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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA SCUOLA DI SCIENZE SOCIALI DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali DISSERTAZIONE CONCLUSIVA Archiviazione e tutela della persona offesa RELATORE Chiar.ma Prof.ssa Michela Miraglia CANDIDATO Lorenzo Luigi Reggiardo Anno Accademico 2018-2019 INDICE pag. Abbreviazioni…….………………………………………………………….III Introduzione.........……………………………..……………………………...1 CAPITOLO I LA PERSONA OFFESA DAL REATO: TENDENZE EVOLUTIVE 1. La nozione di persona offesa dal reato…………..………………………...…..3 2. L’evoluzione normativa: verso una maggiore tutela della vittima……….......8 3. I diritti informativi e partecipativi: la valorizzazione della persona offesa………………………………………...................................................12 CAPITOLO II IL RUOLO DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO NELLA PROCEDURA DI ARCHIVIAZIONE 1. La procedura di archiviazione……………………………………………….15 2. L’opposizione all’archiviazione……………………………………………..19 2.1 I termini per proporre opposizione………………..……………………..22 2.2 L’opposizione per particolare tenuità del fatto…………………………..30 2.3 Le condizioni di ammissibilità dell’opposizione………………………...41 2.4 Il rito…………...……………………………………………………...…44 CAPITOLO III I IL NUOVO ART. 410 BIS 1. Introduzione………………………………………………………………....47 2. I casi di nullità del provvedimento di archiviazione…...……………...……...47 3. Il reclamo: la tutela del contraddittorio………………………………………50 4. Gli esiti……….……………………………………………………………...54 Conclusioni………………………………………………………………………….57 Bibliografia………….………………………………………………………………62 II Abbreviazioni art., artt. = articolo, articoli c.p. = codice penale c.p.p. = codice di procedura penale CE = Comunità europee Cost. = Costituzione D.l. = decreto legge D.lgs. = decreto legislativo D.P.R. = Decreto del presidente della Repubblica disp. = disposizioni Disp. att. = disposizioni attuative f. = fascicolo G.I.P = Giudice per le indagini preliminari GAI = Giustizia e affari interni L. = legge n., nn. = numero, numeri p., pp. = pagina, pagine R.D. = Regio decreto Sez. = sezione ss. = seguenti TFUE = Trattato sul funzionamento dell’Unione europea UE = Unione Europea Vol. = volume III INTRODUZIONE Nel quadro di una generale rivalutazione della persona offesa dal reato nel processo penale, in relazione alle tutele che le sono garantite e al contributo che questa può apportare, il presente lavoro si concentra sull’archiviazione. È possibile registrare una costante e progressiva valorizzazione della vittima nei sistemi penali nazionali, in particolare grazie all’impulso dell’Unione Europea e a esperienze nella giustizia penale internazionale. Il superamento del disinteresse verso questo soggetto da parte del legislatore nazionale ha il suo fulcro, a partire dagli anni cinquanta del 1900, dalla nascita e dallo sviluppo della vittimologia. Si è superata la tradizionale visione pubblica della posizione della parte offesa, che identificava lo Stato con la vittima, in base alla quale di conseguenza veniva giustificato l’intervento del diritto penale. La nozione di vittima, inoltre, si è dilatata nel tempo contestualmente al progressivo riconoscimento e ampliamento dei diritti informativi e partecipativi del soggetto passivo del reato. Tuttavia, oggi risulta particolarmente evidente l’irriducibile contrapposizione tra garantismo penale e diritti delle vittime1. Questa nuova attenzione ha portato anche conseguenze negative, tra cui il fatto che la condanna risponde, talvolta, più al sentimento di giustizia invocato dalle vittime rispetto all’effettiva responsabilità dell’imputato e, non da ultimo, la possibile incidenza sulla durata del processo. Ancora, deve essere evidenziato che la politica criminale europea, volta ad armonizzare i vari sistemi penali, e quella nazionale siano dirette verso strategie normativo penali talvolta improntate a logiche di tipo emergenziale: in particolare ove la volontà di tutela nei confronti del soggetto passivo del reato si sia spinta fino ad un, forse, eccessivo ricorso del diritto penale2. Il secondo capitolo è specificatamente dedicato al procedimento archiviativo e all’opposizione della persona offesa. In linea con le recenti tendenze legislative europee si evidenzia che il processo di stampo accusatorio, caratterizzato 1 L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia criminale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Vol. 4, 2013, pp. 1761-1763. 2 V. MASARONE, Tutela della vittima e funzione della pena, in Diritto penale e processuale, Vol. 3, 2018, pp. 399-404. V. MASARONE, L’attuale posizione della vittima nel diritto penale positivo: verso un diritto penale “per tipo di vittima”?, in Archivio penale, Vol. 3, 2017, p. 4. Bisogna ricorda il principio di extrema ratio del diritto penale, per il quale la scelta penalizzante deve essere l’ultima tra le alternative possibili, deve cioè imporsi come necessità. 1 dall’opposizione fra accusa e imputato, ha acquisito una singolare sfumatura triadica, data dal maggiore spazio concesso alla persona offesa. Nondimeno, bisogna ribadire che non è tecnicamente una parte del processo3. È stata posta attenzione sulla circostanza che l’archiviazione non coinvolge solo due soggetti, il pubblico ministero e l’indagato, ma riguarda anche la persona offesa, alla quale è concessa la prerogativa di dare impulso processuale e di conseguenza non può esserne esclusa. Recentemente il legislatore è intervenuto in materia e la giurisprudenza ha dovuto risolvere diverse questioni interpretative. Fra le più importanti quelle relative: alla riforma dei termini concessi alle parti, caratterizzata da una costante ricerca della tutela del contradditorio; all’archiviazione per particolare tenuità del fatto, che riveste grande rilevanza per la tutela del principio di offensività e in chiave deflativa; sulle condizioni di ammissibilità dell’opposizione, per evitare istanze dilatorie e al fine di garantire il principio di completezza delle indagini. La terza ed ultima parte dello scritto è dedicata all’art. 410 bis c.p.p., introdotto dalla legge n. 103 del 2017. La novella vuole garantire maggiormente la persona offesa e in particolare ha l’obiettivo di assicurare che la decisione sull’archiviazione sia presa solo dopo aver instaurato il contraddittorio con i soggetti interessati. I propositi di tutela, tuttavia, si sono dovuti scontrare con le esigenze del processo, specie con il rischio di sovraccaricare di lavoro la Corte di Cassazione. Viene superato il ricorso, di cui al comma 6 dell’art. 409 c.p.p., anzi previsto, e la disposizione assegna al tribunale in composizione monocratica il reclamo, per rispondere in primis alle esigenze di economia e velocità processuale4. Si tratta di una novità assoluta in materia di impugnazione del decreto di archiviazione, la cui ratio è assicurare che la decisione sull’archiviazione possa essere presa solo dopo aver instaurato il contraddittorio tra le parti. 3 Tale dimensione è evidente nella direttiva 2012/29/UE. A. MARANDOLA, La riforma Orlando. I profili processuali: prime considerazioni, in Studium Iuris, Vol. 10, 2017, pp. 1109-1112. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, pp. 119158 in Giuliani L., Orlandi R. (a cura di), Indagini Preliminari e giudizio di primo grado, Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103, 2018, pp. 138-140. 4 2 CAPITOLO I LA PERSONA OFFESA DAL REATO: TENDENZE EVOLUTIVE 1. La nozione di persona offesa dal reato Ogni reato provoca una vittima, che può essere o meno palese, «tuttavia si tratta piuttosto di invisibilità che di inesistenza»5. Il legislatore moderno raramente usa tale termine, prediligendo quello di persona offesa dal reato, ovvero il soggetto titolare di un bene leso o messo in pericolo da un’azione criminosa: la figura deriva da una costruzione giuridica che ravvisa nel reato l’offesa a uno o più beni giuridici. Questa va distinta dal civilmente danneggiato, ovvero colui che, in conseguenza ad un reato, ha subito un danno, patrimoniale e o morale, risarcibile; se le figure normalmente coincidono, possono, tuttavia, essere persone diverse6. Il diritto penale tutela la società ed è l’estremo strumento di garanzia dei più importanti beni giuridici garantiti dall’ordinamento. In epoca antica, dal periodo romano al medioevo, la ragione del diritto penale era preminentemente privata con al centro la vittima, secondo la logica della vendetta privata. Quindi, è peculiare notare che questi risalenti sistemi erano molto più attenti ai diritti della vittima che i moderni ordinamenti giuridici, che diversamente sono maggiormente tesi a tutelare i diritti dell’imputato. Il codice di Hammurabi, similmente a testi giuridici indù ed ebraici e alla moderna tradizione giuridica islamica, ritagliava un ruolo decisivo della vittima nella punizione del reo. Lo stesso esercizio dell’azione penale era facoltà discrezionale della vittima7. Con il XV e XVI secolo e la formazione degli Stati moderni, inizia ad affermarsi l’esigenza di una radicale pubblicizzazione del diritto penale, il reato non è più visto come lesione ad un individuo, ma come violazione dell’ordine costituito dal Sovrano; in conseguenza del quale si avvia così l’allontanamento della vittima dalla giustizia penale. Si affermano le logiche a favore dell’idea che lo Stato sia l’unico 5 F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, 1949, p. 166. M.G. AIMONETTO, Persona offesa dal reato, in Enciclopedia del diritto, Vol. XXXIII, 1983, pp. 318319. M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, Un approccio criminologico, 1990, pp. 1-3. 7 M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 1920. 6 3 soggetto protagonista del processo, secondo tale linea evolutiva «l’interesse concreto della vittima viene inglobato in quello astratto della generalità dei consociati, sul presupposto secondo cui la condanna e la pena - ma soprattutto l’espressione pubblica che le connota - valgano allo stesso tempo a restaurare l’ordine giuridico e con esso a riparare la lesione subita dalla persona offesa (anch’essa, evidentemente, concepita come entità astratta)»8. Inoltre, con l’affermarsi dell’illuminismo si vogliono evitare le derive vendicative del diritto penale e tutelare il reo, escludendo gli interessi privati dalle valutazioni svolte nel processo. Questa prospettiva nel tempo ha sempre più emarginato la vittima del reato. Taluni autori ancora modernamente affermano che oltre al soggetto passivo del reato, esiste un’altra vittima, lo Stato, in quanto titolare dell’interesse alla risoluzione del conflitto sociale. Si tratta di un’impostazione di origine storica che è stata, tuttavia, duramente criticata in quanto ha un limitata importanza teoria e pratica9. Occorre precisare che «vittima» è un termine di natura criminologica e non è utilizzato in ambito penalistico e processuale penalistico. Il primo Libro del codice di procedura penale è dedicato ai soggetti, fra i quali la persona offesa dal reato, di cui all’art. 90 c.p.p., le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato, art. 91 c.p.p., nonché la figura del danneggiato dal reato, ex art. 185 c.p., la quale si può costituire parte civile nel processo a norma dell’art. 74 c.p.p. Il vigente codice di procedura penale riprende l’antecedente del 1930, che configurava la persona offesa quale figura ibrida. Pur non ricomprendendola nel novero delle parti private (capo II, titolo III, libro I c.p.p. 1930), infatti non lo era in senso tecnico, le conferiva taluni diritti, in primis quello di querela nonché alcune facoltà di sollecitazione istruttoria, quali la presentazione di memorie, l’indicazione di elementi di prova, la predisposizione di indagini per l’accertamento della verità, a norma dell’art. 306 dell’antecedente codice di procedura penale10. Inoltre, l’art. 304 c.p.p. del 1930 stabiliva l’obbligo, sin dal primo atto istruttorio, in capo al pubblico ministero, al pretore o al giudice istruttore di dare avviso alla persona offesa mediante 8 L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia criminale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2013, Vol. 4, p. 1763. M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 24-26. 9 M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 3-4. 10 Detto codice venne pubblicato con R.D. il 19 ottobre 1930, congiuntamente al Codice penale del 1930, ed è entrato in vigore il 1° luglio 1931. 4 la «comunicazione giudiziaria». Successivamente, il legislatore è intervenuto diverse volte in materia modificando il testo del Codice, ritagliando all’offeso un maggiore ruolo e contribuendo a definirlo con maggiore chiarezza. Un intervento legislativo del 1955 ha conferito il potere al giudice di autorizzare l’assistenza non solo dell’imputato ma anche dell’offeso, in relazione ad atti per i quali in precedenza vigeva il segreto istruttorio interno. Inoltre, la legge n. 932 del 5 dicembre 1969 ha introdotto l’avviso del procedimento, successivamente modificato e rinominato, dalla legge n. 773 del 15 dicembre 197211. Nel tempo si sono, tuttavia, viste ampliare le prerogative di tale soggetto con diversi interventi novellistici di sempre maggiore respiro con, come minimo comune denominatore, il complessivo rafforzamento del suo ruolo12. Deve essere evidenziato che tale rafforzamento, diversamente dalla scelta di altri ordinamenti giuridici che propendono per forme extra procedimentali di partecipazione del soggetto offeso dal reato, si è sviluppato mediante la previsione di un più ampio ruolo alla “vittima” nel processo. Il sistema penale italiano mediante diversi istituti giuridici ha voluto dare poteri e facoltà al soggetto “danneggiato dal reato”13. Il codice di procedura penale del 1988 ha tenuto ferma la distinzione già presente nell’abrogato codice del 1930 fra persona offesa dal reato e parte civile; invece, il concetto di vittima, termine di natura criminologica, maggiormente usato in ambito comunitario è pressoché sconosciuto al diritto processuale interno, anche se recentemente è stato recepito in testi normativi attuativi di provvedimenti comunitari: in particolare, solo l’art. 498, comma 4 ter, c.p.p. utilizza la parola “vittima”, indicando il soggetto titolare dell’interesse protetto dalla norma penale14. Sebbene sia evidente la migliore formulazione della disciplina attuale rispetto alla sopracitata disciplina del codice di rito del 1930, è nondimeno necessario ribadire che ancora oggi alla persona offesa non è riservato un ruolo incisivo nel processo15. Si 11 M.G. AIMONETTO, La persona offesa dal reato, cit., 1983, pp. 318-322. M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 45-51. 12 A. GIARDA, La persona offesa dal reato: appunti alla ricerca di un ruolo processuale, in Studi in onore di Mario Pisani, Vol. 1, 2010, pp. 413 - 421. 13 D. FONDAROLI, Diritto penale, vittimizzazione e "protagonismo" della vittima, in Rivista criminologica. Vittimologia e Sicurezza, Vol. VIII – n.1, 2014, pp. 74 -79. 14 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, IX edizione, 2018, p. 125. V. MASARONE, Tutela della vittima e funzione della pena, in Diritto penale e processuale, 2018, V. 3, pp. 398 - 401. 15 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, p. 125 5 possono individuare difetti genetici del codice di procedura penale del 1988, quest’ultimo infatti pur volendo attuare un processo di parti, non ne contiene alcuna definizione, né vi dedica alcuna disciplina. Il primo Libro del codice è intitolato «Soggetti», questo disciplina le parti pubbliche e private, delineando quindi una categoria generica. La persona offesa è uno dei soggetti che ha maggiormente sofferto tale ampia formulazione; detta tecnica legislativa ha prodotto diverse incertezze, di conseguenza la dottrina e la giurisprudenza hanno, sin da subito, tentato di definire maggiormente il suo ruolo. È d’altra parte evidente il preminente ruolo della persona offesa del reato nella ricostruzione del fatto, pertanto la conseguenza ovvia dovrebbe essere, fra l’altro, il riconoscimento di un suo decisivo ruolo nel processo. Ciò nonostante, le sono stati attribuiti poteri limitati rispetto al pubblico ministero e all’indagato, e la Corte Costituzionale ha sottolineato che la stessa «conserva la veste di soggetto eventuale del procedimento o del processo, ma non di parte»16. La tendenza evolutiva garantistica della vittima è passata, in primo luogo, mediante l’estensione della relativa nozione; la direttiva 2012/29/UE la definisce «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato»17. Si tratta di una definizione di natura criminologica e a derivazione internazionalistica, nella quale viene esaltata la dimensione individuale. Tuttavia, è importante ribadire che la definizione europea si discosta da quella del legislatore italiano che, anche se ha recepito i contenuti della direttiva europea, ha mantenuto il tradizionale dualismo di persona offesa e parte civile; si tratta di una scelta lessicale che abbraccia una visione squisitamente tecnica dell’offeso, al fine di rendere impermeabile il processo alle emozioni. Nonostante ciò, viene superato il processo di de-vittimizzazione che poneva al centro del diritto penale e processuale penale la sola tutela del reo, la sua sottrazione alla vendetta privata e l’attribuzione del potere sanzionatorio in via diretta ed esclusiva allo Stato. Si è assunta la consapevolezza che il giusto processo passa necessariamente 16 Corte Costituzionale, ordinanza n. 339 del 2008. Art. 2 della direttiva 2012/29/UE. La Direttiva è stata adottata il 25 ottobre 2012, andando a sostituire la precedente decisione quadro 2001/220/GAI, ha ricevuto attuazione dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. 17 6 anche dalla tutela della vittima, senza che tale profilo infici sulle esigenze del colpevole e della società18. Lo Stato sociale ricomprende fra gli scopi del diritto penale la tutela della persona offesa dal reato, attività rivolta a di vantaggio un soggetto debole che necessita assistenza; in tale visione viene riconosciuto un importante ruolo alla dignità umana, alla pace sociale e alla tutela dei dritti della personalità. Nonostante gli incontestabili pregi, il superamento del tradizionale e generale disinteresse nei confronti della persona offesa nel processo ha portato ulteriori significative conseguenze, non tutte positive. In primo luogo, specialmente nelle ipotesi nelle quali si costituiscono innumerevoli danneggiati, vi è una forte incidenza sulla durata del processo; inoltre, talvolta, la condanna risponde più al sentimento di giustizia invocato dalle vittime che alla effettiva responsabilità dell’imputato19. Ancora, è stato segnalato che il decadimento del moderno Stato sociale ha spinto a concentrare le aspettative in relazione alla composizione dei conflitti sociali. In questo periodo storico si assiste all’esposizione della vittima e all’esercizio del potere punitivo quale strumenti di controllo e stabilizzazione del consenso politico. La vittima diventa simbolo del pericolo comune in una società nella quale ognuno è vittima potenziale. Tale fenomeno è anche spinto dalle fonti internazionali ed europee che se da una parte individuano un sempre maggiore ruolo alle vittime, riconoscendone i diritti; dall’altra spinge ad armonizzare i vari sistemi penali verso politiche normativo penali talvolta improntate a logiche di tipo emergenziale: in particolare ove la volontà di tutela si è spinta fino ad un, forse, eccessivo ricorso del diritto penale 20. Infine, è necessario superare la tradizionale dicotomia che vede ai due lati opposti dello schieramento la vittima e il criminale, in quanto tale prospettiva si basa su presupposti teorici sbagliati. È opportuno, di conseguenza, affrontare in modo nuovo i rapporti fra i due soggetti del reato, valutando le loro relazioni e le influenze F. DEL VECCHIO, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, in Diritto penale contemporaneo, 2016, pp. 6-10. L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia criminale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Vol. 4, 2013, pp. 1761-1763. 