IPSOA
Danno
e responsabilità
Bimestrale di responsabilità civile e assicurazioni
1/2019
ISSN 1125-8918 - ANNO XXIV - Direzione e redazione - Via dei Missaglia, n. 97 - 20142 Milano (MI)
Micropermanenti e accertamento strumentale
Diritti omogenei e potenziamento
della class action
Teconologie abilitanti ed evoluzione
del rapporto tecnologia/diritto
DIREZIONE SCIENTIFICA
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TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO
edicolaprofessionale.com/dannresp
Vincenzo Carbone
Massimo Franzoni
Pier Giuseppe Monateri
Roberto Pardolesi
Giulio Ponzanelli
GDPR E NORMATIVA
PRIVACY
COMMENTARIO
COMMENTARIO
BREVE
AL CODICE CIVILE
a cura di G.M. RICCO, G. SCORZA, E. BELISARIO
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3/13/2019 10:34:04 PM
Giurisprudenza
Responsabilità civile
Clausola di esonero
Cassazione Civile, Sez. III, 12 luglio 2018, n. 18338 - Pres. Vivaldi - Est. Olivieri - M.M. c. Sicuritalia
S.p.a.
È nulla la clausola penale con la quale la responsabilità del debitore è limitata al pagamento di una somma irrisoria
(nella specie, è stata dichiarata nulla, per violazione del divieto di limitazione della responsabilità per dolo o colpa
grave, la penale, corrispondente alla rata pattuita per una mensilità del servizio, a carico di un istituto di vigilanza
per il caso di furto nei locali del vigilato).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. 20 giugno 2014, n. 14084; Cass. 28 luglio 1997, n. 7061; Cass. 10 luglio 1996, n. 6298; Trib. Teramo 31
marzo 1992.
Difforme
Non si rinvengono precedenti negli esatti termini.
La Corte (omissis).
Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt.
112, 329 e 342 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Sostiene la ricorrente che la statuizione del primo giudice in
ordine al quantum, liquidato con criterio equitativo puro,
non aveva costituito oggetto di specifico motivo di gravame
da parte dell’appellante società di vigilanza, e dunque doveva
ritenersi passata in giudicato interno, con conseguente illegittimità della pronuncia del secondo giudice che aveva
ritenuto non provato il danno, riconoscendo dovuta soltanto
la somma prevista nella clausola penale.
Il motivo è infondato.
Dalle conclusioni dell’atto di appello, trascritte alla pag. 56 del ricorso per cassazione, risulta che la società di
vigilanza aveva impugnato la decisione di “prime cure”
in relazione a tutti i capi di sentenza, avendo richiesto al
Giudice di secondo grado di “rigettare tutte le domande ex
adverso formulate, poichè infondate in fatto e diritto” e di
“condannare conseguentemente l’appellata a restituire la
somma pari ad Euro 14.897,00 oltre interessi...”, e soltanto
in via subordinata avendo chiesto di mantenere la liquidazione del danno nei limiti della clausola penale. Pertanto la impugnazione della società di vigilanza ha
investito “in toto” la decisione di prime cure, non trovando, quindi, conferma la censura per “error in procedendo” nella parte di atto trascritto nel ricorso. Laddove se
la parte ricorrente avesse, invece, inteso criticare la decisione impugnata per non aver valutata la aspecificità dei
motivi di gravame, come illustrati nell’atto di appello in
punto di liquidazione del “quantum”, ovvero avesse inteso
dedurre che la impugnazione da parte di Sicuritalia s.p.a.
era rivolta esclusivamente alla statuizione che accertava la
responsabilità per inadempimento contrattuale, bene
avrebbe allora dovuto assolvere compiutamente al prescritto requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.,
comma 1, nn. 4 e 6, atteso che il vizio di ultrapetizione,
per violazione dell’art. 112 c.p.c., non deve essere soltanto
allegato ma, trattandosi di nullità non rilevabile “ex officio”, deve essere formulato in modo da dare contezza alla
Danno e responsabilità 1/2019
Corte -che in tal caso è anche giudice del fatto - di tutti gli
elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui si richiede il riesame e, quindi, affinché il
motivo sia ammissibile deve contenere, per il principio di
specificità, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad
individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004; id. Sez. U,
Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 1 -, Sentenza
n. 2771 del 02/02/2017).
Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art.
1229 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c., e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, in relazione all’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 4.
I motivi contestano la decisione della Corte territoriale
nella parte in cui ha ritenuto tardiva la eccezione di nullità
della clausola penale - in quanto asseritamente nulla per
violazione dell’art. 1229 c.c. - che era stata proposta nella
comparsa conclusionale di primo grado e riproposta nella
comparsa di costituzione in grado di appello, atteso che
tale nullità era comunque rilevabile “ex officio”.
La prima parte della censura (secondo motivo) e la censura
dedotta con il terzo motivo sono inammissibili in quanto si
contesta un vizio di “error in procedendo” che non ha
prodotto alcun pregiudizio al diritto di difesa della parte.
La Corte territoriale, pur essendo incorsa in errore,
avendo ritenuto applicabili le preclusioni relative alla
definizione del “thema decidendum” formatesi al termine della fase di trattazione della causa ex art. 183
c.p.c., ed avendo rilevato la inammissibilità per tardività
della eccezione di nullità della clausola (in quanto formulata soltanto in sede di memoria conclusionale illustrativa depositata ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., e
non proponibile in grado di appello, incontrando il
divieto dell’art. 345 c.p.c., comma 2), non considerando,
invece, che al Giudice è sempre consentito il rilievo “ex
officio” di una nullità negoziale - sotto qualsiasi profilo ed
anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di
protezione” - in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale
(adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la
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Giurisprudenza
Responsabilità civile
diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso
normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa
dimensione della nullità contrattuale (cfr. Corte Cass.
Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014; id. Sez. 3,
Sentenza n. 12996 del 23/06/2016; id. Sez. 2 -, Sentenza
n. 27516 del 30/12/2016), è venuta, infatti, poi ad esaminare nel merito la questione della invalidità della
clausola penale ex art. 1382 c.c., prospettata in termini
di elusione del divieto di limitazione preventiva di
responsabilità “ex contractu” anche nei casi di dolo o
colpa grave ex art. 1229 c.c., comma 1, pervenendo ad
escludere il vizio di nullità, in quanto la tesi difensiva
della M. “si appalesava priva di agganci letterali e/o
normativi”, ed inoltre la pattuizione preventiva, volta
a limitare il “quantum” risarcibile, si giustificava nell’interesse comune delle parti, da un lato sussistendo una
obiettiva proporzionalità tra la misura del “quantum” e
l’importo particolarmente modesto del corrispettivo del
servizio, dall’altro evidenziandosi la comune esigenza
delle parti contraenti di evitare preventivamente eventuali discussioni e contestazioni in caso di inadempimento attesa la difficoltà di “identificare gli effetti
dell’eventuale furto”.
Fondato deve ritenersi invece il secondo motivo con il
quale si impugna l’errore di diritto commesso dalla Corte
d’appello nella mancata applicazione alla fattispecie concreta dell’art. 1229 c.c.
Questa Corte ha infatti precisato che la irrisorietà del
risarcimento del danno pattuito preventivamente sotto
forma di clausola penale viene a costituire elemento sintomatico dell’aggiramento del divieto di limitazione di
responsabilità stabilito dall’art. 1229 c.c., comma 1,
(cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7061 del 28/07/
1997, richiamata dalla ricorrente. Ma Vedi anche Corte
Cass. Sez. 3 Sentenza 20.6.2014 n. 14084).
Nella specie la clausola contrattuale disponeva che “L’Istituto non presta alcuna garanzia nè si assume alcune
responsabilità per eventuali furti, danni ed in genere pregiudizi subiti dall’Utente... Nel caso di comprovato inadempimento nell’esecuzione del servizio e di comprovata
riferibilità dei danni a tale inadempimento, l’istituto sarà
tenuto unicamente a versare all’Utente, a titolo di penale
fissa, una somma pari ad una mensilità del canone in corso. È
esclusa pertanto ogni risarcibilità di eventuale danno ulteriore subito dall’Utente”. Orbene dalla lettura della clausola
emerge inequivocamente che, non soltanto viene delimitato
quantitativamente l’ammontare del danno patrimoniale
risarcibile, cagionato dal mancato od inesatto adempimento
della prestazione di vigilanza, ma nella parte in cui la clausola
prevede che “l’Istituto non assume... alcuna responsabilità
per eventuali furti” (dovendo intendersi quindi estesa la
esclusione, in difetto di alcuna diversa indicazione, anche
alle ipotesi di responsabilità per dolo o colpa grave), evidenzia la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi
responsabilità per i danni derivanti da furto con ciò venendo
ad interrompere proprio il nesso funzionale - sul quale è
fondato l’interesse dedotto in contratto del committente - tra
la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della
commissione di furti ai danni del cliente.
Così formulata, nella combinazione di entrambi gli elementi indicati (quello sintomatico della limitazione del
danno risarcibile ad importo del tutto irrisorio rispetto dal
danno patrimoniale verificatosi; quello della estensione
della limitazione dalla misura del “quantum” alla integrale
responsabilità per inadempimento ex artt. 1218 e 1229
c.c.), la clausola in questione deve ritenersi inficiata dal
vizio di nullità per violazione della norma imperativa di cui
all’art. 1229 c.c., comma 1.
In conseguenza il ricorso trova accoglimento quanto al
secondo motivo (infondati gli altri motivi), la sentenza
impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con
rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in altra
composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio,
nonché a liquidare anche le spese del giudizio di
legittimità.
(Omissis).
Servizio di vigilanza e clausola penale irrisoria
di Valerio Brizzolari
La Cassazione si pronuncia sulla nullità della penale mediante la quale un istituto di vigilanza ha limitato
la propria responsabilità, per il caso di furto presso il vigilato, a una somma corrispondente a una
mensilità del servizio. Il provvedimento ravvisa una violazione del divieto posto dall’art. 1229 c.c.,
poiché la clausola controversa avrebbe fissato il quantum risarcibile, per l’eventualità di un inadempimento da parte del vigilante, a un ammontare irrisorio (circa quarantotto euro), se paragonato al danno
effettivamente prodottosi in seguito all’effrazione. Il contributo illustra alcuni profili non del tutto
condivisibili dell’attuale orientamento in tema di responsabilità del vigilante e ripercorre brevemente
il rapporto tra clausole di esclusione della responsabilità e delimitazione dell’oggetto del contratto.
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Danno e responsabilità 1/2019
Giurisprudenza
Responsabilità civile
Il caso
La Suprema corte torna a occuparsi del rapporto tra
limitazione convenzionale del danno, sotto forma di
clausola penale (nella specie ritenuta di ammontare
irrisorio), e divieto di escludere o limitare preventivamente ex art. 1229 c.c. la responsabilità del debitore. Al fine di una migliore comprensione della
questione, conviene ricostruire brevemente il fatto
che ha dato origine alla controversia.
La titolare di una tabaccheria sottoscrive un contratto con un’impresa di vigilanza, nel quale quest’ultima si impegna a ispezionare il locale commerciale
qualora riceva una segnalazione di effrazione e presumibilmente, anche se non si evince con assoluta
certezza dal provvedimento - a controllare il medesimo mediante sopralluoghi scaglionati nel tempo.
