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Rivista trimestrale di studi sul Valdèmone
Anno II, numero 6 - novembre 2001
Editoriale
Registrazione presso il Tribunale di Patti
n°177 del 12 giugno 2000
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pag
FFG Editori – Sant’Agata Militello (Me)
Matteo Carnilivari e la Cattedrale di Cefalù
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Brolo (Me)
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di Angelo Pettineo
Il Teatro romano di Catania
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Il Principe, l’Ingegnere, il Monaco ed il Governatore
Storie ed artefici di un’utopia urbana a Santo Stefano di Camastra.
di Angelo Pettineo
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In copertina: Il Ponte dei Saraceni ad Adrano
(foto N. Lo Castro)
ALIMENA
ADRANO
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dell’Autore e dell’Editore
CATANIA
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Angelo Pettineo
Il fortunato ritrovamento di una nuova importante testimonianza archivistica se da un lato
arricchisce il prestigioso repertorio di Matteo
Carnilivari, dall’altro sollecita lo scioglimento
di un ulteriore enigma per una corretta ricostruzione degli eventi architettonici che
hanno riguardato la cattedrale di Cefalù e
che, per interi periodi, restano occultati all’interno di scenari ancora problematici.
Note
1) G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in
Sicilia nei secoli XV e XVI, I, Palermo,
1880, p. 21.
2) G. Misuraca (a cura di), Serie dei
Vescovi di Cefalù, Roma, 1960, p. 33.
In alto: chiave di volta della campata
mediana del portico.
Qui sotto: veduta delle crociere.
A fronte: volta a copertura del transetto
destro
Per inquadrare meglio il contesto di cantiere della Cattedrale
cefaludese in cui si cala la presenza del Carnilivari, ricordiamo sinteticamente che, ad oggi, la storiografia ha identificato nell’attuale assetto della cattedrale due interventi significativi, riconducendoli, sulla
base di riscontri documentari e materiali, all’ultimo trentennio del
‘400: la realizzazione del portico occidentale e la copertura a volta
costolonata sul braccio meridionale del corpo trasverso.
La datazione del portico serrato tra le due torri campanarie è
stata basata sul contenuto di un documento che, il 13 marzo VI indiz.
1472 (1473), protestava al Vescovo di Cefalù certi mancati adempimenti nei confronti di mastro Ambrogio da Como. Quest’ultimo, con
un precedente contratto del 12 maggio 1471, si era impegnato ad intagliare il “portuale seu hospicium”, ma, tanto per l’improvvisa morte
dell’artefice quanto per le difficoltà dell’impresa, i lavori s’interrompevano, lasciando la fabbrica in buona parte realizzata e costringendo
mastro Antonio da Como, figlio d’Ambrogio, a promuovere l’atto protestatorio per rivendicare il diritto di concludere l’opera del padre1.
Nulla di più sappiamo sull’effetto sortito dalla protesta e, quindi, su
tempi e modalità di svolgimento dei lavori.
La particolarissima volta a botte realizzata sul braccio meridionale del corpo trasverso reca all’incrocio dei costoloni che la
scompartiscono in due campate altrettanti conci di chiave con lo stemma del vescovo Francesco Luna, segni inequivocabili della sua iniziativa ed indizi precisi sulla datazione dell’opera, considerando che questo vescovo resse la cattedra per un brevissimo tempo, tra il 1494 ed
il 14962.
Alla luce del documento ritrovato e dei suoi contenuti, la presenza di Matteo Carnilivari, collocandosi immediatamente dopo questi
due interventi, ispira più di qualche sospetto sul fatto che per la cattedrale normanna si predisponesse in quegli anni un disegno di globale
rivisitazione, disegno che presumiamo riguardasse la tessitura delle
volte sulle navate. In tal senso, la botte costolonata sul braccio meridionale del transetto, maldestra esteticamente quanto sapiente nella
gestione delle spinte, piuttosto che l’occasionale iniziativa di un vescovo3, avrebbe invece rappresentato il primo concreto tentativo di un
programma più vasto, interprete di una tardiva e, tuttavia, mai sopita
tensione alla ricerca di un sistema magniloquente da applicare alla
copertura della chiesa, con effetti non secondari per la percezione dello
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3) La volta fu edificata a seguito di un
incendio che avrebbe danneggiato la
copertura lignea di questa parte della cattedrale. Cfr. V. Zoric, Considerazioni analitiche sulla costruzione della cattedrale normanna di Cefalù, in AA. VV., La basilica
Cattedrale di Cefalù, I, Palermo, 1987, p.
