SAGGI E MEMORIE
di storia dell’arte
40
(2016)
Saggi e Memorie di storia dell’arte
comitato scientifico
Luca Massimo Barbero, direttore
Rosa Barovier Mentasti
Ester Coen
Francesca Flores d’Arcais
Caterina Furlan
Lauro Magnani
Jean Luc Oliviè
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SOMMARIO
Laura Aldovini, David Landau, Silvia Urbini, Rinascimento di carta e di legno. Artisti, forme e funzioni
della xilograia italiana fra Quattrocento e Cinquecento
7
Marsel Grosso, Su alcuni aspetti della biograia vasariana di Battista Franco “pittore viniziano”
29
Paolo Delorenzi, Una divinità nella bottega dello scrittore. Cronache d’arte tra Sei e Settecento dalla “Pallade Veneta”
47
Massimo Favilla, Ruggero Rugolo, Le “deliranti fantasie” barocche di Giovanni Comin, Enrico Merengo,
Antonio Molinari, Giacomo Piazzetta e Domenico Rossi
79
Francesca Marcellan, L’opera di Francesco Bertos e Giambattista Tiepolo in Villa Pisani a Stra. Una lettura iconologica
109
Ileana Della Puppa, Il restauro come salvaguardia della storia dell’opera. Alcune osservazioni di metodo
148
Gianluca Tormen, Il viaggio di Tommaso degli Obizzi nel 1797-98. Storia, arte e collezionismo nelle memorie
di un inedito taccuino
153
Alessandro Del Puppo, Vittore Carpaccio. La fortuna moderna di un maestro antico (parte prima)
205
Roberto De Feo, Intrecci letterari, sociali e artistici intorno a Sei statuette d’illustri italiani fatte da Bartolomeo
Ferrari al nob. Papadopoli
223
Sara Filippin, La Pala d’oro nella Basilica di San Marco tra incisione e fotograia
241
Timo Keinanen, Experimenting with Glass Design. Glass Objects by Aili Salli Ahde and Salme Setälä from the 1920s
261
Luca Vianello, De Toffoli, Viani, Salvatore: Venezia 1948-1958. Fonti per una linea della scultura italiana
269
Abstract
284
78
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
DI GIOVANNI COMIN, ENRICO MERENGO, ANTONIO
MOLINARI, GIACOMO PIAZZETTA E DOMENICO ROSSI
Nel 1847 Pietro Selvatico bollava la stagione barocca veneziana
come il periodo artistico nel quale “l’architettura si insudiciò
d’ogni più sconvolta licenza”1. E anche per la scultura del Seicento, le “ingenue grazie” del Quattrocento e “il naturalismo”
del Cinquecento venivano soppiantate da “deliranti fantasie”.
In quel ‘secolo buio’ le statue si presentavano con “movenze
convulse o impossibili, ossa slogate […], muscoli esagerati o
inventati, pieghe simili a scogli”, sebbene, quando queste erano
“opera di ingegni grandissimi”, si dovevano “pel pittoresco lor
movimento pregiare”. Con tali giudizi, o pregiudizi – comuni
invero alla storiograia contemporanea a Selvatico – non v’è
da meravigliarsi se nel corso del XIX secolo alcuni ediici veneziani, soprattutto religiosi, abbiano subito provvedimenti di
‘pulizia estetica’. Di tali interventi furono vittime due illustri
chiese parrocchiali: San Felice e Santa Maria Formosa.
gusto de’ due, che già esistevano ed erano forse della stessa
mano dell’architetto del tempio”, si fecero “rizzare gli altri
quattro che oggidì vi si scorgono, di marmo greco, e che sono
in perfetta armonia col bello stile architettonico del tempio”4.
All’opera del parroco Wiel era invece da ascrivere il riordino
della cappella maggiore e il rinnovamento dell’organo, del pulpito e del battistero (igg. 1-4), su progetto del “cavaliere Antonio Diedo con quella sapienza artistica ch’era propria di lui”5.
Dopo queste “felici trasformazioni”, o meglio dopo il drastico
rifacimento, anche dell’originario arredo pittorico sopravvivevano soltanto la tavola di Domenico Passignano con Cristo, san
Felice e due ritratti, posta sull’altare maggiore, e, sulle pareti del
presbiterio, “due quadri dipinti sulla maniera del Tiepolo”6 con
il Miracolo del paralitico e la Chiamata di Matteo, oltre al San Demetrio con il ritratto di Giovanni Pietro Ghisi, “lavoro di gran
carattere del Tintoretto”7.
La pala dell’altare di San Jacopo, “lavoro insigne del Tintoretto,
ridotta ora a stato sì lagrimevole da non vedervisi più traccia
del maestro pennello”, venne nell’occasione trasferita nel ritiro di educazione femminile in calle della Ca’ d’Oro8 insieme
ad altre due opere del medesimo artista, la Cena e l’Orazione
nell’orto, già sulle pareti della cappella maggiore, anch’esse “assai
danneggiate e poco men che perdute”9.
Realizzate in occasione del restauro erano la pala del primo
altare a destra di chi entra con l’Educazione della Vergine, “debole
lavoro”10 di Marianna Pascoli, e quella del secondo a seguire
con Gesù Bambino, san Giuseppe e i santi Pietro, Lorenzo Giustiniani,
Vincenzo, Luigi, Antonio e Osvaldo, “lavoro di qualche merito se
non altro per la composizione del colorito del vivente Lattanzio Querena”11. A decorare i tre altari posti sulla parete sinistra
erano in successione: una Concezione del conte Gian Andrea Ru-
San Felice
Sempre nel 1847 usciva a Venezia, per i tipi di Giuseppe Antonelli, un libricino dedicato alla chiesa di San Felice, dove, in
trenta pagine, la “penna esperta” del sacerdote Giuseppe Cappelletti ripercorreva i quasi novecento anni di storia di quella
parrocchiale, fondata fra il 960 e il 966 dalla famiglia Gallina2.
Le ultime otto pagine sono dedicate all’operato dell’“amatissimo” pievano Giuseppe Wiel, insediatosi il 12 gennaio 1822, al
merito del quale “deesi ascrivere l’eleganza e l’armonia a cui fu
ridotto negli ultimi anni l’interno di questa chiesa”3.
I lavori, già avviati nel 1819 dal predecessore Bartolomeo Forlico sotto la direzione del fabbriciere Giovanni Wiel, comprendevano la rimozione dei “quattro altari laterali del gusto più
barocco e deforme che si possa mai immaginare”, mentre, “sul
Enrico Merengo, Cristo Redentore. Venezia, chiesa
di San Felice
1
Riconosciamo un profondo debito nei confronti di: Maichol
Clemente, Monica De Vincenti, Simone Guerriero, Nina
Kudiš, Andrea Piai e Damir Tulić. La nostra gratitudine
va inoltre: ai direttori e al personale dell’Archivio di Stato, dell’Archivio Storico del Patriarcato, della Biblioteca e
del Museo Correr, della Biblioteca e dell’Istituto di Storia
dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia; e in
particolare a Manuela Barausse, Andrea Bellieni, Rossella
Granziero, Laura Levantino, Davide Trivellato.
2
3
P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal Medio Evo sino ai nostri giorni, Venezia
1847, p. 379.
G. Cappelletti, La chiesa di San Felice in Venezia
ove dopo cinquant’anni di sacerdozio monsignor Giuseppe Wiel notario apostolico e pievano celebra solennemente il Divin Sacriizio il dì 11 luglio 1847, Venezia
1847. Sulla chiesa, ricostruita a partire dal 1529
da Giovanni Antonio da Carona: E. Concina,
Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX
secolo, Milano 2004, p. 145.
G. Cappelletti, La chiesa di San Felice, cit., p. 23.
79
4
5
6
7
8
9
10
11
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
Ivi, p. 24. Sulle opere di Jacopo Tintoretto presenti nella chiesa si veda R. Pallucchini, P. Rossi,
Tintoretto, le opere sacre e profane, I, Milano 1982, pp.
145-146, 179, 362, catt. 91, 225 (con bibliograia).
Istituzione fondata dallo stesso pievano di San
Felice Giuseppe Wiel.
G. Cappelletti, La chiesa di San Felice, cit., p. 24.
Ibidem. Opera ancora in situ.
Ibidem. La pala è ancora in situ.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
1
Interno della chiesa di San Felice
steghello, una Addolorata, “lavoro magistrale, e per sentimento
e per disegno e per colorito, di Odorico Politi”12, e inine un
San Francesco Saverio di “languida fattura, non del tutto inita”,
sempre di Rusteghello13.
Le notizie contenute nel volumetto uscito nel 1847 sono supportate dai numerosi documenti conservati nell’archivio parrocchiale di San Felice, nei quali resta puntuale memoria degli
interventi che condussero alla completa trasformazione dell’apparato decorativo della chiesa. La prima notizia che apprendiamo è l’anno dell’avvio dei lavori, il 181714 quando “logoratesi
le croci indicanti la consacrazione formate di legno e itte nelle
colonne, e cadutane una nell’anno 1817, furono levate anche
tutte le altre nell’occasione di imbiancare la chiesa per opera
e spesa del fabbriciere signor Giovanni Viel, furono a spese
dello stesso fatte di pietra e conicate ne’ muri nel settembre
dell’anno 1818”. Al contempo “furono levati da’ pennacchi de’
quadri ormai laceri che rappresentavano gli Apostoli ed i Vangelisti non si dà quale autore, i quali furono poscia venduti, e
si levarono pure alcune casse e sedili conicati nel muro, i quali
impedivano che si vedessero i bassamenti dele colonne e che si
12
13
Ibidem. Entrambe le opere sono ancora in situ.
Ibidem. La pala non è più in loco. Al suo posto in
una nicchia vi è la statua della Vergine di Giulio
dal Moro. Ma si veda qui Appendice documentaria,
doc. 1.
14
15
gustasse la bellezza della chiesa nella sua pianta”. Ancora “nel
settembre dell’anno stesso furono levati i quadri del coro15, tanto16 ne’ lati che sopra l’altar maggiore, i due angeli di legno inti
marmo sopra l’altar maggiore, ed un altro angelo che teneva il
simbolo del Sacramento. Finalmente dall’altare de’ barcaiuoli furono levate le statue in legno rappresentanti i santi Carlo
Borromeo e Francesco di Paolo17”.
Un altro documento18 descrive l’aspetto interno della chiesa
dopo la ‘ripulitura’, speciicando i ruoli dei diversi personaggi
che operarono per raggiungere tale obiettivo. Per prima cosa si
ripristinò l’altare maggiore, “eretto nel 1580 da Michiel Mambro interprete della Reppublica”, che era arricchito da “una
custodia” e dal “tabernacolo, che più non esistono”. Questi
“erano di gusto barocco, siccome pur lo erano l’organo ed il
battisterio. E tabernacolo e custodia furono demoliti nell’anno
1821 per ordine della commissione dell’ornato, nell’incontro di
doversi ristaurare la palla, celebre opera del cavalier Passignano,
e che a tal ine fu afidata al signor Lattanzio Querena”. Anche
gli altari laterali vennero sostituiti con nuovi manufatti ritenuti
in armonia con lo stile della chiesa:
Venezia, Archivio Storico del Patriarcato (d’ora in
avanti ASPVe), Parrocchia di San Felice, Scritture diverse spettanti alla chiesa, b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa di
San Felice notizie storiche”, cc. sciolte.
Cancellato e.
80
16
17
18
Cancellato nell.
Sic.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse
spettanti alla chiesa, b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa
di San Felice notizie storiche”, c. sciolta.
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
A Wiel si afiancò poi il “signor Andrea Chiarabba” il quale,
“entrato nuovamente nella carica di fabbriciere, non volle mostrarsi meno utile degli altri e cominciò la sua carriera coll’innalzare una lapide al defunto piovano Bartolomeo Forlico, dando così principio23 alla decorazione di quella faciata [interna]
che spoglia di qualunque ornamento non piaceva agli occhi di
chi l’ammirava”24.
Delle opere alienate a partire dal 1819 in occasione del rinnovamento in chiave neorinascimentale della chiesa venne stilata
una lista25. Se per gli altari laterali sappiamo che due inirono
nella parrocchiale di Maserada di Piave26 e un terzo nella chiesa
di San Nicolò di Tauriano di Mezzo nei pressi di Spilimbergo,
delle tele di Jacopo Tintoretto, esclusa quella con il San Demetrio
rimasta in situ e dell’Ultima Cena oggi a Parigi, si è persa traccia27.
Per quanto riguarda l’altare maggiore, spetta al parroco Giuseppe Wiel, dopo il suo insediamento nel 1822, la rimozione
del monumentale tabernacolo barocco, il cui destino ci è sconosciuto. Si deve forse allo stesso Wiel la dettagliata descrizione
del manufatto stilata con ogni probabilità poco prima della sua
demolizione28. Il tabernacolo sorgeva su uno “zoccolo” che
misurava 8 once29 in altezza (pari all’incirca a 23 cm) e 2 piedi30
e 3 once in larghezza (pari all’incirca a 78 cm) ed era composto
di due ordini scanditi da colonne corinzie, al centro delle quali s’apriva la “custodia”. Nei due prospetti laterali altrettante
nicchie contenevano “due picciole statue di bronzo dorato”
rafiguranti i santi Pietro e Paolo “sostenute da una gocciola”,
ovvero una mensolina. Il secondo ordine comprendeva il tabernacolo formato da “quattro colonne” collocate “sopra un
dado”. Al centro della “prima trabeazione ed a livello del dado”
si inseriva un gruppo scultoreo formato da “tre cherubini” fra
“nubi di marmo di Carrara”. Il tabernacolo era coronato da
una cupola dalla quale scendeva di lato “una nube”, anch’es-
L’altare di Nostra Donna secondo a mano sinistra di chi entra per la maggior porta fu nuovamente eretto dal non mai
abbastanza lodato signor Giovanni Wiel, che s’accinse alla
dificile impresa di perfezionare in tempi sì calamitosi questa
chiesa, riducendola secondo l’idea dell’architetto. La tavola di
questo altare si crede opera di Giovanni Battista Tiepolo, perché esisteva nel palazzo Rezzonico, ove egli dipinse ogni altra
cosa19. Ad imitazione del signor Wiel, don Giovanni Pilla fece
costruire l’altare di faccia al nominato e che s’intitola di20 San
Luigi Gonzaga, ed il quadro che esisteva nell’altare demolito
e che ora è collocato nel nuovo è opera del vivente e bravo
pittore Lattanzio Querena. Vicino a questo altro ne esisteva
che fu demolito, ed a cui uno ne sarà sostituito uguale a due
nominati colle offerte delle donne della parrocchia, e che sarà
intitolato a Sant’Anna. L’ultimo di faccia a questo che s’innalzerà col titolo di Sant’Anna, e che si chiama di San Vicenzo,
sarà rifatto dal nobile signor Giuseppe Boldù, e le tre statue
di bronzo che rafigurano la Vergine, San Pietro e San Giovanni Battista, sono opera assai considerata*21 e sono dello
stesso autore le altre due simboliche di marmo che si veggono
a ianco dell’altare.