Sennonché, viene commesso da ignoti un furto ai
danni della tabaccheria e la predetta società, nonostante i segni di intrusione visibili dall’esterno, non
procede all’ispezione dell’esercizio commerciale. In
appello, la responsabilità dell’istituto di vigilanza
viene riconosciuta, ma limitatamente all’ammontare
pattuito al momento della stipula dell’accordo
mediante una penale, il cui importo era fissato in
euro quarantotto circa, corrispondenti a una mensilità del servizio. La titolare dell’esercizio commerciale
ricorre in Cassazione - ottenendo ragione - per
lamentare la nullità della pattuizione così formulata,
in quanto, a suo dire, contrastante con l’art. 1229 c.c.,
che vieta la preventiva esclusione della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
La decisione della corte nel panorama
giurisprudenziale
Prima di formulare alcune osservazioni sulla decisione in analisi, è opportuno ricordare che il provvedimento in esame ha ravvisato una violazione
dell’art. 1229 c.c., perpetrata mediante la pattuizione
di una clausola penale dall’ammontare estremamente
ridotto rispetto al danno patrimoniale verificatosi in
seguito al furto (quantificato, va da sé, sulla base di
una valutazione ex post). Più nello specifico, ha
(1) Si veda, ad esempio, Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, in Giur. it.,
1998, 1573 ss., con osservazioni di Matta, secondo cui è nulla, in
quanto volta ad escludere la responsabilità del debitore per dolo o
colpa grave, la clausola contrattuale con cui la società tenuta ad
assicurare il servizio di vigilanza notturna di un esercizio commerciale sia esonerata da responsabilità per furti, danni o altri sinistri.
Nella giurisprudenza di merito, negli stessi termini, si segnala Trib.
Teramo 31 marzo 1992, in Giur. mer., 1993, 633, la quale ha
stabilito che, in forza del disposto di cui all’art. 1229 c.c., la società
tenuta per contratto ad assicurare il servizio di vigilanza notturna di
Danno e responsabilità 1/2019
affermato la Cassazione che una siffatta pattuizione
evidenzia la volontà della società di vigilanza di
sottrarsi a qualsivoglia responsabilità per danni,
“con ciò venendo a interrompere proprio il nesso
funzionale - sul quale è fondato l’interesse dedotto
in contratto del committente - tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione
di furti ai danni del cliente”. In altri termini, il
Supremo collegio ha (ri)qualificato la penale irrisoria
come una clausola di esclusione della responsabilità,
affetta da nullità in virtù dell’art. 1229 c.c., in quanto
riferita indistintamente a qualunque tipo di inadempimento, dunque anche a quello per dolo o colpa
grave.
Occorre avvertire subito che - di là dalla condivisibilità o meno della sua trama argomentativa - la
sentenza in esame si pone in linea con altri precedenti
e va dunque a confermare un indirizzo costante,
invero decisamente severo nei confronti degli istituti
di vigilanza (in linea con quanto accaduto, mutatis
mutandis, per le banche nella nota questione dei furti
in cassette di sicurezza). Le pronunce reperibili sul
tema, difatti, riguardano spesso la medesima fattispecie, ovvero il furto perpetrato ai danni di coloro che
avevano sottoscritto un contratto comprendente
sopralluoghi scaglionati nel tempo, nonché l’intervento in caso d’allarme.
La giurisprudenza ha avuto modo di affrontare la
questione da più prospettive. Per quanto concerne
le clausole di limitazione della responsabilità, esse
sono sempre interpretate, a quanto consta, come
una violazione dei patti sull’esclusione della
responsabilità per dolo o colpa grave, con conseguente loro nullità ex art. 1229 c.c. (1). Dal
versante, invece, della condotta dell’obbligato,
in genere, l’omesso intervento, in seguito all’attivazione dell’allarme, da parte dell’istituto che ha
assunto l’obbligo di vigilanza sull’immobile altrui
(proprio come accaduto nella fattispecie), è ritenuto fonte di responsabilità verso chi ha patito gli
effetti di tale omissione, ossia il furto (2). Quest’ultimo caso consente di anticipare un profilo
che verrà analizzato nel prosieguo, ossia quello
relativo al nesso di causalità. Si deve infatti
un esercizio commerciale non può opporre alla società assicuratrice, che agisce in via surrogatoria per ripetere l’indennità pagata
per il furto subito dall’assicurato, la clausola penale limitativa della
responsabilità per negligenza nell’esecuzione del servizio, qualora
si versi in ipotesi di colpa grave.
(2) Così, recentemente, Cass. 20 giugno 2014, n. 14084, in
Foro it., Le banche dati, archivio Cass. civ., anch’essa relativa a un
caso in cui era stata pattuita una penale per l’eventualità dell’inadempimento del vigilante.
81
Giurisprudenza
Responsabilità civile
segnalare che talvolta l’istituto non è stato ritenuto responsabile proprio in virtù della mancanza
del nesso eziologico, poiché il solo fatto che non
risulti provata l’effettuazione di uno dei sopralluoghi concordati non è automatico indice della
riconducibilità del danno all’inadempimento (3).
Ad ogni modo, il provvedimento in esame si pronuncia sulla clausola, piuttosto frequente nelle condizioni generali di contratto praticate dalle delle
imprese di vigilanza, che esonera il vigilante dalla
responsabilità degli eventuali danni per furto,
almeno quando si tratta di un servizio che non comprende un controllo permanente dei luoghi, bensì
solo ispezioni programmate nel tempo. Come si avrà
modo di vedere nel prosieguo, il caso del vigilante
inadempiente che ha limitato il quantum risarcibile a
una determinata somma non è altro che un’applicazione specifica di un principio generale elaborato
(non solo) dalla giurisprudenza in relazione al rapporto tra gli artt. 1229 e 1382 c.c., che può essere
sintetizzato grossolanamente come segue: la penale
non può consistere in un espediente volto ad aggirare
il divieto di preventiva limitazione della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave (4).
