ANNALI DI STUDI
UMANISTICI
Vol. V
2017
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Il giovane Domenico Beccafumi
e l’arte a Siena al tempo di
Pandofo Petrucci
a cura di Alessandro Angelini e Marco Fagiani
GIORNATA DI STUDIO
SIENA, DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE
E DEI BENI CULTURALI
18 MAGGIO 2017
EMANUELE ZAPPASODI
UN AVVIO INQUIETO.
LA “MADONNA COL BAMBINO E SAN GIOVANNINO”
ORINTIA CARLETTI BONUCCI DI PERUGIA
E IL GIOVANE BECCAFUMI
Il recupero al giovane Beccafumi della Sant’Agnese Segni del Museo
Civico di Montepulciano, grazie al felice ritrovamento documentario
di Andrea Giorgi e alle riflessioni conseguenti di Alessandro Angelini1, ha permesso di sostanziare l’attività di Domenico a monte della
stagione più nota, avviata col Trittico della Trinità della Cappella del
Manto in Santa Maria della Scala e delle Stimmate di Santa Caterina
provenienti da San Benedetto fuor de’ Tufi a Siena2. Una partenza,
fino ad ora sfuggente, da cui emerge con forza lo spirito inquieto di Domenico, incline sui vent’anni a cambiamenti repentini, a
ripensamenti drastici, a volte spiazzanti, che pongono alla filologia,
anche la più agguerrita, sfide cronologiche avvincenti, sostanzialmente ancora aperte. Il passaggio da questa stagione sperimentale
e contraddittoria alla primissima maturità del pittore, subito dopo il
soggiorno romano, può essere meglio inteso restituendo alla mano
del Beccafumi la splendida Madonna col Bambino e San Giovan-
1
A. GIORGI, “Domenicho dipentore sta in chasa di Lorenso Bechafumi”. Di alcuni
documenti poliziani intorno al culto di Agnese Segni e ai suoi riflessi in ambito artistico
(1506-1507), «Prospettiva», 157-158, 2015, pp. 94-103; A. ANGELINI, Una “Santa Agnese
di Montepulciano” di Domenico Beccafumi. Per una revisione dell’attività giovanile del
pittore, ivi, pp. 74-93; A. GIORGI, Montepulciano 1507: il podestà Lorenzo Beccafumi e
Domenico di Jacomo. “Multotiens pro expeditionibus Montispolitiani coegerunt et petierunt a Laurentio Beccafummo”. Montepulciano nella vicenda di un cittadino senese “di
reggimento” (1442-[1507]), in Il buon secolo della pittura senese. Dalla maniera moderna al lume caravaggesco, Pisa, Pacini, 2017, pp. 16-23; A. ANGELINI, Gli inizi di Beccafumi
e il gonfalone con la Santa Agnese del 1507, ivi, pp. 29-38.
2
Cfr. R. BARTALINI in Domenico Beccafumi e il suo tempo, Milano, Electa, 1990, pp.
94-96; e M. MACCHERINI, ivi, pp. 110-112.
— 55 —
EMANUELE ZAPPASODI
nino della Fondazione Orintia Carletti Bonucci di Perugia3 (fig. 1).
Non è possibile stabilire la data di ingresso nella raccolta perugina del dipinto, ricordato per la prima volta con certezza piuttosto
tardi, nell’inventario redatto nel 1871. Gli inventari seicenteschi degli
arredi del palazzo di via del Loto - allora di proprietà dei Baldeschi,
antico casato della nobiltà perugina - sono infatti troppo elusivi per
identificare con sicurezza le ventisei “tele vecchie” della raccolta4,
acquistata in blocco con l’immobile nel corso del Settecento dai
Righetti. Questi ultimi dovettero incrementare la quadreria, celebrata
poi da Baldassarre Orsini nella sua Guida al forestiere per l’Augusta
città di Perugia5. Più tardi, a partire dal 1834, la collezione passò
col resto dell’edificio a Leopoldo Bonucci, protagonista dell’ascesa
economica e sociale di questa famiglia grazie ai fiorenti commerci
nel settore tessile6.
Il fascino della tela non è per nulla diminuito dalle numerose
abrasioni della superficie pittorica che insistono lungo i margini del
dipinto, sulla mano della Vergine, sulla seduta e sulla tempia di
Giovannino, lasciando intuire una vicenda conservativa travagliata.
Le fotografie a luce radente mostrano i segni della tela emergere
in maniera anomala sulla pellicola pittorica. Come mi suggerisce
Loredana Gallo - che ringrazio per il suo aiuto prezioso - queste
tracce sono dovute all’eccessivo assottigliamento della preparazione
durante la rimozione incauta del supporto dal tergo in occasione del
trasporto del dipinto, evidentemente nato su tavola, come di prassi
nell’attività del Beccafumi (fig. 2). L’intervento fu eseguito sicuramente prima del 1871, quando l’opera è ricordata già su tela nell’inventario redatto in quell’anno. Questa vicenda conservativa traumatica sembra confermata anche dall’andamento di alcune fenditure
della superficie pittorica, come quella sul volto della Vergine che
scende diritta dal sopracciglio al labbro, del tutto compatibile coi
movimenti di una tavola a venatura verticale (cfr. fig. 7).
Nonostante le sofferenze subite si respira ancora tutta la freschez3
E. ZAPPASODI in Il buon secolo della pittura cit., pp. 95-96.
Per le vicende del palazzo e della quadreria si vedano le considerazioni puntuali
di S. BLASIO, La Galleria della Fondazione Orintia Carletti Bonucci nel Palazzo Baldeschi
a Perugia, Perugia, Volumnia Editrice, 2015, pp. 16-52, 67-68, dove la tela è assegnata al
Maestro di Serumido.
