Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
OSCELLANA Anno XLV n° 1-2 Gennaio - Giugno 2016 LA NECROPOLI ROMANA “DELLA CAPPELLA” A MERGOZZO Edizioni Terre Alte - Oscellana Centro Internazionale di Documentazione Alpina Nuove scoperte OSCELLANA Rivista Illustrata della Val d’Ossola Anno XLVI n° 1 Gennaio - Marzo 2016 s SOMMARIO Mergozzo e le sue necropoli nel quadro del popolamento antico della bassa Ossola. Cenni introduttivi di Francesca Garanzini - Elena Poletti Ecclesia pag. 1 Mergozzo (VB). La necropoli orientale detta della “Cappella” di Elena Poletti Ecclesia pag. 5 Le monete dalla necropoli orientale di Mergozzo di Federico Barello pag. 69 I resti organici dalle tombe romane della necropoli della “Cappella” di Elisabetta Castiglioni - Mauro Rottoli pag. 73 Analisi antropologiche sui resti cremati della tomba 38 di Anny Mattucci pag. 89 I materiali preistorici di Valentina Faudino pag. 93 I reperti post classici dall’area della necropoli di Francesca Garanzini pag. 95 Grazie Alberto di GAM - Gruppo Archeologico Mergozzo pag. 99 Bibliografia pag. 103 ELISABETTA CASTIGLIONI, MAURO ROTTOLI Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como I resti organici dalle tombe romane della necropoli della “Cappella” risultava opportuno conservarlo – sono state effettuate delle campionature direttamente dai restauratori. Presso il Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como sono stati così analizzati sia questi ultimi prelievi che quelli effettuati direttamente da chi scrive. Introduzione La conservazione dei resti organici nelle tombe della necropoli della “Cappella” di Mergozzo è avvenuta prevalentemente per mineralizzazione, in presenza dei prodotti di corrosione del ferro e del rame. I metalli hanno preservato diversi tipi di materiali organici, in particolare legno, resti tessili e cuoio. Il legno si è conservato aderente a chiodi, a grappe e ad attrezzi metallici. Resti tessili sono presenti in corrispondenza di ornamenti in bronzo e attrezzi in ferro. Consistenti lembi di cuoio si sono conservati in rapporto alle bullette di calzature chiodate, mentre tracce più labili si osservano su altri oggetti. Da una tomba a incinerazione provengono resti lignei della pira carbonizzati. Le analisi sono state effettuate prevalentemente sui manufatti già sottoposti al restauro. Presso il Museo di Mergozzo sono stati controllati gli oggetti e sono state descritte e caratterizzate le tracce organiche, effettuando, quando possibile, piccoli prelievi per le successive analisi. L’accurato restauro ha preservato sugli oggetti metallici una parte dei resti organici; quando non era possibile consolidare il materiale organico – o non Le analisi dei legni e dei carboni I carboni del rogo È stato analizzato un piccolo gruppo di carboni dalla T. 38/1970, una sepoltura maschile a cremazione indiretta, attribuita, sulla base dei reperti monetali, alla seconda metà del II secolo d.C. I sei frammenti analizzati, di dimensioni centimetriche, provengono da grosse pezzature e presentano una certa irregolarità nella fibratura. L’insieme dei caratteri anatomici osservati (porosità da diffusa a semianulare, con pori singoli o in piccoli gruppi, presenza di vasi con ispessimenti spiralati, raggi ampi da 2 a 5-6 cellule) rimanda al genere Prunus sp., che comprende numerose specie di pruni sia spontanei che coltivati. Le deformazioni di accrescimento e quelle conseguenti alla combustione non consentono una attribuzione a livello di specie, per altro sempre complessa 73 nell’ambito di questo genere: alcuni elementi osservati, anche se non ben espressi in tutti i frammenti, sembrano ricondurre al gruppo che comprende forme spontanee o coltivate del susino (Prunus spinosa/domestica). un’unica traccia di legno di pino. Sulle grappe, che univano verosimilmente delle tavole di una certa dimensione, si sono conservati frammenti di legno di quercia caducifoglie (Quercus sezione Robur). Altri chiodi più piccoli erano infissi in legno di betulla (Betula sp.). È verosimile che i grossi chiodi fossero quelli della bara, fabbricata quindi con legname di abete bianco e di pino. L’utilizzo per lo stesso manufatto di tavole di due specie diverse di conifere non è comune, ma non sembra avere un particolare significato; le caratteristiche del legno delle due specie sono in ogni caso piuttosto simili. Le grappe, con resti delle tavole di quercia, sembrerebbero appartenere a un secondo robusto