Anche se la sentenza in esame appare conforme, sotto
tutti i punti di vista, ai precedenti suddetti, qualche
dubbio può porsi sulla correttezza ed equità della
decisione, sol che si pensi alla “sproporzione” tra la
rata percepita mensilmente dall’istituto di vigilanza
(meno di cinquanta euro) e il danno che probabilmente quest’ultimo sarà chiamato a risarcire (quasi
quindicimila euro). Ci si potrebbe domandare, ad
esempio, se per un canone obiettivamente modesto,
come quello percepito dall’operatore in questione, sia
dato trovare qualcuno disposto ad assumere l’obbligo
di impedire i furti presso un esercizio commerciale. La
risposta, evidentemente, sarebbe in senso negativo,
(3) Come deciso da Cass. 9 gennaio 1984, n. 142, in Rep. Foro
it., 1984, voce Obbligazioni in genere, n. 39, secondo cui, in base ai
principi generali che regolano la responsabilità contrattuale,
occorre l’ulteriore requisito del nesso causale fra inadempimento
e danno, il quale postula il riscontro della idoneità del suddetto
controllo, ove non omesso, a sventare l’azione delittuosa, in
relazione ai tempi in cui essa è stata commessa. Il principio
stabilito in questa pronuncia è stato recentemente ripreso nella
giurisprudenza di merito da Trib. Massa 23 novembre 2016, in
banca dati DeJure.
(4) In giurisprudenza, v. Cass. 10 luglio 1996, n. 6298, in Giur. it.,
1997, I, 1257, secondo cui la clausola penale, la cui funzione tipica
è quella di liquidare e limitare preventivamente il danno, non può
mai costituire strumento per consentire al debitore di eludere la
sua responsabilità, nel senso che quest’ultimo, pur in presenza
della preventiva determinazione convenzionale del danno risarcibile, è tenuto sempre a rispondere integralmente per dolo o colpa
grave.
82
poiché per tale cifra, se mai, non ci si impegna ad
evitare l’evento “furto”, bensì a svolgere un’attività di
deterrenza.
Il caso di specie, dunque, può costituire l’occasione
per riflettere su alcuni assunti che in giurisprudenza si
tramandano inalterati da tempo, forse senza il dovuto
approfondimento.
Clausola di limitazione della responsabilità,
penale e delimitazione dell’oggetto del
contratto: un confine di difficile definizione
Prescindendo per un momento dal caso sottoposto
alla Cassazione, conviene dar conto brevemente del
rapporto tra le clausole di limitazione della responsabilità e altre figure, atteso che il patto mediante il
quale il debitore limita o esclude l’obbligazione risarcitoria non sempre costituisce indice della sua
volontà di rimettere al proprio (mero) arbitrio
l’adempimento dell’obbligazione (5). Le figure alle
quali si allude sono la clausola penale e gli accordi che
circoscrivono gli obblighi assunti dal soggetto passivo. A prima vista, la distinzione tra i predetti elementi sembrerebbe, almeno in linea di principio,
piuttosto chiara; ma sono necessarie alcune
precisazioni.
Quanto al rapporto tra il pactum ne dolus aut culpa lata
praestetur e la penale, mentre con il primo le parti
delimitano l’ammontare del risarcimento entro un
plafond prestabilito, fermo restando che il responsabile non pagherà comunque più del danno effettivamente prodotto, con la seconda si concorda un
risarcimento à forfait, a prescindere dall’entità del
danno (6). Non è questa la sede per indagare funzione
e finalità delle clausole penale, da un lato, e di
esonero dalla responsabilità (7), dall’altro; ma la
netta distinzione teorica e l’autonomia dell’una
(5) Tra le varie funzioni attribuite al divieto posto dall’art. 1229 c.
c. c’è sicuramente quella di non attribuire al debitore la facoltà di
scegliere se adempiere o non adempiere senza sopportare conseguenza alcuna. Cfr., sul fondamento della disposizione, gli
Autori citati alla nota 7.
(6) La distinzione è chiara in Ponzanelli, Le clausole di esonero
della responsabilità, in Danno e resp., 1998, 860, seguito da
D’Adda, sub Art. 1229, in Commentario del codice civile, diretto
da E. Gabrielli, Torino, 2013, 364.
(7) In argomento, la più completa indagine è senz’altro quella di
F.P. Patti, La determinazione convenzionale del danno, Napoli,
2015. Essendo la bibliografia sul tema sterminata, ci si limiterà a
richiamare gli scritti più autorevoli, nella parte relativa al rapporto
tra gli artt. 1229 e 1382 c.c.: Alpa - Bessone - Zeno-Zencovich,
L’ingiustizia del danno e gli interessi tutelati, in Trattato di diritto
privato, II ed., diretto da P. Rescigno, XIV, Obbligazioni e contratti,
6, Torino, 1995, 321; Cabella Pisu, Le clausole di esonero da
responsabilità, ivi, IX, 1, 288 ss.; Benatti, voce Clausole di esonero
dalla responsabilità, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988,
Danno e responsabilità 1/2019
Giurisprudenza
Responsabilità civile
determinazione degli obblighi dell’assicuratore è
volto a specificare quale rischio egli si assume ed è
perciò essenziale per la validità del contratto, senza
che tale pattuizione escluda o limiti le conseguenze
dell’eventuale inadempimento (10). Altre volte,
invece, la delimitazione dell’impegno assunto dal
soggetto passivo può passare attraverso (o andare a
incidere direttamente su) l’entità delle obbligazioni
indennitarie, oppure sul risarcimento dovuto dall’inadempiente, nel qual caso potrebbe risultare più
ardua la distinzione (11). La vicenda delle cassette
di sicurezza ne è un esempio paradigmatico (12).
Il rapporto tra le figure in discorso, come sommariamente riassunto nei termini che precedono, costituisce un profilo non trascurabile e assume rilievo nel
caso di specie, poiché la penale corrispondente a una
mensilità del servizio potrebbe essere stata pattuita - è
ragionevole presumere, almeno dalla prospettiva dell’obbligato all’adempimento - proprio per specificare
e delineare ulteriormente l’obbligo assunto da quest’ultimo, già risultante dalle altre disposizioni
contrattuali.
dall’altra non devono indurre a ritenere che esse non
siano in qualche modo sovrapponibili, o che le rispettive strade non si incontrino mai, nel senso che,
qualora le parti abbiano predeterminato il danno ex
art. 1382 c.c., non possa assolutamente trovare applicazione l’art. 1229 c.c. Anzi, a ben vedere, quando
l’unica finalità della penale è proprio quella di deresponsabilizzare il debitore per dolo o colpa grave (per
aggirare, dunque, l’art. 1229 c.c.), si deve assumere,
sempre in linea di principio, che trovi applicazione la
disposizione da ultimo richiamata (8). Il nomen iuris
che le parti hanno attribuito alla clausola è irrilevante (9), poiché occorrerà guardare al risultato che
esse hanno voluto concretamente perseguire.
