro di Bruno Molajoli (Musei ed opere d’arte attraverso la guerra) negli allestimenti post-bellici di alcune istituzioni museali
napoletane; la seconda illustra attraverso le testimonianze epistolari le dificoltà degli addetti ai lavori
(restauratori, storici dell’arte, ecc.) nella gestione del
patrimonio culturale italiano durante gli anni della
Grande Guerra; inine la Di Benedetto spiega la vivace e realistica verve comunicativa di Fortunino Matania, igura insolita di illustratore, corrispondente
7
dal fronte, nel quadro pressoché muto – a proposito delle immagini – della stampa dell’epoca.
A dispetto delle condizioni storiche non sempre favorevoli, appaiono molto fervidi per i risultati
conseguiti gli anni dell’attività archeologica italiana
nel Mediterraneo tra le due guerre (1913-37): alla
luce delle sue esperienze di ricerca e scavi a Cirene, Serenella Ensoli sottolinea come certe strategie
messe a punto proprio in quelle circostanze si mantengano ancora attuali tanto da risultare, ad oggi, valide per la progettazione di missioni archeologiche
in area mediterranea. Prendendo spunto da un lavoro di Bruce Nauman (WAR-RAW), Gaia Salvatori
esamina quindi il contributo di alcuni artisti contemporanei sul conlitto: accanto alla dimensione
puramente militare, emerge il senso di ‘intermezzo’,
di ‘area grigia’ che paradossalmente separa ed unisce vittime e carneici in un gioco di simmetrie simili a quelle del palindromo dello stesso Nauman che
propone il medesimo signiicato tragico di fondo in
forme speculari.
Ma la Grande Guerra fu anche un’occasione di
rilancio dell’industria bellica italiana che proprio in
quell’occasione – secondo Astrid Pellicano – gettò
le basi per l’attuale sistema di produzione o costituì
una circostanza per la realizzazione di minuziosi e
sconosciuti atlanti dei fronti di guerra italiani, come
mostra Simonetta Conti nel suo lavoro a proposito
dell’Atlante delle valanghe delle Alpi Orientali in Italia nel
periodo 1915-19, pubblicato nel 1968 a cura di Elena
Capello: quest’opera, purtroppo sottovalutata, evidenzia il peso non indifferente, nei casi di conlitto
bellico, della conoscenza metereologica, ambito in
cui allora si iniziarono a muovere i primi passi.
Che la guerra sia stata spesso occasione della
messa a punto di sistemi difensivi sempre più eficaci è quanto espone Giuseppe Pignatelli, altro curatore del presente volume, nel suo saggio sulla difesa
di Capua in occasione dell’occupazione austriaca del
Regno di Napoli nel primo terzo del XVIII secolo: i
sette bastioni progettati dall’ingegnere Jean Antoine
d’Herbort per la difesa urbana resero meno esposta
la cinta muraria all’assalto delle armi da fuoco e costituirono un prototipo architettonico molto seguito dagli ingegneri napoletani ed austriaci nel corso
del secolo.
Altrove, a Napoli ad esempio, la memoria dello
scontro bellico viene esorcizzata da nuove iniziative
edilizie per la riqualiicazione di alcuni settori urba-
8
ni, come nel caso della quattrocentesca torre aragonese trasformata nell’importante biblioteca annessa
al monastero di San Giovanni a Carbonara, un caso
straordinario di riutilizzo e di radicale cambio di
destinazione d’uso di un monumento napoletano,
oggetto del saggio di Maria Gabriella Pezone: purtroppo oggi la biblioteca non esiste più in quanto
venne soppressa insieme al monastero nel 1799, ed
anche la torre del Salvatore nella quale era ubicata è
stata in parte demolita.
Le impressioni dei protagonisti, le abitudini delle
donne della resistenza, la nascita di eroi ‘di carta’ (in
guerra tra lo spauracchio della censura e i plotoni
sempre più agguerriti di lettori), il dibattito quasi casuale sulle guerre raccontate da Omero ingeneratosi in epoca neoclassica e la valenza polisemica della
guerra in età medievale tra conlitto militare nel senso proprio del termine e incontro di culture diverse,
sono solo alcune delle suggestioni che si riscontrano nei lavori rispettivamente di Margaret Rasulo, di
Elena Porciani, di Paola Zito, di Luca Frassineti e di
Daniele Solvi: l’ambito letterario offre ancora una
volta un caleidoscopio di sfumature e di toni che arricchisce a dismisura le valenze semantiche del tema
in esame.
Ma quanto è lontana la guerra vera e propria dalla ‘lotta culturale’? L’accurata disamina di Giovanni
Morrone, attraverso la revisione critica di un lavoro
incompiuto di Wilhem Windelband, ci immette nel
dibattito ilosoico nella Germania del primo ventennio del XIX secolo, allorché una fetta consistente dell’intelligentia tedesca ritenne di dover dare un
contributo all’idea della ‘guerra tedesca’ e della sua
inevitabilità, mettendo in crisi i princîpi del neokantismo di cui la scuola di Baden e lo stesso Windelbald erano illustri esponenti.
