1
[Versione “preprint” – In pubblicazione in: P. CHIARELLA (a cura di),
Narrazioni del diritto, musica ed arti tra modernità e postmodernità. A partire
dall’VIII Convegno Nazionale della Italian Society for Law and Literature
(ISLL), Catanzaro, 28 e 29 giugno 2018, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
2020, pp. 443-454 – ISBN: 978-88-495-4200-4]
FRANCESCO ROTIROTI
Enea, Turno e il fascismo: riflessioni in margine al gruppo
scultoreo di Giuseppe Menozzi
Sommario: 1. Un monumento per Virgilio a Mantova. – 2. Enea e Turno.
– 3. Virgilio e l’imperialismo fascista (1923-1927). – 4. Virgilio e
Menozzi. – 5. L’interpretazione fascista nel contesto della storia della
recezione di Virgilio. – 6. Il vero Enea.
1. Un monumento per Virgilio a Mantova
Il 21 aprile 1927, nella Piazza Virgiliana della città di
Mantova, era inaugurato un complesso monumentale dedicato al
poeta di Andes; i lavori erano stati completati nel 1926, dopo che,
nel 1923, l’amministrazione comunale fascista ebbe preso in
mano un piano realizzativo che si trascinava dal 1877. Tanto la
progettazione quanto la direzione dei lavori erano state affidate
all’architetto ed ex senatore del Regno Luca Beltrami, al quale si
1
deve anche la scelta degli scultori per la realizzazione dei tre
gruppi che adornano il complesso1. Incaricato delle sculture fu
dapprima il milanese Emilio Quadrelli, il quale venne però a
mancare nel maggio del 1925, dopo aver provveduto
all’ideazione e alla modellazione in gesso della grande statua
bronzea del poeta, nonché alla predisposizione di due bozzetti
sommari
degli
altri
due
gruppi,
intesi
a
raffigurare,
rispettivamente, la poesia eroica e quella pastorale2. Per la
realizzazione di questi ultimi fu dunque indetto un concorso per
il quale pervennero sei bozzetti, due di mano del casalese Carlo
Cerati3 e quattro del mantovano Giuseppe Menozzi4, nessuno dei
quali però soddisfece i promotori. Nondimeno il Beltrami,
giudicando promettente il richiamo del Menozzi al bozzetto
1
Per la storia del progetto cfr. A. BADALOTTI et al., A Virgilio la Patria,
Mantova, 1927, 82-186; E. FACCIOLI, Mantova. Le Lettere, vol. 1, Mantova,
1959, 259-304; R. NAVARRINI, “A Virgilio la Patria. Storia del Comitato per
l’erezione di un monumento a Virgilio”, Postumia, 18/1, 2007, 51-79; N.
MARCHIONI, “Un progetto e un monumento per Virgilio a Mantova: dal lucus
di Giacomo Boni alla Piazza Virgiliana”, in Virgilio. Volti e immagini del
poeta, a cura di V. FARINELLA, Milano, 2011, 93-101.
2
Cfr. BADALOTTI et al., op. cit., 134-135, 145-148.
3
Cfr. C. CERATI, “Carlo Cerati a Mantova”, in Il furore e la grazia. Carlo
Cerati scultore. 1865-1948, a cura di EAD., V. ROSA, Casalmaggiore, 2001,
79-81.
4
Cfr. R. SIGNORINI, “Quattro bozzetti di Giuseppe Menozzi per il monumento
a Virgilio di Piazza Virgiliana (1926)”, Postumia, 18/1, 2007, 97-103;
MARCHIONI, op. cit., 94-99.
2
pastorale del Quadrelli, concluse che l’incarico potesse essere
affidato proprio al giovane mantovano, all’epoca trentenne,
«qualora si renda maggiormente conto delle esigenze cui debbono
soddisfare i due gruppi»5. È forse vero, come si è scritto, che
queste parole già tradiscano «l’intenzione del senatore di guidare
la mano dello scultore nella realizzazione di un’opera che doveva
finire col coincidere esattamente con le sue stesse aspettative»6.
2. Enea e Turno
Alto circa tre metri, il gruppo intitolato alla poesia eroica
ritrae due guerrieri nei quali sono riconoscibili Enea e Turno
all’esito del duello che conclude il maggiore dei poemi virgiliani.
