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La formazione permanente dei chierici come esigenza canonica. Alcune considerazioni La formation permanente du clergé comme exigence canonique : quelques considerations William A. Bleiziffer Prof. assoc. dr., Università „Babeș-Bolyai” Cluj Napoca, Facoltà di Teologia Greco-Cattolică, Dipartimento Blaj. Autore di vari libri e studi di diritto canonico e teologia. william.bleiziffer@ubbcluj.ro; https://ubbcluj.academia.edu/WilliamBleiziffer în A. Buzalic, I. Popescu (ed.), „Educație şi cultură Seminarul Greco-Catolic Oradea – 225 ani de la înființarea Seminarului Teologic Greco-catolic din Oradea”, Presa Universitară Clujeană, 2017, 19-37. ISBN 978-606-37-0312-6  http://www.editura.ubbcluj.ro/bd/ebooks/pdf/2297.pdf Résumé : Le but de l'étude est d'analyser la particularité de la formation permanente du clergé du point de vue canonique et d'en présenter les éléments essentiels à partir du CCEO. L'objectif en est d'offrir, à partir de l'enseignement de l'Eglise et des documents normatifs, un repère sur une réalité concernant la formation des prêtres, une formation qui, après l'ordination sacerdotale, doit se poursuivre et se compléter continuellement, tout au long de la vie. D'où l'importance du discernement sur les expériences acquises, sur les résultats obtenus et sur les besoins identifiés, pour un résultat que l'on veut favorable. La formation permanente, souvent perçue comme un élément personnel ou isolé suite à une analyse commune, un élément laissé à la libre initiative et creativité de chacun, doit être quelque chose d'organisé, étant le devoir évident de la hiérarchie. D'abord, ce sujet est présenté de manière générale conformément aux canons du CCEO, pour insister ensuite sur la responsabilité et le devoir que la hiérarchie doit assumer dans l'organisation et la coordination des initiatives et des étapes concrètes d'une telle formation. Puis sont présentés des textes et des sources conciliaires ayant servi comme sources d'inspiration pour la rédaction des canons du CCEO – insistant sur les sources du droit particulier de l'Église Roumaine Unie, gréco-catholique - enfin on insiste sur la nécessité d'un engagement personnel pour la formation permanente tout au long de la vie. Mots-clés : formation sacerdotale, formation permanente, discipline canonique, documents magistériaux, mission sacerdotale, initiatives et responsabilités personnelles, responsabilité de la hiérarchie, perfectionnement; CCEO. Rezumat Studiul ia spre analiză aspectul specific al formării permanente a clericilor din punct de vedere canonic și încercă să prezente elementele centrale prezente în CCEO. Scopul urmărit este acela de a evidenția din învățătura Bisericii, și mai ales din documentele care au o valență normativă clară, un cadru orientativ asupra unei realități care se referă la formarea preoțească. Formarea permanentă începe imediat după hirotonirea preoțească și continuă să crească pe tot parcursul vieții sacerdotale: de aici rezultă importanța discernământului asupra experiențelor acumulate, asupra rezultatele obținute și asupra noilor nevoi care apar pentru un rezultat care se dorește favorabil: formarea permanentă, care scapă cu ușurință unei examinări comune, deoarece este adesea percepută ca un element personal sau izolat, lăsat la libera inițiativă și creativitate, trebuie să ia în continuare în considerare valența organizatorică, ce devine o sarcină clară a ierarhiei. Tocmai de aceea acest studiu prezintă la început o privire de ansamblu asupra acestei teme așa cum este ea precizată de canoanele CCEO, pentru a insista mai apoi asupra responsabilității și sarcinii pe care ierarhia trebuie să o asume în organizarea și coordonarea inițiativelor și a etapelor concrete a unei astfel de formări. Se continuă cu prezentarea unor texte și izvoare conciliare care inspiră formularea canoanelor CCEO, - cu o mențiune specială a surselor de drept particular al Bisericii Române Greco-Catolică - și apoi insistă pe necesitatea unui angajament personal pentru formarea permanentă pe tot parcursul vieții. Cuvinte cheie: Formare preoțească; formare permanentă; disciplină canonică; documente magisteriale; misiune sacerdotală; inițiative și responsabilități personale; responsabilitatea ierarhie; perfecționare; CCEO. Introduzione È noto che il tema della formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, con particolare riferimento alla formazione permanente, è considerata dalla Chiesa una realtà che deve essere presa in considerazione con molta attenzione. Quest’attenzione corrisponde ad un’esigenza di attualità pastorale e ad un interesse universale e di reale urgenza per la Chiesa e la sua missione. La formazione è centrale nel cammino di ogni cristiano, tanto più nelle guide delle varie comunità. Il tema scelto per questo studio, con alcuni approfondimenti canonici, riguarda perciò la formazione sacerdotale con particolare interesse a quella permanente; quella cioè che si realizza nei seminari, nelle case religiose o nelle università ma che poi deve proseguire nel lavoro pastorale del clero. Va notato, inoltre, che il tema, molto attuale, si colloca nel contesto dei molteplici sforzi realizzati nel corso degli ultimi decenni nel campo della formazione sacerdotale, il che costituisce un’indicazione preziosa e precisa dal punto di vista del metodo e del contenuto per disporsi all’esame della tematica. Nel corso degli anni molti documenti hanno dedicato un'attenzione assai particolare alla questione della formazione continua dei sacerdoti Non si devono trascurare quei documenti che hanno trattato ampiamente il tema della formazione sacerdotale: ricordiamo soltanto Il motu proprio «Ecclesiae Sanctae», EV II, 752-913; Lettera circolare dedicata alla «Istruzione e formazione permanente del clero» Inter ea (4.11.1969), EV III, 1745-1788; Regolamento fondamentale di formazione sacerdotale «Ratio fundamentalis» (6.1.1970), EV III, 1796-1947; Sacra Congregazione Per L'educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 19 marzo 1985, Città del Vaticano, 1985. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Ministrorum Institutio, AAS 2013/2, 130-135; Congregazione Per Il Clero, Il Dono della vocazione presbiterale, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano, 8 Dicembre, 2016. ; particolarmente sono due i documenti che hanno preso in considerazione il tema: l'esortazione apostolica del Santo Padre Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis Iohannes Pauli PP II, Adhortatio apostolica postsynodalis Pastores dabo vobis de Sacerdotum formatione in aetatis nostrae condicione, 25 martii 1992: AAS 84 (1992), 657-80; EV 13/1992, 1154-1553 (in seguito PDV). e il Direttorio per la vita e il ministero dei presbiteri Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, nuova edizione, 14 gennaio 2013, Città del Vaticano, 2013., documenti che si costituiscono in veri e propri punti di riferimento per un approfondimento della propria identità vocazionale e dell’accrescimento della vita interiore ma anche un incoraggiamento nel ministero e nella realizzazione della propria formazione permanente della quale ciascuno è il primo responsabile. La formazione permanente del clero è radicata quindi nella necessità di adeguare la missione sacerdotale alle esigenze di un mondo in continuo mutamento sociale e strutturale. Come in tutti gli altri campi di attività, la persona deve attraversare la soglia della