Da quanto esposto deriva un panorama ricco di
sfumature che, oltre a offrire spunti e modelli interpretativi nuovi nei diversi campi specialistici, costituisce un’altra testimonianza signiicativa – dopo i
volumi già editi Lungo l’Appia, I due Risorgimenti, Intra
ed Extra moenia – delle diverse anime che compongono il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università degli studi della Campania ‘Luigi
Vanvitelli’.
Marcello Rotili
Direttore del Dipartimento
di Lettere e Beni Culturali
Images from the Front.
Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920)
Almerinda Di Benedetto
During First World War the illustrated newspapers were an irreplaceable document of the war events. The Italianborn Fortunino Matania created for The Sphere more than 250 illustrations. Matania’s images present, with the
strength of representations in a realistic way, unique and clear vision of how the war was transmitted through
a medium so popular communication. What redeems the artist from the status of ‘mere illustrator’, is the
extraordinary ‘truth’ with which he used the pencil on the paper, so as to able to orient, in accordance with the
directions of the press, the mass perception of the conlict.
Nel 1922 Fortunino Matania, di rientro nella
capitale inglese dopo un breve soggiorno napoletano, scrive: «Comunque sia, giunsi a Londra dopo
essermi abbeverato in fretta e furia di tutto quello che poteva allargarmi la mente aggrinzita da
parecchi anni di ottusità e di lavoro da mulo, durante i quali il mio sguardo si doveva concentrare
sull’antiestetica parafernalia militare insozzata materialmente e moralmente dalla guerra»1. Sono trascorsi ormai quattro anni dal termine del terribile
conlitto mondiale che provocò com’è noto circa
17 milioni di morti tra militari e civili, ma l’artista
rievoca ancora con vivo e profondo turbamento
le sensazioni provate in diretta con gli avvenimenti, quando, inviato come reporter al fronte, aveva
documentato con febbrile puntualità la vita della
trincea. Allo scoppio della Grande Guerra Matania aveva 33 anni e viveva a Londra ormai da dodici2. Da ragazzo aveva militato, perfettamente a suo
agio, nel corpo dei Bersaglieri, come apprendiamo
da alcune foto d’epoca e da un disegno a matita
rialzato a biacca, nel quale si ritrae sul campo di
addestramento dietro al cavalletto con pennelli e
colori, intento a riprendere un commilitone con
fucile imbracciato3. Tuttavia l’esperienza della trincea avrebbe messo a dura prova il suo brillante spirito. Poiché era un eccellente illustratore, richiesto
per la singolare rapidità del tratto e l’accuratezza
dei dettagli, nel 1914 il governo inglese avviò una
breve corrispondenza con il governo italiano allo
scopo di non farlo rientrare in Italia e impiegarlo
al fronte come reporter di guerra. Diciotto giorni
dopo l’invasione del Belgio da parte delle truppe
tedesche, Matania fu inviato nelle Fiandre con le
truppe inglesi per documentare gli eventi e realizzare subito i disegni che avrebbero corredato le
edizioni della rivista Illustrated London News prima,
del The Graphic e del The Sphere poi. Per quest’ultima, deinita in seguito «inrivalled» per la qualità
delle immagini di guerra pubblicate4, Matania realizzò un corpus costituito da più di 250 illustrazioni
dal vero, riproducendo con originale attenzione i
diversi momenti della vita al fronte, le dinamiche
delle battaglie, le posizioni degli uomini fuori e
dentro le trincee (ig. 1)5, il terrore negli occhi dei
feriti, l’impiego dei micidiali gas, la crudeltà della
morte. Le riviste dell’epoca con le pagine illustrate sono un documento insostituibile degli avvenimenti bellici, e le immagini realizzate da Matania
offrono, attraverso la forza delle rappresentazioni straordinariamente realistiche e al tempo stesso cariche di coinvolgimento, una visione unica e
chiara di come la guerra fu trasmessa e assorbita
attraverso un mezzo di comunicazione così popolare6. Dell’intero triennio dedicato a registrare
gli avvenimenti di guerra – che l’artista intervallava con periodi durante i quali rientrava a Londra
– racconterà poi con orgoglio di non essere mai
stato ferito nonostante si trovasse spesso a pochi
centimetri dallo scoppio delle granate. Gli articoli
che accompagnavano le illustrazioni interpretavano naturalmente il propagandismo del governo, in
linea con l’esaltazione interventista che percorreva
l’Europa tutta: una follia esaltata che coinvolse artisti, poeti, letterati, molti dei quali, mortiicati in
seguito dall’esperienza della guerra, ne avrebbero
riportato ferite insanabili nel corpo e nello spirito.
