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5. IA G O I T O T ER L B I O P A LA E EB N D E L G E D Obsolete in appendix Capitalism GENEALOGY OF DEBT english text Andrea Fumagalli IN MEMORIA DI LAPO BERTI 5. RZN005 ita Editore: Rizosfera Collana: Rizonomia Genealogia del debito di Lapo Berti Anti-copyright :: Aprile 2019, Rizosfera Copyright Andrea Fumagalli per il testo ‘In memoria di Lapo Berti’, comparso in forme differenti sul blog Effimera e sul quotidiano Il Manifesto. Ringraziamo l’autore e Cristina Morini per la gentile collaborazione Creative Commons 4.0 Attribution — You must give appropriate credit, provide a link to the license, and indicate if changes were made. You may do so in any reasonable manner, but not in any way that suggests the licensor endorses you or your use. No additional restrictions www.rizosfera.net La collana editoriale «Rizonomia» tratta di temi economici attraverso la prospettiva filosofica rizosferica e la teoria generalizzata dell’economia. Indice Uscite: Introduzione RZN001 :: PAOLO DAVOLI, LETIZIA RUSTICHELLI, Marx, Moneta, Capitale intervista con Lapo Berti RZN002 :: RIZOSFERA - Neuropaesaggi digitali intervista con Tony D. Sampson 13 di Rizosfera In memoria di Lapo Berti 15 di Andrea Fumagalli RZN003 :: DEMYSTIFICATION COMMITTEE -The Offshore Economist RZN004 :: KYBERNETIKOS KOMMANDO - Sferologie electro Genealogia del debito 21 di Lapo Berti English Text Genealogy of Debt 93 (1940 - 2017) Roma, 24 aprile 2017 Caro P*, come promesso ti mando questo work in progress sulla letteratura del debito. Come vedrai, ci sono diverse parti che devono essere completate. Conto molto sul tuo giudizio e sui tuoi suggerimenti. A presto. Lapo Berti La mail del 24 aprile 2017, qui riportata, mostra quali fossero gli ultimi temi di indagine, cari a Lapo, prima della sua improvvisa e dolorosa scomparsa avvenuta il 2 dicembre 2017. Il tema del debito, la letteratura militante ‘critica’ sul debito e la sua natura, il rapporto tra Foucault e le tesi ordoliberiste e neoliberiste, erano al centro del suo interesse e della sua elaborazione intellettuale negli anni 2016-2017. 12 13 La proposta del filosofo e studioso di Foucault, Mauro Bertani, di un articolo di taglio ‘economico e In ricordo di Lapo Berti di Andrea Fumagalli filosofico’ per la rivista Aut Aut, gli aveva offerto l’opportunità di approfondire tali tematiche nel corso dei mesi centrali del 2017. Il testo qui presentato, insieme all’articolo pubblicato da Aut Aut (n.376/dicembre 2017), Ripartire da Foucault. Economia e governamentalità, sono dunque gli ultimi lavori pensati e scritti in vita da Lapo Berti. Offriamo ai lettori e agli studiosi di economia questi pensieri ancora nella loro forma non definitiva, e senza mediazione alcuna, cioè senza alcun lavoro editoriale specifico da parte nostra. Riteniamo che questo Lapo Berti fa parte dei tanti militanti che hanno dedicato la propria vita alla ricerca della verità (nel senso di “parresia”) – una compagine oramai rara ai giorni nostri, così presi della performatività dell’apparire. Ha partecipato ai principali avvenimenti della rottura culturale degli anni Sessanta fino gli anni Novanta. Nato nel 1940, a Milano, è vissuto a Firenze, poi di nuovo a Milano e infine a Roma. sia il modo migliore per commemorare, a poco più di A Firenze, insieme a Claudio Greppi, si era legato un anno dalla sua scomparsa, colui che riteniamo un al circolo “Giovanni Francovich”. Visse appieno l’inte- Maestro esemplare di vita e pensiero. ra esperienza, fondamentale per l’operaismo italiano, della rivista “Classe operaia”. Pur legato più a Mario Tronti che a Toni Negri, non ebbe il minimo dubbio nel momento della scelta (per la verità dubbi ne aveva molti, per carattere: ma sapeva scegliere). Partecipò all’intero ciclo di “Potere operaio”, dalla costruzione (quella veneto-emiliana, per intenderci) fino alla conclusione (convegno di Rosolina). 14 15 Lapo ha insegnato all’università senza neppure es- a quella della règulation francese, le uniche capaci di sere laureato. Ha un antenato illustre, Claudio Napo- concepire una teoria economica in grado di essere un leoni. Gli riuscivano cose apparentemente impossibili. antidoto all’egemonia monetarista dell’epoca). Nella struttura di Potere Operaio ebbe anche un ruolo dirigente, non di semplice adesione ideologica. Con Ferruccio Gambino divideva la responsabilità del settore internazionale; in Germania l’operaismo è penetrato nell’elaborazione del pensiero antagonista anche grazie al suo intervento appassionato. È stato uno studioso dei classici, in primo luogo Marx, e poi Schumpeter. Del primo ha divulgato l’idea che la moneta non è prevalentemente un rapporto sociale, ovvero strumento del dominio del capitale sul lavoro. Del secondo ci ha tramandato (oltre alla traduzione di Teoria dello sviluppo economico – Sansoni Edito- Dopo l’esperienza di Potere Operaio, è stato uno re, 1971, nuova ed. 2013, a cura di Rizzoli), la semina- degli animatori della rivista Primo Maggio, partecipan- le, ma parziale, traduzione dell’opera schumpeteriana do al gruppo di studio sulla Moneta, con Christian Ma- più misconosciuta – Das Wesen des Geldes (L’essenza del razzi, Roberto Convenevole, Franco Gori e Sergio Bo- denaro), importante per comprendere il ruolo di di- logna. Ha prodotto teoria sull’idea che la creazione di scriminazione che è insito nel potere del denaro. Con- moneta – come moneta credito – fosse in ultima ana- cetti che oggi, nell’era del capitalismo cognitivo finan- lisi, nonostante il monopolio di emissione della Banca ziarizzato, sono più che mai attuali. Centrale, un fattore endogeno alla dinamica dell’economia capitalistica. Ha inoltre tradotto l’edizione di Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione di Ludwig von Mises (curata da 16 Ha partecipato al seminario sulla Moneta animato Riccardo Bellofiore), de L’equilibrio monetario di Gun- nei tardi anni Settanta da Augusto Graziani con Mar- nar Myrdal e ha tradotto e curato la Teoria economica del cello Messori, Roberto Convenevole, Francesco Farina, credito di L. Albert Hahn, tutti testi che contribuirono Lilia Costabile, Adriano Giannola, contribuendo allo non poco negli anni Ottanta alla discussione sulle teo- sviluppo della Teoria del circuito monetario (insieme rie monetarie eterodosse. 17 Negli anni Novanta si è interessato alle trasformazioni del processo di valorizzazione nella fase del capi- sione la validità di tale progetto significava, secondo quella logica, assumere una posizione antieuropeista. talismo post-fordista. È stato membro della redazione di Altreragioni, primo ambito di rivitalizzazione del pensiero economico neo-operaista di fronte alle nuove forme di organizzazione del lavoro e della globalizzazione, un passaggio cruciale per cogliere lo sviluppo dell’Italian thought di oggi. Il testo di Lapo e del sottoscritto, tuttavia, erano ben lontani da posizioni anti-europeiste, tutt’altro: piuttosto si denunciava, da diversi punti di vista, come la costruzione di una unità monetaria europea come unico collante dell’Europa, sarebbe stata scevra di conseguenze negative per la stessa idea di Europa (da qui Non a caso è in quell’ambito che vengono svilup- il titolo, l’Antieuropa delle monete), proprio perché pate le prime analisi critiche da parte del pensiero la moneta unica veniva strategicamente utilizzata per dell’Autonomous marxism sul processo di costruzione imporre dall’alto un piano di ristrutturazione liberista dell’Unione Monetaria Europea, riflessioni che vedo- dell’Europa, di cui le forze del centro-sinistra si rende- no la luce, oltre che sul n. 2 di Altreragioni, nel volu- vano complici. me collettaneo L’Antieuropa delle monete (Manifestolibri, Roma, 1992), con prefazione di Sergio Bologna e due saggi dei due curatori, Lapo Berti e chi scrive. Da metà degli anni Novanta sino alla pensione, Lapo Berti ha lavorato all’Antitrust, prima con un contratto biennale e poi in modo stabile, dopo una buona 18 E’ in questo testo, per molti versi anticipatore di te- parte dell’esistenza passata in condizione precarie (si matiche che verranno riprese solo a molta distanza di direbbe oggi), anche come scelta di coniugare spirito tempo, che si comincia ad avviare un discorso di criti- di militanza ed etica di vita. Pur in un ambiente non ca da sinistra al processo di costruzione dell’Europa, facile (istituzionalizzato), ha continuato a denunciare al cui interno la moneta unica veniva vista dalle forze le storture del mercato come luogo di concentrazione sindacali e di sinistra dell’epoca come necessario e fun- del potere economico, in controtendenza con l’idea zionale all’unificazione dell’Europa. Mettere in discus- neo-liberale del mercato come luogo di pari opportu- 19 nità. In questo periodo, non a caso ha pubblicato Il Genealogia del debito mercato oltre le ideologie (Università Bocconi, 2006) e Le Lapo Berti stagioni dell’antitrust. Dalla tutela della concorrenza alla tutela del consumatore (con Andrea Pezzoli) (Università Bocconi, 2010). Nell’ultimo decennio, il debito è diventato di moda: come tema di ricerca, come argomento del dibattito politico e anche come oggetto di elucubrazioni e affermazioni insensate. Si sono moltiplicate le pubblicazioni, le analisi e, purtroppo, le ricette, che sono il campo preferito dai ciarlatani. A scatenare questo rinnovato interesse è stata, ovviamente, la crisi finanziaria del 2007-2008 negli Stati Uniti, il cui epicentro era l’indebitamento privato, e poi, a seguire, la crisi drammatica dei debiti sovrani. Paradossalmente, tuttavia, non sono stati gli economisti ad aprire il dibattito e a occupare la scena. Si è scoperto che il debito è un tema trasversale, che ha interessato e interessa tutte le discipline sociali, dall’antropologia all’etnologia, dall’economia alla politica, alla filosofia. Gli interventi più impegnati e anche più stimolanti appartengono al campo della filosofia e dell’antropologia. Ciò che accomuna molti degli studi 20 21 più seri è il fatto di aver colto nel debito la possibile dei sentimenti morali che poi si ritrovano nella morale leva di una rinnovata critica al capitalismo. cristiana. Il taglio dell’argomentazione può far pensare a un interesse etnologico, al desiderio di ricostruire le Quasi tutti sono viziati da questo “pregiudizio”, che limita e condiziona la ricerca. I risultati cui approda questo dibattito appaiono banali, scontati; non aggiungono nulla alla comprensione del modus operandi del capitalismo attuale e, tanto meno, alla ricostruzione della governamentalità che lo accompagna. Nella maggior parte dei casi, rendono più arduo cogliere la natura e la funzione del debito nelle economie attuali. fasi cruciali nella storia dell’umanità. Molti commentatori, anche autorevoli, si sono lasciati trarre in inganno. In realtà, la metafora del debito cui Nietzsche fa un significativo ricorso e il riferimento alla “preistoria dell’uomo” (258), alla “più antica umanità” (264, 269), non sono rivolti a ricostruire un quadro etnologico delle società primitive, impresa ardua e incerta,1 bensì a delineare un possibile percorso evolutivo dell’umani- Non ci si può esimere, tuttavia, dal confrontarsi con tà che consenta di comprendere il significato e le im- queste analisi, che hanno spesso l’aspirazione di forni- plicazioni dei sentimenti morali. La genealogia della re una versione aggiornata della critica marxiana. morale non ci restituisce l’evoluzione storica dei sentimenti morali, ma ce ne offre il significato profondo. Ci 1. Per quanto possa apparire paradossale, le sugge- spiega la genesi dell’uomo moderno. stioni cui si rifanno molti dei contributi non provengono da un’analisi economica, ma da uno scritto famoso Nietzsche non si pone come storico e tanto meno di Nietzsche, assai commentato e dibattuto: la Seconda come etnologo, ma come filosofo inteso a compren- dissertazione della Genealogia della morale (1887). In essa dere il senso profondo della vita. Così come l’enucle- Nietzsche attribuisce un ruolo cruciale al rapporto fra azione del “superuomo”, di lì a poco, non sarà l’anti- creditore e debitore, che sarebbe emerso nella notte cipazione di un futuro possibile e auspicato, ma la più dei tempi, prima ancora che l’uomo si avviasse sul sentiero della civiltà, per illuminare le radici preistoriche 22 1 Nietzsche sente il bisogno di tanto in tanto di attenuare, di circoscrivere, la portata delle cose che afferma: “Ciò è detto in via di supposizione: giacché è difficile scrutare nel fondo di tali cose sotterranee” (264) e ci avverte anche, quasi a esorcizzare la prospettiva etnologica, che “i... primordi esistono... in ogni tempo o sono ancora una volta possibili” (269-70). 23 drammatica denuncia di un presente inaccettabile, ni forti, dei guerrieri. La società umana si fonderebbe inumano. La visione delle possibilità future dell’uomo sul fatto che gli uomini deboli riescono a sottomettere serve a condizionare la volontà del presente: “ciò che i forti ai dettami della loro morale, costringendoli a sarà in futuro è condizione di ciò che è nel presente, interiorizzare il senso di colpa, dando vita alla “cattiva altrettanto di come lo fu ciò che è passato. Ciò che è coscienza”. Ciò non toglie che, in principio, vi sia la bene che avvenga e che dovrà avvenire è la ragione di violenza, la sopraffazione degli uomini forti e che la ciò che è” (cit. in Jaspers 1936/1996, 233). Commenta società diventi possibile o, addirittura, impositiva, nel Jaspers: “Immaginando il futuro, la ‘grande politica’ momento in cui la violenza viene incanalata e deviata, diviene la decisiva coscienza del momento presente dell’uo- che sia verso l’interiorità dell’individuo stesso, come mo” (ivi). ritiene Nietzsche, o verso un oggetto “altro”, il capro espiatorio, l’oggetto del sacrificio, come suggerisce Per Nietzsche non vi è dubbio che l’origine dei sen- René Girard2. timenti morali si collochi in quel passaggio cruciale, contrassegnato dalla violenza, da cui scaturisce la so- È qui che la riflessione di Nietzsche incrocia la no- cialità, in cui si concretizza l’impulso a stare insieme. zione di debito. Questo “basilare concetto” di colpa, Nella prospettiva di Nietzsche, i sentimenti morali non dice Nietzsche, “ha preso origine dal concetto molto sarebbero altro che gli strumenti, i vincoli, con cui si materiale di ‘debito’” (Nietzsche 1887, 261). tenta di tenere insieme la società, imbrigliando e reprimendo gli impulsi che caratterizzano l’animale uomo, “la bestia uomo”, impegnato ad affermare con le ragioni della sua forza e con lo strumento della violenza la sua determinazione a sopravvivere. La civiltà nasce nel momento in cui, attraverso i sentimenti morali, gli uomini comuni, gli uomini deboli, “i servi”, riescono ad avere ragione delle “razze aristocratiche”, degli uomi24 Il fulcro di tutto è il “rapporto contrattuale fra creditore e debitore, che è tanto antico quanto l’esistenza di ‘soggetti di diritto’, e rimanda ancora una volta, dal 2 R. Girard, La violence et le sacré, Paris, 1972 (trad. it. La violenza e il sacro, Adelphi, Milano). E’ appena il caso di suggerire che ci troviamo nel mondo raffigurato da Hobbes con l’idea dell’homo homini lupus o, se si preferisce, in quello di cui parla Freud nel Disagio della civiltà (1930). In netto contrasto con il mondo del bon sauvage prospettato da Rousseau. Si tratta, come ovvio, di due miti che non hanno la pretesa e neanche la funzione di ricostruire l’origine della civiltà umana e della società, ma solo di fornire una diagnosi della società in cui vivono, rispettivamente, i loro autori. 25 canto suo, alle forme fondamentali della compera, del- a sua volta, il “più antico e ingenuo canone morale del- la vendita, dello scambio, del commercio” (Nietzsche la giustizia” (Nietzsche 1887, 269). È solo in un secon- 1887, 261-2). “In questa sfera, nel diritto dunque delle do momento, quando la comunità è formata o, meglio obbligazioni, il mondo dei concetti morali ‘colpa’, ‘co- forse, nel momento in cui si forma e in quanto si for- scienza’, ‘dovere’, ‘sacralità del dovere’ ha il suo foco- ma, che il rapporto fra gli individui e la loro comunità lare d’origine – i suoi inizi, come gli inizi di ogni gran- si modella sul “fondamentale rapporto” fra il creditore dezza terrena, sono stati a fondo e lungamente irrorati e i suoi debitori. Questa è “... la più radicale di tutte le di sangue” (Nietzsche 1887, 263). “Il sentimento della metamorfosi” che l’uomo abbia mai vissuto, allorché si colpa, della nostra personale obbligazione... ha avuto, lasciò catturare dall’“incantesimo della società e della come abbiamo visto, la sua origine nel più antico e ori- pace”, uscendo dallo “stato selvaggio” e rinunciando ginario rapporto fra persone che esista, nel rapporto alle sue “antiche guide, gli istinti regolativi, inconscia- tra compratore e venditore, creditore e debitore: qui, mente infallibili” (Nietzsche 1887, 283-4). per la prima volta, si fece innanzi persona a persona, qui per la prima volta si misurò persona a persona... compera e vendita, unitamente ai loro accessori psicologici, sono più antiche degli stessi cominciamenti di qualsiasi forma d’organizzazione sociale e di qualsivoglia consociazione” (Nietzsche 1887, 268-9). Si apre davanti ai nostri occhi un paesaggio umano che richiama molto da vicino la distinzione tra “pensieri veloci” e “pensieri lenti” sviluppata e argomentata da Daniel Kahneman (2011). Anche Kahneman sembra avere in mente uno scenario antropologico simile a quello che Nietzsche pone a fondamento del suo pen- 26 Per Nietzsche, dunque, l’atto della compravendita siero, anche se gli intenti e gli esiti dell’analisi, ovvia- istituisce, con i suoi “accessori psicologici” (sammt ihrem mente, sono assai diversi. Nell’analisi di Kahneman, i psychologischen Zubehör) (!), il rapporto fondativo, ori- “pensieri veloci”, quelli che l’uomo ha imparato a ela- ginario, di ogni ordine sociale; atto che precede, an- borare in un ambiente ostile, in cui la sopravvivenza ticipa, l’ordine sociale e lo rende possibile, grazie allo dipende dalla velocità e dall’efficacia della risposta, e strumento della misura, del confronto, su cui si fonda, in virtù dei quali riesce a prevalere e a poco a poco 27 a dominare, sono affiancati, nel corso dell’evoluzio- all’inconscio, individuale e collettivo. Inversamente a ne umana, dai pensieri lenti, dalla riflessione, che si quanto sembra ritenere Mauss, che pone il dono come rendono necessari per affrontare situazioni più com- matrice o come l’archetipo di tutte le forme di scam- plesse. L’analisi filosofica di Nietzsche è più profonda bio, l’idea di fondo che Nietzsche offre nella smaglian- e più complessa dell’analisi psicologica di Kahneman; te narrazione della Seconda dissertazione è che il rappor- ci dice che la nascita dei pensieri lenti, tra cui rientra- to di debito, che si sviluppa nella sfera dello scambio e no, certamente, le considerazioni morali, non è stato che da lì si estende all’intera vita sociale, costituisca il un passaggio indolore nella storia dell’umanità, ma ha vincolo originario che lega gli uni agli altri, con la san- provocato uno sconvolgimento esistenziale nell’anima- zione della violenza, i membri di una comunità: “anche le uomo. la comunità sta con i suoi membri in quell’importante, fondamentale rapporto che è proprio del creditore La società umana, con il suo inevitabile corollario, lo Stato, è stata partorita con la violenza da “una razza di conquistatori e di padroni” (Nietzsche 1887, 286)3 che hanno instaurato un dominio e l’hanno chiamato ordine sociale. La gran massa dei sottoposti, dei servi, a poco a poco, è riuscita a imporre regole il cui rispetto era condizione necessaria per preservare la coesione del corpo sociale, cioè ha inventato la morale. verso i suoi debitori. Si vive in una comunità, si godono i vantaggi di una comunità... dal momento che... ci si è impegnati e obbligati con la comunità” (270). Il debito, dunque, agli occhi di Nietzsche presenta questa duplice caratteristica. Nasce nel rapporto tra persona e persona che ha per oggetto lo scambio, istituisce tra le due persone un vincolo, che è spesso di subordinazione, e diventa poi il modello delle relazioni che costitu- Ma quella violenza non è scomparsa, non si è estinta, iscono la comunità, ipostatizzando quest’ultima come ma si è traslata dentro l’uomo dando forma e sostanza il referente di tutti i debiti che i membri di una comunità hanno contratto nel momento in cui sono entrati 3 28 “Ho usato la parola ‘Stato’: va da sé a quale intendo, con ciò, alludere: un qualsiasi branco di animali da preda, una razza di conquistatori e di padroni che, guerrescamente organizzata e con la forza di organizzare, pianta senza esitazione i suoi terribili artigli su una popolazione forse enormemente superiore di numero, ma ancora informe, ancora errabonda”. a farne parte. La comunità diventa il grande creditore di tutti i suoi membri, che tramite la violenza, la cru- 29 deltà della pena, ricorda a ogni trasgressore “lo stato re una digressione polemica nei confronti di un’appli- selvaggio” che ha alle spalle, quando era alla mercé del cazione ritenuta errata della ricostruzione genetica ai più forte, del vincitore (270). Il rapporto di debito che fenomeni storici. “... la causa genetica di una cosa e la “lega” ogni individuo alla comunità cui appartiene è sua finale utilità, nonché la sua effettiva utilizzazione e il fondamento della coesione sociale e, nel contempo, inserimento in un sistema di fini, sono fatti toto coelo di- il dispositivo che, attraverso la condivisione dei “senti- sgiunti l’uno dall’altro... ogni accadimento nel mondo menti morali” ovvero l’interiorizzazione delle regole, organico è un sormontare (überwältigen), un signoreggiare garantisce il disciplinamento dei comportamenti, la fe- (herrwerden) e che a sua volta ogni sormontare e signo- deltà dei singoli all’ordine costituito. reggiare è un reinterpretare, un riassettare, in cui necessariamente il ‘senso’ e lo ‘scopo’ esistiti sino a quel Non è agevole comprendere fino in fondo il senso di queste argomentazioni ed è facile scivolare nell’e- momento devono offuscarsi o del tutto estinguersi” (Nietzsche 1887, 276). quivoco di intenderle come una sorta di ricostruzione etnologico- antropologica delle vicende dell’umani- Ora, il sopraffare e il farsi signore che qui ci inte- tà, come molti hanno fatto. In realtà, Nietzsche ha in ressano sono quelli legati all’affermazione dello spirito mente un filo rosso che solo qua e là emerge, ed è quel- capitalistico. È l’agire nella logica del capitale che si lo di dare sostanza e di articolare il concetto, l’artefatto fa dominante e sopraffà il “senso” e lo “scopo” delle concettuale della volontà di potenza cui affida tutto il istituzioni fino a quel momento esistite. Sopraffà il cre- senso della sua ricerca. dito e il debito, sopraffà la moneta, e se ne fa signore e, ciò facendo, con la sua “volontà di potenza” ne trasfor- La chiave per comprendere correttamente le argomentazioni sul rapporto venditore- compratore, creditore-debitore, sulla colpa e sulla coscienza, sull’evoluzione del diritto penale, etc., sta nel fondamentale § 12, in cui Nietzsche svolge quella che potrebbe appari- 30 ma la funzione. L’evoluzione del sistema economico e dell’agire economico è “il susseguirsi di processi di assoggettamento”. Così si svolge il “progressus reale: il quale compare come tale sempre in figura di volontà e cammino inteso a una più grande potenza e sempre 31 si attua a spese di innumerevoli potenze più piccole” con il grande finanziere. L’hanno fatto, in particolare, (Nietzsche 1887, 277). È chiaro che, nello svolgimento Ayn Rand e Francis Fukuyama5, sulla base di una lettu- di questi ragionamenti, Nietzsche non ha in mente lo ra superficiale e molto parziale di Nietzsche. sviluppo del capitalismo, ma è alla ricerca del principio 2. La problematica del debito, probabilmente, non motore, dell’“essenza della vita” (das Wesen des Lebens) che muove l’evoluzione dell’umanità e che ritiene di avere individuato nella “volontà di potenza”. Alla fine, tuttavia, le due cose finiscono per convergere, se non per identificarsi. È nel capitalismo che s’incarna la volontà di potenza dell’epoca in cui viviamo. Per chi si occupa di economia, è difficile sfuggire alla tentazione di ricollegare questo filo della riflessione nietzscheana con il concetto schumpeteriano di “distruzione creatrice”; e non è mancato, infatti, chi lo ha fatto esplicitamente4. Nella prospettiva nietzscheana, “distruzione” e “creazione” sono due momenti caratteristici dell’uomo mosso dalla “volontà di potenza” ovvero dall’istinto della libertà (Nietzsche 1887, 287). sarebbe mai uscita dall’ambito economico, anche di fronte alla recente crisi dei cosiddetti “debiti sovrani”, se ad allargare la prospettiva non fosse intervenuto, più di quarant’anni fa, il lavoro di Deleuze e Guattari (1971), che recuperava lo scritto di Nietzsche e alcuni esiti della ricerca antropologica in contrapposizione allo strutturalismo di Lévi-Strauss, dando vita a tutto un filone di studi che facevano perno sulla nozione di debito. Lévi-Strauss, come noto, poneva al centro della sua teoria antropologica lo scambio quale momento e relazione sociale fondamentale. Deleuze e Guattari, ritenendo probabilmente che questa visione risultasse in qualche modo “apologetica” nei confronti dell’ordine sociale capitalistico, si impegnano a rovesciare questa Queste assonanze hanno indotto alcuni a identifica- impostazione, appoggiandosi al lavoro di un antropo- re il superuomo con l’imprenditore, con il capitalista, logo britannico critico di Lévi-Strauss, Edmund R. Le5 4 32 Hugo Reinert & Erik S. Reinert, Creative Destruction in Economics: Nietzsche, Sombart, Schumpeter in Jürgen Georg Backhaus e Wolfgang Drechsler (a cura di), Friedrich Nietzsche (1844-1900): Economy and Society, Springer, New York 2006, pp 55-85. Devo queste indicazioni a un interessante contributo di Michael Kilivris (Beyond Goods and Services: Toward a Nietzschean Critique of Capitalism, “Kritike”, V, n. 2, dicembre 2011, pp. 26-40), il quale fornisce anche una convincente critica di queste pretese affiliazioni dei due autori al pensiero di Nietzsche. Com’è noto, nel suo celebre quanto discusso libro su La fine della storia e l’ultimo uomo (1992/1995), Fukuyama fa abbondanti riferimenti all’opera di Nietzsche, da cui riprende, fin dal titolo, l’idea dell’“ultimo uomo”. 