Dopo questi impegnativi interventi Giovanni Wiel, “continuando con fervore le operazioni, diede mano al rifacimento
della cantoria e cassone dell’organo, dell’organo stesso e inalmente al battisterio ad oggetto di guadagnare spazio di terreno
assai ingombrato da siffatte opere” 22. Il progetto per la cantoria
e il cassone del nuovo organo fu eseguito dal “signore Antonio
Diedo segretario di questa Accademia di Belle Arti, nel quale
nulla ci resta a desiderare, avendo il nominato coltissimo arteice con quella bravura che è sua propria, saputo conformare
l’opera disegnata alla semplicità nobile ed elegante del tempio”.
19
Sulla pala tiepolesca: “Nel giorno 29 luglio 1821
in cui seguì la patriarcale canonica visita alla chiesa di San Felice di sua eccellenza reverendissima
monsignor Giovanni Ladislao Pirker, alla tavola
rappresentante la Concezione eseguita da Jacopo Schena […] ne fu sostituita di non picciolo
pregio che era essa pure la Concezione. Nell’alto vi è il Padre Eterno che invita la Vergine alla
gloria, nella cui contemplazione la Vergine stessa
mostrasi assorta e con due angioletti nel basso
rivolti colla faccia all’insù in atto di contemplare
la Vergine. Alcuni pretendono essere questa tavola il miglior lavoro di Giuseppe Angeli, alcuni
l’attribuiscono a Domenico Tiepolo, ma della
maniera franca e grandiosa che tiene dietro alla
magniicenza di Paolo, la maggior parte de’ periti
la vogliono di Tiepolo sì, ma di Giambattista, padre dell’ultimo de’ due arteici nominati. Questa
opinione si rende anche probabile dal sapere che
la tavola di cui si parla era nell’oratorio domestico della famiglia Rezzonico, per la quale Giambattista Tiepolo lavorò continuamente. Essendo
in mano di un discreto venditore di quadri la si
riconobbe da don Francesco Diurno prete di
San Marziale e da don Giammaria Dezan di San
Felice, e col loro mezzo la si acquistò per prez-
20
21
22
23
24
25
zo di lire venete sessanta sei dal signor Giovanni
Wiel fabbricere ch’eresse a proprie spese l’altare
sopra di cui è collocata e fece eseguire la cornice
dall’intagliatore Giammaria Schieralo che la fece
dorare […]. Querena la giudicò di Giambattista
Pittoni” (ivi, c. sciolta). La pala qui descritta non
è più rintracciabile.
Cancellato Sig. Lu.
Rimando con asterisco in calce: “* di Giulio dal
Moro di cui portano il nome”.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse
spettanti alla chiesa, b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa
di San Felice notizie storiche”, c. sciolta.
Cancellato da.
Il testo continua: “La semplicissima facciata
esterna di questa chiesa è decorata di pilastri
jonici di pochissimo conto. Due sono le porte
per cui si entra. La migliore è quella posta sul
campo e che è per verità bellissima, eseguita
nell’anno 1555. Inluirono molto a prendere
la risoluzione di tali cambiamenti le istigazioni
continue dell’abate Giammaria Dezan, uomo di
lettere e di gusto nelle arti, il quale in oggi gode
il vedere le antiche sue brame, già più volte
esternate, e quasi ridotte al loro termine”.
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 1.
81
26
27
28
29
30
Ove ancora si trovano. Giusta i documenti d’archivio sull’altare “dell’Assunzione secondo a
destra di chi entra in chiesa [di San Felice] trasportato nella chiesa di Macerata presso Treviso” si trovava la seguente iscrizione: “in honore
assvptioni beatis:æ mariaæ/ virginis/ svmptibus
confraternitatis centvrariorv̄ / ioane maria
de bvssis cvstode et sociis/ mdcx” (ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse spettanti alla chiesa,
b. 98, fasc. segnato “Chiesa di San Felice notizie
storiche”, cc. sciolte intitolate “Notizie spettanti
alla chiesa di San Felice [1822]”).
L’Ultima Cena si trova nella chiesa di San Francesco Saverio a Parigi; R. Pallucchini, P. Rossi, Tintoretto, cit., p. 79, cat. 225; B. Peria, Tintoretto e l’Ultima
Cena, in “Venezia Cinquecento”, VII, 13, 1997, p.
123; P. Rosenberg, in Le Tintoret. Une leçon de peinture, catalogo della mostra (Parigi, Centre Culturel
du Pantheon), Milano 1998, p. 69.
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 2.
Pari a un dodicesimo del piede veneziano ed
equivalente a 2,89 cm, cfr. E. Concina, Pietre
parole storia. Glossario della costruzione nelle fonti veneziane (secoli XV-XVIII), Venezia 1988, p. 105.
Piede veneziano equivalente a 0,3477 m (cfr. ivi,
p. 110).
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
2
Altare maggiore. Venezia, chiesa di San Felice
3
Antonio Paluzzi, su progetto di Antonio Diedo, Organo e cantoria. Venezia, chiesa di San Felice
sa “di marmo di Carrara, composta di quattro cherubini e nel
mezzo una colomba”. I ianchi erano entrambi adornati da un
“cartoccio” nel quale s’innestava un “picciolo piedestallo”, che
sosteneva “due angeli di bronzo dorato”. L’intero manufatto
era incrostato di marmi “di varie specie, ma in particolare di
africano”. Tutto il complesso risultava alto 6 piedi e mezzo
(pari all’incirca a 226 cm), escluso un piccolo “piedestallo” che
sorgeva sopra la cupola, quale base di sostegno per “l’immagine di Cristo risorto”.
L’idea di questa rutilante macchina barocca, il cui innalzamento
31
32
33
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Catastici e inventari
delle scritture, registro segnato “Catastico MDCCLXXXIII”, p. 90.
“1695/ Spesi per la facitura del tabernacolo/
Per contadi al signor Giacomo Piazzeta per il
modello […] lire 34:16” (ASPVe, Scuola del Santissimo Sacramento, b. 133, Registri di cassa, registro segnato, “MDCXXXII Cassa della Scola
del Santissimo Sacramento nella chiesa di San
Felise”, pp. n.n.). Su Giacomo Piazzetta si veda
con bibliograia S. Zanuso, Giacomo Piazzetta, in
La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura
di A. Bacchi, Milano 2000, pp. 775-776; M. De
Grassi, Piazzetta Giacomo, in Dizionario Biograico
degli Italiani, 83, Roma 2015, pp. 107-110.
Giacomo Piazzetta risiedeva infatti nella parrocchia di San Felice (L. Moretti, Notizie e appunti su
G.B. Piazzetta, alcuni piazzetteschi e G.B. Tiepolo, in
“Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed
Arti”, 143, 1984-1985, Classe di scienze morali,
lettere ed arti, pp. 359-360). Aggiungiamo a que-
34
venne deciso con delibera della Scuola del Santissimo Sacramento il 22 dicembre 169431, apparteneva allo scultore e intagliatore Giacomo Piazzetta. A lui infatti è riferito il pagamento
del 1695 (34 lire e 16 soldi) per il “modello”32; e una somma
così ridotta si può forse spiegare come gesto di devozione
dello scultore verso la propria parrocchia33. L’esecuzione del
manufatto venne invece afidata ai tagliapietra Antonio e Alberto Bettamelli, i quali ricevevano un compenso di 1395 lire34.
Francesco Marcoleoni provvide alla cesellatura della portella in
rame dorato del Sancta Sanctorum35, mentre il “signor Endrico
sto proposito alcune notizie d’archivio: l’11 luglio
1677 il signor Giacomo Piazzetta “intagiador”
compare al battesimo di Caterina Paolina “ia de
messer Piero Marangon quondam Andrea”; il 15
maggio 1678 al battesimo di Oliva Agnese iglia
di Giacomo Piazzetta “intagiador” compare “ alla
fonte il signor Zuanne Comini scultor quondam
Lunardo”; il 13 marzo 1684 “il signor Giacomo
Piazetta intagliador” compare al battesimo di Giovanni Maria Gerolamo iglio “del signor Cesaro
Pasini carter” (ASPVe, Parrocchia di San Felice, Battesimi 1669-1684, cc. 24v, 85v, 60r).
“Per contadi alli signori Antonio et Alberto Bettamelli taglia pietra, giusto l’accordo […] lire 1395:-/
Per contadi alli oltrascritti fratelli Bettamelli taglia
pietra per pietre e fatture oltre l’accordo e per
l’accordo stesso […] lire 124:-” (ASPVe, Scuola del
Santissimo Sacramento, Registri di cassa, b. 1-3, registro
segnato “MDCXXXII Cassa della Scola del Santissimo Sacramento nella chiesa di San Felise”, pp.
n.n.). E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI,
82
35
Venezia 1853, p. 428, ricordava i fratelli Bettamelli
quali autori nel 1705 del tabernacolo per la oggi
scomparsa chiesa dei Santi Marco Andrea a Murano, “bellissima opera lodata da tutti”. Un sintetico
proilo sull’attività dei due tagliapietra originari di
Bassano è tracciato da B. Gojan, Oltar Sv. Jeronima
u crkvi Sv. Šime u Zadru i riadonica Bettamelli, in “Ars
Adriatica”, 2, 2012, pp. 203-216. I fratelli Alberto,
Antonio e Bortolo Bettamelli a Venezia risiedevano nella parrocchia di San Marcuola, giusta i
numerosi battesimi dei igli registrati dal 1653 al
1689 (ASPVe, Parrocchia dei Santi Ermagora e Fortunato, Repertori dei battesimi, reg. segnato “Nati San
Marcuola 1653-1828”). Purtroppo i registri degli
atti di battesimo per quegli anni sono esclusi dalla
consultazione perché in precario stato di conservazione.
“Per contadi al signor Francesco Marcolioni per la
ceselatura della portella […] lire 62:-/ Per contadi
al signor Antonio Valsechi per il rame della portella et arpeseti […] lire 49:12” (ASPVe, Parrocchia
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
scoltor”, identiicabile con lo scultore Enrico Merengo, veniva
invece compensato con 124 lire “per la scoltura” e per i “modelli per le igure” da porsi sul tabernacolo36. Una cifra così
modesta si giustiica, come nel caso di Piazzetta, per il fatto che
anche Merengo risiedeva nella contrada di San Felice almeno
dal 168137. Il fonditore Zuanne Begio riceveva 248 lire “per la
getattura e cesselatura delle sei igure”38. Iseppo Zannini, inine, provvedeva alla doratura della portella del Sancta Sanctorum,
delle statuette e dei “raggi” dello Spirito Santo39.
Nella summenzionata descrizione ottocentesca, le statuette individuate sono però cinque e non sei: i santi Pietro e Paolo,
due angeli tutti “in bronzo dorato” e “l’immagine del Cristo
risorto” posto a coronamento della cupola del tabernacolo.
Rispetto al documento del 1695 ne mancherebbe una. Negli
inventari settecenteschi degli arredi di proprietà della Scuola
del Santissimo Sacramento in San Felice, a partire da quello del
1700, si nomina: “Un tabernacolo con altre pietre con scoltura
con sei igurette di metalli, portella di rame dorato, comprese in
esse igure il Christo”40. È ancora più preciso l’inventario degli
arredi della chiesa del 1809 che ricorda gli ornamenti della custodia del Santissimo: “Redentor, Cristo, portella, due angioli,
SS. Pietro e Paulo e contro portella il tutto di rame dorato”41.
A parte l’errata indicazione sul materiale delle statuette – rame
dorato invece che bronzo dorato – appare la igura del “Cristo”
crociisso42, probabilmente già rimossa nel 1822, visto che non
compare nella descrizione del tabernacolo43. All’ideazione di
Enrico Merengo, che ne aveva fornito i modelli, spettavano
quindi il “Redentor”, il “Cristo”, “due angioli” e i “SS. Pietro
e Paulo”.
Unico elemento sopravvissuto alla furia antibarocca è la iguretta bronzea del Redentore, oramai priva dell’originaria dora-
36
di San Felice, b. 133, Scuola del Santissimo Sacramento,
Registri di cassa, 1-3, registro segnato “MDCXXXII
Cassa della Scola del Santissimo Sacramento nella
chiesa di San Felise”, pp. n.n.). Francesco Marcoleoni fu collaboratore di Giuseppe Maria Mazza
per la cesellatura dei bassorilievi del simulacro della Santa Casa di Loreto in San Clemente (1704),
per le statue destinate all’altare maggiore del Redentore (1707) e per i bronzi della cappella di San
Domenico ai Santi Giovanni e Paolo (1722-1730)
(G. Vio, Precisazioni sull’altare maggiore nella chiesa del
Redentore a Venezia e su Tommaso Rues (e un cenno
su Merengo), in “Arte Veneta”, XXXIX, 1985, pp.
206-207 e nota 11).
“Per contadi al signor Endrico scoltor per la
scoltura e modelli per le igure […] lire 124:-”
(ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scuola del Santissimo Sacramento, Registri di cassa, b. 1-3, registro
segnato “MDCXXXII Cassa della Scola del
Santissimo Sacramento nella chiesa di San Felise”, pp. n.n.). Per un proilo di Enrico Merengo
si vedano: S. Wolff, Nuovi contributi su Heinrich
Meyring, in “Saggi e Memorie di storia dell’arte”,
24, 2000, pp. 119-157; M. Klemenčič, Enrico
Merengo (Heinrich Meyring), in La scultura a Venezia, cit., pp. 760-762; M. De Vincenti, Bozzetti e
modelli del “Bernini Adriatico” Giusto Le Court e del
suo “miglior allievo” Enrico Merengo, in “Arte Vene-
37
4
Giuseppe Spiara, Fonte battesimale. Venezia, chiesa di San Felice
ta”, 62, 2005, pp. 54-81; P. Rossi, Enrico Merengo:
l’attività veneziana, in “Arte Veneta”, 63, 2006,
pp. 27-47. In un documento d’archivio relativo
alla chiesa di San Felice compare anche il nome
dello scultore Giusto Le Court, maestro di Enrico Merengo, per una fornitura di polvere di
marmo necessaria all’intonaco di una casa di
proprietà del capitolo: “Adì 16 novembre 1675.
Contadi al “signor Giusto scultor […] polvere
marmorin per imbiancar la facciata sopra il rio
lire 12 […]. 23 giugno 1676 o riceuto io Antonio io de messer Giacomo Moron tagiapiera
per nome di mio padre e del signor Giusto scultor […] lire settanta tre e soldi cinque per roba
e fattura in mancanza di messer Lisandro Baldi
taglia pietra” (ASPVe, Parrocchia di San Felice,
Atti generali, b. 84, registro segnato “1675 libro
delle spese fatte nel refabbricar le case delli 3
preti e diacono titolati del reverendo capitolo di
San Felice di Venezia”).