5
B. ORSINI, Guida al Forestiere per l’augusta città di Perugia, Perugia, Presso il
Costantini, 1784, pp. 177-178.
6
S. BLASIO, La Galleria della Fondazione cit., pp. 23-24.
4
— 56 —
UN AVVIO INQUIETO
za della pittura, impreziosita dall’uso della lacca rossa negli scuri
della veste di Maria, dall’oltremare del manto e dalla doratura, oggi
fortemente impoverita, ma che doveva risaltare con ben altra forza
nella profilatura sottile del nimbo scorciato, e nella piccola croce
imbracciata dal giovane Battista, in origine in contrasto netto sulla
foderatura verderame - oggi in parte virata - del manto della Vergine,
quest’ultimo dall’orlatura filettata svanita quasi ovunque, realizzata
con l’oro in foglia a mordente, rivelato dall’immagine al microscopio,
e non steso a pennello come ci si aspetterebbe a queste date.
Una comune area di famiglia avvicina la Vergine perugina ai tipi
muliebri delle opere riunite da Andrea De Marchi sotto l’etichetta di Maestro delle Eroine Chigi Saracini, identificabile nel giovane
Domenico, come aveva proposto in passato con intuizione folgorante Mina Gregori e come è ora confermato dal nuovo quadro documentario emerso di recente, ricordato sopra7. Il volto dalla fronte
larga, lo sguardo trasognato velato da un’espressione ambigua, il
sorriso accennato e subito trattenuto, la pelle diafana accesa dai
rossori delle gote e delle labbra, ritornano infatti nelle due Eroine
più svolte della raccolta Chigi Saracini, l’Artemisia e la Cleopatra,
nella Madonna col Bambino e San Giovannino in collezione Giusti
a Firenze, ora a Londra presso Agnew’s, e nella Vergine del tondo di
medesimo soggetto nella Gemäldegalerie di Berlino8, che condivi-
7
A. DE MARCHI (“Maestro delle Eroine Chigi Saracini”, in Da Sodoma a Marco Pino.
Pittori a Siena nella prima metà del Cinquecento, catalogo della mostra a cura di F. Sricchia Santoro, Firenze, S.P.E.S., 1988, pp. 83-90) ha isolato un gruppo di dipinti caratterizzato da grande coerenza stilistica, assegnandolo al Maestro delle Eroine Chigi Saracini,
creato nell’occasione intorno alle tre Eroine della collezione senese. L’anno successivo
Mina Gregori in una conferenza rimasta inedita tenuta al Kunsthistorisches Institut in
occasione delle giornate di studio in onore di Sylvie Béguin (24-26 ottobre 1989), dal titolo Un inedito del Beccafumi e alcune considerazioni sul suo periodo giovanile, ha preferito ricondurre parte del catalogo radunato dal De Marchi alla giovinezza di Domenico
Beccafumi. La proposta è stata accolta per la sola Madonna col Bambino e San Giovannino in collezione Giusti a Firenze e per il tondo di Berlino (figg. 4-5) da Fiorella Sricchia
Santoro (Domenico Beccafumi 1507-1512, in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit.,
pp. 72-75), seguita da Pierluigi Leone De Castris (Una “Venere” del giovane Beccafumi, e
un’”Eva” del Brescianino, in Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze,
a cura di C. Acidini Luchinat, L. Bellosi, M. Boskovits, P. P. Donati, B. Santi, Firenze, Le
Lettere, 1997, pp. 281-286, in particolare 281), ma è stata respinta da Gabriele Fattorini
(Alcune questioni di ambito beccafumiano: il “Maestro delle Eroine Chigi Saracini” e il
«Capanna senese», in P. TORRITI, Beccafumi. L’opera completa, Milano, Electa, 1998, pp.
37-45). Per le novità documentarie e per la loro interpretazione si rimanda alla nota 1.
8
Non si conosce la destinazione originaria delle tre Eroine Chigi Saracini rese
note da Mario Salmi (Il Palazzo e la Collezione Chigi-Saracini, Siena, Monte dei Paschi,
— 57 —
EMANUELE ZAPPASODI
dono anche la gamma cromatica tutta giocata sui toni freddi e dissonanti dei rosa, degli azzurri e dei verdi intensi (figg. 1, 4-5).
Le maniche della tunica di Maria, animate da increspature delicatissime, trascolorano dall’azzurro tenue delle zone d’ombra al giallo
acido delle parti in luce. Le nuances cangianti sono le stesse della
stola svolazzante della Cleopatra e del peplo dell’Artemisia. Le loro
mani dalle dita lunghissime e nervose, retaggio signorelliano forse
mediato dal Maestro di Griselda9, ritornano nel dipinto perugino e
in altre opere licenziate in questi anni dal maestro come la Santa
Agnese Segni di Montepulciano, databile con sicurezza al 1507, la
splendida Artemisia Ashburnham d’ubicazione ignota pubblicata
dal Longhi con un riferimento al Sanzio10 - di cui si può ricordare
un passaggio a Londra presso Bellesi11 - il Ritratto di musico in una
collezione privata di New York, riconosciuto a Domenico indipendentemente da Keith Christiansen e Andrea De Marchi12, e più tardi
nei laterali del Trittico della Trinità, saldato a Domenico il 6 maggio
1513 da Battista d’Antonio da Ceva, commesso dello Spedale di
Santa Maria della Scala.