manufatto, forse una cassetta, perché non sembrano essere pertinenti alla bara. I chiodi più piccoli potevano servire ad assemblare un terzo contenitore in legno di betulla, più piccolo e leggero e forse più prezioso. Nella T. 38/1970, la tomba maschile a incinerazione che ha restituito i carboni di pruno (vedi sopra), sono stati rinvenuti elementi metallici con tracce di legno mineralizzato. Si tratta di grappe (Inv. 35177, cfr. P I legni delle bare, delle barelle e di altri contenitori Nella tomba maschile a inumazione 36/1970, attribuita alla metà del II sec. d.C., sono stati rinvenuti chiodi e grappe (Inv. 34221, cfr. P E, supra) che hanno conservato consistenti resti di legno mineralizzato (figg. 1-2). L’analisi di nove campioni, che presentavano già macroscopicamente caratteristiche diverse, sia per quanto riguarda il supporto metallico, che per il tipo di legno conservato, ha consentito di individuare tre tipologie di reperti che potrebbero riferirsi ad altrettanti manufatti. Alcuni grossi chiodi univano tavole (dello spessore di 3-4 cm) di legno di conifera, in particolare di abete bianco (Abies alba) e pino (pino silvestre/mugo, Pinus sylvestris/mugo): in due casi, il chiodo univa due tavole di abete; in un altro, una di abete e una di pino; in un quarto campione, infine, si è conservata Fig. 1 - I chiodi e le grappe della tomba 36/1970 con le tracce di legno 74 le due tavole fissate tra loro da uno dei chiodi, che sono risultate entrambe di abete bianco. Una scheggia lignea aderita secondariamente a un altro chiodo è risultata di vite (Vitis vinifera). La presenza di un frammento di vite è da ritenere secondaria, come era apparso già chiaramente al momento della campionatura. Non è però possibile stabilire quando il tralcio di vite sia venuto a contatto con il chiodo, se cioè fosse già presente nel sedimento al momento della deposizione o se vi sia penetrato accidentalmente in un momento successivo. Non si può infine escludere che il tralcio sia quanto rimane di un’offerta: grappoli d’uva sono testimoniati in tombe romane sia ad incinerazione che ad inumazione (R C 2011; M - R 2005). È stato infine controllato un chiodo in ferro (Inv. 95672/a, cfr. P E, supra) proveniente dalla tomba femminile a inumazione 42/2013, di I-II secolo d.C. (fig. 3). Il grosso chiodo conserva sul gambo resti abbondanti di legno mineralizzato, riferibili Fig. 2 - I frammenti connessi alle grappe. Sotto, particolare del frammento in cui si osservano una porosità di tipo anulare e dei raggi pluriseriati, caratteri tipici del legno di quercia E, supra), forse pertinenti a una cassetta, e di chiodi (Inv. 35180, cfr. P E, supra), che potevano essere relativi alla barella funebre o, più difficilmente, a un’altra cassa. Può trattarsi di oggetti che sono stati deposti nella tomba successivamente al rogo o di elementi deposti sulla pira ma che non si sono completamente carbonizzati. L’unico frammento ligneo analizzabile dalle grappe è di determinazione incerta, si tratta di legno di una latifoglia, forse acero o olmo (tipo Acer /Ulmus). Dei sette chiodi frammentari con tracce lignee è stato possibile determinare solo Fig. 3 - Chiodo dalla tomba 42/2013 75 a due tavole spesse 3-4 cm. Si tratta, in entrambi i casi, di legno di conifera ma è stato possibile determinare con precisione una sola tavola che è risultata di abete bianco. Il chiodo, l’unico rimasto in una tomba rimaneggiata in conseguenza di lavori agricoli, era probabilmente pertinente alla bara. Fig. 4 - Accetta dalla tomba 41/2013: si osserva un piccolo lembo di tessuto e parte del manico in nocciolo Fig. 5 - Accetta dalla tomba 47/2013: si osservano resti tessili e parte del manico in corniolo (o viburno) 76 (con abete rosso), più rare sono le formazioni a larice. L’abetina, in alcune vallate piemontesi, tra cui le valli ossolane, è particolarmente estesa, con maggiore sviluppo sui versanti esposti a nord, meno soggetti a sbalzi di temperatura. L’abete bianco è, dopo il larice, la conifera più importante in Piemonte, sia per la superficie occupata sia perché oggetto di interesse economico, culturale e naturalistico. Forma popolamenti in cui è dominante (accompagnato dal faggio o dal peccio) e partecipa, come specie secondaria, alla costituzione di boschi misti, in prevalenza con il faggio, nelle aree più umide, esposte a nord, al di sopra dei 900 m di quota. L’attuale distribuzione dell’abete bianco è molto contratta rispetto a