33 ach. L’obiettivo è duplice: da un lato, negare la “natu- le scienze naturali”, dotata di senso storico6, dunque, ralità” dello scambio come principio di organizzazione perché l’uomo non è “un’entità fissa in ogni vortice”, sociale e, dall’altro, proporre una sorta di “economia “l’uomo è divenuto... tutto è divenuto; non ci sono fat- del debito”, ritenuta più rispondente a una visione del- ti eterni”7. Di qui il metodo genealogico, che ha come la “macchina sociale” come entità collettiva. oggetto l’uomo attuale, ma nella consapevolezza che esso è divenuto quello che è, nel corso di un processo Nella quinta sezione del Capitolo III del loro lavoro, Deleuze e Guattari sviluppano la loro “economia del debito” quale presupposto di una società non scambista, non dominata dall’ideologia dello scambio e del mercato, com’è quella capitalistica: “la società non è innanzitutto un ambiente di scambio ove l’essenziale sarebbe di circolare o di far circolare, ma un socius d’iscrizione ove l’essenziale è marcare o essere marcati” (1972, 157). Il riferimento fondamentale è il Nietzsche della seconda dissertazione della Genealogia della morale, “il grande libro dell’etnologia moderna” (1972, 224 che ha preso il via “in tempi remotissimi, assai prima di quei quattromila anni che all’incirca conosciamo”, quando è avvenuto “tutto l’essenziale dell’evoluzione umana”8. Di qui anche l’interesse per l’etnologia, in quanto può concorrere alla comprensione di questo divenire. Nietzsche, già a partire dal 1875, si proponeva di “raccogliere un immenso materiale empirico di conoscenza degli uomini” (Frammento 8 [14], estate 1875). Ma quella che viene offerta nella Seconda dissertazione della Genealogia della morale non è una rappresentazione etnologica dell’umanità dei primordi. [213]). La lettura che Deleuze e Guattari ne offrono È un mito fondatore, sulla base del quale Nietzsche solleva, tuttavia, molti dubbi. si propone di dare forma e sostanza al superuomo, cui Del primo di questi dubbi si è già parlato. Nietzsche non può essere designato come un antesignano della intende affidare l’avvenire. Il superuomo è l’uomo forte che recupera gli istinti primordiali dell’animale uomo, ricerca etnologica. Quella che Nietzsche vuole, come dichiara nei primi due aforismi di Umano, troppo umano (1875), è una “filosofia storica”, non “separata dal- 34 6 “La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi” (Umano, troppo umano [1875], aforisma n.2). 7 (Umano, troppo umano [1875], aforisma n.2). 8 Ivi. 35 cancellati e repressi per secoli dalla morale cristiana, e consentito promettere” (ivi). Tramite l’erezione dello stato li proietta nella società del presente, come antidoto alla i deboli, gli uomini del ressentiment, vincono sui forti decadenza, al rammollimento che la caratterizzano. e inizia la storia che ci ha portato alla stato di infiacchimento in cui oggi, secondo Nietzsche, ci troviamo, In Genealogia della morale, come in tutta la sua opera, Nietzsche ha l’occhio fisso ai danni che, secondo lui, la morale cristiana ha arrecato a tutta l’umanità, indebolendo, accerchiando e soffocando, le energie dirompenti e dominanti degli “uomini forti e sicuri della vita”, degli aristocratici9. E descrive la formazione dello stato come il trionfo della morale, l’incarnazione dei vincoli e dei limiti che rendono possibile la società umana “questo marcido, dubitoso presente” (ivi, 296), e che potrà essere spazzato via solo quando compariranno i “forti dell’avvenire”10, gli uomini che si saranno liberati della “cattiva coscienza” e avranno, quindi, la capacità di superare il nichilismo del nostro tempo. Essi sovvertiranno tutti i valori e torneranno ad agire secondo le loro “tendenze naturali”, ubbidendo solo alla “volontà di potenza”. e inaugurano il cammino della civiltà: “grazie all’eticità dei costumi e alla sociale camicia di forza l’uomo Il mortale corpo a corpo che Nietzsche aveva ingag- venne reso effettivamente calcolabile” (Nietzsche 1887, giato con la morale cristiana lo aveva portato ad una 257). Questa è la preistoria dell’uomo civilizzato, reso immedesimazione così profonda con la vicenda del cri- “sino a un certo grado, necessario, uniforme, uguale stianesimo da consentirgli di coglierne i significati più tra gli uguali, coerente alla regola e di conseguenza intimi e profondi, come forse nessun altro critico, per calcolabile” (ivi, 256-7). Al culmine di questo processo, quanto radicale, è riuscito a fare. A Nietzsche interes- troviamo “l’individuo sovrano, l’individuo eguale soltan- sava poco la ricostruzione etnologica e antropologica to a se stesso, ... autonomo, sovramorale..., al quale è 9 L’attacco alla morale cristiana riassume forse il senso più profondo della riflessione nietzscheana. “La cecità di fronte al cristianesimo è il delitto par excellence... La scoperta della morale cristiana è un avvenimento che non ha uguali, una vera catastrofe” (Ecce homo 1888, 381 e 383). In questo, riconosce e proclama la sua missione: “Chi può far luce su di essa [la morale cristiana], quegli è una force majeure, un destino – spacca in due la storia dell’umanità. Si può vivere prima di lui o dopo di lui... (ivi, 383). 36 10 Il riferimento è al famoso frammento Die Starken der Zukunft, che si trova nell’edizione delle Opere complete di Friedrich Nietzsche, a cura di Colli e Montinari, Volume VIII, tomo II, Frammenti postumi 1887-1888, fr. 9 [153], 789. Per un’analisi approfondita di questo passo e delle sue implicazioni, si veda l’importante lavoro di Obsolete Capitalism, articolato in due contributi: I forti dell’avvenire e Moneta, rivoluzione e accelerazione nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari (Rizosfera, 2016). 37 delle società primitive. Quello che gli interessava mo- L’altro aspetto che rende discutibile il riferimento strare era che il cristianesimo, con la sua morale del a Nietzsche è nella negazione dello scambio come rap- ressentiment, era intervenuto a modificare il regime di porto fondante della società. Su questo punto l’argo- funzionamento di quelle società basato sul dominio mentazione di Deleuze-Guattari non è del tutto limpi- dei “forti” e sulla morale aristocratica di cui erano por- da. Sembrerebbe, infatti, fondarsi sulla famosa analisi tatori. Al cristianesimo, secondo Nietzsche, andava im- di Marcel Mauss11, ma questi non dice esattamente le putata la responsabilità di avere imposto la “morale dei cose che i due autori gli mettono in bocca. È vero che servi”, inibendo ai forti l’esercizio dei loro istinti per Mauss sottolinea il contenuto simbolico che nelle so- nasconderli, comprimerli, nell’inconscio. cietà primitive è parte integrante della dinamica del dono, ma quello che maggiormente caratterizza l’in- La lettura che Nietzsche restituisce dell’azione che il cristianesimo ha esercitato sull’evoluzione della civiltà occidentale esibisce intuizioni che sembrano trovare conferma in alcune ricostruzioni storiche recenti. Nietzsche sembra cogliere uno degli esiti più sorprendenti della rivoluzione culturale operata dal cristianesimo occidentale: l’individualismo e, con esso, l’emergere della responsabilità individuale. Le argomentazioni di Nietzsche disegnano uno scenario che non è molto tera sua analisi è la prospettiva in cui il dono è considerato come l’antesignano, l’antenato, dello scambio di mercato. Mauss, come Nietzsche, come poi Lévi-Strauss, sembra ritenere che lo scambio di beni, qualunque forma assuma, e il rapporto creditore-debitore, che ne è elemento inseparabile e costitutivo, siano i cardini dell’ordine sociale, anzi i fondamenti su cui solo è possibile costruirlo. Senza scambio di beni, verrebbe da dire, non vi è società. lontano, ad esempio, da quello che ricostruisce Siedentop. (Anderson; Brown; Siedentop). È la scoperta dello scambio che fonda la convivenza sulla base dei benefici che essa elargisce ai membri Individualismo, carità, memoria, responsabilità, della comunità. peccato/colpa/debito, remissione dei peccati/debiti. 11 Si veda Deleuze-Guattari (1972), pp. 166-7. 38 39 La storia della civiltà, allora, è in massima parte la semplice fatto che le due economie non coesistono e storia delle forme che lo scambio di beni via via assu- non si contrappongono, ma si succedono nel tempo. me, fino alla dimensione generalizzata del mercato, in- Esistono, invece, due fallacie simmetriche che segna- sieme con gli obblighi e i rapporti di subordinazione no il campo delle discipline sociali. Da un lato, quella che esso istituisce. Tentare di esorcizzare la società di che assolutizza lo scambio di mercato, costruendo una mercato cercando nella savana gli elementi di una pos- genealogia dell’economia di mercato a partire dal ba- sibile alternativa è impresa vana e fuorviante. Si può ratto che non ha alcun riscontro storico ed etnologico ammettere che “la macchina primitiva non ignora lo serio, e ha piuttosto l’aspetto di una “narrazione” a fini scambio, il commercio e l’industria, ma le scongiura, apologetici. le localizza, le reticola”12, ma non è affatto detto che ciò avvenga “perché flussi di scambio e di produzione non vengano a spezzare i codici a vantaggio delle loro quantità astratte e fittizie” (ivi). È assai più plausibile che i “flussi di scambio e di produzione” siano impediti, ostacolati, non perché questa rappresenti una condizione ottimale o, tanto meno, perché sia intenzionalmente perseguita, ma, più semplicemente, perché la comunità, governata dai codici, non è ancora in grado di accoglierli, non ne ha ancora compreso ed esplorato tutte le potenzialità. Per essere più espliciti: non esiste un’economia del dono separata e contrapposta all’economia di mercato. Tanto meno esiste nelle società primitive, per il 12 Deleuze-Guattari (1972/1975), p. 170. 40 Dall’altro, quella che favoleggia di un’economia del dono in cui vigerebbe il regime della gratuità e che proprio in virtù di questa caratteristica godrebbe di uno statuto morale, e sociale, superiore. Altra narrazione, con fini, stavolta, denigratori nei confronti della realtà attuale di una società la cui riproduzione è affidata a un sistema di mercati interdipendenti. L’economia del dono, contrassegnata dalla gratuità, è un’invenzione moderna. La sua funzione è quella di indurre a sognare un’alternativa al capitalismo. Un percorso simile, seppure più solido dal punto di vista storico-antropologico, era stato seguito da Karl Polanyi, che già nella sua opera maggiore, La grande trasformazione (1944), partendo dall’assunto che il mer- 41 cato non è un dispositivo naturale, ma un costrutto so- le nostre proiezioni, bensì un processo, fatto di sno- ciale, tipizza tre modalità di scambio dei beni, che non di, di conflitti, di incontri, attraverso cui il mondo che a caso chiama “forme dell’integrazione”, a sottolineare abbiamo sotto gli occhi, prima di tutti quello sociale, è la funzione sociale dello scambio. diventato quello che è. La prima è la reciprocità, la seconda il dono, e la La formidabile allucinazione consegnata all’Anti-E- terza il mercato. Anche Polanyi è mosso dall’intento di dipo contiene, come tutte le allucinazioni, abbaglianti attaccare quello che, almeno dai tempi di Adam Smith, momenti di lucidità, ma resta, nel suo insieme, una co- è il pilastro su cui poggia l’intera costruzione dell’eco- struzione che, specialmente a distanza di un quaran- nomia di mercato, ovvero il fatto che questa discenda tennio dal clima di eccitazione intellettuale in cui fu necessariamente dalla naturale inclinazione dell’uomo concepita, non appare all’altezza della realtà capitali- a barattare e a commerciare. stica del presente e, soprattutto, non sembra capace di suggerire, come invece è stato a lungo sostenuto, una Tentare di evitare le due fallacie di cui abbiamo appena parlato è un po’ come navigare tra Scilla e Cariddi. Impresa pericolosa e ardimentosa, com’è quella di sceverare i fatti dalle preferenze politiche. Credo che il cammino più salubre sia quello di mettere in fila il più possibile i fatti noti e cercare di comprendere il filo che li lega e che, nel corso del tempo e dell’evoluzione umana, li fa transitare l’uno nell’altro, facendo dell’uno il presupposto dell’altro e, nel contempo, condizionando il percorso di questa perenne trasformazione. Quello che sarebbe interessante ricostruire, allora, non è un antagonismo che è spesso il frutto del- 42 prospettiva alternativa. Il libro è manifestamente figlio del clima “festivo” indotto dalla mobilitazione sociale del 1968, in cui sembrava che, all’improvviso, tutto fosse diventato possibile e si potesse liberamente favoleggiare di mondi e stili di vita alternativi rispetto a tutto quello che si trovava consolidato nell’ambiente sociale ereditato dal passato. Sembrava possibile un nuovo inizio. Si è poi capito, a distanza di molto tempo, che quella “festa” era, in realtà, un funerale, con il quale si celebrava il trapasso di una speranza, di un miraggio, che aveva attratto e distratto tanti uomini e donne per più di un secolo. Restavamo immersi nel nichilismo e 43 l’avvento degli “uomini forti”, capaci di pensare e cre- passo citato dell’Anti-Edipo (272), mi preme sottoline- are un avvenire, era differito a tempo indeterminato. are come sia estremamente arduo, se non addirittura scorretto, il tentativo di ricollegarlo al frammento Nella ripresa di Nietzsche che Deleuze e Guattari pongono a fondamento della loro elaborazione, un ruolo particolare, sottolineato ed esasperato dalla corrente dei cosiddetti “accelerazionisti”, è affidato a un enigmatico passaggio posto alla fine del § 9 del Capitolo terzo, nei termini di un interrogativo cui, per il momento, non c’è risposta: nietzschiano, come gli autori pretendono. Per una ragione fondamentale. L’argomentazione di Deleuze e Guattari fa riferimento, come fanno più esplicitamente gli “accelerazionisti”, ai cambiamenti di natura “oggettiva”, “strutturale”, indotti da quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Nietzsche ha in mente tutt’altro. La sua è solo molto indirettamente una cri- “Quale soluzione..., quale via rivoluzionaria?” (272). tica del capitalismo. Nietzsche ha di fronte a sé i risul- I due autori, facendo un imprecisato riferimento a tati della décadence, il panorama desolato di un’umani- Nietzsche, suggeriscono che la via per uscire dai con- tà incanaglita dalla morte di Dio, vittima della morale dizionamenti del mercato capitalistico possa non pren- cattolica che l’ha snervata e smembrata. Il passaggio dere necessariamente la forma di un rifiuto, di una che egli intravvede e auspica, per propiziare il ritor- fuoriuscita, dalle dinamiche del mercato mondiale, no degli uomini forti, mossi dalla volontà di potenza, ma debba puntare su di un loro allargamento accele- consiste allora in un’intensificazione della tensione rato. Non la rivoluzione contro l’ordine capitalistico, che spinga gli uomini ad abbandonare la “morale dei dunque, ma un’accelerazione dei processi che lo costi- servi”, gli “istinti del gregge”, e a invocare l’avvento del tuiscono, la decodificazione e la deterritorializzazione, superuomo. “Il livellamento dell’uomo europeo”, in cui per usare la terminologia dell’Anti-Edipo. si concretizza il nichilismo, non va ostacolato, anzi, va affrettato, perché si spalanchi quell’“abisso della distan- Ora, senza entrare nell’ampio dibattito che si è svi- za, della gerarchia” che giustifica l’intervento dei “forti luppato nel campo “accelerazionista” sulla lettura del 44 45 dell’avvenire”, del “superuomo”13. Si tratta, dunque, di In secondo luogo, anche ammettendo che, a partire uno slittamento, di una discontinuità che si produce, da Nietzsche, si possa costruire una prospettiva “accele- per così dire, nella sfera della soggettività, che coin- razionista”, ho mostrato altrove come questa non porti volge i comportamenti degli uomini, il loro modo di da nessuna parte e, anzi, possa risolversi, paradossal- percepirsi, e porta all’instaurazione, fra di essi, di una mente in una “fuga in avanti” che bypassa i problemi gerarchia. Il “rimpicciolimento dell’uomo”, l’appiat- reali del presente. timento dell’uomo medio sulla dimensione economica del vivere, deve raggiungere il suo acme. “Appena avremo raggiunto l’ormai inevitabile amministrazione economica generale della terra, l’umanità come macchina potrà trovare in quel servizio il suo miglior senso: come un enorme ingranaggio di ruote sempre più piccole, sempre più finemente ‘adattate’” (fr. 10 [17], 113); solo allora, quando sarà chiaro che si è perso il senso di “questo enorme processo” prenderà vigore 3. Più di recente, il merito di aver riproposto con dovizia di argomenti il tema del debito, ricollegandolo alla natura e alla funzione della moneta, spetta indubbiamente a Michel Aglietta e André Orléan che nel 1998 hanno dato alle stampe, dopo oltre quattro anni di elaborazione collettiva, un volume collettaneo, La monnaie souveraine, in cui erano raccolti contributi provenienti dai più diversi ambiti disciplinari. una ἐ ναντιοδρομία, un “movimento inverso”, capace di Il punto di partenza era dato dall’idea che “la mo- “generare l’uomo sintetico, assommante, giustificante, per neta non appartiene esclusivamente e nemmeno pri- il quale quella trasformazione in macchina dell’uma- oritariamente all’economia, ma mobilita credenze e nità è una condizione preliminare di esistenza, come valori attraverso i quali si afferma l’appartenenza a una un telaio su cui egli può inventare la sua superiore forma comunità” (Aglietta e Orléan, 1998/2012, 7). d’essere” (ivi, 113-4). Allora, l’umanità tornerà a interrogarsi sullo scopo di ciò che accade. 13 Vedi ivi, fr. 10 [17], 113-4. Cfr. anche il fr. 9 [17], 9 (sempre dell’autunno 1887): “Il rimpicciolimento dell’uomo deve valere a lungo come unico fine: infatti si devono prima creare vaste fondamenta, affinché vi possa poi sorgere sopra una specie umana più forte…”. 46 Questa impostazione è suggerita, in primo luogo, dall’analisi antropologica, che ha osservato il fenomeno nei contesti sociali più diversi, nello spazio e nel 47 tempo. Ma è anche la chiave, secondo gli autori, per meglio appare gravata da un vizio di impostazione, al di là delle sugge- cogliere il fenomeno monetario nelle economie contempora- stioni e degli spunti analitici di cui è ricca. nee: “la moneta moderna rimane un’espressione della società in quanto totalità; conserva il suo statuto di operatore dell’appartenenza sociale” (ivi, 10), ma “non è un’entità economica, nemmeno nelle nostre società, perché è ciò attraverso cui è pensabile l’economico e questo lo si può fare solo da un altrove non economico” (ivi, 20). “La moneta è un legame sociale a due facce: quella della necessità e dell’obbligazione, da un lato, e quella dell’apertura allo scambio e della fiducia, dall’altro” (ivi, 21). La faccia coercitiva della moneta, secondo quanto sembrano suggerire gli insegnamenti dell’antropologia, si fonderebbe sul fatto che la moneta discende dal debito nel suo rapporto con la sovranità e, quindi, da una gerarchizzazione sulla base del valore. È il debito, in un’accezione generalissima, che, secondo gli autori, va a costituire il legame sociale che definisce quali sono i soggetti che compongono una determinata società. È quello che essi chiamano il “debito originario o primordiale”, che è, nella sua essenza, “un debito di vita” (ivi). Questa sarebbe la chiave per comprendere il fenomeno della moneta e il suo funzionamento al di fuori di ogni prospettiva economicistica: “il debito primordiale rimane il concetto adeguato che permette di pensare la società nella sua interezza e il suo movimento... [e] continua a illuminare la nostra comprensione della moneta” (ivi, 22). L’idea di un “debito primordiale”, di “un debito di vita”, non può essere considerata e trattata come la matrice di un processo evolutivo che, attraverso una serie di metamorfosi non spiegate, conduce al debito quale oggi lo conosciamo, in una società plasmata dallo spirito capitalistico. Se si vuole rimanere in una prospettiva antropologica, il “debito primordiale” può essere eventualmente concepito come un archetipo nel senso junghiano, come una forma di rapporto che sopravvive nell’inconscio collettivo e per questa via favorisce e accompagna, nella concreta realtà storica vissuta dagli individui, una soluzione piuttosto che un’altra. Ma non certo come il fattore che “produce” la singola configurazione storica. Ora, per quanto fecondo di illuminazioni questo approccio possa essere, esso comporta un inconveniente fondamentale, dal nostro punto di vista, in quanto non consente di cogliere il fattore di discontinuità determinato dall’insorgere dello spirito capitalistico. Sfugge, in questa prospettiva, tutta la pregnanza del passaggio storico cruciale attraverso cui la diffusione del capitalismo nelle società europee impone la moneta, il mezzo di pagamento, come dispositivo sociale necessario per accedere alla sfera dei beni. Lo scambio monetario o, meglio, il pagamento in moneta, assorbe, a poco a poco, tutte le forme di scambio in cui si articola e di cui si alimenta la vita della società. È questo il passaggio che risolve L’intera argomentazione dei teorici del “debito primordiale” l’intera vita sociale in un sistema dei pagamenti che costituisce la moneta nella forma e nel significato con cui ancora oggi si della coesione sociale. La moneta viene, dunque, concepita e presenta. analizzata come “istituzione sociale” e, quindi, come oggetto sociale complesso, che non può essere ridotto a una scelta di co- Più specificamente, la parte dell’argomentazione che tratta dell’“autorità pubblica sulla moneta” non tiene conto del fatto fondamentale che oggi la moneta è essenzialmente il prodotto di agenzie private, che interagiscono con l’autorità pubblica ma solo al fine di perseguire obiettivi propri, privati. Finché il sistema gira, consentendo una progressiva estensione del debito e, con esso, dei profitti finanziari, il ruolo dell’“autorità pubblica”, della banca centrale, è puramente passivo; si limita a registrare e assecondare le operazioni finanziarie che ampliano la dimensione del debito privato. È solo nel momento in cui si verifica una crisi ossia, per una qualche ragione, il debito in essere comincia ad apparire insostenibile, preannunciando che almeno alcune istituzioni finanziarie non saranno in grado di rinnovarlo, che l’“autorità pubblica” ritrova il suo ruolo di garante del sistema. Nelle situazioni di crisi finanziaria emerge, con tutta evidenza, che “il sistema dei debiti poggia solo sulla fiducia” modo di coloro che effettuano atti di compravendita sul mercato. L’ampio utilizzo delle indagini antropologiche serve a dare spessore a una concezione della moneta svincolata dall’ipoteca economicistica, dando invece risalto alla “dimensione arcaica e olistica” (ivi, 359) che ancora inerisce alle monete moderne, la cui utilità ermeneutica consisterebbe proprio nel fatto di mostrarci il ruolo che la moneta gioca “nell’insieme dei processi e delle relazioni attraverso le quali una comunità si costituisce come autorità sovrana” (ivi, 360). L’arcano della moneta moderna sarebbe, dunque, violabile facendo ricorso alle sue origini arcaiche: “La moneta è un insieme di regole che determinano l’appartenenza di ciascuno alla società mercantile” (ivi). Ne risulterebbe la sostanziale irriducibilità della moneta all’impianto individualistico dell’economia di mercato: “la moneta è un bene pubblico che confina con il sacro, come attesta la fede sociale che la fonda” (ivi, 361). (ivi, 28) e che questa fiducia è un prodotto sociale complesso, che richiede l’intervento di una molteplicità di fattori, regole e L’obiettivo polemico di questo tour de force analitico è chiaro. istituzioni, che, in condizioni di “normalità”, vengono dati per Si tratta di mettere in discussione l’ordine economico e sociale scontati. capitalistico, attaccandone uno dei pilastri: l’individualismo, e con esso l’istituto del contratto, che ne è l’inevitabile corolla- Uno dei pregi maggiori del lavoro di Aglietta-Orléan è di avere incorporato