19 D. FONDAROLI, Diritto penale, vittimizzazione e "protagonismo" della vittima, cit., 2014, p. 76. M. VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al protagonismo, 2015, pp. 77-78. L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia criminale, cit., 2013, pp. 1762-1763. A. GIARDA, La persona offesa dal reato: appunti alla ricerca di un ruolo processuale, cit., 2010, p. 415. 20 V. MASARONE, Tutela della vittima e funzione della pena, cit., 2018, pp. 402-406. L. CORNACCHIA, Vittime e giustizia criminale, cit., 2013, pp. 1770-1772. 18 7 specifiche, al fine di costruire in modo corretto il ruolo della vittima21. Occorre, inoltre, tenere presente la diversità delle prospettive vittimologica e giuridica, la prima abbraccia una nozione di vittima ampia e la seconda che propende per un concetto più formale di soggetto passivo del reato. La prima fa riferimento a valutazioni di tipo piscologico e fenomenologico che non devono intaccare, se non marginalmente, quella giuridico penalistica; anche se, in ogni caso, non deve essere del tutto trascurata la realtà umana ed esistenziale della vittima e del reo. Infatti, possono essere individuate delle situazioni di divergenza fra la concezione giuridica e quella vittimologia: a titolo esemplificativo, nel reato di «concussione» di cui all’art. 317 c.p. il soggetto passivo formale è la Pubblica amministrazione, la vittima è il costretto a corrispondere «denaro o altra utilità» al pubblico ufficiale. Infine, porre una maggiore attenzione alle vittime è una condizione fondamentale per meglio comprendere il crimine nel suo complesso e le responsabilità del colpevole. Nel diritto penale la valorizzazione del ruolo della vittima riveste un importante ruolo ai fini della corretta valutazione della pena da irrogare al reo e alla valutazione del reato sotto un profilo sociologico giudiziario, nonché per la prevenzione della criminalità e per la difesa sociale22. 2. L’evoluzione normativa: verso una maggiore tutela della vittima Al fine della corretta analisi delle tendenze evolutive della materia è fondamentale analizzare le indicazioni provenienti da fonti sovranazionali ed europee. Infatti, è grazie soprattutto alle spinte europee che il legislatore italiano nel tempo ha modificato la normativa in materia. La decisione quadro 2001/220/GAI all’art. 2 ha ribadito, a carico dei singoli Stati membri, il compito di prevedere «nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e 21 M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 4- 6. 22 Ibidem, pp. 28-29, 36-39. 8 gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale»23. Il Trattato di Lisbona ha alzato ulteriormente gli standards di protezione delle persone offese, le quali sono espressamente tutelate all’art. 82, 2 comma, del Testo sul funzionamento dell’Unione europea24. È evidente il desiderio di armonizzare le tutele a livello europeo, garantendone un livello un minimo25. Ulteriore passo in avanti è dato da una risoluzione approvata dal Consiglio dell’Unione Europea il 10 giugno 2011 «relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali»; la quale stabilisce al consideranda 1 che «Tutelare attivamente le vittime di reato costituisce una priorità importante per l'Unione europea e i suoi Stati membri» ed inoltre «Sono necessarie pertanto azioni specifiche per stabilire un livello minimo comune di tutela delle vittime di reato e dei loro diritti nei procedimenti penali in tutta l'Unione», come affermato al consideranda 326. La dottrina da tempo si esprimeva in favore di una riforma del ruolo e dei poteri della persona offesa. Tali esigenze hanno trovato voce nella direttiva 2012/29/UE, prodotto finale di un nutrito corpus normativo a livello europeo che ha progressivamente rivisto il ruolo della vittima, con la quale si sono voluti individuare standards minimi di tutela, globali e comuni; inoltre, emerge la predisposizione di strumenti di protezione sempre più calibrati sulle specifiche esigenze del caso concreto. La direttiva ha contribuito a ridefinire il volto del processo, che in essa acquisisce una inedita dimensione triadica, viene compresa tra i soggetti processuali anche la vittima, alla quale sono stati riconosciuti ampi diritti27. 23 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, p. 125. Si fa riferimento alla Decisione quadro del Consiglio, (2001/220/GAI), del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale; adottata a norma del titolo VI del trattato sull'Unione europea. 24 Il trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007 ed è entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, ha apportato ampie modifiche al Trattato sull'Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea. Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), da ultimo modificato dall'articolo 2 del trattato di Lisbona, è stato ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130, su G.U. n. 185 dell'8-8-2008 - Suppl. ordinario n. 188. 25 R. E. KOSTORIS, Manuale di procedura penale europea, III edizione, 2017, pp. 177-183. 26 Risoluzione del Consiglio 2011/C 187/01. 27 S. RECCHIONE, La vittima cambio il volto al processo penale: le tre parti “eventuali”, la testimonianza dell’offeso vulnerabile, la mutazione del principio di oralità, in Diritto penale contemporaneo, Vol. 1, 2017, p.70 9 In tale prospettiva le viene ritagliato un importante ruolo ai fini del buon esito del processo; la parte privata può partecipare al processo sin dalle fasi iniziali insieme all’imputato e gode di un’autonomia che, diversamente dal nostro ordinamento, comporta il superamento del legame al pubblico ministero: soggetto al quale nel nostro sistema, è integralmente affidata la tutela dei suoi interessi28. L’aspetto centrale della direttiva emerge dalla configurazione di un sistema di tutela in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, considerando il reato come «non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime», con l’obiettivo comune di scongiurare il fenomeno della cd. vittimizzazione secondaria o ripetuta, più volte richiamata dalla direttiva29. A partire dagli anni settanta, è stata riscoperta la vittima, anche grazie all’impulso dato dagli studi vittimologici, categoria del pensiero criminologico, che hanno dimostrato con drammaticità i vuoti di tutela di cui soffre la vittima nel sistema penale moderno 30. Infatti, gli esperti sempre di più pongono in evidenza i rischi del fenomeno sopracitato, che fa riferimento alle conseguenze negative prodotte dal successivo confronto della vittima con la società e la realtà normativa, nello specifico all’esposizione processuale, in particolare se legata alla cassa di risonanza dei mass media. Il legislatore italiano, di conseguenza, ha modificato la disciplina del codice di rito considerando con maggiore attenzione le esigenze della persona offesa. Occorre precisare che la direttiva stabilisce le sole norme minime di tutela, lasciando agli Stati la possibilità di prevederne una più ampia rispetto a quella delineata a livello europeo31. S. RECCHIONE, La vittima del reato e l’attuazione della direttiva 2012/29/UE: le avanguardie, i problemi, le prospettive, in Diritto penale contemporaneo, 2015, p. 2. 29 La Direttiva (2012/29/UE) istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. È citato il consideranda n. 9; a titolo esemplificativo circa la vittimizzazione secondaria si guardi ai consideranda 9, 17 e 53. Gli studi vittimologici richiamano anche la vittimizzazione primaria, che riguarda le conseguenze dirette dell’atto subito; recentemente anche di vittimizzazione terziaria, ovvero a danno dello stesso imputato, che in caso di restrizione delle garanzie individuali è sottoposto a particolari abusi da parte del potere statale di coercizione penale. Per una puntuale analisi dei problemi della vittimizzazione nel processo penale si legga M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit., 1990, pp. 69-85. 30 F. PARISI, Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria, Relazione al Seminario transnazionale, “The Role of the Community in the Restorative Culture”, organizzato dall’istituto CRESM e svoltosi a Gibellina il 26 ottobre 2012, in Diritto penale contemporaneo, 2012, pp. 3-4. 31 F. DEL VECCHIO, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento dell’Italia alla direttiva 2012/29/UE, cit., 2016, pp. 1-3. 28 10 L’art. 2, della direttiva, rubricato «Definizioni» ha adottato una nozione particolarmente estensiva di «vittima», ricomprendendo non solo il soggetto passivo del reato ovvero colui che ha subito un danno fisico, mentale, emotivo, o patrimoniale, ma anche i familiari della vittima deceduta a causa del reato. Il nucleo portante della direttiva che delinea i diritti e le facoltà delle vittime, quindi, si può tripartire: sulla «informazione e sostegno», di cui al Capo 2; sulla «partecipazione (delle stesse) al procedimento penale», Capo 3; infine «sulla protezione delle vittime e riconoscimento delle vittime con specifiche esigenze di protezione», Capo 4. Circa il Capo 2 deve essere considerato il diritto ad avere le informazioni rilevanti per la tutela dei suoi interessi sin dai primi momenti del procedimento penale. In merito alla partecipazione si individuano diverse garanzie, fra le quali: in materia probatoria, riconoscendo alla vittima il diritto ad essere sentita ed a fornire mezzi di prova, in particolare si fa riferimento all’art. 10 della direttiva; il diritto ad accedere al patrocinio a spese dello Stato, art. 13; il diritto alla restituzione dei beni sequestrati nell’ambito del processo penale, art. 15. Particolare attenzione è da porre all’art. 11 rubricato «Diritti in caso di decisione di non esercitare l'azione penale». Questa norma disciplina espressamente il diritto «di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l'azione penale, […] almeno alle vittime di gravi reati». La direttiva ha ricevuto attuazione nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 2015, n. 212, il cui art. 1 ha previsto nel titolo VI del libro I dedicato alla persona offesa, gli artt. 90 bis, 90 ter, 90 quater e il nuovo comma 2 bis dell’art. 90 al codice di procedura penale; l’art. 90 bis inoltre è stato ulteriormente modificato dalla legge n. 103 del 201732. 32 R.E. KOSTORIS, Manuale di procedura penale europea, cit., pp. 177-183. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, p. 125. S.C. CONIGLIARO, La nuova normativa europea a tutela delle vittime di reato. Una prima lettura della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, cit., 2012, pp. 1-6. 11 3. I diritti informativi e partecipativi: la valorizzazione della persona offesa In coerenza con quanto sopra affermato, si può constatare un generale ampliamento dei diritti informativi e partecipativi alla persona offesa, come emerge dal nucleo portante della direttiva 2012/29/UE. Il d.lgs. n. 212 del 2015, in attuazione della direttiva 2012/29/UE, ha introdotto l’art. 90 quater c.p.p. al codice di rito, nel quale vengono indicati i criteri volti ad individuare la vittima in una condizione di particolare vulnerabilità. Inoltre, ha disciplinato alcuni diritti in capo alla persona offesa, i quali sono stati oggetto di riforma legislativa da parte della legge n. 103 del 2017. L’art. 90 bis c.p.p., inserito dal citato d.lgs. del 2015, ha voluto dare attuazione agli artt. 4 e 6 della direttiva del 2012 concernenti il diritto «di ottenere informazioni fin dal primo contatto con un’autorità competente» e di «ottenere informazioni sul proprio caso»33. Il primo comma disciplina un generale diritto della persona offesa a ricevere informazioni sul procedimento in una lingua comprensibile. Può essere fatto un parallelo fra la norma in esame e l’art. 369 bis c.p.p. circa le informazioni da dare alla persona sottoposta ad indagini; le due fattispecie similmente prevedono, sebbene con ambiti applicativi diversi, il diritto ad essere informati circa le proprie vicende processuali. La lettera c regola «la facoltà (della persona) di essere avvisata della richiesta di archiviazione»; il successivo intervento del 2017, operando sulla lettera b, ha previsto «la facoltà di ricevere comunicazione del procedimento e delle iscrizioni di cui all’art. 335, commi 1, 2, 3 ter». Sebbene il diritto di ricevere informazioni sullo stato del procedimento fosse presente anche nella formulazione antecedente, la previsione ha assunto maggiore forza. Oltre al rinvio all’art. 335, comma 3 ter c.p.p., viene espressamente previsto il diritto della persona offesa a ricevere dall’autorità procedente le informazioni sullo stato del procedimento: l’art. 90 bis c.p.p. contiene un’elencazione dei diritti garantiti. Tuttavia, sono stati evidenziati i limiti degli avvisi di cui all’art. 90 bis c.p.p.: questi sono infatti svolti mediante informazioni contenute in un atto scritto che, di 33 Si guardi alla rubrica degli artt. 4 e 6 della direttiva 2012/29/UE. 12 conseguenza, risulta poco fruibile da parte della maggior parte delle persone offese. È stato segnalato che i diritti di informativa riuscirebbero a svolgere appieno la loro funzione solo se la persona offesa nominasse un difensore che la possa consigliare circa le operazioni processuali da intraprendere34. Sarebbe stata preferibile la soluzione promossa dal consideranda 62 della direttiva 2012/29/UE, che auspicava da parte dell’autorità competenti l’organizzazione di «punti unici di accesso» o «sportelli unici» preposti alla cura concreta dei diversi bisogni delle vittime, «compreso il bisogno di ricevere informazioni, assistenza sostegno, protezione e risarcimento». Anche l’art 90 ter c.p.p., inserito dal d.lgs. 212 del 2015, in attuazione dell’art. 6, comma 5, della direttiva 2012/29/UE, è caratterizzato dal fine di garantire informazioni alla persona offesa, in particolare del diritto ad essere informata nei delitti commessi con violenza circa i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione delle misure di sicurezza. Inoltre, la riforma Orlando è anche intervenuta sull’art. 335 c.p.p., inserendo il comma 3 ter, che così dispone «la persona offesa dal reato può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo». La formulazione legislativa lascia dei dubbi in particolare circa la locuzione «può chiedere» che sembra alludere alla possibilità di non accoglimento dell’istanza da parte del giudice. L’avviso sottostà a diversi requisiti: in primis l’avviso non deve arrecare «pregiudizio del segreto investigativo»; in secondo luogo l’avviso è subordinato alla richiesta della parte offesa; infine che «siano decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia ovvero della querela». Gli artt. 90 bis, lett. b., e 335, comma 3 ter, c.p.p. sviluppano un diritto informativo ampio che mira a superare le asimmetrie informative sussistenti durante le indagini preliminari fra i diversi soggetti del processo. Sebbene sia individuabile il fine della disciplina citata, la formulazione della fattispecie appare in talune parti oscura: è sicuramente incerta la locuzione «dall’autorità che ha in carico il procedimento», non è facilmente individuabile il soggetto sui cui verte l’onere informativo, che si suppone essere il Pubblico ministero. Si ritiene che la richiesta 34 P. TONINI, Manuale di procedura penale, XIX edizione, 2014, p. 156. 13 possa essere genericamente indirizzata alla Procura della Repubblica ove è stata antecedentemente presentata l’istanza, la querela o la denuncia. In conclusione, occorre ricordare che alla violazione delle comunicazioni di cui agli artt. 90 bis e 90 ter c.p.p. non sono collegate sanzioni, ovvero non sono previste a pena di nullità, di conseguenza una loro violazione comporta una mera irregolarità, di cui all’art. 124 c.p.p.35 35 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp.129-133. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, in Giuliani L., Orlandi R. (a cura di), Indagini Preliminari e giudizio di primo grado, Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103, 2018, pp. 124-129. 14 CAPITOLO II IL RUOLO DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO NELLA PROCEDURA DI ARCHIVIAZIONE 1. La procedura di archiviazione La fase delle indagini preliminari, in quanto attività degli organi inquirenti, è destinata a proseguire sfociando in una delle forme dell’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 405 c.p.p., o ad esaurirsi con l’archiviazione (artt. 408 a 415 c.p.p.), «realtà (ad essa) speculare»: è stato affermato che «l’archiviazione non è altro che la faccia oscura dell’art. 112 Cost.»36. Suddetta disposizione costituzionale è dedicata all’azione penale e in via indiretta dà rilevanti indicazioni sull’archiviazione. «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», ciò non significa, tuttavia, che ne sia sempre obbligato: deve nel momento nel quale sussistono i presupposti. Il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l’azione penale, di cui ne è titolare esclusivo, o diversamente richiedendo l’archiviazione. Sarebbe d’altra parte pericoloso ed utopistico esercitare l’azione penale su tutte le notitie criminis. Un simile obbligo sarebbe concretamente inesigibile e darebbe un forte pretesto per la sua inapplicabilità. Inoltre, parte della dottrina ha criticato fortemente il principio ritenendo sia uno dei principali motivi di inefficienza della giustizia. Quindi, l’archiviazione, alla luce dell’art. 112 Cost., a livello legislativo l’art. 50 c.p.p., ha la funzione di accertare i casi nei quali non sussistano i presupposti per l’esercizio dell’azione penale, al fine di esonerare, in via eccezionale, da tale obbligo il pubblico ministero37. Preliminarmente, deve anche essere evidenziato il tradizionale dogma dell’interesse pubblico alla messa in moto del processo penale, questo si riflette nel monopolio dell’azione penale da parte del pubblico ministero. Inoltre, tale assunto ha Si tratta di definizioni di G. GIOSTRA, L’archiviazione, lineamenti sistematici e questioni interpretative, cit., 1994, pp. 8, 12. 