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Estratto dagli ATTI DELL'IsTITUTO VENETO DI SCIENZE , let ed ARTI Tomo CLXV (2006-2007) - Classe di scienze morali , lettere ed arti MASSIMO FAVILLA , RUGGERO RUGOLO PROGETTI DI ANTONIO GASPARI ARCHITETTO DELLA VENEZIA BAROCCA Nota presentata dal socio corrispondente Donatella Calabi nel l' adunanza ordinaria del 28 ottobre 2006 30124 VENEZIA Isrrroro VENETO D/ SC1ENZE. ャei￯ re ED ARTI CAMPO S. STEFANO. 2945 (pAU.ZZO LOREDAN) TELEFONO 04 1. 24077 11 • TELEFAX 04 1.521 0598 ivsla@istitutoveneto. it www .istitutoveneto .it ATTI D E L L ’I S T I T U T O VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Tomo CLXV (2006-2007) - Classe di scienze morali, lettere ed arti PROGETTI DI ANTONIO GASPARI ARCHITETTO DELLA VENEZIA BAROCCA Massimo Favilla, Ruggero Rugolo Nota presentata dal socio corrispondente Donatella Calabi nell’adunanza ordinaria del 28 ottobre 2006 Essendo l’architettura, come anco sono tutte l’altre arti, immitatrice della natura, niuna cosa patisce, che aliena e lontana che sia, da quello che essa natura comporta. (Antonio Gaspari) Vincenzo Coronelli, nella Guida de’ forestieri sacro-profana per osservare tutto il più ragguardevole nella città di Venezia del 1706, inseriva Antonio Gaspari nel novero degli «architetti più rinomati». Il suo nome apriva una breve lista e precedeva, forse non a caso, quelli di Andrea Tirali, Domenico Rossi e Alessandro Tremignon 1. Recenti studi hanno precisato gli estremi cronologici della sua esistenza (Venezia, 1656-1723) 2, gettando nuova luce su numerosi aspet- V. Coronelli, Guida de’ forestieri sacro-profana per osservare tutto il più ragguardevole nella città di Venezia [...], Venezia, Giovanni Battista Tramontin, 1706, p. 12. Gaspari viene menzionato soltanto in tale edizione, mentre nelle due precedenti, del 1697 (p. n.n.) e del 1700 (p. 17), gli unici architetti nominati erano Battista Sardi, Baldassare Garzotti, l’erede testamentario di Baldassare Longhena, e Domenico De Piccoli. Su Garzotti si rimanda a M. Frank, Baldassare Longhena, Venezia 2004, pp. 10, 14, 325, 407, 489. 2 Per una ricostruzione della vicenda biografica ci sia consentito rimandare a M. Favilla - R. Rugolo, La Verità sul caso Gaspari, «Studi Veneziani», n.s., 45 (2003), pp. 243-263; Iid., Gaspari Antonio Domenico, in Allgemeines Künstlerlexicon, L, MünchenLeipzig 2006, pp. 8-9. E inoltre B. Cogo, Antonio Gaspari architetto veneziano. Dati biografici (1656-1723). Il suo capolavoro, Este 2003. Il primo studio sistematico sull’opera di questo architetto è di E. Bassi, Episodi dell’architettura veneta nell’opera di Antonio 1 140 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO ti della sua attività 3. Oramai non è più l’«illustre sconosciuto» 4, che soccombeva necessariamente nel confronto con Tirali 5 e Rossi 6, ma è divenuto il più convinto e coerente assertore, tra le lagune, del gusto ba- Gaspari, «Saggi e memorie di Storia dell’arte», 3 (1963), pp. 56-108, ove è riportato anche l’inventario, stilato dalla stessa autrice, dei disegni conservati presso il Museo Correr di Venezia (d’ora innanzi MCVe). A tale inventario ricorreremo in seguito con la dicitura Raccolta Gaspari. I disegni furono acquistati a Londra nel 1935 dall’allora direttore del Museo Correr, Giulio Lorenzetti, al quale va il merito di aver preservato dalla dispersione una delle più complete raccolte di disegni di architettura veneziana del periodo barocco. 3 A. Mariuz - G. Pavanello, La chiesetta di Bernardo Nave a Cittadella, «Arte Veneta», 50 (1997), pp. 69-85; V. Conticelli, Architettura e celebrazione a Venezia: i progetti di Antonio Gaspari per Francesco Morosini, «Studi Veneziani», n.s., 38 (1999), pp. 129-177; Favilla-Rugolo, La Verità, pp. 243-263; M. Gaier, Facciate sacre a scopo profano. Venezia e la politica dei monumenti dal Quattrocento al Settecento, Venezia 2002, pp. 303, 353-358, 360-375, 550-551, 557; G. Ericani, Le arti in gara. La chiesetta di Ca’ Nave a Cittadella, «FMR», 160 (ottobre-novembre 2003), pp. 81-104; M. Favilla R. Rugolo, Dorigny e Venezia. Da Ca’ Tron a Ca’ Zenobio e ritorno, in Louis Dorigny (1654-1742). Un pittore della corte francese a Verona, catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio, 28 giugno - 2 novembre 2003), a cura di G. e P. Marini, Venezia 2003, pp. 37-59; M. Favilla - R. Rugolo, Frammenti dalla Venezia barocca, «Atti dell’IVSLA», 163 (2004-2005), classe di scienze morali, lettere ed arti, pp. 47-138: 87-125; M. Bortolami, Antonio Gaspari architetto del duomo di Este, «Padova e il suo territorio», 113 (2005), pp. 20-25; C. Spagnol, L’altare della Beata Vergine del Rosario di Antonio Gaspari nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca, «Arte Documento», 21 (2006), pp. 109-127. 4 Bassi, Episodi, p. 59. 5 Andrea Tirali è il semplice murer che assurgeva a protagonista di un rigoroso neopalladianesimo con punte di razionalismo ante litteram, dopo le ‘bizzarie’ longheniane; cfr. P. Morachiello, L’architettura, in Storia di Venezia, Temi, L’arte, II, a cura di R. Pallucchini, Roma 1995, pp. 163-249. Il primo documento, finora noto, che attesta l’attività di Tirali come murer, insieme al padre Francesco, risale al 23 luglio 1683, ed è relativo alla costruzione di un pozzo nella casa del medico Alessandro Trieste a Santa Caterina, in contrada San Felice; Archivio di Stato di Venezia (d’ora innanzi ASVe), Giustizia Vecchia, b. 104, reg. 124, alla data. 6 Domenico Rossi è lo scaltro tagiapiera «che poco o nulla intendeva del buon gusto dell’arte», secondo il duro giudizio formulato da Tommaso Temanza, Zibaldon de’ memorie storiche appartenenti a’ professori delle belle arti del disegno, a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 40. Il silenzio di Temanza nei confronti di Gaspari, e il giudizio invero tranchant sulla sua personalità artistica formulato da alcuni studiosi, lo hanno presentato per troppo tempo come una scialba figura di second’ordine sulla scena veneziana; Bassi, Episodi, pp. 98-99. Anche recentemente si sono voluti ribadire alcuni luoghi comuni nel pur meritevole studio di Spagnol, L’altare della Beata Vergine, p. 11. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 141 rocco nell’accezione più squisitamente romana, benché filtrata e contaminata dalla tradizione. Impegnato, fin dagli anni ottanta del Seicento, nel proseguire il rinnovamento del linguaggio architettonico avviato dal genio di Baldassare Longhena 7, Gaspari aveva tentato di innestare nella Dominante un’estetica finalizzata a coniugare Bernini e Borromini. Un progetto ardito al quale volle rimanere fedele per l’intera sua esistenza. 1. Ai Santi Giovanni e Paolo 1.1. Cappella di San Domenico La vigilia di Natale del 1694 Antonio Gaspari riceveva in dono, dai deputati alla fabbrica della cappella di San Domenico ai Santi Giovanni e Paolo, due para calze de setta sopra una frutiera de maiolica de Genoa, un baril di quarta d’olive de Spagna sopra del qualle v’era la frutiera in mezzo del piato e intorno sei mortadelle e sei musetti e sei fiaschi licori 8. I confratelli della veneranda Scuola di San Domenico e i monaci del convento intendevano così dimostrare la loro gratitudine per il lavoro fin lì svolto dall’architetto nella rifabbrica del sacello e dell’altare intitolati al santo eponimo. Tale vicenda può essere ricostruita grazie alla copiosa mole di do- Su Longhena si rimanda a Frank, Baldassare Longhena. ASVe, Scuole piccole e suffragi, b. 344, «Secondo libro della fabrica del altar e recinto del patriarca San Domenico. N. 2», alla data. Il 2 aprile 1695 i deputati alla fabbrica donarono a Gaspari «meza forma de formagio, dodeci salami, due capreti, sei fiaschi de liccori presielti»; ibid., alla data. Ma già nell’aprile dell’anno precedente, in occasione delle festività pasquali, gli stessi avevano espresso il loro apprezzamento all’architetto: «adi 8 aprile 1694, per spesi nel regalo fatto al signor Antonio Gaspari architeto per le feste, per impegno continuo gratis con il quale continuo zelo applica al vantaggio della scola, e per darli animo della continuatione come appar da terminatione in filza sottoscritta dalli signori deputati, £ 62»; ibid., «Primo libro di spese fatte dalla Scuola del patriarca san Domenico in Santi Giovanni e Paolo principia dal primo scalin dell’altar sino alla mensa e quariseli, recinto e sepoltura con tutte le fondamente. Principiato il mese di agosto 1693, è finito li 2 agosto 1694», alla data. 7 8 142 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 1 - Antonio Gaspari, Progetto per la cappella di San Domenico ai Santi Giovanni e Paolo. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 15, particolare. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 143 Fig. 2 - Andrea Tirali, Cappella di San Domenico. Venezia, Santi Giovanni e Paolo. 144 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO cumenti, in parte già noti 9, custoditi presso l’Archivio di Stato di Venezia. Altri, che qui segnaliamo, si rivelano utili per ripercorrere le fasi del cantiere affidato e portato a termine da Gaspari, il quale, per quel che lascia intendere il progetto (Fig. 1), aveva ideato un invaso a pianta quadrangolare con gli angoli smussati, nel solco del modulo preferito da Borromini e secondo quanto egli stesso avrebbe in seguito proposto per la chiesa veneziana della Fava 10. La successiva trasfigurazione dell’edificio (Fig. 2), a seguito del collasso strutturale che ne aveva pregiudicato la stabilità, prese avvio nei primi anni del Settecento ad opera di Andrea Tirali e rese l’architettura del tutto omogenea alla vicina cappella del Nome di Dio (Fig. 3). Percorriamo, allora, la vicenda dal principio. Fin dal 1682 i padri domenicani, avendo in animo, «per maggior decoro del famoso tempio», di smantellare l’antico ‘barco’ posto al centro della navata maggiore, chiedevano ai Provveditori sopra i monasteri il permesso di erigere nel piccolo cimitero di Sant’Orsola «una sontuosa capella al patriarca san Domenico et dentro quella fabricar per l’offitiatura un altro coro» 11. Il terreno prescelto si estendeva sul fianco della chiesa ed era necessario attraversarlo per raggiungere l’ingresso laterale della stessa. Prospiciente la Scuola di Sant’Orsola, esso accoglieva il camposanto riservato alle sepolture degli affiliati a quella congregazione e delle loro famiglie. I provveditori, presa visione del «modello delle fabriche che s’intende fare», concedevano la licenza ricercata. Soltanto sette anni dopo, il 5 giugno 1690, si iniziava a demolire il coro, che sotto uno dei cinque arconi ospitava l’altare di San Domenico con la di lui venerata immagine, e per provvedere speditamente a un nuovo deSi veda l’ottimo saggio di C.R. Puglisi, The Cappella di San Domenico in Santi Giovanni e Paolo, Venice, «Arte Veneta», 40 (1986), pp. 230-238. Recentemente si è voluto affermare che la cappella di San Domenico «non venne eretta in base al progetto ellittico, in barocco romano, del Gaspari, bensì secondo quello più ‘moderato’ di Tirali con pianta rettangolare»; Gaier, Facciate sacre, p. 374. Non solo i documenti dimostrano che l’edificio progettato da Gaspari fu effettivamente realizzato, ma non vi sono né prove, né indizi relativi a un progetto a pianta ellittica. Elena Bassi giustamente notava l’intenzione dell’architetto di confrontarsi con la struttura della vicina longheniana cappella del Nome di Dio; Bassi, Episodi, p. 94; Frank, Baldassare Longhena, pp. 266-269. 