nell’analisi dei fenomeni monetari la dimensione politica, prendendo in considerazione il tema cruciale rio. Ma così facendo si perde di vista, a mio avviso, la specificità capitalistica dei sistemi monetari moderni e se ne occultano i processi, le trasformazioni, che l’hanno instaurata. Gli autori del volume sembrano incappare nella fallacia op- opportuno osservare che il termine “Anweisung”, utilizzato da posta e simmetrica a quella dei monetaristi, ossessionati dal Simmel per definire la moneta,proviene dal diritto delle obbli- dogma della neutralità della moneta: la moneta come espres- gazioni tedesco, dove sta a indicare una scrittura mediante la sione dell’autorità sovrana. Sullo sfondo si vede ricomparire un quale il traente dà mandato a un altro soggetto (trattario), che fantasma novecentesco, quello del contrasto irriducibile fra accetta, di consegnare a un terzo soggetto, per suo conto, de- individualismo e collettivismo. Gli autori del volume, che con naro, banconote o altri beni fungibili a titolo di pagamento. In tanta partecipazione si dedicano alla ricostruzione della natura tal modo, il trattario può estinguere un debito nei confronti del olistica delle istituzioni sociali primitive, sembrano disinteres- traente oppure costituire un credito nei suoi confronti. Si tratta sarsi dei duemila anni in cui è emerso l’individualismo come di uno strumento molto prossimo all’assegno o alla cambiale, elemento portante delle nostre società, a partire dall’afferma- sorto nell’ambito delle pratiche commerciali, le cui origini risal- zione e diffusione del cristianesimo.14 gono addirittura al diritto romano, oggi in disuso. Quella che desta maggiore perplessità è l’idea che la mone- Più interessante e significativo, mi pare, è richiamare il fat- ta, come oggi la conosciamo, possa essere meglio compresa fa- to che, nel saggio più compiuto pubblicato in vita sulla teoria cendo riferimento alle sue configurazioni arcaiche. della moneta, Schumpeter (1917-18), definisce per l’appunto la moneta come un’“Anweisung”, un’assegnazione, spiegando, In buona sostanza, Orléan non fa che riprendere acriticamente l’idea centrale di Simmel, secondo cui “alles Geld nur tuttavia, che la intende come un titolo che abilita chi lo detiene ad attingere dal grande serbatoio di beni e servizi che rappre- 7 eine Anweisung auf die Gesellschaft ist” (1900, 1977 , 163) ov- senta il prodotto sociale annuale di una determinata economia. vero “tutta la moneta non è altro che un’assegnazione nei confronti della società”. Ne consegue, nella prospettiva simmelia- Per Schumpeter la moneta è un “gettone”, un Rechenpfennig, na, che “la risoluzione di ogni obbligazione privata tramite la come lo definisce, che consente di partecipare al gioco del mer- moneta significa, appunto, che ora è la comunità ad assumersi cato nella veste di acquirente.15 Questa è l’essenza della moneta questa obbligazione nei confronti dell’avente diritto” (ivi). È in un’economia monetaria pienamente dispiegata com’è quella 14 Faccio riferimento, ovviamente, alla illuminante e affascinante ricostruzione di Larry Siedentop, Inventing the Individual. The Origins of Western Liberalism, The Belknap Press, Cambridge Mass., 2014 (trad. it., L’invenzione dell’individuo. Le origini del liberalismo occidentale, Luiss University Press, Roma 2016). Oltre che alla rilevante letteratura storica che studia l’insorgere dell’individualismo nella società medievale. Basterebbero questi lavori per suggerire l’insostenibilità dell’identificazione fra individualismo e capitalismo. capitalistica attuale. Per quanto rilevanti e affascinanti siano i 15 Storicamente i Rechenpfenning erano gettoni utilizzati dai mercati del medioevo per fare di conto e tenere la contabilità, al posto dell’abaco, anche se la logica di funzionamento era la stessa. Furono ampiamente utilizzati, specialmente nell’Europa centrale e settentrionale, dal medioevo fino al XVIII secolo. risultati della ricerca antropologica ed etnologica, non tario non è “il corpo sociale”, la società, bensì l’autorità c’è bisogno di farvi ricorso per illuminare il fenome- statale, il sovrano, lo stato. È questa, a ben intendere, no monetario nella sua configurazione attuale. Anzi, la “logique du sceau” (la logica del sigillo) di cui parla per certi aspetti, come si è visto, possono anche essere Orléan (365), non quella che fa riferimento al “proces- fuorvianti. Il carattere di istituzione sociale che ine- so collettivo attraverso cui ciascuno sperimenta la soli- risce alla moneta, come vede chiunque non sia acce- dità dei legami sociali che costituiscono la comunità di cato dalla narrazione dell’economia neoclassica, può mercato” (366). essere efficacemente ed esaurientemente ricostruito anche partendo dalla moneta intesa come “gettone”. Da questa angolatura, infatti, è più agevole ricostruire il lungo e variegato processo che l’ha progressivamente assoggettata alla logica capitalistica, spogliandola di ogni altra caratteristica e facendone il perno delle relazioni di mercato che oggi coprono quasi l’intera vita sociale. La chiave di questo processo è la monetizzazione dell’economia. È per questa via che si afferma una nuova socialità, plasmata dalle relazioni di mercato, e si impone una nuova governamentalità imperniata sulla interiorizzazione del vincolo monetario. La moneta, contrariamente a quanto sostiene Orléan sulle orme di Simmel, non è “un’assegnazione nei confronti della società”, bensì un’assegnazione nei confronti del prodotto sociale, e “l’istanza mediatrice” che interviene a garanzia della fiducia nelsegno mone- 4. Sempre nel 2011, sulla scia dei lavori di un sociologo italiano che lavora a Parigi, si è imposta all’attenzione, specialmente del pubblico di sinistra, la nozione dell’“uomo indebitato”, sulla base della quale sarebbe possibile rileggere in maniera più penetrante la condizione attuale del capitalismo. Il capitalismo dell’epoca cosiddetta “neoliberista” avrebbe creato la figura dell’“uomo indebitato” come perno di un nuovo regime di dominio e di governo. Il capitalismo si sarebbe trasformato in un’economia del debito. La fabbrica dell’uomo indebitato (2011) è un lavoro suggestivo e provocatorio, scritto in uno stile volutamente rozzo e poco incline alle sfumature. Ma, una volta riconosciuto l’indubbio merito di aver tentato di proporre un’analisi del debito in una prospettiva foucaultiana, come dispositivo della nuova governamentalità neo-li- 55 berale, non si riesce a sfuggire all’impressione che si lettivo” (com’è fatto?) et hoc genus omne, come avrebbe regga su di un fondamento tutto sommato banale. È detto il vecchio Marx, con una delle sue caratteristiche ovvio, infatti, che l’instaurazione di un rapporto di de- espressioni. Se oggi si vuole puntare a riproporre un bito, che può nascere solo da uno stato di necessità e, punto di vista marxiano sul capitalismo, anche passan- quindi, da una coercizione, dispiegata o latente che sia, do attraverso Foucault, Deleuze e Guattari, non si può pone l’indebitato in una posizione d’inferiorità che ne fare a meno di sottoporre a una verifica critica questi detta i comportamenti, che gli impone di conformar- concetti così fumosi che già tanti danni hanno fatto. si ai dettami del creditore. L’estensione del rapporto Per essere più precisi, non è possibile proporre una di debito e, quindi, della condizione di indebitato alla nuova analisi critica del capitalismo, senza una nuova stragrande maggioranza dei membri della società si teoria della società. traduce, inevitabilmente, in uno strumento di governo degli uomini. Diventa il veicolo attraverso cui gli uomini interiorizzano il rapporto di subordinazione e il disciplinamento dei loro comportamenti da parte di una potenza esterna. Il lavoro di Lazzarato ci investe con una quantità di affermazioni perentorie, dal tono desueto, ma non riesce a convincerci che siamo in presenza di un’analisi più avanzata della realtà capitalistica rispetto a quelle che troviamo nel tradizionale armamentario marxista. Ricompaiono le marionette di un tempo, ma la recita non è più la stessa e anche la scena è molto cambiata. La “lotta di classe” (quali sono e come si definiscono oggi le classi?), il “capitale sociale” (dove lo si può ammirare?), il “capitalista col- Tante, decisamente troppe, sono le cose date per scontate, a partire dalla diagnosi che apre il volume: “... il capitalismo è entrato in un’impasse storica. Dal 2007 è vivo grazie alle trasfusioni di somme astronomiche di denaro pubblico. Eppure continua a girare a vuoto” (6). Può essere che sia così, ma una riflessione sulla natura e sul ruolo delle crisi e delle innovazioni tecnologiche nell’evoluzione del capitalismo sarebbe stata opportuna. Un’altra affermazione, in cui ci si imbatte ad apertura di libro, e che lascia assai perplessi è la seguente: “Di fronte al capitale, che si presenta come il Grande Creditore, il Creditore universale, sono tutti ‘debitori’, colpevoli e responsabili” (23). Da quale analisi possa derivare questa affermazione non è chiaro, 56 57 perché tutto quello che si può dire sul “capitale”, am- pubblico, nell’economia attuale, non è un debito nel messo che si sappia cosa significa questo termine, sulla senso comune della parola e tanto meno rassomiglia base di ogni genere di analisi, è che il “capitale” costitu- al debito di famiglie e imprese. Non si tratta, infatti, isce, semmai, il Debitore universale, perché il capitale, di un debito che deve essere restituito. Deve solo es- in senso un po’ più tecnico ma sempre elementare, è sere gestito sui mercati finanziari e nel sistema delle davvero debito e quello che si tratta di spiegare è la relazioni geopolitiche. La principale funzione che as- natura e il modus operandi di questo debito. solve è quella di fornire al sistema economico i mezzi di pagamento necessari al suo funzionamento. Affer- Ammesso, e non concesso, che abbia senso parlare di economia del debito, il debito è quello su cui si fondano tutte le intraprese che vanno sotto il nome di capitalismo. 58 mare che ogni bambino nasce oggi gravato da alcune decine di migliaia di euro di debito è del tutto privo di senso, perché nessuno chiederà mai a quel bambino di restituire alcunché. L’unica cosa vera, che varrebbe Un altro dei punti deboli dell’argomentazione di la pena di approfondire seguendo le piste foucaultia- Lazzarato sta, a mio avviso, nell’uso indiscriminato del ne, è che la gestione del debito pubblico insieme con termine “debito” per designare, indifferentemente, il una serie di altre pratiche economiche contribuisce a debito pubblico, il debito estero e il debito, che sono disegnare il sistema delle relazioni di potere entro cui fenomeni assai diversi tra di loro e hanno conseguen- si svolge la vita degli individui in una data situazione ze diverse sul funzionamento dell’economia e della e in un determinato periodo storico. È uno dei dispo- società. Sono diverse, inoltre, le loro valenze politi- sitivi attraverso cui si realizza la governamentalità at- che. Assimilare queste tre forme di debito serve forse tuale, ma non è il solo e funziona solo in sinergia con a costruire la narrazione dell’“economia del debito”, le altre pratiche economiche. Lazzarato, tuttavia, non ma non ha alcun fondamento analitico e risulta, anzi, ama Foucault ed evita di seguirlo sul terreno di una fuorviante per chi intenda comprendere in profondi- ricostruzione rigorosa della governamentalità attuale. tà il funzionamento dell’economia attuale. Il debito Le pagine destinate a Foucault ne La fabbrica dell’uomo 59 indebitato testimoniano di una lettura affrettata, quasi per anticipare spese, necessarie o voluttuarie, che si interamente imperniata sulla Nascita della biopolitica. potrebbero permettere solo dopo aver risparmiato e Dopo aver ridotto a macchietta il complesso e varie- accumulato i mezzi di pagamento necessari. In questo gato discorso ordoliberale che, secondo Lazzarato, si senso, i mezzi di pagamento ottenuti tramite la con- risolverebbe nel perseguimento della “‘deproletarizza- cessione di un credito e a fronte di un indebitamento zione’ della popolazione”,16 è la volta di Foucault, cui consentirebbero di “comprare” il futuro, nel senso di viene imputato di essere rimasto condizionato da una ampliare artificialmente la capacità di spesa. E questa “versione ‘industriale’ del neoliberismo” (105). Ciò è la dimensione positiva del debito, su cui ha fatto leva gli avrebbe impedito di cogliere lo spostamento della lo spirito capitalistico, una dimensione di libertà che governamentalità verso l’“economia del debito” che, potenzia le capacità umane, amplia le possibilità di viceversa, non sarebbe sfuggito a Deleuze che già nel operare, in vista di un guadagno o del semplice godi- 1990 parlava dell“uomo indebitato” quale protagonista mento di un bene o di un servizio. Ma, come è proprio della “società di controllo” che si stava sostituendo alla della maggior parte dei fenomeni sociali, vi è anche “società disciplinare” di cui, principalmente, si era oc- l’aspetto negativo. Si può essere costretti a indebitar- cupato Foucault.17 si, semplicemente perché le risorse disponibili, il potere d’acquisto di cui si dispone, non sono sufficienti Cosa diversa è il debito privato, quello cui fanno ricorso imprese e famiglie. Le prime vi fanno ricorso sistematicamente per effettuare gli investimenti desiderati per i quali non dispongono dei mezzi di pagamento necessari. Le seconde ricorrono al debito 16 Non so da dove Lazzarato abbia ricavato questa versione semplificata dell’impostazione ordoliberale, e a quale autore in particolare si riferisca. Com’è noto, una cosa è riferirsi all’opera di Franz Böhm e di Walter Eucken, specialmente agli scritti degli anni trenta, o a quella di Wilhelm Röpke o di Walter Rüstow, per non parlare di Hans Müller-Armack. 17 G. Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, Quodlibet 2000, 239. 60 a mantenere il tenore di vita o il livello di produzione che si ritiene necessario e adeguato. In questo quadro, il debito è il dito su cui Lazzarato fissa lo sguardo invece di guardare alla luna, che è costituita dal fatto che gli “uomini forti” che hanno sviluppato il capitalismo, attraverso la monetizzazione dell’economia, ci hanno contemporaneamente imposto di vivere all’interno di un sistema dei pagamenti che trasforma l’intera vita 61 sociale in un gigantesco e potenzialmente esaustivo si- di condizionamento maggiore sta nelle mani del credi- stema di contabilità sociale. tore o del debitore. La capacità di indebitarsi impunemente è la massima espressione del potere. C’è, infine, il debito estero ovvero l’ammontare del debito pubblico e di quello privato nei confronti di In conclusione, il libro propone temi e argomenti creditori esteri. È una misura indiretta del grado di au- certamente rilevanti, ma l’argomentazione non sem- tonomia di un paese rispetto alla posizione che occupa bra all’altezza degli obiettivi proposti. Non consente, nel sistema delle relazioni internazionali. insomma, di cogliere la complessità e anche l’ambiguità del fenomeno del debito quale si è venuto a configu- Questo vale per tutti i paesi tranne uno, ovvero quel- rare nelle società a capitalismo avanzato. lo che controlla la moneta alla base del sistema monetario internazionale, attualmente gli Stati Uniti. Pro- 5. Un altro lavoro, che ha goduto di un successo prio in virtù di questa prerogativa o, meglio, di questo planetario, è quello di David Graeber (2011), un an- privilegio, gli Stati Uniti si possono permettere di esse- tropologo e attivista politico americano, esponente del re, in termini assoluti, il maggior debitore mondiale, movimento “Occupy Wall-Street”, che si è impegnato avendo come massimi creditori la Cina e il Giappone, a ricostruire l’evoluzione del debito dalla preistoria a senza dover sottostare a particolari vincoli. In questo oggi.18 Lavoro molto impegnativo e pretenzioso, è an- caso, il debito estero è la misura del grado di egemonia ch’esso costruito in maniera piuttosto approssimativa, che è in grado di esercitare il paese egemone. Anche interpretando in maniera superficiale fonti molto ete- questo caso ci ricorda che il debito è un fenomeno an- rogenee che coprono una storia di 5000 anni, com’è cipite, che non può essere considerato isolatamente, scritto nel titolo, e incorrendo non di rado in anacroni- ma deve essere collocato sullo sfondo di relazioni complesse che si misurano con il livello assoluto di potere che i soggetti interessati sono in grado di esercitare. In base a ciò si determinerà, di volta in volta, se il potere 62 18 Una certa entusiastica leggerezza dell’autore è testimoniata da affermazioni disinvolte quanto perentorie come questa: “There is very good reason to believe that, in a generation or so, capitalism itself will no longer exist -- most obviously, as ecologists keep reminding us, because it’s impossible to maintain an engine of perpetual growth forever on a finite planet” (Graeber 2011, 381-2) o questa, ancora più azzardata: “What is a debt, anyway? A debt is just the perversion of a promise. It is a promise corrupted by both math and violence” (ivi, 391). 63 smi. Il gusto per la ricostruzione aneddotica, ancorché debiti predicata nella Bibbia (Deuteronomio 15:1-6) e brillante, prevale sulla spiegazione. Malgrado la mole praticata, pare, nel mondo assiro-babilonese all’atto di e la quantità di fonti citate, è solo in parte un lavoro insediamento di un nuovo re. storico; ha molto più i tratti di un pamphlet politico. La cosa appare del tutto evidente nel capitolo conclusivo. Il fenomeno del debito è trattato prevalentemente sotto un profilo morale. Il debito è considerato, correttamente dal mio punto di vista, come il meccanismo su cui fa perno il funzionamento del capitalismo. Ma sulla base di questa considerazione, abbinata a una condanna morale del debito, Graeber sviluppa una condanna senza appello del sistema capitalistico che appare affrettata e superficiale dal punto di vista teori- 64 Ma vediamo più da vicino come si sviluppa l’argomentazione di Graeber. Il libro è un sorprendente coacervo di analisi interessanti, anche se spesso non nuove e originali, e di giudizi perentori e sbrigativi, non supportati da argomentazioni convincenti, specialmente per quanto riguarda il periodo dagli anni settanta a oggi. Si basa su di un’imponente letteratura, proveniente dalle più diverse discipline sociali, che non di rado appare letta frettolosamente e acriticamente. co, e inservibile da quello politico. Il volume si dilunga Il percorso di Graeber si snoda a partire da una do- a elencare una quantità di torti, di soprusi, di violenze, manda che incombe su tutto il libro: “Com’è che le di cui il debito sarebbe responsabile. Risuonano qui gli obbligazioni morali fra persone sono arrivate a essere accenti di una storia millenaria, in cui il debito indivi- pensate come debiti e, di conseguenza, hanno finito duale ha sempre giocato la parte di genio malefico, di per giustificare comportamenti che altrimenti appa- nemico dell’ordine sociale. La liberazione dal grava- rirebbero del tutto immorali?” (158; vedi anche 130); me del debito, l’istituzione di una moneta debt-free e la passa attraverso una prima risposta che poggia sulla costruzione di un’economia anch’essa debt-free, diven- distinzione fra “economie umane” ed “economie mer- tano un obiettivo politico offerto alla sinistra di tutto il cantili” e giunge a negare la legittimità del debito. Il mondo per rinnovare il suo armamentario ideologico. passaggio cruciale è “quando le economie umane ini- Si intravvede, sullo sfondo, la periodica remissione dei ziano a cedere di fronte alle economie commerciali o 65 a esserne soppiantate” (130). La chiave di volta dell’in- mico, la sostenibilità analitica di quella dicotomia, sia tera costruzione è l’identificazione del debito con la in Polanyi che in Graeber, comincia a traballare. Così moneta. come l’altra dicotomia, cara a tanta parte della critica di sinistra al capitalismo, che oppone stato e mercato. I primi sette capitoli, in cui Graeber presenta i suoi strumenti analitici, offrono un’ampia carrellata sull’evoluzione storica della moneta e del debito che, si presume, dovrebbe andare a supportare l’idea basilare di Graeber che esistano “economie commerciali” contrapposte alle “economie umane”, secondo una distinzione che si può forse riportare al concetto polanyiano di “economies embedded in society”, peraltro non richiamato da Graeber, che cita Polanyi solo di sfuggita in nota e non a questo proposito. La cosa risulta abbastanza strana, perché Graeber utilizza la contrapposizione fra “economie commerciali” ed “economie umane” in una prospettiva critica molto simile a quella di Polanyi. Anche in Polanyi, infatti, la dicotomia fra economie “embedded” nella società e “disembedded”, come l’economia di mercato, seppur costruita sulla Queste dicotomie, per quanto affascinanti, appaiono troppo ovvie e, nel contempo, dicono troppo per risultare adeguate a una realtà economica come quella attuale, il cui tratto caratteristico è la complessità dei nessi e la molteplicità delle articolazioni. Sarebbe bene abbandonare queste dicotomie e fissare l’attenzione sugli intrecci che collegano queste presunte realtà opposte. La realtà non è fatta di economie umane o di economie commerciali, di economie “embedded” o “disembedded”, così come non esiste un’alternativa secca tra stato e mercato. La realtà è fatta di una combinazione, variabile nel tempo e diversa da contesto a contesto, di soluzioni istituzionalizzate che regolano una pluralità di rapporti economici. Le schematizzazioni dicotomiche non solo non aiutano a comprendere la realtà, ma portano fuori strada. scorta di un’ampia analisi del materiale etnologico di- 66 sponibile, è fortemente condizionata da l’obiettivo po- Propongo di considerare l’economia come un pro- lemico di criticare l’economia capitalistica che avreb- cesso d’interazione istituzionalizzato fra gli uomini e il be assoggettato la società al funzionamento di regole loro ambiente naturale e sociale che ha come oggetto esterne a essa. Se si toglie di mezzo l’obiettivo pole- e come fine la produzione e la distribuzione dei beni e 67 servizi necessari alla riproduzione della società. margini del territorio occupato dalla comunità, non significa certo che la loro presenza non coinvolgesse la È necessario sottolineare che questa interazione è il campo in cui si manifestano anche le relazioni di po- comunità, e non interagisse con il suo funzionamento, trasformandone le modalità. tere che hanno radice nella irriducibile diversità degli esseri umani. La cosa che colpisce di più, nel lavoro di Graeber, è la mancanza di un impianto teorico e, ancor più, di Credo che, in prima approssimazione, Polanyi, e forse anche Graeber, potrebbero ritrovarsi in questa definizione. Ma se poniamo davvero al centro dell’attenzione e dell’analisi il “processo d’interazione”, le divergenze non tardano a manifestarsi. Anche l’istituzione del mercato, infatti, quale viene diffondendosi e sviluppandosi, in un lunghissimo arco di tempo e nelle più diverse condizioni, fino a diventare, nel contesto europeo, l’infrastruttura fondamentale dell’economia capitalistica, appare come il frutto di questo processo d’interazione. Non è un qualche potere esterno alla società che l’ha creato, imponendolo alla società. I mercati sono sorti, e con il tempo hanno trovato una stabilizzazione istituzionale, per iniziativa di gruppi di individui che sperimentavano soluzioni nuove e più efficaci nel rendere disponibili beni ai membri della un’impostazione metodologica. Il percorso dell’argomentazione è randomico e il ragionamento è spesso condito con affermazioni di sconcertante banalità; tre fra le tante: “la moneta non ha essenza” (372); [il capitalismo] “è in definitiva un sistema di potere e di esclusione” (381); “Ci sono buone ragioni per ritenere che, entro una generazione o giù di lì, il capitalismo non esisterà più... perché è impossibile mantenere un meccanismo di crescita perpetua in un mondo finito” (381-2). Qui l’ideologia anticapitalistica sembra prendere il sopravvento sull’analisi. Il passaggio dall’amministrazione Nixon all’era Reagan, considerato, a ragione, decisivo nell’evoluzione del capitalismo statunitense è descritto in maniera affrettata e superficiale, come una vicenda giocata interamente sul terreno dell’ideologia, con la vittoria, non spiegata, delle forze più rozze e retrive. comunità. Il fatto che per lungo tempo i mercati, fisicamente intesi, abbiano trovato una collocazione ai 68 In buona sostanza, Graeber ritiene che il capitali- 69 smo sia di per sé incapace di includere la totalità della il mercato, che consentono di quantificare l’impegno popolazione nel processo di creazione e distribuzione trasformandolo in debito. della ricchezza e che le crisi siano, in definitiva, crisi di inclusione. In questa prospettiva, risulta svalutato anche il periodo del cosiddetto “compromesso keynesiano”, considerato come uno dei diversi, fallimentari, tentativi di inclusione. Giunti al termine della lettura, si ha l’impressione che l’autore sia il primo a non aver compreso fino in fondo la mole di fatti e di significati che è venuto esponendo lungo tutto