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PALAZZO MOROSINI A VENEZIA L a d i m o r a d e l l ’ u l t i m o e r o e d e l l a a cura di Simone Guerriero e Vincenzo Mancini S e r e n i s s i m a INDICE Il volume è stato realizzato grazie al contributo di 4 5 6 7 13 premesse di Philippe Donnet Gabriella Belli Gen. C.A. Bruno Buratti Simone Guerriero, Vincenzo Mancini Bruno Buratti Francesco Morosini, l’ultimo condottiero della Serenissima 39 I curatori e l'editore desiderano ringraziare la Fondazione Musei Civici di Venezia per la gentile concessione delle immagini presenti nel volume. Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’architettura dal Medioevo al Barocco (e ai suoi mancati trionfi) 75 Monica De Vincenti “L’atrio n’è adorno”. Scultura a Palazzo Morosini in copertina Facciata di palazzo Morosini su campo Santo Stefano con il portale di accesso alla corte pp. 9-11 Ricostruzione dell’apparato decorativo settecentesco del portego al piano nobile di palazzo Morosini Fabrizio Berger per Tostapane Studio, con la consulenza scientifica di Andrea Bellieni campagna fotografica Matteo De Fina progetto grafico Carmen Malafronte cura redazionale Elisabetta Righes Stefano Grandi © 2020 by Marsilio Editori s.p.a. in Venezia prima edizione luglio 2020 www.marsilioeditori.it 99 Vincenzo Mancini “Un Pantheon innalzato a Gloria di sì bel Nome”: le decorazioni degli interni 125 Camillo Tonini I Morosini dalla Sbarra e il palazzo di Santo Stefano nell’Ottocento Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (e ai suoi mancati trionfi) Nel 1846 Gianjacopo Fontana descriveva palazzo Morosini in campo Santo Stefano con queste vibranti parole: Al grand’arco dorico, in aria già di trionfo, che a colonne e pilastri, con fregio al di sopra dell’architrave e frontone, di emblemi guerreschi, apre l’ingresso di questa magione sul campo, pare che a bella posta cedesse le sue ragioni all’architettura, che gli fa ala a man stanca, quasi per non impedirgli di dominare isolato quel canto. Su di esso arrestasi il guardo infatti del passeggero, che tosto adocchia l’apoteosi di un celeberrimo campione di Marte, quale fu l’immortale Peloponnesiaco, ch’ebbe in questi recinti la culla1. In realtà il palazzo, racchiuso entro i confini della parrocchia di San Vidal, non vide “la culla” de “l’immortale Peloponnesiaco”, che nacque nel 1619 in altra contrada2, poiché la famiglia Morosini, del ramo di Santa Marina, acquisì progressivamente la proprietà dell’edificio solo dopo il secondo matrimonio di Piero, padre di Francesco, con Laura Priuli, unione celebrata nel 16293. Le parole di Fontana aprono il testo che accompagna la riproduzione in litografia della facciata d’acqua sul rio del Santissimo (fig. 2) e si inseriscono in una rinnovata narrazione mitologica tesa a esaltare, attraverso le sue più avite dimore, la magnificenza di una Venezia oramai perduta, ma sempre viva nella memoria collettiva. Una temperie che culminerà, nel nostro caso, da un lato con la collocazione nel 1866 in campo Santo Stefano del cippo o pilo portabandiera in bronzo recante l’effigie a rilievo del doge condottiero4 e, dall’altro, con la dedica della stessa platea a Francesco Morosini, frutto del lavoro della commissione municipale sulla toponomastica istituita nel 1876, che divenne effettivo solo nel 18895. Tutto questo fervore verso le glorie patrie non riuscì, però, a scongiurare la dissoluzione della “preziosa dimora de’ Morosini [...], artistico e monumentale sacrario d’una celeberrima schiatta la cui superstite la N. D. Co. Morosini Gatterburg ebbe in retaggio colle dovizie di regnanti un patrimonio di memorie gloriose, di oggetti testimonii d’una grandezza che forse null’altra veneta e straniera prosapia mai giunse”6. “ADDITAR I PREGIUDIZI E GLI USURPI”: IL CATASTICO DEL 1773 Il 6 gennaio 17737, il proto e pubblico perito Girolamo Soardi sottoponeva all’attenzione benigna del cavalier Francesco I Morosini, da poco convolato a nozze con Lo- [2.] 1. Facciata di palazzo Morosini su campo Santo Stefano, 1890 circa, foto Zorzetto. Venezia, Archivio fotografico Fondazione Musei Civici 2. Marco Moro, Facciata di palazzo Morosini sul rio del Santissimo, in G. Fontana, Venezia monumentale pittoresca o sessanta fra i palazzi più distinti ed interessanti […], fasc. 27, s.n.t. [Venezia 1846] 39 fotolito: fare fondini omogenei [3.] 3. Girolamo Soardi, Pianta del piano terreno di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 2. Venezia, Biblioteca del Museo Correr 4. Girolamo Soardi, Pianta del primo piano ammezzato di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 3. Venezia, Biblioteca del Museo Correr 40 [5.] [4.] redana Grimani del ramo dei Servi, il “Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini”8 (figg. 3-8). Lo straordinario repertorio iconografico serviva a Soardi per svolgere al meglio “l’onorevol incarico di sopraintendere ai lavori ed ai restauri” da avviare “negli stabili che formano una parte del grandioso patrimonio” della famiglia Morosini. Infatti, trovandosi nella necessità di dover praticare “frequenti sopraluoghi”, Soardi si era infine “invogliato” di “prender in pianta e in giusto esatto disegno gli stabili stessi, onde por in un tratto sotto gli occhi altrui la lor situazione, indicarne i varii confini e quindi additar i pregiudizi e gli usurpi che potessero essere fatti da’ confinanti”. Le sei tavole acquerellate relative al “palazzo dominicale” si configurano come una testimonianza visiva utile a comprendere la struttura morfologica dell’edificio, punto di arrivo di un secolare processo di trasformazione. Difatti, al netto di qualche piccola modifica al distributivo e all’inserimento dei moderni apparati tecnologici (ad esempio il vano ascensori e la centrale termica), la struttura interna e l’aspetto esteriore del palazzo sono rimasti a tutt’oggi pressoché immutati. Seguendo i disegni tracciati da Soardi l’organismo architettonico, delineato in pianta e in prospetto, appare formato da due corpi di fabbrica distinti. Il nucleo che si affaccia su campo Santo Stefano si presenta come una struttura quadrangolare e compatta, articolata su tre livelli fuori terra costituiti da due piani nobili9 e da un terzo piano che arriva al sottotetto. L’edificio non dispone di una seconda facciata, poiché l’accesso al retrostante rio del Santissimo è precluso da un altro fabbricato. L’interno si caratterizza per la classica tripartizione propria della casa fondaco veneziana10: il portego o salone centrale – che in questo caso non è passante perché sul fondo è chiuso da un piccolo ambiente – con quattro vani disposti ai lati. Al secondo piano si nota un’alcova, con un “gabineto” sopra la calletta laterale, e una retrostante “scala secreta” (fig. 5). Il complesso più cospicuo è invece nascosto alla vista dei passanti. Si tratta della casa dominicale vera e propria. Al piano terreno (fig. 3) troviamo la corte maestra e le due più piccole, i vari “magazen” e la grande “entrata” o portego, che reca alla porta d’acqua sul rio del Santissimo, e dalla quale si dipartono le scale interne. Si nota la presenza di una seconda entrata d’acqua che dà accesso a una scala secondaria, la quale, passando per il mezzanino e restringendosi progressivamente, raggiunge il piano nobile. Massimo Favilla, Ruggero Rugolo Il mezzanino, o “primo appartamento” (fig. 4), si compone di una pluralità di ambienti destinati ai “servitori” e all’amministrazione (“camera per l’uso delli signori fattori”, “fattoria”, “luoco vicino alla fattoria”), oltre che ai padroni, come le varie camere, la “libraria” e il vano a sporto dello “scritorio”. Il “secondo appartamento”, ovvero il piano nobile (fig. 5), presenta una struttura morfologica irregolare, giacché il portego passante o “sala” non svolge funzione di disobbligo per i diversi ambienti di rappresentanza. In capo al portego si colloca la “sala dell’armi”, con vista sulla corte grande e verso campo Santo Stefano. Nel rilievo Girolamo Soardi si è però dimenticato di disegnare l’oratorio domestico (figg. 33-35); e un tratto a matita ne ha successivamente delineato la scarsella che sporge sulla corte interna. Gli ambienti dell’ultimo piano, o “terzo appartamento” (fig. 6), sono invece riservati alle stanze di servizio: la cucina, il “luoco per il carbon”, la “credenza”, il “salvaroba”, la “draparia”, il “luoco basso” e un singolare “luoco per le monache”. A causa dei dislivelli fra i vari piani dei due edifici, la comunicazione è garantita attraverso un corridoio, o passatizio o andio, che collega il primo piano dell’ala che dà sul campo al mezzanino del fabbricato adiacente, mentre il piano nobile di quest’ultimo è connesso al secondo piano attraverso un “luoco di comunicazione”, al quale si accedeva dal portego e da una scala che conduce a un’anticamera (figg. 3-5). Le ultime tavole sono destinate a illustrare le due facciate (fig. 7) – Soardi rovescia specularmente quella che si affaccia sul rio – e il “portone che dà ingresso al palazzo dominical” (fig. 8), sottolineando l’importanza visiva e simbolica di questo manufatto nell’intero organismo architettonico. NEI TEMPI PIÙ ANTICHI: DAI GRADENIGO AI PRIULI, PASSANDO DAI FALIER Giusta le ipotesi formulate da Valentina Conticelli11, l’odierno edificio – che chiameremo casa dominicale, per distinguerlo da quello che prospetta direttamente su campo Santo Stefano – sarebbe il risultato dell’unione di due diversi corpi di fabbrica: preduecentesco il blocco rivolto al rio del Santissimo, più tardo, forse trecentesco quello verso il campo. Ciò si evince dall’analisi delle caratteristiche dimensionali, morfologiche e costruttive delle strutture murarie e dalle tracce rilevate nelle fondazioni12. Il riutilizzo di compagini più antiche e il loro accorpamento si può infatti L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) [6.] 5. Girolamo Soardi, Pianta del piano nobile di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 4. Venezia, Biblioteca del Museo Correr 6. Girolamo Soardi, Pianta del terzo piano di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 5. Venezia, Biblioteca del Museo Correr 41 7. Girolamo Soardi, Facciata sopra il campo e facciata sopra il rio di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 6. Venezia, Biblioteca del Museo Correr 8. Girolamo Soardi, Portale d’ingresso alla corte di palazzo Morosini, in Catastico delli stabili della casa eccellentissima Morosini, Venezia 1773, tav. 7. Venezia, Biblioteca del Museo Correr [7.] [8.] 42 constatare anche nell’andamento irregolare del portego, sia al piano terreno che al piano nobile, ove sussiste un evidente punto di cesura in corrispondenza della piccola corte laterale (figg. 9, 27). Più tarda sarebbe invece l’origine dell’altro fabbricato, meno vasto come superfice calpestabile, sebbene più alto, prospicente campo Santo Stefano (fig. 10). Se, come in un palinsesto, nella casa dominicale sono ancora ben visibili numerose componenti strutturali e ornamentali frutto delle varie fasi costruttive, nel fabbricato adiacente non abbiamo rilevabili tracce di elementi di antica origine13. Come stabilito da Jan-Christoph Rössler, al 1332 risale il primo documento relativo alla casa dominicale, che a quella data risultava di proprietà di Zuanne Gradenigo detto maior14. Passata nel 1455 ai Falier, questi il 21 giugno 1490 vendettero la “domus a statio” a Costantin Priuli, figlio del procuratore di San Marco, Zuanne, lasciandoci in quella circostanza la più antica descrizione dell’edificio15. Se interpretiamo correttamente l’atto di vendita, alla “domus a statio” appartenevano nove “domus a sergentibus” (casette in affitto con un piano fuori terra, “in solario et ad pedem planum”), e due ammezzati (“cum duobus mezatis”). Una calle privata (“calle proprio”, quella che oggi confina con palazzo Pisani), collocata nella parte posteriore (“a parte posteriori”), dava ingresso alle “domus a sergentibus”. La descrizione attesta poi la presenza nella parte anteriore della casa, ovvero verso campo Santo Stefano, di uno scoperto destinato a orto (“cum sua terra vacua, sive orto, a parte anteriore posito super campum Sancti Stephani”) e di una corte (l’odierna corte d’ingresso) dotata di cisterna, vera da pozzo e scala in pietra esterna (“et cum sua curia, sive spongia, et putheo in ea posito, et cum sua scalla lapidea in ipsa curia posita”). Se l’edificio disponeva di una riva (“rippa sive gradata”) e quindi di una porta d’acqua sul rio di San Maurizio (ora rio del Santissimo), l’ingresso principale si trovava, come oggi, su campo Santo Stefano (“porta magistra proprijs in campo Sancti Stefani unde habet introitum, et exitum”). La corte con l’orto era in parte racchiusa da un muro in comune con la restante proprietà di Francesco Falier, con la calletta (“callicella de grondalibus”, per lo Massimo Favilla, Ruggero Rugolo [9.] 