10 Cfr. Bassi, Episodi, pp. 84-86. 11 Il documento è datato 4 settembre 1682; ASVe, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 64. 9 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 145 Fig. 3 - Antonio Gaspari, Rilievo della cappella del Santissimo Nome di Dio ai Santi Giovanni e Paolo, particolare. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 13. 146 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO gno ricovero, «sgomberati diversi cassoni di pietra viva, antichi sepolcri de’ morti» dal cimitero, si procedeva allo scavo necessario alle fondazioni 12. Il cantiere si apriva il 6 luglio 1690, quando, terminata la messa, s’avviò verso la porta maggiore la procession con le dodeci arche grandi d’argento e un pennello della suddetta scuola, preceduta da trombe e tamburi, con tutti li padri del monastero, con il reverendo padre provinciale, con piviale, assistito dal diacono e sottodiacono, doppieri e pennello del monastero, seguita dalli fratelli di san Domenico, pure con candelle; dopo aver girato il campo cantando l’inno di san Domenico, entrò la processione nel luoco dove erano cavati li fondamenti per la nuova capella di San Domenico. Quivi, sopra un tavolino, vi era la pietra da porsi nelli fondamenti sopra un bacille d’argento, e sopra la pietra vi era scolpita la croce con sotto a[nno] 1690. Tutti li padri e fratelli secolari della Scuola di San Domenico stavano divotamente inginocchiati, nel mentre che si facevano le solite cerimonie sacre accompagnate dal canto de’ religiosi e lagrime degli astanti per tenerezza di cuore [...]; terminò la cerimonia sacra rallegrandosi scambievolmente li religiosi e fratelli secolari del patriarca san Domenico con le lagrime agli occhi d’un principio così divoto e felice d’opra tanto universalmente bramata. Nel qual mentre gli operaii in buon numero concorsi volontariamente al lavoro per solo loro divotione, in un momento, impiegandosi a gara, alzarono li fondamenti 13. Scavate le fondazioni e posta la prima pietra, i lavori procedettero, ma nel febbraio del 1692 il cantiere era fermo 14. I fratelli Giovanni Battista e Giuseppe Lucchesi, tagliapietra, responsabili della «facitura del vòlto» e della fornitura dei marmi necessari al rivestimento delle pareti, «giusta il dissegno, sagome et commando del signor Antonio Gaspari architeto» 15, non avevano onorato gli impegni sottoscritti il 19 settembre dell’anno trascorso con i deputati alla fabbrica. S’apriva quindi la vertenza tra i padri domenicani e gli inadempienti tagliapietra con una scrittura extragiudiziale datata 27 febbraio 1692 16. RecluIbid., n. 182. Ibid. 14 ASVe, Notarile, Atti, notaio Valerio Bonis, b. 1439-1441, «1691. Scritture extragiudiziali», n. 120, 27 febbraio 1692. 15 Ivi, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 70, 16 marzo 1692. 16 Ivi, Notarile, Atti, notaio Valerio Bonis, b. 1439-1441, «1691. Scritture extra12 13 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 147 tati gli operai necessari al lavoro, mancavano i marmi per continuar l’opera e, nonostante i numerosi inviti all’osservanza dei patti indirizzati dai deputati ai fratelli Lucchesi, con «sconcerto di tutti la fabrica non s’avanza», tanto che la speranza di veder compiuta la cappella per la Pasqua che si stava avvicinando pareva oramai vana. La scrittura si chiudeva con un monito rivolto ai Lucchesi: In tal stato costretti, vi diciamo che, quando nel termine di giorni otto non havrete proveduto al bisogno, faranno li padri le compere di marmi necessarii a spese e danni vostri et faranno operare come meglio saranno consigliati, per dover esser da voi risarciti di ogni danno. L’intimazione sortì, anche se con leggero ritardo, l’effetto desiderato, poiché il 7 maggio 1692 Gaspari (per parte dei padri domenicani) e Alessandro Tremignon (per parte dei Lucchesi) venivano designati quali periti per stimare «tutte le pietre poste in opera da detti fratelli Lucchesi nella detta capella, come pure le fatture nella medesima fatte, et essendo detta opera stata perfetionata alcuni giorni sono» 17. Dopo un diligente sopralluogo, ove si prese visione dei materiali posti in opera e si considerò la fattura degli stessi, i due architetti stimavano di comune accordo il compenso da elargire ai tagliapietra in 1.065 ducati 18. Ma, «essendo insorte difficoltà et discrepanze sopra la peritia et stima» 19, fu necessario nominare un nuovo collegio peritale composto questa volta dal tagliapietra Gerolamo Viviani e dai proti Antonio Bettinelli e Andrea Cominelli, i quali stimarono un valore di 1.100 ducati, più 1.072 lire, per i materiali lapidei non utilizzati e collocati in deposito in un chiostro del convento 20. Il 13 febbraio 1693, la nuova cappella, «nella forma nobile et ampia che si rivede», era quindi in gran parte compiuta e i componenti giudiziali», n. 120, 27 febbraio 1692. Fino a nuova segnalazione, le citazioni successive si riferiscono al medesimo documento. 17 Ivi, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 71, 7 maggio 1692. 18 Ibid., n. 72, 7 maggio 1692. 19 Ibid., n. 80, 9 luglio 1692. 20 Ibid., nn. 81-82, 12 e 19 agosto 1692. Questa perizia costituisce una delle ultime fatiche di Andrea Cominelli, che morirà due anni dopo, il 13 ottobre 1696, all’età di 83 anni nella sua casa in contrada San Provolo; Archivio Storico del Patriarcato di Venezia (d’ora innanzi ASPVe), Parrocchia di San Provolo, Registri dei morti, reg. 2 (1679-1712), alla data. Verrà sepolto nella chiesa di San Zaccaria. 148 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 4 - Alessandro Dalla Via (da Antonio Gaspari), Altare di San Domenico ai Santi Giovanni e Paolo (incisione, 1694). PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 149 Fig. 5 - Antonio Gaspari, Progetto per l’altare di San Domenico ai Santi Giovanni e Paolo. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 3. 150 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO della Scuola di San Domenico si offrirono di fabbricare nella medesima, nel termine di tre anni, un «sontuoso altare di marmi fini con figure et intagli non solo, ma incrostar anco et ornar tutto il recinto» 21. Per questo si raccomandava ai padri domenicani di «accomodar la cappella là dove dovrà sorgere l’altare, soprattutto nella cupola o ferale» che si intendeva realizzare nella parte superiore, «per obbligare con armonia l’una cosa con l’altre» 22. In effetti, nel disegno di Antonio Gaspari 23 (Fig. 1), oltre al lanternino balaustrato che s’innesta sulla volta, si scorge un oculo posto nella calotta absidale proprio sopra l’altare. Che tale apertura non fosse ancora presente nel febbraio del 1693 viene ribadito nella stessa scrittura: e perché terminato l’altare nel quale saranno angeli et altri ornamenti, in aria et isolati, questi col fabricarvi poi sopra non coressero pericoli di roture. [...] Pregando li reverendi padri nell’istesso cooperare all’istabilimento della detta loro cappella a misura dell’elemosine che riceveranno col dare principio al vòlto sine anco necessario per cominciare il detto altare 24. Nell’impresa vennero coinvolti Giovanni Scalfarotto, quale abile murer, e lo scultore Giovanni Toschini, per l’apparato decorativo e la fornitura dei marmi necessari 25. Il modello del nuovo «sontuoso» altare, ricco di cherubini, ghirlande di rose, gigli, palme e altri decori in bronzo dorato, venne tradotto in incisione da Alessandro dalla Via nel 1694 26 (Fig. 4). Molto simile al disegno 27 (Fig. 5), la stampa mostra la 21 ASVe, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 195. Già il 19 ottobre 1692 il capitolo aveva eletto i deputati alla fabbrica dell’altare «per far mercato della fabrica, rissolvere circa il dissegno, spendere in materiali e fare ogni altra cosa che sarà stimata propria»; ibid., n. 98. 22 Ibid., n. 195. 23 MCVe, Raccolta Gaspari, I, 15. 24 ASVe, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 195. 25 I pagamenti sono stati in buona parte trascritti da S. Guerriero, Giovanni Toschini e gli esordi veneziani di Pietro Baratta, «Venezia Arti», 13 (1999), pp. 41-50: 49-50. 26 Un esemplare è conservato in MCVe, Gabinetto stampe e disegni, Stampe Cicogna, 462. La lastra dell’incisione e i documenti relativi alla costruzione dell’altare si conservavano nei locali dell’albergo della Scuola; ASVe, Scuole piccole e suffragi, b. 344, «Inventario della Scuola di San Domenico in San Giovanni e Paolo», cc. 35v, 55v [1716]. 27 MCVe, Raccolta Gaspari, I, 3. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 151 struttura architettonica della scarsella, e ben delineati sono i dipinti incassati nelle pareti dell’abside – là dove oggi s’aprono due finestre – raffiguranti episodi della vita di san Domenico 28. Con stratagemma berniniano, la luce irrompeva dall’alto, filtrata dal lanternino innestato sulla cupola e dall’oculo che s’apriva nella calotta absidale, a irradiare il gruppo scultoreo della Madonna del Rosario assisa fra le nuvole. Il 14 novembre 1696, mentre fervevano i lavori, Giuseppe Pozzo, «padre architetto dei Carmelitani Scalzi», veniva a «consultar il nuovo modello dell’altar di San Domenico». Il prototipo riscosse grande interesse, tanto che il frate architetto tornò ad esaminarlo l’8 gennaio dell’anno successivo 29. Vien da pensare che Pozzo, appena tornato da Roma, stesse ragionando intorno ai progetti per l’altar maggiore e per quello della cappella Manin agli Scalzi, e forse per un altro dedicato a San Giuseppe nella vicina chiesa conventuale del Corpus Domini 30, un altare, quest’ultimo, che oggi possiamo identificare nel terzo di destra della concattedrale di San Pietro di Castello, là trasmigrato dopo le soppressioni napoleoniche 31 (Fig. 6). 