Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
IPSOA Danno e responsabilità Bimestrale di responsabilità civile e assicurazioni 1/2019 ISSN 1125-8918 - ANNO XXIV - Direzione e redazione - Via dei Missaglia, n. 97 - 20142 Milano (MI) Micropermanenti e accertamento strumentale Diritti omogenei e potenziamento della class action Teconologie abilitanti ed evoluzione del rapporto tecnologia/diritto DIREZIONE SCIENTIFICA 5 000002 372308 00237230 TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO edicolaprofessionale.com/dannresp Vincenzo Carbone Massimo Franzoni Pier Giuseppe Monateri Roberto Pardolesi Giulio Ponzanelli GDPR E NORMATIVA PRIVACY COMMENTARIO COMMENTARIO BREVE AL CODICE CIVILE a cura di G.M. RICCO, G. SCORZA, E. BELISARIO shop.wki.it 02.82476.1 info.commerciali@wki.it RECI_COVER_2019_01.indd 2 € 140 G. CIAN, A. TRABUCCHI Cod. 00234766 € 320 Cod. 00231498 Giunto alla XIII edizione è ancora oggi uno dei più apprezzati e stimati commentari del Codice Civile, delle disposizioni di attuazione e delle discipline speciali collegate. La nuova edizione ha i commenti aggiornati: • alla riforma del Terzo settore • alle disposizioni anticipate di trattamento (il c.d. testamento biologico) • alle fondamentali novelle in tema di S.r.l. per la piccola-media impresa • fino al decreto dignità (conv. in l. 9-8-2018 n. 96) che ha modificato il lavoro subordinato a tempo determinato. Gli aggiornamenti sono come sempre puntuali, adeguatamente approfonditi e spiegati, i commenti alle singole norme formulati con sapiente e sintetica panoramica di dottrina e giurisprudenza. La sintesi in questo codice è una missione: il Codice Civile in 4.000 pagine, come fossero 8.000. Y38HBCL Y55HBCL Il Regolamento Generale in materia di protezione dei dati personali (c.d. GDPR) costituisce, a partire dal 25 maggio 2018, il regime primario interno circa il trattamento e la libera circolazione dei dati delle persone fisiche, insieme al D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101 e al Codice privacy, modificato per adeguare la normativa nazionale alla normativa europea. Il volume, ad opera di avvocati, funzionari del Garante e accademici, commenta i singoli articoli del Regolamento, integrati con le norme del decreto di adeguamento. Vengono analizzate tutte le novità della disciplina: - i principi di responsabilizzazione (accountability) e di data protection-by-design e by-default - il diritto alla portabilità dei dati personali - la figura del subresponsabile - il data protection officer (DPO) - la valutazione d’impatto privacy (DPIA) - l’obbligo generale di notificazione e comunicazione di violazioni dei dati - il quadro sanzionatorio. Il decreto di adeguamento D.Lgs. n. 101/2018 ha novellato il Codice della privacy esistente, garantendone, nel contempo, la continuità, facendo salvi per un periodo transitorio i provvedimenti del Garante e le autorizzazioni, che saranno oggetto di successivo riesame, nonché i Codici deontologici vigenti. In Appendice, il testo integrale del D.Lgs. n. 101/2018 e del Codice della privacy aggiornato. shop.wki.it 02.82476.1 info.commerciali@wki.it 3/13/2019 10:34:04 PM Giurisprudenza Responsabilità civile Clausola di esonero Cassazione Civile, Sez. III, 12 luglio 2018, n. 18338 - Pres. Vivaldi - Est. Olivieri - M.M. c. Sicuritalia S.p.a. È nulla la clausola penale con la quale la responsabilità del debitore è limitata al pagamento di una somma irrisoria (nella specie, è stata dichiarata nulla, per violazione del divieto di limitazione della responsabilità per dolo o colpa grave, la penale, corrispondente alla rata pattuita per una mensilità del servizio, a carico di un istituto di vigilanza per il caso di furto nei locali del vigilato). ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Cass. 20 giugno 2014, n. 14084; Cass. 28 luglio 1997, n. 7061; Cass. 10 luglio 1996, n. 6298; Trib. Teramo 31 marzo 1992. Difforme Non si rinvengono precedenti negli esatti termini. La Corte (omissis). Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 329 e 342 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Sostiene la ricorrente che la statuizione del primo giudice in ordine al quantum, liquidato con criterio equitativo puro, non aveva costituito oggetto di specifico motivo di gravame da parte dell’appellante società di vigilanza, e dunque doveva ritenersi passata in giudicato interno, con conseguente illegittimità della pronuncia del secondo giudice che aveva ritenuto non provato il danno, riconoscendo dovuta soltanto la somma prevista nella clausola penale. Il motivo è infondato. Dalle conclusioni dell’atto di appello, trascritte alla pag. 56 del ricorso per cassazione, risulta che la società di vigilanza aveva impugnato la decisione di “prime cure” in relazione a tutti i capi di sentenza, avendo richiesto al Giudice di secondo grado di “rigettare tutte le domande ex adverso formulate, poichè infondate in fatto e diritto” e di “condannare conseguentemente l’appellata a restituire la somma pari ad Euro 14.897,00 oltre interessi...”, e soltanto in via subordinata avendo chiesto di mantenere la liquidazione del danno nei limiti della clausola penale. Pertanto la impugnazione della società di vigilanza ha investito “in toto” la decisione di prime cure, non trovando, quindi, conferma la censura per “error in procedendo” nella parte di atto trascritto nel ricorso. Laddove se la parte ricorrente avesse, invece, inteso criticare la decisione impugnata per non aver valutata la aspecificità dei motivi di gravame, come illustrati nell’atto di appello in punto di liquidazione del “quantum”, ovvero avesse inteso dedurre che la impugnazione da parte di Sicuritalia s.p.a. era rivolta esclusivamente alla statuizione che accertava la responsabilità per inadempimento contrattuale, bene avrebbe allora dovuto assolvere compiutamente al prescritto requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, atteso che il vizio di ultrapetizione, per violazione dell’art. 112 c.p.c., non deve essere soltanto allegato ma, trattandosi di nullità non rilevabile “ex officio”, deve essere formulato in modo da dare contezza alla Danno e responsabilità 1/2019 Corte -che in tal caso è anche giudice del fatto - di tutti gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui si richiede il riesame e, quindi, affinché il motivo sia ammissibile deve contenere, per il principio di specificità, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004; id. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017). Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1229 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. I motivi contestano la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto tardiva la eccezione di nullità della clausola penale - in quanto asseritamente nulla per violazione dell’art. 1229 c.c. - che era stata proposta nella comparsa conclusionale di primo grado e riproposta nella comparsa di costituzione in grado di appello, atteso che tale nullità era comunque rilevabile “ex officio”. La prima parte della censura (secondo motivo) e la censura dedotta con il terzo motivo sono inammissibili in quanto si contesta un vizio di “error in procedendo” che non ha prodotto alcun pregiudizio al diritto di difesa della parte. La Corte territoriale, pur essendo incorsa in errore, avendo ritenuto applicabili le preclusioni relative alla definizione del “thema decidendum” formatesi al termine della fase di trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., ed avendo rilevato la inammissibilità per tardività della eccezione di nullità della clausola (in quanto formulata soltanto in sede di memoria conclusionale illustrativa depositata ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., e non proponibile in grado di appello, incontrando il divieto dell’art. 345 c.p.c., comma 2), non considerando, invece, che al Giudice è sempre consentito il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale - sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” - in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la 79 Giurisprudenza Responsabilità civile diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 12996 del 23/06/2016; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 27516 del 30/12/2016), è venuta, infatti, poi ad esaminare nel merito la questione della invalidità della clausola penale ex art. 1382 c.c., prospettata in termini di elusione del divieto di limitazione preventiva di responsabilità “ex contractu” anche nei casi di dolo o colpa grave ex art. 1229 c.c., comma 1, pervenendo ad escludere il vizio di nullità, in quanto la tesi difensiva della M. “si appalesava priva di agganci letterali e/o normativi”, ed inoltre la pattuizione preventiva, volta a limitare il “quantum” risarcibile, si giustificava nell’interesse comune delle parti, da un lato sussistendo una obiettiva proporzionalità tra la misura del “quantum” e l’importo particolarmente modesto del corrispettivo del servizio, dall’altro evidenziandosi la comune esigenza delle parti contraenti di evitare preventivamente eventuali discussioni e contestazioni in caso di inadempimento attesa la difficoltà di “identificare gli effetti dell’eventuale furto”. Fondato deve ritenersi invece il secondo motivo con il quale si impugna l’errore di diritto commesso dalla Corte d’appello nella mancata applicazione alla fattispecie concreta dell’art. 1229 c.c. Questa Corte ha infatti precisato che la irrisorietà del risarcimento del danno pattuito preventivamente sotto forma di clausola penale viene a costituire elemento sintomatico dell’aggiramento del divieto di limitazione di responsabilità stabilito dall’art. 1229 c.c., comma 1, (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7061 del 28/07/ 1997, richiamata dalla ricorrente. Ma Vedi anche Corte Cass. Sez. 3 Sentenza 20.6.2014 n. 14084). Nella specie la clausola contrattuale disponeva che “L’Istituto non presta alcuna garanzia nè si assume alcune responsabilità per eventuali furti, danni ed in genere pregiudizi subiti dall’Utente... Nel caso di comprovato inadempimento nell’esecuzione del servizio e di comprovata riferibilità dei danni a tale inadempimento, l’istituto sarà tenuto unicamente a versare all’Utente, a titolo di penale fissa, una somma pari ad una mensilità del canone in corso. È esclusa pertanto ogni risarcibilità di eventuale danno ulteriore subito dall’Utente”. Orbene dalla lettura della clausola emerge inequivocamente che, non soltanto viene delimitato quantitativamente l’ammontare del danno patrimoniale risarcibile, cagionato dal mancato od inesatto adempimento della prestazione di vigilanza, ma nella parte in cui la clausola prevede che “l’Istituto non assume... alcuna responsabilità per eventuali furti” (dovendo intendersi quindi estesa la esclusione, in difetto di alcuna diversa indicazione, anche alle ipotesi di responsabilità per dolo o colpa grave), evidenzia la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni derivanti da furto con ciò venendo ad interrompere proprio il nesso funzionale - sul quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del committente - tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente. Così formulata, nella combinazione di entrambi gli elementi indicati (quello sintomatico della limitazione del danno risarcibile ad importo del tutto irrisorio rispetto dal danno patrimoniale verificatosi; quello della estensione della limitazione dalla misura del “quantum” alla integrale responsabilità per inadempimento ex artt. 1218 e 1229 c.c.), la clausola in questione deve ritenersi inficiata dal vizio di nullità per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1229 c.c., comma 1. In conseguenza il ricorso trova accoglimento quanto al secondo motivo (infondati gli altri motivi), la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in altra composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio, nonché a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità. (Omissis). Servizio di vigilanza e clausola penale irrisoria di Valerio Brizzolari La Cassazione si pronuncia sulla nullità della penale mediante la quale un istituto di vigilanza ha limitato la propria responsabilità, per il caso di furto presso il vigilato, a una somma corrispondente a una mensilità del servizio. Il provvedimento ravvisa una violazione del divieto posto dall’art. 1229 c.c., poiché la clausola controversa avrebbe fissato il quantum risarcibile, per l’eventualità di un inadempimento da parte del vigilante, a un ammontare irrisorio (circa quarantotto euro), se paragonato al danno effettivamente prodottosi in seguito all’effrazione. Il contributo illustra alcuni profili non del tutto condivisibili dell’attuale orientamento in tema di responsabilità del vigilante e ripercorre brevemente il rapporto tra clausole di esclusione della responsabilità e delimitazione dell’oggetto del contratto. 