Matania seppe tuttavia mostrare il volto terribile e
25
Almerinda Di Benedetto
straziante della guerra con piglio straordinariamente realistico, riuscendo a regalare anche squarci di
commovente umanità. L’immagine in copertina
comparsa sul The Sphere il 13 febbraio 1915 (igg.
27 e 3) – un soldato inglese ‘pietosamente’ seduto a
confortare un milite tedesco in in di vita – possiede ancora un’eccezionale forza di comunicazione,
e mostra quanto Matania fosse abile a veicolare
messaggi di grande potere mediatico. Le parole al
fondo pagina, infatti, non avrebbero potuto essere
interpretate in modo più eficace:
«Mi sono fermato per alcuni secondi a ianco
di un tedesco che stava morendo», dice un soldato al fronte in una lettera che appare in un recente
numero del Manchester Guardian. Stava soffrendo
molto, e quando ho chiesto cosa potevo fare per
lui, ha detto, con un tono patetico che è andato
al mio cuore, «Niente, a meno che non fossi così
gentile da tenere la mia mano ino a quando tutto
è inito», gli ho dato la mano e sono rimasto ino
alla ine. Sembrava essere di grande conforto a
quel povero sconosciuto. Era in grado di parlare
un buon inglese e abbiamo scambiato una piacevole chiacchierata, considerando le circostanze.
Pensava che la guerra sarebbe durata un altro
anno almeno, ma non aveva alcun dubbio che
il suo paese sarebbe stato battuto alla ine. «La
nostra gente non ha messo in conto lo spirito
combattivo degli inglesi», ha detto8.
1. F. Matania, With our artist in the british trenches in Flanders.
Pitching Sand Bags out of a trench During an Advance. The Sphere,
1 maggio 1915
Purtroppo i diari al fronte dell’artista sono andati perduti; nonostante ciò, il suo contributo alla
ricostruzione dei disastri provocati dalla Grande
Guerra è tale che egli può essere considerato uno
dei più grandi illustratori del primo conlitto mondiale. Spesso la pubblicazione delle sue opere a
causa dei limiti imposti dalla tecnica, o dei costi
da contenere, era realizzata in toni di grigio o seppia, in bianco e nero. Tale scelta, solo in apparenza
un limite alla fruizione, ne valorizzava l’impatto
drammatico. Le sue illustrazioni ‘istantanee’ furono segnate da un pittoricismo luido e dinamico,
sospinto da una carica emotiva in grado allora di
superare nell’occhio dello spettatore la resa ancora troppo inanimata di una semplice riproduzione
fotograica. Brani di disperata quotidianità in grado di ‘travolgere’ tutti i lettori con la forza di una
diffusione capillare che nessun altro mezzo poteva allora esercitare. D’altra parte, «in tale utilizzo
dell’immagine in funzione suggestiva e persuasiva
– è stato giustamente osservato – la fotograia […]
non poteva che risultare perdente al confronto con
l’illustrazione, la quale aveva al suo arco la freccia
di una forza immaginiica nella ricostruzione degli eventi cui l’‘obiettività’ della prima non poteva attingere»9. La capacità inoltre di allestire scene
drammatiche con una potente vis teatrale costituiva il tratto caratterizzante della sua pittura – Matania era molto richiesto sul mercato internazionale
per le strepitose rappresentazioni dell’antica Roma
e della immortale Pompei10 – e questo rese la sua
opera unica e popolarissima. Egli non fu il solo
artista reclutato per questo genere di impegno. Ma
fu certamente colui che più di ogni altro seppe
elaborare uno stile originale di reportage illustrato,
schizzato dal vero e poi rielaborato sulla memoria,
capace di costruire una narrativa eroica e carica
di pathos. Deinito ‘un fotografo con pennello e
colori’, per decine di milioni di lettori fu possibile
seguire gli eventi in tempo di guerra per mezzo
delle sue illustrazioni settimanali. Il suo punto di
vista era quello trasmesso da una posizione per alcuni versi privilegiata, e comunque tale da rendere
26
Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920)
2. F. Matania, “The ighting spirit of the british”. An incident on the
battleield. Riproduzione da lastra al bromuro d’argento. 1915,
collezione privata
particolarmente credibile il senso del racconto per
immagini. Visitando le linee del fronte in prima
persona egli poteva parlare con i soldati delle loro
esperienze e conoscerne le condizioni dificili e
aberranti, ma anche i pochi momenti di relativa
calma. Se da un lato la dimensione quotidiana e
quasi naturale della vita di trincea sortiva nel lettore un effetto tranquillizzante – è facile immaginare
che ogni nucleo familiare poteva contare almeno
una persona cara al fronte – dall’altro gli scenari
desolanti delle battaglie che riempivano le pagine
delle riviste favorivano in misura esponenziale la
tiratura. La scelta da parte dell’Italian Red Cross di
commissionare proprio a Matania un incarico dal
chiaro intento propagandistico, oltre che ilantropico, si lega non solo alle origini italiane dell’artista,
ma soprattutto al fatto che il pittore napoletano,
giunto a Londra nel 1902, era divenuto in breve
tempo molto popolare con le toccanti illustrazioni realizzate per le riviste. Così il 7 ottobre 1915,
giorno in cui a Londra si celebrava l’Italian Day, la
giornata italiana delle forze armate alleate al Governo Inglese, lungo le strade della capitale giovani
volontarie offrirono ai passanti un piccolo foulard
sul quale era stato stampato un disegno realizzato da Matania. L’iniziativa, che vide il sostegno di
3. F. Matania, “The ighting spirit of the british”. An incident on the
battleield. The Sphere, 13 febbraio 1915
altre associazioni inglesi, aveva lo scopo di raccogliere fondi per la causa alleata attraverso la vendita del souvenir reclamizzato dall’iscrizione ‘Pro
Italia’ - Allies and Brothers - In - Arms for Justice11.