37 G. GIOSTRA, L’archiviazione, lineamenti sistematici e questioni interpretative, II edizione, 1994, pp. 7-12. M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, 1995, p. 92. G. LEONE, Azione penale, in Enciclopedia del diritto, Vol. IV, 1959, pp. 851-855. 36 15 avuto importanti ripercussioni sull’offeso, che non è individuato nel singolo soggetto leso dal reato e che in via generale non è legittimato ad esercitare l’azione penale38. L’archiviazione si fonda sull’infondatezza della notizia di reato, l’art. 408 c.p.p. dispone che «il pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata» o nel caso in cui non sia concretamente esercitabile, «presenta al giudice richiesta di archiviazione». L’infondatezza della notitia criminis viene valutata al termine di un lungo iter investigativo. Inoltre, al fine di garantirne una maggiore determinazione, il legislatore al D.lgs. n. 271 del 28 luglio 1989 all’art. 125 ha stabilito che «il pubblico ministero presenta al giudice una richiesta di archiviazione quando ritiene l'infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio», ovvero deve essere valutata l’attitudine degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio. L’archiviazione della notizia di reato può anche essere disposta alla conclusione delle indagini preliminari se è rimasto ignoto l’autore del fatto, ex art. 415 c.p.p.; qualora risulti mancante una condizione di procedibilità, ex art. 411, 1 comma c.p.p.; nelle ipotesi di cui all’art. 131 bis c.p., per l’art. 411 bis, comma 1 bis, c.p.p. per particolare tenuità del fatto; infine se il reato risulta estinto ovvero il fatto non sia previsto dalla legge come reato. L’insieme dei presupposti positivi per l’archiviazione costituiscono, a contrario, i requisiti negativi dell’azione penale; spetta, quindi, al pubblico ministero decidere fra una delle due opzioni possibili, attuando una valutazione che è espressione di discrezionalità tecnica39. Il principio di obbligatorietà dell’azione penale tutela la giustizia legale grazie, da un lato al controllo giurisdizionale sull’archiviazione e dall’altro dall’indipendenza dall’esecutivo, avvenuta con la costituzione repubblicana e il superamento del potere di «direzione» del Ministero sul pubblico ministero. L’art. 112 Cost. garantisce che poteri esterni alla magistratura possano influenzare l’esercizio dell’azione penale 40. Viene così assicurata la concreta attuazione: del principio di uguaglianza, di cui all’art. M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, cit., 1995, pp. 10-13. Tale riflessione è in linea con il primo capitolo nel quale ho evidenziato la rilevanza pubblicistica del processo penale e il corrispettivo allontanamento dalla sua dimensione privata. 39 M. SCAPARONE, Procedura penale, V edizione, 2017, Vol. I, pp. 80-81. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 588-589. 40 M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, cit., 1995, pp. 77-78, 91-94. Si guardi anche alla sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 1979. 38 16 3 Cost., anche nel caso in cui la persona offesa non abbia disponibilità economiche il reato deve essere perseguito; del principio di legalità, affermato dal comma 2 dell’art. 25 Cost., la legge determina i casi nei quali una persona debba o meno essere punita, scelta che non può essere lasciata alla discrezionalità di un soggetto. Inoltre, per innumerevoli ragioni non si deve trascurare che il pubblico ministero possa sbagliare: errare humanum est. Può di conseguenza avvenire che l’accusa non eserciti l’azione penale nonostante ne ricorrano i presupposti, in violazione della Costituzione. Dati tali principi, consegue che il doveroso esercizio dell’azione penale deve essere sottoposto ad una verifica circa l’effettiva inesistenza dell’obbligo, che per avere reale efficacia deve essere affidato ad un soggetto terzo e imparziale. Tradizionalmente questo è svolto dal giudice, già previsto all’art. 179 del codice di rito del 1913, nel vecchio codice del 1930 è stato reintrodotto dal d.lgs. n. 288 del 1944. Oggi il controllo è svolto dal giudice delle indagini preliminari che, a norma dell’art. 409 c.p.p., vaglia la richiesta di archiviazione del pubblico ministero41. In particolare, si fa riferimento alla Legge n. 81 del 1987, «Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale», all’art. 2 nn. 42, 49 e 52. Inoltre, deve sin da ora essere ribadito che tale controesame per essere effettivo deve essere accompagnato dal riconoscimento al giudice di poteri volti a «ovviare all’illegittima inazione del pubblico ministero». Infine, l’art. 111 Cost., comma 2, impone che «ogni processo si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale», disponendo di conseguenza che il giudice non possa sostituirsi ad una parte e che non possa esercitare prerogative attribuite ad un altro organo: ciò porta ad interrogarsi sui limiti di tale potere di verifica e sui rapporti fra i due organi42. La Corte Costituzionale ha affermato: «Il principio di obbligatorietà dell'azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice: ed 41 P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., 2014, pp. 594-595. C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?, in Diritto penale e processo, 2017, Vol. 7, pp. 962-963. Il vaglio giurisdizionale è affiancato ad ulteriori strumenti controllo. 42 G. ANGIOLINI, I limiti del controllo sull’adempimento dell’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale, Commento a Cass., Sez. Un., 28 novembre 2013 (dep. 30 gennaio 2014), n. 4319, Pres. Santacroce, Rel. Lombardi, ric. P.m. in proc. L. e altri, in Diritto penale e contemporaneo, 2014, p. 6. G. GIOSTRA, L’archiviazione, lineamenti sistematici e questioni interpretative, cit., 1994, pp. 910. Sono di quest’ultimo autorevole autore le citazioni riportate. 17 in esso è insito, perciò, quello che in dottrina viene definito favor actionis. Ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa, consentendo all'organo dell'accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all'oggettiva infondatezza della notitia criminis; ma comporta, altresì, che in casi dubbi l'azione vada esercitata e non omessa. Di ciò è, del resto, palese dimostrazione la formulazione - mai messa in discussione - dell'istituto dell'archiviazione in termini di "manifesta infondatezza"»; da ciò ne deriva che il «Limite implicito alla stessa obbligatorietà, razionalmente intesa, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo […]»43. Tradurre nel nuovo sistema accusatorio il principio di cui all’art. 112 Cost. e quello di non superfluità del processo, significa affermare che se l’accusa non è sostenibile, ovvero è processualmente infondata, di conseguenza porterebbe ad una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. L’esercizio indiscriminato dell’azione penale comporterebbe un uso antieconomico del processo, andando ad assorbire risorse, limitate, in lesione dell’interesse generale. La Corte Costituzionale nella già citata sentenza, infatti, afferma che «azione penale obbligatoria non significa, però, consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis»44. Alla richiesta di archiviazione presentata a norma dell’art. 408 c.p.p., che deve essere notificata alla persona offesa nell’ipotesi nella quale abbia dichiarato di volerne essere informata, conseguono due strade: a norma del primo comma dell’art. 409 c.p.p., «Fuori dei casi in cui sia stata presentata l’opposizione prevista dall’articolo 410, il giudice, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero». Il giudice deve, quindi, valutare se il pubblico Ministero abbia rispettato il principio di obbligatorietà dell’azione penale, ovvero se sussistano i presupposti per l’archiviazione. Al termine di tale valutazione, nel caso in cui il giudice concordi con la valutazione del pubblico ministero dispone l’archiviazione de plano, emettendo un decreto motivato. Il fascicolo viene restituito al pubblico ministero a norma dell’art. 409, comma 1, c.p.p. e non viene instaurato il 43 Corte Costituzionale n. 88 del 1991. L. KALB, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, in Diritto penale e processo, Vol. 10, 2017, p. 1309. È citata la sentenza della Corte Costituzionale n. 88 del 1991. N. MASTROMATTEO, Opposizione alla richiesta di archiviazione e tutela del contraddittorio, in Diritto penale e processo, Vol. 8, 2017, pp. 1101-1103. 44 18 contraddittorio, del quale si giustifica l’assenza in quanto l’indagato non può aspirare a un provvedimento maggiormente favorevole e la mancata opposizione della persona offesa manifesta la sua mancanza di interesse. Diversamente, se la persona offesa produce un’opposizione ammissibile ai sensi dell’art. 410 c.p.p. o anche in sua assenza, quando il giudice ritiene non ammissibile prima facie la richiesta di archiviazione, fissa un’udienza in camera di consiglio, da svolgersi nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p. In tale evenienza, infatti, se il giudice per le indagini preliminari ritiene che non siano sussistenti i requisiti per procedere all’archiviazione, fissa un’udienza in camera di consiglio instaurando un contraddittorio fra le parti: la persona offesa, il pubblico ministero e l’indagato. Dalla disposizione emerge il potere di controllo affidato alla persona offesa; la previsione di un meccanismo volto a vigilare sulle archiviazioni arbitrarie è necessario al fine di dare realisticamente applicazione al principio di obbligatorietà dell’azione penale45. Un aspetto su cui deve essere posta l’attenzione è dato dalla circostanza che l’archiviazione non coinvolge solo due soggetti, il pubblico ministero e l’indagato, ma riguarda anche la persona offesa, soggetto al quale è anche concessa la prerogativa di dare impulso processuale, di conseguenza non può essere esclusa da tale fase. D’altra parte, se il processo a stampo accusatorio presuppone la terzietà del giudice, ne deriva che nel rito di archiviazione si ricrei una dialettica fra le parti46. 2. L’opposizione all’archiviazione Nel previgente codice di procedura penale non era previsto un istituto simile, l’art. 306 c.p.p. assegnava alla persona offesa un ruolo di spiccata rilevanza pubblicistica. Il soggetto leso era chiamato a collaborare alla ricostruzione dei fatti, all’accertamento della verità e all’individuazione dei soggetti responsabili del reato; tra i poteri vi era il diritto di presentare memorie, indicare elementi di prova e proporre indagini per l’accertamento della verità. Il secondo comma del citato articolo stabiliva M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, cit., 1995, pp. 55-58. N. MASTROMATTEO, Opposizione alla richiesta di archiviazione e tutela del contraddittorio, cit., 2017, pp. 1101-1103. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 594-596. 45 46 19 che «L’esercizio di questa facoltà non conferisce alla predetta alcun altro diritto nel procedimento». Le facoltà riconosciute erano pacificamente considerate dalla giurisprudenza tassative ed erano esclusi poteri diversi da quelli stabiliti dalla legge47. A livello europeo, ormai da più di venticinque anni, si è affermato che deve essere posta particolare attenzione all’archiviazione, la principale conseguenza è la previsione della possibilità per la vittima di impugnare il provvedimento di fronte ad un diverso organo rispetto al pubblico ministero48. Nel vigente sistema, di cui al codice di procedura penale del 1988, l’opposizione alla richiesta di archiviazione è una delle più importanti prerogative riconosciute alla persona offesa, in conseguenza del fatto che le permette di intervenire in questa fase, incidendo sulla decisione del giudice. Nel caso in cui venga presentata l’opposizione il giudice delle indagini preliminari non potrà disporre l’archiviazione con decreto de plano, ma deve fissare un’udienza e instaurare il contraddittorio a norma dell’art. 409, 2 comma, c.p.p.49 Occorre in via preliminare fare alcune precisazioni circa la funzione di tale istituto. Secondo l’intenzione del legislatore, la previsione della possibilità dell’opposizione all’archiviazione della parte offesa risponde all’esigenza di disciplinare ed incentivare un ulteriore controllo e di stimolare l’azione del pubblico ministero, in particolare sulla completezza delle indagini: possono infatti sussistere lacune investigative, ma se emergono devono essere affrontate anche a discapito di una maggiore complessità dell’iter procedimentale50. La Corte di Cassazione ha efficacemente affermato la strumentalità di questo diritto: «L'art. 410 c.p.p., infatti, configura un sistema equilibrato in forza del quale, attraverso il meccanismo dell'opposizione alla richiesta di archiviazione, si vuole 47 Si fa riferimento al codice di procedura penale del 1930, nel quale i diritti e le facoltà della persona offesa erano disciplinati agli artt. 300, 304, 304 bis, 306. M.E. MELE, L. VARRONE, a cura di, La persona offesa dal reato nella giurisprudenza costituzionale, Raccolta di normativa, giurisprudenza e dottrina, Corte Costituzionale, Servizio studi, 2015, pp. 33, 41. 48 M.M. CORRERA, R. RIPONTI, La vittima nel sistema italiano della giustizia penale, cit.,1990, pp. 127128. 49 R. FONTI, L’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, in Archivio Penale, Vol. 2, 2013, pp. 1-2. 50 C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?, cit., 2017, pp. 965-966. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 596-598. 20 rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell'azione penale in caso di inerzie e lacune investigative del pubblico ministero, ma, nel contempo, si vuole anche evitare istanze di prosecuzione delle indagini meramente pretestuose o dilatorie, offrendosi in tali ipotesi al giudice lo strumento per disporre de plano l'archiviazione»51. La Corte Costituzionale, richiamata dalla Cassazione, inoltre, alcuni anni prima aveva affermato che mediante l’art. 410 c.p.p. «la persona offesa si duole per l'insufficienza e l'incompletezza delle indagini svolte dal pubblico ministero. Al riguardo, è significativo che, nell'individuare i vari strumenti di garanzia volti a rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell'azione penale in caso di inerzie e lacune investigative del pubblico ministero, la Corte abbia indicato anche l'opposizione della persona offesa facendo espresso richiamo alla disciplina descritta dall'art. 410 cod. proc. pen. […]»52. Il Codice di rito disciplina l’opposizione sul presupposto dell’adempimento degli oneri informativi a carico del pubblico ministero. Questi sottostanno a termini che hanno natura dilatoria per il pubblico ministero e acceleratoria per la parte offesa, conseguenza logica è che solo decorso il termine per proporre opposizione il pubblico ministero potrà trasmettere gli atti al giudice delle indagini preliminari53. Infine, deve essere evidenziato che l’opposizione non viene considerata un’impugnazione, in quanto non è un atto diretto contro un provvedimento del giudice. Recentemente la giurisprudenza ha ribadito tale natura affermando che l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione è espressione del potere di cui all’art. 121 c.p.p., comma 1, per il quale «in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria», ne consegue che non sia applicabile l’art. 582 c.p.p.54. Parte della dottrina ha criticato questa interpretazione sulla base del dettato normativo, in quanto carente di un presupposto fondamentale: l’art. 121, comma 1, c.p.p., parla espressamente di parte, tuttavia la persona offesa non è tecnicamente una parte del 51 Cassazione penale, Sez. V., 2014, n. 17968. Corte Costituzionale, 1997, n. 95. 53 C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?, cit., 2017, pp. 965-966. 54 Fra le altre Cassazione penale, Sez. II, 2016, n. 39346; si guardi a A. MARANDOLA, a cura di, Osservatorio Corte di cassazione - Processo penale, Opposizione, in Diritto penale e processo, Vol. 11, 2016, p. 1426. Cassazione penale, Sez. I, 2013, n. 28477. 52 21 processo, di conseguenza per tale orientamento la norma non troverebbe applicazione55. 2.1 I termini per proporre opposizione La legge Orlando ha modificato la disciplina dei termini al fine di garantire la concreta attuazione del principio del giusto processo, in particolare del contraddittorio nella fase archiviativa e della ragionevole durata del processo, di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. Con la riforma del 1999 il contraddittorio è stato elevato a requisito fondamentale del giusto processo, anche nell’ambito dell'istanza di archiviazione, in quanto propedeutico al diritto di prendere visione degli atti e alla facoltà di presentare opposizione; inoltre, il principio di legalità sostanziale deve trovare supporto nel principio del contraddittorio che per essere concretamente efficace presuppone la legalità processuale56. Un primo aspetto problematico della disciplina riguardava il termine ultimo entro il quale l'offeso poteva presentare la dichiarazione di voler essere informato circa la richiesta di archiviazione: l'art. 408 c.p.p., 2 comma, si limita a prevedere che tale richiesta possa essere presentata successivamente alla notizia di reato. La giurisprudenza era divisa, il primo orientamento sosteneva che il dies ad quem per questa dichiarazione potesse essere anche dopo il deposito della richiesta di archiviazione purché prima che il giudice adottasse il relativo provvedimento; diversamente, un secondo riteneva che l'istanza fosse tardiva se proposta successivamente alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, di conseguenza non legittimasse la persona offesa a ricevere l'avviso di cui al secondo comma dell'art. 408 c.p.p. Le Sezioni Unite sono intervenute per risolvere il contrasto accogliendo l'orientamento restrittivo e sottolineando che la dichiarazione della persona offesa di voler essere informata circa l'eventuale archiviazione, possa essere anche successiva alla comunicazione della notizia di reato; ma, per comportare l'obbligo da parte del C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?, cit., 2017, pp. 967-968. C. OVI, a cura di, Codice commentato di procedura penale, art. 410 c.p.p, in Leggi d’Italia PA, pp. 1-3, consultato in data 29/04/2019. 56 Si fa riferimento alla Legge cost. 23 novembre 1999, n. 2. 