il libro nel tentativo di ricostruire la storia del debito. “Alla fine, cos’è un debito? - si chiede Graeber – Un debito è solo lo stravolgimento di una promessa. È una promessa stravolta dalla matematica e dalla violenza” (391). Non c’è più traccia su tutto ciò che è stato detto nei capitoli precedenti riguardo al ruolo ricoperto dal debito nel costituire il legame sociale. Stendiamo un pietoso velo sulla filosofia d’accatto che occupa le ultime pagine del libro. “La violenza e la quantificazione”, dunque, “sono intimamente legati” (14). Il peccato originario che sta dietro a queste aberrazioni è il fatto di avere accettato di “ridurre le relazioni umane a scambi” (18), mentre, secondo l’autore, si tratta di riscoprire, sulla scorta dell’antropologia, “la base morale della vita economica” (ivi). Resta assodato che “il principio stesso dello scambio è emerso in gran parte come effetto della violenza” e che “le vere origini della moneta vanno rinvenute nel crimine e nel risarcimento, nella guerra e nella schiavitù, nell’onore, nel debito, e nel rimborso” (19). Non vi è alcun dubbio, dunque, che, in questa prospettiva, la lettura della storia del debito sia funzionale alla formulazione di una condanna senza appello dell’economia di mercato e del capitalismo. E questo nobile obiettivo, naturalmente, giustifica anche qualche forzatura interpretativa. Il debito diventa una ca- 70 L’asse intorno a cui Graeber organizza la sua ricer- tegoria generica e onnicomprensiva, in cui rientrano, ca è costituito dall’idea che il debito sia strettamente senza particolari distinzioni, il debito pubblico, il debi- intrecciato con la violenza e sia responsabile dello svi- to privato e il debito internazionale. Quello che conta limento degli impegni morali ridotti, appunto, a debi- è far emergere il debito come lo strumento attraverso ti (13). Questo passaggio avviene tramite la moneta e cui i detentori del potere hanno sempre soggiogato e 71 controllato la stragrande maggioranza della popolazio- cipi morali fondamentali su cui si possono fondare le ne. I creditori sono i dominatori della storia. relazioni economiche in ogni società umana; li chiamerò: comunismo, gerarchia e scambio” (94). Salvo poi riconoscere che i più grandi debitori di oggi, le grandi compagnie industriali e finanziarie, Non sono poche le riserve che questa impostazione sono quelli che hanno la forza di sottrarsi all’obbligo suscita. La prima perplessità nasce dal fatto di vedere di ripagare il debito.19 il comunismo, la gerarchia e lo scambio trattati come principi morali piuttosto che come forme organizzati- Allora, come stanno davvero le cose? Forse, il problema fondamentale è quello del potere, e il debito è solo uno dei terreni su cui entrano in gioco le relazioni di potere? La storia reale dei rapporti fra creditori e debitori è molto più controversa e frastagliata di quello che Graeber vorrebbe farci credere. ve. Graeber, però, non dà spiegazioni: prendere o lasciare. Sorprende, in particolare, il trattamento riservato alla nozione di comunismo, di cui, con un tratto di penna, viene cancellato tutto il denso passato. Per Graeber, il comunismo non è quella cosa in cui centinaia di milioni di persone hanno creduto e per cui Da questo punto di vista, il capitolo più sconcertan- hanno lottato, ovvero la proprietà comune dei mezzi te e rivelatore del libro è il quinto, dove Graeber discu- di produzione intesa come l’unica condizione in grado te i “fondamenti morali delle relazioni economiche”. di garantire una società giusta ed egualitaria, ma è solo Affastellando in maniera piuttosto disordinata una un altro nome per intendere la reciprocità. Il comuni- quantità di casi provenienti dalla letteratura antropo- smo non riguarda la proprietà collettiva dei mezzi di logica e riguardanti le culture e le epoche più diverse produzione, ma le modalità di relazione fra le persone. e lontane fra di loro, Graeber ritiene di poter giungere Così, all’improvviso, il comunismo è dappertutto, e ci alla conclusione che si possono individuare “tre prin- scopriamo tutti comunisti, perché tutti siamo adusi a una qualche forma di reciprocità. Il comunismo si in- 19 Proprio all’inizio del libro, Graeber cita in exergo un noto proverbio americano: “Se devi alla banca centomila dollari, la banca ti possiede. Se devi alla banca cento milioni di dollari, sei tu a possedere la banca” (1). 72 sinua, addirittura, all’interno delle imprese, che sono isole di comunismo, e di gerarchia in mezzo a un mare 73 di scambi.20 Ancora più sconcertante è il principio che reciprocità. Non c’è molto da aggiungere a questa ma- Graeber intende porre a base della “nuova” idea di co- niera disinvolta e inconcludente di riscrivere la storia. munismo: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” (94 sgg.). Si tratta, come noto, di uno slogan antico,21 per non direantiquato; in ogni caso, come tutti gli slogan, ha solo una funzione evocativa e non pretende di esprimere contenuti determinati. Oggi più che allora. Qualcuno ha idea di come si potrebbero individuare e riconoscere le capacità di ciascuno in un mondo del lavoro così differenziato e complesso come quello attuale e senza l’ausilio delle dinamiche di mercato? Oppure chi e come potrebbe definire e riconoscere i bisogni di ciascuno? Sarebbe il Leviatano a farlo oppure una “semplice” consultazione in rete? Non meno superficiale appare anche l’identificazione dello scambio come una relazione basata sulla reciprocità e sull’uguaglianza formale. Sebbene le due dimensioni, specialmente la seconda, siano ampiamente diffuse e condivise, esse non reggono a un’analisi più approfondita e scevra da pregiudizi ideologici. La reciprocità richiede una certa reiterazione della relazione, che consenta di instaurare una qualche forma di riconoscimento che è il presupposto della stessa reciprocità. Gli scambi, specialmente quelli di mercato, possono essere, e per lo più sono, totalmente privi di questa caratteristica, in quanto tendono a esaurirsi in se stessi, anche se possono essere il tramite per l’instaurazione Ma la risposta di Graeber è, ancora una volta, fulmi- di relazioni durature, non necessariamente implicanti nante quanto disarmante: quello slogan non si applica, la reciprocità. Anche l’uguaglianza formale dello scam- come invece pensava il suo inventore, alla partecipazio- bio è tutt’altro che scontata, perché nella maggior par- ne degli individui al processo della produzione sociale te dei casi concreti il venditore gode di una qualche nella fase superiore del comunismo, ma alle relazioni di misura di monopolio, a meno che, come pure avviene 20 L’idea che le imprese siano isole al cui interno vigono forme di relazione diverse dallo scambio che impera al loro esterno, la formulò, con ben altra acutezza analitica, Dennis H. Robertson nel 1923 (Control of Industry, Nisbet, London), secondo cui le imprese sono “Islands of conscious power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter coagulating in a pail of buttermilk”. 21 È formulato da Karl Marx nella Critica del programma di Gotha (1875). John Rawls ne parla brevemente nel § 47 della sua Theory of Justice (1971). 74 di frequente nelle nostre economie, non sia il compratore a godere di un significativo potere di mercato. In ogni caso, posto che lo scambio è ineguale quasi 75 per definizione, è difficile parlare anche solo di ugua- intorno alla “moralità del debito”. L’ingente mole di glianza formale. In realtà, l’uguaglianza formale sta materiali etnologici e antropologici non è servita a co- solo a indicare una disuguaglianza accettata. struire un’interpretazione teorica del debito. Addirittura disarmante, infine, è la soluzione che In conclusione, si tratta di un lavoro pretenzioso, Graeber suggerisce per risolvere in radice i numerosi e impreciso, sconclusionato, animato unicamente dal inquietanti problemi che il debito, in generale, pone. proposito di trovare nel debito, e nell’illustrazione dei Basta rifarsi alla Bibbia: “la legge del Giubileo, una leg- danni infiniti che provocherebbe, l’arma letale che do- ge che stabiliva che tutti i debiti venissero automati- vrebbe convincere definitivamente della necessità di camente cancellati ‘nell’anno sabbatico’ (ovvero dopo abbattere il capitalismo. Missione fallita. Non c’è molto che erano passati sette anni)” (82). Noi “siamo in grave da imparare sulla natura del debito, sia pubblico che ritardo rispetto a un qualche tipo di Giubileo di stam- privato, né sulle funzioni che esso assolve e i problemi po biblico che riguardi sia il debito internazionale che che genera nelle economie capitalistiche, perché, in il debito dei consumatori” (390). Sela soluzione è que- realtà, il libro tratta principalmente delle implicazioni sta, non c’è che rimanere delusi, dopo tante pagine morali del debito. Lo straordinario successo del volu- di analisi e argomentazioni. Non si capisce, tra l’altro, me testimonia solo del deserto culturale, della totale perché dal Giubileo sia escluso il debito pubblico, che assenza di strumenti analitici, e di prospettive culturali rappresenta il fenomeno più consistente, oltre che rile- in cui versa la sinistra politica anche nel mondo anglo- vante, dei nostri tempi. Ma forse è chiedere troppo. In sassone. particolare, non si può chiedere a Graeber chi e come dovrebbe proclamare questo Giubileo. La montagna ha partorito il topolino. La promessa di “creare una nuova teoria, quasi da zero” (90) è anch’essa destinata ad andare delusa. Alla fine del libro, non ci ritroviamo con una teoria, ma con una serie di considerazioni 76 Graeber sostiene che la storia del debito coincide, in massima parte, con la storia della moneta, perché debito e moneta fanno la loro comparsa insieme nella storia della civiltà (21). Due affermazioni impegnative e tutt’altro che facili da dimostrare, in particolare quel- 77 la secondo cui debito e moneta sarebbero frutto di un care quello che è per lui il principale ostacolo alla com- parto gemellare. prensione della storia della moneta e del debito ovvero “il ruolo straordinario che l’economia attualmente Personalmente, ritengo esistano validi motivi per ritenere che il debito sia la forma più antica e primordiale di quel tipo di relazione fra gli uomini che implica il trasferimento di beni. Mi sembra esista sufficiente evidenza etnologica per supporre che lo scambio di beni fra sconosciuti sia stato il primo esperimento in cui si è impegnata l’umanità nelle sue prime forme di socialità e che in questa attività si fondessero e si intrecciassero tutte le dimensioni del rapporto con l’altro, compresa l’esplorazione della sua disponibilità ad accettare ricopre nelle scienze sociali” (90). Il primo obiettivo polemico, dunque, è il “mito del baratto”, cui Graeber dedica il secondo capitolo per mettere alla berlina quello che è, effettivamente, uno dei punti deboli di tanta manualistica economica, ma che non aveva bisogno di aspettare Graeber per essere pesantemente e validamente criticato. Sono ormai un esercito le opere economiche non ortodosse che hanno mostrato e dimostrato l’inconsistenza storica e teorica di questa tesi.22 una relazione pacifica durevole. La fenomenologia del dono in tutte le sue varianti, messe in luce dalle rico- 6. Forse, è un segno dei tempi che un tema così ri- struzioni etnologiche, potrebbe essere il campo di spe- levante come quello del debito abbia trovato una riso- rimentazione di queste primissime forme di relazione nanza mondiale tramite i lavori tutto sommato appros- e di scambio. In questa prospettiva, il dono rappresen- simativi di autori che sono chiaramente guidati, nella terebbe la soluzione più antica ed elementare, malgra- loro ricerca, da un forte pregiudizio ideologico, di con- do la complessità che esibisce. danna a priori del sistema capitalistico di cui il debito è una delle chiavi di volta. Non siamo di fronte a un In ogni caso, risolvendo il debito nella moneta, ne discende che il primo impegno di Graeber è quello di riscrivere la storia e, in particolare, le origini della moneta. Il passaggio serve a Graeber anche per attac- 78 avanzamento dell’analisi critica del capitalismo, bensì a un’operazione di marketing politico, in cui, creando la suggestione che il capitalismo si identifichi con 22 Senza risalire ai lavori pionieristici di Alfred Mitchell-Innes (1914) o all’ostico 79 il debito ed essendo il debito una cosa riprovevole agli fondamentalmente di una visione meccanicistica, ani- occhi dei più, si procede a condannare il capitalismo mata da un razionalismo illuministico, con cui viene quale nemico principale dell’umanità e ostacolo alla armato un homo faber, che sarebbe padrone del mondo creazione di un mondo umano. sociale e fisico in cui vive e capace, quindi, di plasmarlo a piacere secondo i dettami di un progetto razionale. Quello che rende fin dall’inizio deboli e falsate le analisi di tali autori, come di tanti altri (per non dire di gran parte della ricerca attuale in campo sociale) è il modo stesso di pensare o, meglio, di dare per scontato il funzionamento del sistema sociale. Le narrazioni che tali autori propongono, che tali sono piuttosto che analisi scientifiche, basano le loro spiegazioni causali su figure antropomorfe, cui viene impropriamente L’uomo è considerato come attore all’interno di un rapporto a senso unico con gli altri uomini e con l’ambiente naturale. L’azione parte da lui e si rivolge verso qualcun altro e/o verso un qualche oggetto fisico che ne restano univocamente condizionati. Solo in un secondo momento si prende in considerazione l’azione collettiva, che viene raffigurata, dunque, a seguito di un’opera di ricomposizione. attribuito il ruolo di agenti che pensano, decidono e agiscono come singoli individui: il capitale e il capitali- In realtà, il punto di partenza di qualsiasi analisi so- smo, l’economia, il mercato e così via. In tali narrazio- ciale che aspiri a definirsi scientifica non può essere ni, questi sono gli attori che occupano la scena e, come altro che quello stato primario, quel movimento origi- gli dei omerici, giocano con le vite degli esseri umani, nario, che è l’interazione fra gli individui che compon- favorendo ora gli uni ora gli altri. In secondo luogo, gono una determinata comunità, al centro della quale mi pare del tutto fuorviante il loro modo di concepi- vi è la capacità di elaborare socialmente l’informazione re gli effetti dell’azione umana nel contesto sociale. (vedi Hidalgo 2016, 29).23 L’interazione fra individui Seppure convariazioni e accentuazioni diverse, si tratta che elaborano collettivamente le informazioni e, nel trattato del padre del cartalismo, l’economista tedesco Georg Friedrich Knapp, opere che, in effetti, sono rimaste o, meglio, sono state tenute fuori dal circuito della ricerca economica ortodossa, è sufficiente far riferimento alla Modern Monetary Theory, che ormai da tempo ha solidamente affermato la tesi che nega il “mito del baratto”. 80 farlo, istituiscono relazioni nel segno del potere, è il 23 Questa osservazione si ritrova anche in Simmel (Simmel 1900, 159). Si tratta forse del passo più importante e originale nell’analisi simmeliana delle origini della moneta come istituzione sociale. 81 filo rosso della storia dell’umanità. È nell’interazione fra gli individui che emerge la loro diversità ed è nell’ambito di questa diversità che Potremmo forse spingerci fino a dire che ne rappresenta la nascita. Da qui occorre sempre ripartire, in qualunque fase storica ci troviamo. Non esiste un a priori rispetto a questa routine, che ne condizioni lo svolgimento, se non la storia, il path, delle interazioni che hanno preceduto quelle di cui ci occupiamo o che viviamo. Interagendo fra di loro, gli individui costituiscono se stessi come soggetti, si propongono come portatori di bisogni, di interessi, di convinzioni e, nel contempo, costituiscono le relazioni fra di loro, recepiscono, convalidano o contestano i rapporti di potere che ne disciplinano la convivenza.24 Il potere è una componente essenziale e ineliminabile dell’interazione sociale e la disuguaglianza ne è l’ineliminabile matrice. Fin dove si spinge il nostro sguardo, risalendo nella notte dei tempi, vediamo che il rapporto di debito costituisce la forma più antica di relazione fra individui ineguali, che non si conoscono. Il passaggio di beni, ben prima che insorga lo scambio, ne è parte costitutiva. Questo voleva dirci Mauss nel suo celebre saggio sul dono. 24 È questo, a mio parere, il senso più profondo, interessante e innovativo della riflessione di Foucault sul potere. 82 insorge il problema del potere. Ogni relazione fra individui si dispone secondo una scala gerarchica, in cui qualcuno esercita il potere e qualcun altrolo subisce e in tal modo lo riconosce e lo convalida, ancor più quando gli resiste, come ci ha insegnato Foucault. La politica è immanente a questa incessante interazione fra individui, non gli è sovraordinata, come un potere esterno che dall’esterno la condiziona e la guida.25 Il potere è uno dei codici fondamentali sulla base del quale gli individui interagiscono e la politica ne è l’espressione specifica. Nelle infinite interazioni che li connettono, gli individui formano gruppi, espliciti o impliciti, che a loro volta agiscono come attori individuali, interagendo con gli individui in senso proprio. I partiti, il governo, sono alcuni di questi attori collettivi che interagiscono con gli individui, godendo in genere di un differenziale di potere considerevole, spesso decisivo, ma non sono in condizione, neppure su questa base, di condizionare i comportamenti individuali fino al punto di poter attuare in toto i programmi e le politiche desiderati. Lo stato è un agente come tutti gli 25 Al contrario di ciò che sostiene la “fallacia costruttivista” aspramente criticata da von Hayek. 83 altri, specialmente in campo economico. Anche i par- morale, hanno fatto della nozione di debito il perno di titi non sono che soggetti collettivi che interagiscono una critica radicale del capitalismo, condividono alcu- con tutti gli altri, spesso da posizioni di vantaggio, ma ni tratti comuni. Si è formata una corrente di pensiero senza avere la capacità e la possibilità di esprimere un che presenta una certa unitarietà e in cui si sarebbe potere ordinatore assoluto. Anch’essi sono esposti alla rifugiata la critica radicale del capitalismo, orfana del eterogenesi dei fini e all’incognita ingovernabile degli marxismo. esiti inattesi dell’azione umana. Il primo elemento, di diretta derivazione nietzscheIl debito è strettamente intrecciato con il potere. ana, è l’atteggiamento polemico o addirittura avver- Sono entrambi fenomeni che si manifestano nell’inte- so nei confronti della tradizione “giudeo-cristiana”. razione fra gli individui. Nessuna forma di interazione Questo pregiudizio induce gli autori che rientrano in ne è esente, anche se spesso tali aspetti rimangono allo questo filone a trascurare, se non a occultare, i due stato latente, o, per meglio dire, al di sotto della nostra millenni di storia giudeo-cristiana che hanno plasmato soglia di attenzione. Nel corso del tempo, l’archetipo la civiltà occidentale, nel cui seno è nato e cresciuto del debito è passato attraverso una miriade di meta- il capitalismo. Ciò che questi autori ignorano è che il morfosi, ognuna delle quali ha la sua storia, fino alle tanto deprecato individualismo, che essi identificano forme che ha oggi assunto nella dimensione economi- tout court con il capitalismo, è anch’esso figlio della vi- ca. Ciò non autorizza a confondere, l’una con l’altra, cenda giudeo-cristiana, come ha messo bene in luce le diverse metamorfosi e articolazioni della relazione Siedentop (2015). Sembra quasi che il loro insistente di debito. ricorso all’antropologia delle società primitive sia un espediente per esorcizzare il nesso giudaismo-cristia- 7. Pur nella loro diversità, tutti i contributi che, richiamandosi più o meno esplicitamente e direttamente alla suggestione nietzscheana della Genealogia della nesimo-individualismo-capitalismo, con i pesanti e inquietanti interrogativi che esso pone e che rimangono, pertanto, irrisolti. Non si riesce a fare i conti con il capitalismo che c’è, che si dimostra non malleabile 84 85 di fronte a tutte le idee di riforma sociale finora messe metafora del fardello, in quello del Secondo Tempio in campo, e che pure continua a condizionare pesan- (536 a.C.-70 d.C.) comincia a essere rappresentato con temente i nostri orizzonti di vita. La società primitiva quella del debito, probabilmente a seguito della dif- diventa allora l’archetipo della società che si vorreb- fusione dell’aramaico, che era la lingua ufficiale della be: “la macchina primitiva non ignora lo scambio, il legge del commercio.26 commercio e l’industria, ma li scongiura, li localizza, li reticola, li incasella, mantiene il mercante e il fabbro in una posizione subordinata perché i flussi di scambio non vengano a spezzare i codici a vantaggio delle loro quantità astratte e fittizie” (Deleuze-Guattari 1972, 17980 [170]). Anche se i due autori non lo citano, non siamo molto lontani dall’analisi di Polanyi e dalla sua idea di un’economia embedded nelle società tradizionali, che il capitalismo avrebbe fatto saltare recidendo i legami con il tutto sociale. La nostalgia della savana, che scorre in molti di questi contributi, a partire da quello di Deleuze e Guattari, nasconde e, al tempo stesso, esprime un problema irrisolto: quello del rapporto con la tradizione politico-culturale giudaico-cristiana, in cui si inscrive la nascita del capitalismo. Più precisamente, quella che si vuole occultare, perché considerata inaccettabile, è quella sorta di legittimazione che deriverebbe al capitalismo, in quanto storicamente necessitato, dal riconoscimento di quel rapporto. Il ritorno alla savana vuole salvare Il secondo elemento, in parte legato al primo, è co- quella critica radicale, ma facile, del capitalismo che lo stituito dalla mancata rilevazione del fatto che il nes- esclude dall’ambito delle relazioni sociali “vere” e ne fa so debito-peccato/colpa, su cui si fonda gran parte un nemico della società. dell’argomentazione di questi autori, nasce proprio in quel mondo giudaico-cristiano che essi, sulle orme di Nietzsche, guardano con sospetto, se non proprio con disprezzo. Come ha sapientemente dimostrato Anderson (2009), il peccato, che nel periodo del Primo Tempio (833-416 a.C.) era rappresentato tramite la 86 Alla base di questo stilema c’è uno dei luoghi comuni più triti e fuorvianti che accompagna la nascita e il dispiegamento della modernità: la contrapposizione fra la società buona, la “società civile”, e il capitalismo, 26 Il testo capitale che testimonia questo slittamente semantico è l’incipit del Pa- 87 con le sue pulsioni distruttive, che la corrompe. Fou- rate dal sistema capitalistico. Non c’è un “di fuori” su cault rifiuta energicamente di utilizzare la contrapposi- cui fare leva. Un aspetto curioso del lavoro di questi zione fra “stato” e “società civile” perché essa non è mai economisti è la reticenza a parlare di capitalismo, e ad esente da una sorta di manicheismo, “che attribuisce attribuire alla natura capitalistica dell’economia in cui alla nozione di stato una connotazione peggiorativa e, viviamo un fenomeno come il debito nella sua forma nello stesso tempo, idealizza la società come un insieme attuale che ne è uno degli architravi. buono, vivo e accogliente” (Foucault 1994, 374 [192]). Lo stesso si potrebbe affermare della contrapposizione fra società e capitalismo. Essa fa scomparire dall’orizzonte quello che dovrebbe essere il vero oggetto di analisi: l’esistenza di una “società capitalistica”, di cui si vedono e si patiscono crisi e sommovimenti, ma di cui non si intravvede la fine. Siamo ancora in attesa di una analisi critica del capitalismo che parta dalla constatazione che viviamo in una “società capitalistica”, che segna in profondità il nostro essere e il nostro pensare. E, per citare ancora Foucault, dovremmo sempre ricordarci “che, a un certo livello, ogni rapporto umano è un rapporto di potere. Noi evolviamo in un mondo di relazioni strategiche perpetue” (ivi). L’analisi non do- nomisti, il debito sovrano presenta una particolarità che richiama in vita, sotto certi aspetti, la nozione di debito dei primordi: è un debito che non viene ripagato, non viene estinto, non abbisogna di essere estinto. È un debito permanente. In esso si rispecchiano i rapporti di potere fra stati, i quali, a loro volta, si intrecciano con il potenziale economico che le singole economie nazionali sono in grado di esprimere. Nel debito sovrano si rispecchia e si misura la sovranità. Rispetto alla nozione corrente di debito, dettata dall’economia, si tratta di uncambiamento di prospettiva e di significato radicale. vrebbe mai perdere di vista l’immanenza del potere, L’inesigibilità, di fatto, del debito pubblico muta ra- anche quando si parla delle relazioni di potere instau- dicalmente la natura e la funzione stesse del debito. ter Noster. “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il lavoro di Anderson è richiamato nel lavoro interessante di Elettra Stimilli (2015). 