1967, pp. 77-81), per le quali è stata ipotizzata una provenienza dal palazzo di Pandolfo
Petrucci. L’impresa avrebbe potuto costituire un modello per la serie di spalliere e tavole
allogate allo stesso Beccafumi nel 1519 da Francesco di Camillo Petrucci, nipote del
Magnifico (cfr. A. ANGELINI in Il buon secolo della pittura cit., pp. 41-42). Le differenze
stilistiche tra la Giuditta e le altre due Eroine, che chiudono la serie, si spiegano con
una cronologia leggermente sfalsata, come ha riconosciuto a ragione Andrea De Marchi
(Maestro delle Eroine cit., pp. 84-85), seguito poi da Gabriele Fattorini (Alcune questioni
di ambito cit., p. 42) e più di recente da Alessandro Angelini (Una “Santa Agnese cit.,
p. 83), mentre Fiorella Sricchia Santoro (in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., pp.
266-269) ha preferito scorgervi due mani distinte, battezzate Primo e Secondo Maestro di
Pandolfo Petrucci. Sulla tavola Giusti, di cui si conosce una replica documentata da una
foto Reali, resa nota da Alessandro Morandotti (Girolamo Genga negli anni della pala
di Sant’Agostino a Cesena, «Studi di storia dell’arte», 4, 1993, pp. 275-290, in particolare
279, nota 9), si veda A. ANGELINI in Il buon secolo della pittura cit., pp. 74-75, con estesa
bibliografia.
9
A. DE MARCHI, Maestro delle Eroine cit., p. 85.
10
R. LONGHI, Un intervento raffaellesco nella serie “eroica” di casa Piccolomini,
«Paragone», 15, 1964, 175 pp. 5-8.
11
Alla morte di Lady Catherine Ashburnham la tavola, col resto dei dipinti conservati a Battle, nell’East Sussex, fu messa all’incanto a Londra presso Sotheby’s (The Ashburnham Collections: Part I: Catalogue of Painitings and Drawings of the Continental Schools) il 24 giugno 1953. Un appunto manoscritto in calce alla foto (numero 163156) del
dipinto conservata nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, con un riferimento ipotetico a Timoteo Viti, ricorda l’opera a Londra presso Bellesi.
12
A. DE MARCHI, La prospettiva sconvolta: Beccafumi verso il tornante del 1513, in Il
buon secolo della pittura cit., pp. 89-94, in particolare 90-92, 94, nota 13.
— 58 —
UN AVVIO INQUIETO
La leggerezza impalpabile delle pagine del libro d’ore tenuto
dal piccolo Giovanni e dalla Vergine e la resa vibrante della velina
che lascia trasparire la capigliatura di Maria dimostrano a sufficienza
la qualità sublime della tela. Lievità simili, del resto, in quegli stessi anni lumeggiano in punta di pennello l’organza delle maniche
larghe delle Eroine e dell’Artemisia d’ubicazione ignota. Altrettanto sottile l’indagine dei lumi: il baluginio lunare sul braccio teso
della Vergine, l’ombra portata del libro sul palmo della sua mano,
la profilatura rosata delle dita scaldata delicatamente da reverberi, il
fascio di luce che passa tra le gambe aperte del bambino e illumina la nappa del cuscino, il panno esibito da Maria, prefigurazione
del sudario, che esce piano e inesorabile dalla penombra. E anche
la manica ritmata dagli ampi sbuffi, che ritorna ammorbidita nella
veste della Vergine perugina e quasi si sovrappone nell’orlatura strascicata e sciolta a quella del tondo di Berlino (figg. 3-4), è un motivo
fortunato di questa prima attività beccafumiana, inaugurato con ben
altra asprezza nella spallina martellinata del San Michele del cataletto dei depositi della Pinacoteca di Siena e soprattutto nell’Adorazione Feigen, dove compaiono anche mani allungate, poi riproposte a
più riprese nell’attività di Domenico13.
Queste due opere scandiscono il bruciante abbrivio del maestro,
segnato da un primo approccio a Leonardo - a Siena nel 1502 tradotto con un’asprezza grafica violenta che dichiara scopertamente il retaggio della propria formazione nella Siena ancora imbevuta
13
Sul cataletto col San Michele Arcangelo che pesa le anime e un Flagellante in
preghiera davanti al Crocefisso dei depositi della Pinacoteca Nazionale di Siena cfr. A.
ANGELINI in Il buon secolo della pittura cit., pp. 39-41. L’Adorazione in collezione Richard
L. Feigen a New York è stata riferita a Girolamo Genga sulla scia di un appunto sulla
fotografia del dipinto nella fototeca di Roberto Longhi. Su indicazione di Mina Gregori,
allo stesso pittore è stata riferita da Anna Maria Petrioli Tofani (in Urbino e le Marche
prima e dopo Raffaello, catalogo della mostra a cura di M. G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, P. Dal Poggetto, Firenze, Salani, 1983, p. 363) anche una replica di qualità assai
più modesta, in passato in una raccolta privata di Torino. Andrea De Marchi (Maestro
delle Eroine cit., p. 87) ne ha riconosciuto i legami con il resto del gruppo del Maestro
delle Eroine Chigi Saracini, ponendo il dipinto a valle della sua attività, mentre Fiorella
Sricchia Santoro (in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., pp. 270-271) ha isolato la
tavola assegnandola a un Maestro dell’Adorazione Feigen, seguita da Gabriele Fattorini
(Alcune questioni di ambito cit., p. 50, nota 8). Più di recente Laurence Kanter (in L. B.
KANTER, J. MARCIARI, Italian Paintings from the Richard L. Feigen Collection, New Haven,
Yale University Press, 2010, pp. 114-117) ha riferito al «Capanna senese» - su cui si veda
qui l’intervento di Marco Fagiani - l’anconetta americana, ben inserita nella prima giovinezza di Beccafumi da Alessandro Angelini (Gli inizi di Beccafumi cit., p. 31).