55 22 pubblico ministero di far notificare l'avviso della richiesta di archiviazione, deve necessariamente precedere la formulazione di tale richiesta. Resta fermo che, qualora la persona offesa ne sia comunque venuta a conoscenza, essa ha pur sempre il diritto, finché non sia intervenuta la pronuncia del giudice, di proporre opposizione ai sensi dell'art. 410 c.p.p.57. Un secondo aspetto di grande importanza è relativo ai termini di cui al 408 c.p.p. La persona offesa, anche se già informata a norma dell’art. 90 bis c.p.p., prima della riforma disponeva di termini particolarmente stringenti, dieci giorni di cui all’art. 408, comma 3, c.p.p., che concretamente non gli consentivano di valutare se fare o meno opposizione avverso il provvedimento archiviativo58. Prima che intervenisse il legislatore, l’inadeguatezza della disciplina quindi aveva portato sia la dottrina sia la giurisprudenza prevalente ad affermare che l’opposizione fosse ammissibile anche se l’atto fosse depositato dopo la scadenza del termine purché prima della pronuncia del giudice. Il termine di cui all’art. 408 c.p.p. veniva considerato di natura dilatoria per il pubblico ministero e il giudice delle indagini preliminari e non perentorio per la persona offesa, tuttavia permaneva il rischio che il giudice decidesse de plano sulla richiesta. La Corte di Cassazione era giunta ad affermare che «l'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione proposta oltre il termine di dieci giorni dalla notificazione dell'avviso della richiesta non ne determina l'inammissibilità e non esonera, quindi, il giudice che nel frattempo non abbia già provveduto, dal valutarla […] posto che, a prescindere anche dalla ritualità della richiesta di avviso formulata dalla persona offesa, qualora questa sia comunque venuta a conoscenza della richiesta di archiviazione, ha pur sempre il diritto, finché non sia intervenuta la pronuncia del giudice, di proporre opposizione ai sensi dell'art. 410 c.p.p.: […]»59. Il limitato spazio di tutela garantitogli era dato dall’eventuale ricorso per Cassazione, che doveva essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, dal difensore iscritto nell'albo dei patrocinanti 57 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 2004, n. 3547. C. OVI, a cura di, Codice commentato di procedura penale, art. 408 c.p.p, in Leggi d’Italia PA, pp. 5-6, consultato in data 29/04/2019. 58 L’art. 90 bis è stato introdotto dal D.lgs. n. 212 del 2015, al fine di dare maggiore garanzia ai diritti informativi della persona offesa; la norma ha imposto all’autorità procedente, sin dal primo contatto, di informare la persona offesa circa la facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione. Tale diritto era del tutto assente nella previgente disciplina, di conseguenza la persona offesa rischiava di essere privata del diritto di presentare opposizione. 59 Cassazione penale, Sez. VI, 2010, n. 1842. 23 dinanzi alle giurisdizioni superiori, avverso il provvedimento di archiviazione emesso a sua insaputa60. Date tali premesse, il termine di dieci giorni è stato raddoppiato dalla Legge n. 103 del 2017 per dare concreta attuazione al contraddittorio in questa fase processuale: così viene previsto uno spazio temporale idoneo al fine di valutare l’opposizione. L’attuale formulazione dell’art. 408 c.p.p., comma 2, intima al pubblico ministero di dare avviso della richiesta alla persona offesa che abbia dichiarato di volerne essere informata. Il comma 3, come modificato dalla Legge Orlando, impone che «nel termine di 20 giorni, la persona offesa possa prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari». Infine, il comma 3 bis stabilisce che, circa i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di cui all’art. 624 bis c.p., «l’avviso sia in ogni caso notificato a cura del pubblico ministero», inoltre il termine è aumentato a trenta giorni. La notificazione assolve ad una duplice funzione: in primo luogo, consente un controllo da parte della persona offesa; in secondo luogo permette una ponderazione maggiore da parte della medesima61. Deve, inoltre, essere evidenziato che la notifica doverosa di cui al comma 3 bis dell’art. 408 c.p.p. se da una parte responsabilizza il pubblico ministero, dall’altra rischia di ledere il diritto all’oblio della persona offesa, ovvero «del diritto di ottenere o di non ottenere informazioni» sul proprio caso, enunciato all’art. 6, comma 4, della direttiva 2012/29/UE. Suddetto diritto è volto ad evitare conseguenze negative sul processo di superamento del trauma dovuto al reato prodotto dal costante aggiornamento circa il processo penale; la vittima sarà infatti sempre informata indipendentemente dal suo desiderio di venire coinvolta nel procedimento penale con un rischio di vittimizzazione secondaria. Oltre all’ampliamento del termine è interessante analizzare l’ambito operativo della disciplina e in particolare l’estensione attuata mediante una tecnica casistica dalla legge n. 103 del 2017. Il comma prevede, in primo luogo una locuzione che rimanda R. FONTI, L’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, in Archivio penale, 2013, Vol. 2, p. 9. C. OVI, a cura di, Codice commentato di procedura penale, art. 410 c.p.p, in Leggi d’Italia PA, pp. 1-2, consultato in data 29/04/2019. 61 A.A. SALEMME, Parte terza: la persona offesa, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Anno 2016, Vol. 05, 2017, pp. 266-267. 60 24 ai delitti commessi «con l’uso della violenza sulla persona» caratterizzata da una scarsa determinatezza; in secondo luogo l’ambito operativo della fattispecie è stato circostanziato dalla riforma nella parte in cui richiama l’art. 624 bis. Tale ampliamento del quale è difficile ricostruire la ratio, sembra rispondere alla sola esigenza di dare voce all’allarme sociale. Si tratta di una scelta demagogica che, tuttavia, può creare contrasti con l’art. 3 della Costituzione, in particolare in relazione alle fattispecie escluse dalla disciplina di favore62. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato una delicata questione interpretativa circa la portata applicativa del citato comma 3 bis; la cui formulazione nella sua prima parte, come già detto, pecca di determinatezza63. Veniva enunciato il seguente quesito «se l'espressione "violenza alla persona", contenuta nel comma 3-bis dell'art. 408 cod. proc. pen., comprenda le sole condotte di violenza fisica o includa anche quelle di minaccia, e se di conseguenza il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. sia incluso tra quelli per i quali il citato art. 408, comma 3-bis, prevede la necessaria notifica alla persona offesa dell'avviso della richiesta di archiviazione»64. Si possono individuare due profili, il primo relativo alla determinazione del concetto di «violenza alla persona»; il secondo seguendo la prospettiva della persona offesa, che nel tempo ha sempre di più visto ampliare le tutele e diritti di protezione delle vittime di reato. Negli ultimi dieci anni, con sempre maggiore evidenza è stata portata avanti un’attenzione alla persona offesa, sempre più numerosi sono gli interventi normativi che gli riservano diritti informativi e partecipativi, al fine anche di conformare l’ordinamento italiano alla normativa europea in materia. Un momento cardine di tale inversione di tendenza, che ha visto superamento della visione squisitamente pubblicistica del processo penale, è dato dall’introduzione del delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., in seguito al Decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009. La disciplina ha conferito un nuovo ruolo alla persona offesa, che acquista indipendenza e diventa centro di imputazione di situazioni soggettive non più solo funzionali al processo. Basti pensare all’art. 282 ter c.p.p. circa il divieto di 62 F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp. 129-133. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, p. 597. T. RAFARACI, Modifiche in tema di archiviazione, in Archivio della nuova procedura penale, 2018, Vol. 8, pp. 92-94 63 Si fa riferimento alla pronuncia della Corte di cassazione, Sezioni Unite, del 29/01/2016, n. 10959. 64 Punto 3.1 del «Ritenuto in fatto» della sopra citata sentenza. 25 avvicinamento nei luoghi frequentati dalla persona offesa, 282 quater inerente agli obblighi di comunicazione, entrambi introdotti con il medesimo decreto legge65. Secondo le Sezioni Unite «L'obbligo di avviso obbligatorio alla persona offesa dai reati commessi con violenza alla persona, di cui all'art. 408 c.p.p., comma 3-bis, è stato introdotto al fine di ampliare i diritti di partecipazione della vittima al procedimento penale; il testo normativo in cui è contenuto si prefigge lo scopo di dare specifica protezione alle vittime della violenza di genere, specie ove si estrinsechi contro le donne o nell'ambito della violenza domestica»66. La Corte continua affermando che «La disposizione dell'art. 408 c.p.p. , comma 3-bis, che stabilisce l'obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., perché l'espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario»67. Il legislatore nell’art. 408 comma 3 bis, adotta una locuzione particolarmente ampia e generica, con la quale non vengono individuati con certezza la categoria di delitti ricompresi, che soggiacciono alla disciplina. Le difficoltà nell’individuarne un concetto unitario sono conseguenti al fatto che questa è usata dal legislatore in accezioni diversificate, non coincidenti, finalizzate a diverse esigenze68. Tale incertezza è dovuta, in primis, al linguaggio comune, in tale contesto assume una diversa estensione a seconda del momento storico sociale. Inoltre, il concetto è frequentemente usato in chiave sociopolitica e propagandistica, in modo da poter servire i diversi contesti politici ed ideologici69. 65 A.A. SALEMME, Parte terza: la persona offesa, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità, cit., 2017, pp. 264-265. A. DIDDI, Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, in Processo penale e giustizia, Vol. 2, 2014, p. 91. 66 Punto 7.1 dei «Motivi della decisione» della sopra citata sentenza. 67 Punto 7.2 dei «Motivi della decisione» della sopra citata sentenza. Si guardi a M. GUERRA, Richiesta di archiviazione e avviso alla vittima nei procedimenti per “stalking”, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Anno 2016, Vol. 05, 2017, pp. 488-489. 68 Circa l’impossibilità di definire un concetto unitario di violenza si legga G. DE SIMONE, Violenza, e), 7), Diritto penale, in Enciclopedia del diritto, Vol. XLVI, 1993, pp.903-905. 69 G. DE SIMONE, Violenza, e) Diritto penale, cit., 1993, p. 882. M. GUERRA, Richiesta di archiviazione e avviso alla vittima nei procedimenti per “stalking”, cit., 2017, pp. 490-491. 26 Nell’intero ambito del diritto penale di parte speciale «non vi è concetto così diffuso ma al contempo di così incerta e problematica determinazione come quello di violenza: al contrario di quanto potrebbe apparire a prima vista si tratta infatti di un concetto «terribilmente impreciso»70. Nel libro secondo, Titolo VI, Capo I, del Codice penale la violenza è la vis latina che si contrappone alla frode che connota il Titolo XIII, Capo I. La vis assume una mutevole natura, ricomprendendo qualsiasi energia fisica diretta contro una persona o una cosa, includendo anche la minaccia, che può essere o meno alternativa o congiunta alla prima71. Nel tempo, tuttavia, il concetto di violenza si è sempre più ampliato fino a metterne in dubbio i suoi fondamentali requisiti, ovvero «l’estrinsecazione di forza fisica e l’influsso corporeo»: in origine era necessaria un’estrinsecazione di forza fisica su un altro soggetto72. Il concetto si è ampliato nel tempo, con la progressiva e sempre maggiore svalutazione dei suoi sopra enunciati connotati. Si deve constatare che il concetto di violenza è poliedrico e complesso e «mal si presta ad essere inquadrato in formule astratte e generali»73. La giurisprudenza inizialmente ha affrontato la questione in relazione all’art. 299, comma 2 bis c.p.p., introdotto dalla legge n. 119 del 15 ottobre 2013, in relazioni agli obblighi informativi nelle misure cautelari. La Corte di Cassazione in tale ambito ha affermato: L'ampiezza del riferimento lessicale alla "violenza" (in genere, e senza ulteriori specificazioni) "alla persona", che deve connotare le modalità commissive dell'azione delittuosa, non può dunque consentire, sul piano ermeneutico, alcuna distinzione tra le diverse forme di violenza - fisica, psicologica, morale - in cui la stessa può concretizzarsi, né tra fattispecie consumate o tentate, sempre che queste ultime siano pervenute a uno stadio tale di attuazione della condotta da aver dato luogo alla concreta estrinsecazione di atti di violenza, che costituiscono l'elemento qualificante e imprescindibile dell'insorgenza dell'obbligo di notifica previsto dalla legge, la cui finalità di apprestare uno strumento di tutela sul piano processuale a una platea indifferenziata di persone, offese da una ampia gamma di delitti, non permette alcun automatico recepimento, ai relativi effetti, dei risultati dell'elaborazione giurisprudenziale della nozione di "violenza alle persone" operata da questa Corte - in tema di delitti contro il patrimonio commessi in danno di congiunti - ai diversi e più limitati effetti di diritto sostanziale di circoscrivere l'operatività della speciale causa di non punibilità prevista dall'art. 649 cod. pen., la cui giustificazione razionale costituisce oggetto di critiche sempre più serrate da parte della dottrina e della giurisprudenza sotto il profilo dei suoi ritenuti aspetti anacronistici 74. In dottrina si sono sviluppati due diversi orientamenti, il primo che propende per un’interpretazione letterale di «violenza alla persona», di conseguenza rientrano 70 G. DE SIMONE, Violenza, e) Diritto penale, in Enciclopedia del diritto, Vol. XLVI, 1993, p. 881 Ibidem, pp. 885-886. 72 Ibidem, p. 893. 73 Ibidem, p. 903. 74 Corte di cassazione penale, Sentenza, 2015, n. 49339; punto 2 dei «Considerato in diritto». 71 27 nella categoria solo le condotte che sono caratterizzate da tale modalità d’estrinsecazione penalmente rilevante, escludendo a contrario la minaccia75. Un secondo orientamento, diversamente, dà maggiore rilievo alla ratio legis della Legge n. 119 del 2013, sottolineando, inoltre, come un’interpretazione rigidamente letterale darebbe adito a soluzioni incoerenti con gli obiettivi del legislatore. La cui intenzione emerge chiaramente dal preambolo del decreto, che afferma «il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica […]»76. Inoltre, all’art. 3 del decreto, con una formulazione ampia, viene affermato «Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima»77. Le Sezioni Unite cercano di ricostruire la nozione anche sulla base della disciplina europea. L’art. 612 bis c.p. è stato inserito fra i «delitti contro la libertà morale», le cui condotte incriminate possono essere compiute non solo con violenza fisica, ma in generale con comportamenti atti a ledere la libertà di autodeterminazione e la libertà morale della persona. La Corte richiama diverse fonti europee ed internazionali, fra le quali la citata direttiva europea 2012/29/UE, la Convenzione di Lanzarote del 2007, la Convenzione di Istanbul del 2011. Indi, i giudici ribadiscono come tali fonti, la cui rilevanza si esplica mediante l’art. 117 della Costituzione, influenzino il diritto interno, nello specifico anche sulla nozione di «violenza alla persona». La Corte sottolinea che dalle fonti europee emerge una lettura di ampio respiro di «violenza alla persona». 75 Fra gli altri A. DIDDI, Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, in Processo penale e giustizia, Vol. 2, 2014, p. 98. 76 Preambolo del Decreto legge 14 agosto 2013, n. 93 1, Convertito in legge, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 15 ottobre 2013, n. 119. 77 D. POTETTI, Il nuovo art. 299 c.p.p. dopo il decreto legge n. 93 del 2013, in Cassazione penale, Vol.2, 2014, pp. 975-977. 28 La Convenzione di Istanbul, entrata in vigore il 1° agosto 2014, vincolante per il nostro Paese, ha ispirato l'intervento legislativo del 2013 che ha introdotto il comma 3 bis dell'art. 408 c.p.p. Nell'art. 3 della Convenzione secondo cui: a) con l'espressione violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; b) l'espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; c) con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; d) l'espressione violenza contro le donne basata sul genere designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per vittima si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b. È altresì opportuno sottolineare che gli artt. 33 e 34 della Convenzione prevedono la necessaria penalizzazione da parte degli Stati firmatari delle condotte di violenza psicologica e di atti persecutori. La Direttiva 2012/29/UE cui è stata data attuazione con il D. Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, ha una diversa e più ampia prospettiva: detta norme minime in materia di diritti all'assistenza, all'informazione, interpretazione e traduzione nonché protezione nei confronti di tutte le vittime di reato. In quanto tali, gli Stati possono ampliare i diritti contemplati dalla direttiva, al fine di garantire una sfera di protezione più elevata, come è avvenuto nel caso in esame. L'obbligo previsto dall'art. 408 c.p.p., comma 3 bis - di cui all'art. 6 della direttiva, garantisce una tutela rafforzata delle vittime di alcuni reati, a fronte del semplice diritto a ricevere informazioni sul proprio caso. La violenza nelle relazioni strette viene a sua volta definita alla premessa n. 18 come: quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere se l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico mentale o emotivo, o perdite economiche. Si tratta di definizioni che non compaiono nei tradizionali testi normativi di produzione interna, ma che tuttavia, per il tramite del diritto internazionale, sono entrate a far parte dell'ordinamento e influiscono sulla applicazione del diritto. Infine, la Direttiva 2011/36/UE per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, ha indicato quali «violenze gravi alla persona la tortura, l'uso forzato di droghe, lo stupro e altre forme di violenza psicologica, fisica o sessuale». 29 Le Sezioni Unite così concludono: In definitiva, dalla lettura delle fonti sovranazionali sopracitate emerge come l'espressione "violenza alla persona" sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche e che lo stalking rientri tra le ipotesi "significative" di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime. Si tratta di indicazioni che costituiscono un fondamentale riferimento per addivenire ad una interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo78. La Corte adotta un interessante percorso argomentativo, non si limita ad un’interpretazione letterale delle norme, ma propende per una soluzione basata sulla voluntas legis, alla luce dei principi sovranazionali, parametri fondamentali per la ricostruzione della fattispecie. Da tale lettura emerge la valorizzazione della persona offesa, la cui posizione è sempre più dilatata nel tempo, valorizzando non tanto la pretesa privata alla restituzione patrimoniale del danno patito, quanto l’interesse della vittima alla partecipazione al procedimento79. 