80 Danno e responsabilità 1/2019 Giurisprudenza Responsabilità civile Il caso La Suprema corte torna a occuparsi del rapporto tra limitazione convenzionale del danno, sotto forma di clausola penale (nella specie ritenuta di ammontare irrisorio), e divieto di escludere o limitare preventivamente ex art. 1229 c.c. la responsabilità del debitore. Al fine di una migliore comprensione della questione, conviene ricostruire brevemente il fatto che ha dato origine alla controversia. La titolare di una tabaccheria sottoscrive un contratto con un’impresa di vigilanza, nel quale quest’ultima si impegna a ispezionare il locale commerciale qualora riceva una segnalazione di effrazione e presumibilmente, anche se non si evince con assoluta certezza dal provvedimento - a controllare il medesimo mediante sopralluoghi scaglionati nel tempo. Sennonché, viene commesso da ignoti un furto ai danni della tabaccheria e la predetta società, nonostante i segni di intrusione visibili dall’esterno, non procede all’ispezione dell’esercizio commerciale. In appello, la responsabilità dell’istituto di vigilanza viene riconosciuta, ma limitatamente all’ammontare pattuito al momento della stipula dell’accordo mediante una penale, il cui importo era fissato in euro quarantotto circa, corrispondenti a una mensilità del servizio. La titolare dell’esercizio commerciale ricorre in Cassazione - ottenendo ragione - per lamentare la nullità della pattuizione così formulata, in quanto, a suo dire, contrastante con l’art. 1229 c.c., che vieta la preventiva esclusione della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. La decisione della corte nel panorama giurisprudenziale Prima di formulare alcune osservazioni sulla decisione in analisi, è opportuno ricordare che il provvedimento in esame ha ravvisato una violazione dell’art. 1229 c.c., perpetrata mediante la pattuizione di una clausola penale dall’ammontare estremamente ridotto rispetto al danno patrimoniale verificatosi in seguito al furto (quantificato, va da sé, sulla base di una valutazione ex post). Più nello specifico, ha (1) Si veda, ad esempio, Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, in Giur. it., 1998, 1573 ss., con osservazioni di Matta, secondo cui è nulla, in quanto volta ad escludere la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, la clausola contrattuale con cui la società tenuta ad assicurare il servizio di vigilanza notturna di un esercizio commerciale sia esonerata da responsabilità per furti, danni o altri sinistri. Nella giurisprudenza di merito, negli stessi termini, si segnala Trib. Teramo 31 marzo 1992, in Giur. mer., 1993, 633, la quale ha stabilito che, in forza del disposto di cui all’art. 1229 c.c., la società tenuta per contratto ad assicurare il servizio di vigilanza notturna di Danno e responsabilità 1/2019 affermato la Cassazione che una siffatta pattuizione evidenzia la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsivoglia responsabilità per danni, “con ciò venendo a interrompere proprio il nesso funzionale - sul quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del committente - tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente”. In altri termini, il Supremo collegio ha (ri)qualificato la penale irrisoria come una clausola di esclusione della responsabilità, affetta da nullità in virtù dell’art. 1229 c.c., in quanto riferita indistintamente a qualunque tipo di inadempimento, dunque anche a quello per dolo o colpa grave. Occorre avvertire subito che - di là dalla condivisibilità o meno della sua trama argomentativa - la sentenza in esame si pone in linea con altri precedenti e va dunque a confermare un indirizzo costante, invero decisamente severo nei confronti degli istituti di vigilanza (in linea con quanto accaduto, mutatis mutandis, per le banche nella nota questione dei furti in cassette di sicurezza). Le pronunce reperibili sul tema, difatti, riguardano spesso la medesima fattispecie, ovvero il furto perpetrato ai danni di coloro che avevano sottoscritto un contratto comprendente sopralluoghi scaglionati nel tempo, nonché l’intervento in caso d’allarme. La giurisprudenza ha avuto modo di affrontare la questione da più prospettive. Per quanto concerne le clausole di limitazione della responsabilità, esse sono sempre interpretate, a quanto consta, come una violazione dei patti sull’esclusione della responsabilità per dolo o colpa grave, con conseguente loro nullità ex art. 1229 c.c. (1). Dal versante, invece, della condotta dell’obbligato, in genere, l’omesso intervento, in seguito all’attivazione dell’allarme, da parte dell’istituto che ha assunto l’obbligo di vigilanza sull’immobile altrui (proprio come accaduto nella fattispecie), è ritenuto fonte di responsabilità verso chi ha patito gli effetti di tale omissione, ossia il furto (2). Quest’ultimo caso consente di anticipare un profilo che verrà analizzato nel prosieguo, ossia quello relativo al nesso di causalità. Si deve infatti un esercizio commerciale non può opporre alla società assicuratrice, che agisce in via surrogatoria per ripetere l’indennità pagata per il furto subito dall’assicurato, la clausola penale limitativa della responsabilità per negligenza nell’esecuzione del servizio, qualora si versi in ipotesi di colpa grave. (2) Così, recentemente, Cass. 20 giugno 2014, n. 14084, in Foro it., Le banche dati, archivio Cass. civ., anch’essa relativa a un caso in cui era stata pattuita una penale per l’eventualità dell’inadempimento del vigilante. 