9. Veduta del portego del piano nobile di palazzo Morosini verso il rio del Santissimo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 43 smaltimento delle acque piovane) e con la proprietà di Francesco Priuli. Significativa, in un’area urbana così centrale, è la presenza di un orto adiacente alla corte d’ingresso; uno scoperto che risulta già da un atto del 1410, con il quale Donata Contarini, moglie di Giovanni Gradenigo, nipote del succitato “Zuanne maior”, vendeva al marito cinque “alberghi”, la “crozola”16 del portego e metà di un orto17. La complessa articolazione distributiva della casa dominicale è testimoniata da un altro atto amministrativo risalente al 1541, cui si giunse dopo alcuni passaggi che è necessario ripercorrere. Nel 1504 Costantin Priuli vincolò la casa dominicale a un fidecommesso, e nel 1514 i figli Michele e Carlo dichiaravano, nella Condizion di decima, di possedere “proindivixo fra di loro” una “casa da stazio in la contrada de San Vidal, la qual nui habitemo”18. Dopo la morte dei due fratelli la dimora di famiglia venne divisa a metà. Infatti nel 1537 Paola Molin, vedova di Michele Priuli, dichiarava a nome dei figli la proprietà di “mità de una caxa granda in contrà de San Vidal afitada al magnifico messer Zuan Corner per ducati 200 all’ano; tocha a noi per la mittà ducati 100”19. La stessa vedova Priuli denunciava poi nove contigue “casete”20 e un “mezado”, anch’esso affittato al Corner. Arrivati quindi al 1541, per evitare dissidi, si rese necessario stendere un atto presso i Giudici del proprio al fine di stabilire in maniera dettagliata i vani che spettavano ai due rami della famiglia Priuli: quello di Michele e quello di Carlo. Il frazionamento del palazzo in due unità abitative veniva reso tangibile attraverso la costruzione di murature divisorie con una parte, spettante a Paola Molin, e l’altra afferente a Gerolamo, Costantin e Francesco Michiel, figli di Elisabetta Priuli quondam Carlo21. Non è facile districarsi nella descrizione cinquecentesca rispetto all’odierna pianta del palazzo. Quello che possiamo rimarcare è la presenza dell’orto, già rilevata nei documenti del 1410 e del 1490, della “corte discoperta con il pozzo” e della scala di pietra che “assende al primo soler”. Inoltre appaiono citati l’“andedo coperto, che discorre alla riva”, ovvero l’attuale portego terreno e “la cortesella discoperta dove è un pozzo con la sua loza over sottoportego, et con li suoi mezadi, et scalle”, ossia la piccola corte ancora oggi esistente e situata verso calle Stretta Morosini Pisani (fig. 11). Quello che però colpisce è la presenza di una “corte grande discoperta con li doi pozzi”, che sembrerebbe cosa diversa rispetto alla succitata “corte discoperta contigua alla scala de piera”. Non siamo qui in grado di sciogliere ogni dubbio ma, grazie a un contratto di permuta del 1608 fra i Priuli e i Pisani, apprendiamo dell’esistenza di una corte laterale con pozzo pertinente al palazzo22. Infatti nel 1608 il nobiluomo Alvise Pisani aveva ottenuto da Costantin e Andrea Priuli quondam Giovanni una “casa di muro coperta di copi, soler di sopra con sofitta et sua scala che va in strada”23, posta in “corte de’ Ca’ Prioli”, che “confina da una parte con lo stabile, over casa grande dei predetti eccellentissimi Prioli posta sopra al campo di San Steffano, mediante la calle, da un’altra la corte del detto stabile ove è il pozzo, da un’altra il chiarissimo messer Alvise Pisani fio del chiarissimo messer Marc’Antonio”24. Oggi la corte risulta modificata nel perimetro e nella forma in seguito all’accorpamento, avvenuto nel 1713, della succitata casetta e di buona parte dello spazio libero prospicente, nell’imponente mole di palazzo Pisani, che andava in quel tempo accrescendosi, grazie anche alla benevola concessione dei Morosini25 (figg. 12-13). 44 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) [11.] 10. Facciata di palazzo Morosini su campo Santo Stefano con il portale di accesso alla corte 11. Veduta della corte di palazzo Morosini verso calle Stretta Morosini Pisani (già corte del Botter). Nel mezzanino le finestrelle trecentesche e l’arcone coevo; in primo piano la vera da pozzo a bulbo sei-settecentesca 45 12. Adamante Martinelli, Rilievo della corte laterale di palazzo Morosini (già corte di Ca’ Priuli) verso palazzo Pisani, 1713. Venezia, Archivio di Stato, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 23 13. Adamante Martinelli, Progetto per modificare il perimetro della corte laterale di palazzo Morosini (già corte di Ca’ Priuli) e inglobarne una parte all’interno del corpo di palazzo Pisani, 1713. Venezia, Archivio di Stato, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 23 [12.] In prossimità di quello scoperto, racchiusa all’interno di palazzo Morosini e accessibile dall’andito terreno, si apre una corte, di anguste dimensioni, ove sopravvive una vera da pozzo trecentesca e dove sono ancora visibili le tracce di due archi acuti crescenti (fig. 14). Questi, addossati alla parete del vano scale seicentesco, salgono verso il piano nobile, raggiungendo il doppio finestrone collocato sul lato lungo del portego. Gli archi acuti farebbero pensare all’esistenza di una scala gotica scoperta (poi in parte demolita) e, con buona probabilità, di una corte d’ingresso anche su questo lato, comunicante con il rio attraverso la calle che oggi confina direttamente con Ca’ Pisani e che un tempo serviva anche le succitate nove casette “a sergentibus”. Sarà un caso che l’attuale vano scale si collochi proprio in corrispondenza degli archi gotici superstiti? Peraltro nello stesso scoperto si può notare come il doppio finestrone del portego sia costituito da elementi di recupero: centina dentellata, colonna, capitello e stipiti sono infatti trecenteschi (fig. 15). Non solo. Trecentesca risulta anche la finestra posta in alto in corrispondenza del mezzanino di sottotetto. Osservando poi i diversi livelli delle linee di gronda, si evince come il lato della corticella verso Ca’ Pisani sia frutto di un’edificazione successiva rispetto agli altri due (fig. 16). Infine un tratto di intonaco da esterno del tipo regalzier26 (fig. 17), risalente al XV secolo, è riemerso durante i più recenti restauri sulla parete di una stanza verso Ca’ Pisani, segno che la corticella in origine era più estesa27. Ancora sussistenze gotiche, a testimonianza del disinvolto riutilizzo anche in pieno Seicento di elementi più antichi, si manifestano sulla calletta (fig. 18), sul prospetto verso il rio del Santissimo, dove gli archi della polifora sono sostenuti da capitelli e colonne trecentesche, come dello stesso secolo sono gli stipiti laterali (fig. 19). D’altro canto è tutta, o quasi, la linea di gronda in pietra d’Istria, nella parte che si affaccia sulla corte d’ingresso, a fare sfoggio del caratteristico decoro gotico a losanghe, come ancora parlano un linguaggio coevo la teoria di finestre del sottotetto (fig. 20). A tutt’oggi un altro spazio scoperto rivela sopravvivenze antiche. Si tratta della corticella verso calle Stretta Morosini Pisani (fig. 11). L’area è racchiusa su tre lati dal corpo di fabbrica del palazzo e sul quarto dal muro che la separa dalla calle pubblica, formando uno spazio a U. Sul lato più interno si apre un ampio arco a tutto sesto, la cui struttura appare sprofondata rispetto alla quota originale della pavimentazione28. Sullo stipite destro sussiste ancora un capitello a foglie larghe, lisce e ripiegate con una rosetta al centro, riferibile alla prima metà del Trecento29. Nella medesima corte, in corrispondenza del mezzanino, troviamo inoltre quattro monofore di matrice trecentesca: tre ad arco trilobato e una ad arco inflesso. Più in alto, nell’angolo, al livello del piano nobile, si aprono due finestroni balaustrati di foggia seicentesca che confliggono fra loro, e che in un caso rivelano la presenza, nella mensola che sostiene il balcone, di protomi leonine gotiche di grande qualità scultorea (figg. 21-22). Gli elementi più cospicui legati invece alla fase quattro-cinquecentesca del palazzo – quando a partire del 1490 divenne proprietà della famiglia Priuli – sussistono nella corte d’ingresso (fig. 23): l’arcone che conduce all’andito terreno – una monumentale struttura in pietra d’Istria, arricchita da inserti di marmi colorati (fig. 24) – e la trifora del piano nobile, che dà luce alla testa del portego, caratterizzata da svelte colonnine d’ordine ionico30 (fig. 25). Alla fine del Quattrocento o ai primi decenni del secolo successivo si possono ascrivere tutte le mensole che sorreggono, su tre lati, la balconata che gira intorno alla corte, frutto all’evidenza di un più tardo riutilizzo31. A ciò si aggiungono, sul fianco del palazzo, in calle Stretta Morosini Pisani, i due mensoloni (sempre in pietra d’Istria) finemente lavorati a rilievo con racemi floreali, tagliati in testa e recuperati per sostenere il fondo esterno di un camino (fig. 26). Ritornando all’atto divisionale della casa dominicale del 1541, il documento parla in maniera esplicita della necessità di costruire un muro che avrebbe dovuto tagliare il portego terreno e quello del piano nobile, separando così il corpo di fabbrica in due unità abitative. Questa condizione frammentaria verrà superata nel 1554, quando Domenico, Francesco, Giovanni, Giacomo e Antonio Priuli, figli di Michele e Paola Molin, acquistarono metà della casa dai cugini Michiel32. A distanza di un anno i fratelli Priuli stabilirono l’indivisibilità del palazzo, con la clausola che ciascuno, qualora lo avesse voluto, avrebbe potuto indennizzare gli altri dalla spettante quota relativa alla metà acquistata. Fra tutti sarà Giovanni ad approfittare di tale opportunità, arrivando a possedere il 60 per cento della casa dominicale33, che, passando in eredità al primogenito Costantin, giungerà infine nelle mani della figlia di questi, Laura34, consorte in prime nozze nel 1619 di Francesco Malipiero e in seconde nozze, nel 1628, di Piero Morosini, a sua volta vedovo di Maria Morosini di Gabriele35 e padre di Francesco, il futuro Peloponnesiaco. [14.] UNA CASA PER I MOROSINI Nel 1628 Laura Priuli vedova Malipiero, sposando Piero Morosini, portava in dote buona parte della casa dominicale. Giusto un anno prima, con contratto del 22 maggio 1627, Elisabetta Morosini quondam Fantin – vedova di Francesco Soranzo e sorella uterina di Michele Priuli quondam Giacomo36 – e Laura Priuli Malipiero arrivavano a un accordo. Elisabetta era proprietaria di “parte del stabile grande posto in questa città nella contrà di San Vidal, al presente habitato dall’illustrissimo signor Francesco Malipiero e dall’illustrissima signora Laura Priuli sua consorte, patrona del rimanente del detto stabile [...], qual stabile grande è non solo quello con la corte discoperta, ma anco il secondo soler sopra il stabile piccolo o casa depenta sopra il campo”37. Dunque Elisabetta permutava la sua porzione nello stabile grande con quella appartenente a Laura nello stabile piccolo “sopra campo di Santo Stefano”, divenendo così “per l’avenire di tutto detto stabile piccolo assoluta patrona”. Piero Morosini rimase nuovamente vedovo dopo dodici anni di matrimonio. Laura spirò il 17 novembre 164038, dividendo la propria eredità fra i figli di primo letto, Marco e Costantin Malipiero, e quelli di secondo letto, Marcantonio e Lorenzo Morosini, riservando l’usufrutto dei beni al marito Piero39. Marco e Costantin, testando il primo il 7 gennaio 1641 e il secondo l’8 aprile 1650, disposero a favore dei fratelli uterini40, riconducendo così l’intero patrimonio, casa dominicale compresa – assog- [15.] 