Si veda G. Vio, Precisazioni sull’altare maggiore,
cit., p. 207. A questo proposito aggiungiamo
alcune notizie d’archivio: il 1° dicembre 1682,
il “signor Endrico Merinch scultor todesco”
compare al battesimo di Giovanni Andrea iglio di “Paulo Zambelli marangon”; (ASPVe,
Parrocchia di San Felice, Battesimi 1669-1684, c.
58v). Il 2 luglio 1696 “il signor Andric Megeric
83
38
39
40
41
42
43
scultor quondam Andrico” compare al battesimo di Orsola Maria iglia di Francesco Panata
“marangon”; (ivi, Battesimi 1684-1699, c. 68v).
Ivi, Scuola del Santissimo Sacramento, Registri di cassa, b. 1-3, registro segnato “MDCXXXII Cassa della Scola del Santissimo Sacramento nella
chiesa di San Felise”, pp. n.n.
“Per contadi al signor Iseppo Zanini per la doratura della portella, sei igure e raggi […] lire
384:-” (ibidem).
Ivi, Scuola del Santissimo Sacramento in San Felice,
Inventari, b. 1-2, registro segnato “Inventario
de’ mobili della veneranda Scola del Santissimo
Sacramento in San Felice”, cc. n.n., “primo genaro 1700”.
Ivi, Fabbriceria, Inventari, b. 1, registro segnato
“Catalogo de’ sacri arredi della chiesa parrocchiale e collegiata di San Felice […]. 1809 primo
genaro”, cc. n.n.
Si tratta di un Cristo crociisso come appare
speciicato nell’inventario del 1731: “sei igurete di metallo e portelle tutte dorate compreso
il Redentor et il Crociisso” (ivi, Scuola del Santissimo Sacramento in San Felice, Inventari, b. 1-2,
registro segnato “Inventario de’ mobili della
veneranda Scola del Santissimo Sacramento in
San Felice”, cc. n.n., “primo dicembre 1731”).
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 2.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
5
Enrico Merengo, Cristo Redentore. Venezia, chiesa di San Felice
6
Enrico Merengo, Fede. Nimis, chiesa parrocchiale, altare maggiore
tura, che ancor oggi si trova nella chiesa di San Felice e precisamente sul coperchio del fonte battesimale (igg. 4-5) posto
sotto l’organo che, come lo stesso fonte, venne rinnovato negli
anni venti del XIX secolo44. La torsione del corpo, la tipologia
del volto e del panneggio rimandano alla produzione scultorea
di Enrico Merengo, che qui si cimenta con una prova in bronzo inora sconosciuta al suo catalogo. Al netto della fusione e
della cesellatura che spettano a Zuanne Begio, non si possono
44
45
Si veda qui infra.
Per l’altare di San Silvestro oggi a Nimis si veda
M. Klemenčič, Enrico Merengo, cit., p. 761 (con
bibliograia). La compresenza di Enrico Merengo e Giacomo Piazzetta nello scomparso tabernacolo di San Felice sarebbe stata riproposta di
lì a poco nella vicina chiesa dei Santi Apostoli,
sebbene in due momenti diversi, con le statuet-
istituire confronti con la statua marmorea della Fede sull’altare della parrocchiale di Nimis (ig. 6), opera coeva a quella di
San Felice e in origine nella chiesa di San Silvestro a Venezia45,
eppure un legame di risonanza sembra accumunarle. Una certa
famigliarità può essere scorta nel volto del Cristo deposto che
costituisce la parte centrale del gruppo di Nimis (igg. 7-8). La
sempliicazione, con la minore deinizione dei dettagli, nell’esemplare di San Felice è imputabile senza dubbio anche alla
te marmoree per le due pile dell’acqua benedetta poste all’ingresso (V. Moschini, Sculture ignote
di Enrico Meyring di Giacomo Piazzetta, in “Arte
Veneta”, XVIII, 1964, pp. 182-183). Moschini
citava documenti dell’archivio parrocchiale dei
Santi Apostoli senza speciicarne la collocazione, documenti ora qui pubblicati con la trascrizione completa delle spese per la chiesa effet84
tuate grazie alla commissaria di Franceschina
Alberghetti Mariani istituita con testamento
del 15 settembre 1670: “Il Sig. Bortolo Bassini G.[uardiano] 1697 primo Agosto contadi
al Signor Gio: Martino Bonani Mercante di
Marmi D. 49 1/2, e sono per 3 pezzi di Marmo servì per far la Pilla in Chiesa appar ricevuta
– L. 306.18 […]. 15 Detto [gennaio 1698] per
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
7
Enrico Merengo, Cristo Redentore, particolare. Venezia, chiesa di San Felice
8
Enrico Merengo, Cristo deposto, particolare. Nimis, chiesa parrocchiale, altare maggiore
drastica rimozione della foglia d’oro e quindi alla perdita delle
initure.
La compresenza di Enrico Merengo e Giacomo Piazzetta in
questa impresa segna una novità, giacché ino ad allora Merengo si era trovato in più occasioni a collaborare con Giovanni Comin; la morte improvvisa di quest’ultimo il 18 febbraio
169546, lo stesso anno dell’avvio dei lavori per l’altare di San
Felice, spiega probabilmente la presenza di Piazzetta.
E ritornando a Piazzetta, dai documenti apprendiamo che
era stato già coinvolto nel 1692 in altri lavori di arricchimento
dell’arredo della chiesa, interventi dei quali non è rimasta traccia. Grazie alle elargizioni concesse “dall’illustrissima et eccellentissima signora Contarina Dolin procuratoressa Contarini”47,
contadi al Sig. Giacomo Piazzetta per fattura
della Pilla di Marmo, Fig.[ura], Pedestal et altro, come appar ricevuta d. 95, fanno - L- 589:[…]. Dal Sig. Gio: Battista Ferrari G.[uardiano]
1700 2 Aprile contadi per una Croce di Rame
che sostiene il San Gio: Battista sopra la Pilla dell’Acqua Santa in Chiesa, essendo la detta
Pilla stata fatta dal commissario Bortolo Bacini
e Compagni sotto il suo Guardianato nell’anno
1697 - L. 6:4 […]. Detto contadi per far indorar
a fuoco la detta Croce – L. 14. 6. Detto [aprile] contadi a Zuanne Tonini Murer per le qui
sottoscritte spese per poner e stabilir la sudetta
Pilla in Chiesa, come si vede. Per Peata per portarla – l. 4:10. Per spesi al Magistr.[ato] Della
Sanità per Licenza per romper in Chiesa - L.
fu possibile per il capitolo di San Felice “terminar la sagrestia
nova, fabricar due porte, voltar l’altari dalla parte della sagrestia
et campanile, salizar in terra appresso a quelli, far un novo battistero e sepolcro, far confessionarii, scabelli novi con schrigno
per tener gl’argenti della chiesa”, il tutto con la supervisione del
proto Giovanni Maria Ongarin. Il 4 febbraio 1692 il tagliapietra
Antonio Moroni riceveva un acconto di venti ducati per i materiali necessari al fonte battesimale48. Lo stesso giorno “Giacomo
Piazetta, intagliador a San Felice”, riscuoteva “ducati trenta correnti a conto della manifattura d’intagio per il novo battistero et
sepolcro”49. Il 10 marzo Giovanni Battista Topp, “indorador a
San Felice”, riceveva settanta ducati “a conto di fatture per indorare il battistero et sepolcro novo sotto l’organo”50. Pagamenti a
6:10 […]. Per cargarla et descargarla Pietre et
Fattura per la Fondamenta e altro – L. 11:- […].
Dal Sig. Domenico Aquilina fu G.[uardiano],
1701 13 agosto contadi al Sign. Antonio Viani
Tagliapietra a S. Trovaso per una Pilella d’Acqua Santa con il suo Piede, e Race di Marmo in
da Genova intagliata e lastratta D. 80 – L. 496:[…]. Detto contadi al Murer et altri Huomeni
per poner la sudetta Pilella e farla fondar – L.
12.8 […]. 9 Novembre Contadi al Sig. Adrinco
Meringo Scultor per la igura in Pietra S. Pietro
e poner sopra la Pilella – L. 240:12” (ASPVe,
Parrocchia dei Santi Apostoli, Scritture diverse I serie, b. 5, fasc. segnato “Scuola del Santissimo in
Santi Apostoli”, fasc. a stampa segnato “Stampa Ven. Chiesa di SS. Apostoli al Laudo”, parte
85
46
47
48
49
II, “Stampa al taglio”, pp. 33-36).
Si veda G. Vio, Appunti per una migliore conoscenza dei
Groppelli e dei Comin, in “Arte Veneta”, XXXVII,
1983, pp. 223-227.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Atti generali, b.
102-112, registro segnato “Elenco 1686-87
dell’elemosine offerte da’ parrocchiani pell’ingrandimento della sagrestia di San Felice”, cc.
n.n., 17 novembre 1691, per una somma complessiva di 7440 lire.
Ivi, c. n.n. alla data 4 febbraio 1691 more veneto.
Ancora l’8 maggio Moroni riceveva altri 25 ducati “a conto di robba et fattura del battisterio”
e il 31 maggio riscuoteva 45 ducati per il saldo
dell’opera.
Ivi, alla data.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
9
Interno della chiesa di Santa Maria Formosa
10
Interno della chiesa di Santa Maria Formosa dopo il bombardamento austriaco del 9 agosto 1916
Piazzetta sono registrati ancora l’11 marzo con 30 ducati; il 18
marzo con 17 ducati per “due angeli et bassa intagliata del parapetto sopra la bradella51 dell’altar di San Francesco di Paula”52,
mentre altrettanti ducati sono riconosciuti all’“indorador per haver indorato i due angeli et ancora una bassa intagliata che deve
servire per il detto altare sopra la bradella”53; il 4 aprile si liquida
un altro pagamento di venti ducati all’“intagliador” e il 24 aprile
vengono pagati “per ordine dell’eccellentissimo signor procurator Carlo Contarini lire sette, soldi quindeci” a “cinque lavoranti
dell’intagliador” Giacomo Piazzetta54. Le ultime somme riscosse
dall’artista risalgono al 15 maggio (20 ducati), al 2 agosto (30
ducati “a conto del suo haver”) e, inine, al 3 settembre quando
riceve “cinque ducati correnti per resto e saldo d’ogni sua operatione fatta in detta chiesa sino al giorno d’oggi di robe et fatture
come appar da suo ricevere”55.
Sarà Pietro Paciico nella Cronica veneta del 1697 a magniicare
per primo il rinnovamento dell’ediicio con un richiamo particolare per il nuovo battistero: “La chiesa di San Felice è una
delle belle chiese ridotte al moderno e restaurata nuovamente
dall’eccellentissimo procurator Carlo Contarini, che fra gli altri
ornamenti vi fece fare un sontuoso battistero di pietra mandolata da Verona con belle inventioni, dove si vede un gran vaso
che riceve l’acqua battesimale adornato d’intagli assai vaghi di
legno indorati al moderno”56.
A tanta lode farà da controcanto il disprezzo dei puristi ottocenteschi che si resero così responsabili dell’obliterazione di
quanto in passato era stato fatto, grazie alla muniica disponibilità dei devoti, per arricchire la chiesa. Così infatti scriveva nel
1822 l’anonimo estensore di una delle diverse versioni manoscritte relative alla storia della fabbrica57:
Di gusto depravato qual era il gusto del secolo decimo settimo
era la cantoria ed il cassone dell’organo tutto ad intagli dorati,
e sostenuto da due cassoni, uno che conteneva la scala ed uno
un grande armadio, i quali formavano cappella al battisterio
appoggiato al muro dove prima eravi una porta che conduceva in una callesella tra la chiesa e il palazzo Mora coll’imboccatura che ora si tiene chiusa sopra la fondamenta. Un’iscrizione
irregolare trovata sopra un pezzo di foglia fa conoscere che i
lavori spettanti all’organo esistevano l’anno 1669. Può darsi
che i fregi del battisterio siano stati fatti contemporaneamente
ai primi dell’organo, o potrebbe darsi che fossero posteriori
perché più gofi di questi e coll’oro più conservato.
Il cassone e la cantoria, ora sostituita e non ancora terminata,
colla scala nella nominata calletta, fu eseguito diligentemente
sopra disegno del nobile signor Antonio Diedo secretario di
questa Imperiale Regia Accademia di Belle Arti, dal nonzolo
86
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
11
Abside e cupola della chiesa di Santa Maria Formosa dopo il bombardamento austriaco del 9 agosto 1916
Gaetano Combatti, accompagnata da “illustrazioni topograiche, statistiche e storiche” contenute in un volume allegato alla
cartograia60. Nelle pagine dedicate alla chiesa parrocchiale di
Santa Maria Formosa si ricordava come:
della chiesa Antonio Paluzzi. Il battisterio che si chiuderà nella
nicchia preparata nel sito dell’antico sarà eseguito dallo scalpellino e bravo ornatista Spiera parrocchiano.
Se è vero che ogni stagione deve dare i suoi frutti, in questo
caso, da arteici della levatura di Piazzetta e Merengo, si era
caduti nelle mani di un nonzolo e di uno scalpellino58.
Ai lati del presbiterio, stavano, gli è qualche tempo, due monumenti ricchissimi di marmo e di sculture, uno a destra a
Bartolomeo e Antonio Tononi, un altro a sinistra, alla memoria di una gentildonna Barbaro. Furono tolti via, e rimasero solamente i busti, e questi vennero sparsi per la chiesa.
Erano gofi que’ monumenti, ma pur importanti per la storia
dell’arte nelle sue aberrazioni e, quanto alla parte meccanica
della scultura, non indegni d’essere studiati. Ché oggidì si fugge l’ammanierato e l’ampolloso, ma si cade in una semplicità
Santa Maria Formosa
Nel 1846, un anno prima dell’uscita del volumetto che magniicava le “felici trasformazioni” subite dalla chiesa di San Felice59,
si dava alle stampe la Nuova planimetria della Città di Venezia divisa
in venti tavole, “compilate e disegnate” dai fratelli Bernardo e
50
51
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54
55
56
57
Ivi, alla data.
Ovvero predella.
Ivi, alle date.
Ivi, alla data.
Ivi, alle date.
Ivi, alle date.
P.A. Paciico, Cronica veneta overo succinto racconto
di tutte le cose più cospicue et antiche della città di Venetia […], Venezia 1697, p. 315.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse spettanti alla chiesa, b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa di San
58
Felice notizie storiche”, carte sciolte intitolate
“Notizie spettanti alla chiesa di San Felice [1822]”.