300; Per ovvie ragioni, sulla Cattedrale di
Cefalù si rimanda alla ponderosa bibliografia contenuta nei saggi di tale opera. R.
Calandra, Aggiunte modifiche e restauri
degli ultimi sette secoli, in AA. VV., La basilica … cit., II, p. 41.
4) Cfr. C. Filangeri, Il progetto della cattedrale normanna, in AA. VV., La basilica …
cit., I, p. 51-53; V. Zoric, Considerazioni…
cit., I, pp. 270-276;
5) R. Calandra, Aggiunte… cit. p. 13; C.
Valenziano, La Basilica cattedrale di
Cefalù, Palermo, 1979, passim; C.
Valenziano, Lettura liturgico teologica
della basilica ruggeriana, in AA. VV., La
basilica … cit., V, p. 32. Per alcuni interventi riguardanti il fonte battesimale e
numerose altre opere realizzate tra XVI e
XVIII secolo cfr. N. Marino, Artisti e
Maestranze nella Cattedrale di Cefalù, in
"PaleoKastro" n. 3, dicembre 2000, pp. 514; R. Termotto, N. Marino, Cefalù e le
Madonie, Cefalù, 1996; A. Pettineo,
Itinerari livolsiani, in AA. VV., Palermo,
1997, pp. 7-31.
6) “Nel 1784, credendo di abbellire la
cattedrale, (il vescovo Gioacchino
Castelli) coprì con volte a pomice e stucco,
secondo lo spirito del tempo, il soffitto
delle due navate laterali”. G. Misuraca (a
cura di), Serie… cit., p. 59.
7) S. Fertitta, Cenni storici su la chiesa di
Cefalù, Napoli, 1847, p. 30. Ciò non di
meno, il recente scrostamento degli stucchi
non pare che abbia evidenziato cuna traccia che rimandi ad una fase costruttiva
quattrocentesca lungo il muro d’ambito
meridionale.
spazio architettonico e per la definizione altimetrica dell’invaso liturgico. Non è pleonastico ricordare che la stessa tensione trova radici
profonde già nei primi cantieri ruggeriani, materializzandosi nella
vibrante ambiguità dei due archi trionfali sovrapposti4, segno più evidente, insieme a molti altri, di un progetto in continua evoluzione.
In mancanza di dati più precisi, basandosi solo sulle indicazioni fornite dal documento, è impresa sinceramente ardua identificare
nell’odierno assetto della cattedrale l’opera che Matteo Carnilivari
avrebbe svolto nei mesi successivi all’aprile del 1499. Le difficoltà
interpretative, a parte l’esplicito impegno a “fabricarj e costruhjrj lala
djla dicta ecc(lesi)a, q(ue)lla v(idelicet) di me(n)zu I(or)nu undj es la
fonte”, escludendo un’impensabile ipotesi di costruzione o ricostruzione globale della navata, si accrescono anche per controversa situazione originaria del fonte battesimale, riconosciuta ora nel secondo
intercolunnio tra navata principale e navatella meridionale, ora sotto
l’ambone5.
Ci sembra più ragionevole pensare all’impegno del Nostro
nella realizzazione di una partitura architettonica lungo il muro d’ambito meridionale, attività che avrebbe avuto una degna conclusione
spiccando le volte sull’intera navatella. Di quest’ipotetica configurazione conservava memoria, ancora nel 1847, Mons. Salvatore Fertitta
che, riferendosi ad un intervento compiuto poco più di sessant’anni
prima 6, scrive: “Menti vandaliche […] spinsero il vescovo Gioacchino
Castelli a disfare le due belle minori navate gotiche e con barbarici
gusti, all’interno e nell’esterno, tagliando ogni gentile ornamento e
gittando a larga mano denaro per distruggere ciò che era costato tesori, le fecero corintie, a grave sfregio del venerando edifizio, il quale
nella maggior parte del suo corpo rimase gotico” 7.