Turno giace a terra sconfitto: le gambe s’incrociano in una posa
scomposta, mentre il busto, sollevato dal suolo, appoggia il
proprio peso sull’avambraccio sinistro, sotto il quale è lo scudo,
immobilizzato dalla massa inerte del guerriero; il capo è reclinato
sul lato sinistro; le palpebre sono abbassate; il volto, solcato da
rughe vistose e profonde, appare abbattuto, avvilito, sconfitto.
Enea è in piedi, in una posa statica, col piede sinistro che
calca l’addome dell’avversario; la posa enfatizza la muscolatura
della gamba di Enea, la quale sporge verso il margine frontale
5
Da una lettera del Beltrami, citata in BADALOTTI et al., op. cit., 149.
6
MARCHIONI, op. cit., 95.
3
dello spazio scultoreo, sovrastando e sopravanzando il volto
dimesso del nemico; l’avambraccio sinistro dell’eroe troiano
regge uno scudo rotondo, parzialmente ricoperto dal fitto
drappeggio del mantello, mentre la mano destra era in origine
munita di un’asta. La staticità delle pose e della scena costituisce
la principale differenza rispetto agli originari bozzetti del
Menozzi, nei quali il troiano era ritratto dinamicamente, nell’atto
di trafiggere Turno, com’è invero consueto nelle raffigurazioni
pittoriche del finale del poema.
Di particolare interesse è il volto del troiano, apparendo
ispirato alle fattezze e all’atteggiamento del Duce7, del quale lo
stesso Menozzi avrebbe di lì a poco realizzato un busto,
modellandolo dal vero nel 1927 a Palazzo Chigi8. Il mento
leggermente sollevato, Enea/Mussolini guarda dritto avanti a sé;
la fronte e i sopraccigli sono appena corrugati, la bocca è dritta,
7
Come implicato od osservato anche altrove: R. FABER, “‘Présence de
Virgile’: Seine (pro-)faschistische Rezeption”, Quaderni di storia, 9/18, 1983,
257-258; MARCHIONI, op. cit., 95. Durante il Ventennio, si rammenti, il volto
del Duce divenne l’oggetto d’innumerevoli rappresentazioni, caratterizzate da
una varietà iconografica non comune e dalla molteplicità dei ruoli coi quali
Mussolini era identificato: cfr. G. DI GENOVA, “Iconografia del Duce (19231945). Iconography of the Duce (1923-1945)”, in “L’uomo della
Provvidenza”. Iconografia del Duce 1923-1945, a cura di ID., Bologna, 1997,
15-61.
8
Cfr. E. BOCCOLA, Giuseppe Menozzi. Opera omnia, Mantova, 1964, 41, 60;
Adal. SARTORI, Ar. SARTORI, Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX.
Dizionario biografico, vol. 4, Mantova, 1999, 1882.
4
le guance sono asciutte, il volto è rigido, l’espressione nel suo
complesso è fiera, minacciosa e severa.
Sul piedistallo della statua, infine, è la seguente iscrizione dei
versi virgiliani (Aen. 6.851-853):
Tu regere imperio populos, Romane, memento –
haec tibi erunt artes – pacisque imponere morem.
Parcere subiectis et debellare superbos.
Poiché l’Eneide ha termine col trafiggimento di Turno, i versi
che lo descrivono sarebbero risultati inidonei a commentare una
statua che invece ritrae quelli che possiamo immaginare come
gl’istanti immediatamente successivi; la scelta dei realizzatori
cade dunque su versi emblematici dell’anima imperialista del
poema, che assai congruamente commentano la rappresentazione
di un romano nell’atto di sottomettere il principe di un popolo
nemico. Il monumento intitolato alla poesia eroica dà pertanto
forma scultorea a un’interpretazione imperialista e militarista del
poema, come puntualmente rilevato, fra gli altri, dal seguente
giudizio dell’epoca:
L’artista […] nei due guerrieri forti e dignitosi ha sintetizzato
l’Eneide, il poema epico di Virgilio, che è il poema eroico di Roma,
dell’Impero. Il vincitore, è in piedi, fiero della sua forza e della sua
gloria. Sotto il suo piede sinistro il vinto, avvilito, sfinito, prostrato
[…], mentre il suo avversario, i cui muscoli gagliardi la lotta non
5
ha domo, con la lancia in pugno e lo scudo nell’avambraccio è
pronto a ridar battaglia9.