28 Non sappiamo se tali dipinti furono effettivamente realizzati o se si tratti del frutto della fantasia dell’incisore. 29 ASVe, Scuole piccole e suffragi, b. 344, «Secondo libro della fabrica dell’altar e recinto del patriarca San Domenico», alla data. 30 M. Frank, Virtù e fortuna. Il mecenatismo e le committenze artistiche della famiglia Manin tra Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, Venezia 1996, p. 99. La studiosa trascrive un documento, conservato nell’archivio privato dei Manin, dove sono annotate alcune opere di padre Pozzo e tra queste l’«Altar di San Giuseppe nella chiesa del Corpus Domini». Si può collocarne l’esecuzione all’incirca tra il 1697 e il 1704; infatti l’altare non è menzionato da P.A. Pacifico, Cronica Veneta. Overo sucinto racconto di tutte le cose più cospique et antiche della città di Venetia, Venezia, Domenico Lovisa, 1697, pp. 343-344, bensì da D. Martinelli, Il Ritratto. Overo le cose più notabili di Venezia ampliato con la relazione delle fabriche publiche e private et altre cose più notabili successe dall’anno 1682 sino al presente 1704, da D.L.G.S.V. [Don Lorenzo Ganazza sacerdote veneto], Venezia, Lorenzo Baseggio, 1705, p. 327: «Segue poi l’altar di S. Gioseffo con Giesù e la Vergine, che fugono in Egitto; altare costrutto di marmi finissimi di bellissima architettura, eretto dalla pietà illustrissima della N.D. Elisabetta Dolfin, con la tavola del Molinari». Su padre Giuseppe Pozzo, al secolo Jacopo Antonio, si veda F. Girardi, «Insigni deliri e meschinità da acconciatori»: l’album dei disegni di Jacopo Antonio Pozzo architetto (1645-1721), «Studi trentini di scienze storiche», 85 (2006), II, pp. 143-165: tale contributo costituisce l’ultimo e più circostanziato studio sul cosiddetto Album di Ferrara, che raccoglie numerosi disegni del carmelitano e in cui potrebbe essere conservato anche il progetto, o l’idea, per l’altare già nel Corpus Domini. 31 Si tratta del terzo altare a destra entrando. G. Moschini, Guida per la città di 152 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO L’ultima nota di spesa per le forniture di materiali risale al 16 aprile 1697; a quella data si può pensare che l’opera fosse in gran parte compiuta, ad eccezione della statua di Santa Caterina, che ancora il 18 giugno 1700 lo scultore Giovanni Toschini aveva appena abbozzato 32. Disgraziatamente, già nel marzo dello stesso anno, le pareti dell’edificio mostrarono i segni di un preoccupante cedimento strutturale 33, e l’inquietudine dei padri domenicani venne ulteriormente alimentata dal parere di non meglio identificati proti, i quali, in una relazione stilata all’uopo, affermavano che «le muraglie per esser mal fondate» non «possino sostener il peso degl’adornamenti de’ marmi» 34. La sorte del complesso appariva perciò segnata. Non solo. Si manifestava un’aperta ostilità nei confronti dell’architettura approntata da Antonio Gaspari, e gli stessi proti, tra i quali si può ipotizzare la presenza del ‘rivale’ emergente Andrea Tirali, proposero al capitolo di riformare e regolare noi ancora la stessa cappella con ridurla della medesima larghezza, lunghezza ed altezza di quella del Santissimo Nome di Dio, [...] lodata et applaudita universalmente da tutti; con uniformarsi anco all’architettura della stessa con le medesime finestre e meze lune [...], potendosi solamente mutare le machie de marmi, li quadri, statue, dissegno del pavimento et altri adornamenti per che non si difformi dall’architettura della suddetta del Santissimo Nome di Dio 35. Causa del collasso potrebbe esser stata l’improvvida idea di utilizzare pietre di recupero da «poner nelle fondamenta, così nel recinto, Venezia all’amico delle Belle Arti, I, Venezia (Alvisopoli) 1815, p. 11, riferisce: «L’altare, che segue, venne qui recentemente trasferito dalla già chiesa del Corpus Domini». Lo stesso poi aggiunge, correggendosi, nel vol. II, p. 683: «Questa chiesa [San Pietro di Castello] ottenne gli scorsi mesi per le generose cure del nuovo benemerito suo arciprete Antonio Miari tanto cangiamento che giova qui riferirlo [...], si tolsero il terzo altare del secolo XVI e la tavola di Paolo Veronese per adattarvisi e l’altare che vi si vede, tolto dalla chiesa del Corpus Domini, e la tavola». Uno studio approfondito sugli altari del Corpus Domini è stato affrontato da Errica Nardin (Le vicende artistiche della chiesa e del monastero del Corpus Domini di Venezia, tesi di laurea, Università Ca’ Foscari di Venezia, relatore P. Rossi, a.a. 2005-2006), che qui ringraziamo. 32 Guerriero, Giovanni Toschini, p. 42. 33 ASVe, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 184, 8 marzo 1700. 34 Ibid., n. 100, 19 aprile 1700. 35 Ibid. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 153 Fig. 6 - Giuseppe Pozzo, Altare di San Giuseppe. Venezia, San Pietro di Castello (già nella chiesa del Corpus Domini). 154 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO come nell’altar, considerando il proto [Gaspari] esser avvantaggio non ponervi pietre nuove» 36. Ad ogni buon conto, il capitolo decise di affidare a Tirali la rifabbrica, e undici anni dopo i lavori erano ben lontani dal dirsi conclusi. La volta non era stata ancora completata, e un soffitto provvisorio di legno, impotente «alla resistenza delle intemperie», proteggeva alla meglio un altare posticcio «con l’effige gloriosa di san Domenico esposta all’adorazione del popolo», mentre, con «grandissimo dispendio», s’attendevano sei colonne di marmo africano «da lontani paesi» 37. 1.2. Monumento Valier Don Lorenzo Ganazza, nella seconda edizione del Ritratto di Venezia di Domenico Martinelli, aggiornando il pubblico sulle «cose più notabili successe dall’anno 1682 sino al presente 1704», annotava nelle pagine dedicate alla basilica dei Santi Giovanni e Paolo: «Al presente si lavora per fare il mausoleo delli serenissimi dogi Valieri qual sarà opera di gran bellezza e spesa» 38. Una vicenda iniziata dodici anni prima, quando nel 1692 Silvestro Valier presentava una supplica ai padri domenicani dei Santi Giovanni e Paolo, nella quale, stante la nuova erezione della cappella di San Domenico, ricorre alli padri, acciò perché gli sia a sua eccellenza concesso tutto il sito dall’alto a basso tra le due cappelle, la mentionata cioè e quella del Santo Nome di Dio, per alzar un sontuoso deposito corrispondente alla maestà del tempio e proporzionato alla dignità regia del fu serenissimo principe Silvestro [sic!] suo padre, come pure di rimodernar le due 36 «Detto [14 maggio 1693] per spesi in burchielle de pietre vecchie per poner nelle fondamenta così nel recinto, come nell’altar considerando il proto esser avvantaggio non ponervi pietre nuove»; ASVe, Scuole piccole e suffragi, b. 344, «Primo libro di spese fatte dalla Scuola del patriarca San Domenico in Santi Giovanni e Paolo [...]», alla data. 37 Ivi, Santi Giovanni e Paolo, b. DXXXV, n. 187, 16 agosto 1711. Ancora il 7 dicembre 1720, i confratelli della Scuola rivolgevano ai padri domenicani una supplica in cui lamentavano la scarsezza delle elemosine che non gli permetteva «forze bastanti per assistere al bisogno di poter ridurre alla perfetione intiera» l’altare di San Domenico; ibid., n. 231. 38 Martinelli, Il Ritratto, ed. 1705, p. 175. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 155 porte, l’una della cappella della Beata Vergine di Loreto, l’altra dell’uscita della chiesa; sia ancora concesso allo stesso nobil uomo di stabilire un’arca a piedi di esso deposito 39. Per convincere i domenicani, li pregava poi «di aggradire la di lui esibitione, di ricevere cioè ducati 500 per impiegarsi da essi nella nuova cappella di San Domenico». Possiamo quindi supporre che, contestualmente alla fabbrica di quel sacello e del suo altare, Antonio Gaspari stilasse una prima versione del progetto per il monumento funebre della famiglia Valier (Fig. 7), dove si può notare la statua del defunto doge Bertucci, assiso sul sepolcro, e, sopra le porte, i ritratti marmorei in ovato del figlio Silvestro, in veste di procuratore di San Marco, e di sua moglie Elisabetta Querini 40. L’architetto elaborò un’idea che delineava una completa e coerente sistemazione di una porzione della navata, innestando il previsto cenotafio tra gli ingressi dei sacelli di San Domenico e del Santissimo Nome di Dio, come si evince dai disegni che qui pubblichiamo montati in sequenza 41 (Fig. 8). Nel 1696, divenuto nel frattempo doge, Silvestro prese ulteriori accordi con la Scuola di San Domenico per far rimuovere il banco che questa aveva proprio nel sito destinato ad accogliere il previsto mausoleo 42. Forse a quell’anno risale un’altra proposta, sempre di Gaspari, in cui i coniugi Valier appaiono raffigurati in abiti dogali a fianco di Bertucci 43 (Fig. 9). Ma quest’ipotesi, di gusto berniniano, a quanto pare non incontrò il favore dei committenti e infine fu preferito, ancora una volta, un progetto di Andrea Tirali, che porterà a compimento l’opera 39 ASVe, Santi Giovanni e Paolo, Catastico, tomo III, c. 134r. È da notare un errore nella trascrizione riportata nel catastico: il defunto padre di Silvestro Valier, anch’egli doge (1656-1658), si chiamava infatti Bertucci e non Silvestro. 40 MCVe, Raccolta Gaspari, I, 42. 41 Ibid., I, 15, 13, 42. 42 ASVe, Santi Giovanni e Paolo, Catastico, c. 33v: «1695, 6 febraro, more veneto [= 1696]. Supplica del guardian grande e sindici della scuola [di San Domenico] alli padri, che dovendosi erigere il deposito del regnante serenissimo principe Silvestro Valier tra le due cappelle del Santissimo Nome di Dio e San Domenico, dove s’attrova il banco della scuola, questo con il consiglio de’ padri, 20 gennaio prossimo passato, è stato trasportato dinanzi alla capella de’ morti, con prescritione di ponerlo entro il pilastro e sotto il cavallo». 43 MCVe, Raccolta Gaspari, I, 49. 156 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 7 - Antonio Gaspari, Primo progetto per il monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 49. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 157 Fig. 8 a, b, c - Antonio Gaspari, Disegni montati in sequenza della cappella di San Domenico, del monumento Valier e della cappella del Santissimo Nome di Dio ai Santi Giovanni e Paolo. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 15, 49, 13. nel 1707 44 (Fig. 10). Il cantiere risultava infatti già chiuso in quell’anno, come riferisce Casimiro Freschot tessendo l’elogio di Elisabetta Querini Valier: fu moglie del serenissimo doge Silvestro Valier di eterna memoria, quanto accresce di fregio a questa famiglia tanto accumula di fama immortale a se stessa [...] testimone ne sia il mausoleo sontuoso terminato ultimamente nella gran chiesa de’ SS. Giovanni e Paolo, fatto erigere da questa grand’eroina alli serenissimi Bertucci e Silvestro Valier 45. 