14. La corte interna di palazzo Morosini con gli archi gotici crescenti e la vera da pozzo tre-quattrocentesca 15. Particolare della bifora laterale al portego sulla corte interna di palazzo Morosini. Si notino il capitello gotico e la centina dentellata degli archi [13.] 46 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 47 16. Finestra dell’ultimo piano sulla corte interna di palazzo Morosini. Il balconcino è sostenuto da protomi leonine di matrice gotica 17. Frammento di intonaco quattrocentesco a rengalzier in una stanza di palazzo Morosini [17.] gettata da Laura a un fidecommesso perpetuo in una delle sue discendenze –, nelle braccia dei Morosini. Comunque sia, nel 1643 l’antica casa dominicale risultava eletta come residenza da Piero Morosini: il 23 febbraio i Giudici di petizion facevano stilare un “inventario de’ beni mobeli [...] essistenti in casa del nobil homo ser Piero Moresini fu de ser Michiel, de ragion del quondam nobil homo ser Lorenzo Moresini fu fratello del sudetto nobil homo ser Piero, posta in contra’ de’ San Vidal sul campo de’ San Steffano”41. Nell’anagrafe del 1642, Piero non risulta però fra i capifamiglia nobili della contrada. Si registrano infatti un Giacomo, un Francesco e un Lorenzo Morosini, quest’ultimo, il fratello maggiore di Piero, con un nucleo formato da diciannove “anime di casa”42: nove familiari più dieci servitori. Soltanto nel 1661 si registrava in parrocchia di San Vidal la presenza di una “casa propria de messer Piero Moresini procurator, nella quale habita”43. Non abbiamo riscontri in merito a lavori eseguiti da Piero Morosini nel palazzo, ma forse risale agli anni sessanta del Seicento la costruzione della sobria scala interna che, dal portego terreno, raggiunge il piano nobile (figg. 27-28), per proseguire in forma più dimessa verso il mezzanino di sottotetto. Il portale di accesso alla scala riutilizza fra l’altro elementi più antichi come le colonne e i capitelli (fig. 29). Per rimanere in tema di scale Piero Morosini tentò di costruire anche una scala a bovolo “dalla parte della cale verso tramontana [...] da farsi fuori dal muro” con il permesso dei Giudici del piovego in data 22 giugno 166644. Ma dovette far fronte alle proteste delle proprietarie degli immobili confinanti, le nobildonne Marina, Laura e Andriana Loredan, con una causa che si concluse solo il 4 dicembre 1670 a favore dei Morosini45. “DOPPO INSOFFERIBILI TRAVAGLI ET SOFFERTI PATIMENTI”: UNA CASA PER FRANCESCO Se abbiamo molti capisaldi per la casa dominicale, o “stabile grande”, meno chiare sono le vicende relative al fabbricato prospicente campo Santo Stefano. Il primo documento che cita l’immobile è registrato all’interno dell’inventario delle scritture appartenute a Michiel Priuli, quondam Zuanne, risalente al 1624. Si tratta del “conto dell’illustrissimo signor Michiel di Priuli della opera fatta nella casa dipinta sul campo Santo Stefano”46. Il termine “casa dipinta” è legato alla facciata che si distingueva per gli affreschi con le Storie di Ciro, realizzati da Antonio Vassillacchi detto l’Aliense, quali “singolari pitture che ingioiellavano il palagio”47. Nel 1627 Elisabetta Morosini Soranzo, come abbiamo visto, era divenuta “patrona assoluta” dello stabile. Nel 1649 Fantin Soranzo figlio della nobildonna – passata frattanto a miglior vita – affittò a Marcantonio Foscarini la “casa da statio posta in contrà di San Vidal, in campo di Santo Stefano, sotto la casa del nobil homo ser Piero Morosini quondam ser Michiel”48. Il 9 maggio 1666, si stipulò una convenzione fra Gasparo e Franceso Soranzo, quondam Fantin, e Francesco Morosini di Piero con la quale i Soranzo si impegnavano a “vendere et in perpetuo alienar al detto nobil homo [...] la loro casa, soler di sotto, posta in campo di Santo Stefano” per 2000 ducati. La vendita veniva infine perfezionata con rogito notarile il 13 febbraio 1667, in virtù della procura rilasciata al fratello Lorenzo da “Francesco Morosini [...] al presente per questa Serenissima Republica capitan general da mar”49. Dopo qualche mese, il 20 aprile 1667, “Piero Morosini, procurator fu de messer Michiel d’anni 72 in circa amalato di febre et cataro già giorni 5”50, moriva, nominando eredi i figli Michele e Francesco (nati dal primo matrimonio con Marietta Morosini), Lorenzo e Marcantonio (nati dal matrimonio con Laura Priuli). Nel 1670, a seguito delle ben note disavventure militari51, Francesco Morosini rientrava a Venezia. Un anno dopo, il 1° marzo 1671 i fratelli Michele, Lorenzo e Marcantonio – “desiderosi di sostenere et conservare, ad onta dell’invidia et malignità, quel pocco decoroso et riguardevole”52 del patrimonio, messo in pericolo a causa di “considerabili dispendii [...] et azzardi [...] per li debiti lasciatelli dalla beata memoria del procuratore loro padre” – si impegnavano a cedere il “maneggio” degli affari di famiglia a Francesco. Quest’ultimo – “se bene li pareva dovuta più tosto la quiete et il riparo, doppo insofferibili travagli et sofferti patimenti nella difessa di Candia, concorde di quanta importanza et vantaggio” fosse tutelare la famiglia dalla rovina economica – accettava la richiesta dei fratelli, i quali “si obbligavano per darli modo di poter sostenere con vigore il grave peso”. L’incarico aveva effetto immediato e Lorenzo, che dalla morte del padre aveva retto l’amministrazione della casa, si adoperava “a dar notta distinta” d’ogni cosa a Francesco che avrebbe fissato un treno di vita assai rigoroso per i fratelli e nominato un “fattore” per “tenere diligente scrittura di tutto quello si andasse spendendo”53. Francesco però non riuscì a sostenere a lungo l’impegno e appena due anni dopo, il 1° marzo 1673 – “non volendo per le cause moventi l’animo suo [...] più continuare nel ministero e governo della casa, né potendosi al momento venir a divisione stante le indispositioni” dei fratelli Marcantonio e Michele – restituì a Lorenzo il “governo” delle sostanze familiari. Le “indispositioni” dei due fratelli ricordate da Francesco erano cosa seria, poiché Marcantonio morì di lì a poco, il 13 marzo 1673 all’età di quarantaquatto anni circa, “amalato di febre e mal caduco già mesi sei”54, seguito l’8 giugno da “Michiel Morosin cavalier fu de messer Piero procurator, d’anni 64 incirca, amalato di poplesia già un anno incirca”55. Testando nel marzo 1672, Marcantonio disponeva che i beni ereditati dalla madre Laura andassero al solo fratello uterino Lorenzo, mentre la parte di quelli paterni fossero goduti dai fratelli Francesco e Michele e, dopo la loro morte, ritornassero nel suo residuo vincolato alla primogenitura dei figli di Lorenzo56. [18.] 18. Finestrella gotica al piano terreno di palazzo Morosini vista dalla calletta che confina con palazzo Pisani [19.] 48 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 49 [19.] 19. Polifora del portego del piano nobile di palazzo Morosini verso il rio del Santissimo con colonne, capitelli e stipiti gotici 20. Ultimo piano della facciata di palazzo Morosini sulla corte maestra con le finestrelle e la linea di gronda in pietra d’Istria con il motivo gotico a losanghe 50 L’inventario dei beni pro indiviso della fraterna Morosini, stilato il 19 settembre 1673 dopo la morte di Michele e su istanza della figlia di questi Daniela57, descrive gli interni della casa di famiglia seguendo la denominazione degli ambienti con un ordine di percorso, non del tutto razionale, che iniziando dal primo piano nobile prende le mosse dal lato verso il rio del Santissimo: “cameron d’udienza sopra il canal”; “cameron avanti al suddetto sopra la terazeta”; “salon dipinto”; “gallaria delle colonne”; “camerin delle bandiere”; “cameron a cappo del portico sopra la corte”; “camera ove mangiano i padroni”; “camera dell’eccellentissimo signor cavaliere [Michele] verso Ca’ Pisani”; “camerin novo e andito”; “camera grande sopra la calle verso Ca’ Pisani”; “camerin attaccato alla suddetta sopra la stessa calle”; “camera dove dorme l’eccellentissimo signor Lorenzo sopra il canal”; “portico”; “andietto alla porta della scala”; “appartamento dell’eccellentissimo procuratore [Francesco Morosini]”. In questo elenco troviamo alcuni vani, oggi irriconoscibili, ma che nel 1673 risultavano ben caratterizzati, come il “salon dipinto” o quello denominato “galleria delle colonne” (forse anch’esse dipinte?). A ogni buon conto l’inventario si fermava sulla soglia dell’appartamento di Francesco Morosini, di sua esclusiva residenza e proprietà, dove si registravano, perché riferibili alla fraterna, soltanto due “quadri con suazzetta dorata con il re di Francia e [...] fratello” e dodici piccoli dipinti “con soggetti diversi e dame di Franza”. Come visto, la casa dipinta sul campo veniva acquistata nel 1667 da Francesco Morosini, attraverso la procura al fratello Lorenzo, quand’egli si trovava ancora impegnato Massimo Favilla, Ruggero Rugolo nella difesa di Candia. Sarà soltanto a partire dal 1670, dopo il ritorno in patria, che Francesco inizierà a occuparsi della propria dimora58. Poneva subito mano all’aspetto esteriore della “casa dipinta”, che avrebbe visto le “singolari pitture” dell’Aliense59, che ornavano il prospetto, “cancellate e concambiate in tanti sassi”. Risale al 1° agosto 1670 l’incarico al tagliapietra Girolamo Viviani60 per “far la facciatta et porton [...], giusto al dissegno fatto da me Isepo Benoni protto”61, mentre il 17 novembre 1671 Marco Beltrame “scultor a San Vidal”62 si obbligava a “far l’opera de intagio nel portone che fa messer Gerolamo Viviani tagiapiera a San Trovaso” nel “cortile del palazzo sul campo a Santo Stefano”63 (fig. 30). L’accordo con Viviani per “far la facciatta et porton” è stilato da Giuseppe Benoni, ingegnere specialista in idraulica, “proto”, ovvero sovrintendente, alla fortezza di Palmanova (1645-1656), dal 1657 e fino alla morte, avvenuta nel 1684, funzionario del Magistrato alle Acque della Sere- [20.] nissima64. Non sappiamo se Francesco avesse interpellato altri candidati per progettare la facciata sul campo e il nuovo ingresso alla casa di famiglia, fatto si è che la scelta cadde su un architetto di fabbriche ‘sode’ e ben piantate quale era Benoni. Il legame di Francesco Morosini con Benoni doveva esser ben stretto, se troviamo il fratello di questi, Andrea, presente come sergente ingegnere nella presa di Santa Maura, sotto le cui mura cadde nel 168565. Senza contare che Morosini fu tra i Procuratori di San Marco de Supra che nel 1676-1677 giudicarono il progetto di Benoni per la rifabbrica della Dogana da Mar più meritevole di quello di Baldassare Longhena66. Ritornando alla facciata (figg. 10, 32), il dettagliato contratto del 1° agosto 1670 stabiliva di realizzare, per il prezzo di 1000 ducati, al piano terreno un rivestimento alla “rustegha”67 con pietre “dette bugne” fatte “tonde, [21.] in forma di mezzioghola”, nel quale si dovevano aprire “sei balchoni”, ovvero finestre, mentre al primo piano erano previsti “quattro pergholi [ovvero poggioli] giusto in conformità