— 59 —
EMANUELE ZAPPASODI
della cultura della cappella Bichi14. Una stagione breve ma intensa
che si chiuderà prima del 1507, anno in cui al più tardi Evangelista
Maddaleni Capodiferro celebrò in tre epigrammi gli affreschi già in
opera nella Sala delle Deità e delle Virtù in Palazzo Petrucci (acquistato dagli Accarigi nel 1504), dove si conservano ancora in loco un
fregio e una Giustizia, gemella della malconcia Minerva di Princeton, un frammento impastoiato da ridipinture tarde ma consonante
negli sforzi lineari con la Giuditta Chigi Saracini che inizia la serie15.
Un riferimento consapevole a Leonardo si coglie anche nella
tela perugina, che tuttavia nell’accrescimento sentimentale della
scena e nelle stesure dense e sfumate di una pittura ormai compiutamente affrancata dall’eredità grafica tardo-quattrocentesca mi
14
Per la cultura della Cappella Bichi si vedano le parole sempre puntuali di L. BELLOIl “vero” Francesco di Giorgio e l’arte a Siena nella seconda metà del Quattrocento,
in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena 1450-1500, catalogo della mostra a
cura di L. Bellosi, Milano, Electa, 1998, pp. 19-89, in particolare 81-86; inoltre A. ANGELINI, Intorno al Maestro di Griselda, «Annali della Fondazione di studi di storia dell’arte
Roberto Longhi», 2, 1989, pp. 5-17; ID., Pinturicchio e i suoi: dalla Roma dei Borgia alla
Siena dei Piccolomini e dei Petrucci, in Pio II e le Arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A. Angelini, Cinisello Balsamo, Silvana, 2005, pp. 483-553,
in particolare 505-521.
15
Della decorazione della sala delle Deità e delle Virtù, descritta dall’abate Carli e
da Evangelista Maddaleni Capodiferro (per cui si vedano G. AGOSTI, V. FARINELLA, Interni
senesi “all’antica”, in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., pp. 578-599, in particolare 590; M. FAGIANI, Gli ultimi anni di Pandolfo Petrucci e l’arte a Siena a cavallo tra
primo e secondo decennio, in Il buon secolo della pittura cit., pp. 66-73, in particolare
68-70, 73 nota 25, con puntuali considerazioni sulla cronologia dei lavori nel palazzo)
la Giustizia ancora in loco, se reintegrata mentalmente delle lacune, mostra lo stesso
sorriso beffardo della Giuditta Chigi Saracini, vicina nelle asprezze grafiche più risentite - al netto delle ridipinture - pure alla Minerva conservata al Princeton University Art
Museum, cui era stata avvicinata a ragione da Andrea De Marchi (Maestro delle Eroine
cit., pp. 88-89). Provenienti dallo stesso ambiente del Palazzo Petrucci si conservano
a Princeton anche una Prudenza e a un’altra figura allegorica difficile da identificare.
Queste ultime sono in condizioni conservative drammatiche, rendendone impossibile
un giudizio sereno. Gli affreschi della sala delle Deità e delle Virtù sono stati riferiti a
Girolamo Genga da Bernardina Sani (Novità sugli interni senesi all’antica, in Le dimore
di Siena. L’arte dell’abitare nei territori dell’antica repubblica dal Medioevo all’unità di
Italia, a cura di G. Morolli, Firenze, Alinea Editrice, 2002, pp. 33-38, in particolare 34)
e da Laurence B. Kanter (Luca Signorelli and Girolamo Genga in Princeton, «Record
Princeton University Art Museum», 42, 2003, pp. 68-83, in particolare 74-78) e a Michelangelo da Lucca e Sodoma da Nicole Dacos (De Pinturicchio à Michelangelo di Pietro
da Lucca: les premiers grotesques à Sienne, in Umanesimo a Siena, atti del convegno di
studi a cura di E. Cioni, D. Fausti, Casellina (FI), La Nuova Italia, 1994, pp. 311-343, in
particolare pp. 311-324) e da Daniele Radini Tedeschi (Giovanni Antonio Bazzi detto
il Sodoma (Vercelli 1477 - Siena 1549): dissertazione sulla teoria delle influenze e sul
metodo fisiognomico attraverso le botteghe di Padova, Ferrara e Vercelli, Roma, Rosa dei
venti, 2008, p. 155).
SI,
— 60 —
UN AVVIO INQUIETO
pare tradisca tutta la sua distanza dal leonardismo di questa primissima ora beccafumiana. Lo chiariscono bene per contrasto i panni
taglienti dell’Adorazione Feigen, calibrata alla lettera sul motivo
della Vergine inginocchiata che adora il Bambino con le braccia
aperte, messo a punto da Leonardo in un autografo perduto - attestato da una serie nutrita di repliche, come quella di Palazzo Pitti
assegnata in tempi recenti a Ferdinando Llanos 16 - in cui decantano
le riflessioni e gli studi dei fogli di Windsor 12560 e del Metropolitan Museum di New York 17.142.1 approntati per la Vergine delle
rocce17, i cui echi si possono cogliere anche nella mano dal palmo
aperto di Giuseppe.
Guardando a queste premesse e alle inquietudini espressive del
Beccafumi più noto, si rimane spiazzati dall’immediato seguito del
suo percorso. Le asprezze disegnative ancora presenti nella Giuditta
Chigi si sciolgono presto, stemperandosi nelle due Eroine più mature, che introducono a una nuova breve stagione nel percorso del
pittore, pronto ad accostarsi al classicismo moderato del Perugino18.
