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Obsolete
in appendix Capitalism
GENEALOGY OF DEBT
english text
Andrea Fumagalli
IN MEMORIA DI LAPO BERTI
5.
RZN005 ita
Editore: Rizosfera
Collana: Rizonomia
Genealogia
del debito
di Lapo Berti
Anti-copyright :: Aprile 2019, Rizosfera
Copyright Andrea Fumagalli per il testo ‘In memoria di Lapo Berti’,
comparso in forme differenti sul blog Effimera e sul quotidiano Il
Manifesto.
Ringraziamo l’autore e Cristina Morini per la gentile collaborazione
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La collana editoriale «Rizonomia» tratta di temi economici attraverso
la prospettiva filosofica rizosferica e la teoria generalizzata dell’economia.
Indice
Uscite:
Introduzione
RZN001 :: PAOLO DAVOLI, LETIZIA RUSTICHELLI, Marx, Moneta, Capitale
intervista con Lapo Berti
RZN002 :: RIZOSFERA - Neuropaesaggi digitali
intervista con Tony D. Sampson
13
di Rizosfera
In memoria di Lapo Berti
15
di Andrea Fumagalli
RZN003 :: DEMYSTIFICATION COMMITTEE -The Offshore Economist
RZN004 :: KYBERNETIKOS KOMMANDO - Sferologie electro
Genealogia del debito
21
di Lapo Berti
English Text
Genealogy of Debt
93
(1940 - 2017)
Roma, 24 aprile 2017
Caro P*, come promesso ti mando questo work in progress
sulla letteratura del debito. Come vedrai, ci sono diverse parti
che devono essere completate. Conto molto sul tuo giudizio e
sui tuoi suggerimenti. A presto.
Lapo Berti
La mail del 24 aprile 2017, qui riportata, mostra
quali fossero gli ultimi temi di indagine, cari a Lapo,
prima della sua improvvisa e dolorosa scomparsa avvenuta il 2 dicembre 2017.
Il tema del debito, la letteratura militante ‘critica’
sul debito e la sua natura, il rapporto tra Foucault e
le tesi ordoliberiste e neoliberiste, erano al centro del
suo interesse e della sua elaborazione intellettuale negli anni 2016-2017.
12
13
La proposta del filosofo e studioso di Foucault,
Mauro Bertani, di un articolo di taglio ‘economico e
In ricordo di Lapo Berti
di Andrea Fumagalli
filosofico’ per la rivista Aut Aut, gli aveva offerto l’opportunità di approfondire tali tematiche nel corso dei
mesi centrali del 2017.
Il testo qui presentato, insieme all’articolo pubblicato da Aut Aut (n.376/dicembre 2017), Ripartire da
Foucault. Economia e governamentalità, sono dunque gli
ultimi lavori pensati e scritti in vita da Lapo Berti.
Offriamo ai lettori e agli studiosi di economia questi pensieri ancora nella loro forma non definitiva, e
senza mediazione alcuna, cioè senza alcun lavoro editoriale specifico da parte nostra. Riteniamo che questo
Lapo Berti fa parte dei tanti militanti che hanno dedicato la propria vita alla ricerca della verità (nel senso
di “parresia”) – una compagine oramai rara ai giorni
nostri, così presi della performatività dell’apparire. Ha
partecipato ai principali avvenimenti della rottura culturale degli anni Sessanta fino gli anni Novanta.
Nato nel 1940, a Milano, è vissuto a Firenze, poi di
nuovo a Milano e infine a Roma.
sia il modo migliore per commemorare, a poco più di
A Firenze, insieme a Claudio Greppi, si era legato
un anno dalla sua scomparsa, colui che riteniamo un
al circolo “Giovanni Francovich”. Visse appieno l’inte-
Maestro esemplare di vita e pensiero.
ra esperienza, fondamentale per l’operaismo italiano,
della rivista “Classe operaia”. Pur legato più a Mario
Tronti che a Toni Negri, non ebbe il minimo dubbio
nel momento della scelta (per la verità dubbi ne aveva molti, per carattere: ma sapeva scegliere). Partecipò
all’intero ciclo di “Potere operaio”, dalla costruzione
(quella veneto-emiliana, per intenderci) fino alla conclusione (convegno di Rosolina).
14
15
Lapo ha insegnato all’università senza neppure es-
a quella della règulation francese, le uniche capaci di
sere laureato. Ha un antenato illustre, Claudio Napo-
concepire una teoria economica in grado di essere un
leoni. Gli riuscivano cose apparentemente impossibili.
antidoto all’egemonia monetarista dell’epoca).
Nella struttura di Potere Operaio ebbe anche un ruolo
dirigente, non di semplice adesione ideologica. Con
Ferruccio Gambino divideva la responsabilità del settore internazionale; in Germania l’operaismo è penetrato nell’elaborazione del pensiero antagonista anche
grazie al suo intervento appassionato.
È stato uno studioso dei classici, in primo luogo
Marx, e poi Schumpeter. Del primo ha divulgato l’idea che la moneta non è prevalentemente un rapporto
sociale, ovvero strumento del dominio del capitale sul
lavoro. Del secondo ci ha tramandato (oltre alla traduzione di Teoria dello sviluppo economico – Sansoni Edito-
Dopo l’esperienza di Potere Operaio, è stato uno
re, 1971, nuova ed. 2013, a cura di Rizzoli), la semina-
degli animatori della rivista Primo Maggio, partecipan-
le, ma parziale, traduzione dell’opera schumpeteriana
do al gruppo di studio sulla Moneta, con Christian Ma-
più misconosciuta – Das Wesen des Geldes (L’essenza del
razzi, Roberto Convenevole, Franco Gori e Sergio Bo-
denaro), importante per comprendere il ruolo di di-
logna. Ha prodotto teoria sull’idea che la creazione di
scriminazione che è insito nel potere del denaro. Con-
moneta – come moneta credito – fosse in ultima ana-
cetti che oggi, nell’era del capitalismo cognitivo finan-
lisi, nonostante il monopolio di emissione della Banca
ziarizzato, sono più che mai attuali.
Centrale, un fattore endogeno alla dinamica dell’economia capitalistica.
Ha inoltre tradotto l’edizione di Teoria della moneta e
dei mezzi di circolazione di Ludwig von Mises (curata da
16
Ha partecipato al seminario sulla Moneta animato
Riccardo Bellofiore), de L’equilibrio monetario di Gun-
nei tardi anni Settanta da Augusto Graziani con Mar-
nar Myrdal e ha tradotto e curato la Teoria economica del
cello Messori, Roberto Convenevole, Francesco Farina,
credito di L. Albert Hahn, tutti testi che contribuirono
Lilia Costabile, Adriano Giannola, contribuendo allo
non poco negli anni Ottanta alla discussione sulle teo-
sviluppo della Teoria del circuito monetario (insieme
rie monetarie eterodosse.
17
Negli anni Novanta si è interessato alle trasformazioni del processo di valorizzazione nella fase del capi-
sione la validità di tale progetto significava, secondo
quella logica, assumere una posizione antieuropeista.
talismo post-fordista. È stato membro della redazione
di Altreragioni, primo ambito di rivitalizzazione del
pensiero economico neo-operaista di fronte alle nuove
forme di organizzazione del lavoro e della globalizzazione, un passaggio cruciale per cogliere lo sviluppo
dell’Italian thought di oggi.
Il testo di Lapo e del sottoscritto, tuttavia, erano
ben lontani da posizioni anti-europeiste, tutt’altro:
piuttosto si denunciava, da diversi punti di vista, come
la costruzione di una unità monetaria europea come
unico collante dell’Europa, sarebbe stata scevra di conseguenze negative per la stessa idea di Europa (da qui
Non a caso è in quell’ambito che vengono svilup-
il titolo, l’Antieuropa delle monete), proprio perché
pate le prime analisi critiche da parte del pensiero
la moneta unica veniva strategicamente utilizzata per
dell’Autonomous marxism sul processo di costruzione
imporre dall’alto un piano di ristrutturazione liberista
dell’Unione Monetaria Europea, riflessioni che vedo-
dell’Europa, di cui le forze del centro-sinistra si rende-
no la luce, oltre che sul n. 2 di Altreragioni, nel volu-
vano complici.
me collettaneo L’Antieuropa delle monete (Manifestolibri,
Roma, 1992), con prefazione di Sergio Bologna e due
saggi dei due curatori, Lapo Berti e chi scrive.
Da metà degli anni Novanta sino alla pensione,
Lapo Berti ha lavorato all’Antitrust, prima con un contratto biennale e poi in modo stabile, dopo una buona
18
E’ in questo testo, per molti versi anticipatore di te-
parte dell’esistenza passata in condizione precarie (si
matiche che verranno riprese solo a molta distanza di
direbbe oggi), anche come scelta di coniugare spirito
tempo, che si comincia ad avviare un discorso di criti-
di militanza ed etica di vita. Pur in un ambiente non
ca da sinistra al processo di costruzione dell’Europa,
facile (istituzionalizzato), ha continuato a denunciare
al cui interno la moneta unica veniva vista dalle forze
le storture del mercato come luogo di concentrazione
sindacali e di sinistra dell’epoca come necessario e fun-
del potere economico, in controtendenza con l’idea
zionale all’unificazione dell’Europa. Mettere in discus-
neo-liberale del mercato come luogo di pari opportu-
19
nità. In questo periodo, non a caso ha pubblicato Il
Genealogia del debito
mercato oltre le ideologie (Università Bocconi, 2006) e Le
Lapo Berti
stagioni dell’antitrust. Dalla tutela della concorrenza alla
tutela del consumatore (con Andrea Pezzoli) (Università
Bocconi, 2010).
Nell’ultimo decennio, il debito è diventato di moda:
come tema di ricerca, come argomento del dibattito
politico e anche come oggetto di elucubrazioni e affermazioni insensate. Si sono moltiplicate le pubblicazioni, le analisi e, purtroppo, le ricette, che sono il campo
preferito dai ciarlatani. A scatenare questo rinnovato
interesse è stata, ovviamente, la crisi finanziaria del
2007-2008 negli Stati Uniti, il cui epicentro era l’indebitamento privato, e poi, a seguire, la crisi drammatica
dei debiti sovrani.
Paradossalmente, tuttavia, non sono stati gli economisti ad aprire il dibattito e a occupare la scena. Si è
scoperto che il debito è un tema trasversale, che ha interessato e interessa tutte le discipline sociali, dall’antropologia all’etnologia, dall’economia alla politica,
alla filosofia. Gli interventi più impegnati e anche più
stimolanti appartengono al campo della filosofia e
dell’antropologia. Ciò che accomuna molti degli studi
20
21
più seri è il fatto di aver colto nel debito la possibile
dei sentimenti morali che poi si ritrovano nella morale
leva di una rinnovata critica al capitalismo.
cristiana. Il taglio dell’argomentazione può far pensare
a un interesse etnologico, al desiderio di ricostruire le
Quasi tutti sono viziati da questo “pregiudizio”, che
limita e condiziona la ricerca. I risultati cui approda
questo dibattito appaiono banali, scontati; non aggiungono nulla alla comprensione del modus operandi del
capitalismo attuale e, tanto meno, alla ricostruzione
della governamentalità che lo accompagna. Nella maggior parte dei casi, rendono più arduo cogliere la natura e la funzione del debito nelle economie attuali.
fasi cruciali nella storia dell’umanità. Molti commentatori, anche autorevoli, si sono lasciati trarre in inganno. In realtà, la metafora del debito cui Nietzsche fa
un significativo ricorso e il riferimento alla “preistoria
dell’uomo” (258), alla “più antica umanità” (264, 269),
non sono rivolti a ricostruire un quadro etnologico
delle società primitive, impresa ardua e incerta,1 bensì
a delineare un possibile percorso evolutivo dell’umani-
Non ci si può esimere, tuttavia, dal confrontarsi con
tà che consenta di comprendere il significato e le im-
queste analisi, che hanno spesso l’aspirazione di forni-
plicazioni dei sentimenti morali. La genealogia della
re una versione aggiornata della critica marxiana.
morale non ci restituisce l’evoluzione storica dei sentimenti morali, ma ce ne offre il significato profondo. Ci
1. Per quanto possa apparire paradossale, le sugge-
spiega la genesi dell’uomo moderno.
stioni cui si rifanno molti dei contributi non provengono da un’analisi economica, ma da uno scritto famoso
Nietzsche non si pone come storico e tanto meno
di Nietzsche, assai commentato e dibattuto: la Seconda
come etnologo, ma come filosofo inteso a compren-
dissertazione della Genealogia della morale (1887). In essa
dere il senso profondo della vita. Così come l’enucle-
Nietzsche attribuisce un ruolo cruciale al rapporto fra
azione del “superuomo”, di lì a poco, non sarà l’anti-
creditore e debitore, che sarebbe emerso nella notte
cipazione di un futuro possibile e auspicato, ma la più
dei tempi, prima ancora che l’uomo si avviasse sul sentiero della civiltà, per illuminare le radici preistoriche
22
1
Nietzsche sente il bisogno di tanto in tanto di attenuare, di circoscrivere, la
portata delle cose che afferma: “Ciò è detto in via di supposizione: giacché è difficile
scrutare nel fondo di tali cose sotterranee” (264) e ci avverte anche, quasi a esorcizzare la prospettiva etnologica, che “i... primordi esistono... in ogni tempo o sono ancora
una volta possibili” (269-70).
23
drammatica denuncia di un presente inaccettabile,
ni forti, dei guerrieri. La società umana si fonderebbe
inumano. La visione delle possibilità future dell’uomo
sul fatto che gli uomini deboli riescono a sottomettere
serve a condizionare la volontà del presente: “ciò che
i forti ai dettami della loro morale, costringendoli a
sarà in futuro è condizione di ciò che è nel presente,
interiorizzare il senso di colpa, dando vita alla “cattiva
altrettanto di come lo fu ciò che è passato. Ciò che è
coscienza”. Ciò non toglie che, in principio, vi sia la
bene che avvenga e che dovrà avvenire è la ragione di
violenza, la sopraffazione degli uomini forti e che la
ciò che è” (cit. in Jaspers 1936/1996, 233). Commenta
società diventi possibile o, addirittura, impositiva, nel
Jaspers: “Immaginando il futuro, la ‘grande politica’
momento in cui la violenza viene incanalata e deviata,
diviene la decisiva coscienza del momento presente dell’uo-
che sia verso l’interiorità dell’individuo stesso, come
mo” (ivi).
ritiene Nietzsche, o verso un oggetto “altro”, il capro
espiatorio, l’oggetto del sacrificio, come suggerisce
Per Nietzsche non vi è dubbio che l’origine dei sen-
René Girard2.
timenti morali si collochi in quel passaggio cruciale,
contrassegnato dalla violenza, da cui scaturisce la so-
È qui che la riflessione di Nietzsche incrocia la no-
cialità, in cui si concretizza l’impulso a stare insieme.
zione di debito. Questo “basilare concetto” di colpa,
Nella prospettiva di Nietzsche, i sentimenti morali non
dice Nietzsche, “ha preso origine dal concetto molto
sarebbero altro che gli strumenti, i vincoli, con cui si
materiale di ‘debito’” (Nietzsche 1887, 261).
tenta di tenere insieme la società, imbrigliando e reprimendo gli impulsi che caratterizzano l’animale uomo,
“la bestia uomo”, impegnato ad affermare con le ragioni della sua forza e con lo strumento della violenza la
sua determinazione a sopravvivere. La civiltà nasce nel
momento in cui, attraverso i sentimenti morali, gli uomini comuni, gli uomini deboli, “i servi”, riescono ad
avere ragione delle “razze aristocratiche”, degli uomi24
Il fulcro di tutto è il “rapporto contrattuale fra creditore e debitore, che è tanto antico quanto l’esistenza di
‘soggetti di diritto’, e rimanda ancora una volta, dal
2 R. Girard, La violence et le sacré, Paris, 1972 (trad. it. La violenza e il sacro, Adelphi,
Milano). E’ appena il caso di suggerire che ci troviamo nel mondo raffigurato
da Hobbes con l’idea dell’homo homini lupus o, se si preferisce, in quello di cui
parla Freud nel Disagio della civiltà (1930). In netto contrasto con il mondo del
bon sauvage prospettato da Rousseau. Si tratta, come ovvio, di due miti che non
hanno la pretesa e neanche la funzione di ricostruire l’origine della civiltà umana e della società, ma solo di fornire una diagnosi della società in cui vivono,
rispettivamente, i loro autori.
25
canto suo, alle forme fondamentali della compera, del-
a sua volta, il “più antico e ingenuo canone morale del-
la vendita, dello scambio, del commercio” (Nietzsche
la giustizia” (Nietzsche 1887, 269). È solo in un secon-
1887, 261-2). “In questa sfera, nel diritto dunque delle
do momento, quando la comunità è formata o, meglio
obbligazioni, il mondo dei concetti morali ‘colpa’, ‘co-
forse, nel momento in cui si forma e in quanto si for-
scienza’, ‘dovere’, ‘sacralità del dovere’ ha il suo foco-
ma, che il rapporto fra gli individui e la loro comunità
lare d’origine – i suoi inizi, come gli inizi di ogni gran-
si modella sul “fondamentale rapporto” fra il creditore
dezza terrena, sono stati a fondo e lungamente irrorati
e i suoi debitori. Questa è “... la più radicale di tutte le
di sangue” (Nietzsche 1887, 263). “Il sentimento della
metamorfosi” che l’uomo abbia mai vissuto, allorché si
colpa, della nostra personale obbligazione... ha avuto,
lasciò catturare dall’“incantesimo della società e della
come abbiamo visto, la sua origine nel più antico e ori-
pace”, uscendo dallo “stato selvaggio” e rinunciando
ginario rapporto fra persone che esista, nel rapporto
alle sue “antiche guide, gli istinti regolativi, inconscia-
tra compratore e venditore, creditore e debitore: qui,
mente infallibili” (Nietzsche 1887, 283-4).
per la prima volta, si fece innanzi persona a persona,
qui per la prima volta si misurò persona a persona...
compera e vendita, unitamente ai loro accessori psicologici, sono più antiche degli stessi cominciamenti di
qualsiasi forma d’organizzazione sociale e di qualsivoglia consociazione” (Nietzsche 1887, 268-9).
Si apre davanti ai nostri occhi un paesaggio umano
che richiama molto da vicino la distinzione tra “pensieri veloci” e “pensieri lenti” sviluppata e argomentata da
Daniel Kahneman (2011). Anche Kahneman sembra
avere in mente uno scenario antropologico simile a
quello che Nietzsche pone a fondamento del suo pen-
26
Per Nietzsche, dunque, l’atto della compravendita
siero, anche se gli intenti e gli esiti dell’analisi, ovvia-
istituisce, con i suoi “accessori psicologici” (sammt ihrem
mente, sono assai diversi. Nell’analisi di Kahneman, i
psychologischen Zubehör) (!), il rapporto fondativo, ori-
“pensieri veloci”, quelli che l’uomo ha imparato a ela-
ginario, di ogni ordine sociale; atto che precede, an-
borare in un ambiente ostile, in cui la sopravvivenza
ticipa, l’ordine sociale e lo rende possibile, grazie allo
dipende dalla velocità e dall’efficacia della risposta, e
strumento della misura, del confronto, su cui si fonda,
in virtù dei quali riesce a prevalere e a poco a poco
27
a dominare, sono affiancati, nel corso dell’evoluzio-
all’inconscio, individuale e collettivo. Inversamente a
ne umana, dai pensieri lenti, dalla riflessione, che si
quanto sembra ritenere Mauss, che pone il dono come
rendono necessari per affrontare situazioni più com-
matrice o come l’archetipo di tutte le forme di scam-
plesse. L’analisi filosofica di Nietzsche è più profonda
bio, l’idea di fondo che Nietzsche offre nella smaglian-
e più complessa dell’analisi psicologica di Kahneman;
te narrazione della Seconda dissertazione è che il rappor-
ci dice che la nascita dei pensieri lenti, tra cui rientra-
to di debito, che si sviluppa nella sfera dello scambio e
no, certamente, le considerazioni morali, non è stato
che da lì si estende all’intera vita sociale, costituisca il
un passaggio indolore nella storia dell’umanità, ma ha
vincolo originario che lega gli uni agli altri, con la san-
provocato uno sconvolgimento esistenziale nell’anima-
zione della violenza, i membri di una comunità: “anche
le uomo.
la comunità sta con i suoi membri in quell’importante, fondamentale rapporto che è proprio del creditore
La società umana, con il suo inevitabile corollario,
lo Stato, è stata partorita con la violenza da “una razza
di conquistatori e di padroni” (Nietzsche 1887, 286)3
che hanno instaurato un dominio e l’hanno chiamato
ordine sociale. La gran massa dei sottoposti, dei servi,
a poco a poco, è riuscita a imporre regole il cui rispetto
era condizione necessaria per preservare la coesione
del corpo sociale, cioè ha inventato la morale.
verso i suoi debitori. Si vive in una comunità, si godono
i vantaggi di una comunità... dal momento che... ci si
è impegnati e obbligati con la comunità” (270). Il debito, dunque, agli occhi di Nietzsche presenta questa
duplice caratteristica. Nasce nel rapporto tra persona e
persona che ha per oggetto lo scambio, istituisce tra le
due persone un vincolo, che è spesso di subordinazione, e diventa poi il modello delle relazioni che costitu-
Ma quella violenza non è scomparsa, non si è estinta,
iscono la comunità, ipostatizzando quest’ultima come
ma si è traslata dentro l’uomo dando forma e sostanza
il referente di tutti i debiti che i membri di una comunità hanno contratto nel momento in cui sono entrati
3
28
“Ho usato la parola ‘Stato’: va da sé a quale intendo, con ciò, alludere: un
qualsiasi branco di animali da preda, una razza di conquistatori e di padroni
che, guerrescamente organizzata e con la forza di organizzare, pianta senza esitazione i suoi terribili artigli su una popolazione forse enormemente superiore
di numero, ma ancora informe, ancora errabonda”.
a farne parte. La comunità diventa il grande creditore
di tutti i suoi membri, che tramite la violenza, la cru-
29
deltà della pena, ricorda a ogni trasgressore “lo stato
re una digressione polemica nei confronti di un’appli-
selvaggio” che ha alle spalle, quando era alla mercé del
cazione ritenuta errata della ricostruzione genetica ai
più forte, del vincitore (270). Il rapporto di debito che
fenomeni storici. “... la causa genetica di una cosa e la
“lega” ogni individuo alla comunità cui appartiene è
sua finale utilità, nonché la sua effettiva utilizzazione e
il fondamento della coesione sociale e, nel contempo,
inserimento in un sistema di fini, sono fatti toto coelo di-
il dispositivo che, attraverso la condivisione dei “senti-
sgiunti l’uno dall’altro... ogni accadimento nel mondo
menti morali” ovvero l’interiorizzazione delle regole,
organico è un sormontare (überwältigen), un signoreggiare
garantisce il disciplinamento dei comportamenti, la fe-
(herrwerden) e che a sua volta ogni sormontare e signo-
deltà dei singoli all’ordine costituito.
reggiare è un reinterpretare, un riassettare, in cui necessariamente il ‘senso’ e lo ‘scopo’ esistiti sino a quel
Non è agevole comprendere fino in fondo il senso
di queste argomentazioni ed è facile scivolare nell’e-
momento devono offuscarsi o del tutto estinguersi”
(Nietzsche 1887, 276).