81 Giurisprudenza Responsabilità civile segnalare che talvolta l’istituto non è stato ritenuto responsabile proprio in virtù della mancanza del nesso eziologico, poiché il solo fatto che non risulti provata l’effettuazione di uno dei sopralluoghi concordati non è automatico indice della riconducibilità del danno all’inadempimento (3). Ad ogni modo, il provvedimento in esame si pronuncia sulla clausola, piuttosto frequente nelle condizioni generali di contratto praticate dalle delle imprese di vigilanza, che esonera il vigilante dalla responsabilità degli eventuali danni per furto, almeno quando si tratta di un servizio che non comprende un controllo permanente dei luoghi, bensì solo ispezioni programmate nel tempo. Come si avrà modo di vedere nel prosieguo, il caso del vigilante inadempiente che ha limitato il quantum risarcibile a una determinata somma non è altro che un’applicazione specifica di un principio generale elaborato (non solo) dalla giurisprudenza in relazione al rapporto tra gli artt. 1229 e 1382 c.c., che può essere sintetizzato grossolanamente come segue: la penale non può consistere in un espediente volto ad aggirare il divieto di preventiva limitazione della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave (4). Anche se la sentenza in esame appare conforme, sotto tutti i punti di vista, ai precedenti suddetti, qualche dubbio può porsi sulla correttezza ed equità della decisione, sol che si pensi alla “sproporzione” tra la rata percepita mensilmente dall’istituto di vigilanza (meno di cinquanta euro) e il danno che probabilmente quest’ultimo sarà chiamato a risarcire (quasi quindicimila euro). Ci si potrebbe domandare, ad esempio, se per un canone obiettivamente modesto, come quello percepito dall’operatore in questione, sia dato trovare qualcuno disposto ad assumere l’obbligo di impedire i furti presso un esercizio commerciale. La risposta, evidentemente, sarebbe in senso negativo, (3) Come deciso da Cass. 9 gennaio 1984, n. 142, in Rep. Foro it., 1984, voce Obbligazioni in genere, n. 39, secondo cui, in base ai principi generali che regolano la responsabilità contrattuale, occorre l’ulteriore requisito del nesso causale fra inadempimento e danno, il quale postula il riscontro della idoneità del suddetto controllo, ove non omesso, a sventare l’azione delittuosa, in relazione ai tempi in cui essa è stata commessa. Il principio stabilito in questa pronuncia è stato recentemente ripreso nella giurisprudenza di merito da Trib. Massa 23 novembre 2016, in banca dati DeJure. (4) In giurisprudenza, v. Cass. 10 luglio 1996, n. 6298, in Giur. it., 1997, I, 1257, secondo cui la clausola penale, la cui funzione tipica è quella di liquidare e limitare preventivamente il danno, non può mai costituire strumento per consentire al debitore di eludere la sua responsabilità, nel senso che quest’ultimo, pur in presenza della preventiva determinazione convenzionale del danno risarcibile, è tenuto sempre a rispondere integralmente per dolo o colpa grave. 82 poiché per tale cifra, se mai, non ci si impegna ad evitare l’evento “furto”, bensì a svolgere un’attività di deterrenza. Il caso di specie, dunque, può costituire l’occasione per riflettere su alcuni assunti che in giurisprudenza si tramandano inalterati da tempo, forse senza il dovuto approfondimento. Clausola di limitazione della responsabilità, penale e delimitazione dell’oggetto del contratto: un confine di difficile definizione Prescindendo per un momento dal caso sottoposto alla Cassazione, conviene dar conto brevemente del rapporto tra le clausole di limitazione della responsabilità e altre figure, atteso che il patto mediante il quale il debitore limita o esclude l’obbligazione risarcitoria non sempre costituisce indice della sua volontà di rimettere al proprio (mero) arbitrio l’adempimento dell’obbligazione (5). Le figure alle quali si allude sono la clausola penale e gli accordi che circoscrivono gli obblighi assunti dal soggetto passivo. A prima vista, la distinzione tra i predetti elementi sembrerebbe, almeno in linea di principio, piuttosto chiara; ma sono necessarie alcune precisazioni. Quanto al rapporto tra il pactum ne dolus aut culpa lata praestetur e la penale, mentre con il primo le parti delimitano l’ammontare del risarcimento entro un plafond prestabilito, fermo restando che il responsabile non pagherà comunque più del danno effettivamente prodotto, con la seconda si concorda un risarcimento à forfait, a prescindere dall’entità del danno (6). Non è questa la sede per indagare funzione e finalità delle clausole penale, da un lato, e di esonero dalla responsabilità (7), dall’altro; ma la netta distinzione teorica e l’autonomia dell’una (5) Tra le varie funzioni attribuite al divieto posto dall’art. 1229 c. c. c’è sicuramente quella di non attribuire al debitore la facoltà di scegliere se adempiere o non adempiere senza sopportare conseguenza alcuna. Cfr., sul fondamento della disposizione, gli Autori citati alla nota 7. (6) La distinzione è chiara in Ponzanelli, Le clausole di esonero della responsabilità, in Danno e resp., 1998, 860, seguito da D’Adda, sub Art. 1229, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2013, 364. (7) In argomento, la più completa indagine è senz’altro quella di F.P. Patti, La determinazione convenzionale del danno, Napoli, 2015. Essendo la bibliografia sul tema sterminata, ci si limiterà a richiamare gli scritti più autorevoli, nella parte relativa al rapporto tra gli artt. 1229 e 1382 c.c.: Alpa - Bessone - Zeno-Zencovich, L’ingiustizia del danno e gli interessi tutelati, in Trattato di diritto privato, II ed., diretto da P. Rescigno, XIV, Obbligazioni e contratti, 6, Torino, 1995, 321; Cabella Pisu, Le clausole di esonero da responsabilità, ivi, IX, 1, 288 ss.; Benatti, voce Clausole di esonero dalla responsabilità, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, Danno e responsabilità 1/2019 Giurisprudenza Responsabilità civile determinazione degli obblighi dell’assicuratore è volto a specificare quale rischio egli si assume ed è perciò