2.2 L’opposizione per particolare tenuità del fatto In concreto per la società può essere oggettivamente non conveniente perseguire penalmente fatti, che sebbene configurino in astratto una fattispecie di reato, siano connotati da una bassa o nulla rilevanza sociale. L’istituto ha quale linea ispiratrice quella del diritto penale come extrema ratio e minimo comune denominatore è il principio di offensività80. Quest’ultimo impone al legislatore di prevedere fattispecie astratte di reato che esprimano un contenuto lesivo, in secondo luogo obbliga il giudice una valutazione in concreto in relazione alla condotta posta in essere dal soggetto81. Da ciò deriva la mancata promozione dell’azione penale nei casi di reale inidoneità offensiva del fatto. Inoltre, deve essere evidenziato che in passato per diverse notizie di reato, il processo e la sanzione penale risultavano eccessivamente gravosi e incongrui82. 78 Sono riportati diversi passaggi della sentenza della Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2016, n. 10959, «Considerato in diritto». 79 M. GUERRA, Richiesta di archiviazione e avviso alla vittima nei procedimenti per “stalking”, cit., 2017, pp. 496-497. 80 D. BRUNELLI, Diritto penale domiciliare e tenuità dell’offesa nella delega 2014, in Legislazione penale, 2014, p. 449. 81 Fra le altre Corte Costituzionale del 2002 n. 354. 82 M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, cit., 1995, pp. 126-127. 30 Secondo tale logica, il legislatore con il d.lgs. 448 del 1988 ha previsto l’art. 27, rubricato «Sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto», in ambito del processo penale minorile. La Corte costituzionale, tuttavia, ha dichiarato incostituzionale la norma per eccesso di delega83. Successivamente è stato reintrodotto dalla legge n. 123 del 1992, la normativa attuale prevede che se durante le indagini preliminari risulta la «particolare tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento, il pubblico ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne»84. Per lungo tempo un istituto simile non ha trovato applicazione nel procedimento penale, a causa del rigido rispetto del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. In ordinamenti stranieri istituti caratterizzati da tale ispirazione sono previsti da lungo tempo nella giustizia degli adulti. Ai fini di una chiara analisi deve essere evidenziato che si tratta di ordinamenti connotati dal principio di legalità dell’azione penale, che tuttavia realisticamente non trascurano altre esigenze, fra le altre una valutazione di economia processuale in relazione a criminalità di bassa rilevanza85. Nell’ordinamento italiano in attuazione della delega della Legge n. 67 del 28 aprile 2014 il legislatore ha introdotto nel nostro sistema penale ordinario l’istituto della particolare tenuità del fatto all’art. 131 bis c.p. Sebbene ormai si ritenga abbia natura sostanziale ha evidenti ripercussioni processuali, la più importante delle quali è data dall’art. 411 c.p.p., comma 1 bis, introdotto con il d.lgs. n. 28 del 2015, ovvero dalla possibilità di una declaratoria anticipata del provvedimento di archiviazione86. Nell’esame dell’opposizione per particolare tenuità del fatto, preliminarmente deve essere evidenziato che quest’ultima mitiga il principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, mediante una selezione delle notizie di reato che viene effettuata già nella fase investigativa, in relazione alla dimensione concretamente offensiva dell’illecito rispetto alla possibile superfluità del 83 Corte Costituzionale del 1991 n. 250. Art. 27 del d.lgs. 448/1988. 85 M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, cit., 1995, pp. 126-133. 86 Si tratta pacificamente di una causa di non punibilità di natura sostanziale, lo ribadisce fra gli altri A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, in www.lalegislazionepenale.eu, 2016, p.1. 84 31 dibattimento87. Tale vaglio è svolto valutando la fattispecie concreta, in particolare utilizzando quale indici della particolare tenuità l’esiguità dell’offesa, la non abitualità della condotta; in relazione a fatti puniti con una pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore a cinque anni sola o congiunta; in ogni caso nella salvaguardia degli interessi risarcitori88. La particolare tenuità riveste un ruolo centrale in chiave deflativa nella fase archiviativa, al fine di evitare lo spreco di preziose risorse processuali. Il pubblico ministero è, quindi, autorizzato a non esercitare l’azione penale se, nella fase investigativa, è emerso che per le particolari modalità della fattispecie l’offesa è di lieve entità. Tuttavia, in via critica è stato rilevato che al fine dell’alleggerimento del carico giudiziario viene svolta una valutazione poco consona alla specifica fase processuale89. In conseguenza di tali preliminari valutazioni risulta importante analizzare la disciplina alla luce della recente riforma data dalla legge n. 103 del 201790. L’art. 411 c.p.p., nella formulazione originaria prevedeva tre ipotesi nelle quali il pubblico ministero poteva chiedere l’archiviazione: la mancanza di una condizione di procedibilità, se il reato è estinto o se il fatto non è previsto come reato; il legislatore con il d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28 ha introdotto il comma 1 bis: l’opposizione per particolare tenuità del fatto. Questa deve essere distinta dalla cd. tradizionale modalità di opposizione: formulata secondo l’art. 408 per l’infondatezza della notizia di reato; nelle ipotesi “originarie” di cui all’art. 411, comma 1; infine, nel caso in cui sia ignoto l’autore del reato ex art. 415 c.p.p. L’archiviazione qui in esame presenta delle specificità, che rispetto alle ipotesi classiche di archiviazione posso incidere anche in malam partem; di conseguenza è 87 Sin da subito parte della dottrina ha manifestato alcuni dubbi circa la possibile lesione del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Fra gli altri: S. QUATTROCOLO, Deflazione e razionalizzazione del sistema: la ricetta della particolare tenuità dell'offesa, in Processo penale e giustizia, Vol. 4, 2015, p. 11; A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, p.1. 88 S. QUATTROCOLO, Deflazione e razionalizzazione del sistema: la ricetta della particolare tenuità dell'offesa, cit., 2015, pp. 1-2. 89 E.A.A. DEI-CAS, Sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto / The request to drop the case due to “particular tenuity of the fact”, La Suprema corte sulla disciplina dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 411, comma 1-bis, c.p.p. Corte di Cassazione, Sezione V, sentenza 7 luglio 2016, n. 36857 – Pres. Fumo; Rel. Scarlini, in Processo penale e giustizia, Vol. 1, 2017, pp. 99-100. 90 G. CANZIO, Il progetto “riccio” di legge delega per il nuovo codice di procedura penale, in Criminalia, 2007, pp. 167-183. 32 previsto un procedimento differenziato connotato in primo luogo dalla dall’informazione data non solo alla persona offesa ma anche all’indagato91. Un primo elemento caratterizzante è che questi ultimi possono opporsi alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero. La particolare tenuità del fatto è una causa di non punibilità, il fatto integra una fattispecie criminosa perfetta sia degli elementi soggettivi che oggettivi, per tale ragione è interesse della persona sottoposta a indagini presentare opposizione al fine di arrivare ad eliminare tutti gli aspetti pregiudizievoli del provvedimento di archiviazione. Deve essere ricordato, inoltre, che in capo al pubblico ministero ricade l’onere di avvisare gli interessati, a prescindere da una richiesta di informazione formulata dalla persona offesa: risulta quindi rafforzato il contraddittorio92. All’opposizione di cui al comma 1 bis, in virtù del richiamo previsto dall’art. 411 c.p.p., si applica la disciplina «degli artt. 408, 409 e 410 bis» c.p.p.. Tuttavia, in deroga a quanto previsto da questa disciplina, l’art. 411 c.p.p. comma 1 bis, prevede un termine, non modificato nel 2017, di dieci giorni per presentare opposizione93. Dando uno sguardo complessivo alla disciplina dei termini, sembra che il legislatore li abbia differenziati in ragione della diversa causa per la quale l’opposizione è richiesta. La tempistica stringente di cui al comma 1 bis, dell’art. 411 c.p.p. pare giustificato in prima luce dalla maggiore semplicità dell’atto di opposizione che si limita a censurare la fondatezza della causa di non punibilità; si tratta di una motivazione che tuttavia non persuade completamente. Mantenere il termine di dieci giorni in questa ipotesi, compromette irragionevolmente la tutela della parte offesa dal 91 E.A.A. DEI-CAS., Sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto, cit., 2017, p. 100. Si guardi anche a P. BRONZO., Interrogativi sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in www.lalegislazionepenale.eu, 2015, p.1. 92 M. RAMPIONI, Opposizione alla richiesta di archiviazione per la “particolare tenuità del fatto”: un singolare doppio-binario, in Processo penale e giustizia, 2018, Vol. 2, pp. 333-335. A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, p.1. A.A. SALEMME, Parte terza: la persona offesa, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Anno 2016, Vol. 05, 2017, pp. 264-265. 93 T. RAFARACI, Modifiche in tema di archiviazione, in Archivio della nuova procedura penale, cit., 2018, pp. 92-93. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp. 129-133. C. OVI, c.p.p. art. 411 - Altri casi di archiviazione, in Leggi d’Italia PA, pp. 1-3; consultato in data 29/04/2019. 33 reato, in evidente contrasto con il diritto ad un’effettiva partecipazione della persona offesa al processo94. Sono state introdotte alcune novità al procedimento, il giudice per le indagini preliminari ha tre possibilità: se non è presentata alcuna opposizione o questa non è ammissibile, provvede senza formalità; se accoglie la richiesta emette un decreto motivato; infine, se è stata presentata un’opposizione ammissibile o non condivide la prospettazione data dal pubblico ministero fissa un’udienza camerale. Il comma 1 bis prevede una sintetica disciplina del contradditorio camerale. L’udienza camerale viene tenuta solo nel caso vi sia una richiesta espressa da parte della persona offesa o della persona sottoposta alle indagini: risultano sotto tale profilo rafforzati i poteri di tali soggetti95. L’iter decisorio, che ricalca quello delineato dall’art. 409 c.p.p., prevede che il giudice svolga un vaglio di ammissibilità volto a valutare le ragioni del dissenso sulle opposizioni; un contraddittorio camerale, nel caso in cui queste siano ritenute ammissibili; una procedura de plano, se non siano state presentate o siano state ritenute inammissibili. La procedura porta infine, all’archiviazione adottata con decreto o ordinanza se è stata svolta l’udienza camerale, alla restituzione degli atti al pubblico ministero se la richiesta viene respinta dal giudice96. Infine, il contenuto dell’atto di opposizione tradizionale è dato dall’«oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova» ex art. 410 c.p.p.; diversamente, nel caso di opposizione di cui all’art. 411, comma 1 bis, la persona offesa può limitarsi a indicare nell’opposizione «a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta». Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità dell’atto sembra sufficiente che i soggetti interessati indichino le sole ragioni del dissenso rispetto alla riconducibilità della condotta all’art. 131 bis c.p. L’offeso deve, quindi, dimostrare che il pregiudizio da lui subito consegue un fatto non di lieve entità, la persona sottoposta alle indagini diversamente mira ad ottenere una pronuncia maggiormente favorevole. 94 F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp.133-136. P. BRONZO, Interrogativi sull’archiviazione per particolare tenuità del www.lalegislazionepenale.eu, 2015, p.1. 96 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 598-599. 95 34 fatto, in È stato evidenziato che la norma è troppo generica ed aperta, ha determinato numerosi dubbi interpretativi, in particolare inerenti ai poteri del giudice nell’ambito dell’ammissibilità all’opposizione. La giurisprudenza si è così divisa, un primo orientamento, meno garantista, sostiene che il giudice possa disporre, con decreto, l’archiviazione senza passare mediante l’udienza in camera di consiglio, essendo sufficiente argomentare le ragioni in ordine alla supposta inammissibilità dell’opposizione. Un orientamento maggiormente garantista, ritiene che ove l’opponente indichi le semplici ragioni del dissenso, il giudice non può decidere de plano ma deve necessariamente fissare l’udienza in camera di consiglio essendo questa funzionale al contraddittorio, riconosciuto alle parti, la cui inosservanza determina la nullità dell’eventuale provvedimento adottato. È certo che i dubbi interpretativi nascono dalla incerta locuzione «ragioni del dissenso»; l’eccessiva elasticità della formulazione comporta delle difficoltà, in contrasto con il principio di legalità processuale, e concede al giudice un’ampia discrezionalità. D’altra parte, consentire un vaglio della fondatezza porterebbe ad una violazione del principio del contraddittorio, vanificando la stessa utilità dell’udienza in camera di consiglio. Per tali ragioni la recente giurisprudenza ha affermato che «In ipotesi di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 411, comma 1-bis, c.p.p., l’opposizione della persona offesa che si limiti a illustrare le ragioni del dissenso senza indicare investigazioni suppletive e relativi elementi di prova, non può essere, per tale ragione, dichiarata inammissibile, essendo il giudice tenuto alla valutazione delle dette ragioni che, se non inammissibili, determinano la fissazione dell’udienza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 409, comma 2, c.p.p.»97. Anche la dottrina pare preferire il secondo orientamento, in quanto il provvedimento emesso de plano comporterebbe una violazione del contradditorio, diritto non tutelato dalla preventiva informazione e dalla possibile opposizione dell’indagato98. 97 È citata la Corte di cassazione penale, 2017, Sez. V, n. 49046. Sulla stessa linea anche Cassazione penale, Sez. V, 2017, n. 39804. 98 A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, pp.4-6. M. RAMPIONI, Opposizione alla richiesta di archiviazione per la “particolare tenuità del fatto”: un singolare doppio-binario, in Processo penale e giustizia, 2018, Vol. 2, pp. 333-338. C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?., cit., 2017, pp. 969-971. 35 Nell’ambito del procedimento di cui all’art. 411 c.p.p., comma 1 bis, il giudice può, nel caso in cui non abbia accolto la richiesta, restituire gli atti al pubblico ministero senza specifiche indicazioni; o eventualmente con ordinanza richiedere nuove investigazioni ex art. 409 comma 4 c.p.p.; oppure formulare un’imputazione coatta di cui al 5 comma. È stato, tuttavia eccepito che al di fuori di tali due casi, il giudice dovrebbe archiviare per una ragione diversa dalla particolare tenuità99. Da tale dibattito la giurisprudenza recentemente si è interrogata sui rapporti intercorrenti fra l’archiviazione ex art. 411, comma 1 bis, c.p.p. e gli altri casi di archiviazione. La questione ha uno stretto legame con i rapporti intercorrenti fra il pubblico ministero e il giudice delle indagini preliminari: da un lato l’art. 122 Cost. impone l’obbligatorio esercizio dell’azione penale, in correlazione del quale è previsto un controllo giurisdizionale dell’inazione, dall’altro vige il difficilmente conciliabile principio ne procedat iudex ex officio. La Corte di Cassazione già nel 2013 era intervenuta a Sezioni Unite nel 2013 circa i limiti del controllo sull’adempimento dell’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale, analizzando il quadro dei precedenti orientamenti giurisprudenziali100. Il consesso aveva precisato che la questione concerneva «la delimitazione dei poteri di controllo dell’operato del pubblico ministero per assicurare il rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost.»101. Venivano rilevati due profili: il primo, inerente al potere di delibazione sulla scelta del pubblico ministero di rinunciare all’esercizio dell’azione penale al giudice delle indagini preliminari; il secondo, circa la netta distinzione fra autorità giudicante ed inquirente102. Consapevoli di tali sviluppi, la fattispecie al vaglio della Corte che riguarda da vicino la questione giuridica in esame, era relativa ad un provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto disposto dal giudice delle indagini preliminari che aveva disatteso la richiesta del pubblico ministero: «L’indagata, chiamata a discutere sulla opposizione alla richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero per motivi attinenti al merito, si era trovata ad essere destinataria A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, p. 5. 100 Si fa riferimento a Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2013, n. 4319. 101 Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2013, n. 4319. 102 G. ANGIOLINI, I limiti del controllo sull’adempimento dell’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale, cit., 2014, pp. 1-5. 99 36 di un provvedimento di archiviazione per un diverso motivo, che, al contrario, presupponeva la commissione del fatto»103. Veniva così violato il diritto di difesa dell’indagata. Viene in evidenza il rapporto fra richiesto e pronunciato ovvero se la richiesta del pubblico ministero vincoli o meno il giudice delle indagini preliminari104. La giurisprudenza ritiene da tempo che «l’archiviazione disposta dal G.I.P. per motivi diversi da quelli di cui alla richiesta del P.M. […] non determina abnormità del provvedimento, e ne esclude la impugnabilità qualora non si sia verificata alcuna violazione della norma di cui al sesto comma dell’art. 409 c.p.p.»105. Anche la dottrina, ormai è uniforme nel ritenere che il giudice possa archiviare con la formula più idonea ove ne sussistano i presupposti, essendo titolare di un potere sostitutivo106. Quindi, ci si deve interrogare se sia applicabile la regola generale sopracitata al procedimento che caratterizza l’archiviazione ex art. 411, comma 1 bis, c.p.p.; ovvero se richiesto il provvedimento di archiviazione per tenuità, possa il giudice che ritenga infondata la notizia in facto agire di conseguenza. La dottrina si è, quindi, interrogata se sia possibile configurare una gerarchia fra le diverse ipotesi di archiviazione in diritto (ex art. 411 c.p.p.) e in fatto (ex art. 408 c.p.p.); inoltre, se similmente al 2 comma dell’art. 129 c.p.p. il giudice debba optare per la soluzione maggiormente favorevole all’indagato. Nonostante i dubbi in merito sollevati da parte di alcuni autori, il dettato letterale delle norme non suggerisce che sussista una simile gerarchia. Occorre non trascurare ulteriori aspetti. Alcuni autori ritengono esclusiva la procedura di nuovo conio, essendo il provvedimento di archiviazione ex art. 411, comma 1 bis, c.p.p. più sfavorevole per l’indagato. A sostegno di tale tesi, per la quale 103 Corte di Cassazione, Sezione V, sentenza, 2016, n. 36857. Deve essere posta attenzione alle valutazioni e alle criticità esaminate all’inizio del secondo capitolo relative al controllo giurisdizionale sull’azione del pubblico ministero per il rispetto del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. 