quivoco di intenderle come una sorta di ricostruzione
etnologico- antropologica delle vicende dell’umani-
Ora, il sopraffare e il farsi signore che qui ci inte-
tà, come molti hanno fatto. In realtà, Nietzsche ha in
ressano sono quelli legati all’affermazione dello spirito
mente un filo rosso che solo qua e là emerge, ed è quel-
capitalistico. È l’agire nella logica del capitale che si
lo di dare sostanza e di articolare il concetto, l’artefatto
fa dominante e sopraffà il “senso” e lo “scopo” delle
concettuale della volontà di potenza cui affida tutto il
istituzioni fino a quel momento esistite. Sopraffà il cre-
senso della sua ricerca.
dito e il debito, sopraffà la moneta, e se ne fa signore e,
ciò facendo, con la sua “volontà di potenza” ne trasfor-
La chiave per comprendere correttamente le argomentazioni sul rapporto venditore- compratore, creditore-debitore, sulla colpa e sulla coscienza, sull’evoluzione del diritto penale, etc., sta nel fondamentale §
12, in cui Nietzsche svolge quella che potrebbe appari-
30
ma la funzione. L’evoluzione del sistema economico
e dell’agire economico è “il susseguirsi di processi di
assoggettamento”. Così si svolge il “progressus reale: il
quale compare come tale sempre in figura di volontà
e cammino inteso a una più grande potenza e sempre
31
si attua a spese di innumerevoli potenze più piccole”
con il grande finanziere. L’hanno fatto, in particolare,
(Nietzsche 1887, 277). È chiaro che, nello svolgimento
Ayn Rand e Francis Fukuyama5, sulla base di una lettu-
di questi ragionamenti, Nietzsche non ha in mente lo
ra superficiale e molto parziale di Nietzsche.
sviluppo del capitalismo, ma è alla ricerca del principio
2. La problematica del debito, probabilmente, non
motore, dell’“essenza della vita” (das Wesen des Lebens)
che muove l’evoluzione dell’umanità e che ritiene di
avere individuato nella “volontà di potenza”. Alla fine,
tuttavia, le due cose finiscono per convergere, se non
per identificarsi. È nel capitalismo che s’incarna la volontà di potenza dell’epoca in cui viviamo. Per chi si
occupa di economia, è difficile sfuggire alla tentazione
di ricollegare questo filo della riflessione nietzscheana
con il concetto schumpeteriano di “distruzione creatrice”; e non è mancato, infatti, chi lo ha fatto esplicitamente4. Nella prospettiva nietzscheana, “distruzione”
e “creazione” sono due momenti caratteristici dell’uomo mosso dalla “volontà di potenza” ovvero dall’istinto
della libertà (Nietzsche 1887, 287).
sarebbe mai uscita dall’ambito economico, anche di
fronte alla recente crisi dei cosiddetti “debiti sovrani”,
se ad allargare la prospettiva non fosse intervenuto,
più di quarant’anni fa, il lavoro di Deleuze e Guattari
(1971), che recuperava lo scritto di Nietzsche e alcuni
esiti della ricerca antropologica in contrapposizione
allo strutturalismo di Lévi-Strauss, dando vita a tutto
un filone di studi che facevano perno sulla nozione di
debito. Lévi-Strauss, come noto, poneva al centro della
sua teoria antropologica lo scambio quale momento e
relazione sociale fondamentale. Deleuze e Guattari, ritenendo probabilmente che questa visione risultasse in
qualche modo “apologetica” nei confronti dell’ordine
sociale capitalistico, si impegnano a rovesciare questa
Queste assonanze hanno indotto alcuni a identifica-
impostazione, appoggiandosi al lavoro di un antropo-
re il superuomo con l’imprenditore, con il capitalista,
logo britannico critico di Lévi-Strauss, Edmund R. Le5
4
32
Hugo Reinert & Erik S. Reinert, Creative Destruction in Economics: Nietzsche, Sombart, Schumpeter in Jürgen Georg Backhaus e Wolfgang Drechsler (a cura di),
Friedrich Nietzsche (1844-1900): Economy and Society, Springer, New York 2006, pp
55-85.
Devo queste indicazioni a un interessante contributo di Michael Kilivris
(Beyond Goods and Services: Toward a Nietzschean Critique of Capitalism, “Kritike”, V,
n. 2, dicembre 2011, pp. 26-40), il quale fornisce anche una convincente critica
di queste pretese affiliazioni dei due autori al pensiero di Nietzsche. Com’è
noto, nel suo celebre quanto discusso libro su La fine della storia e l’ultimo uomo
(1992/1995), Fukuyama fa abbondanti riferimenti all’opera di Nietzsche, da
cui riprende, fin dal titolo, l’idea dell’“ultimo uomo”.
33
ach. L’obiettivo è duplice: da un lato, negare la “natu-
le scienze naturali”, dotata di senso storico6, dunque,
ralità” dello scambio come principio di organizzazione
perché l’uomo non è “un’entità fissa in ogni vortice”,
sociale e, dall’altro, proporre una sorta di “economia
“l’uomo è divenuto... tutto è divenuto; non ci sono fat-
del debito”, ritenuta più rispondente a una visione del-
ti eterni”7. Di qui il metodo genealogico, che ha come
la “macchina sociale” come entità collettiva.
oggetto l’uomo attuale, ma nella consapevolezza che
esso è divenuto quello che è, nel corso di un processo
Nella quinta sezione del Capitolo III del loro lavoro,
Deleuze e Guattari sviluppano la loro “economia del
debito” quale presupposto di una società non scambista, non dominata dall’ideologia dello scambio e del
mercato, com’è quella capitalistica: “la società non è
innanzitutto un ambiente di scambio ove l’essenziale
sarebbe di circolare o di far circolare, ma un socius d’iscrizione ove l’essenziale è marcare o essere marcati”
(1972, 157). Il riferimento fondamentale è il Nietzsche
della seconda dissertazione della Genealogia della morale, “il grande libro dell’etnologia moderna” (1972, 224
che ha preso il via “in tempi remotissimi, assai prima
di quei quattromila anni che all’incirca conosciamo”,
quando è avvenuto “tutto l’essenziale dell’evoluzione
umana”8. Di qui anche l’interesse per l’etnologia, in
quanto può concorrere alla comprensione di questo
divenire. Nietzsche, già a partire dal 1875, si proponeva di “raccogliere un immenso materiale empirico di
conoscenza degli uomini” (Frammento 8 [14], estate
1875). Ma quella che viene offerta nella Seconda dissertazione della Genealogia della morale non è una rappresentazione etnologica dell’umanità dei primordi.
[213]). La lettura che Deleuze e Guattari ne offrono
È un mito fondatore, sulla base del quale Nietzsche
solleva, tuttavia, molti dubbi.
si propone di dare forma e sostanza al superuomo, cui
Del primo di questi dubbi si è già parlato. Nietzsche
non può essere designato come un antesignano della
intende affidare l’avvenire. Il superuomo è l’uomo forte
che recupera gli istinti primordiali dell’animale uomo,
ricerca etnologica. Quella che Nietzsche vuole, come
dichiara nei primi due aforismi di Umano, troppo umano (1875), è una “filosofia storica”, non “separata dal-
34
6
“La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi” (Umano,
troppo umano [1875], aforisma n.2).
7 (Umano, troppo umano [1875], aforisma n.2).
8 Ivi.
35
cancellati e repressi per secoli dalla morale cristiana, e
consentito promettere” (ivi). Tramite l’erezione dello stato
li proietta nella società del presente, come antidoto alla
i deboli, gli uomini del ressentiment, vincono sui forti
decadenza, al rammollimento che la caratterizzano.
e inizia la storia che ci ha portato alla stato di infiacchimento in cui oggi, secondo Nietzsche, ci troviamo,
In Genealogia della morale, come in tutta la sua opera,
Nietzsche ha l’occhio fisso ai danni che, secondo lui, la
morale cristiana ha arrecato a tutta l’umanità, indebolendo, accerchiando e soffocando, le energie dirompenti e dominanti degli “uomini forti e sicuri della vita”,
degli aristocratici9. E descrive la formazione dello stato
come il trionfo della morale, l’incarnazione dei vincoli e dei limiti che rendono possibile la società umana
“questo marcido, dubitoso presente” (ivi, 296), e che
potrà essere spazzato via solo quando compariranno i
“forti dell’avvenire”10, gli uomini che si saranno liberati
della “cattiva coscienza” e avranno, quindi, la capacità
di superare il nichilismo del nostro tempo. Essi sovvertiranno tutti i valori e torneranno ad agire secondo le
loro “tendenze naturali”, ubbidendo solo alla “volontà
di potenza”.
e inaugurano il cammino della civiltà: “grazie all’eticità dei costumi e alla sociale camicia di forza l’uomo
Il mortale corpo a corpo che Nietzsche aveva ingag-
venne reso effettivamente calcolabile” (Nietzsche 1887,
giato con la morale cristiana lo aveva portato ad una
257). Questa è la preistoria dell’uomo civilizzato, reso
immedesimazione così profonda con la vicenda del cri-
“sino a un certo grado, necessario, uniforme, uguale
stianesimo da consentirgli di coglierne i significati più
tra gli uguali, coerente alla regola e di conseguenza
intimi e profondi, come forse nessun altro critico, per
calcolabile” (ivi, 256-7). Al culmine di questo processo,
quanto radicale, è riuscito a fare. A Nietzsche interes-
troviamo “l’individuo sovrano, l’individuo eguale soltan-
sava poco la ricostruzione etnologica e antropologica
to a se stesso, ... autonomo, sovramorale..., al quale è
9 L’attacco alla morale cristiana riassume forse il senso più profondo della riflessione nietzscheana. “La cecità di fronte al cristianesimo è il delitto par excellence...
La scoperta della morale cristiana è un avvenimento che non ha uguali, una vera
catastrofe” (Ecce homo 1888, 381 e 383). In questo, riconosce e proclama la sua
missione: “Chi può far luce su di essa [la morale cristiana], quegli è una force
majeure, un destino – spacca in due la storia dell’umanità. Si può vivere prima di
lui o dopo di lui... (ivi, 383).
36
10 Il riferimento è al famoso frammento Die Starken der Zukunft, che si trova
nell’edizione delle Opere complete di Friedrich Nietzsche, a cura di Colli e
Montinari, Volume VIII, tomo II, Frammenti postumi 1887-1888, fr. 9 [153], 789. Per un’analisi approfondita di questo passo e delle sue implicazioni, si veda
l’importante lavoro di Obsolete Capitalism, articolato in due contributi: I forti
dell’avvenire e Moneta, rivoluzione e accelerazione nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari (Rizosfera, 2016).
37
delle società primitive. Quello che gli interessava mo-
L’altro aspetto che rende discutibile il riferimento
strare era che il cristianesimo, con la sua morale del
a Nietzsche è nella negazione dello scambio come rap-
ressentiment, era intervenuto a modificare il regime di
porto fondante della società. Su questo punto l’argo-
funzionamento di quelle società basato sul dominio
mentazione di Deleuze-Guattari non è del tutto limpi-
dei “forti” e sulla morale aristocratica di cui erano por-
da. Sembrerebbe, infatti, fondarsi sulla famosa analisi
tatori. Al cristianesimo, secondo Nietzsche, andava im-
di Marcel Mauss11, ma questi non dice esattamente le
putata la responsabilità di avere imposto la “morale dei
cose che i due autori gli mettono in bocca. È vero che
servi”, inibendo ai forti l’esercizio dei loro istinti per
Mauss sottolinea il contenuto simbolico che nelle so-
nasconderli, comprimerli, nell’inconscio.
cietà primitive è parte integrante della dinamica del
dono, ma quello che maggiormente caratterizza l’in-
La lettura che Nietzsche restituisce dell’azione che
il cristianesimo ha esercitato sull’evoluzione della civiltà occidentale esibisce intuizioni che sembrano trovare conferma in alcune ricostruzioni storiche recenti.
Nietzsche sembra cogliere uno degli esiti più sorprendenti della rivoluzione culturale operata dal cristianesimo occidentale: l’individualismo e, con esso, l’emergere della responsabilità individuale. Le argomentazioni
di Nietzsche disegnano uno scenario che non è molto
tera sua analisi è la prospettiva in cui il dono è considerato come l’antesignano, l’antenato, dello scambio
di mercato. Mauss, come Nietzsche, come poi Lévi-Strauss, sembra ritenere che lo scambio di beni, qualunque forma assuma, e il rapporto creditore-debitore,
che ne è elemento inseparabile e costitutivo, siano i
cardini dell’ordine sociale, anzi i fondamenti su cui
solo è possibile costruirlo. Senza scambio di beni, verrebbe da dire, non vi è società.
lontano, ad esempio, da quello che ricostruisce Siedentop. (Anderson; Brown; Siedentop).
È la scoperta dello scambio che fonda la convivenza sulla base dei benefici che essa elargisce ai membri
Individualismo, carità, memoria, responsabilità,
della comunità.
peccato/colpa/debito, remissione dei peccati/debiti.
11 Si veda Deleuze-Guattari (1972), pp. 166-7.
38
39
La storia della civiltà, allora, è in massima parte la
semplice fatto che le due economie non coesistono e
storia delle forme che lo scambio di beni via via assu-
non si contrappongono, ma si succedono nel tempo.
me, fino alla dimensione generalizzata del mercato, in-
Esistono, invece, due fallacie simmetriche che segna-
sieme con gli obblighi e i rapporti di subordinazione
no il campo delle discipline sociali. Da un lato, quella
che esso istituisce. Tentare di esorcizzare la società di
che assolutizza lo scambio di mercato, costruendo una
mercato cercando nella savana gli elementi di una pos-
genealogia dell’economia di mercato a partire dal ba-
sibile alternativa è impresa vana e fuorviante. Si può
ratto che non ha alcun riscontro storico ed etnologico
ammettere che “la macchina primitiva non ignora lo
serio, e ha piuttosto l’aspetto di una “narrazione” a fini
scambio, il commercio e l’industria, ma le scongiura,
apologetici.
le localizza, le reticola”12, ma non è affatto detto che
ciò avvenga “perché flussi di scambio e di produzione
non vengano a spezzare i codici a vantaggio delle loro
quantità astratte e fittizie” (ivi). È assai più plausibile
che i “flussi di scambio e di produzione” siano impediti, ostacolati, non perché questa rappresenti una condizione ottimale o, tanto meno, perché sia intenzionalmente perseguita, ma, più semplicemente, perché la
comunità, governata dai codici, non è ancora in grado
di accoglierli, non ne ha ancora compreso ed esplorato
tutte le potenzialità.
Per essere più espliciti: non esiste un’economia del
dono separata e contrapposta all’economia di mercato. Tanto meno esiste nelle società primitive, per il
12 Deleuze-Guattari (1972/1975), p. 170.
40
Dall’altro, quella che favoleggia di un’economia del
dono in cui vigerebbe il regime della gratuità e che proprio in virtù di questa caratteristica godrebbe di uno
statuto morale, e sociale, superiore. Altra narrazione,
con fini, stavolta, denigratori nei confronti della realtà
attuale di una società la cui riproduzione è affidata a
un sistema di mercati interdipendenti. L’economia del
dono, contrassegnata dalla gratuità, è un’invenzione
moderna. La sua funzione è quella di indurre a sognare un’alternativa al capitalismo.
Un percorso simile, seppure più solido dal punto
di vista storico-antropologico, era stato seguito da Karl
Polanyi, che già nella sua opera maggiore, La grande
trasformazione (1944), partendo dall’assunto che il mer-
41
cato non è un dispositivo naturale, ma un costrutto so-
le nostre proiezioni, bensì un processo, fatto di sno-
ciale, tipizza tre modalità di scambio dei beni, che non
di, di conflitti, di incontri, attraverso cui il mondo che
a caso chiama “forme dell’integrazione”, a sottolineare
abbiamo sotto gli occhi, prima di tutti quello sociale, è
la funzione sociale dello scambio.
diventato quello che è.
La prima è la reciprocità, la seconda il dono, e la
La formidabile allucinazione consegnata all’Anti-E-
terza il mercato. Anche Polanyi è mosso dall’intento di
dipo contiene, come tutte le allucinazioni, abbaglianti
attaccare quello che, almeno dai tempi di Adam Smith,
momenti di lucidità, ma resta, nel suo insieme, una co-
è il pilastro su cui poggia l’intera costruzione dell’eco-
struzione che, specialmente a distanza di un quaran-
nomia di mercato, ovvero il fatto che questa discenda
tennio dal clima di eccitazione intellettuale in cui fu
necessariamente dalla naturale inclinazione dell’uomo
concepita, non appare all’altezza della realtà capitali-
a barattare e a commerciare.
stica del presente e, soprattutto, non sembra capace di
suggerire, come invece è stato a lungo sostenuto, una
Tentare di evitare le due fallacie di cui abbiamo appena parlato è un po’ come navigare tra Scilla e Cariddi. Impresa pericolosa e ardimentosa, com’è quella di
sceverare i fatti dalle preferenze politiche. Credo che
il cammino più salubre sia quello di mettere in fila il
più possibile i fatti noti e cercare di comprendere il
filo che li lega e che, nel corso del tempo e dell’evoluzione umana, li fa transitare l’uno nell’altro, facendo dell’uno il presupposto dell’altro e, nel contempo,
condizionando il percorso di questa perenne trasformazione. Quello che sarebbe interessante ricostruire,
allora, non è un antagonismo che è spesso il frutto del-
42
prospettiva alternativa. Il libro è manifestamente figlio
del clima “festivo” indotto dalla mobilitazione sociale
del 1968, in cui sembrava che, all’improvviso, tutto fosse diventato possibile e si potesse liberamente favoleggiare di mondi e stili di vita alternativi rispetto a tutto
quello che si trovava consolidato nell’ambiente sociale ereditato dal passato. Sembrava possibile un nuovo
inizio. Si è poi capito, a distanza di molto tempo, che
quella “festa” era, in realtà, un funerale, con il quale si
celebrava il trapasso di una speranza, di un miraggio,
che aveva attratto e distratto tanti uomini e donne per
più di un secolo. Restavamo immersi nel nichilismo e
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l’avvento degli “uomini forti”, capaci di pensare e cre-
passo citato dell’Anti-Edipo (272), mi preme sottoline-
are un avvenire, era differito a tempo indeterminato.
are come sia estremamente arduo, se non addirittura scorretto, il tentativo di ricollegarlo al frammento
Nella ripresa di Nietzsche che Deleuze e Guattari
pongono a fondamento della loro elaborazione, un
ruolo particolare, sottolineato ed esasperato dalla corrente dei cosiddetti “accelerazionisti”, è affidato a un
enigmatico passaggio posto alla fine del § 9 del Capitolo terzo, nei termini di un interrogativo cui, per il
momento, non c’è risposta:
nietzschiano, come gli autori pretendono. Per una
ragione fondamentale. L’argomentazione di Deleuze
e Guattari fa riferimento, come fanno più esplicitamente gli “accelerazionisti”, ai cambiamenti di natura
“oggettiva”, “strutturale”, indotti da quella che oggi
chiamiamo globalizzazione. Nietzsche ha in mente
tutt’altro. La sua è solo molto indirettamente una cri-
“Quale soluzione..., quale via rivoluzionaria?” (272).
tica del capitalismo. Nietzsche ha di fronte a sé i risul-
I due autori, facendo un imprecisato riferimento a
tati della décadence, il panorama desolato di un’umani-
Nietzsche, suggeriscono che la via per uscire dai con-
tà incanaglita dalla morte di Dio, vittima della morale
dizionamenti del mercato capitalistico possa non pren-
cattolica che l’ha snervata e smembrata. Il passaggio
dere necessariamente la forma di un rifiuto, di una
che egli intravvede e auspica, per propiziare il ritor-
fuoriuscita, dalle dinamiche del mercato mondiale,
no degli uomini forti, mossi dalla volontà di potenza,
ma debba puntare su di un loro allargamento accele-
consiste allora in un’intensificazione della tensione
rato. Non la rivoluzione contro l’ordine capitalistico,
che spinga gli uomini ad abbandonare la “morale dei
dunque, ma un’accelerazione dei processi che lo costi-
servi”, gli “istinti del gregge”, e a invocare l’avvento del
tuiscono, la decodificazione e la deterritorializzazione,
superuomo. “Il livellamento dell’uomo europeo”, in cui
per usare la terminologia dell’Anti-Edipo.
si concretizza il nichilismo, non va ostacolato, anzi, va
affrettato, perché si spalanchi quell’“abisso della distan-
Ora, senza entrare nell’ampio dibattito che si è svi-
za, della gerarchia” che giustifica l’intervento dei “forti
luppato nel campo “accelerazionista” sulla lettura del
44
45
dell’avvenire”, del “superuomo”13. Si tratta, dunque, di
In secondo luogo, anche ammettendo che, a partire
uno slittamento, di una discontinuità che si produce,
da Nietzsche, si possa costruire una prospettiva “accele-
per così dire, nella sfera della soggettività, che coin-
razionista”, ho mostrato altrove come questa non porti
volge i comportamenti degli uomini, il loro modo di
da nessuna parte e, anzi, possa risolversi, paradossal-
percepirsi, e porta all’instaurazione, fra di essi, di una
mente in una “fuga in avanti” che bypassa i problemi
gerarchia. Il “rimpicciolimento dell’uomo”, l’appiat-
reali del presente.
timento dell’uomo medio sulla dimensione economica del vivere, deve raggiungere il suo acme. “Appena
avremo raggiunto l’ormai inevitabile amministrazione
economica generale della terra, l’umanità come macchina potrà trovare in quel servizio il suo miglior senso: come un enorme ingranaggio di ruote sempre più
piccole, sempre più finemente ‘adattate’” (fr. 10 [17],
113); solo allora, quando sarà chiaro che si è perso il
senso di “questo enorme processo” prenderà vigore
3. Più di recente, il merito di aver riproposto con
dovizia di argomenti il tema del debito, ricollegandolo
alla natura e alla funzione della moneta, spetta indubbiamente a Michel Aglietta e André Orléan che nel
1998 hanno dato alle stampe, dopo oltre quattro anni
di elaborazione collettiva, un volume collettaneo, La
monnaie souveraine, in cui erano raccolti contributi provenienti dai più diversi ambiti disciplinari.
una ἐ ναντιοδρομία, un “movimento inverso”, capace di
Il punto di partenza era dato dall’idea che “la mo-
“generare l’uomo sintetico, assommante, giustificante, per
neta non appartiene esclusivamente e nemmeno pri-
il quale quella trasformazione in macchina dell’uma-
oritariamente all’economia, ma mobilita credenze e
nità è una condizione preliminare di esistenza, come
valori attraverso i quali si afferma l’appartenenza a una
un telaio su cui egli può inventare la sua superiore forma
comunità” (Aglietta e Orléan, 1998/2012, 7).
d’essere” (ivi, 113-4). Allora, l’umanità tornerà a interrogarsi sullo scopo di ciò che accade.
13 Vedi ivi, fr. 10 [17], 113-4. Cfr. anche il fr. 9 [17], 9 (sempre dell’autunno
1887): “Il rimpicciolimento dell’uomo deve valere a lungo come unico fine: infatti si devono prima creare vaste fondamenta, affinché vi possa poi sorgere sopra
una specie umana più forte…”.