88 8. Come ormai è chiaro a tutti, tranne che agli eco- Il debito è semplicemente la forma in cui il governo o, più frequentemente, un organismo formalmente 89 indipendente, la banca centrale, mette a disposizione gente che impone il rispetto delle regole capitalistiche, dell’economia i mezzi di pagamento che sono richiesti una forma di assoggettamento più ampia e assoluta di dal suo funzionamento, la cui quantità e assegnazio- quella che è stata a lungo rappresentata dal rapporto ne non possono essere determinate rigorosamente e salariale. in via preventiva perché dipendono da soggetti diversi, tra i quali non sussistono canali formali di comunicazione. Non è sicuro, pertanto, che compiano scelte compatibili e perseguano fini convergenti. Da questo derivano i malfunzionamenti che, in maniera ricorrente, generano crisi. Il problema centrale, dunque, non è il debito in sé o la sua altezza, ma la sua gestione. Ora, in questo c’è indubbiamente del vero. La governamentalità capitalistica passa, indubbiamente, anche attraverso le relazioni di debito che, in mille forme, avvolgono e coinvolgono l’intero corpo sociale. Ma, al tempo stesso, questa prospettiva non esaurisce l’ambito della governamentalità e neppure ne coglie gli aspetti più profondi. Come si è mostrato nelle pagine Resta il fatto che il debito sovrano è un nodo nel- che precedono il rapporto di debito vincola, limita la la rete del potere che, nelle condizioni geopolitiche libertà di scelta degli individui e della collettività, ma, attuali, connette tutti gli stati, condizionando le politi- al tempo stesso, ne amplia a dismisura le possibilità di che dei governi. Nella gestione del debito, dunque, è azione. Come si è detto, il debito è uno strumento per preponderante lo spazio politico che ciascun stato-na- colonizzare il futuro e, con ciò stesso, per ampliare gli zione è in grado di occupare in base alla propria forza orizzonti del presente. La sua natura ancipite ha reso relativa, nella quale si compendiano una serie di fattori più complessa la governamentalità capitalistica attua- economici, politici, sociali e anche culturali. le, rendendo ancora più esplicito e cogente il legame fra economia e politica. Il governo si vede attribuire Il debito viene visto oggi, da molti analisti, economisti, filosofi, antropologi, come il fulcro della governamentalità nell’epoca del capitalismo globalizzato. Il debito sarebbe lo strumento fondamentale del discipli- nuove e più complesse responsabilità, perché solo un governo politico del debito può renderlo sostenibile, tenendo insieme le sue due anime. Nessun artifizio economico può farlo. namento dei comportamenti individuali, la forza co90 91 5. Y G I O T R LT E B O A P E EB LA N E D G F O IN LOVING MEMORY OF LAPO BERTI by Andrea Fumagalli 5. RZN005 eng Editor: Rizosfera Series of Books: Rhizonomics Genealogy of debt Anti-copyright, April 2019, Rizosfera Author: Lapo Berti Copyright by Andrea Fumagalli for the text ‘In Loving Memory of Lapo Berti’ previously published by Effimera blog and Il Manifesto newspaper. We would like to thank Andrea Fumagalli and Cristina Morini for the kind permission. Translation by Ettore Lancellotti. Editing by Letizia Rustichelli Creative Commons 4.0 Attribution — You must give appropriate credit, provide a link to the license, and indicate if changes were made. You may do so in any reasonable manner, but not in any way that suggests the licensor endorses you or your use. No additional restrictions www.rizosfera.net The book series entitled «Rhizonomics» deals with rhizospheric philosophy, in particular with its generalized economic perspective. Contents Issues: RZN001 :: PAOLO DAVOLI E LETIZIA RUSTICHELLI, Marx, Money, Capital. Interview with Lapo Berti Introduction 101 by Rizosfera RZN002 :: RIZOSFERA - Digital Neuroland. An interview with Tony D. Sampson RZN003 :: DEMYSTIFICATION COMMITTEE -The Offshore Economist RZN004 :: KYBERNETIKOS KOMMANDO -Electro Bubble In Loving Memory 103 by Andrea Fumagalli Genealogy of Debt by Lapo Berti 109 Rome, 24th April 2017, Dear P*, as promised I am sending you the work in progress about my readings on debt. As you may notice there are many sections that need to be implemented. I do count on your judgement and suggestions. Speak soon. Lapo Berti. These few lines written on 24th April 2017 show the last research Lapo was focusing on before his sudden and painful passing in December 2017. The theme of debt, its militant critic interpretation and essence and the issues concerning the relationship between Foucault and Ordoliberal and Neoliberal theses were at the centre of his interest and his attention. The proposal by Foucault’s philosopher and scholar, Mauro Bertani, of an economic and philosophical article for the scientific and philosophical journal Aut Aut (n.376/dec. 2017/ Ripartire da Foucault. Economia e governamentalità) had offered him the opportunity over the past few months to investigate these issues further. 100 101 The text presented here, together with that article, In Loving Memory of Lapo Berti are therefore the last works conceived and written by Lapo Berti. by Andrea Fumagalli We offer readers and scholars of economics an essay still in its non-definitive form and without any mediation or specific editorial work on our part. Just over one year from his demise we consider the publication of his writings the best way to commemorate what we regard as a model Master of life and thought. Lapo Berti is one of the many activists that dedicated their lives to the quest of truth (in the sense of “parrhesia”) – a group that nowadays is very restricted, as busy as we all are in the performativity of appearing. He participated to the most important moments of the cultural break from the 1960s to the 1990s. He was born in Milan in 1940, he lived in Florence, then again in Milan and finally in Rome. In Florence, together with Claudio Greppi, he joined the “Giovanni Francovich” circle. He lived the whole experience of the journal “Classe Operaia”, a fundamental one for Italian workerism. Although he was closer to Mario Tronti than to Toni Negri, he had no doubt when he had to choose (actually, he was full of doubts, due to his character, but he knew how to make wise choices). He took part to the “Potere Operaio” cycle, from its formation (that Emilian and Venetian, so to speak) to its end (the Convention of Rosolina). 102 103 Lapo taught at university without even having a de- ones able to conceive an economic theory capable of gree. He has a notorious ancestor, Claudio Napoleoni. functioning as antidote to the monetarist hegemony of He succeeded in impossible tasks. In Potere Operaio those years). he did not hold the simple position of an activist but of leadership. Together with Ferruccio Gambino, in fact, he shared the responsibility of international relations; Workerism penetrated in Germany in the elaboration of antagonist thought thanks to his passionate contribution. He was a scholar of classics, first of all Marx, as well as Schumpeter. From the former, he took and divulgated the idea that money is not mainly a social relationship, namely an instrument of capital’s domination over labour. From the latter, he took and conveyed (together with the Italian translation of Theory of Economic Develop- 104 After the experience of Potere Operaio, he was one ment – Teoria dello Sviluppo Economico, Sansoni Editore, of the enhancer of the journal “Primo Maggio”, and 1971, new edition 2013, published by Rizzoli) the piv- took part in the study group on Money, together with otal, though partial, translation of one of Schumpeter’s Christian Marazzi, Roberto Convenevole, Franco Gori least known works – Das Wesen des Geldes (The essence and Sergio Bologna. He elaborated the theory on the of money), which is crucial to understand the discrim- idea that the creation of money – as credit money – is inatory role inherent to the power of money. Concepts despite the monopoly of the Central Bank, an endoge- that, nowadays, in the era of financialized cognitive nous factor of the dynamics of the capitalistic economy. capitalism, are relevant more than ever. He participated in the seminar on Money promot- He also translated the Italian essay Theory of Money ed in the late 1970s by Augusto Graziani together with and Credit – Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione by Marcello Messori, Roberto Convenevole, Francesco Ludwig von Mises (edited by Riccardo Bellofiore), of Farina, Lilia Costabile, Adriano Giannola, contribut- Monetary Equilibrium – L’equilibrio monetario by Gunnar ing to the elaboration of the theory of monetary cir- Myrdal, and he translated and edited Volkswirtschaftli- cuit (which, with the French régulation, were the only che Theorie des Bankkredits – Teoria economica del credito by 105 Albert Hahn. These are all texts that significantly con- pean integration, whose common currency was viewed tributed in the 1980s to the discussion on heterodox by trade unions and Leftist political forces as a neces- monetary theories. sary and functional step towards the unification of Europe. To discuss the validity of this project, according In the 1990s he started studying the transformations of the process of valorization in the post-Fordist to that logic, corresponded to taking an anti-European stance. phase of capitalism. He was a member of the editorial staff of the journal Altreragioni, which constituted the The texts that Lapo and I wrote, however, were very first attempt to revitalize the Neo-workerist economic distant from anti-European stances. We asserted, from thought in response to the new forms of labour organi- different points of view, how the construction of the zations and to globalization, a crucial passage to under- European Monetary Union, as unique European bond, stand present Italian thought. could bring negative consequences for the idea of Europe itself (thus the title, The Anti-Europe of Curren- Not by chance, that area developed the first critical analyses conceived by Autonomous Marxism thought on the process of construction of the European Monetary Union. These considerations were published in the second issue of Altreragioni as well as in the edited cies). And this was possible precisely because the common currency would have been strategically used to impose from above a plan of Neo-liberal restructuring of Europe, of which the political forces of Centre-left area were complicit. volume L’Antieuropa delle monete (Manifestolibri, Roma, 1992), which included a preface by Sergio Bologna and two essays by the editors, Lapo Berti and myself. From the middle of the 1990s up to his retirement, Lapo Berti worked for the Antitrust Authority, at first with a two-year contract and then more permanently, In this last text, which in many ways anticipated topics that will be re-discussed only after a long time, a new debate started. A Leftist critique of the process of Euro- 106 after a long time spent in precarious conditions (as we would say today), as a choice to fit his activist spirit in his ethic of life. Although in an uneasy and institution- 107 alized environment, he continued to denounce the Genealogy of Debt distortions of the market as a place where economic power was concentrated, as opposed to the Neo-liberal Lapo Berti ideal of the market as a place of equal opportunities. In fact, during that period, he published Il Mercato Oltre le Ideologie Università Bocconi, 2006 and, together with Andrea Pezzoli, Le Stagioni dell’Antitrust. Dalla tutela della concorrenza alla tutela del consumatore Università Bocconi, 2010). In the last decade, debt has become a trend in academic research and in political debate, as well as the object of many elucubrations and absurd statements. Publications, analyses and, unfortunately, recipes – charlatans’ favorites – have multiplied. This new inter- Thank you, Lapo. You have been a life mentor and a master of critical thinking! est in the subject has been triggered obviously by the US 2007-2008 financial crisis, which originated from private debts and then spread to sovereign debts causing a dramatic downturn. However, as strange as it may seem, economists were not the ones to start the debate and to occupy the center stage. We have discovered that debt is a cross-cutting topic, relevant to all social sciences, from anthropology to ethnology, from economics to politics, to philosophy. The most engaging and stimulating contributions come from the fields of philosophy and anthropology. The common denominator of the majority of relevant studies is to understand debt as the potential leverage for a new critique 108 109 of capitalism. They are all limited in their research by Nietzsche and the reference to «the prehistory of man- this “prejudice”. The conclusions that this debate draws kind»,1 to «all ancient mankind»,2 did not intend to are predictable and trivial. They do not add anything retrace an ethnological portrait of primitive societies, to the understanding of present capitalism’s modus op- which would be an arduous and uncertain endeavor,3 erandi nor to the retracing of the governmentality that but rather to delineate a possible evolutive path of comes with it. In most cases, they make it more difficult humanity that can facilitate the understanding of the to understand the nature and the purpose of debt in meaning and evolution of moral feelings. The genealo- modern economies. Nonetheless, we cannot avoid to gy of morality does not render the historical evolution consider these analyses, which often aspire to advance of moral feelings, but rather its profound significance. an updated version of Marxian critique. It explains the origin of the modern man. Nietzsche does not stand as a historian nor as an ethnologist, 1. As inconsistent as it may seem, most of these contributions are not influenced by economic analyses but by Nietzsche’s Second Essay in On the Genealogy of Morality (1887), widely commented and debated. Nietzsche assigns a crucial role to the relation between creditor and debtor, whose origin goes back to immemorable time, even before the beginning of human civilization. According to him, this relation arose to enlighten the prehistoric origin of moral feeling that can be found in but as a philosopher that intends to understand the true meaning of life. In the same way in which, shortly after, the enucleation of the Übermensch would not anticipate a possible and desired future but the more dramatic condemnation of an unacceptable and inhuman present. The vision of man’s future possibilities allows to affect the will in the present: «For the future is as much a condition of the present as the past. That which should and must become, is the foundation of Christian morality. The angle of the argument seems to imply an ethnological interest, a desire to retrace the main phases of human history. Several commentators, even some influential ones, have been tricked. In fact, the metaphor of debt significantly adopted by 110 1 F. Nietzsche, On the Genealogy of Morality, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, p. 54. 2 Ibidem, pp. 133-136. 3 From time to time, Nietzsche feels the need to attenuate and circumscribe the scope of what he says: «I say all this in speculation: because such subterranean things are difficult to fathom out» (p. 42) and he warns us that, as if he were exorcising the ethnological perspective. 111 that which is».4 Jasper argues: «By a mental projection either towards the inside of the individual as Nietzsche of the future, “great politics” is led to a decisive aware- argues, or towards another object, the scapegoat, the ness of the present moment of mankind».5 sacrificial offer, as René Girard argues.6 According to Nietzsche, there is no doubt that the At this point, Nietzsche’s argument crosses the topic origin of moral feelings is located in that crucial passage of debt. As he points out, this «principal moral concept marked by violence which sociality originates from, of ‘guilt’ (Schuld) descends from the material concept where the instinct to stand together is actualized. In of ‘debts’ (Schulden)».7 The core is represented by Nietzsche’s perspective, moral feelings would be noth- «the contractual relationship between creditor and debt- ing but instruments, restrictions, used to keep society or, which is as old as the very conception of a ‘legal sub- together, bridling and repressing the instincts of the ject’ and itself refers back to the basic forms of buying, beast-man, «the human beast of prey», who is always as- selling, bartering, trade and traffic».8 «In this sphere of serting with his power and violence his determination legal obligations, then, the moral conceptual world of to survive. Civilization originate when, through moral ‘debt’, ‘conscience’, ‘duty’, ‘sacred duty’, has its breed- feeling, common men, weak men, “the slaves”, manage ing ground – all began with a thorough and prolonged to overpower “aristocratic classes”, strong men, warri- bloodletting, like the beginning of all great things on ors. Human society would be then founded on the sub- earth».9 «The feeling of guilt, of personal obligation, mission of the strong by the weak to their moral princi- […] originated, as we saw, in the oldest and most prim- ples, forcing the strong to interiorize the sense of guilt itive personal relationship there is, in the relationship and thus generating «bad conscience». This still means 6 that, in the beginning, there was violence and abuse by strong men, and that society becomes possible, or even inevitable, when violence is channeled and deviated, 4 K. Jaspers, Nietzsche: An Introduction to the Understanding of His Philosophical Activity, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1936/1997, p. 250. 5 Idem. 112 R. Girard, La violence et le sacré, Paris 1972 (en. trans.: Violence and the Sacred, trans. By P. Gregory, London : The Athlone Press). It seems apt to remind here that we face Hobbes’ world where the homo homini lupus stands, or alternatively what Freud describes in Civilization and its discontents. These arguments are in stark contrast with the bon sauvage described by Rousseau. They are obviously two myths that do not have the pretense nor the purpose to retrace the origin of human civilization and society, but only to attempt a diagnosis of the society these authors live in. 7 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 39. 8 Ibidem, p. 40. 9 Ibidem, p. 41. 113 of buyer and seller, creditor and debtor: here person instincts on which, up till then, his strength, pleasure met person for the first time, and measured himself and formidableness had been based.»12 person against person. […] Buying and selling, with their psychological trappings, are older even than the beginnings of any social form of organization or association.»10 We are presented with a human environment that resembles very closely the distinction between “thinking fast” and “thinking slow” developed by Daniel Kahneman.13 Kahneman too seems to have in mind an 114 Hence, according to Nietzsche, the act of buying anthropologic scenery, similar to the one adopted by and selling with their psychological trappings (sammt Nietzsche as a foundation for his thought although, ihrem psychologischen Zubehör) establishes the founding obviously, the purposes and the results of their analyses and originary relationship of any social order. It is the are very different. In Kahneman’s analysis, fast thinking act that foreruns and anticipates the social order and is usually elaborated by men in a hostile environment makes it possible thanks to the instrument of measure, where their life depends on the rapidity and effective- of comparison, which «the oldest, most naïve canon of ness of their response, and it allows them to prevail morals relating to justice»11 is in turn founded on. It is and dominate. This is complemented through man’s only later, when the community is formed, or when it evolution by slow thinking, reflection, which is neces- is forming and because it is forming, that the relation- sary to face more complex circumstances. Nietzsche’s ship between individuals and their community takes philosophical analysis is more profound and more in- the shape of the one between creditor and debtors. tricate than Kahneman’s one. He argues that the or- This is «the most fundamental of all changes» that man igin of slow thinking, which includes certainly moral has experienced, since he «found himself imprisoned considerations, was not a painless transition in human within the confines of society and peace» leaving the history, but it has caused an existential upheaval of the «wilderness» behind and foregoing at once «all the old human animal. Human society, together with its inev- 10 Ibidem, pp. 45-46. 11 Ibidem, p. 46. 12 Ibidem, pp. 56-57. 13 D. Kahneman, Thinking, Fast and Slow, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2011. 115 itable corollary, that is the State, has been generated make pledges and take on obligations to the commu- through violence by a «conqueror and master race»14 nity.»15 Therefore, according to Nietzsche, debt is char- that established a dominion and called it social order. acterized by two main features. It originates from a per- The great mass of subordinates, slaves, has slowly man- son-to-person relationship that involves an exchange, it aged to impose rules that have to be respected in or- establishes a tie between the two persons which is usu- der to preserve the cohesion of the social body, that is, ally one of subordination, and then it becomes an ar- morality. However, that violence has not disappeared, chetype for all the relationships that compose the com- has not extinguished, but rather it has moved inside munity. The latter is thus hypostatized as the reference the human creating individual and collective subcon- for all the debts that its members have incurred when scious. they became part of it. Community becomes the great creditor of all its members, and through violence, cru- Nietzsche’s core idea, stated with a dazzling narrative in the Second Essay, is the opposite of what Mauss’ thought, that the gift is the matrix or archetype of all forms of exchange. Nietzsche argues that the debt relationship, which develops in the exchange realm and spreads across the whole social life, constitutes the originary tie that connects one community member to another under the sanction of violence: «the community has the same basic relationship to its members as the creditor to the debtor. You live in a community, you elty and punishment reminds to any transgressor «the savage state»16 that he left behind, that time when he was at the mercy of the strongest individual, of the winner. The debt relationship that “ties” every individual to the community he belongs to is the foundation of social cohesion and at the same time the dispositif that guarantees the correction of behaviour, i.e. the adherence of individuals to the established order, through the sharing of moral feelings namely the interiorization of rules. enjoy the benefits of a community [… because] you 14 «I used the word ‘state’: it is obvious who is meant by this – some pack of blond beasts of prey, a conqueror and master race, which, organized on a war footing, and with the power to organize, unscrupulously lays its dreadful paws on a populace which, though it might be vastly greater in number, is still shapeless and shifting.» Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 58. 116 It is not simple to fully understand the meaning of 15 Ibidem, p. 46. 16 Ibidem, p. 47. 117 these arguments, while it is easy to fall in the trap of consist of re-interpretation, adjustment, in the process treating them as ethno-anthropological reconstruc- of which their former ‘meaning’ [Sinn] and ‘purpose’ tions of human affairs, as many have done. In fact, must necessarily be obscured or completely obliterat- Nietzsche is following a red line that emerges only oc- ed.»17 casionally here and there, and this is what articulates and substantiates the concept, the conceptual artifact of the will to power to which he entrusts the sense of his whole research. The overpowering and the dominating that interest us here are those linked to the assertion of the capitalist spirit. The action based on the logic of capital that becomes dominant and overpowers “sense” and The key to wholly appreciate the arguments on the “purpose” of those institutions that have survived up seller-buyer, debtor-creditor and guilt-conscience re- until now. It overpowers credit and debit, as well as lationship, on the development of criminal law, etc. money, it dominates them and thus it transforms their is located in the very important paragraph 12, where purpose through its “will to power”. The evolution Nietzsche develops what could appear as a polemic di- of the economic system and of economic practices is gression directed at an application of genetic recon- the «succession of processes of subjugation». This is struction to historical processes that he deems errone- how «true progressus [develops]: always appearing, as it ous. ...