Lo spazio centrale del foulard era interamente occupato dall’immagine di un bersagliere al ianco di
un soldato inglese entrambi pronti a combattere
in nome di un’altissima e giusta causa12. La donna alle loro spalle, con la bilancia nella mano sinistra, disegnata in forme procaci secondo i modi di
un’iconograia ancora tardo-ottocentesca, simboleggiava infatti la Giustizia. Talvolta l’artista riusciva ad alternare l’attività intensissima di illustratore
– che praticava per necessità economiche e per la
quale lamentava tempi di consegna massacranti – a
quella certamente più amata di pittore da cavalletto; allora le immagini strazianti di paesaggi lacerati
e sconvolti da corpi senza vita, ammucchiati con
drammatico disordine gli suggerivano rappresentazioni di grande respiro. In Neuve Chapelle 1915
(ig. 4)13, presentato alla Royal Academy of Arts nel
1918 in occasione della Imperial War Exhibition e
pubblicato su The Sphere il 15 giugno di quell’anno,
27
Almerinda Di Benedetto
4. F. Matania, Neuve Chapelle 1915. Royal Worcestershire Regiment Museum, Worcestershire, UK (da Gosling, 2014)
Matania trasferisce sulla tela gli esiti della terribile
battaglia svoltasi in Francia tra il 10 e il 13 marzo
del 1915 nella zona dell’Artois tra le truppe inglesi
e quelle tedesche, dove le perdite umane furono
ingentissime, 11.200 fra morti e feriti nelle ile
inglesi che annoveravano anche soldati indiani, e
10.600 in quelle tedesche. La scena è ricostruita da
Matania sulla lezione forte della tradizione risorgimentale, che aveva dato fulgidi contributi alla storia della pittura del genere, da Gerolamo Induno a
Michele Cammarano. Se pensiamo a composizioni
splendide come La Battaglia di Dogali, realizzata da
quest’ultimo nel 1896, comprendiamo come Matania mantenga vive le radici profonde della sua
formazione, quando fanciullo seguiva gli insegnamenti del padre Edoardo e assorbiva a piene mani
quelli fertili della scuola morelliana14. La tecnica
è sempre quella di schizzare dal vero e inire in
studio il dipinto. In una foto conservata dagli eredi osserviamo infatti Fortunino alle prese con la
realizzazione di una grande tela con una scena di
battaglia. L’immagine è particolarmente signiicativa e si lega al senso di appartenenza culturale cui
si accennava: oltre ad osservare l’artista al lavoro,
vi scorgiamo infatti anche il padre Edoardo e il
cugino Ugo, entrambi intenti a dipingere. È una
foto preziosa, che documenta eficacemente la
fantastica circolazione di attitudini e insegnamenti
tra i membri di una straordinaria famiglia di artisti.
Il 15 giugno del 1918, in un’intervista rilasciata alla
28
rivista The Sphere che pubblicava il dipinto in occasione dell’esposizione alla R.A., Matania racconta
con tono avvincente come ha raccolto i dettagli e
le azioni sul campo di battaglia per quanto avrebbe poi composto sulla tela cercando di ‘replicare’
fedelmente quanto aveva visto:
Fu subito dopo la battaglia di Neuve Chapelle che ho avuto la fortuna di visitare il famoso
campo dove gli inglesi avevano fatto il loro grande attacco contro l’esercito tedesco. Il frastuono
della tempesta era scomparso, ma il campo di
battaglia era ancora caldo, fumoso, e disseminato di oggetti del combattimento. Sono arrivato
proprio di fronte allo spazio aperto, passando
la prima linea di trincee, e mi sono fermato nella seconda linea. Anche la terza linea era stata
strappata ai tedeschi, ma si trovava alle spalle del
paese. Non sarebbe stato necessario vedere ulteriormente, perché il terreno intorno a me mi
avrebbe fornito il materiale per una decina di
quadri se fossi riuscito a fare i miei schizzi, senza
alcuna paura che le mie fatiche fossero interrotte da un proiettile al cervello. Ho camminato,
o meglio corso, almeno per un miglio, mantenendomi il più vicino al suolo come ho potuto,
e per tutto il tempo ho continuato a dire a me
stesso, se esco da questo va bene farò un quadro
che deve essere il più vicino possibile alla realtà
[... ]. A casa ho scavato una trincea nel mio giardino. Ho fatto una decina di sacchi di sabbia in
modo simile a uno tedesco che avevo portato
con me, e con l’aiuto dei miei schizzi fatti sul
Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920)
5. F. Matania, 2nd Bn., The Green Howards Holding the Petit Kruiseek Crossroads on the Ypres-Menin Road, October 1914 – painted in 1925.