quella potenziale a causa delle attività di taglio e pascolo (T et al. 1999). L’impiego dell’abete bianco per la costruzione delle bare può quindi dipendere dalla grande disponibilità di questo legname nell’area, ma è stato sicuramente scelto per le caratteristiche tecnologiche che ne fanno una specie particolarmente adatta a ricavarne tavole e altri elementi strutturali. L’utilizzo dell’abete bianco per lavori di carpenteria e falegnameria è ben documentato, anche al di fuori del suo areale, dai dati archeobotanici lungo un amplissimo arco temporale. Si possono in particolare citare due confronti, quello della necropoli romana di Angera (C 1985), dove sono stati rinvenuti, aderenti a un chiodo, resti mineralizzati di abete bianco pertinenti a una cassa lignea, e, tra gli esempi medievali, una bara, discretamente conservata, rinvenuta nell’ex monastero di S. Spirito a Genova (C - C 2010). Il pino silvestre (verosimilmente è questa la specie di pino impiegata), utilizzato anch’esso per una cassa, poteva essere facilmente reperibile nella vallate montane più aride intorno alla val d’Ossola, dove poteva essere raccolto insieme alla betulla, impiegata per un I manici di legno L’accetta in ferro (Inv. 95688, cfr. P E, supra) da una sepoltura maschile a inumazione (T. 41/2013), datata alla prima metà del I secolo d.C., conserva nel foro del tallone, per un tratto di 5 cm, una porzione di legno mineralizzato del manico. Questo è stato ottenuto riducendo un ramo di nocciolo (Corylus avellana) con diametro di poco maggiore rispetto alla cavità (fig. 4). Un’altra sepoltura maschile a inumazione della prima metà del I secolo d.C. (T. 47/2013), ha restituito un’altra accetta in ferro (Inv. 95693, cfr. P E supra) che, analogamente a quella della T. 41, conserva un tratto (ca. 3,6 cm) di legno mineralizzato del manico (fig. 5). In questo caso la forma lievemente ellittica del foro ha richiesto l’uso di un ramo con sezione un po’ schiacciata o una minima riduzione di un legno a sezione circolare. Per questo manico è stato utilizzato un ramo di corniolo o, meno probabilmente, di viburno (Cornus sp. o Viburnum sp.). Brevi considerazioni sulla scelta del legno Le specie lignee identificate nelle tombe sono strettamente legate alle destinazioni d’uso, peraltro solo in parte ricostruibili dai dati archeologici. La scelta tiene conto quindi in primo luogo delle caratteristiche tecnologiche dei vari tipi di legname, selezionati però verosimilmente all’interno dell’ampia e variegata disponibilità di specie presenti nel territorio circostante. La vegetazione della val d’Ossola e delle vallate limitrofe presenta attualmente una tipica successione: a partire dal basso, si incontrano i querceti di rovere e i castagneti; nella fascia superiore sono presenti le faggete, alternate a una vegetazione pioniera nelle zone più scoscese e con suoli molto ridotti; a quote ancora più elevate sono presenti i boschi di conifere, in particolare abetine di abete bianco e peccete 77 altro contenitore ligneo di minori dimensioni. Quanto alla quercia, rinvenuta in connessione a delle grappe, è il legname maggiormente utilizzato, fin dalla preistoria, per l’edilizia e per lavori di falegnameria, grazie all’abbondanza e alla diffusione della specie nella vegetazione planiziale e collinare e alla possibilità di ottenere tavole e altri elementi anche di grandi dimensioni. L’uso della quercia è generalizzato sia nelle necropoli che negli abitati per tutta l’età Romana; citiamo ancora la necropoli di Angera, dove l’uso di legna di quercia è testimoniato, oltreché nell’allestimento della pira di numerose sepolture, anche per una cassa lignea da una tomba di età severiana (C 1985). Le specie impiegate per la costruzione dei manici di accetta, il nocciolo e il corniolo (o il viburno), provengono verosimilmente dai boschi misti di latifoglie della fascia prealpina, immediatamente prossimi a Mergozzo. Si tratta di specie che forniscono rami e polloni di modesto diametro adatti alla fabbricazione di piccoli manufatti ed intrecci. Il legno di nocciolo è più elastico, quello di corniolo particolarmente resistente. Nella necropoli di Craveggia (M D C 2012), in Valle Vigezzo, per il manico della scure e del piccone della T. 37 e della scure della T. 40 è stato invece impiegato legno di acero. La difficoltà di stabilire con precisione la specie dei carboni di pruno presenti nella T. 38/1970 - se si tratti cioè di un ciliegio, un