del dissegno”. Era necessario tener conto delle preesistenze, poiché i nuovi balconi dovevano “esser fatti nella conformità del vecchio che saranno nel mezo delli detti tutto compagno, dovendo far le saghome tanto di pozi [parapetti]68 come di colonelle”. Al già esistente “pergholo grando vecchio di mezo” si dovevano “tagliar le doi erte [stipiti], una per parte” aggiungendo una “soazatta [ovvero incorniciatura]” simile alle altre quattro finestre, aggiungendo un “fronta spicio giusto al dissegno”, il tutto in “pietra viva batuda da ben”. Al secondo piano “tutti e sei i pergholi” avrebbero avuto la cornice soprastante l’apertura ornata da “volutte che vengha conforme si vede il dissegno, con suo sporto che sporgia forra in forma laudabbille”. Molto sobrie le quattro finestre dell’ultimo piano “con erte e sogieri giusto conforme quelle nel primo soler et sotto alle piane [ovvero davanzali] farghe sotto le sue giozzole [ovvero mensolette] finte di pietra viva”. Particolare cura veniva riservata alla “gorna”, ovvero alla linea di gronda, con “dodici garbette” che si prolungavano fino a 21-22. Veduta di un angolo al piano nobile di palazzo Morosini nella corte verso calle Stretta Morosini Pisani con le protomi leonine gotiche (particolare) che sorreggono il balcone seicentesco [22.] L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 51 toccare la cornice superiore delle finestre, “fatte un pocho spanzude in forma di cartella” (fig. 10). Colpisce, nella scrittura, l’obbligo del tagliapietra Viviani di “far cinque gioccole sotto le figure, giusto al dissegno della facciatta, senza obbligho però di figure di sorte alcuna”. Non sappiamo infatti se le mensole fossero da collocare “sotto le figure” già affrescate da Aliense, ma che Boschini dava come del tutto obliterate nel 167469, oppure fossero previsti nuovi dipinti da inserire nelle cinque specchiature che separano le finestre del primo e del secondo piano. Il nuovo portone, “che vienghi nel cortil” della casa dominicale, doveva essere realizzato “alla rustega”, fatto “in più pezzi senza però obbligatione di intagli”. Viviani avrebbe procurato tutta la pietra “sequarizzata [ovvero squadrata] all’intagliador per far detti intagli del porton”. Allo stesso veniva poi concesso di recuperare le “quatro finestre di una pietra che si caverano fora di oppera della facciata nel primo soller, et più li sarà datto anche il porton vechio che vanno nel cortille, ancho il cantonal che sono al muro del detto porton, et oltre se forra di oppera si caverà di robba vecchia nella detta facciatta, ecettuatto però le gorne”70. In una successiva scrittura, datata 15 maggio 1671, Viviani stabiliva la scansione temporale dei propri obblighi di cantiere: “tutta la rustica d’abbasso, li 4 pergoletti con li suoi ornamenti, del pergolo grande al primo solaro [...] per mezo zugno prossimo venturo [...]; per tutto luglio si è obligato portare le due fenestre dell’ultimo solaro di sopra e tutte le cornici di detta facciata et altri ornamenti conforme al disegno. Et li 20 agosto susequente debbi condur tutto il resto dell’oltrascritta facciata, eccettuato le colonelle, poggi colonelli e portone”71. Il tutto doveva esser compiuto entro “l’ottobre prossimo venturo” del 1671. Al contempo, il murer Antonio Bandera si obbligava a metter subito in opera “tutte le pietre [24.] [23.] 24. Arcone d’ingresso al portego terreno del palazzo 23. La corte maestra di palazzo Morosini verso l’arcone d’ingresso al portego terreno; a destra la vera da pozzo a bulbo sei-settecentesca [25.] 52 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 25. Trifora rinascimentale al piano nobile verso la corte maestra; a sinistra il finestrone seicentesco 53 [26.] 26. Mensola protorinascimentale sul fianco di palazzo Morosini verso calle Stretta Morosini Pisani 54 vive, che di tempo in tempo li sarà consegnate”72 da Viviani, e inoltre a “far il camerino sopra il canto della galaria, smaltar et stabelir di tutta perfecione la faciata come anco il camerino; meter inopera il porton et far le sue fondamente che li bisognerano”, il tutto per 200 ducati. Il 27 marzo 1672 Gerolamo Viviani presentava una nota dei lavori eseguiti “di più et di manco del mio acordo già fatto et stabilitto con l’illustrissimo et eccellentissimo signor Francesco Morosini, cavalier et procuratore di San Marco”73, “in conformità del disegno et scrittura fatto dal messer Iseppo Benoni protto, et detta opera si ritrova al presente nel suo palazzo dominical”, ossia “la faciatta et il porton sopra il campo di Santo Steffano, il tutto stabilito [...], rimessi tutti essi lavori et altri fatti et fatto”. Quindi, alla luce di questa testimonianza, nel marzo 1672 questo cantiere poteva dirsi definitivamente concluso. La facciata, così come oggi la vediamo (fig. 10), ha subito però nel tempo alcune modifiche. Sono scomparse le volute, che decoravano le finestre del secondo piano, previste dal contratto del 1670 e ben visibili nelle incisioni di Luca Carlevaijs del 1703 (fig. 46) e di Vincenzo Coronelli del 1709 (fig. 32), ma già obliterate nel rilievo di Girolamo Soardi del 177374 (fig. 7) e lì non ancora sostituite dai timpani triangolari. Sono state rimosse anche le mensole, “giozzole”, che sostenevano i davanzali delle aperture dell’ultimo piano, presenti nel disegno del 1773 (fig. 7). Più tarde, collocabili fra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del secolo successivo, giusta il confronto di due immagini fotografiche (figg. 1, 31), risultano invece le due porte laterali che nel bugnato al piano terreno sostituiscono altrettante finestre. Contemporaneamente ai lavori nel corpo di fabbrica su campo Santo Stefano, si dotava l’interno della casa dominicale di un oratorio domestico, costruito con accesso diretto dalla stanza da letto di Lorenzo Morosini sul lato destro del palazzo verso il rio del Santissimo. Il nuovo vano non viene registrato nel succitato inventario del settembre 1673, ma un breve di papa Clemente X, del 16 giugno dello stesso anno, indirizzato “alli diletti figlioli”75 Francesco e Lorenzo Morosini, autorizzava a celebrare messa “nell’oratorio novo”. La scarsella76, che sorretta da mensoloni sporge all’esterno nel piccolo cortile (fig. 34), è preceduta da un ambiente caratterizzato da una volta a ombrello, forse appartenente a una più antica preesistenza (fig. 33). Il vano della cappelletta è interamente rivestito da un rigoglioso apparato a stucco riferibile alla mano di un artista, forse ticinese, attivo a Venezia negli anni settanta del XVII secolo (fig. 35). La foggia degli angioletti, come quella dei motivi ornamentali entra in risonanza con gli stucchi che decorano la volta del presbiterio dell’oratorio di Sant’Antonio abate a Morcote, considerato dalla critica come il primo lavoro di Pietro Roncaioli che lo avrebbe realizzato intorno al 167677. Ma si tratta di una corrispondenza legata a modelli comuni, a quelle date, alla folta schiera di stuccatori ticinesi attivi in tutta Europa78. In tale fervente attività si prevedeva inoltre un apparato decorativo scultoreo, forse in parte da collocare nell’androne terreno, da affidare agli scalpelli di Orazio Marinali e di Tommaso Rues79. È probabile che già prima del 1670, forse immediatamente dopo l’acquisto da parte di Francesco Morosini della casa sul campo, si collegassero i due edifici attraverso Massimo Favilla, Ruggero Rugolo 27. Veduta del portego terreno verso la porta d’acqua sul rio del Santissimo [27.] la costruzione di un corridoio orizzontale chiamato andito o passatizio addossato al lato sinistro della corte e sovrastato da una terrazza80 (fig. 36), operazione che comportò lo smantellamento dell’antica scala di pietra a due rampe81. Tale espediente si rese necessario per porre in comunicazione, all’interno, i mezzanini della casa dominicale e, all’esterno, il portego del piano nobile con il primo piano dello stabile che si affaccia sul campo. I due corpi di fabbrica vennero uniti anche verticalmente, senza risolvere in maniera coerente la saldatura. Non abbiamo dati certi in merito alla facciata della casa dominicale sul rio del Santissimo, ma se i lavori del prospetto dell’altro fabbricato erano compiuti nel marzo 1672, un contratto del tagliapietra Girolamo Viviani con Francesco Morosini, datato 12 aprile 1674, potrebbe riferirsi proprio a questo cantiere. Infatti la fornitura di pietre lavorate appare piuttosto consistente e peculiare per morfologia e dimensioni82: “cordon di piera de Istria pezzi otto lungi de piè sette onze otto, groso de onze nove alti e onze sei [...]; quariselli numero 6 sopra col suo beco di cueta83 [...] quadri perfeti [...]; piane numero 8 [...] lavorate a morello [...]; erte numero sedece [...] lavorate a morello [...]; 3 pezi de cornise architravada [...] col suo quaro84 soto [...] col beco della cueta, quadri perfeti come il desegno”. Siamo nel 1674, Francesco è ancora il committente, e potremmo quindi riferire il progetto del fronte sul rio allo stesso Giuseppe Benoni per il linguaggio architettonico che l’accomuna a quello del blocco sul campo, e in particolare per il basamento alla rustica e per la porta d’acqua, quest’ultima caratterizzata dalla struttura della cornice che si trasforma in un timpano arcuato, legando l’ingresso alle due finestre laterali, come nel caso della quadrifora su campo Santo Stefano (fig. 37). Se teniamo conto della strettezza e dell’importanza secondaria del rio, nell’insieme risulta trattarsi di una soluzione improntata al risparmio, laddove rimane inalterata l’irregolare scansione forometrica preesistente, mentre la polifora balconata del primo piano nobile riutilizza colonne, basi, capitelli e stipiti gotici (fig. 19). Lo stesso rivestimento del piano terreno e quello del primo piano nobile, caratterizzato nella parte centrale da specchiature di pietra d’Istria, sembrano ‘applicati’ alla superfice muraria, mentre il livello del mezzanino di sottotetto, del tutto slegato dalle sottostanti membrature e nettamente separato da un aggettante cornicione in pietra (con tutta probabilità L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 55 il “cordon di piera de Istria” menzionato nel succitato contratto85), appare quasi come una superfetazione (fig. 39). Mancato Benoni il 23 gennaio 168486 e partito Francesco per la Morea (l’11 marzo 1684 Morosini fu eletto capitano generale da Mar), il rinnovamento architettonico della casa pareva dover subire una battuta di arresto, forse definitiva. Invece è proprio con le prime vittorie sul Turco che il processo ripartiva, almeno sulla carta, e in maniera molto ambiziosa. 28. Portale d’ingresso alle scale nel portego terreno 29. Particolare del capitello gotico del portale d’ingresso alle scale nel portego terreno 30. Giuseppe Benoni e Marco Beltrame, Portale d’ingresso alla corte maestra di palazzo Morosini L’AMBIZIOSO PROGRAMMA DI ANTONIO GASPARI [28.] [29.] 