E questa svolta non può che sembrare contraddittoria se si pensa
alla distanza che negli stessi anni separa la rilettura zuccherosa e
docile della Vergine delle rocce proposta dal Vannucci nella malconcia Adorazione del Musée des Beaux-Arts di Nancy, come avvistato
a suo tempo dal Cavalcaselle19, e la parafrasi saturnina del foglio
leonardesco svolta nella tavola Feigen.
Eppure in maniera tutt’altro che lineare il Beccafumi si accosterà
in breve tempo proprio alle mollezze esangui del Perugino, smor-
16
Sulla versione fiorentina della Galleria Palatina cfr. da ultimo A. BISCEGLIA in
Norma e capriccio. Spagnoli in Italia agli esordi della “maniera moderna”, catalogo
della mostra a cura di T. Mozzati, A. Natali, Firenze, Giunti, 2013, p. 248, con bibliografia
precedente. A una copia seicentesca pensa invece Andrea De Marchi (cfr. il suo contributo in questa sede) sulla scia del parere A. Conti (in Palazzo Vecchio: committenza
e collezionismo medicei 1527-1610, catalogo della mostra, Firenze, Centro Di, 1980,
p. 301, cat. 617) che ha proposto di identificare la tavola con la replica di Leonardo di
mano di Valerio Marucelli citata nell’inventario della Tribuna medicea nel 1635.
17
Da ultimo L. SYSON in Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan, catalogo
della mostra a cura di L. Syson, L. Keith, London, National Gallery Co, 2011, pp. 182-183;
C.C. BAMBACH, “Porre le figure disgrossatamente”: gli schizzi di Leonardo e l’immaginazione creativa, in Leonardo da Vinci 1452-1519: il disegno del mondo, catalogo della
mostra a cura di C. Marani, M. T. Florio, Milano, Skira, 2015, pp. 50-52.
18
A. ANGELINI, Una “Santa Agnese cit., pp. 78-79.
19
J. A. CROWE, G. B. CAVALCASELLE, A new History of Painting in Italy from the second
to the sixteenth century, 3, London, Murray, 1866, pp. 225-226. Sul dipinto di Nancy cfr.
P. SCARPELLINI, Perugino, Milano, Electa, 1991 [1984], p. 115.
— 61 —
EMANUELE ZAPPASODI
zando gli entusiasmi della prima ora per Leonardo, attenuati già
nella dolcezza vellutata della Santa Agnese Segni del 1507, realizzata
appena un anno dopo la Crocefissione e Santi licenziata dal Vannucci per Mariano Chigi20. Un ripensamento drastico, apparentemente
insospettabile, che da un lato mette in guardia sul pericolo di voler
ingabbiare entro percorsi lineari, ma costruiti a posteriori, i momenti aurorali di una voce tanto limpida come quella del Beccafumi,
specie in questi anni cruciali per la nascita della maniera moderna, ma dall’altro rivela anche - come negli stessi anni per il Genga
del Martirio di San Sebastiano degli Uffizi, e poco più tardi per
il Pacchia dell’Ascensione del Carmine21 - il fascino ancora intatto
esercitato sulla nuova generazione dal Perugino, «il meglio maestro
d’Italia» stando al giudizio di Agostino Chigi, puntualmente registrato anche dal Vasari22. Attraverso l’esempio peruginesco il Beccafumi raggiunse un momentaneo equilibrio formale, che gli assicurò
uno slancio ulteriore, senza traumi, verso la rapida assimilazione
delle ricerche ben altrimenti moderne condotte negli stessi giorni
da Raffaello e Fra Bartolomeo a Firenze23. Ed è proprio in questa
stagione ulteriore che va collocata la Madonna perugina, che insieme alla tavola Giusti e al tondo di Berlino cade dunque nel periodo
di avvenuto superamento delle fascinazioni peruginesche dispiegate
nella Santa Agnese Segni (1507), in una fase di polemica aperta con
la cultura di Palazzo Petrucci (1508-1509), dominata dalla vecchia
guardia di Pintoricchio e Signorelli24, a cui il giovane Domenico
rispose meditando con maggiore attenzione sulla naturalezza del
20
Sulla Crocefissione e Santi per Sant’Agostino a Siena si veda P. SCARPELLINI, Perugino cit., pp. 112-113; S. FERINO PAGDEN, Die Kirchen von Siena, 1.1, München, Bruckmann,
1985, pp. 64-66.
21
Cfr. F. SRICCHIA SANTORO, in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., p. 258. Sul
Pacchia e il suo debito maturato intorno al 1510 verso il Perugino si veda il profilo di A.
ANGELINI, Girolamo del Pacchia, ivi, pp. 276-279, in particolare 276.
22
G. VASARI, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del
1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, vol.
V, Firenze, S.P.E.S., 1984, p. 165; inoltre l’intervento di Barbara Agosti in questo stesso
volume.
23
A. ANGELINI, Una “Santa Agnese cit., p. 79, e ID., Gli inizi di Beccafumi cit., pp.
29-33.
24
G. AGOSTI, Precisioni su un “Baccanale” perduto del Signorelli, «Prospettiva», 30,
1982, pp. 70-77; G. AGOSTI, V. FARINELLA, Interni senesi “all’antica” cit., pp. 590-591; P.
JACKSON in Siena nel Rinascimento. Arte per la città, catalogo della mostra a cura di L.
Syson, A. Angelini, Cinisello Balsamo, Silvana, 2007, pp. 270-275; M. FAGIANI, Gli ultimi
anni di Pandolfo cit., pp. 66-68.
— 62 —
UN AVVIO INQUIETO
racconto e degli affetti del Raffaello fiorentino e di Fra Bartolomeo,
assumendo un ruolo trainante sugli indirizzi futuri del Genga non
ancora compresi appieno dalla critica25.