susino, un pesco o di un’altra specie - limita fortemente l’inquadramento del dato, dal punto di vista ambientale, economico e rituale. Potrebbe trattarsi di una specie spontanea, di quelle che crescono sparse nei boschi misti di latifoglie, o di una varietà coltivata nei pressi dell’abitato, che, insieme al frammento di tralcio di vite rinvenuto nella stessa tomba, può suggerire l’esistenza di colture specializzate, sicuramente e ampiamente diffuse nel territorio, tra età del Ferro ed età Romana. Sulla base dei dati antracologici, sia nelle necropoli dell’età del Ferro che in quelle di età Romana, l’impiego del legname di un pruno per la costruzione della pira è una pratica non così infrequente, anche se in genere attestata da pochi frustoli carboniosi; il pruno è documentato in tombe romane a Cerrione (BI, C et al. 2011), Como (C - R 2006), Lovere (BG, C 1998), Manerbio (BS, C - R 2010) e Nave (BS, R 1987). Fig. 6 - Particolare del tessuto sull’accetta dalla tomba 41/2013: nell’ingrandimento si osserva la direzione verticale della trama della tela (tessuto 1), probabilmente in lana 78 il diametro appare piuttosto grande (1,3-1,5 mm), il che suggerisce che siano anch’essi fili composti da più capi. La fibra impiegata è lana. Le analisi dei resti tessili I tessuti della t. 41/2013 Aderenti all’accetta (Inv. 95668, cfr. P E, supra) della T. 41/2013 sono presenti resti tessili pertinenti a due diversi capi. Dopo il restauro, al margine dell’accetta, in prossimità dell’occhio, aderisce ancora un frammento tessile (tessuto 1), una tela abbastanza fine, probabilmente in lana, con trama più coprente e fili a torsione Z in entrambe le direzioni (fig. 6). Nel materiale staccato durante le fasi di restauro è presente un tessuto diverso (tessuto 2), un’altra tela in lana, anch’essa con fili a torsione Z in entrambe le direzioni, ma decisamente più grossi (tab. 1, fig. 7). I rapporti tra i due tessuti non sono più ricostruibili. Supponendo che l’accetta fosse appoggiata al corpo, verosimilmente lungo un fianco all’altezza del braccio, si potrebbe ipotizzare che il tessuto più fine appartenesse a un capo di vestiario indossato più aderente al corpo (una tunica?) e che il tessuto più grossolano appartenesse a un capo di vestiario più esterno (un mantello?). Fig. 7 - Il frammento di tessuto 2 prelevato durante il restauro, forse pertinente a un mantello I tessuti della t. 43/2013 Su uno dei frammenti di molla della grande fibula in lega di rame (Inv. 95678, cfr. P E, supra) rinvenuta nella T. 43/2013 (sepoltura femminile di età augustea, fine del I sec. a.C. - primo decennio del I sec. d.C.), si sono malamente conservati resti tessili di incerta interpretazione (figg. 8-9). Nella direzione perpendicolare alla molla, procedendo dall’esterno verso il centro, si osservano due fili più grossi (diametro 1,5 mm) a torsione Z, forse composti da due o tre capi, e, dopo uno spazio privo di fili, altri 4 (?) fili affiancati, forse a coppie, più sottili (diametro di 1 mm). I fili nell’altra direzione sono sconnessi e non è chiaro se siano o meno intrecciati ai precedenti; la torsione è Z e Fig. 8 - La porzione della molla di fibula dalla tomba 43/2013 con le tracce tessili a restauro concluso 79 Fig. 9 - Particolari del tessuto sulla molla. Si osservano fili verticali, alcuni molto spessi, altri sottili; un filo ad andamento obliquo e due fili appaiati Oltre a questa traccia tessile, osservata sull’oggetto restaurato, sono stati controllati due prelievi effettuati dai restauratori durante la pulitura. Un prelievo consiste di vari frammenti che presentano uno strato inferiore, più aderente al metallo, sicuramente attribuibile a un tessuto, e uno più esterno, non chiaramente interpretabile, forse ancora riferibile a un tessuto, oppure a un lembo di cuoio, molto degradati. Il tessuto, conservato in presenza di prodotti di corrosione del ferro, ha una consistenza polverosa; si tratta di una probabile tela in lana, Z/Z, con diametro dei fili di 0,7 (0,8) mm. Nell’altro prelievo le tracce sono poco leggibili, si osserva unicamente un filo, a torsione Z, del diametro di 1-1,2 mm, che potrebbe essere composto da più capi. In sintesi, se nel prelievo effettuato durante il restauro è stato possibile osservare un intreccio, probabilmente una tela, per i fili rimasti sulla fibula non è possibile stabilire se appartenessero a una frangia o a un tessuto intrecciato. Nel caso si trattasse di un tessuto, non