105 Si fa riferimento a Cassazione, Sez. V, sentenza, del 1999, n. 6131. 106 In tale senso fra gli altri M. COLAMUSSI, Le funzioni di controllo, garanzia e decisione del g.i.p. sulla richiesta di archiviazione del p.m., in Cassazione penale, Vol. XII, 1997, p. 3445; A. MACCHIA, La richiesta di archiviazione: presupposti, eventuale procedimento in contraddittorio e provvedimenti giudiziali di rigetto, in Cassazione penale, Vol. X, 1998, p. 2745; G. GIOSTRA, L’archiviazione, lineamenti sistematici e questioni interpretative, cit., 1994, pp. 54-61. A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, p. 5. 104 37 il giudice non può archiviare per un motivo diverso dalla particolare tenuità, sembra propendere anche una lettura formalistica del testo normativo: l’art. 411 bis afferma infatti «il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409, comma 4 e 5». Una simile interpretazione, tuttavia, è stata criticata, in primis in quanto limiterebbe fortemente la portata deflativa dell’istituto, in secondo luogo perché non sarebbe utile ai fini di garanzia, in quanto in pratica il rispetto della procedura si risolverebbe in un semplice passaggio del fascicolo per poi risolversi senza modificare il provvedimento finale. Infine, la stessa ratio legis della norma e una complessiva valutazione dei poteri del giudice, sembrano suggerire che il giudice delle indagini preliminari possa provvedere in senso diverso rispetto alla richiesta del pubblico ministero107. Si può affermare che il giudice delle indagini preliminari possa disporre l’archiviazione per infondatezza o per una formula in diritto diversa dalla tenuità: possibilità anche sorretta dal fatto che la soluzione adottata dal giudice sarebbe più favorevole all’indagato108. Ragionamento simile non può essere elaborato nell’ipotesi opposta, ovvero nel caso in cui sia richiesta l’archiviazione per le ipotesi classiche e il giudice decida di archiviare per particolare tenuità. In tale ipotesi è evidente l’esigenza di garantire l’indagato, necessità che risulta evidente anche dalla previsione di un procedimento diversificato, una procedura garantita ex art. 411 comma 1 bis c.p.p.: il principio del contraddittorio diversamente risulterebbe violato109. La Corte di Cassazione nel luglio 2016 ha, infatti, affermato che «Il provvedimento di archiviazione previsto dall’art. 411, comma 1, c.p.p., anche per l’ipotesi di non punibilità della persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’art. 131bis c.p. per particolare tenuità del fatto, è nullo se non si osservano le disposizioni processuali speciali previste dall’art. 411, comma 1-bis, c.p.p., non garantendo il necessario contraddittorio sul punto le più generali disposizioni previste dagli artt. 408 e seguenti c.p.p.»110. E.A.A. DEI-CAS., Sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto, cit., 2017, p. 101-103. A. NAPPI, Tenuità del fatto: causa di non punibilità che rende improcedibile l’azione penale, cit., 2016, pp. 5-6. 109 E.A.A. DEI-CAS., Sull’archiviazione per particolare tenuità del fatto, cit., 2017, p. 111. 110 Corte di cassazione penale, Sez. V, 2016 n. 36857 107 108 38 Circa la particolare tenuità deve essere analizzata un’ultima questione relativa all’iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto nel casellario giudiziale. La problematica è stata recentemente oggetto di un’ordinanza con la quale la sezione prima ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiedendo «Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 131-bis c.p. sia soggetto all’iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313»111. L’intervento delle Sezioni Unite si è reso necessario non solo per ricomporre i due diversi orientamenti giurisprudenziali in materia, segnalati con la relazione del Massimario n. 89/2017, ma anche per garantire la massima valorizzazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto112. La Corte di Cassazione ha comunicato, secondo un’informazione provvisoria, che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto deve essere iscritto al casellario giudiziale, seppur non deve esserne fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato113. Le criticità interpretative della disciplina dipendono dalla lettera dell’art. 3, comma 1, lettera f) del D.P.R in esame che così dispone «i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale»114. In particolare, i dubbi derivano dalla congiunzione «nonché» e dalla nozione di «provvedimento giudiziario definitivo», ovvero se in tale categoria rientrino anche i provvedimenti di archiviazione emessi ex art. 411, comma 1 bis c.p.p. Parte della giurisprudenza sostiene che «il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, non rientrando nella categoria dei provvedimenti giudiziari definitivi di cui all'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, 111 Si fa riferimento a Corte di cassazione penale, Ordinanza, 2019, n. 9836. Il D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 è il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di casellario giudiziale europeo, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti». 112 Contrasto giurisprudenziale già segnalato dall’ufficio del Massimario, ricimato nel punto due del «considerando in diritto» dell’ordinanza. 113 Il decreto di archiviazione per tenuità del fatto va iscritto nel certificato del casellario giudiziale, Cass., Sez. Un., c.c. 30 maggio 2019, Pres. Carcano, Rel. Pistorelli, ric. P.m. in proc. De Martino (informazione provvisoria), in Diritto penale contemporaneo, 2019. 114 La lettera del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 è stata così modificata dall'art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2015). 39 non è soggetto ad iscrizione nel casellario giudiziale»115. Il contrapposto orientamento minoritario, diversamente, ritiene che «fossero iscrivibili nel casellario giudiziale i decreti di archiviazione emessi ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., la stessa sezione quinta in altra sentenza»116. La Corte, riprendendo le argomentazioni portate avanti dal Procuratore, propende per l’indirizzo minoritario in ragione di plurime considerazioni. In primo luogo, «la mancata iscrizione nel casellario determina (per il pubblico ministero) l'impossibilità di valutare con immediatezza e compiutezza la non abitualità del comportamento in caso di reiterazione di fatti della stessa indole»117. In secondo luogo, «la rilevanza del provvedimento di archiviazione per tale causa di non punibilità si desume anche dalla previsione dell'articolo 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., perché la necessità di dare avviso all'indagato della richiesta di archiviazione avanzata per tale causa discende proprio dal contenuto meno favorevole del provvedimento di archiviazione, per applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., rispetto all'archiviazione nel merito»118. Infine, viene paventata una «disparità di trattamento tra situazioni analoghe, laddove, in caso di proscioglimento ai sensi dell'articolo 131-bis cod. pen. disposto con sentenza, l'imputato vede iscritta tale pronuncia nel casellario; e aggiunge che è priva di concreto rilievo la possibilità di procedere alla revoca del provvedimento di archiviazione a supporto della non definitività del medesimo provvedimento»119. In sintesi, la corte afferma: «secondo il Pubblico ministero ricorrente, alla congiunzione «nonché», utilizzata nella disposizione dianzi richiamata, deve essere attribuito il valore di congiunzione aggiuntiva, sicché oltre ai «provvedimenti giudiziari definitivi» dovrebbero essere iscritti nel casellario anche quelli, indipendentemente dalla loro definitività, che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale»120. 115 Corte di Cassazione penale, Sez. V, del 15/01/2018, n. 3817. Nello stesso senso si sono anche espresse successivamente la Sez. III, del 26/01/2017, n. 30685, successivamente, la Sez. I, del 25/06/2018, n. 31600. Le pronunce a sostegno di tale orientamento sono richiamate dall’ordinanza in esame. 116 Corte di cassazione penale, Sez. 5, del 15/06/2017, n. 40293. 117 Punto 3.3 dei «Considerando in diritto». 118 Punto 2.2 dei «Considerando in diritto». 119 Ibidem sopra. 120 Ibidem sopra. 40 Ad ulteriore sostegno della tesi promossa, viene ribadito che «L'iscrizione del provvedimento di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. non determina una lesione dei diritti o degli interessi dell'indagato. La decisione è assunta dal giudice a seguito di un procedimento (art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen.) nel quale è assicurato il pieno contraddittorio»121. D’altra parte, dalla mancata iscrizione deriverebbe l’impossibilità per il pubblico ministero di apprezzare sin dai momenti iniziali l’abitualità o meno del comportamento in relazione a fatti della medesima indole. Ciò limiterebbe fortemente la portata deflattiva dell’istituto, poiché, in tale evenienza «il Pubblico ministero, al fine di conservare traccia della declaratoria di non punibilità, potrebbe scegliere di non anticipare alla fase delle indagini la richiesta ex art. 131-bis cod. pen., rimettendone l'iniziativa all'imputato dopo l'esercizio dell'azione penale, così determinandosi un inutile dispendio di attività processuali nei casi di procedimenti definibili fin d'all'inizio con provvedimenti di archiviazione»122. «Infine, a sostegno della tesi della necessità di procedere alla iscrizione del provvedimento di archiviazione, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., si pone la relazione governativa di illustrazione del d.lgs. n. 28/2015. La relazione precisa che è stata prevista l'iscrizione di tutti i provvedimenti che abbiano dichiarato la non punibilità per tenuità del fatto, ivi compresi i decreti e le ordinanze di archiviazione, sul presupposto che il nuovo istituto, prevedendo la «non abitualità» del comportamento, come uno dei requisiti di applicabilità, impone un sistema di registrazione delle decisioni che accertano la particolarità tenuità «che comprenda ovviamente anche i provvedimenti di archiviazione adottati per tale causa» […]»123. 2.3 Le condizioni di ammissibilità dell’opposizione L’opposizione di cui all’art. 410 c.p.p., deve contenere la richiesta motivata di prosecuzione delle indagini, oltre alla legittimazione passiva del proponente, sottostà ad un requisito imprescindibile: la persona offesa dovrà presentare «a pena di 121 Punto 3.1 dei «Considerando in diritto». Punto 3.3 dei «Considerando in diritto». 123 Punto 3.4 dei «Considerando in diritto». Per un commento puntuale della sentenza si è fatto riferimento a V. MARCHESI, L’iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto nel casellario giudiziale: la prima sezione dimette la questione alle sezioni Unite, in Diritto penale contemporaneo, 2019, pp. 1-7. 122 41 inammissibilità, l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova». Quest’ultimi per essere ammissibili devono essere pertinenti alla notitia criminis ed essere astrattamente idonei a colmare il panorama delle indagini. L’apertura di questa fase procedimentale è la conseguenza del principio di completezza delle indagini preliminari, per il quale possono sussistere delle incompletezze, ma se individuate e segnalate devono essere eliminate anche a discapito di un aggravamento dell’iter procedimentale124. Detto principio deve essere, tuttavia, contemperato con la contrapposta esigenza di «contrastare istanze di prosecuzione meramente pretestuose o dilatorie […]»125. L’opposizione, quindi, è subordinata alla censura di incompletezza delle indagini svolte dalle autorità competenti e dal contributo conoscitivo, ovvero istruttorio dell’offeso. La disposizione permette di individuare analiticamente i due requisiti dell’opposizione: l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. È stato puntualizzato che il termine «oggetto» sembra rimandare all’art. 187 c.p.p., comma 1, per il quale «sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza». L’investigazione suppletiva richiede le ulteriori indagini rispetto a quelle delle autorità inquirenti. Si sono sviluppati due diversi indirizzi, il primo dei quali, particolarmente restrittivo, ritiene che l’opposizione debba indicare elementi di assoluta novità, un diverso orientamento estende le facoltà dell’offeso, facendo leva anche sulla base testuale della disposizione. L’attributo «suppletiva» pare ammettere non solo un’investigazione nuova, ma anche quella complementare e integrativa rispetto all’attività di indagine su cui si basa la richiesta di archiviazione; l’opposizione di conseguenza potrebbe contenere anche solo un approfondimento delle indagini già svolte126. Con l'espressione «investigazione suppletiva» di cui all'art. 410, comma 1, c.p.p., la Cassazione ha affermato che «debba intendersi sia come un’attività di indagine diversa e ulteriore rispetto a quella già svolta, sia come un’attività finalizzata 124 Ibidem sopra, pp. 965-966. Così ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 95 del 1997. In tal senso si possono individuare delle pronunce della Corte di Cassazione, fra le altre Cassazione penale, Sez. V, 2014, n. 17968. Si guardi anche a N. MASTROMATTEO, Opposizione alla richiesta di archiviazione e tutela del contradditorio, in Diritto penale e processo, 2017, Vol. 8, pp. 1101-1102. 126 Ibidem sopra, pp. 1104-1105. R. FONTI, L’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, cit., 2013, pp. 11-12. S. MICHELAGNOLI, Nuove prospettive e vecchi stilemi in tema di opposizione all’archiviazione della persona offesa, in Diritto penale e processo, 2017, Vol. 3, pp. 366. 125 42 all’apprendimento di aspetti già investiti dall’attività di ricerca delle fonti di prova compiuti fino al quel momento dal pubblico ministero»127. Data la finalità dell’opposizione volta al superamento delle lacune investigative, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, è necessario che gli elementi apportati dall’offeso non solo siano concreti e specifici, ma siano caratterizzati anche per i complementari profili di pertinenza e rilevanza; in generale viene ritenuta inammissibile se si limita a fornire una valutazione degli elementi conoscitivi già presenti128. Un orientamento minoritario della dottrina ritiene che la persona offesa possa limitarsi ad indicare una diversa prospettazione dei fatti e degli elementi già acquisiti dalle indagini delle autorità giudiziaria129. La giurisprudenza, nella valutazione concernente l’ammissibilità dell’opposizione, sembra talvolta abbandonare il vaglio di inammissibilità per uno di fondatezza. Tuttavia, il giudice non può anticipare l’apprezzamento dei contenuti investigativi indicati nell’atto, analisi che deve essere svolta in contraddittorio nell’ambito della richiesta di archiviazione. La giurisprudenza è divisa: un primo orientamento sosteneva la totale superfluità del vaglio del giudice circa l’utilità delle investigazioni proposte dall’opponente, di conseguenza se sussistono i requisiti formali l’opposizione deve essere considerata ammissibile. Un secondo, contrapposto, riteneva che fosse utile un preliminare apprezzamento da parte del giudice, in particolare al fine di escludere indagini suppletive inutili. Sul tema sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ritenendo che: Nel valutare l’ammissibilità dell’opposizione della persona di diritto offesa alla richiesta di archiviazione presentata dal p.m., il giudice è tenuto a verificare se l’opponente abbia adempiuto l’onere, impostogli dall’art. 410 comma 1 c.p.p., di indicare l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, con l’esclusione di ogni valutazione prognostica di merito; e, qualora ritenga non sussistenti le condizioni legittimanti l’instaurazione del contraddittorio, a motivare compiutamente circa le ragioni della ritenuta inammissibilità, indipendentemente dall’apprezzamento o meno della 127 Cassazione penale, 2007, n. 37960 e Cassazione penale, 2008, n. 4256. M. SCAPARONE, Procedura penale, cit., 2017, Vol. 1, pp. 81-82. S. MICHELAGNOLI, Nuove prospettive e vecchi stilemi in tema di opposizione all’archiviazione della persona offesa, cit., 2017, pp. 366. 129 N. MASTROMATTEO, Opposizione alla richiesta di archiviazione e tutela del contradditorio, cit., 2017, p. 1105. 128 43 fondatezza della notizia di reato, costituendo la delibazione di inammissibilità momento preliminare all’instaurazione del procedimento di archiviazione 130. Occorre precisare che la vittima del reato, soggetto che spesso è in possesso delle informazioni per la corretta ricostruzione della fattispecie criminosa, può influenzare la decisione del giudice delle indagini preliminari nel momento nel quale riesce ad ampliare l’orizzonte conoscitivo dello stesso. Tuttavia, è significativo ricordare che l’interesse della parte offesa viene alla luce solo nel momento nel quale coincide con l’interesse pubblico della ricostruzione veritiera del fatto. Il contributo conoscitivo dell’offeso sarà analizzato e porterà all’udienza in camera di consiglio, a pena di ammissibilità, solo nel momento nel quale apporti un’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. Di conseguenza l’opposizione non può essere una semplice confutazione della ricostruzione posta in essere dall’accusa131. Questa deve essere presentata presso la segreteria del pubblico ministero anche personalmente, senza l’assistenza e la rappresentanza di un difensore, per il quale non è necessaria la procura speciale, dalla persona che non aveva preventivamente richiesto di essere informata a norma dell’art. 408, 2 comma, c.p.p. In ogni caso, se ritenuta inammissibile può comunque assumere rilevanza quale memoria volta a dissuadere il giudice a procedere all’archiviazione132. 2.4 Il rito Al fine di evitare tempi morti, il Codice impone cadenze che delineano il percorso del processo, in particolare si possono aprire diverse strade. Il pubblico ministero, in presenza dei presupposti, presenta la richiesta di archiviazione e trasmette il fascicolo al giudice delle indagini preliminari. A norma dell’art. 409, comma 1, c.p.p. «se il giudice accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia con decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero», il decreto sarà, quindi, notificato alla persona 130 Cassazione, Sezioni Unite, 1996, n. 2. Si guardi M. RAMPIONI, Opposizione alla richiesta di archiviazione per la “particolare tenuità del fatto”: un singolare doppio-binario, cit., 2018, pp. 334335. 131 S. MICHELAGNOLI, Nuove prospettive e vecchi stilemi in tema di opposizione all’archiviazione della persona offesa, cit., 2017, pp. 364-367. Cassazione penale, 1998, n. 2741 e Cassazione penale, 2003, n. 2337. 