Il gruppo marmoreo del Menozzi pare insomma idoneo a dar
voce a un’interpretazione essenzialmente fascista di Virgilio e
della sua opera.
3. Virgilio e l’imperialismo fascista (1923-1927)
Nel giugno del 1925, Benito Mussolini lanciava la cosiddetta
battaglia del grano, mettendo in moto una capillare macchina
propagandistica nel cui contesto trovava posto quello che sarebbe
divenuto uno dei principali impieghi fascisti del mito di Virgilio,
reclamizzato come il poeta del ritorno alla terra e della vita
agricola in ragione dei suoi poemi di argomento pastorale e
georgico10.
Ma gli anni del completamento del monumento mantovano
erano anche il tempo delle avventure coloniali. Proprio fra il 1925
e il 1926, il governatore Cesare Maria De Vecchi portava avanti
una violenta e spregiudicata politica di riconquista dell’interno
9
A. GUALTIEROTTI, “Mantova a Virgilio”, La Grande Illustrazione d’Italia,
4/5, 1927, 30.
10
Cfr. J. NELIS, From ancient to modern: the myth of romanità during the
ventennio fascista. The written imprint of Mussolini’s cult of the ‘Third Rome’,
Bruxelles/Roma, 2011, 92-94, 124-125.
6
della Somalia e delle sue regioni settentrionali, arrivando anche a
sconfinare nei territori dell’Etiopia11; nelle colonie libiche della
Tripolitania e della Cirenaica, invece, le operazioni militari
condotte dal nuovo governo fascista avevano già avuto inizio nel
192312. E allorché, fra l’11 e il 15 aprile 1926, il Duce visitava la
Libia, la stampa dell’epoca provvedeva a illustrare l’evento nei
termini ormai consueti della retorica romanizzante, accostando
Mussolini a Scipione che partiva contro Cartagine: «un presagio
è nell’avvenimento? Certo l’Italia è all’inizio di un ciclo
imperiale». La vocazione colonizzatrice, dal canto proprio, era
fatta discendere dalla pretesa attitudine del «legionario romano»,
il quale «recava tra i popoli barbari le leggi dell’Urbe e apriva la
Via Appia, la Casilina, l’Emilia, che erano linee di diffusione
della civiltà latina»; pertanto, col viaggio di Mussolini e con altre
iniziative analoghe, «si inizia, o, più esattamente, si riprende il
ciclo mediterraneo»13.
11
Cfr. A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale, vol. 2, Roma/Bari, 1979,
51-93; M. PANDOLFO, “La Somalia coloniale: una storia ai margini della
memoria italiana”, Diacronie, 14/2, 2013.
12
Cfr. A. DEL BOCA, Gli italiani in Libia, vol. 2, Roma/Bari, 1988, 5 ss.
13
G. POLVERELLI, “Per l’Impero d’Italia. Da Crispi a Mussolini”, La rivista
illustrata del “Popolo d’Italia”, 4/4, 1926, 16-17. Cfr. anche N. DELL’ERBA,
“L’idea di romanità durante il fascismo”, Nuova Storia Contemporanea, 13/6,
2009, 48.
7
Già in quegli anni, dunque, il mito di Roma trovava impiego
in supporto della politica imperialista e coloniale del fascismo14.
Nel 1926, in occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma,
in un discorso significativamente intitolato La missione di Roma
nel mondo, il drammaturgo Federico Valerio Ratti ripercorreva la
plurimillenaria storia della propulsione universalistica dell’Urbe,
concludendo che, con l’azione di Mussolini, del quale era messa
in risalto la nascita «a trenta chilometri dal Rubicone di Cesare»,
fosse stato finalmente rimediato un grave errore, quello «di aver
considerato l’Italia una nazione che avesse per capitale Roma:
mentre si doveva considerare Roma un impero che riavesse per
sua prima provincia l’Italia»15.