Il 3 settembre 1822 Antonio Paluzzi riceveva
il compenso per due “soaze”, una per l’altare
maggiore e una per l’altare di San Demetrio
“all’occasione di apporvi la palla accomodata
dagli signori Corniani e Querena”; il 22 luglio
1824 Giuseppe Spiera veniva saldato per il selciato intorno al nuovo battistero “eretto a spese
del benemerito sacerdote don Francesco Antivari sagrista”; il 1° giugno 1835 il “tagliapietra
87
59
60
Spiera” riceveva il compenso per il “restauro
dell’altar maggiore e tabernacolo”; il 4 agosto
1835 si registravano “spese straordinarie” pagate a “mistro Paluzzi” per “le spalliere in coro”
e per “seguir l’erezione del nuovo tabernacolo
ed altare in cappella Maggiore” (ivi, Fabbriceria,
Giornali Cassa, b. 1-2, “Giornale cassa n° 1”, pp.
14, 25, 182, 184).
G. Cappelletti, La chiesa di San Felice, cit., p. 23.
G. Combatti, B. Combatti, Nuova planimetria della città di Venezia divisa in venti tavole [...] con illu-
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
12
Scultore veneto dell’ultimo decennio del XVII secolo, Busto di Bartolomeo Tonon; Giovanni Comin, Busto di Antonio Tonon; Giovanni Comin e Domenico
Rossi, Stemma ed epigrafe. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa, crociera sinistra
13
Giovanni Comin e Domenico Rossi, Stemma della famiglia Tonon. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa, crociera sinistra
e molto più perché il loro ristauro necessario per lo pericolo
delle pietre smosse, comprovato da alcuni accidenti che posero in grave timore che tutto rovinasse, sarebbe riuscito di dispendio insopportabile. Per altro se ne conservarono le parti
principali, cioè le iscrizioni e i busti che vennero collocati nei
muri della crociera sinistra64.
misera. Nell’insieme nessuno si degnerà di imitare i seicentisti,
ma chi non li vorrà riconoscere superiori nel trattare le singole
parti61?
La descrizione dei monumenti della famiglia Tonon62 fornita
dai Combatti – che rende merito allo spirito barocco, se non
altro per la maestria “nel trattare le singole parti”, rispetto alla
“semplicità misera” del XIX secolo – si rifaceva alla Guida di
Venezia di Giannantonio Moschini del 181563. Quest’ultimo
era stato però impreciso, e già nel 1843 Emmanuele Antonio
Cicogna lo aveva sottolineato:
Responsabile dello smantellamento dei due mausolei era stato
nel 1840 il parroco Bartolomeo Cecchini65, che provvide a restituire una presunta omogeneità stilistica all’interno della chiesa
(ig. 9), e “nelle pareti ch’erano ingombrate da quei monumenti
il cavaliere Paoletti condusse due dipinture a fresco, che non
sono delle comuni, e che possono ben confortare coloro che
si dolessero dei monumenti portati via”66. Ottanta anni dopo,
nel 1921, l’intervento del parroco Cecchini veniva severamente
criticato, poiché questi animato
I due depositi che stavano alle pareti del coro [di Santa Maria
Formosa], eretti l’uno a Turino Tononi e l’altro a Bartolomeo
e ad Antonio Tononi (e qui si noti che il Moschini, ed altri
che copiò, errava nel dire che uno di tali depositi è ad Ermolao Barbaro, individuo che non ebbe mai in questa chiesa un
deposito), si levarono e perché ingombrando colla loro mole
le pareti stesse presentavano il cattivo gusto del secolo XVII,
61
62
63
strazioni topograiche, statistiche e storiche di Francesco
Berlan […]. Parte II - Illustrazioni, Venezia 1846.
Ivi, pp. 102-103.
Abbiamo preferito la forma veneziana del cognome Tonon, così come citata nei documenti d’archivio, piuttosto che la forma italianizzata Tonone/Tononi. La stessa scelta vale anche per il nome
proprio Turin rispetto a Torin, Turino o Torino.
“Nel coro vi sono due monumenti ricchissimi
di marmi e di varie sculture, ma del peggior gu-
64
dal cattivo gusto del tempo […] sforacchiava la cupola con
quattro volgari inestre trasformandola in un abbaino, faceva
sto che si possa immaginare. L’uno alla destra di
chi guarda si eresse l’anno 1690 dal pio ristoratore di questo tempio Torrino Tononi al padre
Bartolomeo e al igliuolo Antonio. L’altro venne sollevato da Ermolao Barbaro per la moglie
e per se” (G. Moschini, Guida alla città di Venezia
[…], I, Venezia 1815, p. 193).
E.A. Cicogna, Cenni intorno alla chiesa di S. Maria
Formosa di Venezia e gli ultimi suoi ristauri ristampati
con giunte, Venezia 1843, p. 14.
88
65
66
“Questa chiesa venne in questi ultimi anni lodevolmente ristaurata a merito delle premurose cure
del parroco mons. Bartolomeo Cecchini, canonico onorario della cattedrale” (J.F. Lecomte, Venezia o colpo d’occhio letterario, artistico, storico, politico […],
Venezia 1844, p. 479 e nota dell’editore).
Ibidem. Ricordiamo che la chiesa di Santa Maria
Formosa venne rifabbricata a partire dal 1492
dall’architetto Mauro Codussi (L. Olivato, L.
Puppi, Mauro Codussi, Milano 1977, pp. 206-208).
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
imbrattare di affreschi teatrali le pareti e la volta della cappella maggiore da Pietro Paoletti, tutti gli spazi disponibili della
cupola e le chiuse occhiaie dal Casa67, e lungo tutta la bella
zona, che in alto si aggira come un nastro severo intorno ad
una chioma composta, faceva distendere un fregio degno d’un
caffè villereccio, dal Pividor e dal Canta68.
Intanto la Prima guerra mondiale aveva già prodotto uno
scempio: il 9 agosto 1916, “una sera splendida di stelle, terribile d’ansie”69, una squadra di idrovolanti austriaci “riversava su
Venezia un nembo di bombe incendiarie”, devastando anche
la chiesa di Santa Maria Formosa (igg. 10-11). Il successivo
intervento di restauro, non solo avrebbe rimosso le pitture ottocentesche, ma avrebbe anche ricostruito in forma arbitraria la
cupola, peraltro soltanto danneggiata dalle bombe, demolendo
lo slanciato tamburo ottagonale (ig. 11).
Le efigi marmoree dei Tonon sopravvissero sia alle radicali
trasformazioni ottocentesche sia alle tragiche vicende belliche.
Ancora oggi, accompagnate dallo stemma di famiglia e dalle
iscrizioni commemorative, si scorgono nel braccio sinistro della crociera: Bartolomeo e Antonio sulla controfacciata e Turin
sulla parete sinistra entrando dalla porta laterale70 (igg. 12-14).
‘Appese’ in alto le sculture risultano decontestualizzate e, data
la loro posizione, sfuggono anche al più attento visitatore.
Eppure Turin Tonon era stato un muniico benefattore della
chiesa di Santa Maria Formosa, come ricorda per primo Fedele
Onofri nella Cronologia veneta del 1688: “Si va restaurando [la
chiesa] a spese del signor Turrini Tononi”71. Pochi anni dopo,
nel 1692, Nicolò Doglioni avrebbe rimarcato: “Scossa da un
terramoto hora è risorta a spese del signor Turrini Tononi, havendola adornata di due superbi depositi”72. Ma è nel Forestiere
illuminato del 1740 che troviamo con maggior enfasi sottolineato il ruolo di Tonon, il quale provvide al restauro
14
alla ine dello scaduto secolo, in modo che [la chiesa] nella sua
mediocre grandezza è assai gentile. Gli adornamenti d’intagli
e di pitture, fatti dalla pietà di Turino Tonnone mercatante, dimostrano evidentemente l’amore ch’egli portava alla sua parrocchia, vedendosene in ricco mausoleo nella cappella maggiore la sua memoria, e ’l ritratto scolpito in ino marmo73.
cittadinanza veneziana de intus et de extra concessa dalla Repubblica nel 1643 al padre Bartolomeo74, aveva fra il 1678 e il 1681 intrapreso il restauro della casa di famiglia in contrada di Santa Maria
Formosa e al 1678 risale la scrittura privata con il murer Andrea
Il “mercatante” di origine piemontese Turin Tonon, titolare della
67
68
69
70
Si tratta del pittore Giacomo Casa. L’intervento in Santa Maria Formosa non è ricordato da
C. Tonini, Casa Giacomo, in La pittura nel Veneto.
L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano
2003, pp. 683-684.
G. Pavanello, La chiesa di S. Maria Formosa nella VIª
sua ricostruzione (639-1921), Venezia 1921, p. 4.
Ibidem.
L’iscrizione che accompagna i busti di Bartolomeo e Antonio così recita: “bartholomæo
patri antonio filio/ vt vivant vel in redivivo templo/ vnivs providentiæ alterivs
generositatis/ memor et haeres/ filivs et
Scultore veneto dell’ultimo decennio del XVII secolo, Busto di Turin Tonon;
Giovanni Comin e Domenico Rossi, Drappo con epigrafe e stemma. Venezia,
chiesa di Santa Maria Formosa, crociera sinistra
frater/ amantissimvs/ tvrrinvs toñonvs/ p.
c. anno mdclxxxx”;
71
72
quella incisa nel drappo
di marmo nero sotto il busto di Turin così
recita: “tvrrino tonono/ bartholomæi filio,/ templi terræmotv concvssi/ formosa
strvctvra/ pio ac generoso reparatori,/
petrvs bernardo antistes./ et collegiales/
perenne grati animi monvmentvm/ p.c./
a.d. mdcxc/ mense novemb.s die xix”.
F. Onofri, Cronologia veneta […], Venezia 1688, p.
139.
N. Doglioni, Le cose notabili et maravigliose della città
di Venetia […], Venezia 1692, p. 375. Il terremoto
89
73
74
menzionato da Doglioni è quello del 1688 e l’intervento restauratore di Tonon è ricordato anche
da P.A. Paciico, Cronica veneta, cit., p. 167.
Forestiere illuminato, Venezia 1740, p. 151.
Venezia, Archivio di Stato (d’ora in avanti
ASVe), Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 108 […]. 1643, 14
aprile. Cittadinanza de intus et de extra concessa dal magistrato eccellentissimo de Provveditori di Comun al signor Bortolo Tonon quondam Turin”, cc. n.n.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
15
Pagan “per la rifabbrica della casa nela conformità del modello
e pianta mostratali”75. Non conosciamo il nome del progettista
del palazzo, ma i lavori di tagliapietra vennero afidati a Giovanni
Battista Cavalieri76, che realizzò anche “l’arma intagliata” dei Tonon da collocare sulla facciata. L’ascesa sociale della famiglia si
manifestò inoltre nella prodigalità dimostrata per riparare i danni
che il terremoto aveva causato alla chiesa di Santa Maria Formosa, e in tal senso il 2 maggio 1690 il capitolo deliberava in “segno
di gratitudine” verso Tonon – il quale “per puro zelo di carità”
e “con non poca summa del proprio denaro” aveva provveduto
al “risarcimento et riparo di detta chiesa minacciante ruina sino
a fundamentis” – e concedeva “le due intiere facciate di muro
esistenti nel coro di detta chiesa, cioè una sopra le sedie dalla
parte del reverendissimo pievano et l’altra sopra quella del molto
reverendo primo prete” per poter innalzare “quelle memorie et
iscrizioni che più pareranno alla loro prudenza”77.
Per la costruzione dei depositi, Turin Tonon incaricò, con due
contratti distinti in data 5 luglio e 20 settembre 169078, lo “scultor” Giovanni Comin79, in veste anche di progettista (quale autore del “dissegno e modello”)80, e Domenico Rossi, il futuro
architetto, qui agli albori della sua carriera, ma ingaggiato come
semplice “tagliapietra”81. Sappiamo, in dal proilo tratteggiato
da Domenico Maria Federici nel 1803, che Comin “in Venezia ed
in Roma sotto dei più valenti maestri apprese l’arte, l’architettura
e la scultura”82 e che nel 1673 “fece un grandioso disegno” per
l’altare del Rosario in San Nicolò a Treviso, un’imponente struttura che anticipava le ideazioni di padre Giuseppe Pozzo83. A
conferma del suo ruolo riconosciuto di architetto rimane il fatto
che l’esecuzione di questo altare fu afidata ad altri84.
Dalla descrizione fornita nei due contratti per i monumenti di
Santa Maria Formosa si può immaginare la magniicenza delle
macchine barocche oggi scomparse. Entrambe erano costituite da piramidi la cui struttura doveva essere “di marmo ino
da Carrara”, alte 12 piedi (poco più di 4 metri85) con inserti di
“machia d’Adese o rosso di Francia”, “mandolà”, “pietra gialla
da Verona”, pietra di “paragon” o “serpentin”. Un monumento
recava alla sommità l’efige di Turin “che havi un panno volante
di parangon pendente sotto il busto ove sarà obligatti scolpirli le
lettere che faranno bisogno”, più in basso la statua del Tempo “in
atto di mostrare il ciello della chiesa et il ritratto che si deve meter
nel mezo”; il Tempo doveva essere “involto in un panno di pietra
gialla da Verona che le vadi scherzando a torno in atto di scoprire
il ritratto”. L’altro deposito esibiva in cima alla piramide “un vasso et una Fenice”, più in basso al centro “due angelli volanti che
portino due rami d’olivo e dentro una cifra con letere della pace”,
oltre a “due statue di altezza al naturale” – “la Fortuna” e “la
Generosità” – che dovevano essere poste ai lati di uno “scheletro
sedente in atto d’aver scrito le leggi” e del “ritratto” del fratello
Antonio. Dal piedistallo della struttura doveva cadere un panno
“di pietra mischia diferente dall’altre pietre”, svolazzante intorno
alle statue della “Morte” e della “Fortuna”.
Il lavori di costruzione procedettero speditamente visto che il primo pagamento ad acconto risale al 19 luglio 1690 e l’ultimo a saldo
al 4 marzo 1691, per una spesa complessiva di 1.400 ducati86. E
Giovanni Comin, Monumento a Pietro e Domenico Marchetti. Padova, Basilica
del Santo
90
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
16
Giovanni Comin, Monumento a Pietro e Domenico Marchetti, particolare. Padova, Basilica del Santo
75
Ivi, b. 18, fasc. segnato “1680. Polize di spese di
fabriche”, cc. n.n. Non siamo stati in grado di
individuare il palazzo.
Scultore della cerchia di Giusto Le Court e suocero di Domenico Rossi, autore fra il 1679 e il
1686 dell’apparato scultoreo del campanile di
Santa Maria Formosa (M. Favilla, R. Rugolo,
Venezia barocca. Splendori e illusioni di un mondo in
‘decadenza’, Schio 2009, p. 33). Ma si veda anche
A. Corbara, Appunti veneti per Faenza. L’attività di
G.B. Cavalieri nella cerchia lecourtiana, in Gli artisti,
la città. Studi sull’arte faentina di Antonio Corbara,
Bologna 1986, pp. 248-251; A. Dari, L’altare maggiore del Duomo di Faenza e il cardinale Carlo Rossetti:
un’opera trascurata di Carlo Fontana in Romagna, in
“Bollettino d’Arte”, 25, 2015, pp. 111-129.