si può escludere, per la presenza di fili appaiati, che il lembo conservato sia proprio il punto di passaggio da un intreccio semplice (una tela) a un intreccio con fili raddoppiati (un Reps o un margine rinforzato), ma ogni ipotesi ricostruttiva si scontra con l’esiguità della porzione conservata. La presenza di fili molto grossi in lana, osservati anche nel secondo prelievo dei restauratori, rimanda in ogni caso ad un capo piuttosto pesante e robusto, forse un mantello, in grado di reggere una fibula di così grandi dimensioni. La presenza di fili a più capi e, forse, raddoppiati potrebbe anche suggerire che il lembo di tessuto conservato coincidesse con il margine del mantello. Dalla stessa tomba proviene un’altra fibula frammentaria (Inv. 95679, cfr. P E, supra) che, controllata a restauro avvenuto, è risultata priva di tracce organiche, ma che ha restituito un lembo di tessuto in lana, prelevato durante il restauro. L’intreccio non è chiaramente rilevabile, ma potrebbe trattarsi di una tela. Anche la torsione dei fili, con diametri di circa 0,8 mm, non è leggibile. Sulla superficie esterna del tessuto è presente uno strato sottile di materiale organico incerto, tessuto molto alterato o, più probabilmente, cuoio. Esistono quindi molte somiglianze tra i reperti tessili conservati in rapporto alle due fibule, probabilmente riferibili a uno stesso tessuto in lana. In entrambi i casi si osserva poi un secondo strato, malamente conservato, incerto tra tessuto e cuoio. La presenza di questo secondo strato, di tessuto o altro materiale, e di possibili margini rinforzati, suggerirebbe che le fibule fissassero due elementi del vestiario o due lembi di uno stesso capo, o, ancora, un tessuto e un elemento di cuoio (una bordura? un decoro?). 80 tessuto 2, nella parte superiore, è presente un piccolo lembo di un diverso tipo di tessuto (tessuto 3). I due frammenti più aderenti al metallo (tessuto 1 e 2) non sono ben leggibili, ma sembrano essere dello stesso tipo, forse una tela in lana, con fili grossolani, probabilmente a torsione Z in entrambe le direzioni. Il tessuto I tessuti della t. 45/2013 Aderente a un frammento di molla della fibula in lega di rame (Inv. 95691, cfr. P E, supra) proveniente dalla T. 45/2013 (datata fine I secolo a.C. - inizi I d.C.) è conservato, in presenza dei prodotti di corrosione del ferro, un lembo di tessuto (tessuto 1) che asseconda la curvatura della molla, una tela, con fili a torsione S in entrambe le direzioni, probabilmente in lino (tab. 1, fig. 10). In un prelievo, effettuato durante il restauro, sono presenti piccoli frammenti tessili (tessuto 2), con fili di diametro forse di 0,7 mm e torsione incerta S (da impronta Z), ma la fibra impiegata è invece lana. La fibula avrebbe quindi fissato due diversi tessuti: una tela più fine in lino, probabilmente di un capo indossato più aderente al corpo (una tunica o camicia?) e un altro tessuto più esterno Fig. 10 - Molla di fibula dalla tomba 45/2013 con i frammenti tessili e robusto in lana (un mantello?). I tessuti della t. 47/2013 L’accetta in ferro (Inv. 95693, cfr. P E, supra) dalla T. 47/2013, già citata a proposito del legno del manico, ha conservato, su un lato, resti tessili localizzati sul tagliente (tessuto 1) e presso l’occhio (tessuto 2), in modo discontinuo ma per tutta l’altezza della lama, incluso il tallone (figg. 11-13). Appoggiato al Fig. 11 - Particolari dei resti tessili localizzati presso il tallone (foto sopra) e il tagliente (foto sotto) dell’accetta dalla tomba 47/2013 81 3, un poco meglio conservato, è forse una batavia in lana, Z/Z (tab. 1). Tra il materiale prelevato durante il restauro è presente un altro frammento, peggio conservato, che potrebbe essere ancora dello stesso tipo. Nonostante le difficoltà di lettura, è quindi ipotizzabile che sull’accetta si siano conservati i resti tessili pertinenti a due capi di vestiario, uno più aderente al corpo (tessuto 3, forse una batavia in lana, con fili Z/Z relativamente fini), verosimilmente una tunica, e uno più esterno (tessuti 1 e 2, forse una tela Z/Z, sempre in lana, ma con filato più grossolano), forse pertinente a un mantello. Alcune annotazioni sui resti tessili I frammenti tessili si sono conservati in due sepolture, in rapporto a fibule caratteristiche dell’areale leponzio, e in altre due tombe, sulle accette, oggetti in uso anche in piena età romana. La documentazione riguarda una tomba femminile (43/2013), due