E Virgilio? Dopotutto, come ricordavano le pagine de La
rivista
illustrata
del
“Popolo
d’Italia”
in
occasione
dell’inaugurazione del monumento mantovano, la poesia
virgiliana «rispecchia le fasi della ascensione ideale e storica del
popolo romano: – comunità pastorizia alle origini, quindi
repubblica agricola, e infine impero»; ebbene:
14
Sull’impiego fascista del mito di Roma in relazione all’idea dell’impero e al
fondamento delle politiche coloniali esiste una copiosa letteratura che qui, per
esigenze editoriali di spazio, non è possibile richiamare; per alcuni dei
principali riferimenti cfr. il recente J. NELIS, “Imperialismo e mito della
romanità nella Terza Roma Mussoliniana”, Forum Romanum Belgicum, 2012.
15
F.V. RATTI, “La missione di Roma nel mondo”, Capitolium, 2, 1926-1927,
35, 41.
8
Roma sarà madre di prodi e tanto estenderà il suo impero, da
dominare, con le armi, sul mondo, e da uguagliare, con l’anima, il
cielo… Per questo Virgilio è vicino a noi16.
Nel 1927 Virgilio appariva dunque vicino al cuore dell’Italia
fascista in ragione della sua qualità di cantore di quell’impero che
adesso riviveva col regime; la voce sempre attuale del poeta vate
fungeva da ponte ideale per la connessione dell’impero passato
con quello – vagheggiato – del presente. Con un richiamo a
quest’ultimo anche la rivista Emporium suggellava la propria
recensione del monumento mantovano:
Ma in quest’ora, che segna la rinascita spirituale della Patria, anche
un’altra cosa dirà il Poeta dal suo marmoreo piedistallo: egli
ridesterà negli animi l’orgoglio della stirpe, che nei secoli remoti
conquistò il mondo con le armi, che dettò le norme del diritto a
tutte le genti civili, che lasciò tracce del suo genio creatore su tutte
le terre, dove si posarono, raccolto il volo solenne, le aquile di
Roma17.
Le tracce evocate erano quelle che l’antica Roma aveva
lasciato nelle terre verso le quali erano adesso dirette le mire
16
L. CONTARINI, “Il ritorno di Virgilio. ‘L’ombra sua torna ch’era dipartita’”.
La rivista illustrata del “Popolo d’Italia”, 5/5, 1927, 34, 35.
17
G. CRISTOFORI, “Il monumento di Virgilio a Mantova”, Emporium, 65/388,
1927, 268.
9
espansionistiche del regime; siti archeologici come quelli di
Leptis Magna, richiamati nel prosieguo dal Cristofori e
ampiamente reclamizzati dai reportage che apparivano in
abbondanza su periodici del genere de La rivista illustrata del
“Popolo d’Italia”18.
E se le maggiori manifestazioni esteriori dell’infatuazione
fascista per il poeta mantovano si avranno soltanto nel 1930, in
occasione delle celebrazioni per il bimillenario della nascita, il
loro sottotesto ideologico era già teorizzato nel 1923
dall’eminente archeologo e teorico della romanità fascista
Giacomo Boni, che in Virgilio vedeva il poeta della missione
civilizzatrice di Roma e dunque dell’impero:
Dalla veneranda Curia del Senato, assemblea dei Patres,
emanavano gli ordinamenti e le leggi onde l’Italia ha svolto per
venti secoli la sua missione civilizzatrice, e continuerà a svolgerla
per l’avvenire. Sono questi i monumenti più degni di venire
associati con le onoranze dell’altissimo Vate nostro; sono queste le
fonti a cui egli si inspirava nel glorificare le energie dell’italica
stirpe. Rinnovate con l’agricoltura, queste energie, che davano a
18
Sull’uso propagandistico dell’archeologia nella politica coloniale del
fascismo cfr. M. MUNZI, L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella
Tripolitania italiana, Roma, 2001; sul caso specifico della rivista anzidetta cfr.
P. MANFREN, “Archeologia e simboli della ‘romanitas’ nella pubblicistica e
nella grafica fascista: il caso de ‘La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia’
(1923-1943)”, teCLa, 10, 2014, 24-61.
10
Roma l’impero del mondo, basterebbero all’Italia quando gli
Italiani capissero il latino delle Georgiche.