propria autosufficienza attraverso un sincero atto di riconoscimento dei propri limiti, delle proprie capacità, quindi trovare lo spazio per un personale arricchimento, innovazione e rinvigorimento della propria missione. Questa esigenza è particolarmente sorpresa nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali Pontificium Consilium De Legum Textibus Interpretandis, Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium auctoritate Ioannis Paulli PP. II promulgatus – Fontium annotatione auctus, Libreria Editrice Vaticana, 1995; Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, AAS 82 [1990] 1061-1353; EV 12/695-887; (in seguito CCEO). (titolo X, capitolo III) con fine equilibro posizionato fra questioni che riguardano i diritti e gli obblighi dei chierici. La formazione permanente in quanto tale risulta essere al contempo un diritto ed un obbligo dei chierici, i quali ne diventano i diretti responsabili della qualità e dei conseguenti risultati della loro missione, il tutto in relazione alla qualità della propria vita spirituale, delle dotti e delle proprie abilità Una profonda analisi del contenuto dei canoni del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium dimostra il fatto che l’espressione formazione permanente non si trova in nessun canone del Codice. Ciononostante, l’argomento non è per niente trascurato dal Codice; W. A. Bleiziffer, „Formarea permanentă a clerului – studiu juridico-canonic”, in IDEM, Studii canonice, implicații intra și extra ecleziale, Galaxia Gutenberg 2010, 47-72, 50; A. Vallini, „I grandi orientamenti della formazione al presbiterato”, in Quaderni di Diritto Ecclesiale Anno III n. 1 - gennaio Editrice Àncora Milano 1990, 18-32. . Lo studio prende sotto esame l’aspetto specifico della formazione permanente dei chierici dal punto di vista canonico e tenta di presentare gli elementi centrali rintracciabili all’interno del CCEO. Lo scopo è quello di trarre dall’insegnamento della Chiesa, e specialmente dai documenti che presentano una evidente valenza normativa, un quadro orientativo su una realtà che riguarda la formazione sacerdotale. La formazione permanente inizia subito dopo l’ordinazione sacerdotale e continua a svilupparsi lungo tutta la vita sacerdotale: da qui risulta l’importanza di un discernimento sulle esperienze acquisite, sui risultati ottenuti e sulle nuove esigenze che si pongono per un esito favorevole: la formazione permanente, che facilmente sfugge alla comune considerazione perché è spesso percepita come un elemento personale o isolato, lasciato alla libera iniziativa e creatività, deve comunque tener conto della valenza organizzativa che diventa un compito chiaro della gerarchia. Proprio per questo lo studio presenta all’inizio uno sguardo su questo tema così come viene trattata nel CCEO, per poi insistere sul compito che la gerarchia stessa ha nell’organizzare e coordinare le iniziative e le tape concrete di una tale formazione. Si prosegue con la presentazione di alcune fonti conciliari che ispirano la formulazione dei canoni CCEO, - con una particolare menzione delle fonti di diritto particolare della Chiesa Greco-Cattolica Romena -, per poi insistere sulla presentazione della necessità di un impegno personale nella formazione permanente. 2. La formazione permanente nel CCEO Dopo aver percorso l’iter della formazione iniziale nel Seminario durante la quale il candidato ai sacri ministeri ha potuto rendersi conto della propria chiamata, quindi sviluppare quanto armonicamente possibile tutte le dimensioni della sua propria formazione sacerdotale, con l'ordinazione, il sacerdote, per la grazia sacramentale che riceve nello stesso sacramento, in intima unione con colui che lo ha chiamato al servizio come alter Christus, percorre un nuovo periodo formativo: quello permanente. La via della totale consacrazione del sacerdote non si ferma dunque al concreto momento della sua ordinazione, ma percorre ancora tutte le tappe del suo proprio sviluppo personale, sia naturale che spirituale. La formazione permanente, oltre al suo carattere costante e stabile, si inserisce in una dinamica sacramentale in virtù della quale il sacerdote stesso attraverso la sua ordinazione è chiamato a «sprigionare tutta la straordinaria ricchezza di grazia e di responsabilità che in esso è racchiusa» (PDV 70) In modo particolare, nella Pastores dabo vobis (PDV) viene presentata in maniera esplicita una visione integrale della formazione permanente (nn. 80-88) intesa ad assicurare la fedeltà al ministero sacerdotale in un cammino di continua conversione e prosecuzione naturale di quel processo di costruzione dell’identità presbiterale iniziato in seminario e compiuto nell’ordinazione sacerdotale. Questa formazione deve tener conto ugualmente delle quattro dimensioni che interessano la persona del seminarista: umana (nn. 93-100), spirituale (nn. 101-115), intellettuale (nn. 116-118), e pastorale (nn. 119-124).. Trovandosi in questa situazione di irreversibilità, - in quanto il sacramento dell’ordine una volta amministrato validamente non diventa mai nullo -, il sacerdote che deve dedicare tutta la sua vita e tutte le energie alla pastorale del popolo di Dio deve costantemente fare attenzione alla sua personale crescita, ma allo stesso tempo anche a quello che potrebbe impedire un tale progresso. Il Concilio Vaticano II ha chiaramente sottolineato che «i Seminari maggiori sono necessari per la formazione sacerdotale» (OT 4) e la formazione da impartire nel Seminario maggiore è specificamente sacerdotale, ordinata cioè, spiritualmente e pastoralmente, al ministero sacro. In tal senso, prosegue lo stesso documento «l’educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare dei veri pastori di anime sull’esempio di Cristo Maestro, Sacerdote e Pastore» (ibidem). In questo senso: «Nel seminario maggiore viene coltivata, provata e confermata più intensamente la vocazione di coloro che, da segni sicuri, sono già stimati idonei ad assumere stabilmente i sacri ministeri» (can. 331 §2 CCEO ). CCEO offre al tema della formazione sacerdotale un ampio spazio. Rivendicando la esclusiva competenza sul diritto e l'obbligo di formare i propri ministri di culto, la Chiesa esercita questa missione attraverso la erezione e il governo dei seminari (can. 328). Come primo canone del cap. II del titolo X, I chierici, il canone 328 ci introduce nel vasto argomento del formazione clericale. I canoni di questo capitolo II (can. 328-357) affrontano tutti gli aspetti della formazione sacerdotale. Ovviamente, il tema della formazione non è trattata esaustivamente dai canoni: altri canoni, che pur non trovandosi all’interno di questo capitolo, ne prendono in considerazione l’argomento Si vedano le voci educatio, formatio, institutio, instructio in Ivan Žužek, Index analiticus Codicis Canonum Ecclesiarum Orientalium, KANONIKA 2, Pontificium Istitutum Orientalium Studiorum, Roma, 1992.. Nella normativa del CCEO il tema della formazione permanente è contemplata senza pero mai usare questa precisa terminologia. Esemplificando possiamo identificare una serie di canoni che a riguardo dei ministri sacri richiede: «I chierici, dopo aver completata la formazione richiesta per gli ordini sacri, non smettano di applicarsi alle scienze sacre» (c. 372); circa i laici impegnati nella catechesi per i quali si osserva che gli ordinari dei luoghi devono curare la loro preparazione: «Gli altri fedeli cristiani debitamente formati diano