tombe maschili (41/2013 e 47/2013) e una tomba di cui è impossibile stabilire l’attribuzione del genere (45/2013). In teoria si potrebbero quindi ricavare indicazioni sia sul costume locale che su quello già “romanizzato” e indicazioni relative all’abbigliamento femminile e a quello maschile. Purtroppo le tracce conservate sono minime e di difficile lettura e forniscono solo elementi molto puntiformi, difficilmente inquadrabili. L’elemento più costante è l’impiego di tessuti in lana, in genere con intreccio semplice (tele), fatti da fili semplici con torsioni omogenee nella trama e nell’ordito (Z/Z). Le differenze osservate sono relative al filato, cioè al calibro dei fili impiegati, che sono più sottili nei tessuti che sembrano essere indossati più a contatto del corpo (tuniche o simili) e più grossolani in quelli più esterni (forse mantelli). Questi tessuti sembrano presentare cimose o margini rinforzati, dove l’intreccio subisce delle varianti ed è possibile l’impiego di fili a più capi. Un’altra possibile differenza è l’impiego di un intreccio spigato (una batavia, 47/2013) al posto della tela, ma la caratterizzazione dell’intreccio è molto incerta per la limitatezza dei resti. In questo quadro, comune alle due tombe maschili e alla tomba femminile con le due fibule leponzie, costituisce un’eccezione il tessuto rinvenuto nella T. 45/2013, una sepoltura a fossa che, compromessa da Fig. 12 - Particolare del tessuto 3: le tracce chiare orizzontali sono quanto rimane dei fili. Fig. 13 - Particolare del tessuto 2 in cui i fili sono completamente slegati 82 interventi successivi, non è archeologicamente ben inquadrabile. Qui è stata rinvenuta una fibula con resti di una tela in lino, con fili fini a torsione S/S, mentre un’altra traccia, forse anch’essa con fili a torsione S, sembra invece riferirsi a un tessuto in lana. La possibilità di inquadrare questi ritrovamenti e di contestualizzarli meglio nell’ambito delle necropoli di età Romana dell’Italia settentrionale, è altrettanto difficile. Per quanto ci è noto, i ritrovamenti di resti tessili, per i quali non sempre è stato possibile determinare intrecci e fibre, sono limitati alla tomba del cortile dell’Università Cattolica a Milano (M - R 2005), a una sepoltura in un sarcofago monumentale rinvenuto a Brescia (C - R 2004) e a frammenti mineralizzati osservati nella necropoli di Cerrione (C R 2011) e nella necropoli di Lamon (BL, R - R 2016). Nelle necropoli di Cerrione e Lamon, ricorrono mediamente gli stessi elementi osservati a Mergozzo: l’uso preponderante della lana, con torsione Tomba 41/2013 Tessuto 1 dimensioni mm 20x12 ca. armatura tela direzioni torsione OY* Z OX** Z diametro fili (mm) ca. 0,4-0,5 0,5 n° fili in mm 3 fili in 2,5 mm 5 fili in 3 mm fili/cm fibra 12 lana? 16,7 *Si tratta probabilmente dell’ordito, con fili più fini e più distanziati. ** Si tratta probabilmente della trama, con fili meno ritorti o di diametro più grosso, che nascondono i fili dell’altra direzione. Tessuto 2 dimensioni n.r. armatura tela direzioni torsione OY Z OX Z diametro fili (mm) ca. 0,9-1 ca. 0,9-1 n° fili in mm 3* fili in 4,5 mm 2* fili in 3 mm fili/cm 6-7 6-7 fibra diametro fili (mm) 0,5 0,5-0,6 n° fili in mm 4 fili in 2 mm 3 fili in 2,8 mm fili/cm 20 10,7 fibra lana *La conservazione rende questo dato un po’ incerto. Tomba 45/2013 Tessuto 1 dimensioni mm 10x40 ca. armatura tela* direzioni torsione OY S OX S lino? *Lievemente disomogenea, con direzione OY più compatta. Il numero di fili potrebbe essere impreciso a causa del pessimo stato di conservazione. Tomba 47/2013 Tessuto 3 dimensioni mm 10x7 ca. armatura (batavia?)* direzioni torsione OY Z,…,Z OX Z,Z diametro fili (mm) 0,5-0,6 0,5-0,6 n° fili in mm nr nr fili/cm fibra nr lana? nr *A causa del pessimo stato di conservazione l’intreccio non è chiaramente interpretabile. Tessuto dai prelievi dei restauratori (= tessuto 3) dimensioni armatura direzioni torsione OY Z n.r. batavia? tela? OX Z diametro fili mm 0,5 0,6-0,7 (0,8) n° fili in mm fili/cm fibra 3 fili in 2 mm 15 lana 3-4* fili in 3 mm 10-13,3 * A causa del pessimo stato di conservazione questa misurazione è incerta. Tab. 1 - I risultati delle analisi sui resti tessili 83 dei fili Z/Z (la più adatta per questa fibra), prevalentemente impiegata per tessuti spesso grossolani con intrecci semplici (tele), e l’uso più limitato di fibre di lino, con torsione dei fili ad S (anche in questo caso la scelta più