Concludeva, l’archeologo, con l’invocazione di «qualche
novello Ercole roteante la clava, nodisque gravatum robur, sui
discendenti di Cacus, l’insaziabile mostro»19, verosimile
allusione allo stesso Mussolini20, che finiva dunque per essere
identificato anche con quest’altro eroe dell’epopea virgiliana, a
propria volta figura dello stesso Enea.
In conclusione, possiamo dunque osservare come, negli anni
della realizzazione del monumento mantovano, la percezione di
Virgilio come il poeta dell’impero fosse non solo diffusa e
dominante, ma anche fondata su specifici paralleli fra il passato
imperiale di Roma e le attuali conquiste coloniali; era questo il
milieu culturale ed ermeneutico che faceva da sfondo alla
recezione e, di fatto, alla stessa concezione della statua
raffigurante Enea/Mussolini nell’atto di sconfiggere il barbaro
Turno.
19
G. BONI, “Il secondo millenario di Virgilio”, Nuova Antologia, 58/1221,
1923, 213.
20
L’identificazione di Mussolini con Ercole era diffusa, come testimoniano i
documenti iconografici – perlopiù relativi agli anni Trenta – esaminati da V.
FOLLO, “The Power of Images in the Age of Mussolini”, Ph.D. dissert.,
University of Pennsylvania, 2013, 101, 144-158, 199-201.
11
4. Virgilio e Menozzi
Così qualificata l’opera del Menozzi, possiamo a questo
punto chiederci quale ne sia il rapporto con l’opera di Virgilio. A
tal proposito è stato di recente scritto:
Il marmo […] tradisce la profonda umanità di Enea, che un attimo
prima di infliggere la morte a Turno è mostrato da Virgilio eroe
pietoso, pronto a risparmiare il nemico. Ben poco virgiliana,
appare, infatti, l’immagine del guerriero tronfio nella sua posa
statuaria, che umilia il grande nemico poggiando il piede sul suo
ventre, lo sguardo superbo diretto a incontrare il plauso della folla
accorsa nella piazza il giorno dell’inaugurazione21.
Tale
formulazione,
diligentemente
avversa
all’interpretazione fascista, pare tuttavia debitrice di un
preconcetto bilancio delle generiche virtù di Enea, anziché di un
effettivo raffronto fra il marmo e il testo del poema. Infatti,
sebbene la compassione mostrata da Enea nel momento in cui
parrebbe disposto a risparmiare il nemico (Aen. 12.938-941)
contribuisca senz’altro alla caratterizzazione del troiano, il
raffronto fra la scultura e il testo virgiliano non può selettivamente
fermarsi all’apprezzamento di un corso d’azione che Enea
contempla, ma poi non segue; d’altra parte, per dirla con Michael
Putnam, l’esitazione del troiano mostra semmai la possibilità di
21
MARCHIONI, op. cit., 98.
12
un corso d’azione alternativo a quello effettivamente seguito22.
Ebbene, mentre indugia, l’eroe troiano scorge il balteo di Pallante
(12.941-944), precedentemente ucciso da Turno, talché l’ira
prevale infine sulla compassione (12.945-952, nell’edizione di
Roger Mynors):
Ille, oculis postquam saeui monimenta doloris
exuuiasque hausit, furiis accensus et ira
terribilis: ‘tune hinc spoliis indute meorum
eripiare mihi? Pallas te hoc uulnere, Pallas
immolat et poenam scelerato ex sanguine sumit’.
Hoc dicens ferrum aduerso sub pectore condit
feruidus; ast illi soluuntur frigore membra
uitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras.
Ebbene, come già rilevato, la statua del Menozzi raffigura un
frammento della vicenda non contemplato da Virgilio: mentre il
poema si conclude col trafiggimento di Turno, nella scultura
osserviamo il troiano ritto sul corpo dell’avversario già sconfitto.
Ciò premesso, l’interpretazione del Menozzi dev’essere giudicata
del tutto coerente con l’essenza dell’episodio virgiliano: negli
occhi spiritati e gravi di questo Enea di marmo, che non tradisce
alcun sentimento di umanità o compassione per la propria vittima,
è la più appropriata trasposizione del virgiliano furiis accensus et
22
M.C.J. PUTNAM, “The Hesitation of Aeneas” [1984], in ID., Virgil’s Aeneid.