44 Sul monumento Valier si veda per ultima M. De Vincenti, «Piacere ai dotti e ai migliori». Scultori classicisti del primo ’700, in La scultura veneta del Seicento e del Settecento. Nuovi studi, a cura di G. Pavanello, Venezia 2002, pp. 221-250: 226-230. 45 C. Freschot, La nobiltà veneta. O sia tutte le famiglie patrizie con le figure de’ suoi scudi et arme [...], Venezia, Giovanni Gabriele Hertz, 1707, pp. 130-131. 158 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 9 - Antonio Gaspari, Secondo progetto per il monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 42. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 159 Immaginiamo che, per celebrare degnamente la stirpe dei «Valerii», Silvestro ed Elisabetta avessero in mente, quale magniloquente prototipo, il longheniano monumento Pesaro ai Frari 46, laddove il defunto doge Giovanni aveva lasciate le spoglie mortali in quel illustre mausoleo ove trionfa ancora delle ceneri e della morte nella scolpita e viva maestà della sua presenza, nella si ben architettata ricchezza de’ marmi, nella eloquenza sì animatta dell’inscrittioni, ch’in travaglio compendiano con le gesta della vita di quest’eroe el tesauro del più grand’Ingegno, ò l’ingegno del più gran Tesauro di facondia ch’abbi ammirato il secolo nostro 47. Nel 1692 la scelta era quindi caduta, con poche esitazioni, sul nome di Antonio Gaspari, essendo questi, in quel torno di tempo, l’ideatore dei monumenti, poi non realizzati, all’eroe Francesco Morosini in Santo Stefano 48. Si trattava dell’unico architetto in grado di coniugare la tradizione veneziana con il gusto romano. Già nel 1696 Silvestro Valier, redigendo il proprio testamento, menzionava più «dissegni fatti venir da Roma e fatti a Venezia» 49 – uno di questi è apparso ad un’asta nel 1996 50 (Fig. 11) – e si affidava alla «prudenza della amatissima consorte» Elisabetta per individuare il progetto più indicato a magnificare le virtù degli effigiati. In tale delicato compito ella era invitata a «prendere il parere dei nobil huomini» Giovanni Antonio Ruzzini – che sarà poi l’erede e l’esecutore testamentario delle volontà della stessa Elisabetta 51 – e Gio- Si noti il gioco tutto barocco di accostare il termine tesoro, ovvero «tesauro», al nome di Emanuele «Tesauro», arguto autore del complesso programma iconografico del mausoleo Pesaro. Su tale monumento: P. Rossi, I «marmi loquaci» del monumento Pesaro ai Frari, «Venezia Arti», 4 (1990), pp. 84-93; Frank, Baldassare Longhena, pp. 334-338, n. 59. E sul monumento Pesaro quale prototipo per quello dei Valier, ibid., p. 104 nota 245. 47 C. Freschot, Li pregi della nobiltà veneta. Abbozzati in un gioco d’arme di tutte le famiglie, Venezia, Andrea Poletti, 1682, pp. 385-386. 48 Favilla-Rugolo, Frammenti, pp. 114-118. 49 Testamento del serenissimo Silvestro Valier doge di Venetia. Scritto e sottoscritto di suo proprio pugno li 20 ottobre 1696 [...], Venezia, s.t., 1700, p. 10. 50 Old Master Drawings, Sotheby’s, New York, Tuesday January 9, 1996, n. 165, disegno a penna e acquerello, mm 722 × 460. 51 A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, p. 282. A Giovanni Antonio Ruzzini «di Misser Marco procurator che tanto amiamo» il doge Valier lasciava quattromila ducati. 46 160 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 10 - Andrea Tirali, Monumento Valier. Venezia, Santi Giovanni e Paolo. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 161 Fig. 11 - Anonimo, Progetto per il monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo. Mercato antiquario. 162 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO vanni Dolfin, «tanto nostri e tanto intelligenti di tutto», ma anche del cavalier Melchiorre Tetta, uomo di «gran virtù» che «potrà ricordar et assister all’opera» 52. Sarà proprio il figlio di quest’ultimo, l’abate Francesco Antonio 53, a far trasporre in incisione il disegno infine prescelto, opera di Andrea Tirali, del «prodiggioso» deposito innalzato «nel giro di pochi mesi» nella «veneta basilica» dei Santi Giovanni e Paolo. Per solennizzare l’occasione venne data alle stampe un’incisone in folio, divisa in sei parti, realizzata da Alessandro dalla Via su disegno di Andrea Tirali e datata 15 aprile 1708 54 (Fig. 12). La dedica posta in esergo e riferita alla «Serenissima Principessa» così recita: Questo gran Obelisco inalzato nella Veneta Basilica di SS: Gio’., e Paolo alle glorie im̃ortali della Seren:ma Ducal [***]eria per decoroso monumento de posteri, e per singolar oggetto d’amiratione alle genti, non potendo con la drizzata sublime Mole esser visibile al Mondo tutto, hà voluto ogni dovere, che sij incusso ne rami, e publicato per dar lustro [***] già che per se stesso contiene la scieltezza de più distinti marmi, et il travaglio de più famosi scalpelli, sudativi la natura, e l’arte con soprafina emulatione, che minuta però apparirebbe se non fosse stata rinvigorita, et animata [***] plausibile zelo della Ser:ta Vt̃a, che con lo spirito veram:te eroico, e con li stimoli di eccelsa generosità s’è tanto compiaciuta d’estendersi, ch’il prodiggioso lavoro si può dire nato, e non composto nel breve giro di pochi mesi [***] adunque si deve consacrare, non già perché dal mio riv:mo ossequio profuso con la più pontual obedienza e nell’esecutione de suoi venerati com̃andamenti per l’opra stessa prescrittimi, tutto si debba, ma perché la giustitia, che [***]ri, e religiose virtù corona il suo massimo merito, così esige, e così 52 Silvestro Valier, dopo aver beneficiato con vari lasciti Pisana Bembo, consorte di Giovanni Dolfin, lasciava a quest’ultimo «il diamante che portiamo al dito [...] la nostra stola d’oro, la Ducal di velluto cremisi nuova con filetti di zibellini, martori ed armelini, e ducati 500 in contanti, abbracciandolo e ringraziandolo di tanta assistenza fattaci, e di aver coadiuvato colla sua grand’abilità e stima al nostro decoro e quiete». Infine a Melchiorre Tetta, «che ci assiste in palazzo con tanta virtù ed affetto», donava «un pezzo d’argento d’oncie cento cinquanta colla nostra arma»; Testamento del Serenissimo Silvestro Valier, p. 10. 53 Per la genealogia della famiglia Tetta si veda Biblioteca del Museo Correr di Venezia (d’ora innanzi BMCVe), Ms. G. Tassini, «Cittadini Originari», p. 31. 54 MCVe, Gabinetto stampe e disegni, Stampe Correr, 211-216. Fig. 12 a, b, c, d, e, f - Alessandro Dalla Via (da Andrea Tirali), Monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo (incisione, 1708). 164 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO decreta con obligar la fama á veritiero universale addrizzo, senza ch’altro á [***] con il più rispettoso inchino rassegnarmi. 55 L’impressione suscitata dal nuovo faraonico mausoleo venne, fra l’altro, affidata ai versi di un coevo sonetto 56: Questa ricca de’ marmi urna famosa, che de’ prenci Valerii il cener chiude puranco è delle gesta e di Virtude, che rende la lor salma più gloriosa. La Querina Artemisia generosa le reggie polvi dal suo seno esclude, ben con pompa funebre le racchiude ammiratrice del suo duol pietosa. Chi non vantò qua più gloria sicura memori quetò eccelsa urna reale, urna, che molto s’erge, e poco dura. Ma la memoria altrui tomba immortale sian de’ Valerii all’Asia futura, chi vorrà a gran valor gran moli uguali. La determinata e ambiziosa nobildonna moriva il 19 gennaio 1709 57, dopo aver ottenuto due singolari risultati: l’incoronazione a dogaressa e una fama immortale grazie all’imponente ritratto marmoreo posto sullo stesso piano delle statue del marito e del suocero. Dopo di lei le leggi che proibivano l’incoronazione della consorte del doge verranno applicate alla lettera. Il suo caso restò dunque un’eccezione e il Maggior consiglio, dopo il decesso di Silvestro Valier, si affrettò a ribadire la necessità di far rispettare la legge del 1645 che stabiI tre asterischi segnalano una lacuna nel testo della copia, divisa in sei parti, conservata presso il MCVe; in basso a sinistra «Venetia li 15 Apr:e 1708 / Andrea Tirali inv. e del. / Alessandro Dalla Via sculp.», a destra «Di Vost:ra Seren:ta / Umil:mo Riv:mo Oblig:mo Servo / Franc:co Ant:o Abb:e Tetta»; trascrizione conservativa. 56 BMCVe, Cod. Cicogna, 963, 184v: «Per il sublime mausoleo Valier fatto erigere dalla serenissma Elisabetta Querini Valier / Sonetto». 57 Da Mosto, I dogi di Venezia, p. 282. 55 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 165 liva rigorosi dettami in materia 58. Eppure, nel suo caso, e in un contesto di rinnovato ottimismo seguito alla riconquista della Morea, s’impalcò una sontuosa cerimonia di incoronazione – l’ultima – della quale restano testimonianze in numerose cronache coeve. 2. «Un bello et ricco campanile» Osservando con occhio attento la pianta prospettica di Venezia di Jacopo de’ Barbari 59 (Fig. 13) – nell’ansa che il Canal Grande compie durante il suo tragitto verso il bacino di San Marco – poco prima del ponte di Rialto, si può scorgere, nel fitto tessuto edilizio, un campo di discrete dimensioni sul quale si eleva la chiesa parrocchiale e collegiata dei Santi Apostoli. L’alto campanile emerge e si staglia sopra i tetti e quasi incombe con la sua mole sulle vicine case e sulla chiesa stessa, che ancora si mostra nella veste antica: una bassa fabbrica a tre navate in cui s’innesta, unico elemento ‘innovativo’, la scatola cupolata della quattrocentesca cappella Cornaro. Tra il corpo esile di questa e la torre, s’apre un interstizio non ancora occupato dall’abitazione che oggi vi insiste (Fig. 14), abitazione ben visibile anche in una celebre veduta di Canaletto 60. Nel de’ Barbari il campanile appare come una massiccia canna quadrata segnata da lesene dove si aprono delle feritoie per dare luce al vano scale. La cella campanaria, alleggerita da una trifora, è coronata da una modanatura ad archetti, oltre la quale spunta una bassa copertura a padiglione, forse ricoperta di coppi, che culmina con una croce. Un campanile non molto diverso da quello di San Geremia, così come C. Boccato, Le cerimonie di incoronazione della dogaressa vietate dal Maggior consiglio per limitare le spese superflue, «Giornale economico della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Venezia», nov.-dic. 1973, pp. 3-7. 59 Sulla pianta di Jacopo de’ Barbari del 1500, si veda: A volo d’uccello. Jacopo de’ Barbari e le rappresentazioni di città nell’Europa del Rinascimento, catalogo della mostra a cura di G. Romanelli - S. Biadene - C. Tonini, Venezia 1999. 