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Il laterizio di tradizione ellenistica tra tardoantico e medioevo nei centri della Sicilia settentrionale Francesco Collura Abstract Nei centri greco-romani della Sicilia centro-settentrionale (area dei Monti Nebrodi) l’uso del laterizio da costruzione si diffuse a partire almeno dalla metà del III secolo a.C. Si trattava di un manufatto tipico dell’isola, di grande modulo e notevole spessore (8-10 cm), che ebbe notevole diffusione nell’edilizia soprattutto laddove mancava localmente buona pietra da costruzione. Le caratteristiche ottimali di questi “mattonacci” (misure 50 x 34 x 8 cm per quelli rettangolari, i più diffusi) e la convenienza a produrli nei siti dove abbondavano le materie prime (cave d’argilla, acqua, legname per alimentare le fornaci) fecero sì che essi venissero impiegati per un lunghissimo arco di tempo e che in queste contrade non si diffondessero i tipici laterizi romani aventi caratteristiche formali del tutto diverse. Presso l’odierna Caronia, antica Calacte, è attestata una produzione di questi mattoni di tipo “siciliano” ancora nel V-VI secolo d.C. con caratteristiche invariate rispetto a quelli ellenistici. Soprattutto a Calacte (Caronia) e Halaesa (Tusa) si osserva l’uso sistematico del laterizio da costruzione fino a tarda età, ma notevoli impieghi, in fasi diverse, sono attestati anche in altri centri di quest’area come Apollonia (S. Fratello), Haluntium (S. Marco d’Alunzio) e Amestratos (Mistretta), in contesti dove in realtà si poteva facilmente attingere a cave di ottima pietra da costruzione ancora oggi sfruttate. Sia le caratteristiche di efficienza nell’edilizia che tendenze di gusto che si affermarono soprattutto nel tardo ellenismo – alto impero, determinarono ovunque la diffusione di questi manufatti, in contesti sia urbani che rurali e in edifici sia pubblici che privati, con usi diversificati e talvolta originali (strutture murarie, pavimentazioni, condotte idriche, vasche, ecc.). Una contrazione nelle produzioni si osserva a partire dal II secolo d.C. contemporaneamente all’abbandono o al ridimensionamento dei diversi centri. Tuttavia, laddove si continuò ad abitare, si inizia ad assistere al riutilizzo di laterizi asportati da costruzioni più antiche ormai dismesse o demolite per essere ricostruite. Tali possono considerarsi i mattoni reimpiegati in strutture di tarda età imperiale a Calacte, Halaesa e Amestratos. Dopo lo spopolamento delle città del tardoantico, avvenuto probabilmente per una concomitanza di eventi negativi (terremoti, crisi economica, forse anomalie climatiche) e lo spostamento di popolazione dalle città alla campagna, chi rimase si trovò a disposizione una notevole quantità di materiali da costruzione da riutilizzare e tra questi i preferiti sembrano essere stati proprio i laterizi. Notevole è il riuso di mattonacci integri per la costruzione di tombe a cassa, nonché ovviamente nelle murature o pavimentazioni di case d’abitazione, che tra tardoantico e altomedioevo appare evidente soprattutto ad Halaesa ma anche nell’odierna Caronia. La produzione di mattoni con caratteristiche formali invariate dall’età ellenistica nel corso dell’età imperiale è prova del grande successo che questi manufatti ebbero nei centri d’altura di area nebroidea, nonché di un certo radicamento alle tradizioni in un contesto ambientale di per sé periferico rispetto ai principali centri dell’isola, marginalità – ma anche spiccata indipendenza culturale – che si può constatare peraltro in diversi aspetti di vita quotidiana. Tali circostanze non favorirono la diffusione dei tipici mattoni romani, che in realtà in tutta la Sicilia risultano impiegati solo in contesti circoscritti e relativamente più “romanizzati”. A Piano Grilli, un’altura poco a nord dell’odierna San Marco d’Alunzio dove gli abitanti della città greco-romana di Haluntium si stanziarono creando un abitato fortificato in vita dalla tarda età imperiale fino al IX secolo d.C., si osserva l’impiego