Interpretation and Influence, Chapel Hill/London, 1995, 152-171.
13
ira terribilis. Nel piglio inumano di questa statua non bella, forse
anche guidato dalle direttive del Beltrami, il Menozzi, giovane
scultore allineato col regime fascista, ha saputo visualizzare quel
che realmente accade, al di là di ogni idealizzazione, nel finale
dell’Eneide.
5. L’interpretazione fascista nel contesto della storia della
recezione di Virgilio
Dobbiamo a questo punto fare qualche passo indietro nel
tempo, poiché l’interpretazione imperialista dell’opera di
Virgilio, della quale abbiamo parlato, non costituisce invero una
prerogativa
della
cultura
dell’Italia
fascista.
Nel
suo
fondamentale volume dedicato allo studio del poeta mantovano,
il classicista vittoriano William Young Sellar offre un esempio
eloquente dell’orientamento interpretativo dominante nella
seconda metà del diciannovesimo secolo. Per Sellar, che a
supporto della propria visione cita l’autorità di studiosi – francesi
e inglesi – coevi, l’Eneide è anzitutto il poema dell’impero:
Virgil’s object is to make his readers believe in the mission of
Rome, as appointed by Divine decree, for the ultimate peace and
14
good government of the world […]. The poetry of Virgil cooperated with the policy of the Emperor23.
Questo era l’intendimento dell’opera di Virgilio nel quale,
ancora nei primi decenni del ventesimo secolo, «as a young
Romano-British imperialist», lamentava di essere stato educato lo
scrittore e classicista britannico Robert Graves24.
Nella Germania di quei decenni, come conseguenza della
pervasiva preferenza accordata al mondo ellenico, Virgilio non
godette invece di particolare considerazione25. Un bel volume di
Richard Thomas ha tuttavia mostrato come l’interesse per il poeta
mantovano, in qualche misura presente fra gl’intellettuali
tedeschi del periodo fra le due guerre, fosse comunque fondato
sulla medesima interpretazione imperialista e filoaugustea che
prosperava in Italia e nel Regno Unito26.
Ed è per l’appunto in Germania, durante il secondo
23
W.Y. SELLAR, The Roman Poets of the Augustan Age. Virgil, Oxford, 1877,
80-81. Sulla tipicità ottocentesca dell’interpretazione del Sellar cfr. T.
ZIOLKOWSKI, Virgil and the Moderns, Princeton, 1993, 30-31; nel Settecento
e nel primo Ottocento, perlomeno in America, gli orientamenti sono i
medesimi: cfr. E.A. SCHMIDT, “The Meaning of Vergil’s Aeneid: American
and German Approaches”, Classical World, 94/2, 2001, 158-163.
24
R. GRAVES, “The Virgil Cult”, The Virginia Quarterly Review, 38, 1962, 14;
cfr. ZIOLKOWSKI, op. cit., 99-100.
25
Cfr. ZIOLKOWSKI, op. cit., 76-89.
26
R.F. THOMAS, Virgil and the Augustan Reception, Cambridge, 2001, 222-
255.
15
dopoguerra, che ritroviamo uno dei più significativi esponenti
dell’interpretazione filoaugustea, la classicista tedesca Antonie
Wlosok, che nella propria produzione scientifica, spalmata fra gli
anni Sessanta e Ottanta, ha continuato a proporre la nozione
dell’Eneide come poema inteso a celebrare e legittimare l’impero
di Roma e la politica di Augusto27. Fra i più influenti
rappresentanti anglofoni del medesimo orientamento, per la
seconda metà del ventesimo secolo, possiamo invece considerare
Francis Cairns, autore di un volume significativamente intitolato
Virgil’s Augustan Epic, guidato dall’idea che, nel suo poema
maggiore, Virgilio abbia riflesso e condensato alcuni fra i
principali valori politici sui quali era fondata la Roma di Augusto,
e cioè la nozione del monarca ideale, il motivo della concordia e
della pace, e persino una sorta di patriottismo inclusivo, pronto ad
accogliere lo straniero, divenuto cittadino, nel seno della
Romanitas28.