76
77
78
79
80
81
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri
infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria Tonon, b. 4, fasc. segnato “Santa Maria Formosa.
Chiesa. N. 107 […] 1690, 2 maggio”, cc. n.n.
Si veda qui Appendice documentaria, docc. 3-4.
Sulla igura di Giovanni Comin si veda S. Zanuso, Giovanni Comin, in La scultura a Venezia, cit.,
pp. 724-725 (con bibliograia).
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 3.
Ricordiamo che Giovanni Comin aveva sposato Maddalena Sardi, originaria di Morcote
sul lago di Lugano, parente della madre di
Domenico Rossi (cfr. G. Vio, Appunti per una
migliore conoscenza, cit., pp. 223-227). Su Domenico Rossi cfr. B. Caruso, Domenico Rossi:
un architetto fra tardo Seicento e primo Settecento,
91
82
83
84
85
86
in “Ateneo Veneto”, 176, 1989, pp. 165-177.
D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno dal Mille e Cento al Mille e Ottocento. Per servire
alla storia delle Belle Arti d’Italia, II, Venezia 1803,
p. 105.
Su padre Giuseppe Pozzo si vedano: I disegni di Jacopo Antonio Pozzo: l’album di Milano, a
cura di F. Suomela Girardi, Trento 2008 (con
bibliograia); L. Giacomelli, Pozzo, Jacopo Antonio, in Dizionario Biograico degli Italiani, 85,
Roma 2016, pp. 205-208 (con bibliograia).
La realizzazione dell’altare venne afidata al
tagliapietra veneziano Giovanni Grassi (D.M.
Federici, Memorie trevigiane, cit., p. 105).
Cfr. E. Concina, Pietre parole storia, cit., p. 110.
Si veda qui Appendice documentaria, docc. 3-4.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
17
Giovanni Comin, Busto di Antonio Tonon. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa
18
Gianlorenzo Bernini, Busto di Luigi XIV. Château de Versailles, Salone di Diana
in un riepilogo di spese per il restauro della chiesa, stilato il 24
novembre 1690 dal muratore Iseppo Pagan, si fa cenno alla spesa
di 80 ducati per “haver tagliato il muro, con haver messo in opera
il deposito di marmo et haverlo innarpesato”87.
I monumenti Tonon, anche per la presenza della piramide e per
la gran copia di sculture, ricordano la memoria funebre a Pietro
e Domenico Marchetti completata nel 1690 dallo stesso Comin
nella basilica del Santo a Padova88 (igg. 15-16) e, nel medesimo contesto, il perduto mausoleo di Elena Lucrezia Cornaro
Piscopia, opera realizzata fra il 1684 e il 1689 da Bernardo Tabacco89. Alle memorie Tonon si potrebbero riservare le iperboli che il francescano Giovanni Battista Fabri spendeva per il
colossale monumento della prima donna laureata nel mondo:
i Prassiteli sarebbe creduta opera dei loro scalpelli. Un deposito che fa inarcare le ciglia allo stupore e che nella bizzarria
del capriccio toglie il vanto alle più studiate idee della Scultura.
Qui l’arte gareggia con tal maestria che le statue, o sembrano
animate, o che Fidia vi habbia impresso i sentimenti delle più
industriose vivezze90.
Sono scontate le reminiscenze degli esempi berniniani appresi durante il soggiorno romano di Comin, ma immaginiamo
che anche l’asimmetrico, pittoricissimo mausoleo dedicato al
patriarca Giovanni Francesco Morosini, realizzato da Filippo
Parodi entro il 1685 nella chiesa dei Tolentini, non potesse passare inosservato91.
Non ci risultano precedenti, in ambito veneto, che vedano la
personiicazione della Fortuna in un monumento funebre, la
E veramente egli è una struttura si ben intesa, che se vivessero
87
88
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106. […] 1688.
Spese della fabrica della chiesa fate dal signor
Turin Tonon”, cc. n.n. Il 2 settembre 1690 veniva pagato il fabbro per “4 feri per tenir le igure”, “4 diadema per le igure”, “arpesi e iube,
feramenta per li depositi”, “piombo per li detti
per inpionbar” (ibidem).
La critica ha in qui collocato l’esecuzione del
monumento in un arco cronologico compreso
fra il 1678 e il 1690, identiicando il complesso
come una memoria dedicata a Pietro, Domenico e Antonio Marchetti (B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova, II, Padova 1853, pp.
299-301; S. Zanuso, Giovanni Comin, cit., p. 725).
La data 1678 si trova in realtà solo sulla lapide
terrena che sigilla il sepolcro dell’intera famiglia
Marchetti, mentre l’iscrizione posta sul mausoleo reca la data 1690 e celebra, come d’altronde
il monumento stesso, solo Pietro e Domenico,
mentre Antonio, che morirà nel 1730, è ricordato quale promotore dell’impresa. Possiamo
identiicare, nel busto posto a sinistra di chi
guarda, l’efigie di Pietro per la presenza della
decorazione dell’ordine del cavalierato di San
Marco (con il leone “in moleca”) e, nel busto
di destra, quella più giovane del iglio Domenico (B. Gonzati, La basilica di S. Antonio, cit., pp.
299-300; A. Rizzi, I leoni di San Marco. Il simbolo
della Repubblica veneta nella scultura e nella pittura,
III, Supplemento, Venezia 2012, p. 95, n. 280).
92
89
90
91
A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di storia e
di arte francescana, I, Basilica e convento del Santo,
a cura di G. Luisetto, Padova 1983, p. 678, nn.
82-83. Un’ipotesi ricostruttiva del monumento
è stata formulata da F.L. Maschietto, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684) prima donna
laureata nel mondo, Padova 1978, pp. 217-218 e
tav. XLII, poi ripresa da R. Rugolo, Sul mito di
Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, in Donne a Venezia. Vicende femminili fra Trecento e Settecento, a
cura di S. Winter, Roma-Venezia 2004, pp. 9698, ig. 6.
G.B. Fabri, La conchiglia celeste […], Venezia
1690, p. 38.
Sul monumento Morosini si veda A. Bacchi,
Filippo Parodi, in La scultura a Venezia, cit., p. 772.
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
19
Scultore veneto dell’ultimo decennio del XVII secolo, Busto di Bartolomeo Tonon. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa
20
Scultore veneto dell’ultimo decennio del XVII secolo, Busto di Turin Tonon. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa
quale, nel secondo deposito Tonon, appare en pendant con la Generosità. Quindi, dato il contesto, può essere interpretata come
allusione alla buona sorte della famiglia, secondo il dettato di
Cesare Ripa92: “la verità è che il tutto dispone la divina Providenza, come insegna S. Tomaso”, e che l’uomo virtuoso deve
essere arteice del proprio destino, “Fortunae suae quisque faber,
perché se bene alcuno potesse esser (come si dice) ben fortunato, nondimeno s’egli non è giudizioso in drizzare il camino
della vita sua per loco conveniente, non è possibile che venga a
quel ine che desiderava nelle sue operationi”.
Per quanto riguarda i ritratti marmorei dei tre Tonon, nel contratto per il monumento a Turin si speciica che i due arteici
erano obbligati a eseguire “tutte le opere […] tanto di scultura
quanto d’architettura, eccetuato il busto di marmo [di Turin]
ben che sia nell dissegno e modello”, ma potevano avvalersi, senza aggravio di spesa, anche di terzi così come esplicato
92
93
94
95
C. Ripa, Iconologia, Venezia 1645, p. 227 (Fortuna), pp. 238-240 (Generosità).
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 3.
Si veda qui Appendice documentaria, doc. 4.
Antonio Tonon moriva nel 1678 all’età di 38
anni (ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa,
Morti 1673-1695, p. 140). Il ritratto di Antonio
venne quindi eseguito sulla base di un prototipo
forse in pittura, visti i ritratti “del Casana” (fra
questi anche il “ritrato del signor Turin Tonon”)
nell’accordo: “facino e facino fare li sudetti Comino e Rossi a
tutte loro spese tanto di marmo quanto di fatture e lustradure,
e doppo fatte abbino obligo d’assistere all metere in opera alli
murari”93. Il principio veniva ribadito in chiusura del secondo
contratto: “et tutte queste cose siino fatte e fatte fare tanto di
materialli, quanto di fattura, dalli sottoscriti scultore e tagliapietra e condote sopra l’acqua in chiesa di Santa Maria Formosa
ove devono esser poste in opera con l’assistenza delli medesimi”94.
Come visto, per il primo deposito era escluso per contratto “il
busto di marmo” di Turin, benché presente nel “dissegno” e
nel “modello”, mentre nella seconda scrittura si nominava solo
l’efigie di Antonio95 (ig. 17) da afidare a Giovanni Comin:
“faci un busto del ritratto dell signor suo fratello”. Forse i busti
di Turin e del padre Bartolomeo96 (igg. 19-20) già esistevano
e vennero riutilizzati, oppure furono commissionati a un altro
che ornavano gli ambienti della casa di famiglia.
Inoltre, fra gli 84 dipinti registrati nell’inventario post mortem di Turin Tonon stilato, con la
stima delle opere, dal pittore Giovanni Battista
Rossi, ricordiamo tele di Domenico Tintoretto, Pietro Vecchia, Pietro Negri, Pietro Ricchi,
Francesco Ruschi, Antonio Molinari, Giuseppe
Diamantini. Nell’inventario topograico della
casa sono registrate nella “camera sopra canal
[…] quatro statue di pietra e due bale di pie93
96
tra” (ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i
poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 18, fascc. segnati “n. 4 […] 1699 [m.v.]
inventario de’ quadri, mobili con le sue stime e
dinari in scrigno ritrovati alla morte del quondam signor Turrini Tonon” e “Inventario mobilio diverso con sue stime [7 gennaio 1700]”,
cc. n.n.).
Bartolomeo Tonon moriva nel 1676 all’età di 85
anni (ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa,
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
21
Giovanni Comin, Busto di Antonio Tonon. Venezia, chiesa di Santa Maria Formosa
22
Giovanni Comin, Busto di Domenico Marchetti, particolare. Padova, Basilica del Santo
scalpello. Sono infatti estranei alla vitalità berniniana – innestata sull’imperante grand goût francese – che promana dal busto di
Antonio97 (igg. 17-18). Quest’ultimo è prossimo – nella resa
idealizzata della isionomia, oltre che nella vaporosa parrucca e
nel panneggio scosso dal vento – alle sussiegose efigi di Pietro
e Domenico Marchetti scolpite da Comin per il monumento a
loro dedicato nella basilica del Santo a Padova (igg. 16, 21-22).
I busti di Turin e di Bartolomeo Tonon, esclusi dagli impegni sottoscritti da Comin, appaiono frutto della stessa mano e
si caratterizzano per un maggior naturalismo nella pacatezza,
iera e mite al contempo98, dei volti e nella deinizione delle
vesti avvolgenti e percorse da un leggero fremito, rimanendo
tuttavia aderenti all’immaginario corpo sottostante. Le volumetrie chiuse e ‘congelate’ delle forme, le capigliature attaccate
alle teste, i dettagli quasi realistici delle fronti corrugate – con
le sopracciglia ben descritte – e delle palpebre delineate, fa-
97
Morti 1673-1695, p. 123).
È merito di Damir Tulić l’aver attribuito su
base stilistica a Giovanni Comin il busto di
Antonio Tonon. Lo studioso attribuisce al medesimo scultore anche i busti di Bartolomeo e
Turin, attribuzione che, per le ragioni spiegate
nel testo, non siamo in grado di condividere
(D. Tulić, Alcune proposte per il catalogo giovanile di
98
99
rebbero pensare a uno scultore memore dell’insegnamento di
Bernardo Falconi99 ma, in pari grado, supericialmente toccato dalle novità della scuola lecourtiana. Per quanto riguarda la
loro datazione, il volto di Turin parrebbe quello di un uomo
sui sessant’anni, quindi più o meno coevo all’esecuzione dei
monumenti (considerando che Tonon moriva nel 1700 all’età
di 67 anni100), mentre la isionomia di Bartolomeo è quella di
un uomo maturo, forse cinquantenne, ma essendo questi morto nel 1676, all’età di 86 anni, il sembiante scultoreo non può
essere stato scolpito ad vivum101. Tali motivi spingerebbero a
collocare i due ritratti tra la seconda metà degli anni ottanta e la
prima metà degli anni novanta del XVII secolo.
Come sopra accennato, Turin Tonon non pensò solo ad eternare la propria efigie e quelle dei congiunti, ma si era già obbligato, negli anni immediatamente precedenti, a risarcire i danni
che un terremoto aveva provocato alla chiesa. Fra l’inizio del
Giovanni Bonazza a Capodistria, Venezia e Padova
e annotazioni per i suoi igli Francesco e Antonio, in
“Ars Adriatica”, 5, 2015, p. 159, nota 5).
Si veda P. Rossi, Ritratti funebri e commemorativi di
Enrico Merengo, in “Venezia Arti”, 8, 1994, pp.
47-56.
Sulla igura di Bernardo Falconi si rimanda a: S.
Zanuso, Bernardo Falconi, in La scultura a Venezia,
94
100
101
cit., pp. 732-735; P. Rossi, La decorazione scultorea
dell’altare di Sant’Antonio ai Frari: per un proilo di
Bernardo Falconi, in “Arte Veneta”, 60, 2003, pp.
42-71.
ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa, Morti
1695-1709, p. 97.
Ivi, Morti 1673-1695, p. 123. Per il busto di Bartolomeo valgono le stesse considerazioni fatte
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
23
Giovanni Comin (?), Progetto per la sistemazione del tamburo della cupola di Santa Maria Formosa. Venezia, Archivio di Stato
fasse inte di pietra viva, et haverli stabilito li otto pilastri di
terrazzo rosso e di bianco inti di pietra viva, et haverli stabilito
li 4 nichii di rosso e di bianco e tutti li muri di detta cubba di
dentro di rosso e bianco marmorino”106.
Non troviamo, d’altra parte, nei documenti alcun cenno all’apparato decorativo scultoreo che invece risalta nel disegno allegato al fascicolo delle spese per i restauri107 (ig. 23). Esso
riproduce la sistemazione di quattro pareti dell’alto tamburo
ottagonale con inestroni centinati alternati a nicchie e separati
da pilastri. All’interno delle nicchie erano previste le statue degli Evangelisti (nel foglio si vedono San Giovanni e San Marco)
(igg. 24, 26) e nella cornice inferiore una serie di ampi cartouches, vuoti in corrispondenza delle nicchie e con busti di santi
vescovi (forse i dottori della Chiesa) sotto le inestre (ig. 25).