volentieri la loro collaborazione all'insegnamento della catechesi» (c. 624 § 3). Il can. 20 si riferisce poi alla vocazione di tutti fedeli cristiani alla partecipazione alla missione della Chiesa, partecipazione che richiede «il diritto all'educazione cristiana, con cui essere formati rettamente a conseguire la maturità della persona umana». Nel capitolo III del ricordato Titolo X una serie di canoni, oltre a quelli riguardanti la formazione ai ministeri (CCEO can. 342-356), insistono sulla necessità di un’adeguata formazione dinamica, a pari della necessità istituzionale della Chiesa che va sempre edificata e sviluppata. La dimensione permanente della propria formazione è evidenziata da una serie di canoni che richiedono la nostra attenzione. Consideriamo, anzitutto, il primo canone di questo capitolo, (can. 367) che apre il tema che riguarda i diritti e i doveri dei chierici. Il primo obbligo dei chierici nell’accezione di questo canone riguarda la costanza con cui i chierici devono, con l’intera vita, agire in modo che la Chiesa sia edificata e cresca continuamente. Anche il seguente canone, 368, dello stesso tenore, impone il continuo perfezionamento dei chierici che ha come motivazione primaria l’adeguamento del discepolo al proprio Maestro, con conseguente utilità ed esemplarità per il popolo di Dio. Can. 368 - I chierici sono tenuti per una ragione speciale alla perfezione che Cristo propone ai suoi discepoli, poiché con la sacra ordinazione sono stati consacrati a Dio in modo nuovo per diventare strumenti più adatti di Cristo, eterno Sacerdote, a servizio del popolo di Dio e per essere nello stesso tempo modelli esemplari per il gregge. Il canone, di profonda ispirazione biblica (Mt. 5, 48; 1 Pt. 5, 3), non intende alcun confronto tra la santità clericale e quella laicale, ma insiste sulla specifica esigenza dell'ordinazione sacerdotale G. Nedungatt, „On Clericis in general”, in Nuntia 3, 1976, 44-69, 63. . Più attenzione dobbiamo prestare al testo del can. 372: formulato in maniera sintetica Il canone rappresenta una riformulazione riassuntiva dei can. 65-67 CS., il canone recita: Can. 372 - §1. (cf. 279) I chierici, dopo aver completata la formazione richiesta per gli ordini sacri, non smettano di applicarsi alle scienze sacre, anzi si diano da fare per acquistare una conoscenza e una pratica più profonda e aggiornata delle stesse, per mezzo di corsi di formazione approvati dal proprio Gerarca. §2. Frequentino inoltre le conferenze che il Gerarca ha giudicato opportune per promuovere le scienze sacre e la pastorale. §3. Non trascurino di procurarsi un tale corredo di scienze, anche profane, specialmente di quelle che sono più strettamente congiunte con le scienze sacre, quale conviene a persone colte. Dalla lettura del canone si nota che il par. 1 riguarda la prosecuzione degli studi sacri anche dopo l’ordinazione, con un richiamo a seguire la dottrina solida fondata sulle scienze sacre attraverso corsi approvati dal proprio Gerarca: a lui spetta determinare l’approfondimento di contenuti e metodi pastorali che possono essere appresi tramite lezioni di carattere pastorale, convegni e conferenze teologiche. Il par. 2 chiede la frequentazione dei convegni di carattere teologico o conferenze organizzate per l’acquisizione più approfondita delle scienze sacre e delle metodologie pastorali. Il par. 3 concerne la prosecuzione dell’apprendimento di altre scienze profane specialmente quelle che hanno un aperto rapporto con le scienze sacre e che offrono al ministero sacerdotale dei vantaggi G. S. Sartori, „La formazione permanente dei presbiteri dal Vaticano II al Nuovo Codice”, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, Anno III n. 1 - gennaio Editrice Àncora Milano 1990, 67-87, 81-82.. Va subito notato che è abbastanza difficile tracciare una linea di confine tra ciò che rappresenta legge e ciò che diventa obbligo e quindi affermare inequivocabilmente fin dove i corsi di perfezionamento, l'acquisizione delle scienze profane e quindi la formazione permanente possono essere interpretate come un diritto e in quale misura un obbligo. Il legislatore sottolinea nel canone che la formazione ai ministeri che vengono ricevuti all'interno della Chiesa ha una naturale continuazione anche dopo aver completato gli studi necessari affinché un candidato possa essere considerato idoneo a ricevere tali ordini sacri: dopo la conclusione dei corsi proposti nei seminari, ed il conseguimento dei titoli academici richiesti, la formazione del clero continua ad essere perfezionata. Il canone 372 si limita a sottolineare solo la dimensione intellettuale della formazione permanente e evidenzia in questo contesto alcune direzioni W. A. Bleiziffer, Formarea permanentă a clerului… op. cit, 58.: Anche dopo aver completato la formazione richiesta per poter assumere i ministeri, il clero continuerà a studiare le scienze ecclesiastiche in vista del loro approfondimento teorico e pratico; Questo studio sarà organizzato e svolto sotto lo stretto controllo del Gerarca, che rappresenta l'unica istanza competente ad approvare i corsi di formazione; Spetta al Gerarca determinare i contenuti e i metodi pastorali considerati utili e necessari al ministero presbiterale; questi devono essere approfonditi attraverso l’organizzazione pratica di corsi pastorali, convegni, seminari o conferenze di carattere teologico; La stessa competenza spetta alla gerarchia anche per le cosiddette scienze profane, che possono essere utili al ministero pastorale Cf. P. V. Pinto (a cura di), Commento al Codice dei canoni delle Chiese Orientali, Studium Romanae Rotae, Corpus Iuris Canonici II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2001, 328. Per quanto riguarda l’applicazione di questo canone all’interno della varie Chiese sui iuris, si osserva chiaramente già dalla fase redazionale e di revisione del canone, l’interesse del legislatore nel sottolineare il principio di sussidiarietà che per la sua realizzazione diventa ulteriormente un compito del Diritto particolare. . Il legislatore risalta nel canone il fatto che al momento della ammissione ai vari ministeri nella chiesa la formazione veste un aggiornamento naturale anche dopo il completamento degli studi necessari affinché un candidato possa essere considerato in grado di ricevere detti ordini sacri W. A. Bleiziffer, Formarea permanentă a clerului… op. cit., 57.. Formazione permanente e compito della Gerarchia È palese il ruolo che spetta al Gerarca, in questo caso al vescovo eparchiale, nella formazione permanente: canonicamente spetta a lui prendere tutte le opportune iniziative affinché il suo clero, quale diretto collaboratore nell’esercizio delle attività pastorale, possa avvantaggiarsi dalla giusta organizzazione di corsi che mirano a raggiungere una forte formazione permanente. Questo vero obbligo del Vescovo è meglio accentuato nella formulazione dei canoni 192 § 4 e 196 § 1. Can. 192 - §4. (= 384 a) Il Vescovo eparchiale segua con particolare sollecitudine i presbiteri, li ascolti come aiutanti e consiglieri, difenda i loro diritti e curi che adempiano i doveri propri del loro stato e abbiano a loro disposizione i mezzi e le istituzioni di cui hanno bisogno per alimentare la vita spirituale e intellettuale. Il primo compito del Vescovo eparchiale è quello di governare la pars populorum Dei affidatagli. Nella sua dimensione di Pastore, egli è coadiuvato dal suo presbiterio (can. 177) quale principale collaboratore