Sennonché, a partire dagli anni Sessanta, questa diffusa
ermeneutica filoaugustea ha dovuto fare i conti con un nuovo
modo di leggere Virgilio. In un breve articolo del 1963, Adam
Parry suggeriva che nel tessuto dell’Eneide possano infatti
27
Cfr. SCHMIDT, op. cit., 150. È stato anzitutto Richard Faber a mostrare come
l’interpretazione filoaugustea prevalente nella Germania del secondo
dopoguerra costituisca l’immutato proseguimento di orientamenti caratteristici
della Germania di Weimar e del nazionalsocialismo: FABER, op. cit., 248-256;
cfr. anche SCHMIDT, op. cit., 150-154; THOMAS, op. cit., 256-259.
28
F. CAIRNS, Virgil’s Augustan Epic, Cambridge, 1989, 1-128.
16
percepirsi due voci distinte e contrapposte: da un lato, il
messaggio esplicito della propaganda augustea, che fa apparire il
poema come il panegirico della grandezza romana e dell’impresa
politica di Augusto; dall’altro lato, la voce più intima del poeta,
nostalgica dell’innocenza e dei valori perduti, consapevole della
limitatezza delle azioni umane in un mondo che annienta quanti
finiscano per non ritrovarsi dalla parte giusta della storia29.
L’articolo del Parry apre una nuova epoca; studiosi
soprattutto attivi in America come Wendell Clausen, Michael
Putnam, Kenneth Quinn, Ralph Johnson, Richard Thomas – la
cosiddetta ‘scuola di Harvard’ o ‘pessimistica’ – contribuiscono
collettivamente a elaborare una nuova visione dell’Eneide
secondo la quale Virgilio, lungi dal celebrare le glorie di Roma e
di Augusto, abbia invece allestito una rappresentazione cupa e
antiaugustea, che simpatizza coi vinti e non risparmia di
denunciare la violenza e l’ingiustizia dei vincitori, poco incline
alla serena e acritica accettazione di soluzioni politiche come
quelle imposte da Ottaviano30. Per dirla con le parole di un
esponente britannico del medesimo orientamento, «Vergil’s hero
demonstrates the truth […] of imperial ideals, what actually
29
A. PARRY, “The Two Voices of Virgil’s Aeneid”, Arion, 4, 1963, 66-80.
L’interpretazione ha dei precedenti: cfr. THOMAS, op. cit., 272-274.
30
Sulla scuola ‘pessimistica’ cfr. SCHMIDT, op. cit.; THOMAS, op. cit.; G.B.
CONTE, The Poetry of Pathos. Studies in Virgilian Epic, Oxford, 2007, 150169; R. GASKIN, “On being pessimistic about the end of the Aeneid”, Harvard
Studies in Classical Philology, 111, 2020 (in pubblicazione).
17
happens to them in practice […]. The wars that gain empire
involve ugly violence»31.
S’è vero che il filone pessimistico è stato spesso accusato di
modernizzare Virgilio (soprattutto come conseguenza del trauma
collettivo della guerra del Vietnam), il già citato volume del
Thomas ha da tempo dimostrato come anche la recezione
filoaugustea costituisca a propria volta un costrutto politico e
sociologico e, come tale, risulti in ultimo manipolativa del testo
virgiliano32. Un articolo del tedesco Ernst Schmidt, dal canto
proprio, ha specificamente argomentato come l’ostinata
prevalenza
della
recezione
filoaugustea
nella
Germania
postbellica dipenda, in sostanza, dalla tradizionale attitudine
tedesca di fiducia nei confronti dello Stato, ben poco scossa dalla
tragica esperienza del regime nazionalsocialista33.
Quale che sia l’origine di questi due modi di leggere l’Eneide,
un sostanzioso dibattito si è sviluppato proprio intorno alla sua
ultima scena, la succitata rappresentazione dell’uccisione di
Turno, molto scrivendosi nel tentativo di giustificare la condotta
del troiano a fronte delle osservazioni dei ‘pessimisti’. Si è
dunque detto che Enea fosse vincolato a vendicare la morte di
Pallante in ragione di un’obbligazione assunta nei confronti del
padre di questi, Evandro: l’uccisione di Turno, insomma, sarebbe
31
R.O.A.M. LYNE, “Vergil and the Politics of War”, The Classical Quarterly,
33, 1983, 203.