Per la definizione del ruolo che può avere avuto l’architetto
nelle fabbriche della chiesa cattedrale tra ‘400 e ‘500, non sottovalutiamo che un contratto d’opera sia maturato in un clima favorevole,
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Portico di Santa Maria della Catena a
Palermo; elemento decorativo di
Palazzo Abbatellis
8) L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani,
vol. Architettura, Palermo 1993, pp. 88-90.
9) Per un inquadramento complessivo dell’attività di Carnilivari cfr. F. Rotolo, Matteo
Carnilivari, revisione e documenti,
Palermo, 1985, passim.
10) R. Calandra, Aggiunte… cit. p. 14; F.
Gandolfo, La scultura medievale, in AA.
VV., La basilica … cit, VII, p. 48.
anche per la consorteria tra Matteo Carnilivari ed il vescovo Rinaldo
Montoro, entrambi provenienti da Noto. Il presule resse la cattedra
cefaludese fino al 1511, ovvero durante gli ultimi anni di vita del suo
ingegnoso concittadino, morto nel 1506. Pertanto, non escludiamo più
che probabili coinvolgimenti del nostro “honorabilis magister” in
quelle attività costruttive direttamente promosse dal vescovo, anzi,
sulla base d’evidenti affinità linguistiche, cerchiamo di abbozzare per
grandi linee un ragionamento sul travagliato compimento del portico
occidentale.
Dato per certo che Ambrogio da Como ed il figlio Antonio, tra
il 1471 ed il ’75, abbiano realizzato i tre fornici con la sovrastante
muratura, opere sufficientemente datate al vescovado di Giovanni
Gatto per la ricorrente presenza del suo stemma nei capitelli e sulla
facciata, appare altrettanto improbabile che gli stessi artefici abbiano
realizzato anche le tre volte a crociera tessute all’interno dello stesso
portico. La sensibilità estetica e tecnica con cui sono trattate le ghiere
delle tre arcate esterne differisce profondamente dalla raffinata concezione dei costoloni interni. Questa particolarità così evidente basterebbe a legittimare l’ipotesi che le due componenti del portico appartengano a maestranze ed a momenti diversi, così come testimonierebbe la
soluzione d’incastro fra le nervature delle tre volte e la muratura sovrastante i fornici, ottenuta con una profonda incisione dei filari orizzontali di pietra calcarenitica, piuttosto che attraverso una disposizione
radiale dei conci, soluzione quest’ultima più naturale e complementare ad un immediato e consequenziale avvicendamento delle opere.
Quale può essere stata la successione dei fatti? In considerazione di quanto detto, azzardiamo che la fase costruttiva gestita dal
vescovo Gatto si sia esaurita con la semplice fabbrica dei tre fornici di
facciata e con la realizzazione di una copertura lignea provvisoria,
come d’altronde si verificava nelle fabbriche delle cosiddette pinnate,
addossate dal XV al XVIII secolo alle fiancate o alle facciate delle
nostre Matrici. L’arrivo di Matteo Carnilivari, “maistro in tali dammusi et arti multo experto”8, può avere incoraggiato la ricerca di una soluzione per la copertura a volta del portico, fino alla reale impostazione
delle tre crociere, dove nervature, peducci e serraglie adoperano elementi lessicali e sintattici assai vicini alla cultura del nostro artista9. La
splendida chiave pendula della crociera centrale, più volte forviante
per la datazione del medesimo portico, è sagomata come un clipeo
cuspidato, dove foglie di cardo disposte radialmente inquadrano uno
scudo che rappresenta un baculo con una S ridondante che vi si attorciglia. Tale simbolo sembra legarsi al potere vescovile o alla stessa
chiesa Cattedrale, piuttosto che ad un vescovo particolare, considerando che lo stessa simbologia, insieme alla mitria, si trova riprodotta in
un lettorino d’ambone in forma d'aquila che la critica ascrive al periodo normanno10.
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