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Questa impostazione è suggerita, in primo luogo,
dall’analisi antropologica, che ha osservato il fenomeno nei contesti sociali più diversi, nello spazio e nel
47
tempo. Ma è anche la chiave, secondo gli autori, per meglio
appare gravata da un vizio di impostazione, al di là delle sugge-
cogliere il fenomeno monetario nelle economie contempora-
stioni e degli spunti analitici di cui è ricca.
nee: “la moneta moderna rimane un’espressione della società
in quanto totalità; conserva il suo statuto di operatore dell’appartenenza sociale” (ivi, 10), ma “non è un’entità economica,
nemmeno nelle nostre società, perché è ciò attraverso cui è
pensabile l’economico e questo lo si può fare solo da un altrove non economico” (ivi, 20). “La moneta è un legame sociale
a due facce: quella della necessità e dell’obbligazione, da un
lato, e quella dell’apertura allo scambio e della fiducia, dall’altro” (ivi, 21). La faccia coercitiva della moneta, secondo quanto
sembrano suggerire gli insegnamenti dell’antropologia, si fonderebbe sul fatto che la moneta discende dal debito nel suo rapporto con la sovranità e, quindi, da una gerarchizzazione sulla
base del valore. È il debito, in un’accezione generalissima, che,
secondo gli autori, va a costituire il legame sociale che definisce
quali sono i soggetti che compongono una determinata società.
È quello che essi chiamano il “debito originario o primordiale”,
che è, nella sua essenza, “un debito di vita” (ivi). Questa sarebbe
la chiave per comprendere il fenomeno della moneta e il suo
funzionamento al di fuori di ogni prospettiva economicistica:
“il debito primordiale rimane il concetto adeguato che permette di pensare la società nella sua interezza e il suo movimento...
[e] continua a illuminare la nostra comprensione della moneta” (ivi, 22).
L’idea di un “debito primordiale”, di “un debito di vita”, non
può essere considerata e trattata come la matrice di un processo evolutivo che, attraverso una serie di metamorfosi non
spiegate, conduce al debito quale oggi lo conosciamo, in una
società plasmata dallo spirito capitalistico. Se si vuole rimanere
in una prospettiva antropologica, il “debito primordiale” può
essere eventualmente concepito come un archetipo nel senso
junghiano, come una forma di rapporto che sopravvive nell’inconscio collettivo e per questa via favorisce e accompagna, nella concreta realtà storica vissuta dagli individui, una soluzione
piuttosto che un’altra. Ma non certo come il fattore che “produce” la singola configurazione storica. Ora, per quanto fecondo
di illuminazioni questo approccio possa essere, esso comporta un inconveniente fondamentale, dal nostro punto di vista,
in quanto non consente di cogliere il fattore di discontinuità
determinato dall’insorgere dello spirito capitalistico. Sfugge,
in questa prospettiva, tutta la pregnanza del passaggio storico
cruciale attraverso cui la diffusione del capitalismo nelle società
europee impone la moneta, il mezzo di pagamento, come dispositivo sociale necessario per accedere alla sfera dei beni. Lo
scambio monetario o, meglio, il pagamento in moneta, assorbe,
a poco a poco, tutte le forme di scambio in cui si articola e di cui
si alimenta la vita della società. È questo il passaggio che risolve
L’intera argomentazione dei teorici del “debito primordiale”
l’intera vita sociale in un sistema dei pagamenti che costituisce
la moneta nella forma e nel significato con cui ancora oggi si
della coesione sociale. La moneta viene, dunque, concepita e
presenta.
analizzata come “istituzione sociale” e, quindi, come oggetto sociale complesso, che non può essere ridotto a una scelta di co-
Più specificamente, la parte dell’argomentazione che tratta
dell’“autorità pubblica sulla moneta” non tiene conto del fatto
fondamentale che oggi la moneta è essenzialmente il prodotto
di agenzie private, che interagiscono con l’autorità pubblica ma
solo al fine di perseguire obiettivi propri, privati. Finché il sistema gira, consentendo una progressiva estensione del debito e,
con esso, dei profitti finanziari, il ruolo dell’“autorità pubblica”,
della banca centrale, è puramente passivo; si limita a registrare
e assecondare le operazioni finanziarie che ampliano la dimensione del debito privato. È solo nel momento in cui si verifica
una crisi ossia, per una qualche ragione, il debito in essere comincia ad apparire insostenibile, preannunciando che almeno
alcune istituzioni finanziarie non saranno in grado di rinnovarlo, che l’“autorità pubblica” ritrova il suo ruolo di garante del
sistema. Nelle situazioni di crisi finanziaria emerge, con tutta
evidenza, che “il sistema dei debiti poggia solo sulla fiducia”
modo di coloro che effettuano atti di compravendita sul mercato. L’ampio utilizzo delle indagini antropologiche serve a dare
spessore a una concezione della moneta svincolata dall’ipoteca
economicistica, dando invece risalto alla “dimensione arcaica e
olistica” (ivi, 359) che ancora inerisce alle monete moderne, la
cui utilità ermeneutica consisterebbe proprio nel fatto di mostrarci il ruolo che la moneta gioca “nell’insieme dei processi
e delle relazioni attraverso le quali una comunità si costituisce
come autorità sovrana” (ivi, 360). L’arcano della moneta moderna sarebbe, dunque, violabile facendo ricorso alle sue origini arcaiche: “La moneta è un insieme di regole che determinano l’appartenenza di ciascuno alla società mercantile” (ivi).
Ne risulterebbe la sostanziale irriducibilità della moneta all’impianto individualistico dell’economia di mercato: “la moneta è
un bene pubblico che confina con il sacro, come attesta la fede
sociale che la fonda” (ivi, 361).
(ivi, 28) e che questa fiducia è un prodotto sociale complesso,
che richiede l’intervento di una molteplicità di fattori, regole e
L’obiettivo polemico di questo tour de force analitico è chiaro.
istituzioni, che, in condizioni di “normalità”, vengono dati per
Si tratta di mettere in discussione l’ordine economico e sociale
scontati.
capitalistico, attaccandone uno dei pilastri: l’individualismo, e
con esso l’istituto del contratto, che ne è l’inevitabile corolla-
Uno dei pregi maggiori del lavoro di Aglietta-Orléan è di
avere incorporato nell’analisi dei fenomeni monetari la dimensione politica, prendendo in considerazione il tema cruciale
rio. Ma così facendo si perde di vista, a mio avviso, la specificità
capitalistica dei sistemi monetari moderni e se ne occultano i
processi, le trasformazioni, che l’hanno instaurata.
Gli autori del volume sembrano incappare nella fallacia op-
opportuno osservare che il termine “Anweisung”, utilizzato da
posta e simmetrica a quella dei monetaristi, ossessionati dal
Simmel per definire la moneta,proviene dal diritto delle obbli-
dogma della neutralità della moneta: la moneta come espres-
gazioni tedesco, dove sta a indicare una scrittura mediante la
sione dell’autorità sovrana. Sullo sfondo si vede ricomparire un
quale il traente dà mandato a un altro soggetto (trattario), che
fantasma novecentesco, quello del contrasto irriducibile fra
accetta, di consegnare a un terzo soggetto, per suo conto, de-
individualismo e collettivismo. Gli autori del volume, che con
naro, banconote o altri beni fungibili a titolo di pagamento. In
tanta partecipazione si dedicano alla ricostruzione della natura
tal modo, il trattario può estinguere un debito nei confronti del
olistica delle istituzioni sociali primitive, sembrano disinteres-
traente oppure costituire un credito nei suoi confronti. Si tratta
sarsi dei duemila anni in cui è emerso l’individualismo come
di uno strumento molto prossimo all’assegno o alla cambiale,
elemento portante delle nostre società, a partire dall’afferma-
sorto nell’ambito delle pratiche commerciali, le cui origini risal-
zione e diffusione del cristianesimo.14
gono addirittura al diritto romano, oggi in disuso.
Quella che desta maggiore perplessità è l’idea che la mone-
Più interessante e significativo, mi pare, è richiamare il fat-
ta, come oggi la conosciamo, possa essere meglio compresa fa-
to che, nel saggio più compiuto pubblicato in vita sulla teoria
cendo riferimento alle sue configurazioni arcaiche.
della moneta, Schumpeter (1917-18), definisce per l’appunto
la moneta come un’“Anweisung”, un’assegnazione, spiegando,
In buona sostanza, Orléan non fa che riprendere acriticamente l’idea centrale di Simmel, secondo cui “alles Geld nur
tuttavia, che la intende come un titolo che abilita chi lo detiene
ad attingere dal grande serbatoio di beni e servizi che rappre-
7
eine Anweisung auf die Gesellschaft ist” (1900, 1977 , 163) ov-
senta il prodotto sociale annuale di una determinata economia.
vero “tutta la moneta non è altro che un’assegnazione nei confronti della società”. Ne consegue, nella prospettiva simmelia-
Per Schumpeter la moneta è un “gettone”, un Rechenpfennig,
na, che “la risoluzione di ogni obbligazione privata tramite la
come lo definisce, che consente di partecipare al gioco del mer-
moneta significa, appunto, che ora è la comunità ad assumersi
cato nella veste di acquirente.15 Questa è l’essenza della moneta
questa obbligazione nei confronti dell’avente diritto” (ivi). È
in un’economia monetaria pienamente dispiegata com’è quella
14 Faccio riferimento, ovviamente, alla illuminante e affascinante ricostruzione di Larry Siedentop, Inventing the Individual. The Origins of Western Liberalism, The Belknap Press, Cambridge Mass., 2014 (trad. it., L’invenzione dell’individuo. Le origini del liberalismo occidentale, Luiss
University Press, Roma 2016). Oltre che alla rilevante letteratura storica che studia l’insorgere dell’individualismo nella società medievale. Basterebbero questi lavori per suggerire
l’insostenibilità dell’identificazione fra individualismo e capitalismo.
capitalistica attuale. Per quanto rilevanti e affascinanti siano i
15 Storicamente i Rechenpfenning erano gettoni utilizzati dai mercati del medioevo per fare di
conto e tenere la contabilità, al posto dell’abaco, anche se la logica di funzionamento era la
stessa. Furono ampiamente utilizzati, specialmente nell’Europa centrale e settentrionale, dal
medioevo fino al XVIII secolo.
risultati della ricerca antropologica ed etnologica, non
tario non è “il corpo sociale”, la società, bensì l’autorità
c’è bisogno di farvi ricorso per illuminare il fenome-
statale, il sovrano, lo stato. È questa, a ben intendere,
no monetario nella sua configurazione attuale. Anzi,
la “logique du sceau” (la logica del sigillo) di cui parla
per certi aspetti, come si è visto, possono anche essere
Orléan (365), non quella che fa riferimento al “proces-
fuorvianti. Il carattere di istituzione sociale che ine-
so collettivo attraverso cui ciascuno sperimenta la soli-
risce alla moneta, come vede chiunque non sia acce-
dità dei legami sociali che costituiscono la comunità di
cato dalla narrazione dell’economia neoclassica, può
mercato” (366).
essere efficacemente ed esaurientemente ricostruito
anche partendo dalla moneta intesa come “gettone”.
Da questa angolatura, infatti, è più agevole ricostruire
il lungo e variegato processo che l’ha progressivamente assoggettata alla logica capitalistica, spogliandola di
ogni altra caratteristica e facendone il perno delle relazioni di mercato che oggi coprono quasi l’intera vita
sociale. La chiave di questo processo è la monetizzazione dell’economia. È per questa via che si afferma una
nuova socialità, plasmata dalle relazioni di mercato, e
si impone una nuova governamentalità imperniata sulla interiorizzazione del vincolo monetario.
La moneta, contrariamente a quanto sostiene Orléan sulle orme di Simmel, non è “un’assegnazione
nei confronti della società”, bensì un’assegnazione nei
confronti del prodotto sociale, e “l’istanza mediatrice”
che interviene a garanzia della fiducia nelsegno mone-
4. Sempre nel 2011, sulla scia dei lavori di un sociologo italiano che lavora a Parigi, si è imposta all’attenzione, specialmente del pubblico di sinistra, la nozione
dell’“uomo indebitato”, sulla base della quale sarebbe
possibile rileggere in maniera più penetrante la condizione attuale del capitalismo. Il capitalismo dell’epoca cosiddetta “neoliberista” avrebbe creato la figura
dell’“uomo indebitato” come perno di un nuovo regime di dominio e di governo. Il capitalismo si sarebbe
trasformato in un’economia del debito.
La fabbrica dell’uomo indebitato (2011) è un lavoro suggestivo e provocatorio, scritto in uno stile volutamente
rozzo e poco incline alle sfumature. Ma, una volta riconosciuto l’indubbio merito di aver tentato di proporre
un’analisi del debito in una prospettiva foucaultiana,
come dispositivo della nuova governamentalità neo-li-
55
berale, non si riesce a sfuggire all’impressione che si
lettivo” (com’è fatto?) et hoc genus omne, come avrebbe
regga su di un fondamento tutto sommato banale. È
detto il vecchio Marx, con una delle sue caratteristiche
ovvio, infatti, che l’instaurazione di un rapporto di de-
espressioni. Se oggi si vuole puntare a riproporre un
bito, che può nascere solo da uno stato di necessità e,
punto di vista marxiano sul capitalismo, anche passan-
quindi, da una coercizione, dispiegata o latente che sia,
do attraverso Foucault, Deleuze e Guattari, non si può
pone l’indebitato in una posizione d’inferiorità che ne
fare a meno di sottoporre a una verifica critica questi
detta i comportamenti, che gli impone di conformar-
concetti così fumosi che già tanti danni hanno fatto.
si ai dettami del creditore. L’estensione del rapporto
Per essere più precisi, non è possibile proporre una
di debito e, quindi, della condizione di indebitato alla
nuova analisi critica del capitalismo, senza una nuova
stragrande maggioranza dei membri della società si
teoria della società.
traduce, inevitabilmente, in uno strumento di governo degli uomini. Diventa il veicolo attraverso cui gli
uomini interiorizzano il rapporto di subordinazione
e il disciplinamento dei loro comportamenti da parte
di una potenza esterna. Il lavoro di Lazzarato ci investe con una quantità di affermazioni perentorie, dal
tono desueto, ma non riesce a convincerci che siamo
in presenza di un’analisi più avanzata della realtà capitalistica rispetto a quelle che troviamo nel tradizionale
armamentario marxista. Ricompaiono le marionette
di un tempo, ma la recita non è più la stessa e anche
la scena è molto cambiata. La “lotta di classe” (quali
sono e come si definiscono oggi le classi?), il “capitale
sociale” (dove lo si può ammirare?), il “capitalista col-
Tante, decisamente troppe, sono le cose date per
scontate, a partire dalla diagnosi che apre il volume:
“... il capitalismo è entrato in un’impasse storica. Dal
2007 è vivo grazie alle trasfusioni di somme astronomiche di denaro pubblico. Eppure continua a girare a
vuoto” (6). Può essere che sia così, ma una riflessione
sulla natura e sul ruolo delle crisi e delle innovazioni
tecnologiche nell’evoluzione del capitalismo sarebbe
stata opportuna. Un’altra affermazione, in cui ci si imbatte ad apertura di libro, e che lascia assai perplessi è
la seguente: “Di fronte al capitale, che si presenta come
il Grande Creditore, il Creditore universale, sono tutti
‘debitori’, colpevoli e responsabili” (23). Da quale analisi possa derivare questa affermazione non è chiaro,
56
57
perché tutto quello che si può dire sul “capitale”, am-
pubblico, nell’economia attuale, non è un debito nel
messo che si sappia cosa significa questo termine, sulla
senso comune della parola e tanto meno rassomiglia
base di ogni genere di analisi, è che il “capitale” costitu-
al debito di famiglie e imprese. Non si tratta, infatti,
isce, semmai, il Debitore universale, perché il capitale,
di un debito che deve essere restituito. Deve solo es-
in senso un po’ più tecnico ma sempre elementare, è
sere gestito sui mercati finanziari e nel sistema delle
davvero debito e quello che si tratta di spiegare è la
relazioni geopolitiche. La principale funzione che as-
natura e il modus operandi di questo debito.
solve è quella di fornire al sistema economico i mezzi
di pagamento necessari al suo funzionamento. Affer-
Ammesso, e non concesso, che abbia senso parlare di economia del debito, il debito è quello su cui si
fondano tutte le intraprese che vanno sotto il nome di
capitalismo.
58
mare che ogni bambino nasce oggi gravato da alcune
decine di migliaia di euro di debito è del tutto privo di
senso, perché nessuno chiederà mai a quel bambino
di restituire alcunché. L’unica cosa vera, che varrebbe
Un altro dei punti deboli dell’argomentazione di
la pena di approfondire seguendo le piste foucaultia-
Lazzarato sta, a mio avviso, nell’uso indiscriminato del
ne, è che la gestione del debito pubblico insieme con
termine “debito” per designare, indifferentemente, il
una serie di altre pratiche economiche contribuisce a
debito pubblico, il debito estero e il debito, che sono
disegnare il sistema delle relazioni di potere entro cui
fenomeni assai diversi tra di loro e hanno conseguen-
si svolge la vita degli individui in una data situazione
ze diverse sul funzionamento dell’economia e della
e in un determinato periodo storico. È uno dei dispo-
società. Sono diverse, inoltre, le loro valenze politi-
sitivi attraverso cui si realizza la governamentalità at-
che. Assimilare queste tre forme di debito serve forse
tuale, ma non è il solo e funziona solo in sinergia con
a costruire la narrazione dell’“economia del debito”,
le altre pratiche economiche. Lazzarato, tuttavia, non
ma non ha alcun fondamento analitico e risulta, anzi,
ama Foucault ed evita di seguirlo sul terreno di una
fuorviante per chi intenda comprendere in profondi-
ricostruzione rigorosa della governamentalità attuale.
tà il funzionamento dell’economia attuale. Il debito
Le pagine destinate a Foucault ne La fabbrica dell’uomo
59
indebitato testimoniano di una lettura affrettata, quasi
per anticipare spese, necessarie o voluttuarie, che si
interamente imperniata sulla Nascita della biopolitica.
potrebbero permettere solo dopo aver risparmiato e
Dopo aver ridotto a macchietta il complesso e varie-
accumulato i mezzi di pagamento necessari. In questo
gato discorso ordoliberale che, secondo Lazzarato, si
senso, i mezzi di pagamento ottenuti tramite la con-
risolverebbe nel perseguimento della “‘deproletarizza-
cessione di un credito e a fronte di un indebitamento
zione’ della popolazione”,16 è la volta di Foucault, cui
consentirebbero di “comprare” il futuro, nel senso di
viene imputato di essere rimasto condizionato da una
ampliare artificialmente la capacità di spesa. E questa
“versione ‘industriale’ del neoliberismo” (105). Ciò
è la dimensione positiva del debito, su cui ha fatto leva
gli avrebbe impedito di cogliere lo spostamento della
lo spirito capitalistico, una dimensione di libertà che
governamentalità verso l’“economia del debito” che,
potenzia le capacità umane, amplia le possibilità di
viceversa, non sarebbe sfuggito a Deleuze che già nel
operare, in vista di un guadagno o del semplice godi-
1990 parlava dell“uomo indebitato” quale protagonista
mento di un bene o di un servizio. Ma, come è proprio
della “società di controllo” che si stava sostituendo alla
della maggior parte dei fenomeni sociali, vi è anche
“società disciplinare” di cui, principalmente, si era oc-
l’aspetto negativo. Si può essere costretti a indebitar-
cupato Foucault.17
si, semplicemente perché le risorse disponibili, il potere d’acquisto di cui si dispone, non sono sufficienti
Cosa diversa è il debito privato, quello cui fanno
ricorso imprese e famiglie. Le prime vi fanno ricorso
sistematicamente per effettuare gli investimenti desiderati per i quali non dispongono dei mezzi di pagamento necessari. Le seconde ricorrono al debito
16 Non so da dove Lazzarato abbia ricavato questa versione semplificata dell’impostazione ordoliberale, e a quale autore in particolare si riferisca. Com’è noto,
una cosa è riferirsi all’opera di Franz Böhm e di Walter Eucken, specialmente
agli scritti degli anni trenta, o a quella di Wilhelm Röpke o di Walter Rüstow,
per non parlare di Hans Müller-Armack.
17 G. Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, Quodlibet 2000, 239.
60
a mantenere il tenore di vita o il livello di produzione
che si ritiene necessario e adeguato. In questo quadro,
il debito è il dito su cui Lazzarato fissa lo sguardo invece di guardare alla luna, che è costituita dal fatto che
gli “uomini forti” che hanno sviluppato il capitalismo,
attraverso la monetizzazione dell’economia, ci hanno
contemporaneamente imposto di vivere all’interno di
un sistema dei pagamenti che trasforma l’intera vita
61
sociale in un gigantesco e potenzialmente esaustivo si-
di condizionamento maggiore sta nelle mani del credi-
stema di contabilità sociale.
tore o del debitore. La capacità di indebitarsi impunemente è la massima espressione del potere.
C’è, infine, il debito estero ovvero l’ammontare del
debito pubblico e di quello privato nei confronti di
In conclusione, il libro propone temi e argomenti
creditori esteri. È una misura indiretta del grado di au-
certamente rilevanti, ma l’argomentazione non sem-
tonomia di un paese rispetto alla posizione che occupa
bra all’altezza degli obiettivi proposti. Non consente,
nel sistema delle relazioni internazionali.
insomma, di cogliere la complessità e anche l’ambiguità del fenomeno del debito quale si è venuto a configu-
Questo vale per tutti i paesi tranne uno, ovvero quel-
rare nelle società a capitalismo avanzato.
lo che controlla la moneta alla base del sistema monetario internazionale, attualmente gli Stati Uniti. Pro-
5. Un altro lavoro, che ha goduto di un successo
prio in virtù di questa prerogativa o, meglio, di questo
planetario, è quello di David Graeber (2011), un an-
privilegio, gli Stati Uniti si possono permettere di esse-
tropologo e attivista politico americano, esponente del
re, in termini assoluti, il maggior debitore mondiale,
movimento “Occupy Wall-Street”, che si è impegnato
avendo come massimi creditori la Cina e il Giappone,
a ricostruire l’evoluzione del debito dalla preistoria a
senza dover sottostare a particolari vincoli. In questo
oggi.18 Lavoro molto impegnativo e pretenzioso, è an-
caso, il debito estero è la misura del grado di egemonia
ch’esso costruito in maniera piuttosto approssimativa,
che è in grado di esercitare il paese egemone. Anche
interpretando in maniera superficiale fonti molto ete-
questo caso ci ricorda che il debito è un fenomeno an-
rogenee che coprono una storia di 5000 anni, com’è
cipite, che non può essere considerato isolatamente,
scritto nel titolo, e incorrendo non di rado in anacroni-
ma deve essere collocato sullo sfondo di relazioni complesse che si misurano con il livello assoluto di potere
che i soggetti interessati sono in grado di esercitare. In
base a ciò si determinerà, di volta in volta, se il potere
62
18 Una certa entusiastica leggerezza dell’autore è testimoniata da affermazioni disinvolte quanto perentorie come questa: “There is very good reason to believe
that, in a generation or so, capitalism itself will no longer exist -- most obviously,
as ecologists keep reminding us, because it’s impossible to maintain an engine
of perpetual growth forever on a finite planet” (Graeber 2011, 381-2) o questa,
ancora più azzardata: “What is a debt, anyway? A debt is just the perversion of a
promise. It is a promise corrupted by both math and violence” (ivi, 391).