132 C. OVI, a cura di, Codice commentato di procedura penale, art. 410 c.p.p, in Leggi d’Italia PA, pp. 1-2, consultato in data 29/04/2019. 44 sottoposta alle indagini se nei suoi confronti è stata disposta una misura di custodia cautelare. Diversamente, a norma del comma 2 dell’art. 409 c.p.p., se non accoglie la richiesta di archiviazione de plano con decreto, ovvero ritiene che non sussistano i requisiti per l’archiviazione «entro tre mesi, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso dal pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato». Circa il termine di tre mesi imposto dal secondo comma dell’art. 409 c.p.p., come modificato a seguito della Legge n. 103 del 2017, è stato evidenziato che ha carattere ordinatorio, al cui mancato rispetto non derivano conseguenze di carattere processuale né pratico. Tale cadenza vuole rispondere all’esigenza di evitare la troppo spesso irragionevole durata del procedimento per le indagini preliminari, si sono volute sollecitare le tempistiche in questa fase del procedimento. Il giudice è, quindi, tenuto a fissare l’udienza entro tre mesi da quando ha deciso di non accogliere de plano la richiesta di archiviazione; inoltre, a norma del 4 comma dell’art. 409 c.p.p. avrà ulteriori tre mesi in esito all’udienza per emettere l’ordinanza di archiviazione o ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione. È stato segnalato, tuttavia, che si tratta di cadenze che non garantiscono la certezza né la ragionevolezza dei tempi di tale fase processuale. In primo luogo, a norma del comma 1 dell’art. 409 c.p.p., non è previsto alcun termine per la valutazione circa l’emissione del provvedimento del plano, nessun limite cronologico è previsto, indipendentemente dalla complessità della questione. Inoltre, pare irragionevole e inutile ritardare lo svolgimento dell’udienza e la decisione quando il giudice è fermo nel ritenere di non accogliere la richiesta133. Il rispetto delle forme di cui al 127 c.p.p. impone che l'avviso di fissazione dell'udienza vada comunicato o notificato agli interessati almeno dieci giorni prima della data di comparizione e che fino a cinque giorni prima di tale data possono essere presentate memorie in cancelleria. Il pubblico ministero, i difensori e gli altri 133 T. RAFARACI, Modifiche in tema di archiviazione, in Archivio della nuova procedura penale, Vol. 8, 2018, pp. 92-93. 45 destinatari dell'avviso sono sentiti se compaiono, ciò significa che la loro partecipazione è solo facoltativa134. Successivamente alla riforma della Legge n. 103 del 2017, dal secondo comma risulta evidente il difetto di coordinamento dei termini previsti dall’art. 408 c.p.p. e quanto disposto dall’art. 126 disp. att. c.p.p. Quest’ultimo dispone, infatti, che il pubblico ministero debba trasmettere gli atti al giudice dopo la presentazione dell’opposizione da parte della persona offesa, ovvero alla scadenza del termine di venti giorni di cui al 3 comma dell’art. 408 c.p.p. È di conseguenza evidente che la riforma Orlando non ha risolto il difetto di coordinamento fra il comma 3 bis dell’art. 408 c.p.p., introdotto dal D.L. n. 93 del 2013, e l’art. 126 disp. att. c.p.p. Persiste il difetto genetico che si sarebbe potuto superare collegando la trasmissione della richiesta di archiviazione, insieme a tutta la documentazione di cui al comma 1 dell’art. 408 c.p.p., all’avvenuto decorso dei termini previsti per l’opposizione135. Infine, all’esito dell’udienza di cui all’art. 409 c.p.p. possono essere emessi diversi provvedimenti: la disposizione di ulteriori indagini; l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. di soggetti mai prima indagati e per i quali non è stata avanzata alcuna istanza; l’imputazione coatta del soggetto per il quale è stata formulata la richiesta; infine, l’ordinanza di archiviazione. 134 C. OVI, a cura di, c.p.p. art. 409 - Provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione, in Leggi d’Italia PA, pp. 4-5, consultato in data 29/04/2019. M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale, VI edizione, 2016 pp. 492-493. 135 F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, p. 136. L. KALB, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, cit., 2017, pp. 1309-1310. 46 CAPITOLO III IL NUOVO ART. 410 BIS 1. Introduzione L’art. 410 bis c.p.p. è stato introdotto dalla legge n. 103 del 2017, accogliendo, almeno in parte, le soluzioni promosse dalla giurisprudenza di legittimità in materia. La ratio della novella è garantire maggiormente la persona offesa, in particolare ha l’obiettivo di assicurare che la decisione sull’archiviazione sia presa solo dopo aver instaurato il contraddittorio con i soggetti interessati. I propositi di tutela, tuttavia, si sono dovuti scontrare con le esigenze del processo, specie con il rischio di sovraccaricare di lavoro la Corte di Cassazione, già rallentata. La neo introdotta disposizione assegna al tribunale in composizione monocratica il reclamo, al fine di rispondere a tali esigenze, fra le altre di economia e velocità processuale136. 2. I casi di nullità del provvedimento di archiviazione L’art. 410 bis c.p.p., rubricato «nullità del decreto di archiviazione», da poco introdotto dando voce ai precedenti orientamenti giurisprudenziali, distingue le fattispecie in cui sia riscontrabile la nullità di un decreto di archiviazione da quelle dell’omologa ordinanza, con lo scopo in tale ultimo caso di limitare l’impugnabilità del provvedimento archiviativo. Il legislatore, quindi, ha voluto evitare che l’opposizione della parte offesa sia presentata ai soli fini dilatori, senza nessun concreto effetto propulsivo e di arricchimento delle indagini svolte137. Il comma 2 dell’art. 410 bis, c.p.p., stabilisce in continuità con la vecchia disciplina dettata dall’art. 409 comma 6 c.p.p., che l’ordinanza di archiviazione «è nulla solo nei casi previsti dall’art. 127, comma 5». Si tratta di ipotesi che vedono leso l’effettivo esercizio del diritto al contraddittorio in ambito dell’udienza camerale di 136 A. MARANDOLA, La riforma Orlando. I profili processuali: prime considerazioni, in Studium Iuris, Vol. 10, 2017, pp. 1109-1112. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit. 2018, pp. 138-140. 137 N. MASTROMATTEO, Opposizione alla richiesta di archiviazione e tutela del contraddittorio, cit., 2017, pp. 1107-1108. G. TABASCO, Revoca del decreto di Archiviazione de plano e omissione dell’avviso, in Diritto penale e processo, Vol. 5, 2017, pp. 678-680. 47 archiviazione: ex art. 127, comma 1, c.p.p. in relazione agli avvisi ed alle notificazioni «alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori»; circa il diritto dei soggetti legittimati ad essere sentiti se comparsi in udienza, nel caso di detenuto o di internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, di interloquire con il magistrato di sorveglianza ex 409 c.p.p. prima dell’udienza, di cui al terzo comma; a norma del comma quarto, al diritto al rinvio dell’udienza per l’indagato detenuto, se sussiste un legittimo impedimento138. Grande attenzione è invece posta ai casi di nullità del decreto di archiviazione, le ipotesi previste dal primo comma dell’art. 410 bis c.p.p. sono quattro, in particolare: in primo luogo, in conseguenza della mancanza dell'avviso previsto dagli artt. 408, commi 2 e 3 bis, e 411, comma 1 bis, c.p.p., si tratta di comunicazioni che devono essere fatte alla persona offesa che abbia o non abbia chiesto di essere informata circa la richiesta di archiviazione; dell’avviso da fare alla stessa e all’indagato nel caso di richiesta per particolare tenuità del fatto. La nullità è conseguenza della mancata instaurazione del contraddittorio con la persona offesa. In secondo luogo, ove il giudice si sia pronunciato prima della scadenza dei termini di cui all'art. 408 c.p.p. - venti giorni ex comma 3 e trenta giorni ex 3 bis - senza che sia stato presentato l'atto di opposizione; in tal caso la nullità presidia il comportamento del giudice nelle fattispecie in cui emetta il decreto archiviativo prima della scadenza del termine dato alla persona offesa per proporre opposizione, di conseguenza in violazione del contraddittorio. Quest’ultimo non sarà ovviamente leso se l’opposizione sia legittimamente presentata prima della scadenza dei termini citati e il giudice successivamente emetterà decreto, nel rispetto delle cadenze processuali. La clausola di salvaguardia «senza che sia stato presentato l’atto di opposizione» sembra appunto suggerire che il giudice possa validamente pronunciare il decreto di archiviazione anche prima della scadenza del termine, se l’opposizione è già stata presentata. Se è richiesta per particolare tenuità del fatto, il decreto non può essere emesso prima della scadenza del termine, nonostante sia stata presentata l’opposizione, anche se inammissibile. I legittimati ad opporsi sono sia la persona 138 M. DE GIORGIO, Le modifiche in tema di archiviazione, in La legislazione penale, 2018, p. 10. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp. 145-146. 48 offesa sia la persona sottoposta alle indagini: anche nel caso in cui la prima presenti opposizione immediatamente, il termine dilatorio particolarmente breve di dieci giorni, non autorizza il giudice ad emettere il decreto prima che questo sia del tutto decorso per entrambe le parti. In terzo luogo, nei casi in cui il giudice ometta di pronunciarsi sulla ammissibilità dell’opposizione presentata; infine, nelle ipotesi in cui «dichiara» illegittimamente - «l'opposizione inammissibile», «salvi i casi di inosservanza dell'art. 410, comma 1» c.p.p. Tale ultima disposizione, tuttavia, è di difficile lettura a causa della non perfetta tecnica legislativa. L’art. 410 c.p.p. stabilisce che la persona offesa «chiede la prosecuzione delle indagini preliminari indicando, a pena di inammissibilità, l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova». La norma stabilisce l’inammissibilità dell’opposizione in mancanza dei detti requisiti, di conseguenza la dottrina si è domandata il motivo per il quale la riforma Orlando lo abbia ribadito quanto già affermato dall’art.410 c.p.p. Il 410 bis c.p.p. deve essere letto quale disposizione a presidio della tassatività delle cause di inammissibilità dell’opposizione, escludendo di conseguenza le ipotesi non espressamente previste dal legislatore. L’art. 410 c.p.p. sanziona espressamente con l’inammissibilità l’opposizione solo nel caso in cui questa non contenga «l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova»; diversamente nel caso di l’opposizione presentata tardivamente non può essere dichiarata l’inammissibilità139. I casi menzionati dall’art. 410 bis c.p.p. si devono ritenere tassativi e non suscettibili di interpretazione analogica; tuttavia, occorre precisare che si possono individuare ulteriori fattispecie di nullità oltre a quelle espressamente previste in cui il decreto di archiviazione possa essere pronunciato in violazione dei diritti della persona offesa. Un esempio è quello relativo all’ordinanza emessa senza il previo avviso all'offeso della fissazione dell'udienza in camera di consiglio o al mancato rinvio dell'udienza medesima nelle casistiche di cui all' art. 127, 4 comma c.p.p. Inoltre, la giurisprudenza ha individuato un'ulteriore ipotesi di nullità nel caso in cui abbia 139 M. DE GIORGIO, Le modifiche in tema di archiviazione, cit., 2018, pp. 10-11. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp. 143-144. 49 pronunciato l'ordinanza di archiviazione per la particolare tenuità del fatto in assenza di una richiesta specifica in tal senso del pubblico ministero140. In conclusione, si può constatare che l’art. 410 bis c.p.p. riformula e ricolloca le ipotesi di nullità precedentemente previste dal comma sesto dell’art. 409 c.p.p. senza apportare sostanziali modifiche. La soluzione legislativa di prevedere i vizi meritevoli di una particolare tutela in un’unica norma ha il pregio di offrire un catalogo ed inoltre di mettere in evidenza le situazioni che meritano una sanzione forte, la nullità del provvedimento adottato, in caso di mancato rispetto del modello legale. 3. Il reclamo: la tutela del contraddittorio Il reclamo è una novità assoluta in materia di impugnazione del decreto di archiviazione, la ratio della disciplina è assicurare che la decisione sull’archiviazione possa essere presa solo dopo aver instaurato il contraddittorio tra le parti. Spesso la persona offesa non era nemmeno a conoscenza della richiesta, con la riforma quindi si vuole evitare “subisca” l’archiviazione, ovvero si limiti a constatare, “a cose fatte”, la situazione ormai perfezionata. Il legislatore, dando voce alla giurisprudenza, ha voluto garantirla in maggiore misura. Inoltre, la prassi processuale che la vedeva esclusa dal contraddittorio, violava i principi di tutela diretti a garantire i diritti informativi e partecipativi della persona offesa, enunciati sia in fonti sovrannazionali sia dalla giurisprudenza costituzionale141. Ante riforma il reclamo era presentato alla Corte di Cassazione ex art. 409, comma 6, c.p.p., «nei casi di nullità previsti dall’art. 127, 5 comma». Inoltre, l’impugnabilità era circoscritta ai soli provvedimenti che disponevano l’archiviazione, con conseguente esclusione di quelli che potevano essere presi nell’udienza camerale: le ipotesi di cui al 4 comma, inerente all’ordinanza che dispone le indagini coatte e al 5 comma, circa l’ordinanza di imputazione coatta. Infine, il ricorso per Cassazione era ritenuto esperibile anche, nei casi di cui all’art. 409 comma 1 c.p.p., avverso il decreto di non accoglimento della richiesta, nel caso in cui non fosse stato dato l’avviso alla C. OVI, c.p.p. art. 410-bis - Nullità del provvedimento di archiviazione, in Leggi d’Italia PA, p.1, consultato in data 29/04/2019. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, p. 601. Si fa riferimento a: Corte di cassazione penale, Sez. II, 2017, n. 45630. 141 Si fa riferimento alla direttiva 29/2012/UE, e alla sentenza della Corte Costituzionale 1994, n. 413. 140 50 persona offesa, sebbene tale prassi abbia suscitato dubbi circa la compatibilità con il principio di tassatività delle impugnazioni. Rientravano fra i motivi di doglianza il mancato avviso alla persona offesa e all’indagato dell’udienza di cui all’art. 409, 2 comma, c.p.p. Infine, deve essere segnalato che fra i soggetti legittimati a proporre ricorso vi era anche il procuratore generale presso la Corte d’ppello, nel caso in cui risultasse mancante la comunicazione nei suoi confronti142. Erano frequenti i ricorsi per Cassazione in caso di violazione del contradditorio, tuttavia nel tempo sono emersi profili di inadeguatezza della soluzione adottata, il cui aspetto principale, non trascurabile, era dato dal consistente sovraccarico di lavoro alla Corte di Cassazione, che si limitava ad annullare per mancata instaurazione del contradditorio143. Attualmente, invece, il reclamo è presentato al Tribunale in composizione monocratica. Gli interessati a promuovere impugnazione, di cui all’art 410 bis c.p.p., sono tutti i soggetti destinatari delle notificazioni, avvisi finalizzati all’effettiva instaurazione del contraddittorio. Ne deriva che i legittimati sono: la persona offesa; la persona sottoposta alle indagini e i relativi difensori; il pubblico ministero e il procuratore generale presso la Corte d’Appello. È previsto un termine di quindici giorni che decorre dall’effettiva conoscenza del provvedimento, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza data in relazione al comma 6 dell’art. 409 c.p.p. Il comma terzo stabilisce la competenza del tribunale in composizione monocratica, della circoscrizione al cui interno si trova il giudice che ha disposto l’archiviazione. Aspetto fondamentale della riforma Orlando sul reclamo è quello teso ad una riduzione del lavoro della Cassazione, che viene perseguita non solo dall’abrogazione del ricorso di cui al comma 6 dell’art. 409 c.p.p., ma anche mediante la non ricorribilità del procedimento ex 410 bis c.p.p. Similmente all’art. 611 c.p.p., con l’obiettivo di limitare il lavoro della Corte di Cassazione, viene previsto al comma 3 che il Tribunale in composizione monocratica si esprima con un’ordinanza non impugnabile, da depositare in cinque giorni dalla deliberazione ex art. 128 c.p.p., «senza l’intervento delle parti interessate». Tuttavia, parte della dottrina ha avanzato alcune perplessità, infatti sebbene il reclamo ex art. 410 bis c.p.p. abbia innegabile pregio di ridurre il carico di lavoro alla 142 143 M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 600-601. F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit., 2018, pp. 138, 147-149. 51 Suprema Corte, solleva alcuni dubbi relativi all’opportunità di affidare alla gestione dei singoli Tribunali questioni di diritto particolarmente delicate, basti pensare alla legittimazione ad assumere la qualità di persona offesa in relazione al fatto reato o in relazione all’individuazione dei confini di ammissibilità dell’opposizione. Affidare alla Corte d’Appello il reclamo avrebbe almeno consentito una maggiore uniformità di indirizzo144. Il contraddittorio di tale fase è meramente cartolare e viene esercitato mediante la presentazione di «memorie non oltre il quindicesimo giorno antecedente l’udienza»145. Circa tale aspetto parte della dottrina ha manifestato alcune perplessità, il reclamo è infatti caratterizzato per sua natura da una disciplina scarna e inidonea a garantire le principali garanzie costituzionalmente previste, fra le quali l’impugnabilità del provvedimento e la tutela del contradditorio146. Recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione sulla tutela del contraddittorio e del diritto di difesa147. Questa ha affermato che l’ordinanza, ex 410 bis c.p.p., pronunciata in assenza di contraddittorio non è impugnabile in Cassazione. La fattispecie riguardava un decreto di archiviazione emesso nonostante l’opposizione della persona offesa: si tratta di un pacifico caso di nullità, dopo la riforma della legge n. 103 del 2017 riconducibile all’art. 410 bis commi 1 e 2 c.p.p. Le parti presentano reclamo a norma dell’art. 410 bis c.p.p., 3 comma, per ripristinare il contraddittorio, tuttavia viene dichiarato inammissibile: il Tribunale emette un’ordinanza senza aver dato avviso alle parti dell’udienza, in palese violazione della norma sopracitata. In particolare, veniva lamentato che: 2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 410-bis c.p.p., e artt. 3, 24 e 111 Cost., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) e b), avendo riguardo all'omesso avviso della data di fissazione dell'udienza per la decisione del reclamo, previa, eventualmente, rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis c.p.p., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di proporre impugnazione in presenza di una palese violazione del diritto di difesa148. 