nella cura delle anime. La varietà delle funzioni e dei ministeri che vengono assunte dai sacerdoti richiedono non semplicemente una solida formazione integrale, ma esige con determinazione anche un costante aggiornamento della disciplina canonica e teologica. La delega di alcuni poteri a vari vicari, costituiti per le molteplici realtà istituzionali della propria eparchia deve garantire non soltanto l’adempimento dei doveri personali, ma oltretutto quelli assunti come ufficio da svolgere nella Chiesa in base al munus a loro affidato. La capacità di adeguarsi lodevolmente alle esigenze richieste dalle variate situazioni in cui viene richiesto il loro intervento, nonché la proposta di adeguate soluzioni per il disbrigo di alcuni compiti istituzionali può essere anche traccia di un costante interesse per la personale preparazione. La sollecitudine che il vescovo deve mostrare nei confronti dei suoi sacerdoti che assumono compiti di aiutanti e consiglieri si deve manifestare nella piena trasparenza, e non riguarda solo la dimensione personale, ma anche quella istituzionale che ha bisogno di un continuo aggiornamento; l’utilizzo di mezzi adatti per conseguire questa esigenza rimane un compito che il Vescovo non può e non deve trascurare per il bene di tutta la Chiesa (cf. LG 28). Nell'esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi sono pregati di avere un atteggiamento pastorale e di servizio paterno, capaci di raccogliere l’intera comunità con amore ed autorità. Per raggiungere simile intento i vescovi devono orientare la loro sollecitudine «in modo che sia atta a rispondere alle esigenze dei nostri tempi […] allo scopo di incrementare l'attività pastorale in tutta la diocesi […] favoriscano istituzioni e organizzino particolari convegni nei quali i sacerdoti di tanto in tanto possano riunirsi, sia per la rinnovazione della loro vita in corsi più lunghi di esercizi spirituali, sia per l'approfondimento delle scienze ecclesiastiche, e specialmente della sacra Scrittura e della teologia, dei problemi sociali di maggiore importanza e dei nuovi metodi dell'attività pastorale” (CD 16). Sulla stessa scia, a partire dalla triplice funzione di insegnare, santificare e governare, nei confronti dell’intero popolo di Dio il vescovo deve proporre e spiegare le verità che si devono credere, mediante la predicazione, il ministero della Parola, l’omelia e la formazione catechetica: tutta questa missione deve essere adempiuta usando ogni mezzo necessario. Can. 196 (= c. 386 §1) §1. Il Vescovo eparchiale è tenuto a proporre e spiegare ai fedeli cristiani le verità della fede che si devono credere e applicare nei costumi, predicando personalmente con frequenza; abbia anche cura che si osservino fedelmente le prescrizioni del diritto che riguardano il ministero della parola di Dio, specialmente l’omelia e la formazione catechistica, in modo che a tutti venga offerta l’intera dottrina cristiana. La funzione di insegnare a nome della Chiesa, spiegando il contenuto della fede attraverso tutti i mezzi disponibili, spetta ai soli Vescovi che possono accordare il mandato di insegnare, sia a norma del diritto sia per mezzo dell’ordinazione sacerdotale, a certi cooperatori (can. 596). In questa prospettiva la predicazione mira a rinnovare spiritualmente l’intero popolo cristiano al quale il messaggio salvifico deve arrivare inalterato. Il Vescovo eparchiale è il primo garante dell’osservanza della disciplina canonica e il primo ad applicare e rispettare le leggi ecclesiastiche e le legittime consuetudini (cf. can. 201). Contro ogni tendenza sovversiva lui diventa il promotore dell’intera disciplina ecclesiastica comune e particolare garantendo in qualità di maestro e dottore della fede l’unità delle fede: in questa veste «i vescovi che insegnano in comunione col romano Pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l'assenso religioso del loro spirito” (LG 25). Le iniziative dei Vescovi, sia singolari che communi - quindi aggregati al Capo del Collegio dei Vescovi, oppure nei Sinodi o Concili particolari -, mirano a promuovere autorevolmente, a custodire e difendere religiosamente l’integrità e l’unità della fede e dei buoni costumi, anche condannando, se è necessario, le opinioni che sono ad essa contrarie, o ammonendo sui rischi che esse possono comportare. Delegando il munus docendi a singoli o istituzioni, - scuole di tutti livelli e gradi, centri catechistici o vari istituti -, il vescovo ha il particolare compito di dirigere e regolare tutte le attività intraprese incoraggiando la collaborazione fra questi vari istituti e provvedendo alla formazione di esperti La disciplina riguardante il munus docendi si trova nel Titolo XV del CCEO, De Magisteribus; specialmente i cann. 596, 600, 605, 608, 610, 615, 623, 632-638, 652-655, 661 trattano, seppur lateralmente, questo argomento. Sulla genesi dei canoni sul magistero si vedano i vari contributi di G. Nedungatt, pubblicati in Nuntia, specialmente in nr. 10-12.. Il vescovo è quindi chiamato in primis a diffondere il contenuto dell’intera dottrina cristiana usando di tutti i mezzi che ha a disposizione; pur non entrando strettamente nella dimensione della formazione permanente tutte le sue iniziative atte a proporre l’insegnamento cristiano, - nelle scuole, nelle università, mediante conferenze e riunioni di ogni specie, in pubbliche dichiarazioni, in occasione di qualche speciale avvenimento, fatte per mezzo della stampa e dei vari mezzi di comunicazione sociale -, costituiscono forme di continua formazione. Il suo interesse affinché i vari responsabili educativi, assumendo una fondamentale conoscenza della dottrina della Chiesa, siano convenientemente preparati al loro compito è di significante importanza (CD 13, 14). Il vescovo eparchiale deve quindi prestare particolare attenzione ai sacerdoti come suoi primi collaboratori, difendere i loro diritti e assicurarsi che gli obblighi e i diritti che rientrano nel loro statuto ecclesiastico siano rispettati: per raggiungere tali traguardi il vescovo è chiamato a mettere a disposizione del clero tutti i mezzi necessari per nutrire e coltivare la loro vita spirituale e intellettuale. Deve inoltre prevedere anche ai mezzi e alle istituzioni di cui i sacerdoti hanno bisogno per nutrire la loro vita spirituale e intellettuale, come per esempio esercizi spirituali e corsi di aggiornamento e formazione permanente W. Bleiziffer, Formarea permanentă a clerului… op. cit., p. 59.. L’attenzione con cui queste iniziative gerarchiche vengono attuate può diventare la chiave di interpretazione per assumere le direttive di una formazione permanente dei chierici adeguata e proficua, tenendo in considerazione il fatto che a loro incombe, come un dovere di coscienza, il bene spirituale del popolo affidato alle proprie cure. Alcune fonti conciliari sulla formazione permanente Senza dubbio la dottrina sul sacerdozio ministeriale proposta dai documenti del Concilio Vaticano II, resta alla base di tutta la formazione dei presbiteri nella Chiesa del nostro tempo. Per questo motivo desidero presentare in seguito alcuni elementi che si presentano sotto forma di indicazioni conciliari circa la retta comprensione e la fruttuosa strutturazione della formazione permanente dei sacerdoti. Al contempo rappresentano valide fonti per la revisione dei canoni CCEO G. Nedungatt, „On Clerics in general” in Nuntia 3/1977, 54-69; Idem, „More Canons on Clerisc in general”, in Nuntia 7/1978, 