56 Il 27 ottobre 1686 a Venezia si festeggiava con solenne e sfarzoso apparato la conquista di Nauplia di Romania che imprimeva una svolta decisiva alla campagna di Morea, iniziata nel 1684 con la prospettiva di liberare il Peloponneso dal dominio della Sublime Porta. Protagonista indiscusso di tale operazione militare era stato il capitano generale da Mar Francesco Morosini. Le sue vittorie coronavano l’aspirazione, mai sopita della Dominante, di occupare quei territori e consentivano a Morosini di dissipare per sempre i sospetti di aver disonorato Venezia con la pace di Candia del 1669. Medaglie, iscrizioni, dedicazioni di libri, incisioni, componimenti encomiastici e, in ultimo, l’elezione al corno dogale nel 1688 furono la tangibile testimonianza della gratitudine della Serenissima. I primi sintomi di questo esaltante percorso si erano manifestati già nel 1685 quando, “nel giorno dedicato a San Gaetano, sette Agosto”87, le armate veneziane “s’impadronirono gloriosamente” della piazzaforte di Corone. Per celebrarne la conquista, venne fusa una medaglia e il Senato, con decreto del 29 agosto 1685, ordinò l’ostensione del Santissimo in San Marco, e al contempo, con una prolusione elogiativa dedicata a Morosini, volendo estendere alla famiglia “un visibile e patente testimonio del publico gradimento”88, insigniva il di lui fratello Lorenzo del titolo di cavaliere di San Marco. È proprio in tale momento che fa la sua comparsa l’architetto Antonio Gaspari89, quale regista di un ambizioso progetto coinvolgente la persona del glorioso capitano generale da Mar. Il programma, che vedeva protagonisti Lorenzo Morosini (fiduciario di Francesco) e il parroco di San Vidal Teodoro Tesseri, si sarebbe progressivamente sviluppato su tre fronti: il completo rifacimento della chiesa di San Vidal, con una facciata-monumento in memoria di Francesco Morosini e quindi, per riflesso, dell’intera famiglia90; il rinnovamento della casa dominicale, con una sontuosa scala esterna; la costruzione di un doppio mausoleo nella chiesa di Santo Stefano, che avrebbe potuto avere anch’essa una facciata celebrativa sul fianco meridionale dedicata allo stesso Morosini91 (fig. 48). Al 1685 possiamo far risalire il progetto di Gaspari per la rifabbrica della chiesa di San Vidal92 e quello per la costruzione della scala scoperta nel palazzo di famiglia. Riguardo al secondo intervento, la relazione stilata da Antonio Gaspari – che appare rivolta direttamente Massimo Favilla, Ruggero Rugolo [30.] L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 57 [33.] [31.] [32.] all’“illustrissimo et eccellentissimo signor patron collendissimo”93 Francesco Morosini – si proponeva, seguendo gli insegnamenti “di Vitruvio, l’Alberti, Palladio, Scamozzi et altri moderni scrittori”, di fornire una scala scoperta che habbi maestà senza levar il passatitio, rispetto alla communicazione de’ mezadi dell’eccellenza vostra, darli maggior lume, se si può, all’entrada, o almeno non levarne, e far sì che quelli che smontano dalla riva e vengono verso il cortile habbino contiguo il principio della scala scoperta per salirvi e, nell’istesso tempo, vegano la porta maistra; per il contrario quelli che vengono per terra, venendo apunto per la porta maistra, vegano l’entrata dove stano le scale coperte, e medesimamente habbiano contigua l’ascesa sopra la sudetta scala scoperta con quell’istesso intervallo o poco maggiore, o minore, che l’hanno ancor quest’altri, che vengono dalla riva subito che l’hanno veduta. 31. Facciata su campo Santo Stefano di palazzo Morosini, 1930 circa. Cartolina delle Assicurazioni Generali. Si notino le due porte al piano terreno aperte fra il 1890 e il 1930 circa 32. Vincenzo Coronelli, Facciata di palazzo Morosini su campo Santo Stefano, in Singolarità di Venezia. I palazzi, Venezia 1709 58 Affinché fossero evidenti “le difficoltà che vi sono rispetto al sito (tutto fuor di squadra eccettuato nell’angolo della sala)”, Gaspari presentava un rilievo dello stato di fatto in “pianta et alzato, sì di tutto il cortile come sta, come della scala scoperta che al presente v’è, passatitio, pergoli, entrata et altre cose”94. Si tratta di uno dei due disegni, oggi conservati al Museo Correr95 (figg. 40-41), che mostra i due corpi di fabbrica ripresi in sezione e il prospetto della parete di fondo della corte con una erta rampa di scale che raggiunge la terrazzetta balaustrata posta sopra il passalizio (fig. 40). Nel foglio si nota il vano scale interno, il raccordo verticale fra i due fabbricati e il dislivello esistente fra gli stessi. Si possono inoltre cogliere anche alcuni dettagli interessanti: il balconcino rinascimentale dai balaustri squadrati di una delle finestre laterali del portego al piano nobile; i mensoloni barocchi e la cornice che ornano il soffitto del medesimo ambiente, elementi decorativi oggi scomparsi96. L’architetto aveva escogitato due soluzioni, una preferibile all’altra: “Hora per venire alla construttione della sudetta scala, ne ho fatto due inventioni, et l’alzato d’una sola a mio giudicio la più propria e più maestosa rispetto al tempo che non m’ha servito per ellevar l’altra, quale non si risolve le difficoltà della data propositione come la prima, Massimo Favilla, Ruggero Rugolo [34.] se non con grande impedimento et insieme incommodo levando i commodi”. Sebbene la relazione si diffonda nella dettagliata spiegazione di un elaborato grafico oggi scomparso, il foglio sopravvissuto (fig. 41) mostra una soluzione che prevedeva la demolizione del vecchio passalizio per recuperare lo spazio necessario a innalzare una scala a due rampe con un pianerottolo di riposo oltre la metà della prima, un piano di giro scale, un altro pianerottolo di riposo a metà della seconda rampa e un ultimo ripiano davanti al finestrone d’ingresso al portego. Gran copia di sculture disposte lungo la balaustra doveva accompagnare l’ascesa verso il piano nobile, e la statua di un Ercole Nemeo, quale eroe e nume tutelare, accoglieva il visitatore nella nicchia incastonata sulla parete del giro scale97 (fig. 42). Secondo l’idea elaborata da Gaspari, la monumentale scalea si inseriva in un contesto del tutto rinnovato: la casa dominicale veniva sopraelevata, annullando, almeno esteriormente, il dislivello fra i due corpi di fabbrica, e i nuovi fronti prospicienti la corte seguivano – seppur con superiore coerenza – le caratteristiche morfologiche e ornamentali del prospetto della casa sul campo realizzato da Giuseppe Benoni quindici anni prima (fig. 1). Le affinità si possono riscontrare nel paramento murario del piano terreno (fig. 43), con bugne alla rustica, lesene fasciate che inquadrano L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) [35.] 33-35. La volta a ombrello dell'oratorio domestico di palazzo Morosini e la scarsella dell'altare (esterno e interno) 59 Nel1685 si chiese quindi contestualmente un progetto anche al più anziano Giuseppe Sardi 99 • Nella relazione che ci è pervenuta , "con tutta humil et divota riverenza"100, l'architetto sottolineava quel tanto che si vede di difìcultoso in adempire la facitura della scala scoperta in due rami come fu per a 飞 r anti , prima che fo sse il passatitio che comunica dalla casa grande all'appartamento dell'eccelentissimo signor procurator [Francesco Morosini] , et a farsi il novo passatitio facendo esso venire fuori da un balcone dell'anticamera della camera dell'udienza per passare all'appartamento medesimo di sua eccellenza, et di là andar atornovia al cortille , passando dal portone dell'intrada, et voltare seguitando la muraglia vecchia per arivare sino al balcone del cameron tacato alla detta muraglia et di intrare da quello nel medesimo cameron che è al capo del portico. l36.1 l3 ï. l 36. Veduta della corte maestra di palazzo Morosini verso il passaliz io che collega la casa dO l11 inicale a quella su campo Sa nto S t φ 门口. Si possono notare la terrazzetta del passaliz io e due lati del ballatoio che gira intorno alla corte sorretto da mensole rinascimentali di recupero; nell'angolo, il raccordo verticale fra i due fabbricati; in alto, sopra la linea di gronda gotica, una superfetazione forse ottocentesca 37. Giuseppe Benoni , Fa cciata di palazzo Moros ini su ca ll1 po San to Stef ano , particolare della quadri fo ra del primo piano 38. Giuseppe Benoni , Fa cciata di palazzo Moros ini sul rio de l Santissil11 o, particolare della porta d'acqua 3<). Marco Moro, Fa ccíata di pa lazzo Moros ini sul rio de l Santissil11 o, particolare , in G. Fontana, Ve n ez i日 l11 onu l11 en tale p ittoresca 0 sessa 川 ed 口 1i 门 l te af r es r 百 a, i pa a η ti [Venezia 1846] la 倪 z ip i 江 t白 1 di 挝川 s ti η [...], fasc. 27, s.n. t. due fìnte aperture ad arco, mentre il fregio di ordine dorico, con metope che racchiudono panoplie militaresche a segnare il marcapiano, rimanda all'apparato scultoreo realizzato da Marco Beltrame per il portone d'ingresso (白 g. 30); in quello del piano nobile , con i balconcini balaustrati e il motivo ornamentale a volute arricciate con conchiglia centrale collocato sulla cornice superiore delle fìnestre; in quelle del secondo piano con le gíozzole a nappa poste sotto i davanzali e le mensolone spanciate di raccordo con la linea di gronda. Tutte le aperture preesistenti avrebbero subito una trasmutazione. Al piano terreno l'antico arcone (fìgg. 24, 43) sarebbe scomparso per lasciare luogo a un arco ribas sato scandito da triglifì decrescenti fìno alla chiave d'arco e sorretto da due pilastri fasciati. Il nuovo ingresso al portego terreno inquadrava così il portale d'accesso alle scale interne (i l cui timpano spezzato di Benoni veniva sostituito, nel disegno di Gaspari , con uno dalla foggi a tradizionale; fig. 28). Il mezzanino veniva privato di luci e il paramento murario del piano nobile si presentava specularmente scandito alle estremità da un vuoto, formato da un portale e da una bifora balconata , separati da un pieno, costituito da una doppia specchiatura. La medesima partizione veniva replicata , ma in forma più sobria , anche al secondo piano. La proposta depositata sulla carta doveva sacrifìcare (oltre alla trifora rinascimentale) anche il passaliz io con la soprastante terrazzetta , ma, proprio sullato opposto della corte, si costruiva un nuovo ballatoio sorretto da colonne fasciate alla rustica , che , partendo dalla nuova porta-fìnestra del camerone in capo al portego , conduceva fìn sopra il timpano arcuato del portone d'ingresso. 1n quel preciso punto avrebbe preso forma una sorta di belvedere , dove la vista spaziava sul campo verso la chiesa di Santo Stefano, che doveva divenire , nelle intenzioni , il mausoleo di Morosini (自 g. 44-45 , 48). Nel 1685, anno nel quale elaborava le proposte per la casa dominicale , Gaspari non era ancora I'architetto di fìducia della famiglia , un ruolo che gli verrà esplicitamente riconosciuto nel testamento che Francesco Morosini stilò nel 1693, ove si stabiliva di impiegare 20.000 "et più ducati 喇 per il monumento funebre in Santo Stefano, "come dal modello del protto Gaspari appare" , e per "Ia fabricha della [casa] dominicale [...] I.1 S.1 L'idea , suggerita dallo stesso Morosini tramite il fratello Lorenzo, era dunque quella di fare un ballatoio che corresse tutto intorno alla corte. Ma questa idea confliggeva con la presenza di una scala esterna a due rampe, come faceva presente Sardi: "Più si va considerando che la scala si farà in due rami sarebe più della metà coperta da detto passatitio 0 coridoro". Che l'esecutore delle volontà di Francesco fosse il fratello I.wl 60 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L'A RCHTTETTURA DAL M EDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI T R lO NFI) 61 [40.] 