«The origin of the emergence of a thing and does, in the form of the will and way to greater power its ultimate usefulness, its practical application and and always emerging victorious at the cost of countless incorporation into a system of ends, are toto coelo sepa- smaller forces.»18 It is clear that, while advancing these rate; that anything in existence, having somehow come arguments, Nietzsche does not have in mind the de- about, is continually interpreted anew, requisitioned velopment of capitalism, but instead he is looking for anew, transformed and redirected to a new purpose the primordial motor, «the essence of life» which stirs by a power superior to it; that everything that occurs the evolution of humanity and that he believes cor- in the organic world consists of overpowering, dominating, and in their turn, overpowering and dominating 118 17 Ibidem, p. 51. 18 Ibidem, p. 52. 119 responds to the «will to power». In the end, however, vened to widen the perspective. Their work22 retrieved both happen to converge if not to overlap. Capitalism Nietzsche’s text and some of the products of that an- is the incarnation of the will to power of the present thropological research that opposed Lévi Strauss’ struc- era. For those who study economics, it is difficult to turalism, generating a line of study centred around resist the temptation to tie this Nietzschean line of the notion of debt. Lévi Strauss put at the core of his thought to the Schumpeterian concept of “creative de- anthropological theory the exchange conceived as a struction”, and, actually, some have explicitly done it.19 fundamental moment and relationship. Deleuze and In the Nietzschean perspective, “destruction” and “cre- Guattari probably deemed this perspective too apolo- ation” are two peculiar moments of the man moved by getic of the social capitalist order, and thus they com- his “will to power”, i.e. his instinct of freedom.20 These mitted themselves to overturn it starting from the work assonances have induced some to define the Über- of a British anthropologist who criticized Lévi Strauss, mensch with the entrepreneur, the capitalist, the great Edmund R. Leach. They had two objectives: on the one broker. In particular, we mention Ayn Rand and Fran- hand, to deny the natural character of the exchange as cis Fukuyama,21 who did so based on a superficial and origin of social organization, and on the other hand very partial interpretation of Nietzsche. to advance the concept of “debt economy”, which was believed to be more suited for the vision of the “social 2. Probably, the issue of debt would have never machine” as a collective entity. emerged from the economics discipline even at the time of the recent sovereign-debts crisis, if more than In the fifth edition of Chapter III of their work, forty years ago Deleuze and Guattari had not inter- Deleuze and Guattari developed their concept of “debt 19 H. Reinert & E. S. Reinert, Creative Destruction in Economics: Nietzsche, Sombart, Schumpeter, in J. G. Backhaus and W. Drechsler (eds.), Friedrich Nietzsche (18441900): Economy and Society, Springer, New York, 2006, pp. 55-85. 20 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 57. 21 Cf. M. Kilivris, Beyond Goods and Services: Toward a Nietzschean Critique of Capitalism, “Kritike”, V:2, December 2011, pp- 26-40. Kilivris advances a persuasive critique of these hypothetical affiliations. It is widely renown that in his famous and debated book The End of History and the Last Man (1992), he makes several references to Nietzsche’s work, from whom he took the idea of “the last man”. 120 economy” as premise of a society not based on exchange, not dominated by exchange and market ideology, like the capitalist one: « society is not first of all 22 G. Deleuze and F. Guattari, The Anti-Œdipus, The University of Minnesota Press, Minneapolis, 1983. 121 a milieu for exchange where the essential would be to less know about», when «everything essential in the de- circulate or to cause to circulate, but rather a socius of velopment of mankind took place».28 This is the origin inscription where the essential thing is to mark and to also of his interest in ethnology, because it can concur be marked.»23 The main reference is Nietzsche’s Second to the understanding of this becoming. Since 1875, Essay from On the Genealogy of Morality, «the great book Nietzsche aimed at gathering a tremendous amount of of modern ethnology»24. However, Deleuze and Guat- empirical material on the knowledge of men.29 But the tari’s interpretation raises some doubts. Second Essay in On the Genealogy of Morality does not present an ethnological representation of the dawn of hu- The first has already been mentioned. Nietzsche cannot be designated as precursor of ethnological research. As he declares in the first two aphorisms of Human, all too Human,25 he intends to build a «historical philosophy», not «separated from natural sciences», thus provided with historical sense26 because man is not «something that remains constant in the midst man history. It is a founding myth on which Nietzsche aims to build and substantiate the Übermensch, to whom he intends to entrust the future. The Übermensch is the strong man that reclaims primordial instincts of the human animal, which Christian morality had repressed and removed, as antidote to decadence and laxity that characterise it. of all flux», «man has become […] [b]ut everything has become: there are no eternal facts».27 This is the In On the Genealogy of Morality, as in all his works, origin of the genealogical method, whose object is the Nietzsche focuses his attention on the damages that, contemporary man though aware that he has become according to him, Christian morality has done to hu- what he is through a process that started «in primeval manity, weakening, deceiving and suffocating the ex- times, long before the four thousand years we more or plosive and dominating energies of a «man who is 23 Ibidem, p. 112. 24 Ibidem, p. 180. 25 F. Nietzsche, Human, All-Too-Human, Cambridge University Press, Cambridge, 1996. 26 «Lack of historical sense is the family failing of all philosophers.» Ibidem, 2nd aphorism, p. 13. 27 Idem. 122 strong and certain of life», aristocrats.30 And he describes the formation of the state as the triumph of 28 Idem. 29 Cf. fr. 8 [14]. 30 F. Nietzsche, Ecce Homo, Algora Publishing, New York, 2004, p. 94. The critique 123 morality, the incarnation of limits and boundaries that themselves from «bad conscience» and thus will be make human society possible and inaugurate the path able to overcome present nihilism. They will subvert all to civilization: «the morality of custom and the social values and will start acting again according to «natural straitjacket, man was made truly predictable.»31 This is inclinations», following only their «will to power». the prehistory of the civilized man, made «to a certain degree necessary, uniform, a peer amongst peers, orderly and consequently predictable.»32 At the summit of this process we find the «sovereign individual […] like only to itself, […] an autonomous, supra-ethical individual, […] whose prerogative it is to promise.»33 Through the establishment of state, the weak, those of ressentiment, win over the strong and that is the beginning of the history that has brought us to a condition of softness that we find ourselves in today, in «this mouldy, self-doubting present day».34 Such condition will be overcome only when the «strong of the future»35 will manifest themselves. The men that will have freed to Christian morality summarises the deepest meaning of Nietzsche’s thought. «Blindness in the presence of Christianity is the crime par excellence. […] The unmasking of Christian morality is an event unequaled, an actual catastrophe.» (Ibidem, pp. 95-97). This is that in which he recognizes and proclaims his mission: «He who throws light upon it is a force majeure, a destiny — he breaks in two the history of mankind. One lives before him, one lives after him...» (Ibidem, p. 97). 31 Nietzsche, On the Genealogy of Morality, 2007, p. 36. 32 Idem. 33 Ibidem, p. 37. 34 Ibidem, p. 66. 35 This is a reference to the fragment Die Starken der Zukunft, available at http:// www.nietzschesource.org/#eKGWB. For a more detailed analysis see the relevant work by Obsolete Capitalism in two parts: The Strong of the Future and Mon- 124 The deadly fight that Nietzsche engaged in with Christian morality brought him to a deep identification with the affairs of Christianity and allowed him to understand its most intimate and profound meaning, in a way that probably no critic, no matter how radical, had previously done. Nietzsche was not interested in an ethnological and anthropological reconstruction of primitive societies. He only wanted to show that Christianity, with its morality of ressentiment, had intervened to modify the operating regime of societies, based on the dominance of the “strong” and of the aristocratic morality that they embodied. According to Nietzsche, Christianity was guilty of having imposed the «slave morality», inhibiting the exercise of the strong’s instincts in order to hide and compress them in the subconscious. Nietzsche’s interpretation of the effect that Christiey, Revolution and Acceleration in Deleuze and Guattari’s Anti Oedipus (Rizosfera, 2016). 125 anity has had on the evolution of Western civilization in any form, and the creditor-debtor relationship, exhibits some intuitions which seem to be confirmed which is one of its integral and inseparable elements, by some recent historical reconstructions. Nietzsche are the cornerstones of the social order, or even the seems to grasp one of the most surprising effects of the foundations on which it is built. He seems to imply that cultural revolution operated by Western Christianity, without exchange of goods there would be no society. that is, individualism as well as the emerging of individ- It is the discovery of exchange that starts cohabitation ual responsibility. Nietzsche’s arguments sketch a land- based on the benefits that the former grants to the scape that is not far, from example, from Siedentop’s members of the community. Hence, the history of civ- perspective (Anderson, Brown, Siedentrop). Individu- ilization is mostly the history of forms assumed by the alism, charity, memory, responsibility, sin/guilt/debt, exchange of goods, up until the generalized dimen- forgiveness of sins/debts. sion of the market together with the duties and hierarchies that it establishes. Attempting to exorcise market The other aspect that raises some doubts on the validity of the reference to Nietzsche is the denial of the concept of exchange as founding relationship of society. On this point Deleuze and Guattari’s discourse is not entirely clear. In fact, it seems to be based on the famous analysis by Marcel Mauss,36 but he does not actually say what they want him to. It is true that Mauss focuses on symbolic content which in primitive societies was an integral part of gift, but the main point of his analysis is the perspective of gift as forerunner of market exchange. Mauss, like Nietzsche and later Lévi society by searching for elements of a possible alternative is useless and misleading. It might be argued that «the primitive machine is not ignorant of exchange, commerce, and industry; it exorcises them, localizes them, cordons them off, encases them,» but it is not at all inevitable that it happens because «the flows of exchange and the flows of production do not manage to break the codes in favor of their abstract or fictional quantities.» 37 It is much more likely that «the flows of exchange and the flows of production» are hindered and obstructed not because the present condition is Strauss, appears to argue that the exchange of goods, 36 Deleuze and Guattari, Anti-Œdipus, 1983, pp. 185-190. 126 37 Ibidem, p. 153. 127 optimal or intentionally pursued but simply because and anthropological perspective, has been followed by the community governed by codes is not able to fully Karl Polanyi. In his main work, The Great Transformation, welcome them yet, it has not understood and explored he assumes that the market is not a natural device but a all their potential. social product, and identifies three ways of exchanging goods, which he aptly terms “forms of integration” to To be more explicit: it does not exist a gift economy separated and opposed to market economy. Especially not in primitive societies simply because the two economies do not coexist and do not oppose one another, but follow one another through time. Instead, two symmetrical misconceptions mark the field of social scienc- underline the social purpose of exchange.38 The first is reciprocity, the second gift and the third market. Polanyi too is moved by intention of criticizing the pillar of market economy since the time of Adam Smith, that is, the fact that this originates from the natural inclination man to barter and trade. es. On the one hand, that which absolutizes the market exchange, builds a new genealogy of market economy, To try to avoid these two misconceptions is like nav- starting from bartering, and has no relevant historical igating through the two mythological monsters Scylla or ethnological confirmation but only the features of a and Charybdis. It is a dangerous and audacious ven- mere apologetical narrative. On the other hand, that ture like separating facts from political preferences. I which fantasizes of a gift economy governed by gratuity believe that the best path is to line up most of the facts. and thus decorated with a superior moral and social Then we can try to understand the connection between statute. A different narrative with a defamatory pur- them, what makes one flow into the other through his- pose against present society whose reproduction is en- tory and human evolution, making one the premise of trusted to a system of interdependent markets. The gift the other and affecting the trajectory of this perpetual economy is a modern invention. Its function is to make transformation. It might be interesting to retrace not people fantasize of an alternative to capitalism. an antagonism produced by our imagination, but rather a process made of intersections, conflicts, encoun- A similar path, though more solid from a historical 128 38 K. Polanyi, The Great Transformation, Beacon Press, Boston, 1944. 129 ters, through which the world we see today, especially Guattari lay at the basis of their theory, a special role the social one, has assumed its current form. is assigned to an enigmatic passage located at the end of paragraph 9 in Chapter Three, highlighted and in- The incredible hallucination attached to the Anti-Œdipus contains, like all hallucinations, dazzling moments of clarity, but remains altogether a fabrication. One that, especially after forty years from its conception in an excited intellectual climate, does not appear to match the capitalist reality of the present, and, above all, does not appear to be able to suggest an alternative perspective, as it has been argued for a long time. The book is clearly the product of the “festive” ambiance affected by the social mobilization of 1968. At the time, it seemed that everything had become possible and that everyone could freely fantasize about alterna- flated by the circle of so-called “accelerationists”. It presents a question that for now still has no answer: «So what is the solution? Which is the revolutionary path?»39 The two authors, making an unclear reference to Nietzsche, suggest that the path to escape the brainwashing of capitalist markets might not consist in a denial , in a retreat, from the dynamic of the global market. They argue that it could consist in their accelerated expansion. So, not a revolution against the capitalist order, but the acceleration of its constitutive processes, that is decoding and deterritorialization as stated in the Anti-Œdipus. tive worlds and ways of life, different from the solid social environment inherited from the past. A new start Without entering the conspicuous accelerationist seemed possible. But after a long time, it became clear debate on the interpretation of the Anti-Œdipus frag- that such “feast” was actually a funeral that commemo- ment, I would like to stress how strenuous, if not incor- rated the end of a hope, a vision, which had attracted rect, is the attempt to link it to the Nietzschean frag- and distracted men and women for more than a cen- ment, as the authors pretend to do. For a fundamental tury. We were left living in nihilism, and the advent of reason. Deleuze and Guattari’s argumentation, like “the strong of the future” was postponed indefinitely. the accelerationists, refers to objective and structural transformations induced by what we call today globali- In their reference to Nietzsche that Deleuze and 130 39 Deleuze and Guattari, Anti-Œdipus, 1983, p. 239. 131 zation. Nietzsche, instead, pictures something entirely his levelling down to the economic dimension of life, different. He criticizes capitalism only indirectly and should reach its maximum. «Once we have that immi- very vaguely. He stands before the results of the déca- nent, inevitable total economic administration of the dence, the lonely landscape of a rogue humanity that earth, mankind will be able to find its best meaning faces the death of God and is fallen victim of Catholic a piece of machinery in the administration’s service: morality, which has worn it out and torn it apart. The as a tremendous clockwork of ever smaller, ever more passage that he imagines and wishes for, aimed at fa- finely ‘adapted’ cogs;»41 only then when the sense of cilitating the advent of the strong moved by the will to «this tremendous process» has been lost, a power, consists in intensifying the tension so that men initiate, that is, «a reverse movement» capable of the are pushed to abandon «slave morality», «the herd in- «generation of the synthesizing, the summating, the stincts», and to call for the advent of the Übermensch. justifying man whose existence depends on that mech- The «levelling of the European man», which is the ful- anization of mankind, as a substructure upon which he filment of nihilism, should not be hindered but rath- can invent for himself his higher way of being.»42 Then, er accelerate, in order to open that abyss of distance, humanity will restart questioning the purpose of the and hierarchy that justifies the intervention of the things that happen. μ will strong of the future, of the Übermensch.40 It consists in a shift, a discontinuity produced in the sphere of subjectivity that involves the behaviour of men, their self-perception, and triggers the establishment of a hierarchy among them. The «miniaturization of man», Secondly, even assuming that an accelerationist perspective can be developed starting from Nietzsche, I have argued elsewhere that this does not lead anywhere, and, actually, can be resolved, paradoxically, in a rush forward that bypasses present real problems. 40 Cf. F. Nietzsche, Nietzsche: Writings from the Late Notebooks, by R. Bittner (ed.), Cambridge University Press, Cambridge, 2003, fr. 10[17], p. 177. Cf. also fr. 9 [17]: “Il rimpicciolimento dell’uomo deve valere a lungo come unico fine: infatti si devono prima creare vaste fondamenta, affinché vi possa poi sorgere sopra una specie umana più forte...” [The miniaturization of man must persist for a long time as the only goal. In fact, it is paramount to create ample foundations, so that a stronger human species can arise on them] 132 41 Nietzsche, Nietzsche: Writings from the Late Notebooks, 2003, p. 177. 42 Idem. 133 3. More recently, Michel Aglietta and André Orléan hand it bears the necessity and the obligation, on the have the merit of having proposed again with accuracy other the openness to exchange and the trust. The co- and solid arguments the topic of debt, linking it to the ercing side of money, according to what anthropology nature and purpose of money. In 1998 they published, seems to state, would be based on the fact that money after four years of collective elaboration, an edited vol- is derived from debt in its relationship with sovereignty, ume, La monnaie souveraine, where they gathered con- and, thus, from a hierarchy based on value. In a gener- tributions coming from several different academic dis- al sense, debt, according to some authors, constitutes ciplines. the social tie that defines what subjects are integral part of society. It is what they term “originary and pri- The starting point was the idea that money does not belong exclusively or primarily to the economy, but instead it mobilizes beliefs and values that assert the membership to a community.43 Such approach is suggested, first, by anthropological analysis, which has observed the phenomenon in different social contexts, through space and time. But, according to the authors, mordial debt”, which in its essence is a “debt for life”. This should be the key to understand the phenomenon of money and its functioning outside an economic perspective: primordial debt remains the adequate concept that allows to conceive society in its entirety and in its movement, and continues to enlighten our understanding of money. it is also the key to better understand the monetary 134 phenomenon of contemporary economies: modern The whole argument of the theorists of “primordial currency remains an expression of society as a whole; debt” appears burdened by a structural defect, beyond it preserves its rank of social identity operator, but it the numerous suggestions and analytical inputs. The is not an economic entity, not even in our societies, idea of a primordial debt, of a debt for life, cannot be because it represents that through which the econom- deemed and treated like a matrix of the evolutionary ic is thinkable, which is possible only from somewhere process, which, through a series of unexplained meta- non-economic. Money is a double social tie: on the one morphosis, leads to debt like we know it today, in a soci- 43 … Agliette & Orlean 1998 2012, 7 ety shaped by capitalism. If we want to keep an anthro135 pological perspective, “primordial debt” could perhaps teract with public authorities only to pursue their own be conceived like a Jungian archetype, as a form of re- private objectives. As long as the system runs, allowing lationship that survives in the collective intellect and a progressive extension of debt and thus of financial so favors and ushers one solution or the other, in the profits, the role of public authority, of the central bank, concrete historical reality lived by individuals. Certain- is purely passive. It only has register and support finan- ly, it is not a factor that produces a single historical en- cial operations, which expand the size of private debt. tity. Now, as fertile and enlightening as it may be, this Only when a crisis happens, that is, when for some rea- approach bears a fundamental inconvenient from our son debt starts to be unsustainable and some financial point of view, since it does not allow to include the fac- institutions might not be able to renew it, then public tor of discontinuity generated by the advent of the cap- authority assumes its role of system guarantor. In sit- italist spirit. This perspective omits all the relevance of uations of financial crisis it becomes evident that the the crucial historical period in which the spread of cap- debt system stands only on trust and that this trust is a italism across European societies imposes currency, the complex social product, which requires the interplay means of payment, as social device to access the realm of several factors, rules and institutions that normally of goods. Monetary exchange, or rather the payment are taken for granted. with currency, slowly absorbs all forms of exchange in which social life is articulated and through which it is alimented. This passage settles the social life in a system of payments, which constitutes money in the form and meaning that still has today. One of the main virtues of Aglietta and Orléan’s work is that they have included the political dimension in the analysis of monetary phenomena, taking into account the crucial topic of social cohesion. Hence, money is conceived and analyzed as a social institution 136 More specifically, the part of the argument that and thus as a complex social object that cannot be re- deals with public authority and money does not take duced to a convenient choice made by those who trade into account a fundamental fact: nowadays money is on the market. The abundant use of anthropological essentially the product of private agencies, which in- inquiry aims at giving more substance to a conception 137 of money that is free from economic hindrance, and the dogma of neutrality of money: money as expres- at making more space for an archaic and holistic di- sion of sovereign authority. We can almost picture on mension. This is still relevant for modern currencies, the background a ghost coming back from the twenti- whose hermeneutic function is precisely to show the eth century, that is, the permanent contrast between role that money plays in the multitude of processes individualism and collectivism. The authors dedicate and relationships through which the community is es- a great effort in retracing the holistic nature of prim- tablished as sovereign authority. Then, the mystery of itive societies, but they seem to ignore the two thou- modern money could be violated by recurring to its sand years during which individualism has developed archaic origins: money is a set of rules that determines as founding element of our societies since the birth the membership of each individual to a trading society. and diffusion of Christianity.44 It follows that money cannot be reduced to the individualistic framework of market economy: money is a common good that is almost sacred, as confirmed by the social trust that generates it. The most puzzling idea is that money as we know it today can be better understood by focusing on its archaic configurations. Ultimately, Orléan does nothing but passively quoting Simmel’s main argument accord- The polemic objective of this analytic tour de force ing to which «money is only a claim upon society.»45 is clear: to question the capitalist economic and social It follows, in Simmel’s perspective, that «[t]he liquida- order by attacking one of its pillars, namely, individu- tion of every private obligation by money means that alism together with its inevitable corollary, the institu- the community now assumes this obligation towards tion of contract. But, by doing so, I believe there is a the creditor.»46 It should be noted that the term “An- risk to lose sight of the capitalist peculiarity of modern monetary systems and to obscure their processes and transformations that established it. The authors of the volume seem to run into the opposite and symmetrical misconception of monetarists, who are obsessed with 138 44 This is an obvious reference to the enlightening and fascinating reconstruction by Larry Siedentop, Inventing the Individual. The Origins of Western Liberalism., The Belknap Press, Cambridge, MA, 2014. Together with all the relevant historical literature that studies the origin of individualism in Medieval society. These should suffice to persuade of the impossibility of identifying capitalism with individualism. 