60 La casa posta in fianco al campanile è ricordata fin dal 1588 nei legati alla chiesa del parroco Daniele Ravagnan; ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Fabbriceria, Varie, «1588, 25 febraro. Da domine Vicenzo Ravagnan fu pievano la mettà d’una casa da lui fabricatta sopra il fondo della chiesa attacatto al campaniel: si scode all’anno per detta mettà – £ 23». Per la veduta di Canaletto si veda L. Puppi, L’opera completa del Canaletto, con Presentazione di G. Berto, Milano 1981, p. 102, n. 128, tav. IL. 58 166 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 13 - Jacopo de’ Barbari, Pianta prospettica di Venezia, particolare dell’area di Rialto con, al centro, campo Santi Apostoli (xilografia, 1500). PROGETTI DI ANTONIO GASPARI Fig. 14 - Il campanile dei Santi Apostoli con la cappella Cornaro. Venezia. 167 168 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO si mostra nella foggia attuale, e, all’epoca, del tutto simile a molte altre torri campanarie di origine medievale che svettavano sulla città. Ma, agli albori del XVI secolo, la costruzione manifestava i primi segni della sua vetustà, peraltro accentuata dai danni inferti non molti anni prima da un incendio, come ricorda nel suo testamento del 1474 il parrocchiano e munifico benefattore della chiesa Nicodemo Spinelli: «Il campaniel il quale al presente si ritrova imperfetto, senza campane et horrologio, il tutto incendiato già disdotto anni» 61. Ciò nonostante, dovranno trascorrere ancora cento anni dalla pianta del de’ Barbari prima che il capitolo della parrocchiale, forse preoccupato anche per la pericolosa inclinazione che la torre nel frattempo aveva assunto, decidesse di far demolire l’antico manufatto, rifabbricandolo dalle fondamenta. «Vi si fabrica di nuovo al presente un bello et ricco campanile, che sarà di molto ornamento alla chiesa», narra Giovanni Stringa nelle sue aggiunte alla Venetia città nobilissima del 1604 62, riferendosi alla chiesa dei Santi Apostoli. Tre anni prima, infatti, e precisamente il 15 maggio 1601, Francesco di Pietro, proto della Procuratoria de citra, stilava e sottoscriveva una prima polizza di pagamento ammontante a duchati cinquanta [...] per ruinar el chanpanele di Santo Apostolo, per far tre pilastri in cima la gesa, diti pilastri serveno per meter le champane, e aver ruinato la chaza e botega che gera a preso dito canpanele 63. Francesco di Pietro, proto e architetto al quale il doge Leonardo Donà affiderà, nel 1610, la progettazione e l’esecuzione dell’imponente palazzo di famiglia alle Fondamente Nove 64, attendeva dunque alla rifabbrica del vetusto edificio, e, per la bisogna dei divini uffici, faceva ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 2, «Testamento di Nicodemo Spinelli», Venezia, Atti, notaio Bortolo Garzarai, 1474, 10 marzo. 62 F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare [...] con molta diligenza corretta [...] da Giovanni Stringa, Venetia, Altobello Salicato, 1604, p. 142. 63 ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11, «Conti e polizze spettanti all’interesse della fabrica del campaniel». 64 Dietro i palazzi. Tre secoli di architettura minore a Venezia 1492-1803, catalogo della mostra (Venezia, Scuola grande di San Giovanni Evangelista, 29 settembre - 9 dicembre 1984), a cura di G. Gianighian - P. Pavanini, Venezia 1984, pp. 122-123, 155-157; M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Torino 1985, pp. 284-286; G. Ceriani Sebregondi, Un doge e il suo manifesto: il palazzo di Leonardo Donà (1536-1612) alle Fondamenta Nuove a Venezia, «Annali di architettura», 14 (2002), pp. 231-250. 61 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 169 erigere sul tetto della chiesa un campaniletto a vela. La nota successiva, datata 14 luglio 1601, riferisce di «spesa fatta di fattura di murer per chavar le fondamenta de chanpanel» e, in quella datata 22 luglio dello stesso anno, di «spese fate per palificar doi bande del chanpanel»; quindi, al 28 dello stesso mese, si annota ancora: «spese fatte per el chanpanel di Santo Apostolo per palificar». Si scava, si palifica per le nuove fondazioni e si acquistano le pietre bugnate necessarie: «per bugne nel ditto canpanel corssi n. 6 longi l’uno pie 10 ed il voltar le teste fazendo mezo pe’ per testa come l’ordenario» 65. Il cantiere procede e le note di spesa per le giornate di lavoro dei mureri e le forniture di materiali da costruzione si susseguono numerose, tutte siglate da Francesco di Pietro, fino al 14 agosto del 1610, quando s’interrompono per riprendere nel 1617. In quell’anno troviamo registrate nella «cassa fabrica al campanil», relativa ai mesi di giugno e luglio, le spese per mastelli di calcina, tavelle, «piere picole», «piere di fornase», «coppi n. 200», e altri materiali. Nel medesimo scritto risultano scrupolosamente annotati anche i denari spesi per la ricostruzione della «casetta al campanil» 66. La canna del campanile era dunque compiuta, ma le spese, fino ad allora sostenute, iniziavano a gravare eccessivamente sulle risorse economiche del capitolo, tanto che le rendite parrocchiali e le sottoscrizioni pubbliche non erano più sufficienti per costruire una cella campanaria a completamento dell’opera. Quindi, il 9 aprile 1629, il capitolo dei Santi Apostoli rivolgeva un’accorata supplica al doge al fine di ottenere un congruo finanziamento, ricordando come, per poter usar le campane, fattali la cupola di legnami posticia che hora infradicita dal tempo sta cadendo con tutte le campane [...], non avendo modo noi pievano e preti titolati della medesima chiesa riparar l’iminente pericolo, ricorriamo genuflessi ai piedi di Vostra Serenità 67. ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11, «Conti e polizze spettanti all’interesse della fabrica del campaniel»: «1602, polizza de’ lavori dati per conto del canpanil». 66 Ibid.: «5 zugno 1617 [...]. Spesi nella casetta al campaniel [...] in tutto £ 608:17». 67 Ibid. 65 170 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Non sappiamo quale esito abbia avuto tale supplica 68. Sappiamo che soltanto nel 1644 si meditava di provvedere ad una cella, aperta da trifore, che avrebbe avuto per coronamento una copertura a piramide alta 70 piedi, come ricorda il conto della spesa per poter andare nel finir il campaniele di Santi Apostoli dalla prima cornice in suso, et ciò di roba e fattura giusto al disegno 69. Esisteva dunque un progetto, anche se ne ignoriamo l’autore, in quanto il preventivo summenzionato non è sottoscritto. Comunque la spesa necessaria all’opera, quantificata in 5.679 lire, era evidentemente troppo onerosa per le finanze della parrocchia, per cui non si dette corso ai lavori, e la torre rimase, e per oltre cinquant’anni sarebbe rimasta, con un alloggio provvisorio per le campane. Nel 1692, come si rileva dalla Copia tratta dal libro cassa delle spese e fatture della commissaria della quondam Franceschina Alberghetti Mariani 70, si poneva di nuovo mano all’edificio con piccoli interventi di marangon e di murer. Ma è nel 1696 che venivano eletti i provveditori «sopra la fabrica di ristorar il campaniel», contribuendo con un primo stanziamento di 25 ducati 71. Questo provvidenziale lascito al sodalizio parrocchiale del Santissimo Sacramento consentiva al capitolo, dopo 68 Nelle filze del Senato Terra (presso l’ASVe) del 1629 vi è una lacuna in corrispondenza del 9 aprile. 69 ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11, «Conti e polizze spettanti all’interesse della fabrica del campaniel»: «1644, adi 2 giugno. Conto della spesa per poter andare nel finir il campaniele di Santi Apostoli dalla prima cornice in suso, et ciò di roba e fattura giusto al disegno [...]./ Far la basse sotto li pilastri, e sotto le finestre delle campane: potrà esser piedi 75 circa./ Far le colonnelle n. 24 alte piedi tre grosse oncie 10./ Far 16 imposte sotto li peducci di volte./ Far 12 capiteli delli pilastri./ Far la sottocassa sotto il quadriselo della piramide alta piedi 3 che di così sarà alta piedi 70 circa./ [...] Far il regolon sopra il piede della piramide alto piedi 2./ Far la cima sopra essa piramide, dove va posta la croce/ [...]. Potrà costare £ 5679». 70 ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 5, fasc. 4 a stampa, Copia tratta dal libro cassa delle spese e fatture della commissaria della quondam Franceschina Alberghetti Mariani, administrata dalli guardiani, vicarii e scrivani della Scuola del Santissimo Sacramento in Santi Apostoli dall’anno 1682 fino 1727, s.n.t., p. 29, 12 agosto 1692. 71 Ibid., p. 32. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 171 quasi duecento anni dall’inizio dei lavori, di dare finalmente avvio alla costruzione di un definitivo alloggio per le campane a degno completamento della tanto agognata torre. A partire da quella data gli assegnamenti di danari, da parte della commissaria Alberghetti, continuarono con regolarità fino all’aprile del 1707, quando si annotava nel registro cassa il pagamento di cento ducati (in due rate) al proto Domenico Mazzoni e di 75 ducati (in un’unica rata) ad un non meglio identificato «signor Andrea Tagiapiera» 72. Una spesa di tale entità è giustificabile solo se pensiamo alla conclusione delle opere per la nuova cella campanaria e infatti nello stesso anno, precisamente l’8 ottobre, il marangon Andrea Panatta 73 presentava la sua nota spese per aver disfatto il solaio posto sopra le campane, per la sistemazione delle stesse, per aver provveduto alle necessarie armature per la copertura in «ottangollo» e per altri lavori alle scale della torre, oltre che per la costruzione di un «parè» in campo per ospitare il cantiere dei tagliapietra, il tutto «giusto la stima del signor Gaspari» 74. Ibid., p. 38: «1707 Aprile. [...] Pagati al signor Domenico Mazoni per la fabrica del campanil contadi dal reverendo signor piovano L. 310. Pagati al signor Andrea Tagiapiera D. 75 – L. 465. Pagati al signor Domenico sopraddetto D. 50 – L. 310». 73 Si tratta dello stesso falegname implicato, insieme ad Antonio Gaspari, nella causa relativa al modello ligneo della chiesa di San Vidal del 1686; Favilla-Rugolo, Frammenti, pp. 89-90. 