The Green Howards Museum, Richmond, North Yorkshire, UK
posto, ho fatto del mio meglio per realizzare una
replica di un angolo del campo di battaglia nel
quadro. Quando ebbi vestito i miei modelli con
le uniformi originali raccolte sul campo e dopo
averli collocati nella stessa posizione, ho avuto
realmente l’impressione di essere lì di nuovo15.
La simulazione era un espediente al quale Matania ricorreva molto spesso, con l’ausilio talvolta del
mezzo fotograico come elemento di transito per
l’opera inita, ripercorrendo le tracce di una prassi
comune tra gli artisti di ine Ottocento. Sfogliando
l’archivio privato della collezione di lastre al bromuro d’argento da lui stesso realizzate, ritroviamo
numerosi scatti che documentano in che modo
avesse simulato scorci di trincea nel giardino della
propria abitazione al 104 di Priory Road, collocandovi come comparse alcuni membri della famiglia;
in altre ancora scorgiamo nel suo studio un manichino in uniforme, uno dei modelli in cartapesta
richiamati nell’intervista al giornale, da lui stesso
realizzato e che avrebbe conservato a lungo16.
Nel 1923 i Green Howards inglesi, glorioso
reggimento dell’esercito britannico, commissionarono a Matania un dipinto in memoria della terri-
bile battaglia delle Fiandre svoltasi ad Ypres-Menin
nel 1914 in difesa di un crocevia strategico, individuando, come già era accaduto in altre committenze, nell’artista italiano colui che meglio di ogni altro
avrebbe potuto creare un’opera di forte impatto e
tale da trasmettere ai posteri il valore dell’impegno
del II° Battaglione coinvolto in quella circostanza.
Matania portò a termine il dipinto, un olio di grandi
dimensioni, nel 1925, apponendovi sulla cornice in
basso l’iscrizione 2nd Bn., The Green Howards Holding
the Petit Kruiseek Crossroads on the Ypres-Menin Road,
October 1914 - painted in 1925 (ig. 5). Sempre straordinario nella capacità di fare leva sull’emotività
collettiva, l’artista scelse di rafigurare un momento di sospensione dalla battaglia. La rappresentazione era costruita per indirizzare lo sguardo dello
spettatore sul lato destro del quadro. Qui, in primo
piano un soldato avanza con dignitosa ierezza tenendo sulle spalle un compagno ferito allo stremo
delle forze. La rappresentazione non si limita a raccontare un avvenimento, ma sembra riassumere in
un unico fotogramma un’intera narrazione. È una
sensazione che diviene, per molti esempi di questa parte di produzione dell’artista, un suggestivo
leit-motiv. Il quadro, custodito nel Museo del Reggi29
Almerinda Di Benedetto
6. F. Matania, Trained mountaineers as well as soldiers. Italy’s famous Alpine troops forcing a frontier pass in the Carnic Alps. Riproduzione
da lastra al bromuro d’argento. Collezione privata
mento17, ci racconta ancora una storia dai contorni
drammatici, ma questa volta ci consente di individuarne anche l’attore principale, come se la camera
da presa ‘in soggettiva’ zoomasse sul giovane eroe,
bello e dalla fulva chioma scomposta, per esaltarne
l’abnegazione del gesto e metterne in evidenza i
tratti isiognomici. Nel milite rafigurato riconosciamo infatti il ‘soldato semplice’ Henry Tandey,
in seguito pluridecorato al valore militare, il quale riiutò ogni promozione di grado e per questa
ragione nel 1918 fu insignito del Victoria Cross,
il più alto riconoscimento del governo inglese per
meriti guadagnati sul campo di battaglia. L’aspetto
più intrigante dell’opera – da cui la ‘fortuna’, ma
sarebbe più corretto parlare di notorietà – è legato
soprattutto alla leggendaria ipotesi che Adolph Hitler avesse ordinato una copia del dipinto nella sua
residenza di Berchtesgaden in Baviera, dove aveva
fatto costruire il rifugio noto come Nido dell’aquila.