63
smi. Il gusto per la ricostruzione aneddotica, ancorché
debiti predicata nella Bibbia (Deuteronomio 15:1-6) e
brillante, prevale sulla spiegazione. Malgrado la mole
praticata, pare, nel mondo assiro-babilonese all’atto di
e la quantità di fonti citate, è solo in parte un lavoro
insediamento di un nuovo re.
storico; ha molto più i tratti di un pamphlet politico.
La cosa appare del tutto evidente nel capitolo conclusivo. Il fenomeno del debito è trattato prevalentemente
sotto un profilo morale. Il debito è considerato, correttamente dal mio punto di vista, come il meccanismo
su cui fa perno il funzionamento del capitalismo. Ma
sulla base di questa considerazione, abbinata a una
condanna morale del debito, Graeber sviluppa una
condanna senza appello del sistema capitalistico che
appare affrettata e superficiale dal punto di vista teori-
64
Ma vediamo più da vicino come si sviluppa l’argomentazione di Graeber. Il libro è un sorprendente coacervo di analisi interessanti, anche se spesso non nuove
e originali, e di giudizi perentori e sbrigativi, non supportati da argomentazioni convincenti, specialmente
per quanto riguarda il periodo dagli anni settanta a
oggi. Si basa su di un’imponente letteratura, proveniente dalle più diverse discipline sociali, che non di
rado appare letta frettolosamente e acriticamente.
co, e inservibile da quello politico. Il volume si dilunga
Il percorso di Graeber si snoda a partire da una do-
a elencare una quantità di torti, di soprusi, di violenze,
manda che incombe su tutto il libro: “Com’è che le
di cui il debito sarebbe responsabile. Risuonano qui gli
obbligazioni morali fra persone sono arrivate a essere
accenti di una storia millenaria, in cui il debito indivi-
pensate come debiti e, di conseguenza, hanno finito
duale ha sempre giocato la parte di genio malefico, di
per giustificare comportamenti che altrimenti appa-
nemico dell’ordine sociale. La liberazione dal grava-
rirebbero del tutto immorali?” (158; vedi anche 130);
me del debito, l’istituzione di una moneta debt-free e la
passa attraverso una prima risposta che poggia sulla
costruzione di un’economia anch’essa debt-free, diven-
distinzione fra “economie umane” ed “economie mer-
tano un obiettivo politico offerto alla sinistra di tutto il
cantili” e giunge a negare la legittimità del debito. Il
mondo per rinnovare il suo armamentario ideologico.
passaggio cruciale è “quando le economie umane ini-
Si intravvede, sullo sfondo, la periodica remissione dei
ziano a cedere di fronte alle economie commerciali o
65
a esserne soppiantate” (130). La chiave di volta dell’in-
mico, la sostenibilità analitica di quella dicotomia, sia
tera costruzione è l’identificazione del debito con la
in Polanyi che in Graeber, comincia a traballare. Così
moneta.
come l’altra dicotomia, cara a tanta parte della critica
di sinistra al capitalismo, che oppone stato e mercato.
I primi sette capitoli, in cui Graeber presenta i suoi
strumenti analitici, offrono un’ampia carrellata sull’evoluzione storica della moneta e del debito che, si presume, dovrebbe andare a supportare l’idea basilare di
Graeber che esistano “economie commerciali” contrapposte alle “economie umane”, secondo una distinzione che si può forse riportare al concetto polanyiano di “economies embedded in society”, peraltro non
richiamato da Graeber, che cita Polanyi solo di sfuggita in nota e non a questo proposito. La cosa risulta
abbastanza strana, perché Graeber utilizza la contrapposizione fra “economie commerciali” ed “economie
umane” in una prospettiva critica molto simile a quella
di Polanyi. Anche in Polanyi, infatti, la dicotomia fra
economie “embedded” nella società e “disembedded”,
come l’economia di mercato, seppur costruita sulla
Queste dicotomie, per quanto affascinanti, appaiono
troppo ovvie e, nel contempo, dicono troppo per risultare adeguate a una realtà economica come quella
attuale, il cui tratto caratteristico è la complessità dei
nessi e la molteplicità delle articolazioni. Sarebbe bene
abbandonare queste dicotomie e fissare l’attenzione
sugli intrecci che collegano queste presunte realtà opposte. La realtà non è fatta di economie umane o di
economie commerciali, di economie “embedded” o
“disembedded”, così come non esiste un’alternativa
secca tra stato e mercato. La realtà è fatta di una combinazione, variabile nel tempo e diversa da contesto a
contesto, di soluzioni istituzionalizzate che regolano
una pluralità di rapporti economici. Le schematizzazioni dicotomiche non solo non aiutano a comprendere la realtà, ma portano fuori strada.
scorta di un’ampia analisi del materiale etnologico di-
66
sponibile, è fortemente condizionata da l’obiettivo po-
Propongo di considerare l’economia come un pro-
lemico di criticare l’economia capitalistica che avreb-
cesso d’interazione istituzionalizzato fra gli uomini e il
be assoggettato la società al funzionamento di regole
loro ambiente naturale e sociale che ha come oggetto
esterne a essa. Se si toglie di mezzo l’obiettivo pole-
e come fine la produzione e la distribuzione dei beni e
67
servizi necessari alla riproduzione della società.
margini del territorio occupato dalla comunità, non
significa certo che la loro presenza non coinvolgesse la
È necessario sottolineare che questa interazione è il
campo in cui si manifestano anche le relazioni di po-
comunità, e non interagisse con il suo funzionamento,
trasformandone le modalità.
tere che hanno radice nella irriducibile diversità degli
esseri umani.
La cosa che colpisce di più, nel lavoro di Graeber,
è la mancanza di un impianto teorico e, ancor più, di
Credo che, in prima approssimazione, Polanyi, e
forse anche Graeber, potrebbero ritrovarsi in questa
definizione. Ma se poniamo davvero al centro dell’attenzione e dell’analisi il “processo d’interazione”, le
divergenze non tardano a manifestarsi. Anche l’istituzione del mercato, infatti, quale viene diffondendosi e
sviluppandosi, in un lunghissimo arco di tempo e nelle
più diverse condizioni, fino a diventare, nel contesto
europeo, l’infrastruttura fondamentale dell’economia
capitalistica, appare come il frutto di questo processo
d’interazione. Non è un qualche potere esterno alla
società che l’ha creato, imponendolo alla società. I
mercati sono sorti, e con il tempo hanno trovato una
stabilizzazione istituzionale, per iniziativa di gruppi di
individui che sperimentavano soluzioni nuove e più
efficaci nel rendere disponibili beni ai membri della
un’impostazione metodologica. Il percorso dell’argomentazione è randomico e il ragionamento è spesso
condito con affermazioni di sconcertante banalità; tre
fra le tante: “la moneta non ha essenza” (372); [il capitalismo] “è in definitiva un sistema di potere e di esclusione” (381); “Ci sono buone ragioni per ritenere che,
entro una generazione o giù di lì, il capitalismo non esisterà più... perché è impossibile mantenere un meccanismo di crescita perpetua in un mondo finito” (381-2).
Qui l’ideologia anticapitalistica sembra prendere il sopravvento sull’analisi. Il passaggio dall’amministrazione
Nixon all’era Reagan, considerato, a ragione, decisivo
nell’evoluzione del capitalismo statunitense è descritto
in maniera affrettata e superficiale, come una vicenda
giocata interamente sul terreno dell’ideologia, con la
vittoria, non spiegata, delle forze più rozze e retrive.
comunità. Il fatto che per lungo tempo i mercati, fisicamente intesi, abbiano trovato una collocazione ai
68
In buona sostanza, Graeber ritiene che il capitali-
69
smo sia di per sé incapace di includere la totalità della
il mercato, che consentono di quantificare l’impegno
popolazione nel processo di creazione e distribuzione
trasformandolo in debito.
della ricchezza e che le crisi siano, in definitiva, crisi
di inclusione. In questa prospettiva, risulta svalutato
anche il periodo del cosiddetto “compromesso keynesiano”, considerato come uno dei diversi, fallimentari,
tentativi di inclusione. Giunti al termine della lettura,
si ha l’impressione che l’autore sia il primo a non aver
compreso fino in fondo la mole di fatti e di significati
che è venuto esponendo lungo tutto il libro nel tentativo di ricostruire la storia del debito. “Alla fine, cos’è
un debito? - si chiede Graeber – Un debito è solo lo
stravolgimento di una promessa. È una promessa stravolta dalla matematica e dalla violenza” (391). Non c’è
più traccia su tutto ciò che è stato detto nei capitoli
precedenti riguardo al ruolo ricoperto dal debito nel
costituire il legame sociale. Stendiamo un pietoso velo
sulla filosofia d’accatto che occupa le ultime pagine
del libro.
“La violenza e la quantificazione”, dunque, “sono
intimamente legati” (14). Il peccato originario che sta
dietro a queste aberrazioni è il fatto di avere accettato
di “ridurre le relazioni umane a scambi” (18), mentre,
secondo l’autore, si tratta di riscoprire, sulla scorta
dell’antropologia, “la base morale della vita economica” (ivi). Resta assodato che “il principio stesso dello
scambio è emerso in gran parte come effetto della violenza” e che “le vere origini della moneta vanno rinvenute nel crimine e nel risarcimento, nella guerra e
nella schiavitù, nell’onore, nel debito, e nel rimborso”
(19). Non vi è alcun dubbio, dunque, che, in questa
prospettiva, la lettura della storia del debito sia funzionale alla formulazione di una condanna senza appello
dell’economia di mercato e del capitalismo. E questo
nobile obiettivo, naturalmente, giustifica anche qualche forzatura interpretativa. Il debito diventa una ca-
70
L’asse intorno a cui Graeber organizza la sua ricer-
tegoria generica e onnicomprensiva, in cui rientrano,
ca è costituito dall’idea che il debito sia strettamente
senza particolari distinzioni, il debito pubblico, il debi-
intrecciato con la violenza e sia responsabile dello svi-
to privato e il debito internazionale. Quello che conta
limento degli impegni morali ridotti, appunto, a debi-
è far emergere il debito come lo strumento attraverso
ti (13). Questo passaggio avviene tramite la moneta e
cui i detentori del potere hanno sempre soggiogato e
71
controllato la stragrande maggioranza della popolazio-
cipi morali fondamentali su cui si possono fondare le
ne. I creditori sono i dominatori della storia.
relazioni economiche in ogni società umana; li chiamerò: comunismo, gerarchia e scambio” (94).
Salvo poi riconoscere che i più grandi debitori di
oggi, le grandi compagnie industriali e finanziarie,
Non sono poche le riserve che questa impostazione
sono quelli che hanno la forza di sottrarsi all’obbligo
suscita. La prima perplessità nasce dal fatto di vedere
di ripagare il debito.19
il comunismo, la gerarchia e lo scambio trattati come
principi morali piuttosto che come forme organizzati-
Allora, come stanno davvero le cose? Forse, il problema fondamentale è quello del potere, e il debito è
solo uno dei terreni su cui entrano in gioco le relazioni
di potere? La storia reale dei rapporti fra creditori e
debitori è molto più controversa e frastagliata di quello
che Graeber vorrebbe farci credere.
ve. Graeber, però, non dà spiegazioni: prendere o lasciare. Sorprende, in particolare, il trattamento riservato alla nozione di comunismo, di cui, con un tratto
di penna, viene cancellato tutto il denso passato. Per
Graeber, il comunismo non è quella cosa in cui centinaia di milioni di persone hanno creduto e per cui
Da questo punto di vista, il capitolo più sconcertan-
hanno lottato, ovvero la proprietà comune dei mezzi
te e rivelatore del libro è il quinto, dove Graeber discu-
di produzione intesa come l’unica condizione in grado
te i “fondamenti morali delle relazioni economiche”.
di garantire una società giusta ed egualitaria, ma è solo
Affastellando in maniera piuttosto disordinata una
un altro nome per intendere la reciprocità. Il comuni-
quantità di casi provenienti dalla letteratura antropo-
smo non riguarda la proprietà collettiva dei mezzi di
logica e riguardanti le culture e le epoche più diverse
produzione, ma le modalità di relazione fra le persone.
e lontane fra di loro, Graeber ritiene di poter giungere
Così, all’improvviso, il comunismo è dappertutto, e ci
alla conclusione che si possono individuare “tre prin-
scopriamo tutti comunisti, perché tutti siamo adusi a
una qualche forma di reciprocità. Il comunismo si in-
19 Proprio all’inizio del libro, Graeber cita in exergo un noto proverbio americano: “Se devi alla banca centomila dollari, la banca ti possiede. Se devi alla banca
cento milioni di dollari, sei tu a possedere la banca” (1).
72
sinua, addirittura, all’interno delle imprese, che sono
isole di comunismo, e di gerarchia in mezzo a un mare
73
di scambi.20 Ancora più sconcertante è il principio che
reciprocità. Non c’è molto da aggiungere a questa ma-
Graeber intende porre a base della “nuova” idea di co-
niera disinvolta e inconcludente di riscrivere la storia.
munismo: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” (94 sgg.). Si tratta, come
noto, di uno slogan antico,21 per non direantiquato; in
ogni caso, come tutti gli slogan, ha solo una funzione
evocativa e non pretende di esprimere contenuti determinati. Oggi più che allora. Qualcuno ha idea di come
si potrebbero individuare e riconoscere le capacità di
ciascuno in un mondo del lavoro così differenziato e
complesso come quello attuale e senza l’ausilio delle
dinamiche di mercato? Oppure chi e come potrebbe
definire e riconoscere i bisogni di ciascuno? Sarebbe il
Leviatano a farlo oppure una “semplice” consultazione
in rete?
Non meno superficiale appare anche l’identificazione dello scambio come una relazione basata sulla reciprocità e sull’uguaglianza formale. Sebbene le due dimensioni, specialmente la seconda, siano ampiamente
diffuse e condivise, esse non reggono a un’analisi più
approfondita e scevra da pregiudizi ideologici. La reciprocità richiede una certa reiterazione della relazione,
che consenta di instaurare una qualche forma di riconoscimento che è il presupposto della stessa reciprocità. Gli scambi, specialmente quelli di mercato, possono
essere, e per lo più sono, totalmente privi di questa caratteristica, in quanto tendono a esaurirsi in se stessi,
anche se possono essere il tramite per l’instaurazione
Ma la risposta di Graeber è, ancora una volta, fulmi-
di relazioni durature, non necessariamente implicanti
nante quanto disarmante: quello slogan non si applica,
la reciprocità. Anche l’uguaglianza formale dello scam-
come invece pensava il suo inventore, alla partecipazio-
bio è tutt’altro che scontata, perché nella maggior par-
ne degli individui al processo della produzione sociale
te dei casi concreti il venditore gode di una qualche
nella fase superiore del comunismo, ma alle relazioni di
misura di monopolio, a meno che, come pure avviene
20 L’idea che le imprese siano isole al cui interno vigono forme di relazione diverse dallo scambio che impera al loro esterno, la formulò, con ben altra acutezza
analitica, Dennis H. Robertson nel 1923 (Control of Industry, Nisbet, London),
secondo cui le imprese sono “Islands of conscious power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter coagulating in a pail of buttermilk”.
21 È formulato da Karl Marx nella Critica del programma di Gotha (1875). John
Rawls ne parla brevemente nel § 47 della sua Theory of Justice (1971).
74
di frequente nelle nostre economie, non sia il compratore a godere di un significativo potere di mercato.
In ogni caso, posto che lo scambio è ineguale quasi
75
per definizione, è difficile parlare anche solo di ugua-
intorno alla “moralità del debito”. L’ingente mole di
glianza formale. In realtà, l’uguaglianza formale sta
materiali etnologici e antropologici non è servita a co-
solo a indicare una disuguaglianza accettata.
struire un’interpretazione teorica del debito.
Addirittura disarmante, infine, è la soluzione che
In conclusione, si tratta di un lavoro pretenzioso,
Graeber suggerisce per risolvere in radice i numerosi e
impreciso, sconclusionato, animato unicamente dal
inquietanti problemi che il debito, in generale, pone.
proposito di trovare nel debito, e nell’illustrazione dei
Basta rifarsi alla Bibbia: “la legge del Giubileo, una leg-
danni infiniti che provocherebbe, l’arma letale che do-
ge che stabiliva che tutti i debiti venissero automati-
vrebbe convincere definitivamente della necessità di
camente cancellati ‘nell’anno sabbatico’ (ovvero dopo
abbattere il capitalismo. Missione fallita. Non c’è molto
che erano passati sette anni)” (82). Noi “siamo in grave
da imparare sulla natura del debito, sia pubblico che
ritardo rispetto a un qualche tipo di Giubileo di stam-
privato, né sulle funzioni che esso assolve e i problemi
po biblico che riguardi sia il debito internazionale che
che genera nelle economie capitalistiche, perché, in
il debito dei consumatori” (390). Sela soluzione è que-
realtà, il libro tratta principalmente delle implicazioni
sta, non c’è che rimanere delusi, dopo tante pagine
morali del debito. Lo straordinario successo del volu-
di analisi e argomentazioni. Non si capisce, tra l’altro,
me testimonia solo del deserto culturale, della totale
perché dal Giubileo sia escluso il debito pubblico, che
assenza di strumenti analitici, e di prospettive culturali
rappresenta il fenomeno più consistente, oltre che rile-
in cui versa la sinistra politica anche nel mondo anglo-
vante, dei nostri tempi. Ma forse è chiedere troppo. In
sassone.
particolare, non si può chiedere a Graeber chi e come
dovrebbe proclamare questo Giubileo. La montagna
ha partorito il topolino. La promessa di “creare una
nuova teoria, quasi da zero” (90) è anch’essa destinata
ad andare delusa. Alla fine del libro, non ci ritroviamo con una teoria, ma con una serie di considerazioni
76
Graeber sostiene che la storia del debito coincide,
in massima parte, con la storia della moneta, perché
debito e moneta fanno la loro comparsa insieme nella
storia della civiltà (21). Due affermazioni impegnative
e tutt’altro che facili da dimostrare, in particolare quel-
77
la secondo cui debito e moneta sarebbero frutto di un
care quello che è per lui il principale ostacolo alla com-
parto gemellare.
prensione della storia della moneta e del debito ovvero “il ruolo straordinario che l’economia attualmente
Personalmente, ritengo esistano validi motivi per ritenere che il debito sia la forma più antica e primordiale di quel tipo di relazione fra gli uomini che implica il
trasferimento di beni. Mi sembra esista sufficiente evidenza etnologica per supporre che lo scambio di beni
fra sconosciuti sia stato il primo esperimento in cui si è
impegnata l’umanità nelle sue prime forme di socialità
e che in questa attività si fondessero e si intrecciassero
tutte le dimensioni del rapporto con l’altro, compresa l’esplorazione della sua disponibilità ad accettare
ricopre nelle scienze sociali” (90). Il primo obiettivo
polemico, dunque, è il “mito del baratto”, cui Graeber dedica il secondo capitolo per mettere alla berlina
quello che è, effettivamente, uno dei punti deboli di
tanta manualistica economica, ma che non aveva bisogno di aspettare Graeber per essere pesantemente e
validamente criticato. Sono ormai un esercito le opere economiche non ortodosse che hanno mostrato e
dimostrato l’inconsistenza storica e teorica di questa
tesi.22
una relazione pacifica durevole. La fenomenologia del
dono in tutte le sue varianti, messe in luce dalle rico-
6. Forse, è un segno dei tempi che un tema così ri-
struzioni etnologiche, potrebbe essere il campo di spe-
levante come quello del debito abbia trovato una riso-
rimentazione di queste primissime forme di relazione
nanza mondiale tramite i lavori tutto sommato appros-
e di scambio. In questa prospettiva, il dono rappresen-
simativi di autori che sono chiaramente guidati, nella
terebbe la soluzione più antica ed elementare, malgra-
loro ricerca, da un forte pregiudizio ideologico, di con-
do la complessità che esibisce.
danna a priori del sistema capitalistico di cui il debito
è una delle chiavi di volta. Non siamo di fronte a un
In ogni caso, risolvendo il debito nella moneta, ne
discende che il primo impegno di Graeber è quello
di riscrivere la storia e, in particolare, le origini della
moneta. Il passaggio serve a Graeber anche per attac-
78
avanzamento dell’analisi critica del capitalismo, bensì
a un’operazione di marketing politico, in cui, creando la suggestione che il capitalismo si identifichi con
22 Senza risalire ai lavori pionieristici di Alfred Mitchell-Innes (1914) o all’ostico
79
il debito ed essendo il debito una cosa riprovevole agli
fondamentalmente di una visione meccanicistica, ani-
occhi dei più, si procede a condannare il capitalismo
mata da un razionalismo illuministico, con cui viene
quale nemico principale dell’umanità e ostacolo alla
armato un homo faber, che sarebbe padrone del mondo
creazione di un mondo umano.
sociale e fisico in cui vive e capace, quindi, di plasmarlo
a piacere secondo i dettami di un progetto razionale.
Quello che rende fin dall’inizio deboli e falsate le
analisi di tali autori, come di tanti altri (per non dire
di gran parte della ricerca attuale in campo sociale) è
il modo stesso di pensare o, meglio, di dare per scontato il funzionamento del sistema sociale. Le narrazioni
che tali autori propongono, che tali sono piuttosto che
analisi scientifiche, basano le loro spiegazioni causali su figure antropomorfe, cui viene impropriamente
L’uomo è considerato come attore all’interno di un
rapporto a senso unico con gli altri uomini e con l’ambiente naturale. L’azione parte da lui e si rivolge verso
qualcun altro e/o verso un qualche oggetto fisico che
ne restano univocamente condizionati. Solo in un secondo momento si prende in considerazione l’azione
collettiva, che viene raffigurata, dunque, a seguito di
un’opera di ricomposizione.
attribuito il ruolo di agenti che pensano, decidono e
agiscono come singoli individui: il capitale e il capitali-
In realtà, il punto di partenza di qualsiasi analisi so-
smo, l’economia, il mercato e così via. In tali narrazio-
ciale che aspiri a definirsi scientifica non può essere
ni, questi sono gli attori che occupano la scena e, come
altro che quello stato primario, quel movimento origi-
gli dei omerici, giocano con le vite degli esseri umani,
nario, che è l’interazione fra gli individui che compon-
favorendo ora gli uni ora gli altri. In secondo luogo,
gono una determinata comunità, al centro della quale
mi pare del tutto fuorviante il loro modo di concepi-
vi è la capacità di elaborare socialmente l’informazione
re gli effetti dell’azione umana nel contesto sociale.
(vedi Hidalgo 2016, 29).23 L’interazione fra individui
Seppure convariazioni e accentuazioni diverse, si tratta
che elaborano collettivamente le informazioni e, nel
trattato del padre del cartalismo, l’economista tedesco Georg Friedrich Knapp,
opere che, in effetti, sono rimaste o, meglio, sono state tenute fuori dal circuito
della ricerca economica ortodossa, è sufficiente far riferimento alla Modern
Monetary Theory, che ormai da tempo ha solidamente affermato la tesi che
nega il “mito del baratto”.