essenziale per la validità del contratto, senza che tale pattuizione escluda o limiti le conseguenze dell’eventuale inadempimento (10). Altre volte, invece, la delimitazione dell’impegno assunto dal soggetto passivo può passare attraverso (o andare a incidere direttamente su) l’entità delle obbligazioni indennitarie, oppure sul risarcimento dovuto dall’inadempiente, nel qual caso potrebbe risultare più ardua la distinzione (11). La vicenda delle cassette di sicurezza ne è un esempio paradigmatico (12). Il rapporto tra le figure in discorso, come sommariamente riassunto nei termini che precedono, costituisce un profilo non trascurabile e assume rilievo nel caso di specie, poiché la penale corrispondente a una mensilità del servizio potrebbe essere stata pattuita - è ragionevole presumere, almeno dalla prospettiva dell’obbligato all’adempimento - proprio per specificare e delineare ulteriormente l’obbligo assunto da quest’ultimo, già risultante dalle altre disposizioni contrattuali. dall’altra non devono indurre a ritenere che esse non siano in qualche modo sovrapponibili, o che le rispettive strade non si incontrino mai, nel senso che, qualora le parti abbiano predeterminato il danno ex art. 1382 c.c., non possa assolutamente trovare applicazione l’art. 1229 c.c. Anzi, a ben vedere, quando l’unica finalità della penale è proprio quella di deresponsabilizzare il debitore per dolo o colpa grave (per aggirare, dunque, l’art. 1229 c.c.), si deve assumere, sempre in linea di principio, che trovi applicazione la disposizione da ultimo richiamata (8). Il nomen iuris che le parti hanno attribuito alla clausola è irrilevante (9), poiché occorrerà guardare al risultato che esse hanno voluto concretamente perseguire. Si diceva, inoltre, che la clausola mediante la quale il debitore si solleva dalla propria responsabilità, o comunque la circoscrive entro un certo limite, potrebbe avere una particolare funzione, vale a dire quella di specificare ulteriormente la delimitazione dell’oggetto contrattuale e dell’obbligo che egli assume nei confronti del creditore, a mo’ di disposizione “di chiusura” dell’accordo. Anche in questo caso, la distinzione - sempre ragionando in astratto - non dovrebbe porre problemi. Con il patto che delimita l’impegno del soggetto passivo si esclude che una determinata prestazione sia dovuta da quest’ultimo e perciò nulla viene stabilito in ordine al regime di responsabilità; con la clausola limitativa di quest’ultima, invece, le parti pongono, per dir così, un tetto massimo al risarcimento che il debitore dovrà per il caso di inadempimento. Il confine tra queste due pattuizioni risulta talvolta ben tracciato: si pensi al caso del contratto d’assicurazione, in cui lo scopo della preventiva Come si accennava, l’obbligo d’impedire il furto è un servizio - e ciò pare innegabile - che ha ben altro costo e soprattutto comporta ben altra attività, da parte del vigilante, rispetto al mero controllo scaglionato nel tempo. La Cassazione ravvisa innanzitutto una limitazione del danno risarcibile a un “importo del tutto irrisorio rispetto al danno patrimoniale verificatosi”; e la 400; De Nova, voce Clausola penale, ivi, 377; C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, II ed., in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja - G. Branca, sub Artt. 1218-1229, Bologna-Roma, 1979, 482 ss. (8) Come chiarisce efficacemente D’Adda, sub Art. 1229, cit., 365, l’eventualità che la penale miri ad aggirare l’art. 1229 c.c. non elide le diversità strutturali tra le due clausole. Che sia necessario coordinare gli artt. 1229 e 1382 c.c. è opinione pacifica in dottrina. Oltre agli Autori citati alla nota precedente, si veda altresì Delogu, Le modificazioni convenzionali della responsabilità civile, Padova, 2000, 65 ss., spec. 158 ss.; (9) Cfr. F.P. Patti, La determinazione convenzionale del danno, cit., 322 ss. (10) Si veda ad esempio Cass., 15 maggio 2018, in Guida dir., 2018, 32, 44, secondo cui nel contratto di assicurazione, sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell’articolo 1341 c.c., quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito. Attengono diversamente all’oggetto del contratto quelle clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito. Le clausole che subordinano l’operatività della garanzia assicurativa all’adozione, da parte dell’assicurato, di determinate misure di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi la cui omissione, agevolando la produzione dell’evento oggetto della garanzia (furto, danneggiamento, incendio ecc.), inciderebbero sulle probabilità di verificazione del rischio; non realizzano una limitazione di responsabilità dell’assicuratore, ma individuano e delimitano l’oggetto stesso del contratto e il rischio dell’assicuratore, da cui consegue fra l’altro la non necessità della specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’articolo 1341, comma 2, del c.c. Negli stessi termini, Trib. Monza 20 marzo 2014, in Rep. Foro it., 2014, voce Assicurazione (contratto), n. 71. (11) Ancora una volta, si veda D’Adda, sub Art. 1229, cit., 366, per la distinzione tra limitazione della responsabilità e delimitazione dell’oggetto del contratto. In argomento cfr. anche Alpa Bessone - Zeno-Zencovich, L’ingiustizia del danno e gli interessi tutelati, cit., 327, e Cabella Pisu, Le clausole di esonero da responsabilità, cit., 294 ss. (12) Secondo un orientamento consolidato della Cassazione, nel contratto per l’utilizzazione delle cassette di sicurezza sono nulle le clausole che limitano la responsabilità della banca per il furto dei valori dei clienti custoditi all’interno delle cassette in presenza di un comportamento gravemente colposo dell’istituto di credito; pertanto, la banca è tenuta all’integrale risarcimento del danno subìto dal cliente, anche oltre il limite di massimale convenuto in contratto. In questi termini, ex multis, Cass. 27 dicembre 2011, n. 28835, in Danno e resp., 2012, 1115, con nota di Santoro. Danno e responsabilità 1/2019 Obbligo di vigilanza: assunzione del “rischio” e nesso di causalità 83 Giurisprudenza Responsabilità