74 ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11: «1707, adi 8 otobre. Per aver disfatto il soler di sora le campane et fatto armadura per disfar il detto et fatto il soler da novo di larese con legni di larese et il scolo di larese [...] ducati 20. / Per aver aggiustà tutti li pozzi delle scale et fatto quelli che mancava de novo et zontà li stanti in piè con due moraloni et fatto il pozzo della scala di piera della crosera et fatto il patto, et li scalini dove è la porta del rologio dette fatture ducati 8. / Per aver messo in opera la campana pontado il soler e tornà a visionar la suddetta opera doppo che li campaner ha voltado l’arroccadura ducati 4. / A conto di suddette fatture ho ricevuto ducati n. 15». «1707, adi 8 otobre. Polizza di fatture fatte da me Francesco Panata marangon per la fabrica del campanil di Santi Apostoli. / Per aver fatto le do crosere di quattro legni l’una per metter il legno principal, longhi detti legni piedi 12 l’uno, soazadi et imorsadi insieme che formano la cassa et fatto il legno di mezo di scalon grosso di larese da lado attorno et con il suo maschio da infilar nella crosera di sotto, il tutto benissimo incastrato insieme finito tirato suso di legnami a mie spese per detta fattura giusto la stima del signor Gaspari £ 50. / Per aver coverto il detto campanile in ottangollo con legni sotto e morali e coverto di tavole et il legno in pie per ripararlo dal tempo tirà suso a mie spese £ 8. / Per aver fatto il parè in campo per lavorar la piera viva con una porta longa piedi 6 in do bande a parte dentro la detta e fatto il coverto per i tagiapiere e poi disfato il detto, 72 172 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO È questa, a quanto ci risulta, la prima attestazione della presenza di Antonio Gaspari sul cantiere. I lavori proseguirono fino al 1712, quando le spese necessarie alla nuova cupola vennero registrate nella «Cassa e riceveri del maneggio del signor Agostin Ceffis per la fabrica del campanil de’ Santi Apostoli» 75, dove ritroviamo annotati i contributi elargiti dai parrocchiani. Nel giugno di quell’anno Gaspari veniva infine ricompensato con la somma di cinquanta ducati per «l’assistenza, disegni, scritture e sagome per la fabrica del sudetto campaniel» 76. Il cantiere era, con ogni probabilità, definitivamente chiuso nell’agosto del 1713, quando si provvedeva al saldo per l’oro necessario al rivestimento della «balla et bandiera del campaniel» 77. Per riassumere: i principali protagonisti di questa lunga vicenda sono Francesco di Pietro, Domenico Mazzoni 78 e Antonio Gaspari, per tacere di Domenico Rossi che appare alla fine dei lavori nel 1712 79. Tuttavia, Tommaso Temanza ascriveva il progetto della cella campanaria alla mano di Andrea Tirali 80, e fino ad oggi questo era il nome meso il legname dal reverendo signor piovan £10. / Per un legno dolado pur di larese di piedi 12 e mezo e tirado suso in cima et a sotto il coverto postizo £ 3. / Avuti da Signor Francesco Badoer provveditor £ 60». 75 ASPVe, Parrocchia Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11. 76 Ibid., «Cassa e riceveri, maneggio del signor Agostin Ceffis per la fabbrica del campanil de’ Santi Apostoli», c. 5 [Cassa]: «Contadi al Signor Antonio Gaspari architetto per sua assistenza et altro per la fabrica del campaniel, giusto i mandati de’ signori presidenti et la sua ricevuta [...] ducati 50»; c. 25 [Riceveri]: «Adì 2 giugno 1712. Ho ricevuto io Antonio Gaspari architetto dal signor Agostino Ceffis come cassier della fabrica del campaniel de’ Santi Apostoli ducati cinquanta correnti da £ 6:4, dico ducati 50 e questi sono per l’assistenza, disegni, scritture e sagome per la fabrica del sudetto campaniel fanno £ 310». 77 Ibid., c. 27 [Riceveri], 1 agosto 1713. 78 Domenico Mazzoni, proto e perito, nel 1720 sarà incaricato (assieme ai colleghi Domenico Rossi, Angelo Minorelli, Antonio Gaspari, Pietro Torri) di eseguire una perizia sulla casa del pievano dei Santi Apostoli; Favilla-Rugolo, La verità, p. 255. 79 ASPVe, Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse, I serie, b. 11, «Cassa e riceveri, maneggio del signor Agostin Ceffis per la fabbrica del campanil de’ Santi Apostoli», c. 22 [Cassa]: «1715, 5 luglio. Il signor Francesco Panata marangon deve haver per sue fatture fatte nel campaniel sino l’anno 1707, come per sua poliza di 8 otobre stata tansata li 13 giugno 1712 dal signor Domenico Rossi proto come in essa poliza, ducati 48:12 sono £ 300:14». 80 Temanza, Zibaldon, p. 21, riferendosi ad Andrea Tirali, senza riportare la data di esecuzione, in un elenco di altre opere che attribuisce alla mano dello stesso, afferma: «fece la cella delle campane del campanile dei Santi Apostoli ch’e una specie di loggia». PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 173 riconosciuto per l’ideatore dell’opera. Ma tale paternità non trova, tuttora, riscontro nei documenti. Inoltre, se è vero, come è vero, che nel 1708 si lavorava alla costruzione del tamburo ottagonale che funge da base per la cupola, verrebbe dunque meno anche l’indicazione cronologica suggerita da Elena Bassi che collocava la costruzione del vano per le campane tra il 1710 e il 1720 81, ponendolo in diretta relazione con la vicina Scuola dell’Angelo Custode, realizzata, questa sì, da Tirali nel 1713 82. La cella campanaria infine approntata (Fig. 15), atipica nel suo genere a Venezia, quasi un arioso e slanciato belvedere da giardino, «una specie di loggia», come scrive Temanza, che s’apre sui tetti della città, è caratterizzata da un linguaggio architettonico fortemente chiaroscurato, certo di matrice palladiana, ma non scevro dal vezzo tutto barocco del balconcino balaustrato a sporto, che rimanda al medesimo elemento posto nell’attico della facciata verso il giardino di palazzo Zenobio ai Carmini, opera, anche questa, di Antonio Gaspari (Fig. 16). Il motivo colonna-pilastro abbinati rammenta, altresì, l’analoga scansione presente nel borrominiano campanile di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma 83 (Fig. 17). Il timpano arcuato, soprastante l’alto architrave, s’inscrive nella tradizione delle torri campanarie veneziane, essendo chiaramente mutuato dal campanile quattrocentesco della Madonna dell’Orto e da quelli seicenteschi della basilica della Salute di Baldassare Longhena. La levitante «cuba» a bulbo, che sopra un tamburo ottagono conclude il campanile, si può dunque ascrivere con certezza all’opera di Antonio Gaspari. Fu realizzata con qualche variante rispetto a una prima idea che prevedeva due bulbi sovrapposti di diversa dimensione, come si evince da un suo disegno 84 (Fig. 18). Frattanto, Vincenzo Coronelli inseriva la costruzione, a cantiere E. Bassi, Architettura del Sei e Settecento a Venezia, Napoli 1962, p. 293. Secondo Moschini, Guida di Venezia, p. 660 nota 3, la torre dei Santi Apostoli «Fu alzata l’anno 1672, e ne presiedeva all’opera Domenico Longo, detto Bacchettin, vecchio prete di chiesa». 83 È utile rammentare che la tipologia del campanile ‘a loggia’ è una costante ricorrente in alcune architetture religiose del Borromini: in Sant’Agnese in Agone e in Sant’Andrea delle Fratte, oltre che nel già citato San Carlino. 84 MCVe, Raccolta Gaspari, I, 19; sul verso «Cupola campanile S. Apostoli»; Bassi, Episodi, p. 99. 81 82 174 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 15 - Antonio Gaspari, Cella e coronamento del campanile dei Santi Apostoli. Venezia. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 175 Fig. 16 - Antonio Gaspari, Balcone a sporto all’ultimo piano della facciata verso il giardino di palazzo Zenobio ai Carmini. Venezia. Fig. 17 - Francesco Borromini, Campanile di San Carlo alle Quattro Fontane. Roma. ancora aperto, nel novero delle Singolarità di Venezia del 1710 circa (Fig. 19), a testimonianza di una fortunata tipologia 85 che verrà quasi fedelmente ripresa nella cupola del vicino campanile di San Bartolomeo (Fig. 20). La paternità del progetto per la riedificazione di Campanili con coronamento a bulbo sono presenti in alcuni disegni di Antonio Gaspari (ibid. I, 31-36) raffiguranti il prospetto e la sezione longitudinale per la nuova chiesa di Santa Maria della Consolazione, detta della Fava. Ad ogni buon conto, tale risultato diverrà poi il modello per i successivi campanili di San Bartolomeo e San Giorgio Maggiore (quest’ultimo nella prima versione di Giovanni Scalfarotto), per quelli di Sant’Antonino, di Sant’Andrea della Zirada, senza contare poi i campanili progettati da Giorgio Massari a Venezia e nella terraferma. 85 176 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 18 - Antonio Gaspari, Progetto per il coronamento del campanile dei Santi Apostoli. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 19. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 177 Fig. 19 - I campanili dei Santi Apostoli e dei Carmini a Venezia (da Coronelli, Le singolarità, [circa 1710]). 178 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 20 - Giorgio Fossati, Cella e coronamento del campanile di San Bartolomeo. Venezia. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 179 Fig. 21 - Antonio Gai, Mascherone posto sull’ingresso del campanile di San Bartolomeo. Venezia. quest’ultimo è tradizionalmente riferita a Giovanni Scalfarotto 86. Dai documenti ora rinvenuti si ricava altresì che il cantiere veniva aperto nel 1747 sotto la supervisione dell’architetto Giorgio Fossati 87 e poteva Bassi, Architettura del Sei e Settecento, p. 36. Su Giorgio Fossati si vedano: C. Palumbo Fossati, I Fossati di Morcote, Bellinzona 1970, pp. 80-103; L. Finocchi Ghersi, Fossati Giorgio Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIX, Roma 1997, pp. 495-497; M. Angiolillo, Fossati Giorgio Domenico, in Allgemeines Künstlerlexicon, XLIII, München-Leipzig 2004, pp. 9-10. 86 87 180 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO dirsi definitivamente chiuso nel 1754 88, sebbene già nel 1751 si fosse data alle stampe una composizione poetica per festeggiare l’«occasione di aver messo le campane nuove nel nuovo campanile» 89. Dalle stesse carte si apprende che, contestualmente, nel 1747, ad Antonio Gai veniva affidata la realizzazione del mostruoso e sbeffeggiante mascherone posto in chiave alla porta che dà accesso alle scale della torre 90 (Fig. 21). Per questo curioso ornamento, da collocarsi peraltro in una calle stretta e buia, si ricorreva alla maestria di uno scultore al quale erano già stati affidati in precedenza importanti incarichi pubblici nell’area marciana, un artista internazionalmente riconosciuto e lodato 91. 3. Una casa a San Zulian Accanto all’architettura aulica – religiosa e civile – Antonio Gaspari si impegnò anche nella progettazione di edifici destinati a più modeste funzioni abitative, esempi di cosiddetta edilizia minore 92. Numerosi sono i disegni che riguardano tale attività, ai quali si uniscono quelli relativi a rilievi di costruzioni esistenti, come nel caso della fon88 Archivio Parrocchiale di San Bartolomeo, Venezia, Filza di atti diversi, fasc. segnato 1, passim. 