Nessuna indicazione ci viene offerta per stabilire a chi possa
essere ricondotta la responsabilità della decorazione del tamburo della cupola, né vi sono elementi sicuri per individuare
la paternità del foglio. Tuttavia, abbiamo alcune certezze: la
1688 e la primavera dell’anno successivo i documenti annotano
le spese di muratura e di carpenteria necessarie102. Domenico
Rossi è impegnato come tagliapietra in numerosi interventi di
restauro, giusta una dettagliata relazione databile al 5 gennaio
1689103. Le carte consentono di comprendere che l’operazione
più ragguardevole veniva riservata al tamburo della cupola104,
dove erano previste “numero otto seragie”105 per i “volti”,
quattro per le inestre “dentro e fuori” e “quattro per li nichi”,
più otto capitelli per “li pilastri grandi che forma ottangolo”. I
lavori erano senz’altro terminati il 28 maggio 1689, quando il
muratore Iseppo Pagan presentava a Tonon una “Poliza di fatture fatte nella chiesa di Santa Maria Formosa […] principiate
sotto 16 luglio 1688”. Fra le voci elencate si ricordano i lavori
di smantellamento della struttura danneggiata – ad esclusione
del lanternino che rimaneva al suo posto grazie a un ponteggio
ad hoc – e di ricostruzione delle murature ino all’intervento di
riinitura della cupola “con haverli fatto le sue fasse nelli otto
cantoni et haverla stabilita di bianco marmorino fregato, e le
102
103
104
per quello di Antonio, ovvero che lo scultore
abbia preso un ritratto come modello.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106. […] 1688.
Spese della fabrica della chiesa fate dal signor
Turin Tonon”, cc. n.n. Tali documenti sono in
parte illeggibili per i danni provocati dall’umidità.
Ivi, cc. n.n., 1688 more veneto.
In tal senso nella fattura del falegname si ricor-
dano i lavori alla cupola, avendo “fato la chuba
di dentro con due teleri di ponti di larese doppi”, con “la incantinelatura tutta di cantinelle di
albeo con la sua cornise intagliata, parechiata
dal intagiador e mesa in opera, il tuto fato in
buona forma come si può veder”. Il “teler”,
ovvero il telaio per la cupola è ricordato anche
in una nota, senza data, di “fature fate di più
del a cordo di ragion de il signor Turin Tonon
fate nella chiesa di Santa Maria Formosa”, ove
si registra la spesa “per haver fato un teler in
95
105
106
107
ottangolo posto nel soito della cupola meso in
opera come aver agiustà la sua cornice in torno” (ivi, cc. n.n.).
Ovvero chiavi d’arco (cfr. E. Concina, Pietre parole
storia, cit., p. 135).
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106. […] 1688.
Spese della fabrica della chiesa fate dal signor
Turin Tonon”, cc. n.n.
Ivi, cc. n.n.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
24
25
Giovanni Comin (?), Progetto per la sistemazione del tamburo della cupola di Santa Maria Formosa, particolare con San Giovanni. Venezia, Archivio di Stato
Giovanni Comin (?), Progetto per la sistemazione del tamburo della cupola di Santa Maria Formosa, particolare con la decorazione del cornicione. Venezia, Archivio
di Stato
(ig. 28) nel 1693 per la statua di San Marco destinata all’altare
maggiore della chiesa di Santa Maria della Pietà a Venezia (oggi
nel duomo di San Lorenzo a Mestre)109. Ciò nonostante, per il
disegno di Santa Maria Formosa, non possiamo chiamare in
causa Merengo, poiché adesso disponiamo di una prova graica
a lui riferibile approntata negli stessi anni (ig. 29), ovvero una
proposta – che sarà realizzata con alcune varianti fra il 1689 e il
1690 – per il cenotaio a Ottone Guglielmo von Königsmarck
nell’Arsenale di Venezia110 (igg. 30, 32-33). Il foglio si caratterizza per un vivace tratteggio pittorico che quasi eguaglia, per
felicità di tocco, l’esempio del maestro Giusto Le Court111 (ig.
34), mentre un po’ meno sciolto, pur respirando una medesima
aria, è il segno dei decori sul foglio per Santa Maria Formosa.
L’esemplare del Museo Correr rimane per ora unico nel catalogo graico di Merengo. Infatti non può reggere al confronto
l’attribuzione del disegno con uguale soggetto contenuto nel
Codice Gradenigo Dolin (ig. 31), poiché la qualità molto bassa
del risultato, prodotto di una mano infelice che restituisce in
committenza di Turin Tonon; l’ingaggio del murer Andrea Pagan e del tagliapietra Domenico Rossi nella realizzazione della
struttura architettonica; l’assenza di riferimenti alla decorazione
scultorea nelle polizze stilate dai due arteici.
Non possiamo quindi rivendicare a Pagan e Rossi l’intervento
decorativo del tamburo. Tuttavia entrambi, come detto, li ritroveremo di lì a poco sotto la direzione di Giovanni Comin nei
lavori per i monumenti voluti da Turin Tonon, già committente
dei restauri alla cupola. Forte sarebbe, quindi, la tentazione di
istituire confronti con la produzione di Comin, in specie con
il San Marco della chiesa di San Nicolò di Lido (ig. 27)108, che
pur in controparte sembra avere in comune, con il medesimo
soggetto issato sulla carta (ig. 26), il modellato spumoso del
panneggio, la veste aperta sul petto con le maniche rimborsate
sopra il gomito, la capigliatura e la barba arricciate e inine lo
scorcio del leone accovacciato, ma con le fauci socchiuse. Ancora più stringenti sono le afinità, prova di una radice condivisa, con il bozzetto di terracotta approntato da Enrico Merengo
108
109
Spettante secondo i documenti a Giovanni Comin, per cui si veda P. Rossi, Per il catalogo di
Enrico Merengo, in “Arte Documento”, 7, 1993,
pp. 95-99.
Per l’attribuzione a Enrico Merengo dei bozzetti rafiguranti gli Evangelisti: S. Guerriero,
Paolo Callalo: un protagonista della scultura barocca
a Venezia, in “Saggi e Memorie di storia dell’arte”, 21, 1997, pp. 50-51; M. De Vincenti, Bozzetti e modelli del “Bernini Adriatico”, cit., p. 63.
I bozzetti sono stati ritrovati nei depositi del
Metropolitan Museum di New York da M. Clemente (https://controcorrentearte.wordpress.
110
com/2015/05/22/quattro-merengo-per-ilmet/).
Venezia, Museo Correr, Gabinetto dei disegni
e delle stampe, Raccolta disegni di Architettura, Cl.
III, n. 8143, penna, inchiostro, tracce di matita
su carta, 275×178 mm. Il foglio presenta il busto
di Königsmarck, in tutto corrispondente al realizzato, ai lati del quale siedono le rafigurazioni
– poi non eseguite – di un prigioniero seminudo
a destra e di Minerva armata a sinistra. In basso
è tracciata a matita la struttura del portale architravato sopra il quale si erge il complesso scultoreo. Rispetto al realizzato, non presenta altresì
96
111
alcuna traccia dell’ampio tendaggio retrostante
con l’angelo della Fama che porta il clipeo del
leone marciano in moleca, nella parte più alta, e
con l’angiolotto reggidrappo sulla destra. Sulla
documentazione relativa al monumento si veda
P. Rossi, Ritratti funebri, cit., pp. 47-49.
Si fa riferimento al disegno per la statua della
Vergine con il Bambino posta sull’altar maggiore
della basilica di Santa Maria della Salute conservato presso il Museum of New Zealand Te
Papa Tongarewa, identiicato da S. Guerriero,
La Vergine con il Bambino di Giusto Le Court alla
Salute, la sua fortuna e un busto inedito, in S. Guer-
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
26
112
113
114
27
Giovanni Comin, San Marco. Venezia, chiesa di San Nicolò di Lido
28
Enrico Merengo, San Marco. New York, The Metropolitan Museum of
Art
1979 Lino Moretti notava fra le irme quella del pittore “Antonio Molinari” in veste di “avichario e deputato”114, avanzando
la possibilità che l’esecuzione del foglio spettasse per ragioni
stilistiche proprio a Molinari. Una prudente attribuzione che
però venne parzialmente recepita dalla critica successiva115.
Anche alla luce dell’esemplare del Museo Correr che si pone
agli antipodi come modi e tecnica esecutiva, possiamo deinitivamente accantonare il nome di Merengo, presente solo come
interprete di un’idea altrui, e assegnare a Molinari una prova di
straordinaria qualità ove il segno tracciato ad inchiostro è condotto con mano sicura nel delimitare le solide forme delle igure. L’abilità dell’artista si riscontra anche nei generosi rinforzi
nei più minimi dettagli l’opera realizzata, testimonia trattarsi di
un rilievo, con ogni probabilità a scopo documentario, eseguito
per o dallo stesso Pietro Gradenigo nel XVIII secolo112.
Non appartiene a Merengo nemmeno il progetto per il coronamento scultoreo dell’altare maggiore della chiesa di San
Cassiano (ig. 35): pubblicato da Vittorio Moschini nel 1965 e
attribuito senza indugio allo scultore, reca una scrittura datata
3 aprile 1696 con la quale il “signor Henrico Mavierinch” si
impegnava per “la facitura” delle statue113. Moschini trascriveva
soltanto la irma in calce dell’artista, “Henrico Meyrinch”, ma
non quelle del guardiano e dei dirigenti della Scuola del Santissimo Sacramento in San Cassiano committenti dell’opera. Nel
riero, M. Clemente, Giusto Le Court due opere ritrovate, Firenze 2015, pp. 10-13.
Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Codice
Gradenigo Dolin, n. 172 (20), c. 187, pubblicato
con l’attribuzione a Enrico Merengo da P. Rossi, Ritratti funebri, cit., p. 49, ig. 2. L’attribuzione
è stata pienamente accolta da S. Wolff, Nuovi
contributi, cit., pp. 133-134.
V. Moschini, Di un progetto del Meyring e d’altro ancora, in “Arte Veneta”, XIX, 1965, pp. 171-173.
L. Moretti, Antonio Molinari rivisitato, in “Arte
Veneta”, XXIII, 1979, p. 59. La trascrizione di
Moretti è stata poi riportata nella cronologia del
pittore da A. Craievich, Antonio Molinari, Sonci-
Giovanni Comin (?), Progetto per la sistemazione del tamburo della cupola di
Santa Maria Formosa, particolare con San Marco. Venezia, Archivio di Stato
no 2005, p. 305, il quale raccoglie l’attribuzione
del disegno a Molinari (p. 67 nota 1). Anche
nella contrada di Santa Margherita, dove si trasferì a ine Seicento, Molinari ricoprì incarichi
direttivi nella Scuola del Santissimo di quella
contrada. Ricordiamo infatti che il 12 dicembre
1702 il pittore, come guardiano della Scuola del
Santissimo in Santa Margherita, saldava allo
scultore Giuseppe Torretti i compensi per le
statue lignee (oggi perdute) rafiguranti i santi
Pietro e Paolo da collocarsi sull’altare maggiore
di quella chiesa (ASPVe, Parrocchia di Santa Margherita, Scuola del Santissimo Sacramento, Amministrazione, b. 2, fasc. segnato “M° II E. 1694. […]
97
115
spesa fatta da detta scuola per le statue sopra
l’altar magiore e segnali del Santissimo in detto
altare”, p. 6; M. Favilla, R. Rugolo, Venezia Barocca, cit., p. 130).
P. Rossi, La decorazione scultorea dell’altare maggiore della chiesa di San Cassiano, in “Arte Veneta”,
46, 1994, pp. 40, 47, pur trascrivendo l’intero dettagliato contratto datato 3 aprile 1696
tralascia di riportare i nomi dei membri della
Scuola del Santissimo, che precedono la irma
di Merengo, e quindi anche il nome di Antonio
Molinari. S. Wolff, Nuovi contributi, cit., p. 142,
ritiene il disegno “irmato da Meyring” e non
dubita dell’attribuzione allo stesso. L’attribu-
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
29
Enrico Merengo, Progetto per il monumento a Ottone Guglielmo von Königsmarck. Venezia, Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe
98
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
30
Enrico Merengo, Monumento a Ottone Guglielmo von Königsmarck. Venezia,
Arsenale
31
Anonimo del XVIII secolo, Rilievo del monumento a Ottone Guglielmo von
Königsmarck. Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Codice Gradenigo
Dolin
ad acquerello rosso che toccano i panneggi restituendone, con
risentiti chiaroscuri, la potente consistenza materica116. Numerosi sarebbero i confronti istituibili con la produzione graica
di Molinari, ma in particolare vorremmo accostare l’esemplare
di San Cassiano al foglio con Aci e Galatea della Kunstakademie
di Düsseldorf117(ig. 36). Entrambi denunciano una matrice comune per i tratti generosamente contrastati, sebbene la prova
di Düsseldorf si distingua per un carattere più bozzettistico.
Ciò detto, l’assenza di opere graiche riferibili a Giovanni Comin, verso il quale saremmo orientati per il disegno del tamburo della chiesa di Santa Maria Formosa, rende necessario esprimere un cauto giudizio su tale progetto (ig. 23). Una risposta
priva di ambiguità potrebbe arrivare soltanto da un chiarimento
sull’organizzazione della bottega e sul suo ruolo di ideatore e
116
zione a Molinari del disegno di San Cassiano
viene invece raccolta da S. Brink, Genio vigoroso
ed originale. Die Zeichnungen des Antonio Molinari,
museum kunst palast, Sammlung der Kunstakademie
Düsseldorf, Düsseldorf 2005, pp. 134-135, catt.
59-60, che istituisce un confronto con due disegni riproducenti igure allegoriche.
Sulla graica di Molinari cfr. S. Brink, Genio vigoroso, cit.
117
118
119
120
di organizzatore, con il conseguente coinvolgimento di aiuti e
collaboratori. Al riguardo, ci soccorre in parte Tommaso Temanza che deiniva Comin “uomo di molto credito” il quale
“non faceva altro che modelare”, e “le statue in pietra le facevano due suoi gioveni uno chiamato Oghero di nazione tedesco e
l’altro Giacomo Femenuzzol veneziano”118. In tal senso, risulta
emblematica di una dinamica dualistica la vicenda dell’altare del
Monte di Pietà di Udine, incarico sottoscritto soltanto da Comin ma che, in seguito al suo improvviso decesso, veniva raccolto da Merengo nel 1695119. L’inestricabile intreccio aggalla
anche nell’impegnativa commissione per il doppio monumento dedicato al doge Francesco Morosini in Santo Stefano, su
progetto di Antonio Gaspari120. Il cantiere entrava in una crisi
irrimediabile nel febbraio del 1695 dopo la morte di Giovanni
Düsseldorf, Kunstakademie, Inv. (FP) 3656;
S. Brink, Genio vigoroso, cit., p. 150, n. 70.
T. Temanza, Zibaldon, a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 101.
Si veda G. Bergamini, Il palazzo del Monte di Pietà
di Udine, Udine 1996, pp. 75-84.