Fin dall’intervento della Sricchia Santoro nella mostra beccafumiana del 1990, gli studi hanno riconosciuto la precedenza della
tavola Giusti, che può ben aprire questa terzina26. Qui nel San
Giovannino, dove la stessa Sricchia Santoro aveva additato possibili modelli tratti dall’antico, può riconoscersi, come ha sottolineato Alessandro Angelini, una parafrasi ancora acerba delle pose
sperticate dei bambini della Madonna dei Fusi di Leonardo e della
Madonna Terranuova (Berlino, Gemäldegalerie) dei primi tempi
del Raffaello fiorentino27. Ma la Vergine dal volto in tralice, il corpo
leggermente fuori asse, colto in una torsione accennata, quasi
dissimulata, la mano sospesa a trattenere in punta di dita il librino
d’ore e la stessa intonazione emotiva della scena mi pare rivelino
l’eco puntuale, non ancora rilevata dalla critica, della Madonna
Colonna, licenziata da Raffaello in coda al periodo speso a Firenze28, fotografando così gli interessi del Beccafumi verso il 15091510 (figg. 5-6).
Anche il paesaggio umido e largo, superata definitivamente
l’orografia del Perugino, in parte seguita a Montepulciano, punta
forte ora verso Firenze e presuppone un dialogo per nulla intimorito e sempre più consapevole con Fra Bartolomeo, cui rimandano
25
Il ruolo trainante giocato dal Beccafumi nei confronti del Genga sul crinale del
primo decennio del Cinquecento non è emerso in occasione della mostra del 1990,
nondimeno un rapporto tra l’urbinate e il Maestro delle Eroine era stato intuito acutamente dal Gabriele Fattorini (Alcune questioni di ambito cit., p. 42), che aveva però
invertito i ruoli di forza, suggerendo il primato del primo sul secondo, conseguenza
della datazione al secondo decennio del secolo allora comunemente accolta per le
opere riunite intorno alle tre Eroine, che può ora essere anticipata grazie alla Sant’Agnese Segni di Montepulciano.
26
F. SRICCHIA SANTORO, Domenico Beccafumi 1507-1512, in Domenico Beccafumi e il
suo tempo cit., pp. 72-74. A proposito della tavola Giusti, auspico un pronto intervento
di restauro che la alleggerisca dalle ridipinture, circoscritte ma subdole, che appesantiscono i volti dei protagonisti, specie quello del Battista e la zona intorno al suo pube,
all’inguine e allo scroto.
27
A. ANGELINI, Gli inizi di Beccafumi cit., p. 33.
28
La tavola oggi a Berlino fu un modello fortunato nella Siena di primo Cinquecento, più volte messo a profitto ad esempio dal Brescianino (E. ZAPPASODI, Un Brescianino
ad Anversa, «Paragone», 66, 2015, 119, pp. 41-46). L’opera dalla vicenda critica travagliata
è stata pienamente riabilitata nel catalogo di Raffaello da K. OBERHUBER, Raffaello. L’opera
pittorica, Milano, Electa, 1999, pp. 72-73 e J. MEYER ZUR CAPELLEN, in Raffaello da Firenze a
Roma, catalogo della mostra a cura di A. Coliva, Milano, Skira, 2006, p. 152.
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EMANUELE ZAPPASODI
i fondali più accidentati della tavola fiorentina e della Madonna col
Bambino e San Giovannino di Berlino29.
Nel tondo le figure escono dai due piani paralleli dove erano state
confinate nella tavola Giusti, conquistando lo spazio con una maggiore maturità, disponendosi di tre quarti dinanzi al paesaggio dove fa la
sua comparsa l’albero scheletrito che d’ora in avanti si sostituisce o si
accompagna agli alberi a flabello delle opere precedenti, e che ritornerà costantemente negli sfondi beccafumiani, quasi una firma del
pittore, a partire dal secondo decennio del Cinquecento, dalla splendida Penelope del Seminario Patriarcale di Venezia30 alla Marzia della
National Gallery di Londra, e che a Perugia si dirama nello spazio con
una efficacia particolare grazie ai fendenti vibranti di biacca data a
corpo con una libertà di stesura davvero straordinaria.
Rispetto al tondo, i «sottili storcimenti»31 della tela perugina
sembrano preparare la strada all’umore livido che esploderà definitivamente più tardi nel Trittico della Trinità, licenziato nel 1513
dopo il soggiorno romano (1510-1511), dove il genio visionario del
Beccafumi si accese impetuoso, stimolato dai contatti coi lombardi di nascita o d’adozione attivi nella Roma di Giulio II verso il
1508: il Bramantino, il Sodoma, Cesare da Sesto, attivo col Peruzzi nell’Uccelliera del pontefice, e più tardi Pedro Fernández, il cui
ruolo nell’eccitare la fantasia di Domenico è stato ben sottolineato
da Roberto Bartalini32. Il loro esempio poté favorire il recupero delle
29
F. SRICCHIA SANTORO in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., p. 76.
Cfr. A. BAGNOLI in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., pp. 106-107.
31
A. DE MARCHI, La prospettiva sconvolta cit., p. 89.
32
R. BARTALINI, Domenico Beccafumi 1513-1518, in Domenico Beccafumi e il suo
tempo cit., pp. 85-87. Dell’attività romana di Bramantino, avviata tra il novembre e il
dicembre del 1508 (cfr. R. CARA, Regesto dei documenti, in Bramantino a Milano, catalogo della mostra a cura di G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Milano, Officina Libraria,
2012, p. 310, doc. 64) e terminata entro il primo novembre 1509, rimane oggi la sola
Figura Allegorica riconosciutagli da Arnold Nesselrath (La Stanza d’Eliodoro, in Raffaello nell’appartamento di Giulio II e Leone X, Milano, Electa, 1993, pp. 204-205, 208,
216), sopravvissuta alle demolizioni raffaellesche - già completate verosimilmente nel
1511 - nella Stanza di Eliodoro, integrata nella decorazione eseguita dall’urbinate (cfr.