civile a) corrispondenza tra “rischio” e costo del servizio Un primo dubbio riguarda proprio il criterio per valutare l’entità della clausola penale, in relazione all’obbligo assunto dal vigilante: occorre domandarsi se la penale (modesta) sia da giustificarsi in virtù di un certo canone (altrettanto modesto) e, soprattutto, dell’obiettiva difficoltà di determinare anticipatamente l’entità dell’obbligo risarcitorio (13). Trattandosi di circa quarantotto euro, si potrebbe risolvere sbrigativamente la questione rilevando l’irrisorietà “obiettiva” di tale somma. Diversamente, si prospettano tre alternative: prendere come riferimento i) il corrispettivo pattuito (al quale, nel caso in esame, è stata ancorata la penale stessa), ii) il danno effettivamente verificatori, oppure iii) il danno potenziale che potrebbe provocare l’inadempimento, secondo gli elementi a disposizione delle parti al momento della conclusione dell’accordo. In ogni caso, si ritiene che non si può prescindere dagli obblighi assunti dal vigilante, ossia dall’oggetto del contratto. Orbene, non conoscendo il testo contrattuale, non è dato ricostruire esattamente il novero degli impegni assunti dall’istituto, così come non è dato sapere cosa fosse realmente custodito all’interno della tabaccheria - bisognerebbe, peraltro, chiedersi se il vigilato abbia effettivamente edotto il vigilante dei possibili rischi -, ma si deve convenire, sull’abbrivio del senso comune, che, normalmente, a un costo “modesto” del servizio corrisponde l’assunzione di un (obbligo che comporta un) “rischio” altrettanto modesto. Da un punto di vista sostanziale, come efficacemente chiarito da autorevole dottrina, il contratto ha sempre una “valenza assicurativa”, con ciò intendendosi che la tariffa del servizio è direttamente proporzionale, appunto, al rischio che il debitore accetta di correre (14). Vale a dire che - riportando queste osservazioni alla clausola penale -, se un soggetto accetta di esporsi a una preventiva determinazione del danno piuttosto elevata, egli sta “assicurando” la controparte in ordine al rischio di variazione dei suoi costi (15); il discorso può essere capovolto per la penale dall’ammontare esiguo. Nel caso di specie, la Cassazione ha ravvisato un’esclusione della responsabilità anche per dolo o colpa grave: l’istituto avrebbe voluto sottrarsi a qualunque responsabilità per l’eventualità del furto. Ebbene, pare essere proprio questo il nodo della questione, ovvero stabilire quale sia l’attività cui il vigilante si obbliga: impedire in ogni modo il delitto, oppure svolgere un servizio di deterrenza. Se si trattasse della prima attività, allora si potrebbe concordare sul fatto che quarantotto euro siano una limitazione di responsabilità inammissibile, sempre rispetto al danno presumibile che un eventuale furto potrebbe provocare (a condizione che - si ribadisce - l’obbligato sia effettivamente messo a conoscenza del “rischio” al quale si espone nel momento in cui assume la vigilanza di un certo luogo); ma se si trattasse, invece, com’è ragionevole presumere, del secondo servizio, allora non sembrerebbe più sussistere un’ingiusta limitazione, poiché i controlli scaglionati nel tempo e l’intervento in caso di segnalazione hanno una funzione differente, ossia di deterrenza, alla quale corrisponde un costo decisamente inferiore, senza contare l’obiettiva difficoltà di valutare ex ante il possibile danno da inadempimento. (13) Come si può leggere nel provvedimento in analisi, nella parte relativa al fatto, la corte d’appello pare aver fondato la sua decisione proprio su queste due considerazioni, ovvero difficoltà nel predeterminare il possibile danno e importo ridotto del costo del servizio. (14) Il riferimento è alle brevi ma fondamentali (e peraltro condivisibili) considerazioni di Pardolesi, I rimedi, in Lezioni sul contratto, Torino, 2009, 117 ss., spec. 127. Un rapido cenno alla questione si può leggere anche nelle osservazioni di Massa a Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, cit. Quanto alla possibile riconduzione del servizio di cassette di sicurezza al contratto d’assicurazione, pare prevalere in dottrina la tesi negativa: cfr. PapantiPelletier, voce Cassette di sicurezza, in Enc. dir., agg. II, Milano, 1998, 194, il quale la esclude in virtù del fatto che non trattasi di contratto aleatorio. (15) In questi termini, ancora Pardolesi, I rimedi, cit., 127. motivazione prosegue affermando, come si è già anticipato, che l’esenzione dalle conseguenze di tale evento “evidenzia la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni derivanti da furto con ciò venendo ad interrompere proprio il nesso funzionale - sul quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del committente tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente”. Si deve innanzitutto rilevare che la Corte sembra aver valutato la penale a carico del vigilante - espressione, in questo caso, della sua responsabilità - in relazione al danno concretamente prodottosi. Già a una prima e superficiale analisi, vien fatto di domandarsi se quest’ultimo parametro sia il giusto riferimento in base al quale considerare l’ammontare della penale stessa, oppure se sia più corretto, ad esempio, prendere come indice il danno che, al momento della conclusione del contratto, era prevedibile dalle parti, oppure ancora il costo del servizio pagato dal vigilato. Dalle affermazioni della Cassazione appena riportate, dunque, sorgono spontaneamente alcuni interrogativi, che si possono riassumere nei seguenti termini. 