Sui monumenti Morosini per Santo Stefano:
V. Conticelli, Architettura e celebrazione a Ve99
nezia: i progetti di Antonio Gaspari per Francesco
Morosini, in “Studi Veneziani”, n.s., 38, 1999,
pp. 137-144; M. Favilla, R. Rugolo, Frammenti
dalla Venezia barocca, in “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, 163, 20042005, Classe di scienze morali, lettere ed arti,
pp. 113-118.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
32
Enrico Merengo, Progetto per il monumento a Ottone Guglielmo von Königsmarck, particolare. Venezia, Museo Correr, Gabinetto dei disegni e delle stampe
33
Enrico Merengo, Monumento a Ottone Guglielmo von Königsmarck, particolare. Venezia, Arsenale
tamburo di Santa Maria Formosa, sostituendo le nicchie con
quattro nuove inestre. E non abbiamo elementi per stabilire
se le statue immaginate nel progetto furono effettivamente eseguite. Comunque sia, il rilievo dello stato di fatto della cupola
prima degli arbitrari rifacimenti del 1926 ad opera dell’ingegnere Giovanni Scolari125 (igg. 37-38), se confrontato con il foglio
seicentesco, testimonia che almeno la struttura architettonica
interna aveva visto concreta realizzazione.
Dopo i lavori di muratura, Tonon pensò anche a dotare il sofitto della chiesa di un arredo pittorico su tela adeguato al rinnovato contesto. In una “poliza di fature fate di più del acordo”
con il falegname, datata 1689, vengono menzionati “quattro
telleri di ponti d’albeo, uno in ovale e altri tre in otangolo i
quali serve per tirar su la tella”126. Sappiamo dunque che erano
previsti quattro dipinti sul sofitto: tre di forma ottagonale e
uno ovale.
Emmanuele Antonio Cicogna nel 1843 indicava sulla volta di
Santa Maria Formosa la presenza di tre tele, “due delle quali
Comin, come se questi fosse stato il sovrintendente dell’ampia squadra della quale faceva parte anche Francesco Cabianca121, già “lavorante scultore in bottega di monsù Giusto”122 Le
Court e prima ancora allievo di Michiel Fabris detto l’Ongaro.
Peraltro, dietro le quinte spunta ancora una volta Enrico Merengo, il quale, giusta una lettera datata 18 dicembre 1694, stava
lavorando “al deposito del Serenissimo Morosini”123.
Merengo si era già occupato del Peloponnesiaco forse per un
altro contesto, eseguendo “un busto armato, che con l’imperiale paludamento agli homeri e col bastone del comando nella
destra, rappresentava l’eccellentissimo procuratore di san Marco Francesco Morosini, all’hora capitano generale e di presente
benemerito doge della Serenissima Repubblica di Venetia. Chi
vagheggiava quella scoltura ben conosceva esser uscita dallo
scalpello del signor Henrico Meringo da Vestfaglia, redivivo
Mirrone de’ nostri tempi”124.
Ritornando invece a un momento più prosaico e triste, fu il
parroco Cecchini a ‘sforacchiare’ nel 1840, come si diceva, il
121
Il 16 giugno 1694, tre mesi dopo l’apertura del
testamento del doge, il nipote Pietro stilava
un accordo con gli scultori Giovanni Comin,
Giovanni Toschini, Francesco Cabianca, Marino Groppelli, coadiuvati da Giovanni Battista
Groppelli e Piero Tirali “intagliadori di marmi”,
Antonio Trabucco “bronzer”, Lorenzo Viviani e
Zuanne Canciani tagliapietra (M. Favilla, R. Ru-
122
123
golo, Frammenti dalla Venezia barocca, cit., p. 114).
T. Temanza, Zibaldon, cit., p. 43.
Ringraziamo Maichol Clemente per la segnalazione della lettera contenuta nell’epistolario Quintiliano Rezzonico - Livio Odescalchi. Tommaso
Temanza ricordava che nel 1693 anche lo scultore Pietro Baratta, a bottega presso Francesco
Cabianca, stava lavorando ai bassorilievi “rapre100
124
125
126
sentanti battaglie navali” destinati al monumento
Morosini (T. Temanza, Zibaldon, cit., p. 72).
G.B. Fabri, La conchiglia celeste, cit., p. 1.
ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa, Fabbriceria, Amministrazione, b. 14, fasc. segnato “Chiesa di S.M. Formosa in Venezia. Progetto per la
ricostruzione della cupola”.
Ivi, cc. n.n.
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
di Gregorio Lazzarini, cioè quelle che sono nel sofitto della crociera, rappresentano due scene del tragico fatto delle
spose veneziane; e quella di Giovanni Segala nella navata di
mezzo, offre la visita annuale del doge a questa chiesa”127. Ma
i documenti d’archivio e le fonti più antiche divergono dalle
affermazioni di Cicogna, in primis sul numero dei dipinti che
dovevano essere in origine quattro e non tre. Anton Maria Zanetti nel 1733 rammentava che “quattro sofitti sono d’autori
moderni”128 e Charles-Nicholas Cochin, nel Voyage d’Italie del
1756, parlava di “quatre plafonds qui sont à la voûte de cette
église […] d’auteurs peu anciens: il sont beaux, surtout celui
qui est dans la croisée de l’eglise, à gauche”129. Ancora nel 1815
Giannantonio Moschini più laconicamente segnalava: “I varii
comparti del sofitto di questa chiesa sono opere eseguite circa
il principio del secolo XVIII. Intanto il comparto di questo
sito, per quanto concedono di vedere, e l’altezza e la oscurità
del luogo, rassembra di Gregorio Lazzarini, che sappiamo aver
lavorato appunto nel sofitto di questa chiesa”130.
La presenza di Lazzarini è testimoniata da Vincenzo Da Canal
che, nell’elenco delle opere dell’artista, trasmetteva per l’anno
1690: “Nel sofitto di Santa Maria Formosa la Ricupera delle
spose rubate da’ Triestini”131. Nel 1696 la Galleria di Minerva
informava che un “sofitto”132 di Antonio Zanchi rafigurante
“l’Andata che fa il Serenissimo ogni anno in quella chiesa” era
collocato “sopra l’organo”, ovvero sul sofitto in prossimità
dell’ingresso principale. Ancora una volta i documenti ci vengono in aiuto. Al 26 aprile e al 9 giugno 1690 risalgono le ricevute rilasciate a Turin Tonon da Antonio Zanchi per un totale
di 60 ducati a compenso di “un quadro di soito per la chiesa di
Santa Maria Formosa che rapresenta l’Andata del serenissimo
dose in Santa Maria Formosa”133. Quindi la tela ricordata da
Cicogna nel 1843134 nella navata di mezzo con “la visita annuale
del doge” era di Antonio Zanchi e non di Giovanni Segala. Un
ulteriore tassello documentario si aggiunge alla vicenda, poiché
l’8 luglio del 1690 Marco Marangoni accusava ricevuta per il
pagamento di una tela, sulla cui qualità aveva fornito il parere
il pittore Federico Cervelli: “si potrà dare lire vinti al signor
Marcho, che mi pare stii bene il prezzo della tela del soito”135.
Se nel 1843, secondo quanto possiamo desumere dalla descrizione di Cicogna, un dipinto era già scomparso, il bombardamento austriaco del 1916 farà strame di tutto: “il tetto bruciato,
distrutto l’organo, incenerita una tela di qualche valore, quella
127
128
129
130
131
132
133
E.A. Cicogna, Cenni intorno alla chiesa, cit., p. 9.
A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture
della città di Venezia […], Venezia 1733, p. 225.
Ch-N. Cochin, Voyage d’Italie, III, Parigi 1756, p.
50; L. Moretti, Antonio Molinari rivisitato, cit., p.
63.
G. Moschini, Guida, cit., p. 190.
V. da Canal, Vita di Gregorio Lazzarini […], Venezia 1809, p. LIV.
La Galleria di Minerva. Overo notizie universali […],
Venezia 1696, p. 67.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
134
135
136
34
Giusto Le Court, Studio per la Vergine con il Bambino della basilica della Salute a
Venezia. Wellington, Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa
del Segala [recte Antonio Zanchi] rappresentante la visita annuale del doge nel sofitto della navata centrale, incenerite o guaste
due tele del Lazzarini [ma una sola era di Lazzarini] illustranti
il ratto delle spose nel sofitto della crociera”136 (ig. 39). Alla
ine è sopravvissuta, seppur danneggiata, solo la Presentazione
al doge delle spose veneziane liberate attribuita ad Antonio Molinari
(ig. 40), oggi appesa dietro l’altare maggiore137. Nulla sappiamo
del destino della quarta tela che, grazie al succitato documento,
doveva spettare alla mano di Federico Cervelli.
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106. […] 1688.
Spese della fabrica della chiesa fate dal signor
Turin Tonon”, cc. n.n.
E.A. Cicogna, Cenni intorno alla chiesa, cit., p. 9.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106. […] 1688.
Spese della fabrica della chiesa fate dal signor
Turin Tonon”, cc. n.n.
G. Pavanello, La chiesa di S. Maria Formosa, cit.,
p. 4. Peraltro, durante i lavori di restauro postbellici l’altare maggiore, in origine addossato
alla parete absidale, venne spostato al centro
101
137
della cappella maggiore. Tale operazione comportò un’arbitraria reinvenzione del manufatto.
Nell’occasione si obliterò anche l’affresco, attribuito a Giulia Lama, che ornava il catino absidale rafigurante la Vergine due santi e Venezia;
per cui si veda Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale
di S. Maria Formosa. Relazione tecnico-amministrativa dei lavori eseguiti pel ripristino della Chiesa, Venezia 1925, p. 8.
Per l’attribuzione della tela a Molinari: L. Moretti, Antonio Molinari rivisitato, cit., p. 63; A.
Craievich, Antonio Molinari, cit., p. 157, cat.
71.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
35
Antonio Molinari, Progetto per il coronamento scultoreo dell’altare maggiore della chiesa di San Cassiano. Venezia, Archivio parrocchiale di San Cassiano
102
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
36
Antonio Molinari, Aci e Galatea. Düsseldorf, Kunstakademie
Turin Tonon moriva il 4 gennaio 1700138 e il 15 gennaio il murer
Iseppo Pagan riscuoteva otto ducati per aver posto in opera sul
monumento “la statua” del defunto e per “inarpesar l’archa”139.
Nel testamento stilato il 22 giugno 1698140, Tonon aveva designato suoi commissari i deputati del luogo pio della fraterna
dei Poveri Vergognosi e il nipote Bortolo Zanchi, rimarcando:
così in pena li miei eredi di lire 50# – e questa pena gela sii sempre tolta di mesi quatro in mesi quatro sino che sarà agiustati, et
detta pena vadì all’Ospedal della Pietà di questa città; più voglio
che detti depositi li miei commissarii li feci netar ogni tre anni
almeno141. […] Voglio poi che il mio cadavere sii messo in una
cassa con il suo coverchio, et sii inchiodata, et poi sii messo nel
mio monumento apresso li miei morti; et subito sii messo doi
arpesi sopra detto coverchio di detto mio monumento.
Più ho fatto doi depositi di marmi ini nella chiesa di Santa
Maria Formosa et, se per il corso del tempo si rompesse qualche cosa nelli detti depositi, voglio che dalli miei eredi, che pro
tempore saranno, sii fatto intender alli signori miei commissarii,
o chi fosse in suo luogho, sii fatte subito governare et agiustare
come era in prima, et se non sarà governati tempo mesi quattro
138
139
140
ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa, Morti
1695-1709, p. 97.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria
Tonon, b. 18, fasc. segnato “N. 3 […] 1698 28
gennaro. Spese della sepoltura del quondam signor Turin Tonon […] et altre spese”.
ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa, Amministrazione, b. 34, fasc. segnato “Mansionaria
141
Il testatore chiudeva le ultime volontà con una raccomandazione
che i posteri avrebbero disatteso: “che non si possi averar che uno
voglia che più niuno venghi a inquietar le mie ossa, et delli miei
morti, et rivedersi in Paradiso, che faci il Signor Dio si catiamo”142.
quotidiana in perpetuo lasciata dal sopra Turin
Tonon con Testamento 23 giugno 1698 atti
Francesco Velano”, cc. n.n.
Spese per la manutenzione dei due monumenti
sono registrate alle date: 17 novembre 1720, 11
gennaio 1721, 5 maggio 1728, 30 luglio 1737,
30 ottobre 1772, 16 settembre 1781 (ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e
vergognosi, Commissarie, Commissaria Tonon, b. 16,
103
142
“Quaderno della commissaria Tonon”, c. 48).
ASPVe, Parrocchia di Santa Maria Formosa, Amministrazione, b. 34, fasc. segnato “Mansionaria
quotidiana in perpetuo lasciata dal sopra Turin
Tonon con Testamento 23 giugno 1698 atti
Francesco Velano”, cc. n.n.; “si catiamo” ovvero ci ritroviamo (cfr. G. Boerio, Dizionario del
dialetto veneziano, Venezia 1829, p. 112).
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
APPENDICE DOCUMENTARIA
b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa di San Felice notizie storiche”,
carta sciolta.
Doc. 1 Elenco dei dipinti e dei manufatti lapidei rimossi o venduti in
occasione del restauro della chiesa di San Felice dopo il 1819.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse spettanti alla chiesa,
b. 3-4, fasc. segnato “Chiesa di San Felice notizie storiche”,
carta sciolta con segnatura a matita moderna “Scritto dopo il
31 agosto 1819”.
Sorge da un zoccolo alto oncie otto155 crescenti e156 lungo nel
prospetto piedi due ed oncie tre.
Si divide in due ordini corintii. Il primo ordine è157 basato sopra un piedestallo da cui sorgono due colonne di tutto diametro per ciascuno de’ lati alte piedi uno ed oncie undici aventi
il rapporto di dieci diametri158. Sopra le colonne è posta una159
trabeazione avente di altezza oncie quattro e tre quarti160 con
modiglioni.
Nel mezzo delle colonne s’apre la custodia la quale si dilatta ne’
ianchi formando due prospetti incurvati della161 larghezza di
un piede, e termina con due colonne poste in vicinanza l’una
dall’altra, la prima di tutto diametro e la seconda di due terzi,
le quali sostengono la trabeazione sostenuta anche dalle prime.
Nei due prospetti vi sono due nicchie con fondo di mezz’oncia
contenenti due picciole statue di bronzo dorato rappresentanti i
santi apostoli Pietro e Paolo sostenute da una gocciola.
Il secondo ordine comprende il tabernacolo composto di
quattro colonne aventi le medesime proporzioni delle prime,
poste sopra un dado che è la quinta parte di tutta la colonna.
Sostengono una cornice alta oncie quattro. Sono queste pure
di tutto diametro e poggiano162 non sopra il diametro delle
colonne inferiori, ma sono a piombo dalla custodia. Sono collocate due da un lato e due dall’altro del tabernacolo, aventi
un’intercolonnia di un diametro e un quarto.