La ragione di tale richiesta sarebbe stata quella di
aver riconosciuto in Tandey l’uomo che gli aveva
risparmiato la vita nel ’18, e da questo il desiderio
di conservarne il ricordo. Tralasciando qualunque
considerazione sulle note convinzioni del Führer
di essere un predestinato per il quale la provvidenza aveva previsto un ruolo senza precedenti per
la storia del mondo e della Germania, sappiamo
30
quanto egli fosse abile nel costruire storie credibili
a scopo propagandistico. Quasi certamente la circostanza legata a Tandey, resa pubblica nel 1940,
era frutto di un’invenzione, come prova il recente
e circostanziato studio di David Johnson e nonostante la diffusione di questo racconto e il grande
successo riscosso attraverso tutti i canali di informazione mondiale da allora ino ai nostri giorni18.
Durante la lunga campagna di guerra Matania
partecipa con i Bersaglieri ad alcune operazioni
sulle Alpi. Le illustrazioni che ne realizza – spettacolari talvolta per l’arditezza degli scorci (ig. 6)
– possiedono una carica emotiva fortissima. La
‘guerra verticale’, come fu chiamata quella che si
svolse sulla cima delle montagne per tre anni e tre
terribili inverni, costituisce uno dei tanti aspetti
devastanti del conlitto. Migliaia di uomini furono
scaraventati sul fronte che dallo Stelvio e dall’Ortles scende verso l’Adamello, le Dolomiti, il Pasubio
e l’Asiago con pioggia, rafiche di vento e la neve,
in particolare, che limitava i movimenti, isolando i
presidi e obbligando i soldati a patire fame e freddo
e a compiere percorsi di notte con carichi pesantissimi. Attraversare i pendii estremamente ripidi in
condizioni climatiche terribili condusse a perdite
ingentissime, aggravate spesso dalle violente valanghe che si staccavano dai costoni. Nel numero di
Images from the Front. Fortunino Matania reporter per The Sphere (1915-1920)
The Sphere del 27 maggio 1916 Matania documenta
con stupefacente verità la discesa di una valanga
che trascina in un crepaccio gli uomini coinvolti
in uno scontro. Solo in quell’anno si sarebbero
contati centinaia di morti tra italiani e austriaci.
Achille Beltrame, autore di punta della Domenica del
Corriere e molto popolare presso i lettori italiani,
realizzò come Matania numerose illustrazioni che
andarono ad occupare le copertine del celebre settimanale. Poste a confronto con quelle di Matania,
le immagini a colori create da Beltrame, di grande appeal quando affrontano eventi di costume,
appaiono al contrario quasi fumettistiche e poco
credibili nell’interpretazione degli avvenimenti bellici. Quello che rende ancora oggi singolare questo
aspetto della proliica produzione di Matania, e che
sdogana l’artista dalla qualiica di ‘mero illustratore’, è la straordinaria ‘verità’ con la quale egli sapeva gestire la matita sulla carta, al punto da riuscire
ad orientare, secondo le indicazioni della stampa,
la percezione di massa del conlitto.
Note
1
Lettera al cugino Mario del 16 febbraio 1922. Collezione
privata.
2
Per altre informazioni sulla vita e la carriera di Matania si
rinvia a a. di BeNedetto, Ritratto di signora in un interno. Variazioni sull’antico nella pittura di Fortunino Matania, in Pompei e
l’Europa, Atti del convegno internazionale di studi (PompeiNapoli, 1-3 luglio 2015), a cura di M. Osanna, R. Ciofi, A.
Di Benedetto, L. Gallo, Milano 2016, pp. 169-177, con bibliograia precedente.
3
Il disegno è in collezione privata.
4
The Sphere. An illustrated newspaper for the home, questo il nome
completo della rivista, fu fondata da Clement Shorter nel
1900 manifestando già dal sottotitolo l’intenzione di avere
un target popolare. In concorrenza con l’Illustrated London
News e The Graphic la rivista, a cadenza settimanale, si caratterizzò per il ricco corredo illustrativo e soprattutto divenne
strumento privilegiato di informazione di massa – molto
diffuso anche nelle colonie del governo britannico – puntando l’attenzione sui conlitti che caratterizzarono la prima
metà del Novecento, dalla guerra boera alla seconda Guerra
Mondiale con i cosiddetti ‘war numbers’. Già reduce da un
grande successo durante la Grande Guerra, la rivista divenne
popolarissima durante il secondo conlitto mondiale. Molti
illustratori collaborarono con The Sphere: oltre Matania, Sidney Paget, Henry Matthew Brock, Ernest Prater, Edmund
Blampied e Claude Grahame Muncaster. La rivista cessò le
pubblicazioni il 27 giugno del 1964. Cfr. C. zilBoorG, Shorter, Clement King, in Oxford Dictionary of National Biography,
Oxford 2004.
5
«The ighting on and around Hill 60 gives point to Mr.
Matania’s irst picture after his return from the British lines.