di mattoni di notevole spessore prodotti localmente in una fase molto avanzata. Si tratta di manufatti generalmente di forma quadrata o rettangolare di medie dimensioni con spessore di 10-12 cm, impiegati in strutture databili in età bizantina, compresa la chiesa. E’ quindi attestata in quest’area una produzione altomedievale di laterizi da costruzione ancora con metodologie formali che richiamano da vicino quelle dell’ellenismo Già in età imperiale si riutilizzano laterizi provenienti da edifici di epoca precedente: nelle strutture portate in luce ad Halaesa e Calacte risultano infatti impiegati mattoni integri o frammentari chiaramente di riuso in strutture abitative databili nel III-IV secolo d.C. In effetti, già in antico risultava una pratica molto economica quella di non buttar via niente di quanto poteva servire a costruire. In quella fase di progressiva decadenza, il reimpiego di laterizi comunque si affiancava a una ancora discreta produzione ex novo di tali manufatti. Nell’entroterra di Caronia (c.da Samperi), in un abitato in vita dal tardoantico all’VIII-IX secolo, sono riutilizzati in sepolture mattoni con bollo asportati da un acquedotto ellenistico che attraversava le campagne circostanti, in uso probabilmente fino ad età imperiale e evidentemente dismesso da tempo (fig. 1). Il fenomeno del riuso del laterizio è complesso e di lunga durata e nei centri di questa parte di Sicilia trova notevole diffusione in età arabo-normanna, perpetuandosi praticamente fino ai giorni nostri. Sia nelle case d’abitazione che in edifici di un certo impegno come castelli, fortificazioni o chiese, nei nuovi insediamenti medievali i laterizi di età classica trovarono un utilizzo pressoché sistematico, anche in spezzoni ormai deteriorati. Ma è soprattutto in alcuni complessi di grande importanza comunitaria come i castelli e le chiese che si osserva un uso così notevole di mattonacci che sorge il dubbio che, in alcuni casi, questi siano stati prodotti ex novo, con le stesse caratteristiche formali ben note da molti secoli. Nel castello di Caronia (fig. 2) e nella chiesa dei Tre Santi (fig. 3) costruita nel sito dell’antica Apollonia (Monte Vecchio di S. Fratello), costruiti entrambi nel XII secolo, si osserva infatti un impiego considerevole di laterizi integri o appositamente spezzati. Soprattutto nel secondo sito, dove la città classica venne abbandonata agli inizi del I secolo d.C. per essere brevemente rioccupato nel XII secolo, la notevole quantità di mattoni non solo nelle murature della chiesa ma anche tra i materiali di superficie contrasta con la constatazione dello scarso impiego di questi manufatti nelle strutture ellenistiche portate in luce da scavi, costruite esclusivamente in pietra. E’ molto probabile che in quell’abitato medievale dalla breve vita (fu abbandonato già prima della fine del XII secolo con spostamento della popolazione presso l’odierna S. Fratello) fossero attive fornaci per la produzione di tegole e, occasionalmente e per specifiche commesse, anche di mattoni. La stessa ipotesi si potrebbe fare anche nel caso del castello di Caronia, dove, tra gli altri, le architetture della locale cappella sono realizzate interamente con mattoni. In ogni caso, nei centri siciliani medievali e moderni sorti sui resti di quelli greco-romani, risulta largamente diffusa l’usanza del reimpiego di materiali antichi soprattutto per ragioni di convenienza economica e di tempo. Se essa appare giustificata quando si tratta di buona pietra durevole, il fatto che praticamente non si buttò via alcun mattone antico dissotterrato conferma la grandissima versatilità senza tempo e i pregi di questo manufatto da costruzione. Fig. 1. Mattone ellenistico con bollo riutilizzato in una sepoltura di epoca bizantina nell’entroterra di Caronia; Fig. 2. Riutilizzo di mattoni di epoca classica nel Castello di Caronia; Fig. 3. Strutture absidate in mattoni di riutilizzo o di nuova produzione nella chiesa medievale dei Tre Santi a Monte Vecchio di S. Fratello.