G. AGOSTI, Bramantino a Milano, in Bramantino a Milano, catalogo della mostra a
cura di G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Milano, Officina Libraria, 2012, pp. 55-56, e M.
NATALE, Bramantino. L’arte nuova del Rinascimento lombardo, catalogo della mostra a
cura di M. Natale, Ginevra-Milano, Skira, 2014, pp. 37-38). Inoltre R. BARTALINI, Giovanni
Antonio Bazzi detto il “Sodoma”, in Da Sodoma a Marco cit., pp. 13-31, in particolare
13-25; ID., Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello,
Roma, Donzelli, 1996, pp. 113-114. Inoltre G. AGOSTI, V. FARINELLA, Qualche difficoltà nella
carriera di Cesare da Sesto, «Prospettiva», 53-56, 1988-1989, pp. 325-333, in particolare
30
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UN AVVIO INQUIETO
simpatie leonardesche giovanili, un ritorno di fiamma su basi più
moderne, che nella tela perugina mi pare affiorare nell’inafferrabilità emotiva della scena che intacca d’inquietudini accennate le
armonie raffaellesche della tavola Giusti e del tondo berlinese. E su
questa linea, un riflesso precoce di simili esperienze può cogliersi
nella fisionomia schiettamente leonardesca di Giovannino - come
mai prima e dopo in Beccafumi - e nell’espressione volutamente
ambigua di Maria, in debito scoperto coi “moti mentali” di Leonardo.
In questo senso mi pare interessante sottolineare che nel dipinto
di Perugia si inaugurano spunti sviluppati con maggiore coerenza
nelle opere successive, fin dalle scelte compositive, che al contempo marcano una discontinuità con la tavola Giusti e col tondo di
Berlino, entrambi orchestrati con il gruppo sacro dinanzi al paesaggio abitato, già affrontato nell’Artemisia Ashburnham. Al contrario,
come sarà più tardi per la Madonna Kress della Pinacoteca Nazionale di Siena, la scena è ambientata in un interno semplice rischiarato
da una luce indeterminata che sembra anticipare, pur blandamente,
gli effetti di luminosità astratta e fluttuante delle predelle del Getty
databili verso il 151233. Gli stessi effetti sono ben testimoniati anche
dal Musico newyorkese, pure costretto in un interno più angusto per il quale è stato evocato un ricordo delle tarsie di Antonio Barili,
già nella cappella del Battista nella cattedrale di Siena, e oggi nella
collegiata di San Quirico d’Orcia - in cui ritorna anche il particolare del limone in primo piano disposto sul davanzale, a Perugia
tranciato traumaticamente per oltre un quarto e per di più in parte
nascosto dalla cornice moderna, che cela l’apice della foglia, l’ombra proiettata sul parapetto e i reverberi della luce sul frutto, registrati con pennellate sottilissime34.
329-330; M. TANZI, Dallo Pseudo Bramantino a Pedro Fernández, in Pedro Fernández da
Murcia (lo Pseudo Bramantino). Un pittore girovago nell’Italia del primo Cinquecento,
catalogo della mostra a cura di M. Tanzi, Milano, Leonardo Arte, 1997, pp. 22-36.
33
Andrea De Marchi (La prospettiva sconvolta cit., pp. 91-92) ha sottolineato con
forza il “gioco metafisico” della luce delle predelle americane (per cui si veda R. BARTALINI in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit., p. 98), vicine al musico newyorkese.
Sul tondo Kress della Pinacoteca Nazionale di Siena cfr. R. LONGI in Il buon secolo della
pittura cit., p. 100, con bibliografia precedente.
34
Come suggerisce Alessandro Angelini, la presenza del frutto in entrambe le opere
potrebbe tradire una loro appartenenza comune, probabilmente Marsili, anche se per
il ritratto newyorkese sembra valida l’interpretazione fornita da De Marchi (La prospettiva sconvolta cit., pp. 91, 94 nota 16) per cui il frutto rappresenta la natura dolceamara
dell’amore, come per il doppio ritratto di Palazzo Venezia di Giorgione. In questo senso
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EMANUELE ZAPPASODI
In questa direzione cronologica sembra spingere, mi pare, anche
il confronto tra la Vergine perugina e il San Galgano del cataletto della Pinacoteca Nazionale di Siena, reso noto da Alessandro
Bagnoli come primizia del Beccafumi. La sua «decisiva virata raffaellesca» sullo scorcio del primo decennio del secolo, «non consente di inserire facilmente il cataletto nel breve tempo che precede
il viaggio romano», come ha sottolineato Alessandro Angelini che
nel catalogo della mostra di Montepulciano, mettendo in valore «le
probabili tangenze con la pittura di Bramantino e di Fernandez»35, ne
ha proposto una datazione di poco inoltrata, intorno al 1511-1512.
Pur nell’effetto del tutto peculiare nell’intero catalogo del pittore di
questa tempera magra, il giovane Galgano, al netto della semplificazione delle forme che ispira quest’opera di tono minore, è davvero
gemello carnale della nostra Vergine, con cui condivide l’espressione immalinconita, ma dolce, del volto, il modo di inchiostrare col
nerofumo le labbra, le narici e il prolabio (figg. 7-8), mentre i riccioli
ramati, elettrici, dei capelli della Vergine, guizzanti e liberi come
quelli del piccolo Gesù e del Giovannino, anticipano i lustri che
appariranno presto nel musico newyorkese, nel Trittico della Trinità
e nella Lucrezia di Oberlin36.