89 Ivi, Catastico, p. 347. 90 Ivi, Filza di atti diversi, fasc. segnato 1, c. 6: «6 gennaio 1747 [...] Contadi al signor Antonio Gai per il mascheron £ 44.-». Elena Bassi attribuiva anche la scultura a Giovanni Scalfarotto, definendola «arguta, ma lavorata in modo più rozzo di quella di Santa Maria Formosa»; Bassi, Architettura del Sei e Settecento, p. 36. È necessario rammentare che Gai abitava proprio nella contrada di San Bartolomeo; ASVe, X Savi alle Decime, 1740, Sestiere di San Marco, Parrocchia di San Bartolomeo: «Corte Nova. [...] Casa e bottega di scultor per uso del patrone Antonio Gai». 91 Nel 1737 il conte Tessin, inviato del re di Svezia, ne esaltava le doti definendolo un «demì Michel-Ange» in una missiva che da Venezia inviava al suo monarca. Per questo e altri aspetti della figura di Antonio Gai si vedano: M.E. Massimi, Gai Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, Roma 1998, pp. 295-297; M. Clemencic, Gai Antonio, in Allgemeines Künstlerlexicon, XLVII, München-Leipzig 2005, pp. 260-262; De Vincenti, «Piacere ai dotti e ai migliori», pp. 241-248. 92 Sull’argomento si vedano almeno: Dietro i palazzi; G. Vertecchi, Trasformazioni edilizie a Venezia alla fine del XVIII secolo, in Fare la città. Salvaguardia e manutenzione urbana a Venezia in età moderna, a cura di S. Zaggia, Milano 2006, pp. 127150. PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 181 Fig. 22 - Antonio Gaspari, Rivievo della fonderia appartenente ai Savoldelli situata in contrada San Lio. MCVe, Raccolta Gaspari, III, 21. deria appartenente ai Savoldelli posta in contrada San Lio nei pressi della chiesa della Fava 93 (Fig. 22). Un esempio di edificio per appartamenti e botteghe si trova ai piedi del ponte di San Zulian in angolo con le Mercerie (Fig. 23), non distante da altre case che egli aveva progettato in calle Fiubera 94. In virtù della felice posizione, il fabbricato era dunque destinato a garantire sicure e laute rendite al suo proprietario – all’epoca il capitolo della parrocchia di San Zulian – e si decise di ricostruirlo dalle fondamenta, come ricorda, peraltro, la lapide posta sotto un’edicoletta sul lato breve ai piedi del ponte 95 (Fig. 24). L’edificio venne innalzato su progetto di Gaspari, il quale, il 29 agosto 1704, effettuava un circoMCVe, Raccolta Gaspari, III, 21, in data 18 agosto 1709. Bassi, Episodi, pp. 86-87; Dietro i palazzi, pp. 152-153. 95 La lapide in pietra d’Istria reca la seguente iscrizione: instavratÆ / a fvndamentis / anno dni mdccv. 93 94 182 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO stanziato sopralluogo, la cui relazione veniva registrata presso un notaio: Attesto io Antonio Gaspari architetto, con mio giuramento d’ordine et ad istanza del reverendo capitolo di San Giuliano di questa inclita città, questo giorno essermi portato sopra luoco in una casa di raggione del suddetto reverendo capitolo esistente in contrà suddetta, attacco il ponte detto de’ Ferali dove al presente habita il signor Maffio Astori dalle Franze, ed in quella attentamente e con ogni accurata diligenza essaminato si le fondamente, muri maestri delle tre facciate, come le travadure e coperto, del tutto fradici et inhabili alla sussistenza, essendo massime le muraglie fuori di piombo e di livello un piede e più in circa et in particolare dalla parte del rio e calle della Marzaria che ricorre alla piazza di San Marco, da questa parte scavezza il fillo sopra le due botteghe, come pure la facciata verso il ponte suddetto. Osservato et esaminato come dissi il tutto a parte a parte, dico che la ristauratione della suddetta ascenderà a spesa di ducati correnti da £ 6:4 per ducato numero mille e duecento in circa dico 1200 e in ciò io Antonio Gaspari architetto affermo manu propria e con giuramento 96. Il cantiere era completato nel giro di un anno, ma alcuni inconvenienti incontrati durante i lavori avevano fatto lievitare i costi, come si rileva da una successiva perizia firmata congiuntamente da Antonio Gaspari e Domenico Mazzoni, depositata presso i Provveditori sopra i monasteri e datata 5 settembre 1705: Nella ristaurazione della fabrica di raggione del reverendo capitolo di San Giuliano al Ponte dei ferali, demolite le muraglie precipitose del stabile, si sono scoperti nei fondamenti novi e non previsti pericoli e le muraglie delle case vicine tutte rovinose e però inabili a sostenere il peso della nova fabrica. È stato perciò necessario il profondere et ingrossare le fondamente confinanti al canal, obligati perciò anche a sostener il ponte di pubblica raggion per il pericolo che correva di precipitare, e in conseguenza di dette operationi riffar totalmente il pozzo danneggiato con altri accidenti di aggravii che non si son potuti prevedere al principio della fabrica. Si che tra spese di materiali e fatture da pagarsi ASVe, Notarile, Atti, notaio Giacomo Pietro David, b. 3729, minute. Il documento prosegue: «Atesto io Nicoleto da Ponte perito di haver visto la oltra scrita casa et esservi il bisogno di restauratione per la qualle li anderà di spesa duchati mile et due cento in circha. Io Nicoleto sudetto affermo con mio giuramento». 96 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 183 Fig. 23 - Antonio Gaspari, Casa da botteghe e appartamenti a San Zulian. Venezia. 184 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Fig. 24 - Lapide posta sulla facciata laterale della casa da botteghe e appartamenti a San Zulian. Venezia. per il stabilimento di detta fabrica si anderà di spesa sicuramente oltre ducati 1000 di più del calcolato al principio della fabrica 97 Si edificò, dunque, con la spesa non trascurabile di 2.200 ducati, una casa con quattro piani fuori terra, botteghe e magazzini al pianterreno, un modesto ingresso ai piedi del ponte e la facciata verso calle delle Mercerie contrassegnata da una fila di barbacani. Un immobile da appartamenti dall’architettura dignitosa ma seriale, quasi fuori del tempo, che non si discosta dalle altre case vicine, in una zona caratte- ASVe, Provveditori sopra i monasteri, b. 335; segnalato da P. Santostefano, Per una storia dei tecnici e delle maestranze edili al servizio delle istituzioni religiose in Venezia nei secoli XVII e XVIII: un approccio prosopografico dai documenti dei Provveditori sopra i monasteri, «Ateneo Veneto», 34 (1996), pp. 63-112, 105. 97 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 185 rizzata da un’alta densità edilizia e dove i valori immobiliari erano, allora come oggi, tra i più elevati di Venezia. 4. Antonio Gaspari architetto Se l’ambiente dei proti e degli architetti cosiddetti ‘minori’ del Seicento veneziano «continua a essere enigmatico» in quanto formato da «una infinità di tasselli, di nomi e di opere che sfuggono a una sistemazione critica» 98, la figura di Antonio Gaspari emerge e si distingue in tale contesto in virtù di una specifica e non trascurabile caratura ideologica 99. La sua peculiare formazione non avvenne, rispetto ai coetanei Domenico Rossi e Andrea Tirali, all’interno di una bottega. Egli non proveniva, infatti, da una tradizione famigliare di mureri o tagliapietra, e se si può ragionevolmente ipotizzare un apprendistato presso Baldassare Longhena 100, non si può peraltro escludere, come in altra sede argomentato da chi scrive, la frequentazione in gioventù della romana Accademia di San Luca 101. Una peculiarità che affiora dalla sua libertà di matrimonio registrata nel 1683, ove non veniva identificato con una precisa qualifica professionale, bensì come persona che «insegna» e «lavora di architetura et di pitura», in grado quindi di esercitare due delle più nobili, secondo il dettato umanistico, tra le arti liberali 102. Certo si è che Gaspari si firmerà sempre ed esclusivamente «architetto», adottando financo un emblema da apporre a sigillo di alcuni progetti definitivi 103 (Fig. 25). È altresì necessario rammentare che, all’epoca, a Venezia non esisteva la figura professionale dell’architetto, e non si giunse 98 M. Frank, I proti veneziani del Seicento: considerazioni su vicende private e istituzionali, in «Architetto sia l’ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti e proti nell’età della Repubblica, a cura di G. Mazzi - S. Zaggia, Venezia 2004, pp. 125-152: 126. 99 Caratura valutabile anche grazie all’esistenza di un sostanzioso corpus grafico. 100 Frank, Baldassare Longhena, p. 14. 101 Favilla-Rugolo, La verità, pp. 246-255. 102 ASPVe, Curia Patriarcale, Sezione Antica, Examinum matrimoniorum forensium ex actis Donatis, 1683-1685, III, cc. 71-77; Favilla-Rugolo, La verità, pp. 256257, doc. 4. 103 Come nel caso di uno dei progetti per l’altar maggiore della chiesa veneziana di San Moisé; Bassi, Episodi, pp. 60-63. MCVe, Raccolta Gaspari, I, 22. 186 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO mai a un riconoscimento giuridico di tale status, che, non essendo riconducibile ad alcuna arte o fraglia specifica, s’incanalava nell’alveo capiente delle innumerevoli magistrature della Serenissima con l’appellativo di proto o perito 104. Anche in questo caso Antonio Gaspari fa l’eccezione: non risulta, a tutt’oggi, che egli abbia mai ricoperto alcun ufficio a servizio della Repubblica, bensì la sua opera si esplicò in autonomia attraverso incarichi sia pubblici che privati 105. Fig. 25 - Antonio Gaspari, Emblema Una figura, dunque, atipipersonale. MCVe, Raccolta Gaspari, I, ca per quel contesto, certo più 22, particolare. prossima all’antica concezione vitruviana e poi albertiana dell’architectus, ovvero di colui che coniugava una solida cultura umanistica a specifiche conoscenze tecnico-teoriche in grado, peraltro, di supportare l’attività di cantiere. Qualità che il nostro non mancò mai di dimostrare. E ciò, almeno a partire dalla rifabbrica del duomo di Santa Tecla a Este, tra il 1688 e il 1706, attraverso una presenza costante sul cantiere puntualmente documentata nel manoscritto del canonico S. Zaggia, Ruoli e competenze dei «periti pubblici», in «Architetto sia l’ingegniero [...]», pp. 327-345: 338-339. 105 Una figura certo diversa da quella del bravo tajapiera il quale, grazie alla magnanimità di un patrizio che cogliesse in lui «la buona volontà e l’applicazione allo studio dei maestri», riusciva alla fine a divenire proto di qualche magistratura e al contempo a svolgere altri incarichi esterni agli impegni ‘ufficiali’ che la carica gli imponeva; cfr. M. Brusatin, Venezia nel Settecento. Stato, architettura, territorio, Torino 1980, p. 17. Alessandro Tremignon, Domenico Margutti, Andrea Tirali, Domenico Rossi, lo stesso Baldassare Longhena, tutti iniziarono la loro attività esercitando il mestiere di tagliapietra o di murer, e tutti ebbero poi a ricoprire incarichi più o meno prestigiosi presso le magistrature della Serenissima; Bassi, Architettura del Sei e Settecento, pp. 1-50 e passim; Frank, Baldassare Longhena, pp. 3-39. 