40. Antonio Gaspari, Rilievo in prospetto (“Ortographia”) e in sezione (“Sciographia”) della corte maestra di palazzo Morosini. Venezia Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, n. 81. A sinistra, la sezione parziale della casa dominicale con i due porteghi sovrapposti, ripresi verso il rio del Santissimo, e il vano scale interno che dal piano terreno ascende fino al terzo piano; a destra, la rampa della scala che sale verso la terrazzetta sul passalizio e la sezione del corpo di fabbrica su campo Santo Stefano; nell’angolo il vano di raccordo verticale fra i due fabbricati con la proiezione interna delle rampe di scale 62 Lorenzo lo si apprende in un passaggio della relazione, dove Sardi fa riferimento “alli riveriti comandi di vostra eccellenza impartitimi dall’eccelentissimo signor kavaliere, in ordine per dover formar un disegno de una nova scala nel cortille del palazo”. Non ci è giunto alcun progetto riferibile alla mano di Sardi, ma, a differenza della proposta antagonista di Gaspari, questi intendeva conservare il famoso passatizio e realizzare una scala con “maggior comodo, prospetiva alla riva, et più facile all’ingresso dalla parte della terra o campo”. L’idea era quella di appoggiare la scala al muro di tressa101 spostandolo “in testa dell’intrada tacato al volto che tiene le due porte arimpeto della riva [...], la qual muraglia che si deve da nuovo construire [...] non doverà alzarsi più di quanto contien l’alteza del magazen e mezadi e non più, aciò il cameron di sopra resti come il portico che forma il cameron detto a capo del portico”. Erano previste “due collone a rustica ben compartite, che anco farà prospetiva alla riva, in modo che sarano fra le dette due porte, mentre poi tra il vano di mezzo delle due porte si puotrà ponere una gran statua conforme il genio, che sarà un Ercole dio della Forteza” quale simbolo che “corre in tutto il mondo del gran nome della Sua grandeza”. Così facendo “il cortile scoperto sarà di piedi 7 più ristreto di quello si facesse all’altro modo e questo a solo oggietto di conservare il passatitio del coridoro per comodo, senza desendere et assendere come fu detto per comodo di sua eccelenza”. Infine Sardi ribadiva: “circa poi far il coridore che giri il cortile per entrare dal balcone del cameron come divisava vostra eccellenza, questo, per l’inugualità del sitto, è impossibile il puoterlo praticare a causa della inugualità di piani [...], come anco si rende dificultoso dalla parte del portone”. Comunque, Morosini avrebbe potuto valutare “con il proprio ochio” a lavori conclusi; e, se ancora lo desiderava, era possibile realizzare “posteriormente” il corridore, “poiché la scala” non avrebbe impedito “questa operatione”. Anche nella proposta di Sardi si prevedeva una decorazione scultorea “per l’abelire la scala con statue come la medema opera ricerca”, ma, spiegava l’architetto, “essendo cosa mobile et che si può asituare in ogni tempo, si ha ommesso il ponerle nel disegno, et anco nella nota della spesa, mentre sarano di quel valore che più agradirà”. Antonio Gaspari e Giuseppe Sardi, pur non facendone menzione nel loro scritto, prevedevano anche un consistente intervento di restauro esteso, non solo alla corte, ma all’intera casa. Ciò si evince, nel caso di Gaspari, dal disegno sopravvissuto, cui è legata la nota spese per la fornitura di materiali lapidei da parte del tagliapietra Antonio Pachera102; e nel caso di Sardi dalla lista stilata dal tagliapietra Girolamo Viviani103, quest’ultimo già protagonista insieme a Giuseppe Benoni, nel cantiere per la facciata del fabbricato sul campo. A ciò si deve aggiungere la poliza di “mistro Antonio Bandarato”104 per “la spesa di roba e fattura cioè di murer, tagliapietra [...], per l’alzar il palazo dell’illustrissimo et eccellentissimo signor Moresini”, nella quale si prevedevano lavori interni, per “stabilir li parè smaltadi per division di camere [e] soffitti”, ed esterni, non solo nella “corte maistra”, ma anche nella facciata sopra il canale e in quelle “sopra la cortisela” e sopra “la corte del boter”105. Se il progetto di Gaspari avesse avuto corso, l’allestimento di una dimora familiare più che decorosa avrebbe assunto un pregnante valore simbolico, visto che la magnificenza di un “palagio” era “indicio valevole del preggio” di chi lo abitava106. Massimo Favilla, Ruggero Rugolo 41. Antonio Gaspari, Progetto per la corte maestra di palazzo Morosini con la nuova scala a due rampe. Venezia Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, n. 72 [41.] E la “corte maistra”, nobilitata dalla monumentale scalea, rivestiva un ruolo di spazio semi pubblico in continuità con campo Santo Stefano, e ciò per l’accessibilità consentita dal portone sempre aperto durante il giorno, una caratteristica che rimarrà costante per tutto l’Ottocento (figg. 46-47). L’intervento sul palazzo faceva parte di un disegno complessivo che alla fine rimase sulla carta e che, se posto in opera, avrebbe rivoluzionato l’intero assetto dello spazio pubblico dal traghetto di San Vidal fino alla chiesa di Santo Stefano (fig. 50), entrando in risonanza con il rinascimentale palazzo Loredan e soprattutto con il suo lato breve, costituito dalla finta facciata lapidea107 (fig. 45). Che quest’ultima, inutile dal lato pratico, aspirasse alla funzione di pubblico monumento, lo dichiarano le panche in pietra d’Istria che si innestano al pianterreno, a ricordo dei sedili dei clientes delle antiche domus romane. La facciata celebrativa per la chiesa di San Vidal era un tassello di questo scenografico apparato che doveva culminare – come ha notato Antonio Foscari, seguito da Fulvio Lenzo – nella chiesa di Santo Stefano108. Non è un caso che Antonio Gaspari pensasse, in una delle sue proposte, di collocare lungo la navata settentrionale della chiesa il doppio monumento funebre destinato a Francesco Morosini, poiché ciò doveva proiettarsi all’esterno con una facciata celebrativa applicata sul fianco dell’edifico sacro (fig. 48). Tale grandioso, “temeriario”109 stratagemma, avrebbe instaurato una diretta relazione visiva con il ballatoio alla sommità del portale d’ingresso al palazzo dei Morosini e fin dentro la casa (figg. 44-45), essendo la facciata celebrativa in asse con il finestrone del cameron delle armi in capo al portego, là dove si rammentavano con i trofei sottratti al Turco le gesta del “veneto eroe”, che aveva “domato l’orgoglio de’ veri mostri”110. Forse nella mente di Francesco Morosini albergava l’idea di trasformare la platea picta di campo Santo Stefano111 in una platea marmorea, una sorta di foro romano all’antica. Se infatti le “singolari pitture” dell’Aliense sulla facciata di palazzo Morosini risultavano già “cancellate e concambiate in tanti sassi” nel 1674112, il più recente affresco di Girolamo Pellegrini113, che insisteva sul fianco meridionale della chiesa di Santo Stefano, sarebbe stato obliterato dal monumento celebrativo al Peloponnesiaco progettato da Gaspari, una colossale macchina che, con lo schema triassiale proprio all’arco di trionfo, riprendeva la tipologia del tempio di Minerva a Roma nel Foro di Nerva114. Ma era destino che nulla di tutto ciò vedesse la luce. Lorenzo Morosini, alter ego di L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) ALLE PAGINE SUCCESSIVE 42-43. Antonio Gaspari, Progetto per la corte maestra di palazzo Morosini. Venezia Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, n. 72, a) particolare, a sinistra, con la nuova scala che sostituisce il passalizio e l’adeguamento del livello di gronda della casa dominicale a quello del fabbricato su campo Santo Stefano, con la scomparsa del vano scale di raccordo fra i due corpi di fabbrica occultato dal completo rifacimento del paramento murario; b) particolare, a destra, con la rampa terminale della nuova scala ripresa in sezione sul lato della casa dominicale verso il piano nobile (al piano terreno il nuovo arco di ingresso e sul fondo il portale che dà accesso alle scale interne con il frontone regolarizzato; al piano nobile la scansione del paramento murario, porta finestra-biforaspecchiatura-bifora-porta finestra; a destra il ballatoio ripreso in sezione) 63 Francesco, il 14 novembre 1686 moriva all’età di cinquantaquattro anni circa dopo diciotto giorni di malattia115, e con lui, a nostro parere, si spegneva la volontà di condurre innanzi l’articolato e dispendioso progetto, nonostante le reiterate proposte di Antonio Gaspari e del pievano Tesseri per la chiesa di San Vidal. Poco prima di morire, il 23 ottobre 1685, il “nobil homo eccellenza Lorenzo Morosini kavalier”116 aveva fatto in tempo a commissionare ai fratelli “Santo e Iseppo quondam Battista Girardi tagiapiera [...] di lavorar perfetamente”, oltre che “far pianar et lustrar quadri mile incircha [...], un bianco et un rosso”, per la pavimentazione del portego terreno, un lastricato che, fortunatamente, è giunto fino a noi (fig. 27). Lorenzo cedeva il testimone al figlio Pietro, che otto anni dopo avrebbe dovuto farsi carico, senza risultato, delle ultime volontà del doge-guerriero in merito al palazzo e ai monumenti funebri. Difatti in tale congiuntura non avrà maggior fortuna il monumento all’interno della chiesa di Santo Stefano da erigersi, secondo le volontà testamentarie di Morosini, entro due anni dalla sua morte, avvenuta nel 1694117. Pietro moriva improvvisamente il 6 marzo 1702, all’età di trentotto anni, “ammalato da caduta apopletica in giorni due”118. Negli anni della sua amministrazione familiare [42.] 64 [43.] Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 65 44. Veduta verso la chiesa di Santo Stefano dal ballatoio della corte maestra di palazzo Morosini ben poco si registra sulle vicende architettoniche legate al palazzo. Al 1° settembre 1693 risale un amichevole accordo con i vicini Pisani: 45. Veduta di campo Santo Stefano dal “belvedere” sopra il portale d’ingresso alla corte maestra di palazzo Morosini desiderando il nobil huomo Lorenzo Pisani del nobil huomo Giovanni Francesco far costruire uno studiolo o alcova in uno delli mezadi del palazzo posto in contrà di San Vidal, qual loco s’estendeva in alto al di fuori, sopra una corte di ragione propria delli nobil huomini Pietro e fratelli Morosini fu de Lorenzo kavalier, contigua alla callesella, pure di loro ragione, che divide il loro palazzo da quello de cha Pisani, ciò li viene concesso da detti nobil huomini Morosini senza pregiudicio delle loro ragioni e per sola gratiosa urbanità119. La cortesia veniva restituita dai Pisani un anno dopo, quando il 1° luglio 1694 con una scrittura privata Michele Morosini quondam Lorenzo (fratello di Pietro) chiedeva di “far un’apertura di finestre di piedi nove di larghezza e cinque incirca di altezza dirimpetto i suoi mezadi in una parte della mura ch’è di propria ragione” dei fratelli [45.] Francesco, Andrea, Alvise e Mattio Pisani quondam Almorò, “la quale è in capo alla calesella del palazzo di Ca’ Morosini” e “forma facciata dalla parte di ponente d’intorno la corte di quello di Ca’ Pisani”120. UN FINALE SENZA SLANCI Non abbiamo notizie sul destino degli ambiziosi progetti legati alla corte maestra; non conosciamo i motivi che spinsero ad abbandonarli, né sappiamo con precisione quando quello spazio assunse l’aspetto che ancora oggi lo caratterizza. Il ballatoio che gira “atornovia al cortille”121 (figg. 5, 23, 36, 44) – la cui idea, secondo le parole dell’architetto Giuseppe Sardi spettava a Francesco Morosini – da farsi, nel caso, dopo la costruzione della scala monumentale, venne infatti realizzato con una balaustrata in pietra d’Istria, invero sgrammaticata e irrisolta, in particolare nei punti di giuntura degli angoli. Per attenuare il dislivello fra il portego del piano nobile della casa dominicale e il primo appartamento nella casa sul campo, molto semplicemente si sopraelevò un poco il già esistente passatizio con la terrazzetta (fig. 36). Le facciate invece non furono toccate e rimasero con il loro evidente palinsesto di differenti stili architettonici: dal Gotico (la linea di gronda, gli stipiti dei finestroni al piano nobile e quelli delle finestrelle dell’ultimo piano) al Barocco (il finestrone di ingresso al portego, quelli sopra il passatizio e la balaustra), passando per il Rinascimento (l’arcone d’ingresso all’andito terreno e la trifora del piano nobile). A suggello del diverso approccio, che caratterizzerà le generazioni successive a quelle di Francesco e di Lorenzo, riportiamo un passaggio della relazione sullo stato economico (improntato al risparmio) della famiglia che Michele Morosini fece pervenire al fratello Francesco il 15 aprile 1720122. Il brano fornisce un appiglio cronologico per la costruzione del parapetto del corridore collocandone l’esecuzione prima del 1720, ma dopo la morte di Pietro Morosini avvenuta nel 1702. Scriveva Michele: Perdonatemi se mi fo lecito avanzarvi un suggerimento economico che è di grande risparmio, et è una sansugga che piacevolmente toglie il vigor più robusto alle private facoltà; tenetevi lontano da fabriche superflue che sono un incantesimo d’apparente diletto, ma di vera distruzione. Se havessi creduto che l’acomodare il pozzo, salizar la corte, nobilitar la camera delle arme e fare la [44.] 