7-20; Idem, „Clerical Formation and Seminaries”, in Nuntia 8/1979, 68-84.. Proprio nei documenti conciliari sono presente importante riflessioni su tale formazione, e chiare indicazioni sui contenuti e sui modi. Da queste riflessioni emerge l’intreccio fecondo della formazione: il sacerdote formato può essere un buon formatore; la formazione dei fedeli dipende anche dalla formazione del sacerdote. Christus Dominus Un primo riferimento alla questione della formazione sacerdotale come esigenza continua che accompagna tutta la vita dei presbiteri, si trova nel decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi; l’argomento va preso in considerazione all’interno della tematica generale circa l’esercizio del governo dei vescovi stessi. Incombe ai vescovi il compito primario di esporre la dottrina cristiana «in modo consono alle necessità del tempo in cui viviamo: in un modo, cioè, che risponda alle difficoltà ed ai problemi […] ma devono stimolare anche i fedeli a fare altrettanto ed a propagarla» (CD 13). A loro viene richiesto di mostrare vigilanza e zelo nell’insegnamento del catechismo a tutti «per mezzo di un'opportuna istruzione», che nell’applicazione del principio della sussidiarietà diventa anche un compito non solo dei catechisti ma dell’intero clero. Anche se si tratta di una cura particolare mostrata nei confronti dei laici, - ai quali viene chiesto una permanente formazione nella conoscenza a fondo della dottrina della Chiesa e quindi una conveniente preparazione al loro ministero -, l’attenzione dei vescovi in questo campo educativo può estendersi anche ai chierici (CD 14). Va sottolineato che nel «loro dovere di padri e di pastori, i vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino come coloro che prestano servizio; come buoni pastori che conoscono le loro pecore e sono da esse conosciuti; come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti...» (CD 16a). Per meglio adempiere questo dovere, si suggerisce ai vescovi che «raccolgano intorno a sé l’intera famiglia del loro gregge» per dare ad essa «una tale formazione che, tutti consapevoli dei loro doveri, vivano e operino nella comunione della carità» (ibid.). Altrettanto, va richiesto che le loro azioni siano orientate in tal modo che la vita della comunità possa adattarsi a rispondere alle esigenze dei tempi. Come primi collaboratori nella missione pastorale i sacerdoti rappresentano una particolare categoria di persone che i vescovi devono trattare con carità, fiducia e benevolenza considerandoli «come figli ed amici» (CD 16c). Al loro riguardo si raccomanda quindi una premurosa attenzione alle loro «condizioni spirituali, intellettuali e materiali» (CD 16d) perché l’esercizio del loro ministero sia fedele e fruttuoso, e per niente manchevole. A tale scopo all’episcopato viene consigliato di favorire nelle proprie eparchie/diocesi quelle iniziative e convegni speciali che riuniscano i sacerdoti «sia per il rinnovamento della loro vita in corsi più lunghi di esercizi spirituali sia per l’approfondimento delle scienze ecclesiastiche, e specialmente della sacra scrittura e della teologia, dei problemi sociali di maggiore importanza e dei nuovi metodi dell’attività pastorale» (ibid). Il documento parla espressamente di «istituzioni» e poi di «convegni» ricordando ai vescovi i mezzi che hanno a disposizione e che possono essere fruttificati per fornire ai preti una formazione continua. Le istituzioni, che rinviano ad una realtà di carattere permanente possono essere regolate secondo un «ordinamento di studio e di realizzazione preciso; il secondo a momenti organizzati a vario livello e con una certa flessibilità anche se rispondenti ad un piano organico» Cf. G. S. Sartori, La formazione permanente dei presbiteri… op. cit., 69.. Il testo evidenzia il particolare impegno che incombe ai vescovi e la loro personale responsabilità nei confronti di una sana formazione permanente del loro clero, una formazione che deve toccare tutte le realtà della vita sacerdotale. Nella dinamica di una tale formazione non possono mancare i suggerimenti, le proposte o le personali iniziative dei sacerdoti che possono assumere a livello globale un carattere stabile attraverso la decisione del vescovo di implementare queste iniziative a livello eparchiale. Optatam Totius Nel decreto sulla formazione sacerdotale Optatam Totius il Concilio ha affermato «solennemente» la «importanza somma» della formazione sacerdotale. «Il Concilio Ecumenico, ben consapevole che l'auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo, afferma solennemente l'importanza somma della formazione sacerdotale» (OT 1). Il documento prende di mira la formazione sacerdotale e presenta un breve capitolo, il VII, sul perfezionamento della formazione dopo il periodo degli studi. L’unico numero di questo capitolo invocando soprattutto le mutate circostanze della società moderna, indica come reale necessità l’aggiornamento teorico e pratico dei presbiteri e l’approfondimento della formazione sacerdotale anche dopo il curricolo degli studi nei seminari (cf. OT 22). Viene quindi accordato alle conferenze episcopali nazionali, ed in virtù dell’applicazione del can 1492 CCEO, anche alle varie gerarchie delle Chiese sui iuris, - specialmente ai Consigli dei Gerarchi e ai Sinodi dei Vescovi delle Chiese Patriarcali ed Arcivescovili Maggiori -, il mandato di studiare i mezzi più adeguati perché «il giovane clero sotto l’aspetto spirituale, intellettuale e pastorale venga introdotto gradualmente nella vita sacerdotale e nella attività apostolica» (ibid.) Il testo va preso in considerazione a partire dal precedente capitolo (OT 19-21), le cui parti essenziali trattano globalmente della formazione dei candidati al presbiterato: il complesso della formazione sacerdotale gravita intorno ad un principio già enunciato al nr. 4 dello stesso decreto, cioè «allo scopo di formarne veri pastori di anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro, sacerdote e pastore […] pertanto tutti gli aspetti della formazione, spirituale, intellettuale, disciplinare, siano con piena armonia indirizzati a questo fine pastorale, e tutti i superiori e i maestri si applicheranno a raggiungere questo fine con zelo e con azione concorde, nel fedele ossequio all'autorità del vescovo» (OT 4). Percorrendo il contenuto di OT 22 si osserva l’interesse che va mostrato nei confronti dei nuovi chierici per quanto riguarda le possibili difficoltà che dovranno affrontare al passaggio dalla vita del seminario alla piena attività pastorale, un’attività molto coinvolgente data la complessità e le esigenze di una società in continuo cambiamento. Data la difficoltà che questo passaggio potrebbe creare, nell’elaborazione del decreto, la Commissione dei seminari che ha curato inizialmente il testo ha accennato il tema che, nei testi finali del Presbiterorum Ordinis pur non trovandosi dettagliatamente trattato, introduce un pensiero di grande attualità: la necessità di trovare, almeno nei primi anni, alcune forme di aiuto e guida, nonché di promozione del ministero sacerdotale. Per adempiere tale compito i responsabili gerarchici a livello nazionale – conferenze episcopali o Sinodi delle Chiese Orientali – hanno a disposizione alcune possibili strutture di organizzazione che possano adattarsi meglio alle necessità concrete di una determinata Chiesa: ovviamente, oltre agli istituti pastorali in parte già creati, ai convegni periodici organizzati per il clero