80
farlo, istituiscono relazioni nel segno del potere, è il
23 Questa osservazione si ritrova anche in Simmel (Simmel 1900, 159). Si tratta
forse del passo più importante e originale nell’analisi simmeliana delle origini
della moneta come istituzione sociale.
81
filo rosso della storia dell’umanità.
È nell’interazione fra gli individui che emerge la
loro diversità ed è nell’ambito di questa diversità che
Potremmo forse spingerci fino a dire che ne rappresenta la nascita. Da qui occorre sempre ripartire,
in qualunque fase storica ci troviamo. Non esiste un
a priori rispetto a questa routine, che ne condizioni
lo svolgimento, se non la storia, il path, delle interazioni che hanno preceduto quelle di cui ci occupiamo
o che viviamo. Interagendo fra di loro, gli individui
costituiscono se stessi come soggetti, si propongono
come portatori di bisogni, di interessi, di convinzioni
e, nel contempo, costituiscono le relazioni fra di loro,
recepiscono, convalidano o contestano i rapporti di
potere che ne disciplinano la convivenza.24 Il potere è
una componente essenziale e ineliminabile dell’interazione sociale e la disuguaglianza ne è l’ineliminabile
matrice. Fin dove si spinge il nostro sguardo, risalendo nella notte dei tempi, vediamo che il rapporto di
debito costituisce la forma più antica di relazione fra
individui ineguali, che non si conoscono. Il passaggio
di beni, ben prima che insorga lo scambio, ne è parte
costitutiva. Questo voleva dirci Mauss nel suo celebre
saggio sul dono.
24 È questo, a mio parere, il senso più profondo, interessante e innovativo della
riflessione di Foucault sul potere.
82
insorge il problema del potere. Ogni relazione fra individui si dispone secondo una scala gerarchica, in cui
qualcuno esercita il potere e qualcun altrolo subisce
e in tal modo lo riconosce e lo convalida, ancor più
quando gli resiste, come ci ha insegnato Foucault. La
politica è immanente a questa incessante interazione
fra individui, non gli è sovraordinata, come un potere esterno che dall’esterno la condiziona e la guida.25
Il potere è uno dei codici fondamentali sulla base del
quale gli individui interagiscono e la politica ne è l’espressione specifica. Nelle infinite interazioni che li
connettono, gli individui formano gruppi, espliciti o
impliciti, che a loro volta agiscono come attori individuali, interagendo con gli individui in senso proprio. I
partiti, il governo, sono alcuni di questi attori collettivi
che interagiscono con gli individui, godendo in genere di un differenziale di potere considerevole, spesso
decisivo, ma non sono in condizione, neppure su questa base, di condizionare i comportamenti individuali
fino al punto di poter attuare in toto i programmi e le
politiche desiderati. Lo stato è un agente come tutti gli
25 Al contrario di ciò che sostiene la “fallacia costruttivista” aspramente criticata
da von Hayek.
83
altri, specialmente in campo economico. Anche i par-
morale, hanno fatto della nozione di debito il perno di
titi non sono che soggetti collettivi che interagiscono
una critica radicale del capitalismo, condividono alcu-
con tutti gli altri, spesso da posizioni di vantaggio, ma
ni tratti comuni. Si è formata una corrente di pensiero
senza avere la capacità e la possibilità di esprimere un
che presenta una certa unitarietà e in cui si sarebbe
potere ordinatore assoluto. Anch’essi sono esposti alla
rifugiata la critica radicale del capitalismo, orfana del
eterogenesi dei fini e all’incognita ingovernabile degli
marxismo.
esiti inattesi dell’azione umana.
Il primo elemento, di diretta derivazione nietzscheIl debito è strettamente intrecciato con il potere.
ana, è l’atteggiamento polemico o addirittura avver-
Sono entrambi fenomeni che si manifestano nell’inte-
so nei confronti della tradizione “giudeo-cristiana”.
razione fra gli individui. Nessuna forma di interazione
Questo pregiudizio induce gli autori che rientrano in
ne è esente, anche se spesso tali aspetti rimangono allo
questo filone a trascurare, se non a occultare, i due
stato latente, o, per meglio dire, al di sotto della nostra
millenni di storia giudeo-cristiana che hanno plasmato
soglia di attenzione. Nel corso del tempo, l’archetipo
la civiltà occidentale, nel cui seno è nato e cresciuto
del debito è passato attraverso una miriade di meta-
il capitalismo. Ciò che questi autori ignorano è che il
morfosi, ognuna delle quali ha la sua storia, fino alle
tanto deprecato individualismo, che essi identificano
forme che ha oggi assunto nella dimensione economi-
tout court con il capitalismo, è anch’esso figlio della vi-
ca. Ciò non autorizza a confondere, l’una con l’altra,
cenda giudeo-cristiana, come ha messo bene in luce
le diverse metamorfosi e articolazioni della relazione
Siedentop (2015). Sembra quasi che il loro insistente
di debito.
ricorso all’antropologia delle società primitive sia un
espediente per esorcizzare il nesso giudaismo-cristia-
7. Pur nella loro diversità, tutti i contributi che, richiamandosi più o meno esplicitamente e direttamente alla suggestione nietzscheana della Genealogia della
nesimo-individualismo-capitalismo, con i pesanti e inquietanti interrogativi che esso pone e che rimangono, pertanto, irrisolti. Non si riesce a fare i conti con
il capitalismo che c’è, che si dimostra non malleabile
84
85
di fronte a tutte le idee di riforma sociale finora messe
metafora del fardello, in quello del Secondo Tempio
in campo, e che pure continua a condizionare pesan-
(536 a.C.-70 d.C.) comincia a essere rappresentato con
temente i nostri orizzonti di vita. La società primitiva
quella del debito, probabilmente a seguito della dif-
diventa allora l’archetipo della società che si vorreb-
fusione dell’aramaico, che era la lingua ufficiale della
be: “la macchina primitiva non ignora lo scambio, il
legge del commercio.26
commercio e l’industria, ma li scongiura, li localizza,
li reticola, li incasella, mantiene il mercante e il fabbro
in una posizione subordinata perché i flussi di scambio
non vengano a spezzare i codici a vantaggio delle loro
quantità astratte e fittizie” (Deleuze-Guattari 1972, 17980 [170]). Anche se i due autori non lo citano, non siamo molto lontani dall’analisi di Polanyi e dalla sua idea
di un’economia embedded nelle società tradizionali, che
il capitalismo avrebbe fatto saltare recidendo i legami
con il tutto sociale.
La nostalgia della savana, che scorre in molti di questi contributi, a partire da quello di Deleuze e Guattari,
nasconde e, al tempo stesso, esprime un problema irrisolto: quello del rapporto con la tradizione politico-culturale giudaico-cristiana, in cui si inscrive la nascita del
capitalismo. Più precisamente, quella che si vuole occultare, perché considerata inaccettabile, è quella sorta di legittimazione che deriverebbe al capitalismo, in
quanto storicamente necessitato, dal riconoscimento
di quel rapporto. Il ritorno alla savana vuole salvare
Il secondo elemento, in parte legato al primo, è co-
quella critica radicale, ma facile, del capitalismo che lo
stituito dalla mancata rilevazione del fatto che il nes-
esclude dall’ambito delle relazioni sociali “vere” e ne fa
so debito-peccato/colpa, su cui si fonda gran parte
un nemico della società.
dell’argomentazione di questi autori, nasce proprio
in quel mondo giudaico-cristiano che essi, sulle orme
di Nietzsche, guardano con sospetto, se non proprio
con disprezzo. Come ha sapientemente dimostrato Anderson (2009), il peccato, che nel periodo del Primo
Tempio (833-416 a.C.) era rappresentato tramite la
86
Alla base di questo stilema c’è uno dei luoghi comuni più triti e fuorvianti che accompagna la nascita e
il dispiegamento della modernità: la contrapposizione
fra la società buona, la “società civile”, e il capitalismo,
26 Il testo capitale che testimonia questo slittamente semantico è l’incipit del Pa-
87
con le sue pulsioni distruttive, che la corrompe. Fou-
rate dal sistema capitalistico. Non c’è un “di fuori” su
cault rifiuta energicamente di utilizzare la contrapposi-
cui fare leva. Un aspetto curioso del lavoro di questi
zione fra “stato” e “società civile” perché essa non è mai
economisti è la reticenza a parlare di capitalismo, e ad
esente da una sorta di manicheismo, “che attribuisce
attribuire alla natura capitalistica dell’economia in cui
alla nozione di stato una connotazione peggiorativa e,
viviamo un fenomeno come il debito nella sua forma
nello stesso tempo, idealizza la società come un insieme
attuale che ne è uno degli architravi.
buono, vivo e accogliente” (Foucault 1994, 374 [192]).
Lo stesso si potrebbe affermare della contrapposizione fra società e capitalismo. Essa fa scomparire dall’orizzonte quello che dovrebbe essere il vero oggetto di
analisi: l’esistenza di una “società capitalistica”, di cui si
vedono e si patiscono crisi e sommovimenti, ma di cui
non si intravvede la fine. Siamo ancora in attesa di una
analisi critica del capitalismo che parta dalla constatazione che viviamo in una “società capitalistica”, che segna in profondità il nostro essere e il nostro pensare.
E, per citare ancora Foucault, dovremmo sempre ricordarci “che, a un certo livello, ogni rapporto umano è
un rapporto di potere. Noi evolviamo in un mondo di
relazioni strategiche perpetue” (ivi). L’analisi non do-
nomisti, il debito sovrano presenta una particolarità
che richiama in vita, sotto certi aspetti, la nozione di
debito dei primordi: è un debito che non viene ripagato, non viene estinto, non abbisogna di essere estinto.
È un debito permanente. In esso si rispecchiano i rapporti di potere fra stati, i quali, a loro volta, si intrecciano con il potenziale economico che le singole economie nazionali sono in grado di esprimere. Nel debito
sovrano si rispecchia e si misura la sovranità. Rispetto
alla nozione corrente di debito, dettata dall’economia,
si tratta di uncambiamento di prospettiva e di significato radicale.
vrebbe mai perdere di vista l’immanenza del potere,
L’inesigibilità, di fatto, del debito pubblico muta ra-
anche quando si parla delle relazioni di potere instau-
dicalmente la natura e la funzione stesse del debito.
ter Noster. “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il lavoro di Anderson è richiamato nel lavoro interessante di Elettra Stimilli
(2015).
88
8. Come ormai è chiaro a tutti, tranne che agli eco-
Il debito è semplicemente la forma in cui il governo
o, più frequentemente, un organismo formalmente
89
indipendente, la banca centrale, mette a disposizione
gente che impone il rispetto delle regole capitalistiche,
dell’economia i mezzi di pagamento che sono richiesti
una forma di assoggettamento più ampia e assoluta di
dal suo funzionamento, la cui quantità e assegnazio-
quella che è stata a lungo rappresentata dal rapporto
ne non possono essere determinate rigorosamente e
salariale.
in via preventiva perché dipendono da soggetti diversi, tra i quali non sussistono canali formali di comunicazione. Non è sicuro, pertanto, che compiano scelte
compatibili e perseguano fini convergenti. Da questo
derivano i malfunzionamenti che, in maniera ricorrente, generano crisi. Il problema centrale, dunque, non è
il debito in sé o la sua altezza, ma la sua gestione.
Ora, in questo c’è indubbiamente del vero. La governamentalità capitalistica passa, indubbiamente, anche attraverso le relazioni di debito che, in mille forme,
avvolgono e coinvolgono l’intero corpo sociale. Ma, al
tempo stesso, questa prospettiva non esaurisce l’ambito della governamentalità e neppure ne coglie gli
aspetti più profondi. Come si è mostrato nelle pagine
Resta il fatto che il debito sovrano è un nodo nel-
che precedono il rapporto di debito vincola, limita la
la rete del potere che, nelle condizioni geopolitiche
libertà di scelta degli individui e della collettività, ma,
attuali, connette tutti gli stati, condizionando le politi-
al tempo stesso, ne amplia a dismisura le possibilità di
che dei governi. Nella gestione del debito, dunque, è
azione. Come si è detto, il debito è uno strumento per
preponderante lo spazio politico che ciascun stato-na-
colonizzare il futuro e, con ciò stesso, per ampliare gli
zione è in grado di occupare in base alla propria forza
orizzonti del presente. La sua natura ancipite ha reso
relativa, nella quale si compendiano una serie di fattori
più complessa la governamentalità capitalistica attua-
economici, politici, sociali e anche culturali.
le, rendendo ancora più esplicito e cogente il legame
fra economia e politica. Il governo si vede attribuire
Il debito viene visto oggi, da molti analisti, economisti, filosofi, antropologi, come il fulcro della governamentalità nell’epoca del capitalismo globalizzato. Il
debito sarebbe lo strumento fondamentale del discipli-
nuove e più complesse responsabilità, perché solo un
governo politico del debito può renderlo sostenibile,
tenendo insieme le sue due anime. Nessun artifizio
economico può farlo.
namento dei comportamenti individuali, la forza co90
91
5.
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IN LOVING MEMORY
OF LAPO BERTI
by Andrea Fumagalli
5.
RZN005 eng
Editor: Rizosfera
Series of Books: Rhizonomics
Genealogy
of debt
Anti-copyright, April 2019, Rizosfera
Author: Lapo Berti
Copyright by Andrea Fumagalli for the text ‘In Loving Memory of
Lapo Berti’ previously published by Effimera blog and Il Manifesto newspaper.
We would like to thank Andrea Fumagalli and Cristina Morini for
the kind permission.
Translation by Ettore Lancellotti. Editing by Letizia Rustichelli
Creative Commons 4.0
Attribution — You must give appropriate credit, provide a link to the license, and indicate if changes were
made. You may do so in any reasonable manner, but not in any way that suggests the licensor endorses you
or your use. No additional restrictions
www.rizosfera.net
The book series entitled «Rhizonomics» deals with rhizospheric
philosophy, in particular with its generalized economic perspective.
Contents
Issues:
RZN001 :: PAOLO DAVOLI E LETIZIA RUSTICHELLI, Marx, Money, Capital.
Interview with Lapo Berti
Introduction
101
by Rizosfera
RZN002 :: RIZOSFERA - Digital Neuroland.
An interview with Tony D. Sampson
RZN003 :: DEMYSTIFICATION COMMITTEE -The Offshore Economist
RZN004 :: KYBERNETIKOS KOMMANDO -Electro Bubble
In Loving Memory
103
by Andrea Fumagalli
Genealogy of Debt
by Lapo Berti
109
Rome, 24th April 2017,
Dear P*, as promised I am sending you the work in progress
about my readings on debt. As you may notice there are many
sections that need to be implemented. I do count on your judgement and suggestions. Speak soon.
Lapo Berti.
These few lines written on 24th April 2017 show the
last research Lapo was focusing on before his sudden
and painful passing in December 2017.
The theme of debt, its militant critic interpretation
and essence and the issues concerning the relationship
between Foucault and Ordoliberal and Neoliberal theses were at the centre of his interest and his attention.
The proposal by Foucault’s philosopher and scholar, Mauro Bertani, of an economic and philosophical
article for the scientific and philosophical journal Aut
Aut (n.376/dec. 2017/ Ripartire da Foucault. Economia e
governamentalità) had offered him the opportunity over
the past few months to investigate these issues further.
100
101
The text presented here, together with that article,
In Loving Memory of Lapo Berti
are therefore the last works conceived and written by
Lapo Berti.
by Andrea Fumagalli
We offer readers and scholars of economics an essay
still in its non-definitive form and without any mediation or specific editorial work on our part.
Just over one year from his demise we consider the
publication of his writings the best way to commemorate what we regard as a model Master of life and
thought.
Lapo Berti is one of the many activists that dedicated their lives to the quest of truth (in the sense of “parrhesia”) – a group that nowadays is very restricted, as
busy as we all are in the performativity of appearing.
He participated to the most important moments of the
cultural break from the 1960s to the 1990s.
He was born in Milan in 1940, he lived in Florence,
then again in Milan and finally in Rome.
In Florence, together with Claudio Greppi, he
joined the “Giovanni Francovich” circle. He lived the
whole experience of the journal “Classe Operaia”, a
fundamental one for Italian workerism. Although he
was closer to Mario Tronti than to Toni Negri, he had
no doubt when he had to choose (actually, he was full of
doubts, due to his character, but he knew how to make
wise choices). He took part to the “Potere Operaio”
cycle, from its formation (that Emilian and Venetian,
so to speak) to its end (the Convention of Rosolina).
102
103
Lapo taught at university without even having a de-
ones able to conceive an economic theory capable of
gree. He has a notorious ancestor, Claudio Napoleoni.
functioning as antidote to the monetarist hegemony of
He succeeded in impossible tasks. In Potere Operaio
those years).
he did not hold the simple position of an activist but of
leadership. Together with Ferruccio Gambino, in fact,
he shared the responsibility of international relations;
Workerism penetrated in Germany in the elaboration
of antagonist thought thanks to his passionate contribution.
He was a scholar of classics, first of all Marx, as well as
Schumpeter. From the former, he took and divulgated
the idea that money is not mainly a social relationship,
namely an instrument of capital’s domination over labour. From the latter, he took and conveyed (together
with the Italian translation of Theory of Economic Develop-
104
After the experience of Potere Operaio, he was one
ment – Teoria dello Sviluppo Economico, Sansoni Editore,
of the enhancer of the journal “Primo Maggio”, and
1971, new edition 2013, published by Rizzoli) the piv-
took part in the study group on Money, together with
otal, though partial, translation of one of Schumpeter’s
Christian Marazzi, Roberto Convenevole, Franco Gori
least known works – Das Wesen des Geldes (The essence
and Sergio Bologna. He elaborated the theory on the
of money), which is crucial to understand the discrim-
idea that the creation of money – as credit money – is
inatory role inherent to the power of money. Concepts
despite the monopoly of the Central Bank, an endoge-
that, nowadays, in the era of financialized cognitive
nous factor of the dynamics of the capitalistic economy.
capitalism, are relevant more than ever.
He participated in the seminar on Money promot-
He also translated the Italian essay Theory of Money
ed in the late 1970s by Augusto Graziani together with
and Credit – Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione by
Marcello Messori, Roberto Convenevole, Francesco
Ludwig von Mises (edited by Riccardo Bellofiore), of
Farina, Lilia Costabile, Adriano Giannola, contribut-
Monetary Equilibrium – L’equilibrio monetario by Gunnar
ing to the elaboration of the theory of monetary cir-
Myrdal, and he translated and edited Volkswirtschaftli-
cuit (which, with the French régulation, were the only
che Theorie des Bankkredits – Teoria economica del credito by
105
Albert Hahn. These are all texts that significantly con-
pean integration, whose common currency was viewed
tributed in the 1980s to the discussion on heterodox
by trade unions and Leftist political forces as a neces-
monetary theories.
sary and functional step towards the unification of Europe. To discuss the validity of this project, according
In the 1990s he started studying the transformations of the process of valorization in the post-Fordist
to that logic, corresponded to taking an anti-European
stance.
phase of capitalism. He was a member of the editorial
staff of the journal Altreragioni, which constituted the
The texts that Lapo and I wrote, however, were very
first attempt to revitalize the Neo-workerist economic
distant from anti-European stances. We asserted, from
thought in response to the new forms of labour organi-
different points of view, how the construction of the
zations and to globalization, a crucial passage to under-
European Monetary Union, as unique European bond,
stand present Italian thought.
could bring negative consequences for the idea of Europe itself (thus the title, The Anti-Europe of Curren-
Not by chance, that area developed the first critical
analyses conceived by Autonomous Marxism thought
on the process of construction of the European Monetary Union. These considerations were published in
the second issue of Altreragioni as well as in the edited
cies). And this was possible precisely because the common currency would have been strategically used to
impose from above a plan of Neo-liberal restructuring
of Europe, of which the political forces of Centre-left
area were complicit.
volume L’Antieuropa delle monete (Manifestolibri, Roma,
1992), which included a preface by Sergio Bologna
and two essays by the editors, Lapo Berti and myself.
From the middle of the 1990s up to his retirement,
Lapo Berti worked for the Antitrust Authority, at first
with a two-year contract and then more permanently,
In this last text, which in many ways anticipated topics that will be re-discussed only after a long time, a new
debate started. A Leftist critique of the process of Euro-
106
after a long time spent in precarious conditions (as we
would say today), as a choice to fit his activist spirit in
his ethic of life. Although in an uneasy and institution-
107
alized environment, he continued to denounce the
Genealogy of Debt
distortions of the market as a place where economic
power was concentrated, as opposed to the Neo-liberal
Lapo Berti
ideal of the market as a place of equal opportunities.
In fact, during that period, he published Il Mercato Oltre le Ideologie Università Bocconi, 2006 and, together
with Andrea Pezzoli, Le Stagioni dell’Antitrust. Dalla tutela della concorrenza alla tutela del consumatore Università
Bocconi, 2010).
In the last decade, debt has become a trend in academic research and in political debate, as well as the
object of many elucubrations and absurd statements.
Publications, analyses and, unfortunately, recipes –
charlatans’ favorites – have multiplied. This new inter-
Thank you, Lapo. You have been a life mentor and
a master of critical thinking!
est in the subject has been triggered obviously by the
US 2007-2008 financial crisis, which originated from
private debts and then spread to sovereign debts causing a dramatic downturn. However, as strange as it may
seem, economists were not the ones to start the debate
and to occupy the center stage. We have discovered
that debt is a cross-cutting topic, relevant to all social
sciences, from anthropology to ethnology, from economics to politics, to philosophy. The most engaging
and stimulating contributions come from the fields of
philosophy and anthropology. The common denominator of the majority of relevant studies is to understand debt as the potential leverage for a new critique
108
109
of capitalism. They are all limited in their research by
Nietzsche and the reference to «the prehistory of man-
this “prejudice”. The conclusions that this debate draws
kind»,1 to «all ancient mankind»,2 did not intend to
are predictable and trivial. They do not add anything
retrace an ethnological portrait of primitive societies,
to the understanding of present capitalism’s modus op-
which would be an arduous and uncertain endeavor,3
erandi nor to the retracing of the governmentality that
but rather to delineate a possible evolutive path of
comes with it. In most cases, they make it more difficult
humanity that can facilitate the understanding of the
to understand the nature and the purpose of debt in
meaning and evolution of moral feelings. The genealo-
modern economies. Nonetheless, we cannot avoid to
gy of morality does not render the historical evolution
consider these analyses, which often aspire to advance
of moral feelings, but rather its profound significance.
an updated version of Marxian critique.
It explains the origin of the modern man. Nietzsche
does not stand as a historian nor as an ethnologist,
1. As inconsistent as it may seem, most of these contributions are not influenced by economic analyses but
by Nietzsche’s Second Essay in On the Genealogy of Morality (1887), widely commented and debated. Nietzsche
assigns a crucial role to the relation between creditor
and debtor, whose origin goes back to immemorable
time, even before the beginning of human civilization.
According to him, this relation arose to enlighten the
prehistoric origin of moral feeling that can be found in
but as a philosopher that intends to understand the
true meaning of life. In the same way in which, shortly
after, the enucleation of the Übermensch would not
anticipate a possible and desired future but the more
dramatic condemnation of an unacceptable and inhuman present. The vision of man’s future possibilities
allows to affect the will in the present: «For the future
is as much a condition of the present as the past. That
which should and must become, is the foundation of
Christian morality. The angle of the argument seems
to imply an ethnological interest, a desire to retrace
the main phases of human history. Several commentators, even some influential ones, have been tricked.