32
THOMAS, op. cit.
33
SCHMIDT, op. cit.
18
imposta dai sacri vincoli della pietas. Si è detto, ancora, che la
vendetta fosse pratica comunemente accettata; che la furia
guerriera costituisse un aspetto tradizionale del costume militare;
che quella di Enea, dopotutto, sia l’ira necessaria e dunque
virtuosa della morale peripatetica ed epicurea; che una cosa siano
le furiae virtuose di Enea e che altra cosa sia il furor empio di
Turno; che l’esecuzione rabbiosa della punizione costituisse
un’obbligazione religiosa e sociale tanto per Virgilio quanto per
il suo pubblico. Si è argomentato, infine, che per il violento re dei
Rutuli non ci fosse posto nel nuovo ordine fondato da Enea e
incentrato sui valori della pietas e dell’humanitas; la sua
uccisione è l’ultimo atto del vecchio mondo ed è in quanto tale
necessaria affinché il nuovo ordine possa essere istituito.
Lasciarlo in vita confidando in un suo quieto ritiro, d’altra parte,
sarebbe stato anche ingenuo34.
6. Il vero Enea
Al di là di ogni possibile giustificazione dell’operato di Enea,
c’è un dato di fatto fondamentale col quale l’interprete deve fare
i conti e al quale ha involontariamente dato voce la statua del
34
Per i riferimenti alle giustificazioni di Enea, nonché alle relative
controargomentazioni, cfr. sopratt. GASKIN, op. cit.; cfr. anche SCHMIDT, op.
cit., 163-168.
19
Menozzi. Il marmo di questi, infatti, sceglie di non dirci del
vincolo fra Enea ed Evandro, delle convenzioni religiose e
militari dei Romani, della distinzione fra furor e furiae, o
dell’esigenza di fondare un nuovo ordine incentrato sui valori
della pietas e dell’humanitas. Certo, la statua avrebbe potuto
trovare il modo di dirci anche tutto questo; in questa direzione
vanno realizzazioni pittoriche tradizionali del genere dell’Enea
vince Turno di Luca Giordano (1634-1705), nel quale è operata
una sintesi dell’ultima scena del poema e delle presunte qualità
morali di Enea, nobile nell’aspetto e nell’espressione del volto e
che, quietamente e con decoro, sorvegliato e legittimato dalla
madre Venere, sullo sfondo di una città in guerra, esita nel
trafiggere Turno.
La statua del Menozzi, invece, costringe l’interprete a
confrontarsi col nudo fatto dell’ultima scena, al quale troppo
spesso non guardano gli ‘ottimisti’ nella ricognizione delle
giustificazioni del troiano; nell’opera del Menozzi possiamo
osservare il vero aspetto del guerriero furiis accensus et ira
terribilis e del suo nemico sconfitto, la cui vita, indignata, se ne
fugge fra le ombre.
Ma l’aspetto più interessante dell’intera questione è forse
proprio la provenienza della statua dallo scalpello di uno scultore
allineato col regime. Se, contenutisticamente, l’Enea del Menozzi
20
può essere per esempio accostato ai Faschistische Ruhmesmale35
di John Heartfield, quest’ultima è opera ferocemente critica della
guerra d’Abissinia, mentre la prima è opera del regime; al
Menozzi, al Beltrami e al Mussolini, nonché al pubblico accorso
nel 1927 in Piazza Virgiliana per l’inaugurazione, la statua
dev’essere parsa rappresentare valori tutt’altro che ripugnanti e
coi quali fosse anzi possibile identificarsi. Ed è questa la ragione
per la quale questo Enea/Mussolini mostra non solo il vero volto
dell’eroe troiano, ma anche quello delle sue giustificazioni; esso
mostra, cioè, in quale genere di contesti ideologici possa darsi una
recezione positiva di un simile monstrum.
Il Cerati, apparentemente inviso al fascismo36, avrebbe certo
potuto regalare a Mantova un Enea bello; dobbiamo ringraziare il
Menozzi e il Beltrami se invece, finalmente, abbiamo il nostro
Enea brutto.
35
Fotomontaggio apparso su AIZ: Das Illustrierte Volksblatt, 15/17, 1936,
272.
36
Cfr. CERATI, op. cit., 78-80.
21