84 Danno e responsabilità 1/2019 Giurisprudenza Responsabilità civile Occorre allora stabilire un ordine nelle valutazioni. Bisogna cioè muovere dalla corretta individuazione delle obbligazioni assunte dal soggetto passivo e valutare se la limitazione della responsabilità, magari sotto forma di clausola penale, sia sproporzionata rispetto al novero degli obblighi e al danno prevedibile che potrebbe derivare dalla violazione di questi ultimi. In altri termini, per poter correttamente valutare (l’irrisorietà del)la clausola penale e, di riflesso, la limitazione della responsabilità, l’indagine dovrebbe muovere dalla definizione dell’oggetto del contratto e dalla relativa prevedibilità del danno. La Cassazione, tuttavia, nel caso di specie, dapprima rileva “la volontà della società di vigilanza di sottrarsi a qualsiasi responsabilità per i danni derivanti da furto” - e, vien fatto di dire, ciò pare assolutamente naturale, quando ci si impegna a svolgere un’attività di mera deterrenza -, per poi affermare che tale esclusione avrebbe interrotto “proprio il nesso funzionale - sul quale è fondato l’interesse dedotto in contratto del committente - tra la corretta esecuzione del servizio e la prevenzione della commissione di furti ai danni del cliente”. Tuttavia, delle due l’una: o si tratta di un servizio di dissuasione o di impedimento del furto. Alternativa, quest’ultima, che importa evidentemente conseguenze diverse in ordine a tutti i profili qui trattati. In altra occasione, la Cassazione ha avuto modo di affermare che le valutazioni in discorso vanno condotte sul danno prevedibile al momento della conclusione del contratto e non su quello effettivamente verificatosi (16). b) nesso di causalità Dal provvedimento in esame emerge il collegamento tra il mancato sopralluogo in seguito all’attivazione dell’allarme e il furto ai danni della tabaccheria. Questo profilo suscita un ulteriore interrogativo relativo all’imputabilità del danno alla condotta omissiva dell’obbligato. Senza voler scendere nei dettagli del caso di specie, sia consentito rilevare che non sempre l’omissione della prestazione pattuita è causa del danno. Anzi, a ben vedere, potrebbe darsi l’eventualità dello scasso che si verifica tra un sopralluogo e l’altro, oppure quello perpetrato in modo talmente veloce da concludersi prima del tempo di reazione della vigilanza, che deve accorrere sul posto. (16) In Cass. 28 luglio 1997, n. 7061, cit. era stato difatti affermato che, al fine di accertare se una penale, pattuita per l’ipotesi di inadempimento (o ritardo) della controparte, abbia consistenza irrisoria, tanto da risolversi, in concreto, nella esclusione o limitazione della responsabilità per i danni da inadempimento, e nella conseguente violazione del divieto posto dall’art. 1229 c.c., l’intento elusivo non può essere desunto dal raffronto Danno e responsabilità 1/2019 Potrebbe accadere, in altri termini, che, anche laddove vi sia un intervento tempestivo, l’intrusione dei ladri non sia evitabile. Del resto, parte della giurisprudenza richiamata in esordio ha impostato correttamente il problema, quando ha affermato che il solo fatto che non risulti provata l’effettuazione di uno dei sopralluoghi concordati non è automatico indice della riconducibilità del danno all’inadempimento, poiché occorre verificare il nesso eziologico (17). In breve, si tratta di in una valutazione di riferibilità del danno alla condotta del debitore, sicché non è detto che il mancato intervento abbia reso possibile la perpetrazione dell’illecito penale. Illecito - vale la pena di ribadire - che nei contratti di vigilanza simili a quello portato all’attenzione della Cassazione il vigilante non si obbliga a impedire ad ogni costo, bensì solo a scoraggiare. Conclusioni L’infelice formulazione della clausola di “deresponsabilizzazione”, evidentemente sbilanciata in toto, almeno a una prima analisi, in favore dell’istituto di vigilanza, ha forse indotto la Suprema corte a ricondurre la penale esigua a uno dei patti vietati dall’art. 1229 c.c., imposto dalla parte “forte” a quella “debole”. Tuttavia, prende consistenza la sensazione che la vexata clausola sia stata estrapolata dal contesto delle altre pattuizioni e valutata individualmente, senza un’opportuna verifica della sua effettiva funzione. In altri termini, ci si sarebbe potuti domandare se essa sia stata pensata come disposizione di chiusura per delimitare definitivamente l’oggetto del contratto, che non era evidentemente quello di impedire il furto (di qui la mancata assunzione delle conseguenze di quest’ultimo). La questione sottoposta alla Cassazione, come si notava, ricorda la vicenda dei furti nelle cassette di sicurezza. Sebbene con modalità più grossolane e senza l’ausilio delle norme bancarie uniformi, gli istituti di vigilanza, per prassi commerciale, si esimono sempre dalla responsabilità per eventuali furti ai danni del vigilato, o comunque la limitano entro un importo predeterminato. Le banche, dal canto loro, avevano dapprima tentato di limitare il valore massimo del contenuto della cassetta a un importo tra la misura della penale e l’entità del danno poi, in concreto, verificatosi, ma (dovendosi ricostruire, in parte qua, la volontà dei contraenti con riguardo al suo momento genetico) tra la misura della penale e l’entità presumibile dell’eventuale, futuro danno da risarcire, ricostruibile secondo una prognosi ex post. (17) Cfr. retro nt. 3. 85 Giurisprudenza Responsabilità civile predeterminato, per poi far impegnare il cliente a non superare tale limite; tentativo che però non ha superato, come noto, il vaglio delle Sezioni unite (18), essenzialmente sulla base della distinzione tra contratto di cassette di sicurezza e deposito, e della successiva giurisprudenza (19). Premesso che questi ultimi contratti hanno ricevuto una disciplina legislativa, mentre quello di sorveglianza no - per cui ci si muove sempre all’infuori del tipo legale -, il caso delle cassette di sicurezza ha avuto il pregio di stimolare il dibattito sul profilo che qui interessa di più, ovvero la “liceità”, per dir così, della clausola di limitazione del valore entro il quale la banca - o l’istituto di vigilanza, se si vuole - risponde. Non è mancato chi, a questo proposito, ha ravvisato nella delimitazione del valore un metodo per circoscrivere l’oggetto del contratto: il patto, proporzionando il canone dovuto all’ammontare del valore immesso in cassetta, limita l’oggetto del negozio, regolando limiti e condizioni d’uso della cassetta medesima (20). Taluno, sempre nel tentativo di escludere l’applicazione dell’art. 1229 c.c., ha poi argomentato che il contratto di cassette di