The order for the advance has been given and the men are
scrambling from the french. A certain number of men carry
forward with them bundles of a dozen sand bags with which
to reconstruct the captured German trench, for as soon as
occupied the new position has to be reconstructed on its rearward face in order to present the necessary protection and
loopholes. The sand-bag men work like demons in order to
secure cover for their comrades with the least possible delay.
This drawing has all the accuracy that personal observation
conveys, and will be followed by others giving a vivid presentation of what Mr. Matania witnessed during his visit to
the western iring-line». Questa la didascalia all’illustrazione
sulla copertina della rivista The Sphere. An illustrated newspaper
for the home, vol. LXI, n. 797, 1 maggio 1915.
6
In una recensione comparsa sul Sunday Mirror del 26 dicembre 1915 a proposito delle illustrazioni di guerra pubblicate dalla rivista The Sphere si legge: «Its drawings by Signor
Matania made with the knowledge which comes from actual experience in the trenches and elsewhere at the Front
in France, have be pronounced to be the most lifelike, the
most graphic and realistic which have yet been published
of the great truggle». Cfr. Sunday Mirror, n. 42, 26 dicembre
1915, p. 14.
7
Il disegno qui pubblicato è ricavato dalla lastra al bromuro
d’argento realizzata dall’artista. Matania aveva l’abitudine di
fotografare ogni lavoro eseguito, dai disegni agli oli agli acquerelli. Numerose di queste lastre, divise tra gli eredi alla sua
morte, sono oggi conservate in collezione privata e spesso
costituiscono un documento prezioso per rintracciare opere
disperse.
8
«I stopped for a few seconds by the side of a German who
was dying», says a soldier at the front in a letter which appears
in a recent issue of «The Manchester Guardian». He was in
great pain, and when I asked what I could do for him, he said,
in a pathetic tone that went to my heart, «Nothing, unless you
would be so good as to hold my hand until all is over». I gave
him my hand and stayed to the end. It seemed to comfort
that poor chap a lot. He was able to speak good English and
we had quite a pleasant chat, considering the circumstances.
he thought the war would last another year at least, but had
no doubt that his own country would be beaten in the end.
«Our people didn’t make enough allowance for the ighting
spirit of the British», he said. Cfr. The Sphere. An illustrated
newspaper for the home, vol. LX, n. 786, 13 febbraio 1915.
9
Cfr. M.a. cuozzo, Illustrazione e fotograia nella stampa periodica napoletana. Dalla Belle époque al fascismo, Napoli 2005, p. 62.
10
Per questo aspetto della produzione dell’artista rimando
al mio recente contributo. Si veda a. di BeNedetto, Ritratto
di signora, cit.
11
Il disegno era apparso sul numero del 28 agosto della rivista The Sphere, accompagnato dal seguente commento: «This
beautiful drawing has been presented by Signor Fortunino
Matania to his compatriots of the Italian organisations in
London who have arranged for an Italian celebration on
‘Italian Day’, October 7th, when it is intended that the above
design shall be disposed of in the streets in the form of
a souvenir pocket handkerchief. The sole copyright of the
drawing has been vested by Signor Matania in the hands of
the Italian Red Cross Society».
12
Un esemplare di questi è stato esposto in occasione della
mostra sulla Grande Guerra dal titolo When the lamps went out
organizzata nel 2015 presso il Discovery Museum di Newcastle City. Il foulard reca in basso la sua irma e la data 1915.
31
13
Il dipinto è conservato presso il Royal Worcestershire Regiment Museum, in Inghilterra. L’immagine qui riprodotta è
tratta da l. GoSliNG, Goodbye, old man, Stroud, Gloucerstershire 2014.
14
Matania fu un autodidatta. Formatosi con il padre, Edoardo, pittore come lui, aveva conosciuto e osservato in opera,
tra gli altri, Domenico Morelli e Filippo Palizzi, nel giro di
frequentazioni della famiglia. Per informazioni sulla famiglia di artisti cfr. G. Salvatori, Fortunino e Ugo Matania in In
margine. Artisti napoletani fra tradizione e opposizione 1909-1923,
a cura di M. Picone Petrusa, Milano 1986, pp. 205-213;
ead., Ugo Matania. Il quadro in copertina, in Il Mattino illustrato
1924-1933. Dieci anni di cronache dal mondo nelle copertine di Ugo
Matania, a cura di A. Fratta, V. Paliotti. G. Salvatori, vol. I,
Napoli 1991.