144 T. RAFARACI, Modifiche in tema di archiviazione, cit., 2018, p. 94. Si guardi all’ultima parte dell’art. 410 bis, 3 comma c.p.p. 146 G. TABASCO, Revoca del decreto di archiviazione de plano e omissione dell’avviso, cit., 2017, pp. 679-680. 147 Cassazione penale, Sez. VI, ordinanza, 2018, n. 17535. 148 È riportato un passo della sentenza della Corte di cassazione del 2018, n. 17535. 145 52 La disciplina è stata tuttavia ritenuta conforme ai principi costituzionali e sovranazionali, in particolare la Corte è stata particolarmente attenta ad eliminare ogni dubbio circa la legittimità costituzionale della disciplina. È stato posto l’accento sul dettato letterale dell’art. 410 bis c.p.p., il cui comma 3 afferma che il Tribunale «provvede con ordinanza non impugnabile». Ad maiora, viene richiamato il principio della tipicità dei mezzi di impugnazione: l’art. 568 c.p.p. che esclude l’impugnabilità del provvedimento in esame, in particolare del ricorso per Cassazione. Inoltre, circa la compatibilità con l’art. 111, comma 7 della Costituzione, per il quale «Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge». Per la Corte occorre domandarsi se «il provvedimento emesso in materia di archiviazione di un procedimento penale, e che certamente non può dirsi "sulla libertà personale", sia qualificabile, in senso sostanziale, e agli effetti dell'art. 111 Cost., come "sentenza"». La giurisprudenza di legittimità ha sempre escluso l’operatività delle garanzie di cui all’art. 111, 7 comma, Cost. alle ordinanze e ai decreti di archiviazione. In ogni caso, l’ordinanza emessa in sede di reclamo non è stabile, potendo essere riaperte le indagini ex art. 414 c.p.p. e quindi non è ricorribile per Cassazione. Il doppio grado di giurisdizione viene previsto circa la condanna penale149. Vengono, inoltre, esclusi profili di incostituzionalità relativi alla violazione dell’art. 3 Cost., in quanto non si può rivenire una disciplina omogena invocabile a titolo comparativo; nonché in relazione a diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost. Il tribunale in composizione monocratica non può intervenire sul merito del provvedimento archiviativo. Tale soluzione, tuttavia, sembra essere in contrasto con l’art. 11, comma 1, della direttiva 2012/29/UE nella parte in cui dispone che «gli Stati assicurano alla vittima […] il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non riesercitare l’azione penale. Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale». La Corte, tuttavia, esclude che l’art. 11 richieda la necessità di assicurare un sindacato di legittimità. Ancora il consideranda 43 aggiunge «Il diritto 149 E. LORENZETTO, Omesso avviso dell’udienza di reclamo ex art. 410-bis c.p.p.: il rimedio c’è, ma non si vede, in Diritto penale contemporaneo, Vol. 6, 2018, pp. 287-292. Corte di cassazione, ordinanza, Sez. VI, 2018, n. 17535. 53 alla revisione di una decisione di non esercitare l'azione penale dovrebbe essere inteso come riferito a decisioni adottate da pubblici ministeri e giudici istruttori oppure da autorità di contrasto quali gli agenti di polizia, ma non alle decisioni adottate dalla magistratura giudicante». La direttiva fa riferimento a organi investigativi e non giurisdizionali: rimane un’incertezza testuale della formulazione, che tuttavia va letta nella futura attuazione della disciplina da parte del legislatore nazionale. La Cassazione giunge quindi ad affermare che il rimedio ipotizzabile «è quello della richiesta di revoca del provvedimento adottato dal giudice del reclamo in difetto di contraddittorio, invocata sul presupposto di tale vizio». Vengono invocati diversi argomenti a sostegno di tale tesi: in primo luogo uno letterale, l'ordinanza prevista dal comma 3 dell’art. 410 bis c.p.p., «è definita come «non impugnabile», ma questo non significa "non revocabile”»; in secondo luogo, «i provvedimenti in materia di archiviazione sono non già irrevocabili, bensì privi di stabilità, anche perché, a norma dell'art. 414 cod. proc. pen.»150. 4. Gli esiti Il Tribunale decide in un’udienza con ordinanza, senza la partecipazione delle parti interessate, da depositarsi nel termine di cinque giorni, ex art. 128 c.p.p. Deve essere rilevato che non viene dettato alcuna scadenza in ordine al tempo che deve intercorrere fra proposizione del reclamo e l’ordinanza del tribunale. La decisione del tribunale può avere tre distinti esiti, che sono delineati dal comma 4 dell’art. 410 bis c.p.p.: può essere accolto, con consequenziale annullamento del procedimento impugnato, ciò comporta l’espunzione del provvedimento affetto da nullità, con l’eliminazione dei relativi effetti e la restituzione degli atti al giudice che lo aveva emesso. Il giudice delle indagini preliminari che ha emesso il provvedimento archiviativo non è incompatibile e può, di conseguenza, pronunciarsi successivamente sulla medesima richiesta di archiviazione. Tuttavia, pare preferibile che, a seguito di indicazioni tabellari, sia designato un diverso giudice rispetto a quello che ha adottato il provvedimento impugnato. Infatti, nonostante il superamento dei vizi che avevano violazione dei diritti dei soggetti, il giudice dovrebbe nuovamente pronunciarsi, 150 Corte di cassazione, ordinanza, Sez. VI, 2018, n. 17535. 54 rivalutando la richiesta di archiviazione sulla base delle argomentazioni poste a seguito dell’opposizione che gli era stata preclusa. La nuova disciplina, inoltre, scoraggia le iniziative prive di fondamento, temerarie, come si desume dalle possibili conseguenze in caso di conferma del provvedimento di archiviazione. Tali soluzioni mettono ancora più in evidenza lo schema di fondo della legge n. 103 del 2017, ovvero evitare un appesantimento al carico giudiziario. Se il reclamo è ritenuto infondato, viene confermato il provvedimento e la parte che lo aveva promosso viene condannata alle spese del procedimento; infine, il reclamo può essere ritenuto inammissibile, ciò porta anche alla condanna della parte al pagamento di una somma alla cassa delle ammende, nei limiti dell’art. 616 c.p.p.151. È interessante notare, da una parte la duplicità delle decisioni, dall’altra quella relativa della sanzione che opera solo in caso di inammissibilità del reclamo. Se la censura del tribunale cade sulla proponibilità del reclamo, non nei casi stabiliti dalla legge, vi è inammissibilità; sempre nelle ipotesi di inammissibilità non si faccia riferimento ai soli casi di opposizione presentata fuori termini o a carenze di legittimazione del soggetto interessato. Il secondo aspetto che suscita perplessità è relativo alla condanna alla cassa delle ammende ex art. 616 c.p.p. La Corte Costituzionale si è pronunciata nel 2000 affermando che «dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 616 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la Corte di Cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità […]»152. Nel caso in esame, tuttavia, è difficile ipotizzare una mancata colpa per l’interessato, che proponga reclamo al di fuori dei casi di cui all’art. 410 bis c.p.p. e ad maiora sulla base del 4 comma dell’art. 410 bis c.p.p., l’unica ipotesi nella quale si può configurare una 151 F. CASIBBA, Archiviazione e nuovi diritti della persona offesa, cit, 2018, p. 150. M. DE GIORGIO, Le modifiche in tema di archiviazione, cit., 2018, p. 13. L. KALB, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, cit., 2017, p. 1315. M. BARGIS, Compendio di procedura penale, cit., 2018, pp. 601-602. 152 Corte Costituzionale, del 2000, n. 186. 55 determinazione giudiziale è relativa al mancato rispetto dei termini e ai casi di difetto di legittimazione153. 153 L. KALB, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, cit., 2017, pp. 1315-1316. 56 CONCLUSIONI La presente ricerca evidenzia il processo di superamento dell’oblio del ruolo della persona offesa del reato verso un maggiore protagonismo154. Tale evoluzione è anche caratterizzata dal superamento della tradizionale dicotomia che vede ai due lati opposti la vittima e il presunto autore del reato. Infatti, bisogna essere consapevoli che porre una maggiore attenzione alle vittime è una condizione fondamentale per meglio comprendere il crimine nel suo complesso, in particolare: le responsabilità del colpevole per la corretta valutazione della pena da irrogare ai fini della valutazione del reato sotto un profilo sociologico giudiziario, nonché per la prevenzione della criminalità e la difesa sociale. A livello europeo sono stati raggiunti fondamentali traguardi che, sebbene non costituiscano un punto d’arrivo, garantiscono un livello minimo di protezione nell’intero panorama comunitario; il consideranda 1 della direttiva 2012/29/UE afferma «Tutelare attivamente le vittime di reato costituisce una priorità importante per l'Unione europea e i suoi Stati membri». Nella direttiva la stessa nozione di «vittima» ha subito un’estensione, sul presupposto che il reato viene considerato come «non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime»; alle quali vengono riconosciuti ampi diritti, ritenendo che il loro contributo sia fondamentale ai fini del buon esito del processo. Il legislatore italiano ha dato attuazione a tali obiettivi modificando, nel tempo, l’ordinamento: si vogliono garantire con maggiore forza i diritti informativi, volti a consentire la reale tutela del contraddittorio, e partecipativi. Tuttavia, la dottrina ha segnalato che le soluzioni adottate nel nostro ordinamento peccano, talvolta, di efficacia: diversamente dalla direttiva non sono stati previsti uffici dedicati alle «persone offese» preposti alla cura concreta dei diversi loro bisogni. Occorre, inoltre, ricordare che alla violazione delle comunicazioni di cui agli artt. 90 bis e 90 ter c.p.p. non sono collegate sanzioni, ovvero non sono previste a pena di nullità, di conseguenza una loro violazione comporta una mera irregolarità, inficiando così la reale portata dei diritti informativi garantiti. Si fa riferimento allo scritto di M. VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al protagonismo?, 2015. 154 57 La fase delle indagini preliminari, in quanto attività degli organi inquirenti, è destinata a proseguire sfociando in una delle forme dell’esercizio dell’azione penale, o ad esaurirsi con l’archiviazione, «realtà (ad essa) speculare»: è stato affermato che «l’archiviazione non è altro che la faccia oscura dell’art. 112 Cost.»155. Tale norma costituzionale stabilisce che «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», occorre tuttavia precisare che non si tratta di un obbligo assoluto, la sua operatività è delimitata dal rispetto dei suoi presupposti Deve essere ribadito che detto principio tutela la giustizia legale ed è «scudo contro l’influenza frenante di poteri esterni alla magistratura»156. Inoltre, garantisce il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., anche nel caso in cui la persona offesa non abbia disponibilità economiche il reato deve essere perseguito; il principio di legalità, affermato dal comma 2 dell’art. 25 Cost., per il quale la legge determina i casi nei quali una persona debba o meno essere punita, scelta che non può essere lasciata alla discrezionalità di un soggetto. Possono, tuttavia, esservi dei casi di mancato esercizio dell’azione penale, sebbene ne sussistano i presupposti: il pubblico ministero può sbagliare. Pertanto, è necessario prevedere degli strumenti di controllo a garanzia del principio affermato. Tradizionalmente questo è svolto dal giudice delle indagini preliminari, nondimeno sono insorte delle difficoltà concernenti «la delimitazione dei poteri di controllo dell’operato del pubblico ministero per assicurare il rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ex art. 112 Cost.», che hanno visto diversi interventi da parte della Corte di Cassazione157. In aggiunta, emerge il potere di controllo affidato alla persona offesa, ovvero di un meccanismo volto a vigilare sulle archiviazioni arbitrarie: verifica necessaria al fine di dare realisticamente applicazione al principio di obbligatorietà dell’azione penale158. L’opposizione, di cui all’art. 410 c.p.p., costituisce una della più importanti prerogative riconosciuto a questo soggetto nel codice di procedura penale del 1988: emerge il ruolo ampliato della persona offesa nel procedimento di archiviazione. G. GIOSTRA, L’archiviazione, lineamenti sistematici e questioni interpretative, cit., 1994, pp. 8, 12. M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, 1995, pp. 77-78, 91-94. Si guardi anche alla sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 1979. 157 157 Si fa riferimento a Corte di cassazione, Sezioni Unite, 2013, n. 4319. 158 M. CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, 1995, pp. 55-58. 155 156 58 Questa fase non è un affaire a deux, dalla quale rimane estromesso il soggetto passivo159. Si può constatare un generale ampliamento dei termini, attuato per dare effettività alla ragionevole durata del processo e al contradditorio in questa fase. Nonostante i pregi della novella, data dalla legge n. 103 del 2017, possono essere mosse alcune critiche, in particolare circa l’art. 408 3 bis c.p.p., che prevede «per i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di cui all’art. 624 bis del codice penale, l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato». La contestuale previsione di una tecnica casistica, che rischia di lasciare vuoti di tutela, affiancata ad una formula eccessivamente generica conserva alcuni difficili profili interpretativi che hanno richiesto l’intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, al fine di circostanziare il concetto di «violenza alla persona» così da individuare le condotte coinvolte dalla disciplina. Le Sezioni Unite, all’esito di un interessante percorso interpretativo, hanno affermato che «dalla lettura delle fonti sovranazionali (…) emerge come l'espressione "violenza alla persona" sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche e che lo stalking rientri tra le ipotesi "significative" di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime. Si tratta di indicazioni che costituiscono un fondamentale riferimento per addivenire ad una interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo». La Corte è dovuta intervenire anche in relazione al provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto. Il superamento di una lettura formalistica del principio di obbligatorietà dell’azione penale ha dato spazio a tale istituto, al fine di dare ascolto ad ulteriori esigenze, quali il principio di offensività e della ragionevole durata del processo. Si tratta di un provvedimento che scaturisce da un procedimento diversificato, caratterizzato dal fatto che sia l’indagato che la persona offesa dal reato possono opporsi alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero. La Corte ribadisce l’importanza della procedura diversificata data dall’art. 411, comma 1 bis, c.p.p., ai fini della tutela del contraddittorio, inoltre si è occupata di archiviazione 159 C. MORSELLI, Il Crivello di Eratostene dell’archiviazione e l’opposizione extraimpugnativa (adýnaton) in facto ma non in iure: una lacuna rilevante?, in Diritto penale e processo, 2017, Vol. 7, p. 964. 59 in relazione al rapporto tra richiesta di archiviazione per le cause classiche e quella ex art. 131 bis c.p., ovvero se il giudice possa disporre l’archiviazione per causa diversa rispetto alla richiesta del pubblico ministero. La soluzione adottata attua le opportune distinzioni: il giudice delle indagini preliminari può disporre l’archiviazione per infondatezza o per una formula in diritto diversa dalla tenuità, all’opposto se la richiesta l’archiviazione è per le ipotesi classiche il giudice non può archiviare per particolare tenuità. Infine, in questi giorni all’esame del consesso è la questione inerente all’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. Secondo le informazioni provvisorie, le Sezioni Unite hanno risposto affermativamente, precisando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione. Nell’ultima parte dello scritto si è analizzato l’art. 410 bis c.p.p. La norma, recentemente introdotta, si inserisce in un processo riformatore improntato dalla semplificazione e riduzione delle impugnazioni. Si può constatare che l’art. 410 bis c.p.p. riformula e ricolloca le ipotesi di nullità precedentemente previste dal comma sesto dell’art. 409 c.p.p. senza apportare sostanziali modifiche. La soluzione legislativa di prevedere i vizi meritevoli di una particolare tutela in un’unica norma ha il pregio di offrire un catalogo ed inoltre di mettere in evidenza le situazioni che meritano una sanzione forte, la nullità del provvedimento adottato, in caso di mancato rispetto del modello legale. Di più grande interesse è la sostituzione del ricorso di cui all’art. 409, comma 6 c.p.p., abrogato dalla Legge n. 103 del 2017, con il reclamo. Questo risponde in modo evidente all’emergenza di deflazionare l’attuale carico pendente davanti alla Corte di Cassazione; tale esigenza risulta ancora più palese dalla non ricorribilità del procedimento ex 410 bis c.p.p. Nonostante i pregi non sono mancate le critiche al nuovo istituto, infatti sono stati sollevati dubbi relativi all’opportunità di affidare alla gestione dei singoli Tribunali questioni di diritto particolarmente delicate. Ancora: il contraddittorio di tale fase è meramente cartolare e viene esercitato mediante la presentazione di memorie. Parte della dottrina ha manifestato alcune perplessità, il reclamo è infatti caratterizzato per sua natura da una disciplina scarna e inidonea a garantire le principali garanzie costituzionalmente previste, fra le quali l’impugnabilità 60 del provvedimento e la tutela del contradditorio. Nondimeno, è intervenuta la Corte di Cassazione, affermando che l’ordinanza, ex 410 bis c.p.p., pronunciata in assenza di contraddittorio non è impugnabile in Cassazione160. Infine, la nuova disciplina scoraggia le iniziative prive di fondamento, temerarie. Vengono previste pesanti sanzioni: se il reclamo è ritenuto infondato e viene confermato il provvedimento. La parte che lo aveva promosso viene condannata alle spese del procedimento; nel caso in cui il reclamo sia ritenuto inammissibile, ciò comporta anche la condanna della parte al pagamento di una somma alla cassa delle ammende161. 160 Cassazione penale, Sez. VI, ordinanza, 2018, n. 17535 L. KALB, La riforma in materia di archiviazione: nullità del provvedimento e controllo giurisdizionale mediante reclamo, cit., 2017, pp. 1315-1316. 161 61 BIBLIOGRAFIA Volumi, monografie e articoli • AIMONETTO M.G., Persona offesa dal reato, in Enciclopedia del diritto, Vol. XXXIII, 1983, pp. 318-332. • ANGIOLINI G., I limiti del controllo sull’adempimento dell’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale, Commento a Cass., Sez. Un., 28 novembre 2013 (dep. 30 gennaio 2014), n. 4319, Pres. Santacroce, Rel. Lombardi, ric. P.m. in proc. 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