104 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 187 Marcantonio Da Vò 106. È indicativa la minuziosa attenzione che prestò nell’assistere alla riedificazione della cappella intitolata alla Beata Vergine nel duomo di Padova (1694-1695), dove a dimostrazione di una scrupolosa competenza stilò un breve trattato intitolato avvertimenti necessari per ben fondare questa capella, perché sotto l’occhio di chi comanda, sopraintende e dovrà lavorare servano per le istruzioni necessarie alla fabrica 107. Un’autocoscienza orgogliosa del proprio ruolo e dell’importanza dell’apprendimento teorico, che deve distinguere l’architetto, dimostrò poi nella lettera inviata all’abate di Santa Giustina a Padova nel 1692. In occasione del restauro del quattrocentesco refettorio di quell’abbazia, si diffondeva in una lezione metodologica sul modo corretto di innalzare «il volto», essendo necessario provvedere a costruirlo theoricamente per poter addurne le ragioni del così si deve fare e non del così ho fatto. [...] per far vedere la differenza che c’è dall’esperienza theorica alla pratica 108. Cogo, Antonio Gaspari, pp. 37-108. Archivio Vescovile di Padova, Fabrica del duomo, b. 2/13, cc. 8-44. 108 Archivio di Stato di Padova, Santa Giustina, b. 494, c. 63: «Illustrissimo e reverendissimo padre abbate. Essendo l’architettura, come anco sono tutte l’altre arti, immitatrice della natura, niuna cosa patisce, che aliena e lontana che sia, da quello che essa natura comporta, onde noi veggiamo ne’ monti e nell’istesso sasso la natura haver formato diverse maniere de’ volti, e quante per appunto e forse più di quelle che ce ne dimostrano ne’ suoi scritti e gli antichi e li moderni architetti. Sei sono adunque le maniere de’ volti, cioè a crociera, a fascia, a remenato, ritondi, a lunette et a conca; al presente non si parlerà d’altre che di quelle a lunette, essendo questa la forma con che si vuol costruire da nuovo la volta del refettorio che, per la continuazione di tempo di due secoli e quattro lustri, sin hora è stata si può dir sospesa in aria: alla fine è precipitata con massa di muraglia rotture e piegature di cadene di ferro, storte e rotte le stenghette ne’ muri; cose tutte in vero considerabili e da ponderarsi a minuto per minuto da che cosa ne sia avvenuto questo male e ritrovarne il rimedio. Onde io come il minimo fra tutti della professione dirò riverentemente la mia opinione così ricercato dalla bontà di vostra eccellenza illustrissima e reverendissima supplicandola compatire se a troppo lungo discorso mi diffondessi, trattandosi di materia così difficile, quale è questa delle volte dando a divedere con queste mie dimostrationi il desiderio che tengo di non esser indegno di servirla in questa et in qualunque altra cosa mi comandasse. Hora per dar principio alle nostre dimostrationi sarà necessario che in altra carta separata si descriva la pianta del luogo dove ha da costruire la volta con le grossezze de’ muri che la circondano, altez106 107 188 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO Non mancava, concludendo la missiva, d’avvertire il religioso di diffidare da chi «si crede l’oracolo della manualità». L’incarico venne infine espletato, ed è giunto fino a noi il puntuale rilievo dell’edificio in pianta e in sezione 109 (Fig. 26) su cui intervenne alzando i peducci dei lati longitudinali della sala e aggiungendo un secondo ordine di catene 110. Una preparazione teorico-tecnica, la sua, che diviene eloquente in un disegno ove dimostrò il «Modo di fare le crociere degl’archi nelle logge» 111 (Fig. 27). Ancora, nel ruolo di proto del monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia, ebbe a disquisire, nel 1718, con altri colleghi sulle modalità del restauro necessario alla cupola palladiana della chiesa. Redigendo il verbale di quella riunione, volle stigmatizzare la posizione di due componenti della commissione peritale, sottolineando come Li due colleghi Domenico Mazzoni, e Domenico Rossi? [sic!] hanno proposto di tagliar il volto di cotto rimettendolo di pietra viva pensan- za della detta con i vestigi delle lunette, che al presente s’attrovano, dove siano state fermate le cadene di ferro e quanta frezza nel mezzo havesse l’istesa volta che tutte parti diligentemente considerate si verrà chiaro dal suo precipitio. [...] concludo che la faccitura della nuova volta sarebbe necessario tirar a piombo la muraglia a levante, col demolir la parte offesa e rinforzarla con contraforti, sminuir la quantità di lunette che al presente s’attrovano per poter far maggiori li peducci per il sostenimento di quella e tolta una debita proporzione di frezza al volto/ e non a caso come al presente s’opera/ costruirlo theoricamente per poter addurne le ragioni del così si deve fare e non del così ho fatto. Non dilettandomi hora a dimostrare quanta, ad un dato diametro e frezza del volto, debba esser la grossezza de’ muri, riserbandomi a miglior tempo dimostrare il vero modo, giusta i precetti dell’arte di fare i volti sfiancati, per far vedere la differenza che c’è dall’esperienza theorica alla pratica. Aggiungendo, che essendo intenzionata vostra signoria illustrissima et reverendissima far la volta sopra d’un muro offeso qual’è quello a levante, pensando col detto/ di chi sia non lo so/ fortificarlo con doppiezza di cadene di ferro sperando con questo assicurarsi all’eternità, mi creda certo che è un opinione falsa e che durante anco la sua vita, che da Santa Beata Maria gliene prego per molti lustri felice, ne vedrà riuscita la spesa superflua e dolore d’esser stato burlato da chi forse si fida e si crede l’oracolo della manualità; con che mi sottoscrivo per sempre. Di vostra illustrissima et reverendissima. Padova li 29 marzo 1692. Humilissimo divotissimo et ossequiosissimo servitore Antonio Gaspari Architetto». 109 MCVe, Raccolta Gaspari, III, 52r. 110 R. Pepi, L’abbazia di Santa Giustina in Padova. Storia e arte, Padova 1966, pp. 165-166. 111 MCVe, Raccolta Gaspari, III, 64. Fig. 26 - Antonio Gaspari, Rilievo del refettorio dell’abbazia di Santa Giustina a Padova. MCVe, Raccolta Gaspari, III, 52. Fig. 27 - Antonio Gaspari, «Modo di fare le crociere degl’archi nelle logge». MCVe, Raccolta Gaspari, III, 64. 190 MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO do che così facendo non havrebbe ceduto mai più la cupola, insistendo col dire/ per esempio/ d’haver fatto e sostenuto de’ pallazzi et altre cose, (che per brevità si tralasciano il dirle), e gli fu risposto che a Roma stimano pocco il sostener tutto un pallazzo in aria e riffarvi sotto le sue fondamente. Loro però ostinati sempre più nella loro proposta di far gli archi di pietra viva e che loro stessi li manipolerebbero; con ciò han dato a conoscer che le loro proposte e discorsi erano solo per il proprio interesse, non havendo riguardo di metter/ operando/ a total precipitio la cupola; senza punto esaminare il male presente da dove proveniva, che dirò incoscienti del tutto volevano sostenere la loro falsa opinione, ma fu dannata questa da gl’altri quattro 112. La sua perizia invece testimonia la consapevolezza dell’alta responsabilità dell’architetto nel sovraintendere al cantiere e un rispetto superiore per l’opera di Andrea Palladio: E perché li difetti degli edificii o sacri o secolari o pubblici o privati son nati e causati dall’architetto, ed alcuni vi son stati portati, d’altronde questi dico non esser nati dall’architetto poi che in questo caso il tassar d’imperitia Andrea Palladio architetto, che ne è stato l’auttore di quella, sarebbbe una gran temerità di così pensare, ma voglio creder ben sì che fatto il disegno non habbi poi assistito a gl’operaii che l’hanno construtta [...]. [...] la mutatione degli operaii che inscienti al loro capriccio senza il consiglio dell’architetto e senza diretione d’alcuno a sua voglia habbino terminata detta opera, e però certamente si vedde il danno di quella non dirò mai il precipitio. [...] onde concludo che tutti i mali pervenuti nella cupola sono stati causati dagl’operaii e non dall’architetto 113. ASVe, San Giorgio Maggiore, b. 22, Processo 13 a, II, fasc. 3, 29 marzo 1718; Favilla-Rugolo, La verità, pp. 259-260: 260, doc. 8. 113 ASVe, San Giorgio Maggiore, b. 22, Processo 13 a, II, fasc. 3, 28 marzo 1718; Favilla-Rugolo, La verità, pp. 260-261: 260, doc. 9. 112 PROGETTI DI ANTONIO GASPARI 191 Riassunto Se l’ambiente dei proti e degli architetti cosiddetti ‘minori’ del Seicento veneziano è enigmatico, in quanto formato da una infinità di nomi e di opere che ancora sfuggono a una sistemazione critica, la figura di Antonio Gaspari (Venezia, 1656-1723) emerge e si distingue in tale contesto in virtù di una specifica caratura ideologica. In questa nota si analizzano alcuni progetti veneziani di tale architetto, che tra il 1690 e il 1697 portò a termine il cantiere per la cappella di San Domenico ai Santi Giovanni e Paolo; mentre, per il monumento Valier nella stessa sede, presentò un primo progetto intorno al 1692 e un secondo nel 1696 (anche se sarà Andrea Tirali il vincitore del concorso). Tra il 1707 e il 1713, interverrà nella costruzione della cella e della copertura del campanile dei Santi Apostoli. Infine, si prende in considerazione un edificio per appartamenti e botteghe ai piedi del ponte di San Zulian in angolo con le Mercerie, innalzato intorno al 1704 su progetto di Gaspari. Abstract Although the circle of so-called ‘minor’, seventeenth-century, Venetian architects and proti is enigmatic, in that it consists of numerous names and works that have still not been critically ordered, the figure of Antonio Gaspari (Venice, 1656-1723) stands out thanks to a specific ideological bearing. Analysis is made in this note of some designs in Venice by this architect, who between 1690 and 1697 completed work on the chapel of San Domenico at Santi Giovanni e Paolo. He also presented a first plan for the Valier monument in the same church in about 1692 and a second one in 1696 (although Andrea Tirali was eventually to win the competition). He worked on construction of the belfry and roof of the Santi Apostoli bell tower between 1707 and 1713. Finally, consideration is also made of a building for apartments and shops at the foot of the San Zulian bridge on the corner with the Mercerie, built around 1704 to a plan by Gaspari.