Si diceva, inoltre, che la clausola mediante la quale
il debitore si solleva dalla propria responsabilità, o
comunque la circoscrive entro un certo limite,
potrebbe avere una particolare funzione, vale a
dire quella di specificare ulteriormente la delimitazione dell’oggetto contrattuale e dell’obbligo che
egli assume nei confronti del creditore, a mo’ di
disposizione “di chiusura” dell’accordo. Anche in
questo caso, la distinzione - sempre ragionando in
astratto - non dovrebbe porre problemi. Con il patto
che delimita l’impegno del soggetto passivo si
esclude che una determinata prestazione sia dovuta
da quest’ultimo e perciò nulla viene stabilito in
ordine al regime di responsabilità; con la clausola
limitativa di quest’ultima, invece, le parti pongono,
per dir così, un tetto massimo al risarcimento che il
debitore dovrà per il caso di inadempimento. Il
confine tra queste due pattuizioni risulta talvolta
ben tracciato: si pensi al caso del contratto d’assicurazione, in cui lo scopo della preventiva
Come si accennava, l’obbligo d’impedire il furto è un
servizio - e ciò pare innegabile - che ha ben altro costo
e soprattutto comporta ben altra attività, da parte del
vigilante, rispetto al mero controllo scaglionato nel
tempo.
La Cassazione ravvisa innanzitutto una limitazione
del danno risarcibile a un “importo del tutto irrisorio
rispetto al danno patrimoniale verificatosi”; e la
400; De Nova, voce Clausola penale, ivi, 377; C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, II ed., in Commentario del
codice civile, a cura di A. Scialoja - G. Branca, sub Artt. 1218-1229,
Bologna-Roma, 1979, 482 ss.
(8) Come chiarisce efficacemente D’Adda, sub Art. 1229, cit.,
365, l’eventualità che la penale miri ad aggirare l’art. 1229 c.c. non
elide le diversità strutturali tra le due clausole. Che sia necessario
coordinare gli artt. 1229 e 1382 c.c. è opinione pacifica in dottrina.
Oltre agli Autori citati alla nota precedente, si veda altresì Delogu,
Le modificazioni convenzionali della responsabilità civile, Padova,
2000, 65 ss., spec. 158 ss.;
(9) Cfr. F.P. Patti, La determinazione convenzionale del danno,
cit., 322 ss.
(10) Si veda ad esempio Cass., 15 maggio 2018, in Guida dir.,
2018, 32, 44, secondo cui nel contratto di assicurazione, sono da
considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti
dell’articolo 1341 c.c., quelle che limitano le conseguenze della
colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito.
Attengono diversamente all’oggetto del contratto quelle clausole
che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e,
dunque, specificano il rischio garantito. Le clausole che subordinano l’operatività della garanzia assicurativa all’adozione, da parte
dell’assicurato, di determinate misure di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi la cui omissione, agevolando la produzione
dell’evento oggetto della garanzia (furto, danneggiamento, incendio ecc.), inciderebbero sulle probabilità di verificazione del
rischio; non realizzano una limitazione di responsabilità dell’assicuratore, ma individuano e delimitano l’oggetto stesso del contratto e il rischio dell’assicuratore, da cui consegue fra l’altro la non
necessità della specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’articolo 1341, comma 2, del c.c. Negli stessi termini, Trib. Monza 20
marzo 2014, in Rep. Foro it., 2014, voce Assicurazione (contratto),
n. 71.
(11) Ancora una volta, si veda D’Adda, sub Art. 1229, cit., 366,
per la distinzione tra limitazione della responsabilità e delimitazione dell’oggetto del contratto. In argomento cfr. anche Alpa Bessone - Zeno-Zencovich, L’ingiustizia del danno e gli interessi
tutelati, cit., 327, e Cabella Pisu, Le clausole di esonero da responsabilità, cit., 294 ss.
(12) Secondo un orientamento consolidato della Cassazione,
nel contratto per l’utilizzazione delle cassette di sicurezza sono
nulle le clausole che limitano la responsabilità della banca per il
furto dei valori dei clienti custoditi all’interno delle cassette in
presenza di un comportamento gravemente colposo dell’istituto
di credito; pertanto, la banca è tenuta all’integrale risarcimento del
danno subìto dal cliente, anche oltre il limite di massimale convenuto in contratto. In questi termini, ex multis, Cass. 27 dicembre
2011, n. 28835, in Danno e resp., 2012, 1115, con nota di Santoro.