sicurezza avrebbe una funzione in senso lato assicurativa, per cui, come già notato in precedenza in termini generali, la banca assume un rischio entro un determinato limite, che può essere innalzato a condizione che venga pagato un corrispettivo maggiore (21). Altri contributi dottrinali, poi, hanno recentemente ipotizzato l’incompatibilità tra gli artt. 1839 e 1229 c.c., sull’assunto che, quando trattasi di responsabilità ex recepto, l’apposizione di un tetto massimo al risarcimento del danno non integra gli estremi del patto di limitazione della responsabilità (22). I piani d’indagine relativi all’inadempimento, all’impossibilità non imputabile e al caso fortuito si sovrappongono quando entrano in gioco fattori che sfuggono al controllo delle parti - vedasi il furto, anche se prevedibile da un operatore professionale -; ma non è questa la sede per dirimere l’intricato rapporto tra queste figure. Dalla vicenda delle cassette di sicurezza è però possibile trarre qualche spunto. Innanzitutto, almeno sul profilo del rapporto tra limitazione della responsabilità e oggetto del contratto, la giurisprudenza riserva un trattamento analogo a istituti bancari e di vigilanza. Ciò, tuttavia, non elimina i dubbi sopra rappresentati sull’attuale orientamento, nel quale si può annoverare la decisione in analisi. Invero, si può discutere se la penale sia il mezzo più idoneo per addivenire all’esatta definizione degli obblighi che il vigilante assume - penale che, ad ogni modo, nasce dalla libera contrattazione delle parti -, ma c’è comunque margine per dubitare della correttezza della valutazione quando è in gioco l’individuazione dei parametri in riferimento ai quali apprezzare la limitazione di responsabilità. È ben vero che l’esiguità del costo non consente all’obbligato di porre in essere una prestazione scadente, essendogli richiesta in ogni caso la dovuta diligenza, ma a tale costo può corrispondere, come efficacemente chiarito sempre in relazione ai furti nelle cassette di sicurezza, un “diverso livello assicurativo” (23). Al di là, tuttavia, di quanto effettivamente verificatosi nella fattispecie sottoposta al vaglio della Cassazione, occorrerebbe una maggiore attenzione da parte della giurisprudenza al rapporto che intercorre tra la clausola penale e la delimitazione dell’obbligazione debitoria, ovvero un maggior approfondimento dell’indagine volta a stabilire tale rapporto. Non è difatti da escludere a priori la possibilità di una differente ricostruzione, ovvero la riconduzione della penale tra gli accordi di delimitazione dell’oggetto del contratto, mediante la quale l’obbligato ha voluto definitivamente circoscrivere il proprio obbligo non all’impedimento di un determinato evento, bensì all’attività di scoraggiamento del medesimo. (18) Cass. 1° luglio 1994, n. 6225, in Foro it., 1994, I, 3422, con nota di Catalano, secondo cui, atteso che va qualificata come limitatrice della responsabilità la clausola del contratto del servizio di cassette di sicurezza, riproducente l’art. 2 delle norme bancarie uniformi, che pone un limite al valore delle cose che possono essere custodite nella cassetta, con il conseguente obbligo dell’utente di non conservare cose aventi nel complesso valore superiore a detto importo, tale clausola è nulla, ai sensi e nei limiti stabiliti dall’art. 1229, comma 1, c.c. (19) Ex multis, Cass. 30 settembre 2009, n. 20948, in Rep. Foro it., 2009, voce Contratti bancari, n. 25. (20) G.B. Ferri, Tipicità negoziale e interessi meritevoli di tutela nel contratto di utilizzazione di cassette di sicurezza, in Riv. dir. comm., 1988, I, 339. Ma v. altresì Rescigno, In tema di responsabilità della banca nel servizio delle cassette di sicurezza, in Banca, borsa, tit. cred., 1971, I, 267. (21) Cfr., anche per una sintesi sulle opinioni in argomento, Scoditti, Autoregolamento e tipo nel contratto di cassetta di sicurezza. Sulla differenza fra clausola di limitazione del valore e patto di limitazione della responsabilità della banca, in Giur. it., 1995, 5 ss. In termini generali, Pardolesi, I rimedi, cit., 126 ss. (22) Ci si riferisce a Plaia, Ambito operativo dell’art. 1229 c.c. e responsabilità ex recepto, in Obbl. e contr., 2012, 838, ss. Secondo l’Autore, nella responsabilità contrattuale per receptum il piano dell’inadempimento e quello dell’impossibilità imputabile non sono nettamente distinti, nel senso che l’inadempimento è al contempo causa di impossibilità, e viceversa. (23) L’espressione è di Cosentino, Il contratto di servizio delle cassette di sicurezza: clausola di limitazione della responsabilità della banca e dichiarazioni di valore, in Foro it., 1990, I, 1292. L’Autore, richiamandosi ai princìpi di analisi economica del diritto, rileva inoltre che in ogni tipo di contratto c’è, quasi per definizione, almeno da un punto di vista economico, un’assegnazione del rischio e un importante elemento di assicurazione. 86 Danno e responsabilità 1/2019 Giurisprudenza Responsabilità civile Le osservazioni svolte nei paragrafi che precedono, espresse in forma dubitativa, sembrerebbero essere alla base della sentenza che il provvedimento in analisi ha cassato. Quest’ultimo, difatti, riporta sommariamente la decisione del giudice d’appello, il quale aveva messo in collegamento l’importo della penale con il modesto costo del servizio, nonché l’obiettiva difficoltà di predeterminare in via anticipata l’obbligo risarcitorio. Sia consentito di rilevare, solo come nota di chiusura, che l’istituto di vigilanza, dacché avrebbe dovuto Danno e responsabilità 1/2019 corrispondere una penale (giudicata irrisoria rispetto al danno verificatosi ma comunque di importo) pari al canone percepito, ora potrebbe probabilmente essere chiamato a pagare un risarcimento “sproporzionato” rispetto alla somma che ha percepito per lo svolgimento del servizio. In breve, il vigilante, in caso di accertamento del nesso di causalità, potrebbe dover rispondere - si ricordi che la questione torna ora alla corte d’appello - delle conseguenze di un evento che non si era impegnato a impedire e che esulava dal novero dei suoi obblighi. 87