In fact, the metaphor of debt significantly adopted by
110
1
F. Nietzsche, On the Genealogy of Morality, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, p. 54.
2 Ibidem, pp. 133-136.
3 From time to time, Nietzsche feels the need to attenuate and circumscribe the
scope of what he says: «I say all this in speculation: because such subterranean
things are difficult to fathom out» (p. 42) and he warns us that, as if he were
exorcising the ethnological perspective.
111
that which is».4 Jasper argues: «By a mental projection
either towards the inside of the individual as Nietzsche
of the future, “great politics” is led to a decisive aware-
argues, or towards another object, the scapegoat, the
ness of the present moment of mankind».5
sacrificial offer, as René Girard argues.6
According to Nietzsche, there is no doubt that the
At this point, Nietzsche’s argument crosses the topic
origin of moral feelings is located in that crucial passage
of debt. As he points out, this «principal moral concept
marked by violence which sociality originates from,
of ‘guilt’ (Schuld) descends from the material concept
where the instinct to stand together is actualized. In
of ‘debts’ (Schulden)».7 The core is represented by
Nietzsche’s perspective, moral feelings would be noth-
«the contractual relationship between creditor and debt-
ing but instruments, restrictions, used to keep society
or, which is as old as the very conception of a ‘legal sub-
together, bridling and repressing the instincts of the
ject’ and itself refers back to the basic forms of buying,
beast-man, «the human beast of prey», who is always as-
selling, bartering, trade and traffic».8 «In this sphere of
serting with his power and violence his determination
legal obligations, then, the moral conceptual world of
to survive. Civilization originate when, through moral
‘debt’, ‘conscience’, ‘duty’, ‘sacred duty’, has its breed-
feeling, common men, weak men, “the slaves”, manage
ing ground – all began with a thorough and prolonged
to overpower “aristocratic classes”, strong men, warri-
bloodletting, like the beginning of all great things on
ors. Human society would be then founded on the sub-
earth».9 «The feeling of guilt, of personal obligation,
mission of the strong by the weak to their moral princi-
[…] originated, as we saw, in the oldest and most prim-
ples, forcing the strong to interiorize the sense of guilt
itive personal relationship there is, in the relationship
and thus generating «bad conscience». This still means
6
that, in the beginning, there was violence and abuse by
strong men, and that society becomes possible, or even
inevitable, when violence is channeled and deviated,
4
K. Jaspers, Nietzsche: An Introduction to the Understanding of His Philosophical Activity, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1936/1997, p. 250.
5 Idem.
112
R. Girard, La violence et le sacré, Paris 1972 (en. trans.: Violence and the Sacred,
trans. By P. Gregory, London : The Athlone Press). It seems apt to remind here
that we face Hobbes’ world where the homo homini lupus stands, or alternatively
what Freud describes in Civilization and its discontents. These arguments are in
stark contrast with the bon sauvage described by Rousseau. They are obviously
two myths that do not have the pretense nor the purpose to retrace the origin
of human civilization and society, but only to attempt a diagnosis of the society
these authors live in.
7 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 39.
8 Ibidem, p. 40.
9 Ibidem, p. 41.
113
of buyer and seller, creditor and debtor: here person
instincts on which, up till then, his strength, pleasure
met person for the first time, and measured himself
and formidableness had been based.»12
person against person. […] Buying and selling, with
their psychological trappings, are older even than the
beginnings of any social form of organization or association.»10
We are presented with a human environment that
resembles very closely the distinction between “thinking fast” and “thinking slow” developed by Daniel Kahneman.13 Kahneman too seems to have in mind an
114
Hence, according to Nietzsche, the act of buying
anthropologic scenery, similar to the one adopted by
and selling with their psychological trappings (sammt
Nietzsche as a foundation for his thought although,
ihrem psychologischen Zubehör) establishes the founding
obviously, the purposes and the results of their analyses
and originary relationship of any social order. It is the
are very different. In Kahneman’s analysis, fast thinking
act that foreruns and anticipates the social order and
is usually elaborated by men in a hostile environment
makes it possible thanks to the instrument of measure,
where their life depends on the rapidity and effective-
of comparison, which «the oldest, most naïve canon of
ness of their response, and it allows them to prevail
morals relating to justice»11 is in turn founded on. It is
and dominate. This is complemented through man’s
only later, when the community is formed, or when it
evolution by slow thinking, reflection, which is neces-
is forming and because it is forming, that the relation-
sary to face more complex circumstances. Nietzsche’s
ship between individuals and their community takes
philosophical analysis is more profound and more in-
the shape of the one between creditor and debtors.
tricate than Kahneman’s one. He argues that the or-
This is «the most fundamental of all changes» that man
igin of slow thinking, which includes certainly moral
has experienced, since he «found himself imprisoned
considerations, was not a painless transition in human
within the confines of society and peace» leaving the
history, but it has caused an existential upheaval of the
«wilderness» behind and foregoing at once «all the old
human animal. Human society, together with its inev-
10 Ibidem, pp. 45-46.
11 Ibidem, p. 46.
12 Ibidem, pp. 56-57.
13 D. Kahneman, Thinking, Fast and Slow, Farrar, Straus and Giroux, New York,
2011.
115
itable corollary, that is the State, has been generated
make pledges and take on obligations to the commu-
through violence by a «conqueror and master race»14
nity.»15 Therefore, according to Nietzsche, debt is char-
that established a dominion and called it social order.
acterized by two main features. It originates from a per-
The great mass of subordinates, slaves, has slowly man-
son-to-person relationship that involves an exchange, it
aged to impose rules that have to be respected in or-
establishes a tie between the two persons which is usu-
der to preserve the cohesion of the social body, that is,
ally one of subordination, and then it becomes an ar-
morality. However, that violence has not disappeared,
chetype for all the relationships that compose the com-
has not extinguished, but rather it has moved inside
munity. The latter is thus hypostatized as the reference
the human creating individual and collective subcon-
for all the debts that its members have incurred when
scious.
they became part of it. Community becomes the great
creditor of all its members, and through violence, cru-
Nietzsche’s core idea, stated with a dazzling narrative in the Second Essay, is the opposite of what Mauss’
thought, that the gift is the matrix or archetype of all
forms of exchange. Nietzsche argues that the debt relationship, which develops in the exchange realm and
spreads across the whole social life, constitutes the
originary tie that connects one community member to
another under the sanction of violence: «the community has the same basic relationship to its members as
the creditor to the debtor. You live in a community, you
elty and punishment reminds to any transgressor «the
savage state»16 that he left behind, that time when he
was at the mercy of the strongest individual, of the winner. The debt relationship that “ties” every individual
to the community he belongs to is the foundation of
social cohesion and at the same time the dispositif that
guarantees the correction of behaviour, i.e. the adherence of individuals to the established order, through
the sharing of moral feelings namely the interiorization of rules.
enjoy the benefits of a community [… because] you
14 «I used the word ‘state’: it is obvious who is meant by this – some pack of blond
beasts of prey, a conqueror and master race, which, organized on a war footing,
and with the power to organize, unscrupulously lays its dreadful paws on a populace which, though it might be vastly greater in number, is still shapeless and
shifting.» Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 58.
116
It is not simple to fully understand the meaning of
15 Ibidem, p. 46.
16 Ibidem, p. 47.
117
these arguments, while it is easy to fall in the trap of
consist of re-interpretation, adjustment, in the process
treating them as ethno-anthropological reconstruc-
of which their former ‘meaning’ [Sinn] and ‘purpose’
tions of human affairs, as many have done. In fact,
must necessarily be obscured or completely obliterat-
Nietzsche is following a red line that emerges only oc-
ed.»17
casionally here and there, and this is what articulates
and substantiates the concept, the conceptual artifact
of the will to power to which he entrusts the sense of
his whole research.
The overpowering and the dominating that interest
us here are those linked to the assertion of the capitalist spirit. The action based on the logic of capital
that becomes dominant and overpowers “sense” and
The key to wholly appreciate the arguments on the
“purpose” of those institutions that have survived up
seller-buyer, debtor-creditor and guilt-conscience re-
until now. It overpowers credit and debit, as well as
lationship, on the development of criminal law, etc.
money, it dominates them and thus it transforms their
is located in the very important paragraph 12, where
purpose through its “will to power”. The evolution
Nietzsche develops what could appear as a polemic di-
of the economic system and of economic practices is
gression directed at an application of genetic recon-
the «succession of processes of subjugation». This is
struction to historical processes that he deems errone-
how «true progressus [develops]: always appearing, as it
ous. ...«The origin of the emergence of a thing and
does, in the form of the will and way to greater power
its ultimate usefulness, its practical application and
and always emerging victorious at the cost of countless
incorporation into a system of ends, are toto coelo sepa-
smaller forces.»18 It is clear that, while advancing these
rate; that anything in existence, having somehow come
arguments, Nietzsche does not have in mind the de-
about, is continually interpreted anew, requisitioned
velopment of capitalism, but instead he is looking for
anew, transformed and redirected to a new purpose
the primordial motor, «the essence of life» which stirs
by a power superior to it; that everything that occurs
the evolution of humanity and that he believes cor-
in the organic world consists of overpowering, dominating, and in their turn, overpowering and dominating
118
17 Ibidem, p. 51.
18 Ibidem, p. 52.
119
responds to the «will to power». In the end, however,
vened to widen the perspective. Their work22 retrieved
both happen to converge if not to overlap. Capitalism
Nietzsche’s text and some of the products of that an-
is the incarnation of the will to power of the present
thropological research that opposed Lévi Strauss’ struc-
era. For those who study economics, it is difficult to
turalism, generating a line of study centred around
resist the temptation to tie this Nietzschean line of
the notion of debt. Lévi Strauss put at the core of his
thought to the Schumpeterian concept of “creative de-
anthropological theory the exchange conceived as a
struction”, and, actually, some have explicitly done it.19
fundamental moment and relationship. Deleuze and
In the Nietzschean perspective, “destruction” and “cre-
Guattari probably deemed this perspective too apolo-
ation” are two peculiar moments of the man moved by
getic of the social capitalist order, and thus they com-
his “will to power”, i.e. his instinct of freedom.20 These
mitted themselves to overturn it starting from the work
assonances have induced some to define the Über-
of a British anthropologist who criticized Lévi Strauss,
mensch with the entrepreneur, the capitalist, the great
Edmund R. Leach. They had two objectives: on the one
broker. In particular, we mention Ayn Rand and Fran-
hand, to deny the natural character of the exchange as
cis Fukuyama,21 who did so based on a superficial and
origin of social organization, and on the other hand
very partial interpretation of Nietzsche.
to advance the concept of “debt economy”, which was
believed to be more suited for the vision of the “social
2. Probably, the issue of debt would have never
machine” as a collective entity.
emerged from the economics discipline even at the
time of the recent sovereign-debts crisis, if more than
In the fifth edition of Chapter III of their work,
forty years ago Deleuze and Guattari had not inter-
Deleuze and Guattari developed their concept of “debt
19 H. Reinert & E. S. Reinert, Creative Destruction in Economics: Nietzsche, Sombart,
Schumpeter, in J. G. Backhaus and W. Drechsler (eds.), Friedrich Nietzsche (18441900): Economy and Society, Springer, New York, 2006, pp. 55-85.
20 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 57.
21 Cf. M. Kilivris, Beyond Goods and Services: Toward a Nietzschean Critique of Capitalism, “Kritike”, V:2, December 2011, pp- 26-40. Kilivris advances a persuasive
critique of these hypothetical affiliations. It is widely renown that in his famous
and debated book The End of History and the Last Man (1992), he makes several
references to Nietzsche’s work, from whom he took the idea of “the last man”.
120
economy” as premise of a society not based on exchange, not dominated by exchange and market ideology, like the capitalist one: « society is not first of all
22 G. Deleuze and F. Guattari, The Anti-Œdipus, The University of Minnesota
Press, Minneapolis, 1983.
121
a milieu for exchange where the essential would be to
less know about», when «everything essential in the de-
circulate or to cause to circulate, but rather a socius of
velopment of mankind took place».28 This is the origin
inscription where the essential thing is to mark and to
also of his interest in ethnology, because it can concur
be marked.»23 The main reference is Nietzsche’s Second
to the understanding of this becoming. Since 1875,
Essay from On the Genealogy of Morality, «the great book
Nietzsche aimed at gathering a tremendous amount of
of modern ethnology»24. However, Deleuze and Guat-
empirical material on the knowledge of men.29 But the
tari’s interpretation raises some doubts.
Second Essay in On the Genealogy of Morality does not present an ethnological representation of the dawn of hu-
The first has already been mentioned. Nietzsche
cannot be designated as precursor of ethnological
research. As he declares in the first two aphorisms of
Human, all too Human,25 he intends to build a «historical philosophy», not «separated from natural sciences», thus provided with historical sense26 because man
is not «something that remains constant in the midst
man history. It is a founding myth on which Nietzsche
aims to build and substantiate the Übermensch, to
whom he intends to entrust the future. The Übermensch is the strong man that reclaims primordial instincts of the human animal, which Christian morality
had repressed and removed, as antidote to decadence
and laxity that characterise it.
of all flux», «man has become […] [b]ut everything
has become: there are no eternal facts».27 This is the
In On the Genealogy of Morality, as in all his works,
origin of the genealogical method, whose object is the
Nietzsche focuses his attention on the damages that,
contemporary man though aware that he has become
according to him, Christian morality has done to hu-
what he is through a process that started «in primeval
manity, weakening, deceiving and suffocating the ex-
times, long before the four thousand years we more or
plosive and dominating energies of a «man who is
23 Ibidem, p. 112.
24 Ibidem, p. 180.
25 F. Nietzsche, Human, All-Too-Human, Cambridge University Press, Cambridge,
1996.
26 «Lack of historical sense is the family failing of all philosophers.» Ibidem, 2nd
aphorism, p. 13.
27 Idem.
122
strong and certain of life», aristocrats.30 And he describes the formation of the state as the triumph of
28 Idem.
29 Cf. fr. 8 [14].
30 F. Nietzsche, Ecce Homo, Algora Publishing, New York, 2004, p. 94. The critique
123
morality, the incarnation of limits and boundaries that
themselves from «bad conscience» and thus will be
make human society possible and inaugurate the path
able to overcome present nihilism. They will subvert all
to civilization: «the morality of custom and the social
values and will start acting again according to «natural
straitjacket, man was made truly predictable.»31 This is
inclinations», following only their «will to power».
the prehistory of the civilized man, made «to a certain
degree necessary, uniform, a peer amongst peers, orderly and consequently predictable.»32 At the summit
of this process we find the «sovereign individual […]
like only to itself, […] an autonomous, supra-ethical
individual, […] whose prerogative it is to promise.»33
Through the establishment of state, the weak, those
of ressentiment, win over the strong and that is the beginning of the history that has brought us to a condition of softness that we find ourselves in today, in «this
mouldy, self-doubting present day».34 Such condition
will be overcome only when the «strong of the future»35
will manifest themselves. The men that will have freed
to Christian morality summarises the deepest meaning of Nietzsche’s thought.
«Blindness in the presence of Christianity is the crime par excellence. […] The
unmasking of Christian morality is an event unequaled, an actual catastrophe.»
(Ibidem, pp. 95-97). This is that in which he recognizes and proclaims his mission: «He who throws light upon it is a force majeure, a destiny — he breaks
in two the history of mankind. One lives before him, one lives after him...»
(Ibidem, p. 97).
31 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 36.
32 Idem.
33 Ibidem, p. 37.
34 Ibidem, p. 66.
35 This is a reference to the fragment Die Starken der Zukunft, available at http://
www.nietzschesource.org/#eKGWB. For a more detailed analysis see the relevant work by Obsolete Capitalism in two parts: The Strong of the Future and Mon-
124
The deadly fight that Nietzsche engaged in with
Christian morality brought him to a deep identification with the affairs of Christianity and allowed him to
understand its most intimate and profound meaning,
in a way that probably no critic, no matter how radical,
had previously done. Nietzsche was not interested in
an ethnological and anthropological reconstruction of
primitive societies. He only wanted to show that Christianity, with its morality of ressentiment, had intervened
to modify the operating regime of societies, based on
the dominance of the “strong” and of the aristocratic
morality that they embodied. According to Nietzsche,
Christianity was guilty of having imposed the «slave
morality», inhibiting the exercise of the strong’s instincts in order to hide and compress them in the subconscious.
Nietzsche’s interpretation of the effect that Christiey, Revolution and Acceleration in Deleuze and Guattari’s Anti Oedipus (Rizosfera,
2016).
125
anity has had on the evolution of Western civilization
in any form, and the creditor-debtor relationship,
exhibits some intuitions which seem to be confirmed
which is one of its integral and inseparable elements,
by some recent historical reconstructions. Nietzsche
are the cornerstones of the social order, or even the
seems to grasp one of the most surprising effects of the
foundations on which it is built. He seems to imply that
cultural revolution operated by Western Christianity,
without exchange of goods there would be no society.
that is, individualism as well as the emerging of individ-
It is the discovery of exchange that starts cohabitation
ual responsibility. Nietzsche’s arguments sketch a land-
based on the benefits that the former grants to the
scape that is not far, from example, from Siedentop’s
members of the community. Hence, the history of civ-
perspective (Anderson, Brown, Siedentrop). Individu-
ilization is mostly the history of forms assumed by the
alism, charity, memory, responsibility, sin/guilt/debt,
exchange of goods, up until the generalized dimen-
forgiveness of sins/debts.
sion of the market together with the duties and hierarchies that it establishes. Attempting to exorcise market
The other aspect that raises some doubts on the validity of the reference to Nietzsche is the denial of the
concept of exchange as founding relationship of society. On this point Deleuze and Guattari’s discourse is
not entirely clear. In fact, it seems to be based on the
famous analysis by Marcel Mauss,36 but he does not actually say what they want him to. It is true that Mauss
focuses on symbolic content which in primitive societies was an integral part of gift, but the main point of
his analysis is the perspective of gift as forerunner of
market exchange. Mauss, like Nietzsche and later Lévi
society by searching for elements of a possible alternative is useless and misleading. It might be argued that
«the primitive machine is not ignorant of exchange,
commerce, and industry; it exorcises them, localizes
them, cordons them off, encases them,» but it is not
at all inevitable that it happens because «the flows of
exchange and the flows of production do not manage
to break the codes in favor of their abstract or fictional
quantities.» 37 It is much more likely that «the flows of
exchange and the flows of production» are hindered
and obstructed not because the present condition is
Strauss, appears to argue that the exchange of goods,
36 Deleuze and Guattari, Anti-Œdipus, 1983, pp. 185-190.
126
37 Ibidem, p. 153.
127
optimal or intentionally pursued but simply because
and anthropological perspective, has been followed by
the community governed by codes is not able to fully
Karl Polanyi. In his main work, The Great Transformation,
welcome them yet, it has not understood and explored
he assumes that the market is not a natural device but a
all their potential.
social product, and identifies three ways of exchanging
goods, which he aptly terms “forms of integration” to
To be more explicit: it does not exist a gift economy
separated and opposed to market economy. Especially
not in primitive societies simply because the two economies do not coexist and do not oppose one another,
but follow one another through time. Instead, two symmetrical misconceptions mark the field of social scienc-
underline the social purpose of exchange.38 The first
is reciprocity, the second gift and the third market. Polanyi too is moved by intention of criticizing the pillar
of market economy since the time of Adam Smith, that
is, the fact that this originates from the natural inclination man to barter and trade.
es. On the one hand, that which absolutizes the market
exchange, builds a new genealogy of market economy,
To try to avoid these two misconceptions is like nav-
starting from bartering, and has no relevant historical
igating through the two mythological monsters Scylla
or ethnological confirmation but only the features of a
and Charybdis. It is a dangerous and audacious ven-
mere apologetical narrative. On the other hand, that
ture like separating facts from political preferences. I
which fantasizes of a gift economy governed by gratuity
believe that the best path is to line up most of the facts.
and thus decorated with a superior moral and social
Then we can try to understand the connection between
statute. A different narrative with a defamatory pur-
them, what makes one flow into the other through his-
pose against present society whose reproduction is en-
tory and human evolution, making one the premise of
trusted to a system of interdependent markets. The gift
the other and affecting the trajectory of this perpetual
economy is a modern invention. Its function is to make
transformation. It might be interesting to retrace not
people fantasize of an alternative to capitalism.
an antagonism produced by our imagination, but rather a process made of intersections, conflicts, encoun-
A similar path, though more solid from a historical
128
38 K. Polanyi, The Great Transformation, Beacon Press, Boston, 1944.
129
ters, through which the world we see today, especially
Guattari lay at the basis of their theory, a special role
the social one, has assumed its current form.
is assigned to an enigmatic passage located at the end
of paragraph 9 in Chapter Three, highlighted and in-
The incredible hallucination attached to the Anti-Œdipus contains, like all hallucinations, dazzling moments of clarity, but remains altogether a fabrication.
One that, especially after forty years from its conception in an excited intellectual climate, does not appear
to match the capitalist reality of the present, and, above
all, does not appear to be able to suggest an alternative perspective, as it has been argued for a long time.
The book is clearly the product of the “festive” ambiance affected by the social mobilization of 1968. At the
time, it seemed that everything had become possible
and that everyone could freely fantasize about alterna-
flated by the circle of so-called “accelerationists”. It
presents a question that for now still has no answer:
«So what is the solution? Which is the revolutionary
path?»39 The two authors, making an unclear reference to Nietzsche, suggest that the path to escape the
brainwashing of capitalist markets might not consist in
a denial , in a retreat, from the dynamic of the global
market. They argue that it could consist in their accelerated expansion. So, not a revolution against the
capitalist order, but the acceleration of its constitutive
processes, that is decoding and deterritorialization as
stated in the Anti-Œdipus.
tive worlds and ways of life, different from the solid social environment inherited from the past. A new start
Without entering the conspicuous accelerationist
seemed possible. But after a long time, it became clear
debate on the interpretation of the Anti-Œdipus frag-
that such “feast” was actually a funeral that commemo-
ment, I would like to stress how strenuous, if not incor-
rated the end of a hope, a vision, which had attracted
rect, is the attempt to link it to the Nietzschean frag-
and distracted men and women for more than a cen-
ment, as the authors pretend to do. For a fundamental
tury. We were left living in nihilism, and the advent of
reason. Deleuze and Guattari’s argumentation, like
“the strong of the future” was postponed indefinitely.
the accelerationists, refers to objective and structural
transformations induced by what we call today globali-
In their reference to Nietzsche that Deleuze and
130
39 Deleuze and Guattari, Anti-Œdipus, 1983, p. 239.
131
zation. Nietzsche, instead, pictures something entirely
his levelling down to the economic dimension of life,
different. He criticizes capitalism only indirectly and
should reach its maximum. «Once we have that immi-
very vaguely. He stands before the results of the déca-
nent, inevitable total economic administration of the
dence, the lonely landscape of a rogue humanity that
earth, mankind will be able to find its best meaning
faces the death of God and is fallen victim of Catholic
a piece of machinery in the administration’s service:
morality, which has worn it out and torn it apart. The
as a tremendous clockwork of ever smaller, ever more
passage that he imagines and wishes for, aimed at fa-
finely ‘adapted’ cogs;»41 only then when the sense of
cilitating the advent of the strong moved by the will to
«this tremendous process» has been lost, a
power, consists in intensifying the tension so that men
initiate, that is, «a reverse movement» capable of the
are pushed to abandon «slave morality», «the herd in-
«generation of the synthesizing, the summating, the
stincts», and to call for the advent of the Übermensch.
justifying man whose existence depends on that mech-
The «levelling of the European man», which is the ful-
anization of mankind, as a substructure upon which he
filment of nihilism, should not be hindered but rath-
can invent for himself his higher way of being.»42 Then,
er accelerate, in order to open that abyss of distance,
humanity will restart questioning the purpose of the
and hierarchy that justifies the intervention of the
things that happen.