Nel mezzo163 della prima trabeazione ed a livello del dado164
sta collocato un gruppo composto di tre cherubini165 framezzo a nubi di marmo di Carrara sopra il quale si poggia l’ostensorio. Tra gli intercolonnio di mezzo vi è nicchiato uno strato
di ino marmo. Il tabernacolo termina con una cupola che
s’alza dalla trabeazione oncie undici. Dalla cupola cala nella
parte una nube che166 chiude il tabernacolo, questa pure di
marmo di Carrara, composta di quattro cherubini e nel mezzo
una colomba. Ne’ ianchi, sì dilatto, come il primo ordine, i
quali sono chiusi da un cartoccio dal quale s’innalza picciolo
piedestallo che contiene due angeli di bronzo dorato. Tutta
l’opera è intarsiata167 a disegno di marmo di varie specie, ma
in particolare di africano168, del quale sono tutte le colonne.
Tutta l’altezza è sei piedi e mezzo, non compreso169 un picciolo piedestallo che sorge sopra la cupola e sostiene l’immagine
di Cristo risorto.170 Tutta la larghezza ino al171 riccio è172 di
pieddi tre ed oncie otto, e sopra il riccio è di piedi due ed
oncie nove.
Quadri ne’ pennacchi venduti a Giambattista Roncan.
Quadro coi Profanatori del tempio143 venduto al suddetto.
Quadro colla Probatica [piscina] di Roselli144
Quadri in coro di Tintoreto esprimenti la Cena e la Coronazione di spine invenduti145, conservati in Ca’ Mora146.
Quadri in coro esprimenti L’orazione all’orto e L’andata al
Calvario, venduti al Roncan.
L’Annunziata ne’ pennacchi dell’altar maggiore, opera del
Tintoreto147, conservata in Ca’ Mora.
Portelle dell’organo del Tintoreto vendute148 al Roncan e poste in chiesa di San Cassiano lateralmente all’organo.
L’altare della Madonna vecchio donato dal signor Wiel alla
chiesa parrocchiale di San Nicolò di Tauriano di Mezzo di
Spilimbergo.
Palla di questo altare opera insigne del Tintoreto conservata
presso il149 Giovanni150 Soratroi ino a disposizione che si farà
della stessa.
Altar nuovo Tagliapietra Parroco come da iscrizione posta
sopra l’altare151 a spese del signor Wiel fabbriciere cominciato
ad innalzare a di 8 febbraio ed inaugurato la seconda festa
di Pasqua 1819 celebrata la messa parroc Forlico a suono di
campanò e con componimenti poetici L’ombre onorate.
Palla lavorata da Jacopo Schena di Agordo esprimente la Concezione innalzata la viglia della Pentecoste ed esecrata da tutti
gli intelligenti ed anche da non intelligenti.
Altare chiamato de’ Centureri di San Giuseppe e di Sant’Antonio e di San Luigi, levato e venduto coll’altare a ianco del
medesimo per la chiesa di Macerata152 nel trevigiano.
Fu sostituito il nuovo altarino a spese del signor fabbricere
reverendo Pilla, Tagliapietra parroco, innalzato a di tre agosto,
inaugurato il di 31 dalla la153 prima messa dal reverendo Pilla.
Per questo altare Pietro Recaldini fece una palla con san
Giuseppe, sant’Osvaldo, san Carlo Borromeo, san Giovanni
Nepomuceno, san Vincenzo Ferreri, san Francesco di Paola,
sant’Antonio, san Gaetano e san Luigi Gonzaga, posta sull’altare il giorno 29154, e levata il giorno 30 per le maledizioni
contro il pittore di tutto il popolo affollatosi per chiasso.
Nel giorno 30 levata la palla fu collocata la cassa delle reliquie
che esisteva nell’altare di San Demetrio.
Doc. 3 Contratto per l’esecuzione del deposito in Santa Maria Formosa
dedicato a Turin Tonon.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria Tonon, b. 4, fasc. segnato “Santa Maria Formosa. Chiesa. N. 107 […] 1690, 2 maggio. […]”, cc. nn.
Doc. 2 Descrizione del tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa di
San Felice prima della sua demolizione nel 1822.
ASPVe, Parrocchia di San Felice, Scritture diverse spettanti alla chiesa,
104
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
37
Giovanni Scolari, Rilievo della cupola di Santa Maria Formosa. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato
38
Giovanni Scolari, Progetto per la ricostruzione della cupola di Santa Maria Formosa. Venezia, Archivio Storico del Patriarcato
di dodeci, cioè dall’estremità della piramide a quella dell’arma,
e larghezza a proportione come la scalla. Che tutto il corpo
del deposito sia di marmo ino da Carrara, principiando dalla
giociolla sive cartella con l’arma che doverà esser intagliata a
cartelame come il modello e suoi il baston173, ordine di mezo e
cimasa, il tutto lavorato a perfetione et lustrata le parti che ocorerrà et nel mezo delle medesime sia rimesso di machia d’Adese
o rosso di Francia come parerà meglio alli maestri sudetti;
Laus Deo adi 5 luglio 1690 in Venezia
Si dichiara con le presenti come il signor Torrin Tonon con li
presenti Giovanni Comini scultor e Domenico Rossi tagliapietra, li qualli s’obligano fare un deposito di marmi da ponere
nella chiesa di Santa Maria Formosa nella cappella dell coro e
questo sia fatto conforme il dissegno e modello fatto da detto
Comin e nell moddo e forma che sarà qui sotto dichiarito, cioè:
che questo deposito sia dalla cima all fondo d’altezza di pie-
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
Opera di Silvestro Manaigo secondo A.M. Zanetti, Descrizione, cit., p. 393.
Opera di Pietro Rosselli secondo A.M. Zanetti,
Descrizione, cit., p. 393.
Segue una sillaba cancellata.
Si tratta di palazzo Mora coninante con la chiesa di San Felice.
Cancellato venduti al Roncan.
Cancellato al parroco Basana.
Cancellato Sig.
Cancellato Wiel.
Cancellato a spesa.
Maserada di Piave.
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164
Sic.
Corretto sopra trenta parzialmente cancellato.
Segue parola cancellata.
Cancellato largo.
Segue parola cancellata.
Cancellato Nel mezzo delle colonne s’apre la custodia
con una porticella.
Cancellato cornice.
Cancellato con un freg.
Cancellato longhezza.
Cancellato sopr.
Cancellato sopra la nomi.
Segue parola illeggibile.
105
165
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172
173
174
Cancellato e di nu.
Cancellato il.
Cancellato di.
Cancellato dell.
Ripetuto non compreso.
Cancellato Lar.
Cancellato rizzio.
Cancellato di.
“modanatura a proilo semicircolare”; cfr. E.
Concina, Pietre parole storia, cit., p. 46.
Parola cancellata e illeggibile.
MASSIMO FAVILLA, RUGGERO RUGOLO
39
e Rossi a tutte loro spese tanto di marmo quanto di fatture e
lustradure, e doppo fatte abbino obligo d’assistere all metere
in opera alli murari, non intendendosi obbligati a nissuna altra
spesa che le disopra dichiarite, e ciò per ill prezzo stabelito
d’acordo di ducati cinquecento corenti da lire 6:4 per ducato,
dico ducati 500=, da pagarsi unitamente alli medesimi Comino e Rossi sopradetti seguendo anderà operando, dichiarando
che tutta questa opera sia fatta e fenita per tutto il mese d’ottobre prossimo et messa in opera et in fedde sarà la presente
sottoscrita dalle parti alla presenza delli sottoscriti testimonii.
Io Turin Tonon afermo
Io Giovanni Comini scultor prometto e m’obligo quanto dissoppra
Io Domenigo Rossi a fermo quanto di sopra
Io pre Zan Battista Raddi fui testimonio a quanto si ha detto
di sopra
Io Antonio Calice fui testimonio come sopra s’à detto
Adì 19 luglio 1690
Habiamo riceuto noi infrascriti dall signor Turin sopradetto
ducati cento e quaranta a conto di quanto sopradetto val ducati 140:Io Giovanni Comini affermo - Io Domenico Rossi a fermo
Adi 26 agosto 1690
Habiamo riceuto noi infrascriti dal signor sopradetto ducati
cento a conto come sopra = Io Giovanni Comini – val ducati
100 = Io Domenigo Rossi a fermo
Adi 25 settembre
Habiamo ricevuto noi sopradetti dal signor sudetto ducati
cento e cinquanta corenti – val ducati 150= Io Domenigo
Rossi a fermo
Adì 17 novembre 1690
Habiamo riceuto noi infrascriti dall signor Turin contrascrito
ducati cento e dieci, e questi sono per resto e saldo del presente accordo, senza pregiudicio delle fatture da noi fatte oltre
l’accordo val – ducati 110=
Io Giovanni Comini scultor mano propria
Io Domenigo Rossi a fermo
Adi 23 novembre 1690
Ho riceuto io Giovanni Comini scultor sopradetto dal signor
Turrin Tonon sopradetto, ducati ottantacinque e questi sono
per resto e saldo di tre putini di marmo fatili sopra il sodetto
deposito senza pregiudicio delli crescimenti fatti nell’opera
come sopra à dichiarato val ducati – 85=
Adì 27 novembre 1690
Habiamo riceuto noi in frascriti dall signor sopradetto ducati cento corenti per resto e saldo del opera contenuta nella
presente scritura per crescimenti, per la qualle scrittura dell
depositto si dichiarano paghi e sodisfati, dico – ducati 100=
Io Giovanni Comini scultor –
Io Domenico Rossi a fermo quanto di sopra
Interno della chiesa di Santa Maria Formosa dopo il bombardamento austriaco del 9
agosto 1916, veduta verso la controfacciata
che havi un panno volante di parangon pendente sotto il busto ove sarà obligatti scolpirli le lettere che faranno bisogno e
le medesime stucare di gialo over bianco come il padrone comanderà et questo panno sia fregatto e lustratto a perfetione;
che parimenti faci la statua del Tempo in atto di mostrare il
ciello della chiesa et il ritratto, che si deve meter nel mezo al
opera, e questo sia di marmo ino da Carrara con le sue alle et
orologio da polvere e questo sia involto in un panno di pietra
gialla da Verona che le vadi scherzando a torno in atto di scoprire il ritratto come dimostra il modello e questo sia lavorato
a perfetione fregatto e lustratto;
più che facci una piramide di paragon con la balla nella cima,
il tutto fregatto e lustratto;
più che per relighare tutta l’opera sudetta d’intorno oltre
l’espresso nel modello predetto le facino un fondo di pietra
mandolà di Verona et intorno all medesimo facino una soaza
di paragon sodda e ben fatta, et il tutto fegatto e lustrato, et
per coprire connissure della medesima soaza le facino dieci ligazzi di marmo ino e nelli quatro cantoni quatro stelle pur di
marmo, il tutto ben lavorato e fornito a perfetione. Dichiarando che tutte le opere dissopra espresse, tanto di scultura quanto d’architettura174, eccetuato il busto di marmo ben che sia
nell dissegno e modello, facino e facino fare li sudetti Comino
106
LE “DELIRANTI FANTASIE” BAROCCHE
Doc. 4 Contratto per l’esecuzione del deposito in Santa Maria Formosa
dedicato a Bartolomeo e Antonio Tonon.
ASVe, Fraterna Grande di Sant’Antonin per i poveri infermi e vergognosi, Commissarie, Commissaria Tonon, b. 4, fasc. segnato “N. 106.
[…] 1688. Spese della fabrica della chiesa fate dal signor Turin
Tonon”, cc. n.n.
Laus Deo 1690 adì 25 settembre
Si dichiara con la presente come sono restati d’acordo il signor Turrin Tonon con li sottoscriti che debino farli un deposito di marmi di diverse sorti come il dissegno, e qui sotto
sarà dichiarato, sive:
che farvi un bassamento con due cartelle che servono per sostentar tutta l’opera come il dissegno e questo sia di marmo
ino da Carrara con una machia nell mezo et un’arma a piedi;
che faci una piramide del altezza di piedi dieci in circa a ine
che vadi sotto la cornise sopra la qualle sia un vasso et una
Fenice; che detta piramide sia di paragon o serpentin, come
meglio sarà giudicato; a mezo detta piramide sia fatto due angelli volanti che portino due rami d’olivo e dentro una cifra
con letere della pace; che faci due statue di altezza al naturale,
una sia la Fortuna, l’altra la Generosità, e parimenti nell mezo
faci un scheletro sedente in atto daver scrito le leggi, e faci un
busto del ritratto dell signor suo fratello, e tutte queste sculture s’intendino fatte di marmo ino e lavorate a perfetione; più
che faci un panno cadente dal pedestallo et scerzante atorno
la Morte e Fortuna, e questa sia di pietra mischia diferente
dall’altre pietre, e farvi il fondi a soaza simille all’altro deposito già stabelito, et tutte queste cose siino fatte e fatte fare
tanto di materialli, quanto di fattura, dalli sottoscriti scultore
e tagliapietra e condote sopra l’acqua in chiesa di Santa Maria Formosa ove devono esser poste in opera con l’assistenza
delli medesimi. E per tutte le cose di sopra espresse, tanto di
fattura quanto di materialli, il sopradetto signor Turrin Tonon
promette et s’obliga pagare alli sopradetti ducati novecento da
lire 6:4 per ducato, e per cautione delle parti sarà la presente
sotto scrita et efirmata val – ducati 900:=
Io Turin Tonon mi obligo di contar come di sopra perché così
come li sotto scritti comanda.
Io Giovanni Comini scultor prometto e mi obligo quanto di
sopra con dichiarazione che l’opera sopradetta sia fatta per
tutto gennaio prossimo.
Io Domenigo Rossi a fermo quanto di sopra per terminare il
tuto dentro il mese di genaro prosimo venturo.
Adi primo ottobre. Habiamo riceuto noi Giovanni Comini e
Domenico Rossi dall signore sopradetto scudi cinquanta d’argento a conto dell’opera sopradetta, val – lire 480:=
Io Domenego Rossi a fermo
3 detto dall signor sopradetto lire settecento e sessanta correnti riceuta come sopra, che saranno in tutto ducati 200, val
– lire 760:=
Io Domenico Rossi a fermo
Adi 27 novembre 1690
40
Antonio Molinari, Presentazione al doge delle spose veneziane liberate. Venezia,
chiesa di Santa Maria Formosa
Habiamo riceuto noi infrascriti dal signor Turin Tonon oltrascrito ducati dociento corenti aconto dell’opera contenuta
nella presente scritura Val, – ducati 200=
Io Giovanni Comini scultor
Io Domenico Rossi a fermo
Adì 30 dicembre 1690
Habiamo riceuto noi infrascriti dal signor sopradetto ducati doicento corenti a conto dell’opera suddetta, val – ducati
200=
Io Domenico Rossi a fermo
Saldatto adi 4 marzo 1691 come apar riceuta nell libro de’
receveri.
107