15
«It was soon after the battle of Neuve Chapelle that I had
the luck to visit the famous ield where the British had made
their great attack on the German armies. The din of the
storm had died away, but the battleield was still hot, smoky,
and littered with relics of the ight. I went right across the
open space, passing the irst line of trenches, and stopped in
the second line. The third line had also been wrested from
the Germans, but it lay behind the village. It was not necessary to see further, for the ground round me would have
provided me with material for a dozen pictures if I had
been able to make my sketches where I liked without fear of
my labours being cut short by a bullet through the brain. I
walked, or rather ran, for just urder a mile, keeping as close
to the ground as I could, and all the time I kept saying to myself, If I get out of this all right I’ll do a picture which shall
be as near the real thing as it can be.’ V e went on, and came
abruptly on some bits of trench which had escaped the artillery of 1915 and had survived almost intact it was a sudden
spurt of machine-gun ire which made us choose that spot
to take breath in. ell, it was a very good background for a picture. I went search ing round through a labyrinth of trenches
in order to choose my point of view. What I wanted was just
the view which lay before me, but I wanted to see the village of Neuve Chapelle as well, and I asked a soldier of the
Seaforths, who was on the spot, how this could be managed,
and he told me I could see the village easily from where I
was if I stood up on the parapet of the trench. This was
not very advisable, however, because I should probably have
seen it for the last time as well as the irst, and that was hardly what I wanted 1 Besides, I needed a little time to paint the
place after I had seen it. So I prepared for a very quick look
indeed. IK i put my head up and then down at record speed.
But all the same it was there long enough to enable me to ix
on paper the exact relation between the foreground of the
picture and the village of Neuve Chapelle. Then I started to
sketch all the small details of what I saw round me. I had
my colours with me, so I was able to inish my sketch with
colour. Nothing had been moved except the wounded and
a certain number of dead bodies the kettle, the old bottle, a
sardine tin, the basin all the jetsam of the battleield was lying
there still. The German helmet was not there, but a soldier
whispered in my ear that it had been until a chum of his had
pinched it on that very morning. A German coat, which is in
the extreme, foreground of the picture, I was luckily able to
bring away with me, and it is now in my studio. While I was
32
deep in my sketch, a shell the last of a series which had been
steadily coming nearer and nearer, a little happening which I
had accepted without a murmur burst ive yards away from
me. I took refuge in a dug-out and proceeded to scrape my
sketch-book free from its share of the debris which covered
me from head to foot. Half an hour later I had succeeded in
persuading my guide to bring me to an old observation post
from which I could get a good view of Neuve Chapelle. It
was a little house, only three battered sides of which were
left standing it was a skeleton of a house, with bits of old
aprons and rags pinned across the gaps in the walls. It was
from there that I saw Neuve Chapelle and was able to make
a rapid sketch of the village, thus completing my material for
the reconstruction of the subject […]. Once at home I dug
a trench in my garden, I made a dozen or so blue sandbags
similar to a German one which I had brought back with
me, and with the aid of a couple of hundred others, and of
my sketches made on the spot, I did my best to construct a
replica of the corner of the battleield shown in the picture.
When I had dressed my models in the original uniforms
picked up on the ield and placed them in the same position,
I really had the impression of being there again. Except for
the action of the igures, which had to follow information
received on the spot, the picture is a faithful copy of this
little corner of the battleield of Neuve Chapelle, 1915 […]
at home I dug a trench in my garden, I made a dozen of so
blue sandbags similar to a german one which I had brought
back with me, and with the aid of a couple of husdued others, and of my sketches made on the spot. I did my best to
construct a replica of the corner of the battleield shown in
the picture. When I had dressed my models in the original
uniforms picked up in the ield and placed them in the same
position, I reallly had the impression of being there again.
Except for the action of the igures, which had to follow
information received on the spot, the picture is a faithful
copy of this little corner of battleield of Neuve Chapelle
1915». In The Sphere. An illustrated newspaper for the home, n.
374, 15 giugno 1918.
16
Prima di comporre Matania scattava decine di foto che,
confrontate con gli acquerelli, ci confermano che egli ricostruiva in studio scenograie e contesti. Ho già avuto modo
di ricordare tale pratica a proposito della produzione neopompeiana (a. di BeNedetto, Ritratto di signora, cit., p. 192)
e come essa avesse radici in una lunga tradizione familiare. Si
veda per questo p. pallottiNo, L’occhio della tigre: Alberto Della Valle fotografo e illustratore salgariano, Palermo 1994, e, all’interno dello stesso volume, G. Salvatori, Frammenti: Alberto
Della Valle nell’Archivio Matania, pp. 37-43.
17
The Green Howards Museum, Trinity Church Square,
Richmond, North Yorkshire, UK.
18
L’episodio è stato raccontato un numero illimitato di volte
nel corso degli anni in giornali e riviste, spesso con nuove
aggiunte e interpretazioni. Lo storico David Johnson ha
ricostruito dettagliatamente i fatti così come si supponeva
fossero andati e, dopo appassionate ricerche documentarie,
ha evinto che, non potendo provare i fatti contro ogni ragionevole dubbio, la storia tramandata fu certamente il frutto di
un’invenzione. Cfr. d. JohNSoN, One Soldier and Hitler, 1918:
The Story of Henry Tandey VC DCM MM, Charleston, South
Carolina 2012.
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