μ will
strong of the future, of the Übermensch.40 It consists
in a shift, a discontinuity produced in the sphere of
subjectivity that involves the behaviour of men, their
self-perception, and triggers the establishment of a hierarchy among them. The «miniaturization of man»,
Secondly, even assuming that an accelerationist
perspective can be developed starting from Nietzsche,
I have argued elsewhere that this does not lead anywhere, and, actually, can be resolved, paradoxically, in
a rush forward that bypasses present real problems.
40 Cf. F. Nietzsche, Nietzsche: Writings from the Late Notebooks, by R. Bittner (ed.),
Cambridge University Press, Cambridge, 2003, fr. 10[17], p. 177. Cf. also fr. 9
[17]: “Il rimpicciolimento dell’uomo deve valere a lungo come unico fine: infatti
si devono prima creare vaste fondamenta, affinché vi possa poi sorgere sopra
una specie umana più forte...” [The miniaturization of man must persist for a
long time as the only goal. In fact, it is paramount to create ample foundations,
so that a stronger human species can arise on them]
132
41 Nietzsche, Nietzsche: Writings from the Late Notebooks, 2003, p. 177.
42 Idem.
133
3. More recently, Michel Aglietta and André Orléan
hand it bears the necessity and the obligation, on the
have the merit of having proposed again with accuracy
other the openness to exchange and the trust. The co-
and solid arguments the topic of debt, linking it to the
ercing side of money, according to what anthropology
nature and purpose of money. In 1998 they published,
seems to state, would be based on the fact that money
after four years of collective elaboration, an edited vol-
is derived from debt in its relationship with sovereignty,
ume, La monnaie souveraine, where they gathered con-
and, thus, from a hierarchy based on value. In a gener-
tributions coming from several different academic dis-
al sense, debt, according to some authors, constitutes
ciplines.
the social tie that defines what subjects are integral
part of society. It is what they term “originary and pri-
The starting point was the idea that money does
not belong exclusively or primarily to the economy,
but instead it mobilizes beliefs and values that assert
the membership to a community.43 Such approach is
suggested, first, by anthropological analysis, which has
observed the phenomenon in different social contexts,
through space and time. But, according to the authors,
mordial debt”, which in its essence is a “debt for life”.
This should be the key to understand the phenomenon of money and its functioning outside an economic perspective: primordial debt remains the adequate
concept that allows to conceive society in its entirety
and in its movement, and continues to enlighten our
understanding of money.
it is also the key to better understand the monetary
134
phenomenon of contemporary economies: modern
The whole argument of the theorists of “primordial
currency remains an expression of society as a whole;
debt” appears burdened by a structural defect, beyond
it preserves its rank of social identity operator, but it
the numerous suggestions and analytical inputs. The
is not an economic entity, not even in our societies,
idea of a primordial debt, of a debt for life, cannot be
because it represents that through which the econom-
deemed and treated like a matrix of the evolutionary
ic is thinkable, which is possible only from somewhere
process, which, through a series of unexplained meta-
non-economic. Money is a double social tie: on the one
morphosis, leads to debt like we know it today, in a soci-
43 … Agliette & Orlean 1998 2012, 7
ety shaped by capitalism. If we want to keep an anthro135
pological perspective, “primordial debt” could perhaps
teract with public authorities only to pursue their own
be conceived like a Jungian archetype, as a form of re-
private objectives. As long as the system runs, allowing
lationship that survives in the collective intellect and
a progressive extension of debt and thus of financial
so favors and ushers one solution or the other, in the
profits, the role of public authority, of the central bank,
concrete historical reality lived by individuals. Certain-
is purely passive. It only has register and support finan-
ly, it is not a factor that produces a single historical en-
cial operations, which expand the size of private debt.
tity. Now, as fertile and enlightening as it may be, this
Only when a crisis happens, that is, when for some rea-
approach bears a fundamental inconvenient from our
son debt starts to be unsustainable and some financial
point of view, since it does not allow to include the fac-
institutions might not be able to renew it, then public
tor of discontinuity generated by the advent of the cap-
authority assumes its role of system guarantor. In sit-
italist spirit. This perspective omits all the relevance of
uations of financial crisis it becomes evident that the
the crucial historical period in which the spread of cap-
debt system stands only on trust and that this trust is a
italism across European societies imposes currency, the
complex social product, which requires the interplay
means of payment, as social device to access the realm
of several factors, rules and institutions that normally
of goods. Monetary exchange, or rather the payment
are taken for granted.
with currency, slowly absorbs all forms of exchange in
which social life is articulated and through which it is
alimented. This passage settles the social life in a system of payments, which constitutes money in the form
and meaning that still has today.
One of the main virtues of Aglietta and Orléan’s
work is that they have included the political dimension
in the analysis of monetary phenomena, taking into
account the crucial topic of social cohesion. Hence,
money is conceived and analyzed as a social institution
136
More specifically, the part of the argument that
and thus as a complex social object that cannot be re-
deals with public authority and money does not take
duced to a convenient choice made by those who trade
into account a fundamental fact: nowadays money is
on the market. The abundant use of anthropological
essentially the product of private agencies, which in-
inquiry aims at giving more substance to a conception
137
of money that is free from economic hindrance, and
the dogma of neutrality of money: money as expres-
at making more space for an archaic and holistic di-
sion of sovereign authority. We can almost picture on
mension. This is still relevant for modern currencies,
the background a ghost coming back from the twenti-
whose hermeneutic function is precisely to show the
eth century, that is, the permanent contrast between
role that money plays in the multitude of processes
individualism and collectivism. The authors dedicate
and relationships through which the community is es-
a great effort in retracing the holistic nature of prim-
tablished as sovereign authority. Then, the mystery of
itive societies, but they seem to ignore the two thou-
modern money could be violated by recurring to its
sand years during which individualism has developed
archaic origins: money is a set of rules that determines
as founding element of our societies since the birth
the membership of each individual to a trading society.
and diffusion of Christianity.44
It follows that money cannot be reduced to the individualistic framework of market economy: money is a
common good that is almost sacred, as confirmed by
the social trust that generates it.
The most puzzling idea is that money as we know it
today can be better understood by focusing on its archaic configurations. Ultimately, Orléan does nothing
but passively quoting Simmel’s main argument accord-
The polemic objective of this analytic tour de force
ing to which «money is only a claim upon society.»45
is clear: to question the capitalist economic and social
It follows, in Simmel’s perspective, that «[t]he liquida-
order by attacking one of its pillars, namely, individu-
tion of every private obligation by money means that
alism together with its inevitable corollary, the institu-
the community now assumes this obligation towards
tion of contract. But, by doing so, I believe there is a
the creditor.»46 It should be noted that the term “An-
risk to lose sight of the capitalist peculiarity of modern
monetary systems and to obscure their processes and
transformations that established it. The authors of the
volume seem to run into the opposite and symmetrical
misconception of monetarists, who are obsessed with
138
44 This is an obvious reference to the enlightening and fascinating reconstruction
by Larry Siedentop, Inventing the Individual. The Origins of Western Liberalism.,
The Belknap Press, Cambridge, MA, 2014. Together with all the relevant historical literature that studies the origin of individualism in Medieval society.
These should suffice to persuade of the impossibility of identifying capitalism
with individualism.
45 G. Simmel, The Philosophy of Money, Routledge, London, 2004, p. 176.
46 Idem.
139
weisung”, adopted by Simmel to define money, origi-
omy like the present one. The results of ethnological
nates in German obligation law. It indicates a writing
and anthropological research are certainly fascinating
through which the drawer mandates a second con-
and relevant, but there is no need to use them to shed
senting subject, the drawee, to deliver on his behalf to
light on the monetary phenomenon in its current con-
a third subject a sum of money, banknotes, or other
figuration. Actually, sometimes they can be misleading,
goods that can be used as means of payment. Thus, the
as we have shown. Money’s social institution rank, as
drawee can pay the debt he has contracted with the
everyone can see provided that he is not blinded by
drawer or constitute a credit with him. This instrument
neoclassical economic narrative, can be effectively and
is similar to cheques or bills, it was invented for com-
fully explained by starting from the concept of money
mercial purposes and its origin dates back to Roman
as “token”. From this perspective, in fact, it is easier to
law. Today has fallen in disuse.
retrace the long and varied process that has progressively subordinated it to the capitalist rationale, depriv-
I think it is more interesting and meaningful to recall Schumpeter’s contribution, stated in his essay on
monetary theory written between 1917 and 1918. He
defines money as “Anweisung”, allocation, and pictures it as a title that grants access for the possessor to
the great source of goods and services that is the annual social product of the economy. According to Schum-
ing it from every other characteristic and transforming
it into the core of market relations, which nowadays
social life is filled with. The key to this process is the
monetarization of the economy. This is how a new sociability, modelled by market relations, affirms itself
and imposes a new governmentality centered on the
interiorization of the monetary tie.
peter, money is a token, a Rechenpfennig, which allows
to participate in the market game as buyer.47 This is the
Contrarily to what Orléan argues following Sim-
essence of money in a fully developed monetary econ-
mel’s thought, money is not an allocation to society but
rather an allocation to social product. The mediating
47 Historically, Rechenpfennig were tokens used by merchants in the Middle Ages
to count and keep track of their transactions, a substitute of the abacus that
functioned with the same logic. They were widely used especially in Central and
Northern Europe from the Middle Ages to the XVIII century.
140
instance that intervenes as collateral for the trust in
the monetary sign is not the “social body”, society, but
141
the public authority, the sovereign, the state. This is “la
due to a situation of need and thus from a coercion,
logique du sceau”, the logic of the seal, which Orléan
regardless of it being manifest or latent, and that this
talks about.48
relationship makes the indebted subject inferior, dictates his behaviour and forces him to align himself with
the requests of the creditor. The extension of the debt
4. In 2011, on the wake of the work of an Italian so-
relationship and, thus, of the condition of the indebt-
ciologist in Paris, the focus of the Left shifted towards
ed man, to the great majority of society members inev-
the notion of «indebted man». This allows to analyze
itably transforms it in a governing tool. It becomes the
more deeply the current condition of capitalism. Ac-
medium through which men interiorize the relation
cording to Lazzarato, capitalism in the neoliberal era
of subordination and the disciplining of their behav-
created the «indebted man» as the cornerstone of the
iour by a foreign power. Lazzarato’s work contains a
new regime of dominance and government. Capital-
tremendous amount of authoritative though obsolete
ism then mutated itself into a debt economy.
statements. But we are not persuaded that such analysis of capitalist reality is more advanced of those of the
The Making of the Indebted Man is an evocative and
main Marxist arsenal. The puppets are the same of the
provocative work, written using a rough and straight-
past, but the play and the background have changed.
49
forward style. Certainly it can be appreciated that it
The «class struggle» (which classes? How are they de-
attempts to advance an analysis of debt from a Fou-
fined today?), the «social capital» (where can it be
caultian perspective, which conceives it as a tool of the
found?), the «collective capitalist» (what does it look
governmentality of neoliberalism. However, it is evi-
like?) et hoc genus omne, as Marx would have said. Today,
dent that its premise is ultimately quite trivial. In fact, it
if we aim to advance a Marxian point of view on capital-
is obvious that a debt relationship can be created only
ism, even involving Foucault, Deleuze and Guattari, we
48 La monnaie autoréférentielle : réflexions sur les évolutions monétaires contemporaines André Orléan
49 M. Lazzarato, The Making of the Indebted Man, by J.D. Jordan (trans.), Semiotext(e), Amsterdam, 2011.
142
cannot avoid to analyze critically these concepts, which
because of their vagueness, have caused much harm
143
already. To be more precise, it is not possible to sug-
debt is the basis of all the enterprises that go under the
gest a new critical analysis of capitalism without a new
name of capitalism.
theory of society.
Another weak point of Lazzarato’s argumentation
144
Many, far too many, things are taken for granted in
is, in my opinion, the indiscriminate use of the term
the diagnosis that opens the Italian edition of the book:
“debt” to designate, indifferently, public debt, foreign
capitalism has entered a historical impasse; since 2007,
debt and debt, which are very different phenomena
it survives only thanks to the transfusions of huge pub-
and have different effects of the operativity of the econ-
lic funds; however, it is still running for nothing. This
omy and society. Their political significance is different
might be true, but some considerations on the nature
too. To equate these three forms of debt may serve per-
and role of crises and technological innovations in the
haps to create the “debt economy” narrative, but it has
evolution of capitalism would be appropriate. Another
no analytical grounding and, instead, it appears mis-
statement that we find in the opening of the book and
leading for whom intends to understand in depth the
that leaves us quite puzzled is: «Everyone is a “debtor,”
functioning of the current economy. Nowadays, public
accountable to and guilty before capital. Capital has
debt is not a debt in the common meaning of the word
become the Great Creditor, the Universal Creditor.»50
nor it resembles the debt of families and enterprises.
It is unclear from which analysis this statement derives.
In fact, it is not something that must be repaid. It is
All that can be said on “capital” based on any kind of
only dealt with on financial markets and in the system
analysis – assuming that we agree on the definition of
of geopolitical relations. Its main purpose is to provide
“capital” – is that it represents, if anything, the Uni-
the economic system with the means of payment neces-
versal Debtor. In fact, capital, in a more technical but
sary for its functioning. To affirm that today every child
still basic sense, truly is debt, and what we should really
is born burdened by some thousand euros of debt has
try to explain is its nature and the modus operandi. As-
no sense, because nobody will ever ask to that child to
suming that it makes sense to talk about debt economy,
repay anything. The only fact, worth examining follow-
50 Ibidem, p. 7.
ing Foucault’s path, is that the management of public
145
debt together with a series of other economic practices
by Deleuze, who in 1990 was already mentioning the
contribute to draw a system of power relations inside
“indebted man” as the protagonist of the “society of
which the life of individuals unfolds in a certain situa-
control” that was substituting the “society of discipline”
tion and in a certain historical period. It is one of the
analyzed by Foucault.53
devices that make present governmentality possible.
But it is not the only one, and it works only in synergy
with other economic practices. Nonetheless, Lazzarato does not appreciate Foucault and avoid to follow
his though on the path of rigorous reconstruction of
current governmentality. The pages of The Making of
the Indebted Man where Foucault is mentioned are the
proof of a superficial reading, focused almost only on
The Birth of Biopolitics. First, he depicts as a caricature
the complex and various ordoliberal discourse, which,
according to Lazzarato, could be resolved around the
«“de-proletarianization” of the population».51 Then, it
is the time of Foucault, who is accused of remaining
attached to an «industrial view of post-war neoliberalism.»52 The author argues that due to this affiliation
he did not notice the shift of governmentality towards
the «debt economy» which, instead, was not missed
Private debt, that of enterprises and families, is different. The former exploit it systematically to afford
needed investments for which they do not have the
means of payment. The latter resort to debt to anticipate necessary or unnecessary expenses, which otherwise they would be able to afford only after saving and
accumulating sufficient means of payment. Thus, the
means of payment obtained through the concession of
a credit and an operation of indebtment allow to “buy”
the future, to artificially expand one’s purchasing power. This is the truly positive aspect of debt, which the
capitalist spirit has acted on. A dimension of freedom
that expands human capability, increases operational
possibilities with the prospect of a future reward or
simply of the imminent enjoyment of goods or services.
However, as for most social phenomena, there is a negative side too. It might happen that somebody is forced
51 I am not sure from where he has borrowed this oversimplified version of the
ordoliberal perspective and to whom he refers to. As we know, it is very different to reference the work of Franz Böhm and Walter Eucken, especially their
writings of the thirties, or the work of Wilhelm Röpke or Walter Rüstow, or even
Hans Müller-Armack.
52 Lazzarato, The Making of the Indebted Man, 2011, p. 91.
146
to indebt himself simply because the his available re53 G. Deleuze, “Postscript on the Societies of Control”, The MIT Press, Winter
1992, Vol. 49, pp. 3-7.
147
sources and his purchasing power are not sufficient to
not be considered alone but within an environment of
sustain an adequate standard of life or the necessary
complex relations influenced by the absolute amount
productive capacity. This kind of debt is the finger on
of power that the individuals involved are able to exert.
which Lazzarato focuses instead of looking at the moon
Based on that, it will be possible, time after time, to
the finger is pointing at. The moon is the fact that the
determine whether more power of influence is in the
“strong men” who developed capitalism through the
hands of debtors or creditors. The ability of going into
monetarization of the economy have imposed to live
debt without repercussions is the highest expression of
inside a system of payments that transforms the whole
power.
social life in a tremendous and potentially complete
system of social accounting.
Apart from the generic weakness of the argumentation, which seems more focused on formulating cap-
Finally, there is foreign debt, that is the sum of pub-
tivating phrases than on analytical strength, Lazzara-
lic and private debts contracted with foreign creditors.
to’s work still offers some interesting ideas that merit
It represents an indirect measure of independence of
a very different treatment. Nonetheless, this is not the
a country based on the position it holds in the world
place to evaluate Lazzarato’s political conclusions of
of international relations. This is true for all countries
his work.
but one, that which controls the currency which the
international monetary system is based on, namely the
US. Thanks to this prerogative, or privilege, the US are
able to be, in absolute terms, the major global debtor,
mainly to China and Japan, without being subjected
to particular obligations. In this case, foreign debt is
the measure of the degree of hegemonic power that
the country in question is able to exert. This reminds
us that debt is an uncertain phenomenon, which can148
To sum up, the impression from reading Lazzarato’s
works is that the discourse lacks conceptual precision
and analytical argumentation. The notion of debt itself, which the whole argument is based on, seems unprecise, contradictory and insufficiently elaborated.
The book advances relevant topics and ideas, but the
discussion is not up to the standard requested by the
aims of the book. It does not allow to grasp the com-
149
plexity and the ambiguity of the debt phenomenon as
correctly from my point of view, as the core mechanism
it presents itself in advanced capitalist societies.
through which capitalism functions. However, based
on this consideration and on a moral condemnation
of debt, Graeber issues for the whole capitalist system
5. Another work that was celebrated as a great suc-
a sentence without appeal, which appears rushed and
cess is that of David Graeber, anthropologist and Amer-
superficial from a political point of view, and useless
ican political activist. He was part of the “Occupy Wall
form a political perspective. The book proceeds by list-
Street” Movement and he tried to retrace the evolution
ing all the wrongdoings, violence and injustice which
of debt from prehistory to the present.54 It is a diffi-
debt would be responsible for. Here he echoes the
cult and ambitious job and it has a quite vague struc-
highlights of a millenary history, through which indi-
ture. In fact, it interprets in a very superficial way an
vidual debt has always played the role of the evil genie,
extremely diverse array of sources from over 5000 years
the enemy of the social order. The liberation from the
of history, as specified in the title, and it often incurs
burden of debt, the institution of a debt-free currency
in anachronisms. The enthusiasm for anecdotal recon-
and the creation of a debt-free economy become the
struction, though brilliant, prevails on the clarity of the
main political objective suggested to the whole global
discourse. Despite the great amount of sources refer-
Left in order to renew its ideological gear. On the back-
enced, it cannot be fully regarded as a historical work,
ground we can barely see the periodical forgiveness of
it resembles more a political pamphlet. This is evident
trespasses mentioned in the Bible (Deuteronomy 15:1-
in the conclusion. The phenomenon of debt is treated
6) and practiced apparently in the Assyrian and Baby-
mainly from a moral perspective. Debt is considered,
lonian world too when a new king was to take power.
54 The author’s enthusiastic levity is shown by casual though peremptory statements like this: «There is very good reason to believe that, in a generation or
so, capitalism itself will no longer exist – most obviously, as ecologists keep reminding us, because it’s impossible to maintain an engine of perpetual growth
forever on a finite planet» (D. Graeber, Debt. The First 5,000 Years, Melville House, New York, 2011, pp. 381-382) or this one, even more daring: «What is a debt,
anyway? A debt is just the perversion of a promise. It is a promise corrupted by
both math and violence.» (Ibidem, p. 391).
150
But now let us take a closer look at how Graeber
structures his discourse. The book is a surprising clutter of interesting analyses, though not always new and
original, as well as peremptory and rushed judgments,
151
not supported by convincing arguments, especial-
the Polanyian concept of «economies embedded in so-
ly when it comes to the period from the 1970s to the
ciety». However, Graeber does not quote Polanyi, he
present. It is based on a conspicuous literature, per-
cites him only briefly in a note but for another matter.
taining to a wide array of social sciences, which often
This seems quite strange since Graeber uses the con-
seems as if it was read in a hurry and uncritically. Gra-
trast between «commercial economies» and «human
ber thought originates from a question that persists
economies» from a critical perspective very close to Po-
through the whole book: «How is it that moral obliga-
lanyi’s one. In fact, Polanyi too describes a dichotomy
tions between people come to be thought of as debts,
between «embedded economies» and «disembedded»
and as a result, end up justifying behavior that would
ones, as the market economy, although it is built on
otherwise seem utterly immoral?»55 An initial answer is
a comprehensive analysis of the ethnological material
given based on the distinction between «human econ-
available. This dichotomy as well is deeply influenced
omies» and «commercial economies», and it ends up
by its uncompromising purpose of criticizing the cap-
denying the legitimacy of debt. The crucial passage is
italist economy, which, according to it, has subjugated
«when human economies begin to give away to or are
society to the mechanisms of external rules. If we elim-
taken over by commercial ones.»56 The cornerstone of
inate its purpose, the analytical sustainability of this di-
the whole system is the alignment of debt and money.
chotomy is not solid anymore, neither in Polanyi nor
in Graeber. As the other dichotomy, which contrasts
The first seven chapters, where Graeber presents his
analytical tools, offer an extensive overview of the historical evolution of money and debt. We assume that
it was aimed to support Graeber’s main argument of
the contrast between «commercial economies» and
«human economies», based on a distinction similar to
55 Ibidem, p. 158.
56 Ibidem, p. 130.
152
state and market and is very appreciated by Leftist critics of capitalism. All these, though fascinating, seem
too obvious and, at the same time, too precise to be
adequate for an economic reality like the present one,
whose peculiar trait is complexity of relations and multiplicity of articulations. Thus, it seems appropriate to
abandon such dichotomies and focus our attention
153
on the intersections that connect these two apparent-
diverse conditions until it has become the fundamen-
ly opposite realms. Reality is not made of human and
tal infrastructure of the capitalist economy in the Euro-
commercial economies, embedded and disembedded
pean context. It was not created by some form of exter-
economies, and there is no clear alternative between
nal power and forced onto society. Markets arose from
state and market. Reality is made of combinations of
within society and over time they found institutional
institutionalized solutions, variable through time and
stability thanks to the initiative of groups of individuals
different depending on the context, which regulate
who experimented new and more efficient solutions
the plurality of economic relationships. Dichotomic
to make more goods available to members of the com-
simplifications do not facilitate the understanding of
munity. The fact that, for a long time, physical markets
reality and happen to be misleading.
were located at the margin of the community territory
does not mean that their presence did not engage the
I suggest we consider the economy as an institution-
community or interact with its routine, transforming it.
alized process of integration between men and their
natural and social environment. The object and goal of
The most surprising thing in Graeber’s work is the
such integration is the production and the distribution
lack of theoretical framework and, even more, of meth-
of goods and services necessary for society’s reproduc-
odology. The discourse is random and the line of rea-
tion. We must emphasize that this interaction repre-
soning is often filled with superficial obvious claims,
sents the field where power relations arise, rooted in
such as: «money has no essence»57; «[capitalism] is
the inevitable diversity of human beings. I believe that
ultimately a system of power and exclusion»58; «There
Polanyi and arguably Graeber too could agree on this
is very good reason to believe that, in a generation or
definition. But if we focus our analysis on the “process
so, capitalism itself will no longer exist-most […] be-
of interaction,” disagreements are inevitable. In fact,
cause it’s impossible to maintain an engine of perpet-
this process seems to be responsible even for the estab-
ual growth forever on a finite planet.»59 At this point,
lishment of the market as it has been spreading and
57 Ibidem, p. 372.
58 Ibidem, p. 381.
59 Ibidem, p. 381-2.
developing over a very long period of time and in very
154
155
anti-capitalist ideology seems to take over the analysis.
fills the last pages of the volume.