Danno e responsabilità 1/2019
Obbligo di vigilanza: assunzione
del “rischio” e nesso di causalità
83
Giurisprudenza
Responsabilità civile
a) corrispondenza tra “rischio” e costo del servizio
Un primo dubbio riguarda proprio il criterio per
valutare l’entità della clausola penale, in relazione
all’obbligo assunto dal vigilante: occorre domandarsi
se la penale (modesta) sia da giustificarsi in virtù di un
certo canone (altrettanto modesto) e, soprattutto,
dell’obiettiva difficoltà di determinare anticipatamente l’entità dell’obbligo risarcitorio (13). Trattandosi di circa quarantotto euro, si potrebbe risolvere
sbrigativamente la questione rilevando l’irrisorietà
“obiettiva” di tale somma. Diversamente, si prospettano tre alternative: prendere come riferimento i) il
corrispettivo pattuito (al quale, nel caso in esame, è
stata ancorata la penale stessa), ii) il danno effettivamente verificatori, oppure iii) il danno potenziale
che potrebbe provocare l’inadempimento, secondo
gli elementi a disposizione delle parti al momento
della conclusione dell’accordo. In ogni caso, si ritiene
che non si può prescindere dagli obblighi assunti dal
vigilante, ossia dall’oggetto del contratto. Orbene,
non conoscendo il testo contrattuale, non è dato
ricostruire esattamente il novero degli impegni
assunti dall’istituto, così come non è dato sapere
cosa fosse realmente custodito all’interno della
tabaccheria - bisognerebbe, peraltro, chiedersi se il
vigilato abbia effettivamente edotto il vigilante dei
possibili rischi -, ma si deve convenire, sull’abbrivio
del senso comune, che, normalmente, a un costo
“modesto” del servizio corrisponde l’assunzione di
un (obbligo che comporta un) “rischio” altrettanto
modesto. Da un punto di vista sostanziale, come
efficacemente chiarito da autorevole dottrina, il contratto ha sempre una “valenza assicurativa”, con ciò
intendendosi che la tariffa del servizio è direttamente
proporzionale, appunto, al rischio che il debitore
accetta di correre (14). Vale a dire che - riportando
queste osservazioni alla clausola penale -, se un soggetto accetta di esporsi a una preventiva determinazione del danno piuttosto elevata, egli sta
“assicurando” la controparte in ordine al rischio di
variazione dei suoi costi (15); il discorso può essere
capovolto per la penale dall’ammontare esiguo.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ravvisato un’esclusione della responsabilità anche per dolo o colpa
grave: l’istituto avrebbe voluto sottrarsi a qualunque
responsabilità per l’eventualità del furto. Ebbene,
pare essere proprio questo il nodo della questione,
ovvero stabilire quale sia l’attività cui il vigilante si
obbliga: impedire in ogni modo il delitto, oppure
svolgere un servizio di deterrenza. Se si trattasse
della prima attività, allora si potrebbe concordare
sul fatto che quarantotto euro siano una limitazione
di responsabilità inammissibile, sempre rispetto al
danno presumibile che un eventuale furto potrebbe
provocare (a condizione che - si ribadisce - l’obbligato
sia effettivamente messo a conoscenza del “rischio” al
quale si espone nel momento in cui assume la vigilanza di un certo luogo); ma se si trattasse, invece,
com’è ragionevole presumere, del secondo servizio,
allora non sembrerebbe più sussistere un’ingiusta
limitazione, poiché i controlli scaglionati nel
tempo e l’intervento in caso di segnalazione hanno
una funzione differente, ossia di deterrenza, alla quale
corrisponde un costo decisamente inferiore, senza
contare l’obiettiva difficoltà di valutare ex ante il
possibile danno da inadempimento.
(13) Come si può leggere nel provvedimento in analisi, nella
parte relativa al fatto, la corte d’appello pare aver fondato la sua
decisione proprio su queste due considerazioni, ovvero difficoltà
nel predeterminare il possibile danno e importo ridotto del costo
del servizio.
(14) Il riferimento è alle brevi ma fondamentali (e peraltro
condivisibili) considerazioni di Pardolesi, I rimedi, in Lezioni sul
contratto, Torino, 2009, 117 ss., spec. 127. Un rapido cenno alla
questione si può leggere anche nelle osservazioni di Massa a
Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, cit. Quanto alla possibile riconduzione del servizio di cassette di sicurezza al contratto d’assicurazione, pare prevalere in dottrina la tesi negativa: cfr. PapantiPelletier, voce Cassette di sicurezza, in Enc. dir., agg. II, Milano,
1998, 194, il quale la esclude in virtù del fatto che non trattasi di
contratto aleatorio.
(15) In questi termini, ancora Pardolesi, I rimedi, cit., 127.
motivazione prosegue affermando, come si è già anticipato, che l’esenzione dalle conseguenze di tale
evento “evidenzia la volontà della società di vigilanza
di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni
derivanti da furto con ciò venendo ad interrompere
proprio il nesso funzionale - sul quale è fondato
l’interesse dedotto in contratto del committente tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione
della commissione di furti ai danni del cliente”.
Si deve innanzitutto rilevare che la Corte sembra
aver valutato la penale a carico del vigilante - espressione, in questo caso, della sua responsabilità - in
relazione al danno concretamente prodottosi. Già a
una prima e superficiale analisi, vien fatto di domandarsi se quest’ultimo parametro sia il giusto riferimento in base al quale considerare l’ammontare della
penale stessa, oppure se sia più corretto, ad esempio,
prendere come indice il danno che, al momento della
conclusione del contratto, era prevedibile dalle parti,
oppure ancora il costo del servizio pagato dal vigilato.
Dalle affermazioni della Cassazione appena riportate,
dunque, sorgono spontaneamente alcuni interrogativi, che si possono riassumere nei seguenti termini.
84
Danno e responsabilità 1/2019
Giurisprudenza
Responsabilità civile
Occorre allora stabilire un ordine nelle valutazioni.
Bisogna cioè muovere dalla corretta individuazione
delle obbligazioni assunte dal soggetto passivo e
valutare se la limitazione della responsabilità, magari
sotto forma di clausola penale, sia sproporzionata
rispetto al novero degli obblighi e al danno prevedibile che potrebbe derivare dalla violazione di questi
ultimi. In altri termini, per poter correttamente valutare (l’irrisorietà del)la clausola penale e, di riflesso, la
limitazione della responsabilità, l’indagine dovrebbe
muovere dalla definizione dell’oggetto del contratto
e dalla relativa prevedibilità del danno. La Cassazione, tuttavia, nel caso di specie, dapprima rileva “la
volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni derivanti da furto” - e,
vien fatto di dire, ciò pare assolutamente naturale,
quando ci si impegna a svolgere un’attività di mera
deterrenza -, per poi affermare che tale esclusione
avrebbe interrotto “proprio il nesso funzionale - sul
quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del
committente - tra la corretta esecuzione del servizio e
la prevenzione della commissione di furti ai danni del
cliente”. Tuttavia, delle due l’una: o si tratta di un
servizio di dissuasione o di impedimento del furto.