nonché alle appropriate esercitazioni, possono essere trovate anche altre forme di formazione permanente che corrispondano meglio allo statuto uxorato della maggior parte dei chierici delle Chiese Orientali Cattoliche G. S. Sartori, La formazione permanente dei presbiteri… op. cit., 71; Serena Noceti, Roberto Repole (a cura di), Commentario ai documenti del Vaticano II. 4. Christus Dominus, Optatam totius, Presbyterorum ordinis, Edizione Dehoniane Bologna, 2017.. Il documento parla dunque di «proseguire e perfezionare la formazione sacerdotale» sotto l’aspetto spirituale, intellettuale e pastorale. Presbyterorum Ordinis Il sopra ricordato canone 368 cita fra le fonti il decreto Presbyterorum Ordinis nr. 12 e 13. Trattando della perfezione sacerdotale vista come configurazione a Cristo Sacerdote, ai sacerdoti viene richiesto di tendere alla propria perfezione che diventa – secondo il dettato conciliare – uno speciale obbligo. Con la grazia ricevuta nel sacramento dell’ordine, il chierico viene elevato alla condizione di strumento vivo di Cristo, Eterno Sacerdote, e può così avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di colui di cui è rappresentante. Per il raggiungimento degli scopi e dei fini pastorali di rinnovamento interno della Chiesa i sacerdoti sono esortati ad impiegare tutti i mezzi raccomandati Il concilio citta una serie di fonti considerate raccomandabili per il raggiungimento di questi scopo: Cf. tra l’altro S. Pio X, Esortazione al clero, Haerent animo, 4 ag. 1908: S. Pii X Acta, vol. IV (1908), p. 237ss. Pio Xi, Encicl. Ad catholici sacerdotii, 20 dic. 1935: AAS 28 (1936), p. 5ss. PIO XII, Esort. Ap. Menti Nostrae, 23 sett. 1950: AAS 42 (1950), p. 657ss. Giovanni Xxiii, Encicl. Sacerdotii Nostri primordia, 10 ag. 1959: AAS 51 (1959), p. 545ss. per diventare ogni giorno strumenti credibili del Vangelo (PO 12). Per arrivare alla santità richiesta dal loro stato clericale, ai sacerdoti viene indicata la collaborazione sincera ed instancabile, quindi frequente, con lo Spirito Santo. I progressi della propria formazione, richiede che «essi leggano ed ascoltano ogni giorno questa stessa parola che devono insegnare agli altri». La loro vita spirituale deve essere radicata nella pratica sacramentale personale, ed in quanto guide del proprio gregge affidato alle cure pastorali devono «adottare nuovi sistemi pastorali, sotto la guida dello Spirito d'amore» per un continuo progresso nel compimento più perfetto del lavoro pastorale (PO 13). Benché il tema specifico della formazione permanente non trovi posto nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, i padri conciliari si sono occupati di questa realtà soltanto in termini generali, parlando di «aiuti per la vita sacerdotale» (PO 18-21) soprattutto per quanto concerne la dimensione spirituale e intellettuale della vita dei ministri sacri. Il Concilio si sofferma quindi a parlare di alcuni sussidi per la vita sacerdotale indicando con molta chiarezza sia quelli che favoriscono l’incremento della vita spirituale sotto le varie forme di esercitazioni e attività (PO 18), sia quelli che servono ad alimentare l’intelletto e quindi che sviluppano lo studio e la scienza pastorale. Va indicata la necessità di leggere e meditare a fondo la Parola di Dio e gli scritti dei Padri e Dottori della Chiesa, ma va indicato con fermezza anche la necessità di una solida conoscenza dei vari documenti magisteriali e le opere dei teologi di riguardo. Si accenna chiaramente anche alla necessità di «perfezionare sempre adeguatamente la propria scienza teologica e la propria cultura”, e si rammenta ai vescovi di trovare la migliore soluzione per far sicché «tutti i loro presbiteri - soprattutto qualche anno dopo l'ordinazione - possano frequentare periodicamente dei corsi di perfezionamento nelle scienze teologiche e nei metodi pastorali». Di grande importanza è anche il tema della formazione dei novelli sacerdoti che dovendo usufruire di una sana dottrina e scienza teologica hanno bisogno di «professori competenti per le scuole ecclesiastiche, e specialisti in grado di orientare gli altri sacerdoti e i fedeli verso una maggiore istruzione religiosa; inoltre, con questo lavoro di ricerca si stimola quel sano progresso delle scienze sacre che è del tutto necessario alla Chiesa» (PO 19). Il Primio Concilio Provinciale della Chiesa Greco-Cattolica Romena Concilium Provinciale Primum Provinciae Ecclesiasticae Graeco-Catholicae Alba-Iuliensis et Fogarasiensis, celebrato anno 1872, Blasiu, 1882. In edizione bilingue in rete qui https://remusmirceabirtz.files.wordpress.com/2012/11/conc-prov-i-a.pdf https://remusmirceabirtz.files.wordpress.com/2012/11/conc-prov-i-b.pdf (consultato 10.10.2017) Anche se abbiamo preso in considerazione principalmente solo alcune fonti conciliare sulla formazione permanente del clero, quindi quelle presenti nei canoni presi in considerazione in questo studio, non possiamo tralasciare, per ovvii motivi, alcuni riferimenti importanti a delle fonti di diritto particolare della Chiesa Greco-Cattolica Romena. I concili provinciali di questa Chiesa Sono tre concili celebrati in 1872, 1882 e 1900., costituiscono ora fonti di diritto sia per il CCEO che per il diritto particolare della Chiesa Greco-Cattolica di Romania. Basta uno sguardo, anche superficiale, sull’edizione critica del CCEO per osservare il numero piuttosto grande di tali documenti inseriti fra le fonti di vari canoni: una presenza massiccia di tali riferimenti troviamo nel titolo XVI De culto divino et praesertim de sacramentis. Per il tema della formazione permanente del clero, tema a cuore del Primo Concilio Provinciale, abbiamo una serie di documenti che ispirando la formulazione di alcuni canoni del CCEO Prendendo in considerazione il can 368 sopra ricordato, oltre ai riferimenti del Concilio Vaticano II, questo cita fra le fonti il can 60 del precedente codice Cleri Sanctitati (CS) che a sua volta cita Instr. (ad Achiep. Fagarasiensis et Alba-Iulien.), 24 mart. 1858. Poi, per il can. 372 abbiamo, fra le altre fonti, citato Syn prov Alba –Iulien. et Fagarasien. Romenorum, a. 1872, tit VII cap. 1; mentre il can 196 cita fra le fonti can. 400 CS che a sua volta cita Syn prov Alba–Iulien. et Fagarasien. Romenorum, a. 1872, tit. VI cap. 1X, nonché Syn prov Alba–Iulien. et Fagarasien. Romenorum, a. 1872, tit. VI cap. 1; lasciano intravedere l’interesse della gerarchia romena per una tale realtà Per capire la motivazione di un così grande interesse della gerarchia romena per la formazione del clero anche dopo l’ordinazione sacerdotale è necessario fare un viaggio storico nel periodo precedente al Concilio. Il 26 novembre 1853, con la bolla Ecclesiam Christi, Papa Pio IX con la creazione di 2 nuove eparchie all’interno della Chiesa Greco-Cattolica Romena (Lugoj e Cluj-Gherla) ergeva la Mitropolia di Alba-Iulia e Făgăraş. Dopo questo intervento, per meglio conoscere lo status concreto della nuova provincia metropolitana la Santa Sede attraverso delle missioni apostoliche compie in Transilvania una serie di visite; in questo senso vedi l’esaustivo lavoro dello storico A. Sima, Vizitele nunțiilor apostolici vienezi în Transilvania (1855-1868), vol. I; II, Presa Universitară Clujeană, Cluj, 2003, ed anche sinteticamente W. A. Bleiziffer, Disciplina dei sacramenti e culto divino – considerazioni canoniche, Ed. Aeternitas Alba Iulia, 2002, 36-38. Quello che va sottolineato in alcuni documenti di archivio contenenti