45 G. Simmel, The Philosophy of Money, Routledge, London, 2004, p. 176. 46 Idem. 139 weisung”, adopted by Simmel to define money, origi- omy like the present one. The results of ethnological nates in German obligation law. It indicates a writing and anthropological research are certainly fascinating through which the drawer mandates a second con- and relevant, but there is no need to use them to shed senting subject, the drawee, to deliver on his behalf to light on the monetary phenomenon in its current con- a third subject a sum of money, banknotes, or other figuration. Actually, sometimes they can be misleading, goods that can be used as means of payment. Thus, the as we have shown. Money’s social institution rank, as drawee can pay the debt he has contracted with the everyone can see provided that he is not blinded by drawer or constitute a credit with him. This instrument neoclassical economic narrative, can be effectively and is similar to cheques or bills, it was invented for com- fully explained by starting from the concept of money mercial purposes and its origin dates back to Roman as “token”. From this perspective, in fact, it is easier to law. Today has fallen in disuse. retrace the long and varied process that has progressively subordinated it to the capitalist rationale, depriv- I think it is more interesting and meaningful to recall Schumpeter’s contribution, stated in his essay on monetary theory written between 1917 and 1918. He defines money as “Anweisung”, allocation, and pictures it as a title that grants access for the possessor to the great source of goods and services that is the annual social product of the economy. According to Schum- ing it from every other characteristic and transforming it into the core of market relations, which nowadays social life is filled with. The key to this process is the monetarization of the economy. This is how a new sociability, modelled by market relations, affirms itself and imposes a new governmentality centered on the interiorization of the monetary tie. peter, money is a token, a Rechenpfennig, which allows to participate in the market game as buyer.47 This is the Contrarily to what Orléan argues following Sim- essence of money in a fully developed monetary econ- mel’s thought, money is not an allocation to society but rather an allocation to social product. The mediating 47 Historically, Rechenpfennig were tokens used by merchants in the Middle Ages to count and keep track of their transactions, a substitute of the abacus that functioned with the same logic. They were widely used especially in Central and Northern Europe from the Middle Ages to the XVIII century. 140 instance that intervenes as collateral for the trust in the monetary sign is not the “social body”, society, but 141 the public authority, the sovereign, the state. This is “la due to a situation of need and thus from a coercion, logique du sceau”, the logic of the seal, which Orléan regardless of it being manifest or latent, and that this talks about.48 relationship makes the indebted subject inferior, dictates his behaviour and forces him to align himself with the requests of the creditor. The extension of the debt 4. In 2011, on the wake of the work of an Italian so- relationship and, thus, of the condition of the indebt- ciologist in Paris, the focus of the Left shifted towards ed man, to the great majority of society members inev- the notion of «indebted man». This allows to analyze itably transforms it in a governing tool. It becomes the more deeply the current condition of capitalism. Ac- medium through which men interiorize the relation cording to Lazzarato, capitalism in the neoliberal era of subordination and the disciplining of their behav- created the «indebted man» as the cornerstone of the iour by a foreign power. Lazzarato’s work contains a new regime of dominance and government. Capital- tremendous amount of authoritative though obsolete ism then mutated itself into a debt economy. statements. But we are not persuaded that such analysis of capitalist reality is more advanced of those of the The Making of the Indebted Man is an evocative and main Marxist arsenal. The puppets are the same of the provocative work, written using a rough and straight- past, but the play and the background have changed. 49 forward style. Certainly it can be appreciated that it The «class struggle» (which classes? How are they de- attempts to advance an analysis of debt from a Fou- fined today?), the «social capital» (where can it be caultian perspective, which conceives it as a tool of the found?), the «collective capitalist» (what does it look governmentality of neoliberalism. However, it is evi- like?) et hoc genus omne, as Marx would have said. Today, dent that its premise is ultimately quite trivial. In fact, it if we aim to advance a Marxian point of view on capital- is obvious that a debt relationship can be created only ism, even involving Foucault, Deleuze and Guattari, we 48 La monnaie autoréférentielle : réflexions sur les évolutions monétaires contemporaines André Orléan 49 M. Lazzarato, The Making of the Indebted Man, by J.D. Jordan (trans.), Semiotext(e), Amsterdam, 2011. 142 cannot avoid to analyze critically these concepts, which because of their vagueness, have caused much harm 143 already. To be more precise, it is not possible to sug- debt is the basis of all the enterprises that go under the gest a new critical analysis of capitalism without a new name of capitalism. theory of society. Another weak point of Lazzarato’s argumentation 144 Many, far too many, things are taken for granted in is, in my opinion, the indiscriminate use of the term the diagnosis that opens the Italian edition of the book: “debt” to designate, indifferently, public debt, foreign capitalism has entered a historical impasse; since 2007, debt and debt, which are very different phenomena it survives only thanks to the transfusions of huge pub- and have different effects of the operativity of the econ- lic funds; however, it is still running for nothing. This omy and society. Their political significance is different might be true, but some considerations on the nature too. To equate these three forms of debt may serve per- and role of crises and technological innovations in the haps to create the “debt economy” narrative, but it has evolution of capitalism would be appropriate. Another no analytical grounding and, instead, it appears mis- statement that we find in the opening of the book and leading for whom intends to understand in depth the that leaves us quite puzzled is: «Everyone is a “debtor,” functioning of the current economy. Nowadays, public accountable to and guilty before capital. Capital has debt is not a debt in the common meaning of the word become the Great Creditor, the Universal Creditor.»50 nor it resembles the debt of families and enterprises. It is unclear from which analysis this statement derives. In fact, it is not something that must be repaid. It is All that can be said on “capital” based on any kind of only dealt with on financial markets and in the system analysis – assuming that we agree on the definition of of geopolitical relations. Its main purpose is to provide “capital” – is that it represents, if anything, the Uni- the economic system with the means of payment neces- versal Debtor. In fact, capital, in a more technical but sary for its functioning. To affirm that today every child still basic sense, truly is debt, and what we should really is born burdened by some thousand euros of debt has try to explain is its nature and the modus operandi. As- no sense, because nobody will ever ask to that child to suming that it makes sense to talk about debt economy, repay anything. The only fact, worth examining follow- 50 Ibidem, p. 7. ing Foucault’s path, is that the management of public 145 debt together with a series of other economic practices by Deleuze, who in 1990 was already mentioning the contribute to draw a system of power relations inside “indebted man” as the protagonist of the “society of which the life of individuals unfolds in a certain situa- control” that was substituting the “society of discipline” tion and in a certain historical period. It is one of the analyzed by Foucault.53 devices that make present governmentality possible. But it is not the only one, and it works only in synergy with other economic practices. Nonetheless, Lazzarato does not appreciate Foucault and avoid to follow his though on the path of rigorous reconstruction of current governmentality. The pages of The Making of the Indebted Man where Foucault is mentioned are the proof of a superficial reading, focused almost only on The Birth of Biopolitics. First, he depicts as a caricature the complex and various ordoliberal discourse, which, according to Lazzarato, could be resolved around the «“de-proletarianization” of the population».51 Then, it is the time of Foucault, who is accused of remaining attached to an «industrial view of post-war neoliberalism.»52 The author argues that due to this affiliation he did not notice the shift of governmentality towards the «debt economy» which, instead, was not missed Private debt, that of enterprises and families, is different. The former exploit it systematically to afford needed investments for which they do not have the means of payment. The latter resort to debt to anticipate necessary or unnecessary expenses, which otherwise they would be able to afford only after saving and accumulating sufficient means of payment. Thus, the means of payment obtained through the concession of a credit and an operation of indebtment allow to “buy” the future, to artificially expand one’s purchasing power. This is the truly positive aspect of debt, which the capitalist spirit has acted on. A dimension of freedom that expands human capability, increases operational possibilities with the prospect of a future reward or simply of the imminent enjoyment of goods or services. However, as for most social phenomena, there is a negative side too. It might happen that somebody is forced 51 I am not sure from where he has borrowed this oversimplified version of the ordoliberal perspective and to whom he refers to. As we know, it is very different to reference the work of Franz Böhm and Walter Eucken, especially their writings of the thirties, or the work of Wilhelm Röpke or Walter Rüstow, or even Hans Müller-Armack. 52 Lazzarato, The Making of the Indebted Man, 2011, p. 91. 146 to indebt himself simply because the his available re53 G. Deleuze, “Postscript on the Societies of Control”, The MIT Press, Winter 1992, Vol. 49, pp. 3-7. 147 sources and his purchasing power are not sufficient to not be considered alone but within an environment of sustain an adequate standard of life or the necessary complex relations influenced by the absolute amount productive capacity. This kind of debt is the finger on of power that the individuals involved are able to exert. which Lazzarato focuses instead of looking at the moon Based on that, it will be possible, time after time, to the finger is pointing at. The moon is the fact that the determine whether more power of influence is in the “strong men” who developed capitalism through the hands of debtors or creditors. The ability of going into monetarization of the economy have imposed to live debt without repercussions is the highest expression of inside a system of payments that transforms the whole power. social life in a tremendous and potentially complete system of social accounting. Apart from the generic weakness of the argumentation, which seems more focused on formulating cap- Finally, there is foreign debt, that is the sum of pub- tivating phrases than on analytical strength, Lazzara- lic and private debts contracted with foreign creditors. to’s work still offers some interesting ideas that merit It represents an indirect measure of independence of a very different treatment. Nonetheless, this is not the a country based on the position it holds in the world place to evaluate Lazzarato’s political conclusions of of international relations. This is true for all countries his work. but one, that which controls the currency which the international monetary system is based on, namely the US. Thanks to this prerogative, or privilege, the US are able to be, in absolute terms, the major global debtor, mainly to China and Japan, without being subjected to particular obligations. In this case, foreign debt is the measure of the degree of hegemonic power that the country in question is able to exert. This reminds us that debt is an uncertain phenomenon, which can148 To sum up, the impression from reading Lazzarato’s works is that the discourse lacks conceptual precision and analytical argumentation. The notion of debt itself, which the whole argument is based on, seems unprecise, contradictory and insufficiently elaborated. The book advances relevant topics and ideas, but the discussion is not up to the standard requested by the aims of the book. It does not allow to grasp the com- 149 plexity and the ambiguity of the debt phenomenon as correctly from my point of view, as the core mechanism it presents itself in advanced capitalist societies. through which capitalism functions. However, based on this consideration and on a moral condemnation of debt, Graeber issues for the whole capitalist system 5. Another work that was celebrated as a great suc- a sentence without appeal, which appears rushed and cess is that of David Graeber, anthropologist and Amer- superficial from a political point of view, and useless ican political activist. He was part of the “Occupy Wall form a political perspective. The book proceeds by list- Street” Movement and he tried to retrace the evolution ing all the wrongdoings, violence and injustice which of debt from prehistory to the present.54 It is a diffi- debt would be responsible for. Here he echoes the cult and ambitious job and it has a quite vague struc- highlights of a millenary history, through which indi- ture. In fact, it interprets in a very superficial way an vidual debt has always played the role of the evil genie, extremely diverse array of sources from over 5000 years the enemy of the social order. The liberation from the of history, as specified in the title, and it often incurs burden of debt, the institution of a debt-free currency in anachronisms. The enthusiasm for anecdotal recon- and the creation of a debt-free economy become the struction, though brilliant, prevails on the clarity of the main political objective suggested to the whole global discourse. Despite the great amount of sources refer- Left in order to renew its ideological gear. On the back- enced, it cannot be fully regarded as a historical work, ground we can barely see the periodical forgiveness of it resembles more a political pamphlet. This is evident trespasses mentioned in the Bible (Deuteronomy 15:1- in the conclusion. The phenomenon of debt is treated 6) and practiced apparently in the Assyrian and Baby- mainly from a moral perspective. Debt is considered, lonian world too when a new king was to take power. 54 The author’s enthusiastic levity is shown by casual though peremptory statements like this: «There is very good reason to believe that, in a generation or so, capitalism itself will no longer exist – most obviously, as ecologists keep reminding us, because it’s impossible to maintain an engine of perpetual growth forever on a finite planet» (D. Graeber, Debt. The First 5,000 Years, Melville House, New York, 2011, pp. 381-382) or this one, even more daring: «What is a debt, anyway? A debt is just the perversion of a promise. It is a promise corrupted by both math and violence.» (Ibidem, p. 391). 150 But now let us take a closer look at how Graeber structures his discourse. The book is a surprising clutter of interesting analyses, though not always new and original, as well as peremptory and rushed judgments, 151 not supported by convincing arguments, especial- the Polanyian concept of «economies embedded in so- ly when it comes to the period from the 1970s to the ciety». However, Graeber does not quote Polanyi, he present. It is based on a conspicuous literature, per- cites him only briefly in a note but for another matter. taining to a wide array of social sciences, which often This seems quite strange since Graeber uses the con- seems as if it was read in a hurry and uncritically. Gra- trast between «commercial economies» and «human ber thought originates from a question that persists economies» from a critical perspective very close to Po- through the whole book: «How is it that moral obliga- lanyi’s one. In fact, Polanyi too describes a dichotomy tions between people come to be thought of as debts, between «embedded economies» and «disembedded» and as a result, end up justifying behavior that would ones, as the market economy, although it is built on otherwise seem utterly immoral?»55 An initial answer is a comprehensive analysis of the ethnological material given based on the distinction between «human econ- available. This dichotomy as well is deeply influenced omies» and «commercial economies», and it ends up by its uncompromising purpose of criticizing the cap- denying the legitimacy of debt. The crucial passage is italist economy, which, according to it, has subjugated «when human economies begin to give away to or are society to the mechanisms of external rules. If we elim- taken over by commercial ones.»56 The cornerstone of inate its purpose, the analytical sustainability of this di- the whole system is the alignment of debt and money. chotomy is not solid anymore, neither in Polanyi nor in Graeber. As the other dichotomy, which contrasts The first seven chapters, where Graeber presents his analytical tools, offer an extensive overview of the historical evolution of money and debt. We assume that it was aimed to support Graeber’s main argument of the contrast between «commercial economies» and «human economies», based on a distinction similar to 55 Ibidem, p. 158. 56 Ibidem, p. 130. 152 state and market and is very appreciated by Leftist critics of capitalism. All these, though fascinating, seem too obvious and, at the same time, too precise to be adequate for an economic reality like the present one, whose peculiar trait is complexity of relations and multiplicity of articulations. Thus, it seems appropriate to abandon such dichotomies and focus our attention 153 on the intersections that connect these two apparent- diverse conditions until it has become the fundamen- ly opposite realms. Reality is not made of human and tal infrastructure of the capitalist economy in the Euro- commercial economies, embedded and disembedded pean context. It was not created by some form of exter- economies, and there is no clear alternative between nal power and forced onto society. Markets arose from state and market. Reality is made of combinations of within society and over time they found institutional institutionalized solutions, variable through time and stability thanks to the initiative of groups of individuals different depending on the context, which regulate who experimented new and more efficient solutions the plurality of economic relationships. Dichotomic to make more goods available to members of the com- simplifications do not facilitate the understanding of munity. The fact that, for a long time, physical markets reality and happen to be misleading. were located at the margin of the community territory does not mean that their presence did not engage the I suggest we consider the economy as an institution- community or interact with its routine, transforming it. alized process of integration between men and their natural and social environment. The object and goal of The most surprising thing in Graeber’s work is the such integration is the production and the distribution lack of theoretical framework and, even more, of meth- of goods and services necessary for society’s reproduc- odology. The discourse is random and the line of rea- tion. We must emphasize that this interaction repre- soning is often filled with superficial obvious claims, sents the field where power relations arise, rooted in such as: «money has no essence»57; «[capitalism] is the inevitable diversity of human beings. I believe that ultimately a system of power and exclusion»58; «There Polanyi and arguably Graeber too could agree on this is very good reason to believe that, in a generation or definition. But if we focus our analysis on the “process so, capitalism itself will no longer exist-most […] be- of interaction,” disagreements are inevitable. In fact, cause it’s impossible to maintain an engine of perpet- this process seems to be responsible even for the estab- ual growth forever on a finite planet.»59 At this point, lishment of the market as it has been spreading and 57 Ibidem, p. 372. 58 Ibidem, p. 381. 59 Ibidem, p. 381-2. developing over a very long period of time and in very 154 155 anti-capitalist ideology seems to take over the analysis. fills the last pages of the volume. The passage from the Nixon administration to the ReaThe core of Graeber’s research is the idea that debt gan, rightly deemed pivotal in the evolution of US capitalism, is described in a hasty and superficial way, as if it was a purely ideological battle won inexplicably by rough and backward forces. is strictly connected to violence and is responsible for the demoting of moral obligations, which become debts.61 This passage happens through money and the market, which allow to quantify the obligation trans- After all, Graeber thinks that capitalism is inherent- forming it into a debt. «Violence and the quantifica- ly incapable of including the whole population in the tion are intimately linked.»62 The original sin that lies process of creation and distribution of wealth and that behind these aberrations is that of accepting «to re- crises are ultimately deficits of inclusivity. In this per- duce all human relations to exchange,» while, accord- spective, the period of the so-called “Keynesian com- ing to the author, we need to rediscover «by drawing promise” considered as one of several failed attempts on the fruits of anthropology […] the moral basis of at inclusion, is also devalued. After reading the whole economic life.»63 It remains indisputable that «the very volume, we are under the impression that the author principle of exchange emerged largely as an effect of himself has not fully internalized the amount of facts violence» and «that the real origins of money are to and meanings that he presented through the whole be found in crime and recompense, war and slavery, book in his attempt to retrace the history of debt. In honor, debt, and redemption.»64 Hence, there is no the end he asks himself: « What is a debt, anyway? A doubt that, from this perspective, the interpretation debt is just the perversion of a promise. It is a promise of the history of debt is functional to the formulation corrupted by both math and violence.»60 There is no of a sentence without appeal for market economy and trace of what has been argued in all the previous chap- capitalism. Naturally, this noble objective justifies also ters about the role of debt in establishing social ties. And let’s forget about the aggressive philosophy that 60 Ibidem, p. 391. 