Alternativa, quest’ultima, che importa evidentemente conseguenze diverse in ordine a tutti i profili
qui trattati. In altra occasione, la Cassazione ha avuto
modo di affermare che le valutazioni in discorso
vanno condotte sul danno prevedibile al momento
della conclusione del contratto e non su quello effettivamente verificatosi (16).
b) nesso di causalità
Dal provvedimento in esame emerge il collegamento
tra il mancato sopralluogo in seguito all’attivazione
dell’allarme e il furto ai danni della tabaccheria.
Questo profilo suscita un ulteriore interrogativo relativo all’imputabilità del danno alla condotta omissiva dell’obbligato. Senza voler scendere nei dettagli
del caso di specie, sia consentito rilevare che non
sempre l’omissione della prestazione pattuita è causa
del danno. Anzi, a ben vedere, potrebbe darsi l’eventualità dello scasso che si verifica tra un sopralluogo e
l’altro, oppure quello perpetrato in modo talmente
veloce da concludersi prima del tempo di reazione
della vigilanza, che deve accorrere sul posto.
(16) In Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, cit. era stato difatti
affermato che, al fine di accertare se una penale, pattuita per
l’ipotesi di inadempimento (o ritardo) della controparte, abbia
consistenza irrisoria, tanto da risolversi, in concreto, nella esclusione o limitazione della responsabilità per i danni da inadempimento, e nella conseguente violazione del divieto posto dall’art.
1229 c.c., l’intento elusivo non può essere desunto dal raffronto
Danno e responsabilità 1/2019
Potrebbe accadere, in altri termini, che, anche laddove vi sia un intervento tempestivo, l’intrusione dei
ladri non sia evitabile. Del resto, parte della giurisprudenza richiamata in esordio ha impostato correttamente il problema, quando ha affermato che il solo
fatto che non risulti provata l’effettuazione di uno dei
sopralluoghi concordati non è automatico indice
della riconducibilità del danno all’inadempimento,
poiché occorre verificare il nesso eziologico (17). In
breve, si tratta di in una valutazione di riferibilità del
danno alla condotta del debitore, sicché non è detto
che il mancato intervento abbia reso possibile la
perpetrazione dell’illecito penale. Illecito - vale la
pena di ribadire - che nei contratti di vigilanza simili a
quello portato all’attenzione della Cassazione il vigilante non si obbliga a impedire ad ogni costo, bensì
solo a scoraggiare.
Conclusioni
L’infelice formulazione della clausola di “deresponsabilizzazione”, evidentemente sbilanciata in toto,
almeno a una prima analisi, in favore dell’istituto
di vigilanza, ha forse indotto la Suprema corte a
ricondurre la penale esigua a uno dei patti vietati
dall’art. 1229 c.c., imposto dalla parte “forte” a quella
“debole”. Tuttavia, prende consistenza la sensazione
che la vexata clausola sia stata estrapolata dal contesto delle altre pattuizioni e valutata individualmente,
senza un’opportuna verifica della sua effettiva funzione. In altri termini, ci si sarebbe potuti domandare
se essa sia stata pensata come disposizione di chiusura
per delimitare definitivamente l’oggetto del contratto, che non era evidentemente quello di impedire
il furto (di qui la mancata assunzione delle conseguenze di quest’ultimo).
La questione sottoposta alla Cassazione, come si
notava, ricorda la vicenda dei furti nelle cassette di
sicurezza. Sebbene con modalità più grossolane e
senza l’ausilio delle norme bancarie uniformi, gli
istituti di vigilanza, per prassi commerciale, si esimono sempre dalla responsabilità per eventuali furti
ai danni del vigilato, o comunque la limitano entro
un importo predeterminato. Le banche, dal canto
loro, avevano dapprima tentato di limitare il valore
massimo del contenuto della cassetta a un importo
tra la misura della penale e l’entità del danno poi, in concreto,
verificatosi, ma (dovendosi ricostruire, in parte qua, la volontà dei
contraenti con riguardo al suo momento genetico) tra la misura
della penale e l’entità presumibile dell’eventuale, futuro danno da
risarcire, ricostruibile secondo una prognosi ex post.
(17) Cfr. retro nt. 3.
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Giurisprudenza
Responsabilità civile
predeterminato, per poi far impegnare il cliente a non
superare tale limite; tentativo che però non ha superato, come noto, il vaglio delle Sezioni unite (18),
essenzialmente sulla base della distinzione tra contratto di cassette di sicurezza e deposito, e della
successiva giurisprudenza (19). Premesso che questi
ultimi contratti hanno ricevuto una disciplina legislativa, mentre quello di sorveglianza no - per cui ci si
muove sempre all’infuori del tipo legale -, il caso delle
cassette di sicurezza ha avuto il pregio di stimolare il
dibattito sul profilo che qui interessa di più, ovvero la
“liceità”, per dir così, della clausola di limitazione del
valore entro il quale la banca - o l’istituto di vigilanza,
se si vuole - risponde. Non è mancato chi, a questo
proposito, ha ravvisato nella delimitazione del valore
un metodo per circoscrivere l’oggetto del contratto: il
patto, proporzionando il canone dovuto all’ammontare del valore immesso in cassetta, limita l’oggetto
del negozio, regolando limiti e condizioni d’uso della
cassetta medesima (20). Taluno, sempre nel tentativo di escludere l’applicazione dell’art. 1229 c.c., ha
poi argomentato che il contratto di cassette di sicurezza avrebbe una funzione in senso lato assicurativa,
per cui, come già notato in precedenza in termini
generali, la banca assume un rischio entro un determinato limite, che può essere innalzato a condizione
che venga pagato un corrispettivo maggiore (21).