idonea per la filatura). Nelle sepolture più prestigiose, quelle di Milano e Brescia, sono presenti tessuti più fini, caratterizzati da fili più sottili (0,2-0,5 mm), con un numero di fili al centimetro più elevato (generalmente > 20 fili/cm). Anche nella necropoli celtica di Dormelletto (Novara, III-I a.C.), che ha restituito un consistente lotto di tessuti aderenti alle fibule, l’uso della lana appare esclusivo (M 2009). Gli intrecci documentati sono perlopiù le tele; più occasionale è l’impiego della batavia (=diagonale 2x2) e della saia (=diagonale 2x1), presenti talvolta, l’una o l’altra, insieme alle tele (F 2009). La torsione del filato sembra essere sempre Z1. uno stilo scrittorio (Inv. 35173, cfr. P E, supra) e un coltello (Inv. 34222, cfr. P E, supra). Lo stilo è stato osservato a restauro concluso (fig. 14). Sull’estremità a punta è conservato, per una lunghezza di circa 2 cm, un frammento di cuoio che lo avvolge interamente lasciando scoperta solo la punta vera e propria. Qui i due lembi di cuoio sembrano accostati, forse cuciti tra loro, ma non si sono conservate tracce di fili. Sull’estremità opposta dello stilo è presente una scheggia di materiale incerto, molto degradato: tessuto o, più probabilmente, ancora cuoio. Le tracce rimaste in corrispondenza della punta, ma che lasciano la punta stessa libera, suggeriscono che lo stilo fosse riposto in una custodia sagomata in cuoio - di cui non si sarebbe conservata la parte della punta - o che fosse rivestito da cuoio per favorirne la presa, ad eccezione della punta. Le analisi dei cuoi Le tracce sullo stilo scrittorio e sul coltello della t. 36/1970 Tracce di cuoio sono state rinvenute su due oggetti presenti nella T. 36/1970 (una sepoltura maschile databile alla metà del II secolo d.C.): Fig. 14 - Lo stilo scrittorio della tomba 36/1970: sulla punta è conservato un lembo di cuoio (in dettaglio nella foto in alto) Fig. 15 - Il coltello della tomba 36/1970 (lato A): la parte centrale del codolo conserva due strati di materiale organico 84 Anche il coltellino è stato osservato a restauro concluso (fig. 15). Sulla parte centrale del codolo, da un lato (lato A), è presente una striscia di materiale organico malamente conservato, forse costituito da due diversi strati: quello più aderente al metallo di un materiale non più riconoscibile, quello più esterno forse di cuoio. Su quest’ultimo strato si osservano tre impronte trasversali - alla distanza rispettivamente di 2,7, 3,4 e 4,1 cm, misurate a partire dall’estremità prossimale del codolo - riferibili a singoli fili, forse a torsione S, con un diametro, indicativo, di 1 mm (fig. 16). Sul lato opposto del codolo (lato B) le tracce sono limitate e incerte, forse ancora attribuibili a cuoio. La lama ha conservato lembi di cuoio su entrambi i lati, ma sul lato B, al di sopra del cuoio, si osservano tracce di fili con direzioni tra loro perpendicolari, ma per i quali, non essendo visibile il punto di contatto, non è possibile stabilire se siano o meno intrecciati a formare un tessuto (fig. 17). I due fili meglio conservati sono appaiati e posti centralmente, lungo l’asse principale della lama; presentano torsione S (da impronta Z) e hanno diametro di circa 2 mm. Fig. 16 - Particolare del codolo, a diversi ingrandimenti, con il cuoio sul quale sono presenti impronte trasversali di fili Fig. 17 - Lato B del coltello, particolare del lembo di cuoio sulla lama. Negli ingrandimenti si notano le impronte più chiare dei fili verticali e orizzontali 85 Gli altri fili, posti presso i margini e traversali ai primi due, non sono meglio descrivibili. In sintesi, le vaghe tracce di materiale organico presenti sul codolo, direttamente a contatto con il metallo, non consentono di stabilire di che materiale fosse costituita l’impugnatura. La presenza di cuoio discretamente abbondante, sia sul codolo, più esternamente, che sulla lama, è riferibile a un fodero (o a una custodia) che copriva sia la lama che il manico. La presenza, su entrambi i lati, di tracce di fili distanziati e non chiaramente incrociati, esterni al cuoio, è difficilmente spiegabile. Le tracce possono essere relative a materiale originariamente connesso con l’oggetto (una decorazione tessile applicata al cuoio o una sorta di rete in cui era riposta a sua volta la custodia/fodero del coltello) o essere aderite secondariamente per contatto con altro manufatto (ad esempio le frange di un tessuto non altrimenti