le informazioni che i delegati inviano alla Santa Sede è lo stato precario delle preparazione del clero: in contromisura alcuni documenti del Primo Concilio Provinciale trattano proprio il tema de clericorum obligatione in sacris scientiis progredendi ac semet perficiendi. . Il settimo titolo del Concilio tratta nel primo capitolo De clericorum obligatione in sacris scientiis progrediendi ac semet perficiendi. Dalla missione pastorale operata a favore del popolo risulta il dovere, considerato il più sacrosanto, di «acquisire la scienza necessaria, di perfezionarsi ogni giorno, per essere essi stessi luce del mondo secondo le parole del Signore (Mt. 5, 13-14). Il frequente rinvio ai testi biblici, vetero che neotestamentari, provano a giustificare biblicamente, quindi con l’autorità dei testi ispirati, la necessità di una tale formazione: «come riusciranno ad illuminare se loro stessi vagheranno nel buio dell’ignoranza» (1 Tim. 5, 13), e come faranno a possedere la scienza se non si stancheranno giorno e notte nell’apprendere e perfezionare la scienza? Le sante scritture insegnano infatti che «le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione» (Malachia 2, 7). L’attività pastorale è interpretata in chiave bellica; per combattere efficacemente gli errori e l’ignoranza il sacerdote deve essere munito delle necessarie armi, quindi della scienza che può garantire l’insegnamento della sacra dottrina che va difesa con la consapevolezza del pericolo della pena divina: «Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote» (Osea IV, 6). Il testo sinodale parla chiaramente di «progresso del clero nelle scienze sacre» (clerum in sacris scientiis excoli exigit). Questo progresso è giustificato dalla società stessa che esige «cellerimus culturae per omnes gradus societatis progressus»; infatti è questa che ha bisogno di essere permeata nel suo progresso di azioni che contrastino le calunnie mosse contro la Chiesa, ingiustamente accusata di promuovere l’oscurantismo e l’ignoranza. «Il clero, soprattutto ai nostri tempi, ha il dovere di coltivare le vere scienze (veras scientieas colere tenetur) e con il loro sapiente impiego confondere la sapienza del mondo». Per cui, il dovere del clero di progredire nella propria formazione è richiesta e sostenuta sia dai sacri canoni (Synodi Carthag. can. 24; Synod VII, can. 2) che dai Santi padri della Chiesa (S. Ioan Chrysostom. De Sacerdotio lib. IV cap. 4) Il rinvio a delle fonti che sostengono le affermazioni sinodali dimostrano copiosamente il fato che i redattori del testo godevano di una solida formazione teologica e canonica.. Il sinodo, in base alle motivazioni esposte, esige «l’adempimento coscienzioso di questo santo dovere (huiusce sacrae obligationis debitum adimplentum a clericis expectat)» non solo per la gloria di Dio ma anche per il bene della Chiesa e la salvezza della anime, e indica per il raggiungimento di questi scopi la necessità di creare delle biblioteche parrocchiali, distrettuali e diocesane che raccolgano «ex singulis disciplinarum theologicarum obiectis manualia». Per incoraggiare ulterioris scientificae perfectionis, che senza errore possiamo definire con il termine formazione permanente, il sinodo decide di provocare nel clero questa nobile emulazione e di accordare e distribuire i benefici ecclesiali e i vari sussidi materiali soprattutto a coloro che avranno progredito in questa direzione. I protopresbiteri sono quindi invitati di seguire da vicino questa realtà e di informare tempestivamente la gerarchia, nei rapporti annuali, del progresso conseguito. Il secondo capitolo dello stesso settimo titolo tratta De clericorum obligatione moribus ac vita exemplari proficiendi. Lo stato sacerdotale è considerato eccellente ed esemplare, quindi coerente con il modello fornito da Cristo stesso; oltre alle indicazioni di carattere morale, atte a aumentare la perfezione richiesta dallo stato sacerdotale, il sinodo indica anche la lettura dei libri pii (librorum piorum lectionem), e la partecipazione ai raduni distrettuali quali momenti di reciproca informazione e crescita personale, per far cosi crescere lo zelo e lo spirito veramente ecclesiale. Da tutte queste indicazioni molto puntuali e concise risulta chiaramente l’interesse e la preoccupazione della gerarchia della Chiesa transilvana per una formazione del clero adeguata alle esigenze dei tempi; quindi una formazione continua e permanente che richiede l’attenzione della gerarchia ma anche la responsabilità e il coinvolgimento del clero quale beneficiario di una tale impresa. Formazione permanente quale impegno personale I canoni del CCEO parlano di formazione che veste una doppia via: quella impartita nel seminario, quindi la formazione ai ministeri, e quella continua, naturale e necessaria dopo l’avvenuta ordinazione. Da questo punto di vista, il tempo deve essere considerato un fattore importante nella formazione permanente del clero. Il tempo è una delle nozioni più ricche e più complesse che l'uomo possiede, uno degli elementi indispensabili della formazione di qualsiasi tipo. Il tempo diventa così un compagno costante negli sforzi della personale autorealizzazione. La celebrazione del mistero di Cristo nell'arco dell’anno liturgico diventa per il sacerdote un modo unico e molto diversificato di vivere la propria fede. Durante questo periodo, che nel suo svolgere viene definito da due dimensioni caratteristiche - la continuità e la ciclicità – si sviluppano e vengono vissute tante situazioni personali di cui il sacerdote ne è protagonista. A loro volta, queste provocano a nuove esigenze che l’ideale della vita sacerdotale richiede: la crescita e la maturazione della propria fede, e la contemplazione progressiva dello stesso contenuto di fede in diverse fasi della propria evoluzione umana e spirituale. Il sacerdote assegna il vero valore al proprio tempo nella liturgia che lui stesso celebra. La liturgia non è altro che la permanente santificazione del tempo, che diventa così il luogo in cui il sacerdote si comprende se stesso come uomo, comprende la sua vocazione e la propria necessità di salvezza. L'intero percorso di formazione permanente si trova, così, nella liturgia. Essa crea e mette in rilievo la dinamica della vita sacerdotale che intreccia contemporaneamente più realtà che si completano necessariamente: la gioia della chiamata, la personale risposta alla santità, lo sforzo verso la perfezione, ma anche la consapevolezza dei propri limiti di fronte al mistero di questo sacramento. Tutti i momenti di questa dinamica sono legati all'evento centrale della nostra fede, la morte e risurrezione di Cristo, che deve diventare il modello e la chiave per leggere la vita dei sacerdoti, una costante ispirazione della loro vocazione. Con la sua morte e risurrezione, Gesù ha cambiato la vita di ogni uomo in un maniera eccellente, ma difficilmente da capire. Siamo stati rinnovati, salvati dal peccato e portati alla comunione con Dio Uno e Trino, ma viviamo ancora in un mondo che non ha ancora raggiunto la sua fine. Come i discepoli di Gesù, i sacerdoti devono vivere appieno questo mistero, in un continuo rinnovamento, conversione e perfezione. La vita sacerdotale è una forma caratteristica e particolare di vita cristiana, che si sviluppa e si consuma in un rapporto specialissimo con Cristo Signore e con la Chiesa, e come tale comporta una specifica e ontologica configurazione a Lui in vista dell’adempimento della missione