66 Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 67 ringhiera di marmo dovesse tanto costare, non haverei intrapreso il lavoro; per lo più io ho secondati li voleri de’ miei fratelli molte volte. [46.] [47.] 68 46. Luca Carlevarijs, Veduta del Campo di Santo Stefano, in Le fabriche e vedute di Venetia […], Venezia 1703, particolare con il portale d’ingresso alla corte maestra di palazzo Morosini Con tali presupposti, il Settecento trascorse senza grandi afflati sotto il profilo architettonico, ma, in conformità con la moda del tempo, preferì concentrarsi sulla decorazione degli interni123. Con buona probabilità, risale alla metà del secolo la sistemazione del portego con le sovraporte e la cornice del ritratto di Francesco Morosini124 (fig. 18 in De Vincenti in questo stesso volume), tela che faceva da fulcro ai quarantotto dipinti raffiguranti le imprese del Peloponnesiaco. Contestuale, o di poco più tarda, dovrebbe essere la decorazione plastica della ex sala di udienza affacciata sul rio del Santissimo, con la tela da soffitto, oggi scomparsa125, e dello stesso periodo parrebbe l’apparato ornamentale della saletta che precede l’antico oratorio domestico. Nella quasi totale assenza di riscontri documentari, registriamo la presenza dello stuccatore Giacomo Solari126, che realizzò prima del maggio 1784, la decorazione, oggi perduta, del mezzanino del “Nobil Homo Kavalier Morosini” Francesco I127. Sarà il catastico del 1773 (figg. 3-8) a fissare sulla carta il punto di arrivo di un secolare processo di trasformazione; a quella data le due unità erano oramai da tempo percepite come un organismo unico, come verrà poi certificato nel Catasto Napoleonico del 1809-1811 (fig. 50). La descrizione del 1773 fotografa una realtà ancora viva e pulsante colpita da un ultimo bagliore di luce. Dopo si passerà agli inventari del tar- 47. Jean-Jules-Antoine Lecomte du Nouy, Portale di ingresso alla corte maestra di palazzo Morosini, 1880. Mercato antiquario 48. Antonio Gaspari, Progetto per la facciata celebrativa dedicata al doge Francesco Morosini da collocarsi sul fianco meridionale della chiesa di Santo Stefano. Venezia, Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, n. 39 49. Veduta della corte maestra di palazzo Morosini verso l’arcone d’ingresso al portego terreno, primo quarto del XX secolo, foto Giacomelli. Venezia, Archivio delle Assicurazioni Generali [48.] [49.] Massimo Favilla, Ruggero Rugolo L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 69 do Ottocento: e le nchi di qu a dri , di bronzi , di mobili , di porcella ne, lunghi come litanie , le " preci dei defunti 飞 per u sar e una definizione presa a pres tito da Pompeo Molmenti l28 . Sono le pr 陀 eCl 陀 r ecita 忧 e da 剖 g li "s 叩 pogli 归 atωor 川噜才 id 副 1 Venezia" C∞ ompet 忧 enti , "denudarono d 'ogni arr e damento le dimo re patrize 飞 un destino al qu a le , come sappiamo, non s fu ggirà l'avita dimora dei Morosini (fig. 49) . "Un nuovo ed enorme vandalismo sta per essere commesso" , s criveva Pietro Saccardo il4 aprile 1894 in una le tte ra destinata forse a Molmenti l30 : 1 forestieri ci tengo no g li occhi addosso [. ..] ricordo che un g iornale inglese "Th e Scotsman" , qualche anno fa , conteneva un lungo articolo s u questo argomento e metteva p e rfino in campo l' idea d ' una colletta mondiale dire tta ad assicurare a Venezia intatta l'abitaz ione di uno dei più illus tri fra i dog i e l'unica che resti ancora nella s ua antica originalit à. È il caso adunque di fare qualunque sacrifizio. 1. G. Fontana , Venezia 1110nu111entale pittoresca o sessanta fra i pa la zzi più distin ti ed interessanti [...], fasc. 27, s. n. t. [Venezia 1846]. I1 primo fascicolo l1 scì ne l1 'ap rile del 1844, con l1 na cade nza mens 卜 50. Particolare di ca ll1 po Santo Stefano. C 口 taso Napoleonico, Mappa de l/ a regia città 日, tav. 18 di Venzi 70 le per l1 n totale di sessanta fascicoli. Per q l1 esto è pla l1 sibile che il "fasc. 27" sia l1 scito ne11846. 2. Si veda q l1 i il saggio di Br l1 no Bl1 ratti. 3. G. Gl1 l1 ino, Francesco Morosini, il Peloponnesiaco , in Francesco Morosini 1619-1694. L'U01110, il doge, il condottiero, Roma 2019, pp. 27-33. 4. I pili portabandiera di Venezia , a Cl1 ra di P. Renier, Venezia 1985, p. 12. Ringraziamo Riccardo Viane l1 0 per la segnalaz ione 5. G. Tassini , Curiosità venezia ne, 0 ν 凹 o ong1l1 1 de l/ e den0111inazion i strada li di Venzi 口, Venezia 1887 (ma aggiornata aI1889) , p. 13 6. Venezia antica. Le 111e1110rie de' Morosini , in "11 Pensiero" , 15, 11 novembre 1857, p. 115. Sl1l1 a dispersione de l1 e co l1 ezioni si veda q l1 i il saggio di Cam il10 To nini. 7. Ovvero 1772 1110re veneto. 8. Venez ia, Bibl ioteca del Ml1 seo Correr (d'ora in poi BMCVe) , Ms PDc 2795, "Catastico de l1 i stabili de l1 a casa ecce l1 entissima Morosini" , tavv. 1-7. Dove non diversamente speci 自 cato le citazion i sono tratte dal doc l1 mento q l1 i indicato. 9. Mancando il mezzanino, il primo piano si colloca a l1 n live l1 0 più basso rispetto al1 a norma 10. Sl1 i caratteri tipologici de l1 'ed ili zia ve nezia na si veda P. Maretto, La casa veneziana ne l/ a storia de l/ a città: da l/ e origini a l/ 'Ottocento , Venezia 1987. 11. V. Contice l1 i, Palazzo Morosin i e le arch itet ture celebrative per il doge Peloponnesiaco , tesi di la l1 rea , relatore L. P l1 ppi , Università degli Stlldi di Venezia Ca' Foscari , a.a. 1994-1995, p. 14, nota 10 12. Ivi , pp. 15-16. 13. Ibide111. 14. Venezia , Archivio di Stato (d'o ra in poi ASVe) , Cance l/ eria In 卢 rio e , Notai, b. 126, fascc. 4-7, 13 111gli o 1333. I1 doc l1 mento è segnalato da W. Dorigo, Venezia R01anic 口, , Case l1 e di Sommacampagna-Venezia 2003 , p. 792 , tavv. 11A-B , ma posto in relazione al pala zzo da J.-C. R 凸 sler , Dai Gradenigo ai Moros in i: la D i111 0ra del Peloponnesiaco , in "Ricche Minere" , 11 , 2019, pp. 59-73: 59 I巳 5 . ASVe , Ar 比 -c hi ω vi ω10 Gr 叫.千 i1a 门川 i Mors Ïl 门川 1甘 i Gat 臼 erbu g , b.2μ4 ,f:臼 as 优 C巳 .s 优 eg 伊 natω0 吮 [.ι川…] N.N. H. H. E. Fran 俨 . M 咀四 4剧 i比 ch 甘 i怡 e l 白 f rat 臼ωe l1 iMoαre 创 s in 川 1甘 i c oil N.H. E. Costantin de Pri l1 li q.m E. Piero 飞 c. lr-6r; doc l1 mento in parte trascritto da R 凸 sler , Dai Gradenigo, cit., p. 59. 16. Crozola è I'im pianto planimetri co del portego a forma di T; E. Conci na, Pietre parole storia. Glossario de l/ a costruzione ne l/ e fonti veneziane (seco li XV-XVIII) , Venez ia 1988, p. 67. 17. ASVe , Archivio Gri111an i Morosini Gatterburg, b. 23, fasc . 4; citato da Rössler, Dai Gradenigo, cit., p. 59, nota 2 18. ASVe , Dieci savi a l/ e deci111e in Rialto, b. 74, nn. 53-54; citato da G. Can iato, La Ca' dei Mo rosini a San Vidal. Note su l/ e vicende patri1110n iali, in Francesco Morosini 1619-1694 , cit., pp. 213-217. 19. ASVe , Dieci savi a l/ e deci111e in Rialto, b. 92, n 149; Contice l1 i, Palazzo Moros ini, c> t. , p. 27. 20 . 。飞 rve ro le sl1 ccitate "dom l1 s a serge ntiblls". 时 n i GaterbL 口 Irg , 2 1. AS 飞 Ve 巳 , Ar 陀 'c l 印、 hi ν '1 ω i o Gr 叫 i1η Q1 ηli Morsi b. 24, 臼 f: as 仄 c . 优 s 句咱e gnatω0 吮巩 ' ι[ …...]NH 丑 E.F 引 r阳 'a 创 n 俨. Mi 比 chi 甘 i恒 el 创 1 白 f rat 忧时 e l1 i Mor 陀 es 剖 i 川 n 1甘 i Cο 。 川 i I N 可 .H. E. Costa ntin de Pri l1 liq.m E. Piero" , cc.12r-15r; doc l1 mento trascritto da Rössler, Dai Gradenigo, cit., pp. 70-71 , doc. 1. 22. Riguardo al1 e tre vere da pozzo, l1 na tre-q l1 attrocentesca e d l1 e se 卜 setcn t esc h e , ancor oggi esistenti nei cortili del palazzo , ringraziamo AIberto Ri zz i per I'informazione 23. Già nel 1604 Miche le Pri l1 li aveva vend l1 to ad Alvise Pisani tre casette; Contice l1 i, Palazzo Morosini, ci t., p. 32 .. Massimo Favil 旬 , Ruggero Rugolo 24. Per le vicende relative al1 e controversie fra i Pri l1 li e i P i sa ni 白 n o a11619: ivi , pp. 32-39. 25. ASVe , Archivio Gri111ani Morosini Gatterburg, b. 23, fasc. segnato "Compositioni per le casette a Santo Stefano et a1tro con li H.H. Pisani [...]", cc. n.n. AI1 'interno del fascico lo es isto no i disegni in pianta , delineati dal perito Adamante Martine l1 i, datati JO maggio 1713 che doc l1 mentano 10 stato di fatto e q l1 e l1 o di progetto. 26. Intonaco a >l1itazione di l1 n paramento ml1rario a mattoni; M. Piana, Pri1110 inν entario degli intonaci venezian i, in "Ricerche di storia de l1 'a rte", 24, 1984, p. 50. 2 7. Ringraz iamo Mario Piana per la segnalaz ione Contice l1 i, Palazzo Morosin i, cit., p. 15. 28. Ivi , pp. 11-12 29. Ivi , p. 11. 30. J\在 o lt o simili ne l1 0 stile e nel dettaglio a q l1 e l1 e de l1 a polifora del vicino palazzo Loredan. 31. Si veda infra. 32. R 凸 sler , Dai Gradenigo, cit., p. 59 33. Ibide111. 34. La l1 ra Pri l1 li Malipiero nel 1626 era sl1 bentrata ai frate l1 i ne l1 a proprietà di l1 na porzione de l1 a casa dominicale; Caniato, La Ca' dei Morosini, ci t., p. 214 35. Gl1l1 ino, Fra ncesco Moros in i, cit., pp. 27-28 36. El isabetta aveva ered itato nel1623 da l frate l1 0 l1 terino Miche le Pri l1 li; Rössler, Dai Gradenigo, cit., p.60. 37. ASVe , Archivio Gri111 ani Morosini Gatterburg , b. 24, fasc. segnato "C [...] Acq l1 isto de l1 a portione di casa a Sa n Vidal aspettante a E. Giacomo de Pri l1 li q l1 0ndam E. Michiel", cc. 6r-9 r; citato da Röss ler, Dai Grade ni ¥ 0 , cit., p. 6 1. 38. Ve nezia, Archi vio Storico del Patriarcato ( d' 。 ra in poi ASPVe) , Parrocchia di San Vida l, Mo rti 1627-1665, a l1 a data , cit. in Rössler, Dai Gradenigo, ci t., .p. 69, nota 14. 39. ASVe , Nota rile, Testa111enti, b. 288, n. 275 40. ASVe , Archivio Gri111ani Morosini Gatterbu rg , b. 24, fasc. segnato ‘ 'A [...] N.N. H.H. E. Fran.'o et E Michiel frate l1 i Moresini COil N.H. E. Costantin de Pri111i q."' E. Piero", cc. n.n.: "Ne l1 'a nno 1764 fatto il presente libro co l1 e Sl1 e separazioni [...] primoge nit l1 ra del q l1 0ndam Ecce l1 enza Antonio Moros ini q l1 0ndam ecce l1 enza Michiel […], San Vitale metà de l palazzo dominicale". 4 1. ASVe , Giudici di petiz ion, Inventari, b. 358, n. 56 , 23 febbraio 1642 1110re ν ento; citato da Caniato, La Ca' dei Morosini, ci t., p. 215. 42. ASVe , Provveditori e Sopra ν editor a l/ a sa ni 时 , Anagrajì, b. 571 , parrocchia di San Vidal, 28 marzo 1642. 43. ASVe , Dieci savi a l/ e deci111e in Rialto, reg. 419, Sestiere di San M 口 rco , Contrada di San Vidal, n. 31; Can iato, La Ca' dei Morosini, cit., p. 215. 44. ASVe 48. ASVe , A rc hi ν i o Grimani Moros ini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato "Proc. n. 1 [...] Morosini , casa in contrà San Vidal [...]", cc. n.n.: "S l1 mmari o de l1 e scritture es iste nti nel presente processo per la casa a San Vidal in campo a Santo Stefano" 49. ASVe , No tarile, Atti, b. 1092, cc. 204r-208\'. L'immobile veniva così descritto: " l1 na casa con botteghe [...], posta in campo di Santo Steffano, con Sl1 e commodità cioè portico, et camera et d l1 e ca marini , cl1 sina et portego. Una bottega nominata de l1 'acq l1 e confina ne l1 a ca l1 e, con magazzen e caneva [...]; l1 na casa in soler, come a meza scala in mezzado, portego et camera; nel secondo soler portego camera et cl1 sina con l1 na sof 自l t a et camerino ten l1 ta ad affitto da Carlo Belij"; ASVe, A r chi ν io Gri111a ni Morosini Gatterburg, b. 24 , fasc. se 伊 a to "Proc. n. 1 [...] Morosini , casa in contrà San Vidal [...]", c. 60r. 50. ASPVe , Parrocchia di San Vida l, Morti, 16651727, c. 2v. 51. Si veda q l1 i il saggio di Br l1 no Bl1 ratti. 