Altri contributi dottrinali, poi, hanno recentemente
ipotizzato l’incompatibilità tra gli artt. 1839 e 1229
c.c., sull’assunto che, quando trattasi di responsabilità ex recepto, l’apposizione di un tetto massimo al
risarcimento del danno non integra gli estremi del
patto di limitazione della responsabilità (22). I piani
d’indagine relativi all’inadempimento, all’impossibilità non imputabile e al caso fortuito si sovrappongono quando entrano in gioco fattori che sfuggono al
controllo delle parti - vedasi il furto, anche se prevedibile da un operatore professionale -; ma non è
questa la sede per dirimere l’intricato rapporto tra
queste figure.
Dalla vicenda delle cassette di sicurezza è però possibile trarre qualche spunto. Innanzitutto, almeno sul
profilo del rapporto tra limitazione della responsabilità e oggetto del contratto, la giurisprudenza riserva
un trattamento analogo a istituti bancari e di vigilanza. Ciò, tuttavia, non elimina i dubbi sopra rappresentati sull’attuale orientamento, nel quale si può
annoverare la decisione in analisi. Invero, si può
discutere se la penale sia il mezzo più idoneo per
addivenire all’esatta definizione degli obblighi che
il vigilante assume - penale che, ad ogni modo, nasce
dalla libera contrattazione delle parti -, ma c’è
comunque margine per dubitare della correttezza
della valutazione quando è in gioco l’individuazione
dei parametri in riferimento ai quali apprezzare la
limitazione di responsabilità. È ben vero che l’esiguità
del costo non consente all’obbligato di porre in essere
una prestazione scadente, essendogli richiesta in ogni
caso la dovuta diligenza, ma a tale costo può corrispondere, come efficacemente chiarito sempre in
relazione ai furti nelle cassette di sicurezza, un
“diverso livello assicurativo” (23).
Al di là, tuttavia, di quanto effettivamente verificatosi nella fattispecie sottoposta al vaglio della Cassazione, occorrerebbe una maggiore attenzione da parte
della giurisprudenza al rapporto che intercorre tra la
clausola penale e la delimitazione dell’obbligazione
debitoria, ovvero un maggior approfondimento dell’indagine volta a stabilire tale rapporto. Non è difatti
da escludere a priori la possibilità di una differente
ricostruzione, ovvero la riconduzione della penale tra
gli accordi di delimitazione dell’oggetto del contratto, mediante la quale l’obbligato ha voluto definitivamente circoscrivere il proprio obbligo non
all’impedimento di un determinato evento, bensì
all’attività di scoraggiamento del medesimo.
(18) Cass. 1° luglio 1994, n. 6225, in Foro it., 1994, I, 3422, con
nota di Catalano, secondo cui, atteso che va qualificata come
limitatrice della responsabilità la clausola del contratto del servizio
di cassette di sicurezza, riproducente l’art. 2 delle norme bancarie
uniformi, che pone un limite al valore delle cose che possono
essere custodite nella cassetta, con il conseguente obbligo dell’utente di non conservare cose aventi nel complesso valore
superiore a detto importo, tale clausola è nulla, ai sensi e nei limiti
stabiliti dall’art. 1229, comma 1, c.c.
(19) Ex multis, Cass. 30 settembre 2009, n. 20948, in Rep. Foro
it., 2009, voce Contratti bancari, n. 25.
(20) G.B. Ferri, Tipicità negoziale e interessi meritevoli di tutela
nel contratto di utilizzazione di cassette di sicurezza, in Riv. dir.
comm., 1988, I, 339. Ma v. altresì Rescigno, In tema di responsabilità della banca nel servizio delle cassette di sicurezza, in Banca,
borsa, tit. cred., 1971, I, 267.
(21) Cfr., anche per una sintesi sulle opinioni in argomento,
Scoditti, Autoregolamento e tipo nel contratto di cassetta di
sicurezza. Sulla differenza fra clausola di limitazione del valore e
patto di limitazione della responsabilità della banca, in Giur. it.,
1995, 5 ss. In termini generali, Pardolesi, I rimedi, cit., 126 ss.
(22) Ci si riferisce a Plaia, Ambito operativo dell’art. 1229 c.c. e
responsabilità ex recepto, in Obbl. e contr., 2012, 838, ss.
Secondo l’Autore, nella responsabilità contrattuale per receptum
il piano dell’inadempimento e quello dell’impossibilità imputabile
non sono nettamente distinti, nel senso che l’inadempimento è al
contempo causa di impossibilità, e viceversa.
(23) L’espressione è di Cosentino, Il contratto di servizio delle
cassette di sicurezza: clausola di limitazione della responsabilità
della banca e dichiarazioni di valore, in Foro it., 1990, I, 1292.
L’Autore, richiamandosi ai princìpi di analisi economica del diritto,
rileva inoltre che in ogni tipo di contratto c’è, quasi per definizione,
almeno da un punto di vista economico, un’assegnazione del
rischio e un importante elemento di assicurazione.
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Danno e responsabilità 1/2019
Giurisprudenza
Responsabilità civile
Le osservazioni svolte nei paragrafi che precedono,
espresse in forma dubitativa, sembrerebbero essere
alla base della sentenza che il provvedimento in
analisi ha cassato. Quest’ultimo, difatti, riporta sommariamente la decisione del giudice d’appello, il
quale aveva messo in collegamento l’importo della
penale con il modesto costo del servizio, nonché
l’obiettiva difficoltà di predeterminare in via anticipata l’obbligo risarcitorio.
Sia consentito di rilevare, solo come nota di chiusura,
che l’istituto di vigilanza, dacché avrebbe dovuto
Danno e responsabilità 1/2019
corrispondere una penale (giudicata irrisoria rispetto
al danno verificatosi ma comunque di importo) pari
al canone percepito, ora potrebbe probabilmente
essere chiamato a pagare un risarcimento “sproporzionato” rispetto alla somma che ha percepito per lo
svolgimento del servizio. In breve, il vigilante, in caso
di accertamento del nesso di causalità, potrebbe
dover rispondere - si ricordi che la questione torna
ora alla corte d’appello - delle conseguenze di un
evento che non si era impegnato a impedire e che
esulava dal novero dei suoi obblighi.
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