The passage from the Nixon administration to the ReaThe core of Graeber’s research is the idea that debt
gan, rightly deemed pivotal in the evolution of US capitalism, is described in a hasty and superficial way, as if
it was a purely ideological battle won inexplicably by
rough and backward forces.
is strictly connected to violence and is responsible for
the demoting of moral obligations, which become
debts.61 This passage happens through money and the
market, which allow to quantify the obligation trans-
After all, Graeber thinks that capitalism is inherent-
forming it into a debt. «Violence and the quantifica-
ly incapable of including the whole population in the
tion are intimately linked.»62 The original sin that lies
process of creation and distribution of wealth and that
behind these aberrations is that of accepting «to re-
crises are ultimately deficits of inclusivity. In this per-
duce all human relations to exchange,» while, accord-
spective, the period of the so-called “Keynesian com-
ing to the author, we need to rediscover «by drawing
promise” considered as one of several failed attempts
on the fruits of anthropology […] the moral basis of
at inclusion, is also devalued. After reading the whole
economic life.»63 It remains indisputable that «the very
volume, we are under the impression that the author
principle of exchange emerged largely as an effect of
himself has not fully internalized the amount of facts
violence» and «that the real origins of money are to
and meanings that he presented through the whole
be found in crime and recompense, war and slavery,
book in his attempt to retrace the history of debt. In
honor, debt, and redemption.»64 Hence, there is no
the end he asks himself: « What is a debt, anyway? A
doubt that, from this perspective, the interpretation
debt is just the perversion of a promise. It is a promise
of the history of debt is functional to the formulation
corrupted by both math and violence.»60 There is no
of a sentence without appeal for market economy and
trace of what has been argued in all the previous chap-
capitalism. Naturally, this noble objective justifies also
ters about the role of debt in establishing social ties.
And let’s forget about the aggressive philosophy that
60 Ibidem, p. 391.
156
61
62
63
64
Ibidem, p. 13.
Ibidem, p. 14.
Ibidem, p. 18.
Ibidem, p. 19.
157
some interpretative stretches. Debt becomes a generic
which economic relations can be founded, all of which
and all-encompassing category, which includes with no
occur in any human society, and which I will call com-
particular distinction public debt, private debt and in-
munism, hierarchy, and exchange.»66
ternational debt. What matters is to picture debt as an
instrument of power holders to subjugate and control
the majority of the population. Creditors are the rulers
of history. But, despite that, he still admits that today’s
great debtors, big industrial and financial companies,
are those who have the strength to escape the obligation to repay their debts.65 So, where does the truth
stand? Perhaps, power is the main issue while debt is
only one of the places where power relations are manifest? The real history of the relationship between creditors and debtors is much more controversial and detailed than what Graeber wants us to think.
This approach leaves us with several reservations.
The first concern stems from the idea of conceiving
communism, hierarchy and exchange as moral principles rather than organizational forms. However, Graeber provides no explanation: either take it or leave it.
Above all, it is surprising to see the treatment dedicated to the notion of communism, whose dense past is
deleted in a couple of words. According to Graeber,
communism is not that thing which hundred millions
people believed in and fought for, that is, common
property of the means of production conceived as the
only condition capable of ensuring a fair and egalitari-
158
From this point of view, the most revealing and ap-
an society. He believes that communism is only anoth-
palling chapter is the fifth, in which Graeber discuss-
er word for reciprocity. Communism does not concern
es the «moral grounds of economic relations». Gath-
the collective property of the means of production, but
ering quite randomly a series of anthropological case
rather the relationships between people. Thus, sudden-
studies concerning different and distant cultures and
ly, communism is everywhere and we find ourselves to
ages, Graeber feels free to reach the conclusion that it
be all communists since we are all used to some forms
is possible to identify «three main moral principles on
of reciprocity. Communism even penetrates inside busi-
65 At the beginning of the book, in the epigraph, he quotes a notorious American
proverb: «If you owe the bank a hundred thou sand dollars, the bank owns you.
If you owe the bank a hundred million dollars, you own the bank.» (Ibidem, p. 1).
nesses, which are islands of communism and hierarchy
66 Ibidem, p. 94.
159
in an ocean of exchanges.67 Even more astonishing is
not much to add to this insolent and inconclusive way
the principle that Graeber upholds as foundation of
to rewrite history.
a new idea of communism: «from each according to
their abilities, to each according to their needs.»68 This
is notably an old, if not ancient, formula.69 Certainly, it
is nothing but a slogan, which, like all slogans, has only
an educational function and does not aspire to express
fundamental contents. Today more than ever. Does anyone have any idea on how we could isolate and recognize each person’s abilities in such a differentiated
and complex job world like the present one without
the help of market dynamics? Or on how to define and
recognize the needs of each person? Would the Leviathan do it or a simple web poll? But, one again, Graeber’s answer is striking and disheartening. He claims
that the slogan is not applicable, as its creator thought,
to the participation of individuals to the process of social production in the ultimate phase of communism,
but rather to the relationships of reciprocity. There is
The identification of exchange too as a relationship
based on reciprocity and formal equality is equally superficial. Although the two dimensions, especially the
second, are widely diffused and unanimous, they do
not survive a more detailed and non-ideological analysis. Reciprocity requires some degree of reiteration of
the relationship, which allows to establish some form
of mutual recognition, which in turn is a fundamental
requirement of reciprocity. Exchanges, especially market exchanges, can be and mostly are totally lacking
this characteristic, because they tend to end with the
exchange itself, even though sometimes they might
constitute a precedent for the establishment of lasting
relationships, but not necessarily reciprocal. Formal
equality of the exchange too is all but obvious, because
in most concrete cases the seller enjoys of some measure of monopoly, unless, as it often happens in our
67 The idea that enterprises are islands characterized by forms of relationship
different from those most predominant outside is not new. It was first formulated with much sharper analytical accuracy by Dennis H. Robertson in 1923
(Control of Industry, Nisbet, London). He argued that enterprises are «islands of
conscious power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter
coagulating in a pail of buttermilk.»
68 D. Graeber, Debt, 2011, p. 94.
69 Coined by Karl Marx in Critique of the Gotha Programme (1875). John Rawls refers
to it in paragraph 47 of his Theory of Justice (1971).
160
economies, the buyer enjoys significant market power.
Anyway, assuming that the exchange is almost inherently unequal, it is difficult to even talk about formal
equality. In fact, formal equality stands for accepted inequality.
161
Finally, Graeber’s solution to solve at the root the
of debt.
several and daunting problems that generally debt
causes is shocking. The solution is in the Bible: «[T]he
Law of Jubilee: a law that stipulated that all debts would
be automatically cancelled “in the Sabbath year”», that
is, after seven year.70 « It seems to me that we are long
overdue for some kind of Biblical-style Jubilee: one
that would affect both international debt and consumer debt.»71 If this is the solution, we cannot help but to
feel disappointed after so many pages of analysis and
argumentation. Furthermore, we do not understand
why public debt, which currently represents the most
consistent as well as relevant phenomenon, is excluded
from the Jubilee. But that might be asking too much. In
particular, we are not asking to Graeber who and how
should proclaim this Jubilee. Much ado about nothing.
The promise «to create a new theory, pretty much
from scratch» is destined too to be unfulfilled. At the
end of the book, we do not have a theory, but a series
of considerations on the “morality of debt”. The wide
array of ethnological and anthropological materials
did not help to construct a theoretical interpretation
In conclusion, it is a pretentious, imprecise, incoherent job fueled only by the intention to find in debt
and in the illustration of the infinite damages that it
causes, the lethal weapon that should definitely persuade us of the impellent need to destroy capitalism.
Mission failed. There is not much to learn on the nature of debt, both public and private, nor on the purposes that it fulfils and the problem that it generates in
capitalist economies because, actually, the book mainly
deals with the moral implications of debt. The extraordinary success that the volume had is proof only of the
cultural desert, the total lack of analytical instruments
and cultural perspectives that affects the political Left
in the Anglo-Saxon world.
Graeber argues that the history of debt corresponds
mainly to the history of money, because debt and money appeared together in the history of civilization.72
Two demanding statements, difficult to demonstrate,
in particular the one according to which debt and
money would have the same origin. Personally, I think
there are valid reasons to believe that debt is the more
70 D. Graeber, Debt, 2011, p. 82.
71 Ibidem, p. 390.
162
72 Ibidem, p. 21.
163
ancient and primordial form of the relationship estab-
Graeber dedicates the second chapter with the aim of
lished between men when goods are exchanged. I think
putting at the pillory what is effectively one of the weak-
there is enough ethnological evidence to presume,
nesses of many manual of economics. There is already
first, that the exchange of goods between strangers was
a plethora of unorthodox economic volumes that show
the first experiment of humanity as part of its first at-
and demonstrate the historical and theoretical incon-
tempts of socialization, and, second, that in this activity
sistency of this thesis.74
all the dimension of the relationship with another person came into play, included the exploring of his inclination to accept a lasting pacific relationship. The phe-
6. Perhaps, it is a sign of the times that such a rele-
nomenology of gift, in all the variants highlighted by
vant topic like debt has had global resonance thanks
all ethnological reconstructions, could be the field of
to quite superficial works. Especially because these are
experimentation of these very early forms of relation-
written by authors that seems clearly guided in their
ship and exchange. From this perspective, gift would
research by a strong ideological prejudice, which con-
represent the ancient and elementary solution, despite
demns a priori the capitalist system of which debts is a
the complexity that it exhibits.
cornerstone. We are not making any progress in the
Anyway, by resolving debt with money, it follows
that the Graeber’s first task is to rewrite history and,
in particular, the origin of money. Graeber needs such
passage also to attack the main obstacle, according to
him, to the understanding of the history of money and
debt, that is, «the extraordinary place that economics
currently holds in the social sciences.»73 Thus, the first
polemical objective is “the myth of barter”, to which
73 Ibidem, p. 90.
164
critical analysis of capitalism. We are rather facing an
operation of political marketing, which creates the
impression that capitalism can be identified with debt
and, since debt is seen by the most as something reprehensible, proceeds to condemn capitalism as the man
enemy of humanity as well as an obstacle to the crea74 There is no need to resort to the pioneering work of Alfred Mitchell-Innes
(1914) or the difficult treaty by the father of Chartalism, Georg Friedrich
Knapp whose writings are, in fact, outside, or rather have been kept out, of
the circle of orthodox economics. It is sufficient to mention Modern Monetary
Theory, which for some time now has firmly asserted the thesis that denies “the
myth of barter”.
165
tion of a human world.
directed to someone else and/or a physical object that
are univocally influenced by it. Only afterwards collec-
What makes these authors’ analyses, and many others weak and false since the beginning (including a
tive action is considered, and so it is pictured as an act
of recomposition.
great part of present social research) is the way they
think about and take for granted the functioning of
Actually, the starting point of any social analysis that
the social system. The narratives they tell, which can-
aspires to be scientific must be that primary state, that
not be regarded as “scientific analyses”, found their
originary movement, that is, the interaction between
causal explanations on anthropomorphic shapes, to
individuals that compose a certain community, at
whom they inappropriately assign the role of agents
whose core stands the ability to socially elaborate infor-
that think, decide and act like individuals: capital, cap-
mation.75 The interaction between individuals that col-
italism, economy, market and so on. These are the ac-
lectively elaborate information and, while they do so,
tors that hold the stage in these narratives, and, like
establish power relations, is the fil rouge of the history of
Homeric gods, play with the lives of human beings fa-
humanity. We could even say that it represents the birth
voring one group and then another. Secondly, I believe
of humanity. Thus, we always have to restart from here,
their way of conceiving the effects of human actions
regardless of the historical period we find ourselves in.
on the social context to be completely misleading. De-
There is no a priori for this routine that can affect its
spite variations and different emphasis, it is generally
unfolding except from the history, the path, of interac-
a mechanistic view fueled by a sort of enlightened ra-
tions that have occurred before the one we are consid-
tionalism. This view is instilled in a homo faber, ruler of
ering or living now. Interacting with one another, indi-
the social and physical world where he lives and that
viduals establish themselves as subjects, they manifest
he is capable of transforming in accordance with his
themselves as carriers of needs, interests and beliefs. At
own rational project. Man is considered as an actor inside a one-way relationship with other men and with
the natural environment. Action stems from him and is
166
75 César A. Hidalgo, “Why Information Grows”, Basic Books, NY, 2015. This observation has been made in Simmel, 1900, p. 159. It is perhaps the most important
and earliest step of the Simmelian analysis of the origin of money as a social
institution (G. Simmel, 1978, The Philosophy of Money, New York: Routledge).
167
the same time, they establish the relationship between
nal power that influences and guides from the outside77
themselves, they absorb, validate or dispute the power
relations that discipline their coexistence.76
Power is one of the fundamental codes on which
individuals base their interactions, and politics is a spe-
Power is an essential and inevitable component of
cific expression of it. In the infinite interactions that
social interaction and inequality is the inevitable ma-
link them, individuals form groups, explicit or implic-
trix. Wandering back to the origins of history, as far as
it, which in turn act as individual actors, interacting
we can go, we see that the debt relationship constitutes
with actual individuals. Political parties and the gov-
the most ancient form of relation between unequal in-
ernment are some of the collective actors that interact
dividuals, who are strangers to one another. The trans-
with individuals enjoying a usually considerate differ-
fer of goods, even before the exchange, is a fundamen-
ential of power, which is often decisive. However, they
tal part of it. This was Mauss’ point in his writing on
are often unable, even with such power, to influence
gift.
individual behaviours enough to fully implement their
programmes and policies. The state is an agent like the
The diversity between individuals emerges from
their interaction and the issue of power arises from
such diversity. Every relationship between individuals
can be ordered according to a certain hierarchy, where
someone exerts power while someone else is subject
to it thereby, as Foucault claimed, recognizing and validating it, even more when he resists to it. Politics is
others, especially in economics. Parties too are nothing
but collective subjects that interact with the rest, often
from positions of advantage, but they too do not have
the ability or the possibility to exert an absolute ordering power. They too are exposed to the heterogenesis
of objectives and to the ungovernable uncertainty of
unexpected outcomes.
immanent with respect to this endless interaction be-
168
tween individuals, it is not placed above like an exter-
Debt is strictly linked to power. They are both phe-
76 This, in my opinion, is the most profound, interesting and innovative sense of
Foucault’s reflection on power.
77 As opposed to what is argued by the “constructivist fallacy” sharply criticized by
von Hayek.
169
nomena that manifest themselves in the interaction be-
to overlook, if not deliberately hide, the two millennia
tween individuals. No form of interaction is free from
of Judaic and Christian history, which shaped Western
them, even though often these aspects remain latent or,
civilization and generated and expanded capitalism.
more precisely, below our attention threshold. During
These authors ignore the fact that the individualism
time, the archetype of debt has gone through a long
that they identify automatically with capitalism is the
series of metamorphoses, each one with its own history,
product of the Judaic and Christian experience too, as
up to the economic forms that holds today. This does
Siedentop argues.78 It seems almost as if their contin-
not allow to confuse these metamorphoses and articu-
uous resorting to the anthropology of primitive socie-
lations of the debt relationship with one another.
ties was an expedient to expel the nexus that involves
Judaism, Christianity, individualism and capitalism together with the deep and daunting issues that it pre-
7. Despite their diversity, all contributions that, re-
sents and that remain unresolved. It seems impossible
calling more or less explicitly and directly the Nitzs-
to come to terms with present capitalism, which is not
chean suggestion of The Genealogy of Morality, hold the
malleable to all the attempts of social reform made so
notion of debt at the core of their radical critique of
far and still influences deeply our lives. Thus, the prim-
capitalism have some common features. Thus, a school
itive society becomes the archetype of a desired society:
of thought is born, which presents a fair degree of uni-
« The primitive machine is not ignorant of exchange,
ty and in which the radical critique of capitalism, or-
commerce, and industry; it exorcises them, localizes
phan of Marxism, has found shelter.
them, cordons them off, encastes them, and maintains
the merchant and the blacksmith in a subordinate po-
The first element, derived from the Nietzschean
sition, so that the flows of exchange and the flows of
tradition, is the polemic or even hostile attitude to-
production do not manage to break the codes in favor
wards the Judaic and Christian tradition. This prejudice induces the authors that belong to this current
170
78 L. Siedentop, 2014, Inventing the Individual: the Origins of Western Liberalism,
Cambridge, MA: Harvard University Press.
171
of their abstract or fictional quantities.»79 Even if the
hides and, at the same time, expresses an unresolved
two authors do not quote him, we are not fare from Po-
issue, that is, the relationship with the Judaic and
lanyi’s analysis and his idea of an economy embedded
Christian political and cultural tradition, from which
in traditional societies, which capitalism would have
capitalism originates. More precisely, what they deem
sabotaged by cutting the links with the social realm.
unacceptable and try to hide is that sort of legitimization which the recognition of such relationship would
The second element, partly connected to the first,
is the missing acknowledgement of the fact that the
debts-sin/guilt, on which most of these authors’ arguments are founded, originates exactly from that Judaic and Christian period that they look suspiciously
if not with disdain, following Nietzsche. As Anderson
has wisely demonstrated, sin, which during the period
of the First temple (833 – 416 B.C.) was represented
through the metaphor of the burden, during the period of the Second Temple (536 B.C. – 70 A.C.) began to be represented through the metaphor of debt,
probably after the diffusion of Aramaic, which was the
official language of trade law.80
return to the savannah aims at saving the radical, but
easy, critique of capitalism that excludes it from real
social relations and transforms it in an enemy of society. This aspect is based on one of the most common
and misleading cliché that has accompanied the birth
and the development of modernity, that is, the contrast
between the good society, namely civil society, and the
corrupting capitalism, with its destructive pulses. Foucault refused sternly to use the contrast between “state”
and “civil society”, because it is never exempt from a
sort of Manichaeism, which attributes to the notion
of state a negative connotation and, at the same time,
The nostalgia of the savannah, common to many of
idealizes society as a good, lively and welcoming collec-
these contributions starting with Deleuze and Guattari,
tive.81 We could claim the same thing for the contrast
79 Deleuze and Guattari, 1972, Anti-Œdipus, p. 153.
80 G.A. Anderson, 2009, Sin: A History, Yale University Press. The capital text which testifies this semantic development is the incipit of the Our Father: «Forgive
us our trespasses as we forgive them to those who trespassed against us». Anderson’s work is quoted also in the interesting text by Elettra Stimilli (2015, Debito
e Colpa, Roma: Ediesse).
172
attribute to capitalism, as historically necessary. The
between society and capitalism. Such contrast obscures
what ought to be the true object of analysis: the exist81 M. Foucault, 1994 Dits et écrits, Gallimard
173
ence of a “capitalist society”, whose crises and down-
retrieve the primordial notion of debt: it is a debt that
turns we feel but whose end we do not see. We are still
is not repaid, is not put out, does not need to be put
waiting for a critical analysis of capitalism that starts
out. It is a permanent debt. It mirrors the power rela-
from the acknowledgement that we live in a “capital-
tionships between states, which in turn are tied to the
ist society”, which marks deeply our existence and our
economic potential that domestic economies are capa-
rationality. And, quoting Foucault again, “we should al-
ble of. Sovereign debt mirrors and measures sovereign-
ways remember that at a certain point every human re-
ty. With respect to the current notion of debt, dictated
lationship is a power relationship. We evolve in a world
by the economy, this represents a radical change in
full of strategic perpetual relationships”82. The analysis
perspective and meaning.
should never ignore the immanence of power, even
when we talk about power relationships established by
the capitalist system. There is no “outside” that should
be used as leverage.
The actual uncolletibility of public debt radically
transforms its own nature and function. Debt is simply the form in which government or, more frequently, a formally independent organ, namely the central
A curious aspect of the work of these economists is
bank, makes available to the economy the means of
their reticence to talk about capitalism and to attrib-
payment required for its functioning. Their quantity
ute to the capitalist nature of the economy, in which
and distribution cannot be determined precisely and
we live in, a phenomenon like debt in its actual form,
beforehand because they depend on different subjects
which is one of its cornerstones.
not linked by any formal channels of communication.
Thus, it is not assured that their choices are compatible and their objectives converging. Here is where
8. As it seems clear to everybody but the economists,
malfunctions originate, which cyclically cause crises.
sovereign debt presents a peculiarity that compels to
Hence the central issue is not debt itself or its proportion but its management.
82 Ibidem
174
175
It remains the fact that sovereign debt is a knot in
tion. As we said, debt is an instrument to colonize the
the net of power that, in the present geopolitical con-
future and to extend the horizons of the present. Its
ditions, links all the states influencing the policies of
double nature has complicated present capitalist gov-
all governments. Then, in the field of debt manage-
ernmentality, making even more explicit and binding
ment, public space that each nation-state is able to fill
the link between economics and politics. Government
is preponderant according to its relative power, which
has new and more complex responsibilities, because
sums economic, political, social and cultural factors.
only a political governing of debt can make it sustainable, that is, keep it two faces together. No economic
Nowadays, debt is seen by many analysts, econo-
artifice can do it.
mists, philosophers, anthropologists as the cornerstone of governmentality in the era of globalized capitalism. Debt would be the fundamental instrument to
discipline individual behaviour, the binding force that
imposes that forces everyone to respect the rules of
capitalism, a wider and more absolute form of subjugation than the wage relationship. Now, some aspects
are certainly true. Capitalist governmentality depends
of course on debt relationships, which in countless
forms affect and engage the whole social body. But, at
the same time, this perspective does not end in the domain of governmentality and this does not even show
its most profound aspects. As it has been shown in the
previous pages, the debt relationship binds, limits the
freedom of choice of individuals and of the collectivity,
but, at the same time, it extends their freedom of ac176
177