Proprio questi effetti di pittoricismo meno fermo, più mobile e
moderno, mi sembrano incoraggiare verso una cronologia a valle
della tavola Giusti e del tondo di Berlino. Parlano in questa direzione dettagli quali le sclere degli occhi singolarmente schizzate d’azzurro e gli impasti sfumati delle guance paonazze che s’addensano
sulle labbra di San Giovannino, che nella fragranza giovanile delle
carni e nell’espressione sorridente, e nella stessa profilatura sinuosa degli zigomi morbidi, s’accosta da presso al volto di Bambino
disegnato a matita rossa sul recto del foglio 1242 F del Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (figg. 9-10), riferito tradizionalmente al Pacchia e dirottato alla mano del Beccafumi da Marco
Fagiani, che ha giustamente proposto per il disegno una datazione
di poco successiva al tondo berlinese, scorgendovi presagi degli
mi chiedo se il limone perugino non possa essere un’allusione raffinata – non convenzionale e perciò nelle corde di Domenico – al destino del bambino e al suo sacrificio
amaro e dolce per la salvezza dell’uomo.
35
A. ANGELINI in Il buon secolo della pittura cit., pp. 96-97.
36
A. DE MARCHI, La prospettiva sconvolta cit., p. 92; E. ZAPPASODI in Il buon secolo
della pittura cit., pp. 95-96.
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UN AVVIO INQUIETO
angioletti accovacciati sui capitelli delle Stigmate di Santa Caterina
(1514 ca.) e quelli incamottati nel San Paolo in cattedra (1515-16)37.
Del resto, a ben guardare, anche il piccolo Gesù, pur nelle carni
più lustre e nel disegno più incisivo, è un compagno di giochi divertito e credibile dei bambini che compaiono più tardi nel tondo Kress
e nella Madonna Bellanti della Pinacoteca Nazionale di Siena (figg.
11-12), dipinte con la Natività del Museo Civico di Pesaro verso
il 1513-151438, mentre il San Giovannino è un precedente diretto,
prima di tutto umorale, per gli angeli più eccitati e fumosi del Trittico della Trinità, un’opera ben più moderna, ma che pure nelle
pieghe spezzate che animano le vesti abbondanti dei santi degli
scomparti laterali non è lontana dalle increspature che frastagliano il
manto bagnato di Maria e lo sboffo debordante oltre il parapetto del
musico newyorkese (figg. 13-15).
Mi chiedo allora se la tela Carletti Bonucci non sia il frutto ancora acerbo delle sollecitazioni eteroclite della scena romana, percorsa
da esperienze composite presto frustrate dall’affermazione di Raffaello e Michelangelo quali paradigmi imprescindibili e insuperabili
di modernità. Un trait d’union prezioso tra l’attività più nota del
maestro e il primo decennio sperimentale ricostruito non senza fatica in questi ultimi tempi.
37
M. FAGIANI, Gli ultimi anni di Pandolfo cit., p. 72.
La Natività pesarese, riconosciuta al Beccafumi da Luigi Serra (Il riordinamento
della Pinacoteca e del Museo delle Ceramiche di Pesaro, «Bollettino d’Arte», 15, 19211922, pp. 187-190, in particolare p. 188), con le altre due tavole conservate a Siena,
sono state ricondotte da Fiorella Sricchia Santoro (“Ricerche senesi”. 5. Agli inizi del
Beccafumi, «Prospettiva», 30, 1982, pp. 58-65, in particolare 62, 64) entro una cronologia
alta, anteriore al 1513, anche se la vicinanza alle Stigmate di Santa Caterina (1514 ca.)
avvistate tra gli altri da Michele Maccherini (in Domenico Beccafumi e il suo tempo cit.,
pp. 104, 108) consiglia una cronologia subito a seguire il Trittico della Trinità.
38
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EMANUELE ZAPPASODI
1. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino e San
Giovannino, Perugia, Fondazione Orintia Carletti Bonucci
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UN AVVIO INQUIETO
2. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino e San
Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione Orintia Carletti Bonucci
— 69 —
EMANUELE ZAPPASODI
3. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino
e San Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione
Orintia Carletti Bonucci
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UN AVVIO INQUIETO
4. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino
e San Giovannino, (part.), Berlino, Gemäldegalerie
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EMANUELE ZAPPASODI
5. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino
e San Giovannino, Firenze, Collezione privata
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UN AVVIO INQUIETO
6. Raffaello, Madonna col Bambino (Madonna Colonna),
Berlino, Gemäldegalerie
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EMANUELE ZAPPASODI
7. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino
e San Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione Orintia
Carletti Bonucci
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UN AVVIO INQUIETO
8. Domenico Beccafumi, San Galgano, (part.), Siena,
Pinacoteca Nazionale
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EMANUELE ZAPPASODI
9. Domenico Beccafumi, Testa di bambino, (part.), Firenze,
Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi
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UN AVVIO INQUIETO
10. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino e San
Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione Orintia Carletti Bonucci
— 77 —
EMANUELE ZAPPASODI
11. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino e San
Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione Orintia Carletti Bonucci
— 78 —
UN AVVIO INQUIETO
12. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino,
(part.), Siena, Pinacoteca Nazionale
— 79 —
EMANUELE ZAPPASODI
13. Domenico Beccafumi, Madonna col Bambino e San
Giovannino, (part.), Perugia, Fondazione Orintia Carletti Bonucci
14. Domenico Beccafumi, Ritratto di Musico, (part.), New York,
collezione privata
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UN AVVIO INQUIETO
15. Domenico Beccafumi, Trittico della Trinità, (part.), Siena,
Pinacoteca Nazionale
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