assunta (can 323). L’itinerario di formazione sacerdotale, sia precedente all’ordinazione quanto quella permanente, deve essere accolta dai candidati anzitutto come esercizio specifico di vita cristiana radicato in quei diritti e doveri di tutti i fedeli di condurre una vita santa, conforme alla dottrina evangelica, alimentata dalla recezione dei beni spirituali (cf. cann. 13; 16; 17). In questa prospettiva va intesa anche la fondamentale linea formativa tracciata dal Codice per l’itinerario di iniziazione al sacro ministero: «Nel seminario maggiore viene coltivata, provata e confermata più intensamente la vocazione di coloro che, da segni sicuri, sono già stimati idonei ad assumere stabilmente i sacri ministeri» (can. 331 §2). Il sacerdote è chiamato a contemplare nella sua vita il dono di Dio che gli viene offerto come un aiuto nella realizzazione della Sua volontà nelle varie fasi della propria evoluzione. Dio continua a chiamare e mandare operai nella sua vigna, scoprendo, durante la vita del sacerdote e nelle situazioni in cui la Chiesa e la società vive, il suo piano di salvezza. In questo senso la formazione permanente diventa necessaria per sapere scorgere e seguire la continua chiamata di Dio. La formazione permanente prevede pertanto un rinnovo continuo, quindi atemporale, della vita del sacerdote attorno al centro vitale - Cristo. In Lui il sacerdote è chiamato a trovare la propria identità e scoprire la verità sulla sua vita. In Lui trova il significato e il compimento di ogni momento della propria storia personale. La formazione permanente è un processo lungo, una scuola dove si impara a ripensare e riformulare la propria esperienza umana, cristiana, spirituale, educativa e pastorale. La formazione permanente diventa cosi collaborazione al dono che Dio, educatore e formatore delle nostre anime, offre ogni giorno, sotto la guida dello Spirito Santo, un particolare dono che ci vuole avvicinare all'immagine di Suo Figlio, il modello Cristo, il sacerdote eterno. La formazione permanente è progressiva ed implica anche la continuità. Non è sufficiente esistere un certo progresso graduale in un determinato periodo di tempo; il progresso deve continuare nel tempo, e da questo punto di vista la formazione deve essere perseverante. Parlare di continuità nella formazione non significa pretendere di esistere sempre un processo lineare e perfettamente ascendente. La storia dell'umanità e delle nostre piccole e quotidiane storie ci insegnano che esistono anche momenti di regressione, di caduta e di fermo. Queste realtà sono parte della condizione limitata dell'essere umano, ed è anche la conseguenza del peccato. Quindi, risulta proprio da qui la necessità di uno sforzo, di una ricerca permanente per l'auto-costruzione, di una lotta contro l'egoismo, contro lo scoraggiamento, contro la routine. In effetti non è questa la condizione di tutti gli uomini: «Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario?» (Giobbe 7, 1). D'altra parte, è necessaria una buona dose di umiltà e di pazienza come anche di una costante disposizione a rialzarsi dopo la caduta per riprendere il cammino. È importante notare anche che la formazione permanente è un dovere personale del sacerdote stesso. Il principio dell'autoistruzione continua ad essere vallabile anche al di fuori del seminario: se i seminaristi non capiscono e non apprezzano già dai tempi della formazione nel seminario la portata e la necessità di una formazione continua, sarà difficile dare a questa l’importanza necessaria una volta inseriti nel prestigioso servizio pastorale quotidiano. Il sacerdote deve oggettivamente puntare alla santità personale, cercando di rendere fecondo il suo apostolato, deve continuare a cercare i mezzi di personale santificazione che lo hanno aiutato a formarsi in seminario: frequente confessione, direzione spirituale, lettura spirituale, ecc., ma deve, altrettanto, trovare spazi quotidiani per la lettura e lo studio (can. 369). Tuttavia, come spesso accade, l'auto-istruzione deve essere stimolata e sostenuta. Da qui risulta la necessità che il vescovo eparchiale promuovi alcuni mezzi che possono aiutare i sacerdoti, in particolare i più giovani. Conclusione I profondi cambiamenti che influenzano oggi tutti gli aspetti della vita e richiedono un approccio analitico e diversificato non ci consentono di bloccarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli che non corrispondono più alle esigenze del presente. Per avere una pastorale efficace, realmente corrispondente alle sfide odierne, dobbiamo essere interpreti consapevoli della necessità di una riflessione responsabile che prenda in considerazione le esigenze di un mondo in cui, meno che nel passato, il sacerdote non viene molto sostenuto nel suo ministero. Siamo tutti consapevoli che la formazione dei sacerdoti nei seminari, che poi deve continuare con la formazione permanente, è per la Chiesa un argomento molto importante. Dalla formazione dei chierici dipende fondamentalmente il futuro della Chiesa e la realizzazione della sua missione nel mondo. Entrambi Codici di diritto canonico traducono sul piano normativo gli orientamenti conciliari in materia e stabiliscono in regole chiare gli aspetti essenziali della formazione sacerdotale. La formazione permanente dei sacerdoti nelle circostanze attuali deve essere anzitutto il frutto di un processo di autoeducazione che fa dei chiamati da Dio e ammessi dal Vescovo i primi responsabili della propria iniziazione al presbiterato. «La formazione permanente dei sacerdoti … è la continuazione naturale e assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione della personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in Seminario … con il cammino formativo in vista dell’Ordinazione. È di particolare importanza avvertire e rispettare l’intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente l’ordinazione e quella successiva. Se, infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra queste due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi conseguenze sull’attività pastorale e sulla comunione fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. La formazione permanente non è una ripetizione di quella acquisita in Seminario, semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti applicativi. Essa si sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso metodi relativamente nuovi, come un fatto vitale unitario che, nel suo progresso - affondando le radici nella formazione seminaristica - richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche, senza però subire rotture o soluzioni di continuità. E viceversa, fin dal Seminario maggiore occorre preparare la futura formazione permanente, e aprire ad essa l’animo e il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la necessità, i vantaggi e lo spirito, e assicurando le condizioni del suo realizzarsi» PDV 71.. Attraverso l’itinerario serio e metodico della formazione permanente i chierici devono motivare consapevolmente la scelta vocazionale, e continuare in maniera conveniente l’annuncio del Vangelo e il processo di inculturazione della fede nel mondo contemporaneo. La chiarezza degli orientamenti normativi del Codice canonico diventa quindi punto di riferimento obbligatorio che aiuta alla preparazione di sacerdoti che siano in grado di affrontare le sfide del mondo moderno e soprattutto di rispondere alle esigenze dell’evangelizzazione dell’umanità nel terzo millennio. 16