documentato). La presenza di un involucro esterno al fodero/ custodia potrebbe suggerire che il coltello fosse conservato nella tomba con ogni probabilità insieme allo stilo scrittorio; sebbene le tracce sullo stilo non siano sufficienti a confermare questa ipotesi, il rinvenimento dei due oggetti accostati tra loro avvalorerebbe questa proposta (cfr. P E, supra). Fig. 18 - I frammenti con gruppi di bullette analizzati della tomba 36/1970 Le calzature Nella T. 36/1970 (sepoltura maschile, metà del II sec. d.C.) e nella T. 41/2013 (sepoltura maschile, prima metà del I sec. d.C.) sono state trovate bullette da calzatura. Per la T. 36/1970 sono stati osservati otto frammenti con bullette ancora infisse nel cuoio; lo spessore complessivo è di 2 cm, lo spessore degli strati organici, conservati parzialmente, è maggiore di 1,2 cm (figg. 18-21). Rispetto ai materiali analoghi della T. 41/2013 la disposizione delle bullette, un poco più distanziate tra loro, sembra meno ordinata e le punte non sono ribattute. Si osservano Fig. 19 - Particolare di un frammento, visto da sopra (foto in alto) e di profilo (foto sotto), con le punte dei chiodi emergenti non ribattute. La traccia nerastra è risultata di sughero 86 completato, 10 gruppi ancora infissi nella suola in cuoio (figg. 22-24). Le bullette hanno la punta ribattuta e uno spessore complessivo di 2 cm, lo spessore degli strati di cuoio è di circa 1 cm. Il numero limitato di bullette per frammento (da 3 a 5) non consente di stabilire con precisione la loro disposizione nella suola, nei frammenti più grandi sembrano organizzate in file Fig. 20 - Gli strati di sughero sotto al cuoio. Fig. 22 - I frammenti con gruppi di bullette analizzati della tomba 41/2013 Fig. 21 - Frammento di cuoio non perfettamente depilato; le piccole tracce chiare (indicate dalla freccia) sono le basi dei peli due strati, forse tre, di cuoio, ma la leggibilità è ostacolata dalla forte mineralizzazione. Il cuoio presenta uno spesso strato fibrillare che rimanderebbe a cuoio di origine bovina. Nel cuoio, in alcuni punti, si osservano anche le basi dei peli: il cuoio non è stato perfettamente depilato. Aderenti allo strato di cuoio, verso il piede, sono conservate minime tracce nerastre, di un materiale riconosciuto come sughero. Differenti sono le bullette della T. 41/2013, delle quali sono stati osservati, a restauro Fig. 23 - Un frammento visto in sezione. Si osserva una stratificazione del cuoio, ma, a causa del degrado, non è possibile individuare con precisione se siano presenti due o tre strati 87 e forse un ulteriore strato di cuoio, con chiodi ribattuti (fig. 25). La frammentarietà dei reperti non consente di stabilire se le bullette ricoprissero l’intera suola o solo una parte di essa, le bullette sono un poco più appressate nella T. 41/2013 e distanziate nella T. 36/1970, ma non è possibile ricostruire con precisione il disegno complessivo. Fig. 24 - Strato fibrillare del cuoio particolarmente spesso e grossolano. Le frecce indicano i gambi rotti delle bullette ravvicinate con disposizione alterna. In sezione si osservano diversi strati di cuoio, forse tre, ma per la presenza di lacune, per problemi di conservazione e per le patine di restauro, il numero esatto di strati non è ben leggibile. Nei punti meglio conservati il cuoio presenta uno spessore consistente, con strato fibrillare particolarmente sviluppato, caratteristiche che rimandano a cuoio di origine bovina. Fig. 25 - Disegno ricostruttivo delle suole delle calzature delle tombe 36/1970 (in alto) e 41/2013 (in basso) Considerazioni sulle bullette La presenza di bullette ancora infisse nel cuoio, in entrambe le tombe, è riferibile a calzature vere e proprie ed esclude che si tratti di elementi deposti come offerta simbolica, ipotesi suggerita in altre necropoli dove sono state rinvenute poche bullette sciolte. L’analisi di dettaglio, nonostante le difficoltà di lettura legate ai fenomeni di corrosione e alle sostanze consolidanti, permette di individuare due tipi di calzature: si tratta verosimilmente di robuste caligae, una (T. 36/1970) con suola battistrada, sottopiede e una tramezza di sughero, cioè uno spesso strato intermedio che non rende necessario ribattere le punte, l’altra (T. 41/2013) con suola battistrada, sottopiede Note 1 Nonostante nel testo si parli di torsione Z nell’ordito e S nella trama, i disegni e le fotografie mostrano invece fili a torsione Z in entrambe le direzioni. 88