156 61 62 63 64 Ibidem, p. 13. Ibidem, p. 14. Ibidem, p. 18. Ibidem, p. 19. 157 some interpretative stretches. Debt becomes a generic which economic relations can be founded, all of which and all-encompassing category, which includes with no occur in any human society, and which I will call com- particular distinction public debt, private debt and in- munism, hierarchy, and exchange.»66 ternational debt. What matters is to picture debt as an instrument of power holders to subjugate and control the majority of the population. Creditors are the rulers of history. But, despite that, he still admits that today’s great debtors, big industrial and financial companies, are those who have the strength to escape the obligation to repay their debts.65 So, where does the truth stand? Perhaps, power is the main issue while debt is only one of the places where power relations are manifest? The real history of the relationship between creditors and debtors is much more controversial and detailed than what Graeber wants us to think. This approach leaves us with several reservations. The first concern stems from the idea of conceiving communism, hierarchy and exchange as moral principles rather than organizational forms. However, Graeber provides no explanation: either take it or leave it. Above all, it is surprising to see the treatment dedicated to the notion of communism, whose dense past is deleted in a couple of words. According to Graeber, communism is not that thing which hundred millions people believed in and fought for, that is, common property of the means of production conceived as the only condition capable of ensuring a fair and egalitari- 158 From this point of view, the most revealing and ap- an society. He believes that communism is only anoth- palling chapter is the fifth, in which Graeber discuss- er word for reciprocity. Communism does not concern es the «moral grounds of economic relations». Gath- the collective property of the means of production, but ering quite randomly a series of anthropological case rather the relationships between people. Thus, sudden- studies concerning different and distant cultures and ly, communism is everywhere and we find ourselves to ages, Graeber feels free to reach the conclusion that it be all communists since we are all used to some forms is possible to identify «three main moral principles on of reciprocity. Communism even penetrates inside busi- 65 At the beginning of the book, in the epigraph, he quotes a notorious American proverb: «If you owe the bank a hundred thou sand dollars, the bank owns you. If you owe the bank a hundred million dollars, you own the bank.» (Ibidem, p. 1). nesses, which are islands of communism and hierarchy 66 Ibidem, p. 94. 159 in an ocean of exchanges.67 Even more astonishing is not much to add to this insolent and inconclusive way the principle that Graeber upholds as foundation of to rewrite history. a new idea of communism: «from each according to their abilities, to each according to their needs.»68 This is notably an old, if not ancient, formula.69 Certainly, it is nothing but a slogan, which, like all slogans, has only an educational function and does not aspire to express fundamental contents. Today more than ever. Does anyone have any idea on how we could isolate and recognize each person’s abilities in such a differentiated and complex job world like the present one without the help of market dynamics? Or on how to define and recognize the needs of each person? Would the Leviathan do it or a simple web poll? But, one again, Graeber’s answer is striking and disheartening. He claims that the slogan is not applicable, as its creator thought, to the participation of individuals to the process of social production in the ultimate phase of communism, but rather to the relationships of reciprocity. There is The identification of exchange too as a relationship based on reciprocity and formal equality is equally superficial. Although the two dimensions, especially the second, are widely diffused and unanimous, they do not survive a more detailed and non-ideological analysis. Reciprocity requires some degree of reiteration of the relationship, which allows to establish some form of mutual recognition, which in turn is a fundamental requirement of reciprocity. Exchanges, especially market exchanges, can be and mostly are totally lacking this characteristic, because they tend to end with the exchange itself, even though sometimes they might constitute a precedent for the establishment of lasting relationships, but not necessarily reciprocal. Formal equality of the exchange too is all but obvious, because in most concrete cases the seller enjoys of some measure of monopoly, unless, as it often happens in our 67 The idea that enterprises are islands characterized by forms of relationship different from those most predominant outside is not new. It was first formulated with much sharper analytical accuracy by Dennis H. Robertson in 1923 (Control of Industry, Nisbet, London). He argued that enterprises are «islands of conscious power in this ocean of unconscious cooperation like lumps of butter coagulating in a pail of buttermilk.» 68 D. Graeber, Debt, 2011, p. 94. 69 Coined by Karl Marx in Critique of the Gotha Programme (1875). John Rawls refers to it in paragraph 47 of his Theory of Justice (1971). 160 economies, the buyer enjoys significant market power. Anyway, assuming that the exchange is almost inherently unequal, it is difficult to even talk about formal equality. In fact, formal equality stands for accepted inequality. 161 Finally, Graeber’s solution to solve at the root the of debt. several and daunting problems that generally debt causes is shocking. The solution is in the Bible: «[T]he Law of Jubilee: a law that stipulated that all debts would be automatically cancelled “in the Sabbath year”», that is, after seven year.70 « It seems to me that we are long overdue for some kind of Biblical-style Jubilee: one that would affect both international debt and consumer debt.»71 If this is the solution, we cannot help but to feel disappointed after so many pages of analysis and argumentation. Furthermore, we do not understand why public debt, which currently represents the most consistent as well as relevant phenomenon, is excluded from the Jubilee. But that might be asking too much. In particular, we are not asking to Graeber who and how should proclaim this Jubilee. Much ado about nothing. The promise «to create a new theory, pretty much from scratch» is destined too to be unfulfilled. At the end of the book, we do not have a theory, but a series of considerations on the “morality of debt”. The wide array of ethnological and anthropological materials did not help to construct a theoretical interpretation In conclusion, it is a pretentious, imprecise, incoherent job fueled only by the intention to find in debt and in the illustration of the infinite damages that it causes, the lethal weapon that should definitely persuade us of the impellent need to destroy capitalism. Mission failed. There is not much to learn on the nature of debt, both public and private, nor on the purposes that it fulfils and the problem that it generates in capitalist economies because, actually, the book mainly deals with the moral implications of debt. The extraordinary success that the volume had is proof only of the cultural desert, the total lack of analytical instruments and cultural perspectives that affects the political Left in the Anglo-Saxon world. Graeber argues that the history of debt corresponds mainly to the history of money, because debt and money appeared together in the history of civilization.72 Two demanding statements, difficult to demonstrate, in particular the one according to which debt and money would have the same origin. Personally, I think there are valid reasons to believe that debt is the more 70 D. Graeber, Debt, 2011, p. 82. 71 Ibidem, p. 390. 162 72 Ibidem, p. 21. 163 ancient and primordial form of the relationship estab- Graeber dedicates the second chapter with the aim of lished between men when goods are exchanged. I think putting at the pillory what is effectively one of the weak- there is enough ethnological evidence to presume, nesses of many manual of economics. There is already first, that the exchange of goods between strangers was a plethora of unorthodox economic volumes that show the first experiment of humanity as part of its first at- and demonstrate the historical and theoretical incon- tempts of socialization, and, second, that in this activity sistency of this thesis.74 all the dimension of the relationship with another person came into play, included the exploring of his inclination to accept a lasting pacific relationship. The phe- 6. Perhaps, it is a sign of the times that such a rele- nomenology of gift, in all the variants highlighted by vant topic like debt has had global resonance thanks all ethnological reconstructions, could be the field of to quite superficial works. Especially because these are experimentation of these very early forms of relation- written by authors that seems clearly guided in their ship and exchange. From this perspective, gift would research by a strong ideological prejudice, which con- represent the ancient and elementary solution, despite demns a priori the capitalist system of which debts is a the complexity that it exhibits. cornerstone. We are not making any progress in the Anyway, by resolving debt with money, it follows that the Graeber’s first task is to rewrite history and, in particular, the origin of money. Graeber needs such passage also to attack the main obstacle, according to him, to the understanding of the history of money and debt, that is, «the extraordinary place that economics currently holds in the social sciences.»73 Thus, the first polemical objective is “the myth of barter”, to which 73 Ibidem, p. 90. 164 critical analysis of capitalism. We are rather facing an operation of political marketing, which creates the impression that capitalism can be identified with debt and, since debt is seen by the most as something reprehensible, proceeds to condemn capitalism as the man enemy of humanity as well as an obstacle to the crea74 There is no need to resort to the pioneering work of Alfred Mitchell-Innes (1914) or the difficult treaty by the father of Chartalism, Georg Friedrich Knapp whose writings are, in fact, outside, or rather have been kept out, of the circle of orthodox economics. It is sufficient to mention Modern Monetary Theory, which for some time now has firmly asserted the thesis that denies “the myth of barter”. 165 tion of a human world. directed to someone else and/or a physical object that are univocally influenced by it. Only afterwards collec- What makes these authors’ analyses, and many others weak and false since the beginning (including a tive action is considered, and so it is pictured as an act of recomposition. great part of present social research) is the way they think about and take for granted the functioning of Actually, the starting point of any social analysis that the social system. The narratives they tell, which can- aspires to be scientific must be that primary state, that not be regarded as “scientific analyses”, found their originary movement, that is, the interaction between causal explanations on anthropomorphic shapes, to individuals that compose a certain community, at whom they inappropriately assign the role of agents whose core stands the ability to socially elaborate infor- that think, decide and act like individuals: capital, cap- mation.75 The interaction between individuals that col- italism, economy, market and so on. These are the ac- lectively elaborate information and, while they do so, tors that hold the stage in these narratives, and, like establish power relations, is the fil rouge of the history of Homeric gods, play with the lives of human beings fa- humanity. We could even say that it represents the birth voring one group and then another. Secondly, I believe of humanity. Thus, we always have to restart from here, their way of conceiving the effects of human actions regardless of the historical period we find ourselves in. on the social context to be completely misleading. De- There is no a priori for this routine that can affect its spite variations and different emphasis, it is generally unfolding except from the history, the path, of interac- a mechanistic view fueled by a sort of enlightened ra- tions that have occurred before the one we are consid- tionalism. This view is instilled in a homo faber, ruler of ering or living now. Interacting with one another, indi- the social and physical world where he lives and that viduals establish themselves as subjects, they manifest he is capable of transforming in accordance with his themselves as carriers of needs, interests and beliefs. At own rational project. Man is considered as an actor inside a one-way relationship with other men and with the natural environment. Action stems from him and is 166 75 César A. Hidalgo, “Why Information Grows”, Basic Books, NY, 2015. This observation has been made in Simmel, 1900, p. 159. It is perhaps the most important and earliest step of the Simmelian analysis of the origin of money as a social institution (G. Simmel, 1978, The Philosophy of Money, New York: Routledge). 167 the same time, they establish the relationship between nal power that influences and guides from the outside77 themselves, they absorb, validate or dispute the power relations that discipline their coexistence.76 Power is one of the fundamental codes on which individuals base their interactions, and politics is a spe- Power is an essential and inevitable component of cific expression of it. In the infinite interactions that social interaction and inequality is the inevitable ma- link them, individuals form groups, explicit or implic- trix. Wandering back to the origins of history, as far as it, which in turn act as individual actors, interacting we can go, we see that the debt relationship constitutes with actual individuals. Political parties and the gov- the most ancient form of relation between unequal in- ernment are some of the collective actors that interact dividuals, who are strangers to one another. The trans- with individuals enjoying a usually considerate differ- fer of goods, even before the exchange, is a fundamen- ential of power, which is often decisive. However, they tal part of it. This was Mauss’ point in his writing on are often unable, even with such power, to influence gift. individual behaviours enough to fully implement their programmes and policies. The state is an agent like the The diversity between individuals emerges from their interaction and the issue of power arises from such diversity. Every relationship between individuals can be ordered according to a certain hierarchy, where someone exerts power while someone else is subject to it thereby, as Foucault claimed, recognizing and validating it, even more when he resists to it. Politics is others, especially in economics. Parties too are nothing but collective subjects that interact with the rest, often from positions of advantage, but they too do not have the ability or the possibility to exert an absolute ordering power. They too are exposed to the heterogenesis of objectives and to the ungovernable uncertainty of unexpected outcomes. immanent with respect to this endless interaction be- 168 tween individuals, it is not placed above like an exter- Debt is strictly linked to power. They are both phe- 76 This, in my opinion, is the most profound, interesting and innovative sense of Foucault’s reflection on power. 77 As opposed to what is argued by the “constructivist fallacy” sharply criticized by von Hayek. 169 nomena that manifest themselves in the interaction be- to overlook, if not deliberately hide, the two millennia tween individuals. No form of interaction is free from of Judaic and Christian history, which shaped Western them, even though often these aspects remain latent or, civilization and generated and expanded capitalism. more precisely, below our attention threshold. During These authors ignore the fact that the individualism time, the archetype of debt has gone through a long that they identify automatically with capitalism is the series of metamorphoses, each one with its own history, product of the Judaic and Christian experience too, as up to the economic forms that holds today. This does Siedentop argues.78 It seems almost as if their contin- not allow to confuse these metamorphoses and articu- uous resorting to the anthropology of primitive socie- lations of the debt relationship with one another. ties was an expedient to expel the nexus that involves Judaism, Christianity, individualism and capitalism together with the deep and daunting issues that it pre- 7. Despite their diversity, all contributions that, re- sents and that remain unresolved. It seems impossible calling more or less explicitly and directly the Nitzs- to come to terms with present capitalism, which is not chean suggestion of The Genealogy of Morality, hold the malleable to all the attempts of social reform made so notion of debt at the core of their radical critique of far and still influences deeply our lives. Thus, the prim- capitalism have some common features. Thus, a school itive society becomes the archetype of a desired society: of thought is born, which presents a fair degree of uni- « The primitive machine is not ignorant of exchange, ty and in which the radical critique of capitalism, or- commerce, and industry; it exorcises them, localizes phan of Marxism, has found shelter. them, cordons them off, encastes them, and maintains the merchant and the blacksmith in a subordinate po- The first element, derived from the Nietzschean sition, so that the flows of exchange and the flows of tradition, is the polemic or even hostile attitude to- production do not manage to break the codes in favor wards the Judaic and Christian tradition. This prejudice induces the authors that belong to this current 170 78 L. Siedentop, 2014, Inventing the Individual: the Origins of Western Liberalism, Cambridge, MA: Harvard University Press. 171 of their abstract or fictional quantities.»79 Even if the hides and, at the same time, expresses an unresolved two authors do not quote him, we are not fare from Po- issue, that is, the relationship with the Judaic and lanyi’s analysis and his idea of an economy embedded Christian political and cultural tradition, from which in traditional societies, which capitalism would have capitalism originates. More precisely, what they deem sabotaged by cutting the links with the social realm. unacceptable and try to hide is that sort of legitimization which the recognition of such relationship would The second element, partly connected to the first, is the missing acknowledgement of the fact that the debts-sin/guilt, on which most of these authors’ arguments are founded, originates exactly from that Judaic and Christian period that they look suspiciously if not with disdain, following Nietzsche. As Anderson has wisely demonstrated, sin, which during the period of the First temple (833 – 416 B.C.) was represented through the metaphor of the burden, during the period of the Second Temple (536 B.C. – 70 A.C.) began to be represented through the metaphor of debt, probably after the diffusion of Aramaic, which was the official language of trade law.80 return to the savannah aims at saving the radical, but easy, critique of capitalism that excludes it from real social relations and transforms it in an enemy of society. This aspect is based on one of the most common and misleading cliché that has accompanied the birth and the development of modernity, that is, the contrast between the good society, namely civil society, and the corrupting capitalism, with its destructive pulses. Foucault refused sternly to use the contrast between “state” and “civil society”, because it is never exempt from a sort of Manichaeism, which attributes to the notion of state a negative connotation and, at the same time, The nostalgia of the savannah, common to many of idealizes society as a good, lively and welcoming collec- these contributions starting with Deleuze and Guattari, tive.81 We could claim the same thing for the contrast 79 Deleuze and Guattari, 1972, Anti-Œdipus, p. 153. 80 G.A. Anderson, 2009, Sin: A History, Yale University Press. The capital text which testifies this semantic development is the incipit of the Our Father: «Forgive us our trespasses as we forgive them to those who trespassed against us». Anderson’s work is quoted also in the interesting text by Elettra Stimilli (2015, Debito e Colpa, Roma: Ediesse). 172 attribute to capitalism, as historically necessary. The between society and capitalism. Such contrast obscures what ought to be the true object of analysis: the exist81 M. Foucault, 1994 Dits et écrits, Gallimard 173 ence of a “capitalist society”, whose crises and down- retrieve the primordial notion of debt: it is a debt that turns we feel but whose end we do not see. We are still is not repaid, is not put out, does not need to be put waiting for a critical analysis of capitalism that starts out. It is a permanent debt. It mirrors the power rela- from the acknowledgement that we live in a “capital- tionships between states, which in turn are tied to the ist society”, which marks deeply our existence and our economic potential that domestic economies are capa- rationality. And, quoting Foucault again, “we should al- ble of. Sovereign debt mirrors and measures sovereign- ways remember that at a certain point every human re- ty. With respect to the current notion of debt, dictated lationship is a power relationship. We evolve in a world by the economy, this represents a radical change in full of strategic perpetual relationships”82. The analysis perspective and meaning. should never ignore the immanence of power, even when we talk about power relationships established by the capitalist system. There is no “outside” that should be used as leverage. The actual uncolletibility of public debt radically transforms its own nature and function. Debt is simply the form in which government or, more frequently, a formally independent organ, namely the central A curious aspect of the work of these economists is bank, makes available to the economy the means of their reticence to talk about capitalism and to attrib- payment required for its functioning. Their quantity ute to the capitalist nature of the economy, in which and distribution cannot be determined precisely and we live in, a phenomenon like debt in its actual form, beforehand because they depend on different subjects which is one of its cornerstones. not linked by any formal channels of communication. Thus, it is not assured that their choices are compatible and their objectives converging. Here is where 8. As it seems clear to everybody but the economists, malfunctions originate, which cyclically cause crises. sovereign debt presents a peculiarity that compels to Hence the central issue is not debt itself or its proportion but its management. 82 Ibidem 174 175 It remains the fact that sovereign debt is a knot in tion. As we said, debt is an instrument to colonize the the net of power that, in the present geopolitical con- future and to extend the horizons of the present. Its ditions, links all the states influencing the policies of double nature has complicated present capitalist gov- all governments. Then, in the field of debt manage- ernmentality, making even more explicit and binding ment, public space that each nation-state is able to fill the link between economics and politics. Government is preponderant according to its relative power, which has new and more complex responsibilities, because sums economic, political, social and cultural factors. only a political governing of debt can make it sustainable, that is, keep it two faces together. No economic Nowadays, debt is seen by many analysts, econo- artifice can do it. mists, philosophers, anthropologists as the cornerstone of governmentality in the era of globalized capitalism. Debt would be the fundamental instrument to discipline individual behaviour, the binding force that imposes that forces everyone to respect the rules of capitalism, a wider and more absolute form of subjugation than the wage relationship. Now, some aspects are certainly true. Capitalist governmentality depends of course on debt relationships, which in countless forms affect and engage the whole social body. But, at the same time, this perspective does not end in the domain of governmentality and this does not even show its most profound aspects. As it has been shown in the previous pages, the debt relationship binds, limits the freedom of choice of individuals and of the collectivity, but, at the same time, it extends their freedom of ac176 177