52. ASVe , Archivio Gri111ani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato "A [...] N.N. H.H. E. Fran.'" et E Michiel frate l1 i Moresi ni c oil N.H. E. Costantin de Pri l1 li q.mE. Piero", c c. n.n 53. Ibide111. 1 salari per i frate l1 i erano fissati di comllne accordo: a Michele spettavano 64 d l1 cati al mese che dovevano bastare oltre che per le spese anche per i d l1 e camerieri "barcaro l1 i et barca"; a Marcantonio 60 d l1 cati per " l1 n camarier, barcarolli et gondo l1 a"; 100 d l1 cati a Lorenzo e a Sl1 a moglie "per q l1 e l1 o potesse bisognar di biancharia , calze , sca rpe et a1tre bagate l1 e et per li p l1 ttini" , oltre che per il salario "per d l1 e camariere, l1 na donna per li pl1 tti , l1 n'a 1tra per nettar la casa, Nene ql1 ando ve ne fossero , l1 n camerier, barcaro l1 i et barca"; in 自 ­ ne 350 d l1 cati al mese a Mic hele per I'ambasce ri a a Roma. A Francesco era lasciata libertà di "prender al servitio de l1 a casa nl1 mero de serventi che da esso sarà conosci l1 to necessario con q l1 el salario stimerà proprio" 54. ASPVe , Parrocchia di San Vidal, Mor ti, 16651727, c. 13r. 55. Ivi, c. 13v. 56. ASVe , Notarile, Tes ta111enti, b. 9, n. 157. 57. ASVe , Giudici di petizion, Inventari, b. 377, n. 22; doc l1 mento trascritto da Contice l1 i, Pa lazzo Moros ini, cit., p. 212. 58. Piero Morosini I'anno prima intimava a Fantin Soranzo di restaurare la casa; ASVe , Nota rile, Atti, b. 1092 , c. 283; V. 1\在 anci , Vi l/ a Morosini a Polesella , in corso di stampa 59. Boschin i, Le ricche 111inere, cit., pp. 86-87. 60. Girolamo Vivian i era l1 n tagliapietra già impe gnat L'ARCH lT ETTURA DAL ME Dl OEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 71 Su Marco Beltrame si veda qui il saggio di Monica De Vincenti. 63. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, c. 4r-v; ma si veda qui il saggio di Monica De Vincenti. 64. Su Giuseppe Benoni si veda, con bibliografia, S. Moretti, “Fondamenti sodi et non pensier Vani”: Giuseppe Benoni ingegnere e architetto [...], in “Architetto sia l’ingegniero che discorre”. Ingegneri, architetti e proti nell’età della Repubblica, a cura di G. Mazzi, S. Zaggia, Venezia 2007, pp. 153-199. 65. Le azzioni di Francesco Morosini principe di Venezia, parte seconda, Venezia 1694, p. 11, ms., BMCVe, Ms. Morosini Grimani, 430. La figura di Andrea Benoni è ricordata in Moretti, “Fondamenti sodi...”, cit., p. 168. 66. Cfr. F. Lazzari, Notizie di Giuseppe Benoni architetto e ingegnere della Veneta Repubblica, Venezia 1840, p. 21. 67. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, c. 1r-v. 68. “Pozo: appoggiatoio, parapetto, ringhiera balaustrata”; Concina, Pietre, cit., p. 117. 69. Boschini, Le ricche minere, cit., pp. 86-87. 70. Le ricevute di pagamento a Girolamo Viviani sono datate: 1671, 15 maggio, 23 agosto, 26 settembre, 23 novembre; 1672, 23 gennaio e 24 febbraio (1671 more veneto), 13 e 27 marzo; ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, c. n.n. 71. Ibidem. 72. Ivi, c. 3r-v. 73. Ivi, c. 2r-v. 74. Secondo Gianjacopo Fontana la rimozione dei decori sarebbe da ascrivere all’intervento di Giannantonio Selva, “quando vi si tolse il tritume di ghirlande e di fregi, accusante all’epoca della fondazione la decadenza del gusto”, Fontana, Venezia monumentale, cit., p. n.n. 75. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 13, c. n.n. 76. Nella piccola corte, ai lati dello sporto dell’oratorio, si notano due finestre con cornice in pietra d’Istria oggi murate. 77. M. Favilla, R. Rugolo, “Basta che la superficie appaghi la vista”: introduzione allo studio dello stucco a Venezia dal Barocco al Rococò, in “Arte Veneta”, 72, 2015, pp. 118-153: 123-124. 78. Ivi, pp. 119-120. 79. I contratti sono del 18 aprile 1674, per Orazio Marinali, e del 24 aprile 1674, per Tommaso Rues; ma si veda qui il saggio di Monica De Vincenti. 80. Chiamata nell’inventario del 1673 “terrazeta”; si veda supra. 81. La presenza della scala a due rampe prima della costruzione del passalizio è segnalata da Giuseppe Sardi nella sua relazione; si veda infra. 82. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, cc. 5r-8r, in part. si veda la c. 5r-v, con l’elenco dei materiali e con il saldo del pagamento a Viviani riscosso il 21 giugno 1674. Altre versioni della medesima lista si trovano alle cc. 7r-8r. 72 83. Cuete, ovvero modanature; Concina, Pietre, cit., p. 67. 84. Quadro, quaro, ovvero quadrone in pietra; ivi, p. 119. 85. Come specifica una nota allegata al contratto, il “cordon” misurava complessivamente 61 piedi e 4 onze, corrispondenti a poco più di 21 metri lineari; ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, cc. 5r-8r, in part. c. 5r-v. 86. Concina, Pietre, cit., p. 21. 87. Esatta notitia del Peloponneso volgarmente penisola della Morea [...], Venezia 1687, p. 59. 88. Passi citati in M. Casini, Immagini dei capitani generali “Da Mar” a Venezia in età barocca, in Il “Perfetto capitano”. Immagini e realtà (secoli XV-XVII), a cura di M. Fantoni, Roma 2001, pp. 219-270: 234. 89. Su Antonio Gaspari si veda, con bibliografia, M. Favilla, R. Rugolo, I pavimenti di Antonio Gaspari, in I pavimenti barocchi veneziani, a cura di L. Lazzarini, M. Piana, W. Wolters, Caselle di Sommacampagna-Venezia 2018, pp. 57-71: 66, nota 3. 90. Sull’argomento si veda, con bibliografia, M. Favilla, R. Rugolo, Frammenti dalla Venezia Barocca, in “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, 163, 2004-2005, pp. 47-138: 87-118; Iid., in Francesco Morosini: figura e gloria al tramonto della Serenissima, in Francesco Morosini 1619-1694, cit., pp. 81-88. 91. Come ha notato Antonio Foscari, seguito da Fulvio Lenzo; ma si veda infra. 92. Favilla, Rugolo, in Francesco Morosini: figura e gloria al tramonto della Serenissima, cit., pp. 82-84. 93. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, cc. 15r-18r. 94. Nella relazione si fa poi riferimento a un elaborato grafico, oggi perduto, caratterizzato dalla presenza di lettere esplicative. 95. Venezia, Museo Correr (d’ora in poi MCVe), Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, nn. 72, 82. 96. Il cornicione attuale, forse frutto di un rifacimento ottocentesco, copre in parte l’arco della trifora verso il rio. 97. Si veda qui il saggio di Monica De Vincenti. 98. B. Cecchetti, Il testamento, i funerali, la sepoltura e l’arma del doge Francesco Morosini, in “Archivio Veneto”, 29, 1885, pp. 69-79: 71. 99. Su Giuseppe Sardi: P. Piffaretti, Giuseppe Sardi, architetto ticinese nella Venezia del Seicento, Bellinzona 2004. 100. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, cc. 20r-22r. Documento trascritto da Rössler, Dai Gradenigo, cit., pp. 71-72, doc. 2. 101. Muro che in un solaio sostiene le teste delle travi; Concina, Pietre, cit., p 149. 102. Documento illeggibile per i danni subiti dall’umidità; ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, c. 19r-v. 103. Ivi, c. 22r-v. 104. Ivi, c. 23r-v. Massimo Favilla, Ruggero Rugolo 105. Alla polizza del muratore si aggiungono quelle del marangon (26 gennaio 1685) e del fenestrer per la fattura di 39 finestre, escluse le “finestre della camera che si deve ingrandire [...] supliranno quelle quattro che vi sono ora”; ivi, cc. 26r-29r. 106. Utilizziamo le parole spese nel 1676 da un anonimo cronista per descrivere palazzo Contarini a Oderzo; M. Favilla, R. Rugolo, Un pittore ‘reale’. Riflessioni su Louis Dorigny, in “Studi veneziani”, 50, 2005, pp. 137-171: 149. 107. Su palazzo Loredan in campo Santo Stefano: G. Romanelli, I Loredan, in Idee progetti restauri 1999-2009. Palazzo Loredan e palazzo Cavalli Franchetti, l’Istituto Veneto nelle sue sedi, Venezia 2009, pp. 1-35. 108. A. Foscari, Antonio Gaspari architetto per Francesco Morosini, in Francesco Morosini: “le ragioni di un mito”, atti del convegno (Polesella, Villa Morosini, 12 ottobre 2019), in corso di stampa; F. Lenzo, Un trionfo effimero. I progetti di Antonio Gaspari per il Peloponnesiaco, in La “splendida” Venezia di Francesco Morosini (1619-1694): cerimoniali, arti, cultura, atti del convegno internazionale di studi (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 19-20 novembre 2019), a cura di M. Casini, S. Guerriero, V. Mancini, in corso di stampa. La critica precedente ha ritenuto questo disegno (fig. 48), come anche l’altro (MCVe, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Disegni di Architettura, Raccolta Gaspari, vol. I, n. 48), un progetto per la facciata della chiesa di San Vidal; si veda con bibliografia Favilla, Rugolo, in Francesco Morosini: figura e gloria al tramonto della Serenissima, cit., pp. 82-84. 109. Secondo le parole di Foscari, Antonio Gaspari architetto, cit. 110. G. Vannacci, Applausi poetici al valore del Serenissimo Francesco Morosino [...], Roma 1688, p. 4. 111. Ricordiamo gli affreschi cinquecenteschi, all’epoca già compromessi, di Giuseppe Porta Salviati e del Giallo Fiorentino sulla facciata lunga di palazzo Loredan; A. Craievich, Le decorazioni di palazzo Loredan dal Cinquecento all’Ottocento, in Idee progetti restauri 1999-2009, cit., pp. 37-71: 3742. 112. Boschini, Le ricche minere, cit., pp. 86-87. 113. Della pittura veneziana. Trattato in cui osservasi l’ordine del Buschig e si conserva la dottrina e le definizioni del Zanetti, I, Venezia 1797, p. 102. 114. Favilla, Rugolo, in Francesco Morosini: figura e gloria al tramonto della Serenissima, cit., p. 83. 115. ASPVe, Parrocchia di San Vidal, Morti, 16651727, c. 38v. 116. Il lavoro doveva concludersi entro il 1° aprile 1686; ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 24, fasc. segnato “Scala scoperta di Ca’ Morosini [...]”, c. 14r-v. 117. Sulla vicenda si vedano: Favilla, Rugolo, Frammenti, cit., pp. 114-118; Iid., Le “deliranti fantasie” barocche di Giovanni Comin, Enrico Merengo, Antonio Molinari, Giacomo Piazzetta e Domenico Rossi, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 40, 2016, pp. 78-107: 100, nota 123. 118. ASPVe, Parrocchia di San Vidal, Morti, 16651727, cc. 87r-88v. 119. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 23, fasc. segnato “Compositioni per le casette a Santo Stefano et altro con li H.H. Pisani [...]”, c. 15rv. 120. Ivi, b. 24, fasc. segnato “Proc. n. 6 [...]. N.N. H.H. Fratelli Pisani fu de messer Almorò procurator [...]”, c. 26r-v. 121. Si veda supra nota 100. 122. BMCVe, Ms Pdc, 813/14, c. 17r. 123. Cfr. M. Favilla, R. Rugolo, Venezia ’700, arte e società nell’ultimo secolo della Serenissima, Schio 2011, pp. 77-170. 124. Ritratto oggi al Museo Correr; P. Delorenzi, in Francesco Morosini: figura e gloria al tramonto della Serenissima, in Francesco Morosini 1619-1694, cit., pp. 68-71. 125. Si veda qui il saggio di Vincenzo Mancini. 126. Sulla famiglia Solari si veda Favilla, Rugolo, “Basta che la superficie...”, cit., pp. 140-141. 127. ASVe, Archivio Grimani Morosini Gatterburg, b. 11, fasc. segnato “Contratto di nozze della N.D. Loredana Grimani kavaliera Morosini e carte relative”, maggio 1784, n. 2, cc. n.n. 128. P. Molmenti, Delendae Venetiae, in “Nuova Antologia di Scienze Lettere ed Arti”, s. III, XCI, 1887, pp. 413-428: 423. 129. Id., Gli spogliatori di Venezia artistica e della necessità di una legge sulla conservazione degli oggetti d’arte, in “Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, s. VII, VIII, 1896-1897, pp. 299310. 130. Archivio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Fondo Pietro Saccardo, b. 4, fasc. 20, c. n.n. Dalle carte d’archivio si evince che, dagli anni settanta dell’Ottocento, Pietro Saccardo prestò la sua opera in qualità di architetto e ingegnere per Loredana Morosini Gatterburg. L’ARCHITETTURA DAL MEDIOEVO AL BAROCCO (E AI SUOI MANCATI TRIONFI) 73 "Abitò in questo palazzo Francesco Morosini detto il Peloponnesiaco, del quale vi si conservano ancora le armi e parecchi trofei" Pietro Selvatico e Vincenzo Lazari, α di Venezia , Venezia 1852 Guida artistica e storic