PANI LORIGA: CAMPAGNE DI SCAVO 2007-2008
Massimo BOTTO*
Ida OGGIANO*
1. TOPOGRAFIA E STORIA DEGLI STUDI
Pani Loriga si trova in vista dell’attuale abitato di Santadi, su un modesto rilievo a
forma di “U” delimitato ad E dal corso del Riu Mannu. Il sito dista solo pochi chilometri in linea
d’aria dalla costa ed è in rapporto visivo con la colonia di Sulci sull’isola di Sant’Antioco, ad
occidente dell’ampio e sicuro Golfo di Palmas. Inoltre, Pani Loriga si pone in posizione strategica
a controllo dei passi di Pantaleo e Campanasissa, cioè delle vie che rappresentavano il naturale
collegamento rispettivamente con le fertili pianure del basso Campidano e con il Cixerri orientale
e le aree minerarie dell’Iglesiente meridionale (fig. 1). Questa felice posizione determinò una
frequentazione della collina sin da epoche molto antiche, come testimoniato da una necropoli a
domus de janas il cui impianto originario risale al III millennio a.C.1.
Fig 1a. Stralcio della Carta Tecnica Regionale (Sezione N. 565090); 1b.Modello tridimensionale del
terreno con vista da Nord della collina di Pani Loriga (www.sardegna3d.it).
L’insediamento fu individuato da Ferruccio Barreca durante le ricognizioni del territorio sulcitano
da lui stesso dirette a metà degli anni Sessanta del secolo scorso2. Sul luogo si conosceva l’esistenza di un
nuraghe (Nuraghe Diana), ma l’esplorazione topografica effettuata nel 1965 ha rivelato l’esistenza di resti
punici pertinenti ad un abitato di notevoli dimensioni, ad una necropoli rupestre e ad un’area sacra. Le
prime ricerche hanno avuto luogo fra il 1968 e il maggio del 1970 sotto la direzione del Barreca, coadiuvato
dall’Ispettore onorario Vittorio Pispisa. Le indagini furono indirizzate allo scavo delle cosiddette casematte
e di strutture ubicate sull’“acropoli”, ma successivamente si concentrarono sulla necropoli fenicia ad
incinerazione, con la messa in luce di numerose tombe monosome del tipo a fossa. Dal luglio del 1970
e sino al 1976 la necropoli fenicia è stata oggetto di ulteriori indagini da parte di Giovanni Tore3. I reperti
provenienti da quest’area, acquisiti sia con lo scavo che con la raccolta di superficie, attestano non solo
l’antichità della fondazione fenicia, che si può far risalire alla fine del VII sec. a.C., ma anche la rete di
scambi, verosimilmente mediata da Sulci, con importazioni sia dal mondo greco sia da quello etrusco4.
* Istituo di Studi sul Mediterraneo Antico (ISMA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); massimo.botto@
isma.cnr.it; ida.oggiano@isma.cnr.it.
1
Atzeni 1987; Atzeni 1995; Lilliu 1995
2
Barreca 1966, p. 162.
3
Tore 1975; Tore 1995; Tore 2000.
4
Ugas, Zucca 1984: 121-122; Tore 2000: 337-338, nota 33.
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Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
A partire dal 2005, l’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico (ISCIMA)
del CNR ha operato sul sito in regime di “convenzione”, effettuando ricognizioni di superficie
sull’intera collina allo scopo di posizionare tramite GPS le evidenze archeologiche. Si è inoltre creata
la rete di inquadramento topografico generale tramite caposaldi quotati e in seguito alla pulizia della
necropoli fenicia è stata rivista e aggiornata la planimetria realizzata dopo gli scavi degli anni Settanta
del secolo scorso. I dati raccolti nel corso delle surveys, dei rilievi topografici di dettaglio e degli scavi
sono integrati nel Sistema Informativo Geografico Archeologico dedicato a questo progetto.
Nel 2007 ha avuto luogo la prima campagna di scavi all’abitato sul pianoro collocato sul lato
meridionale dell’altura (Area A). Dal 2008 l’ISCIMA opera sull’insediamento fenicio e punico di Pani
Loriga in regime di “concessione”: oltre all’Area A, sono stati effettuati scavi in corrispondenza di uno
degli accessi dell’insediamento ubicato sul versante settentrionale (Area B).
[M.B. – I.O.]
2. AREA A
Gli scavi dell’aera A di Pani Loriga, condotti tra 2007 e il 2008 hanno interessato l’area dell’abitato
punico posto sul pianoro meridionale dell’altura di Pani Loriga5. Questo settore della collina, denominato
area A (fig. 2), era già stato indagato negli anni Settanta del secolo scorso, quando erano stati scavati molti
ambienti dei quali erano stati portati alla luce i principali allineamenti murari senza peraltro documentare
la stratigrafia interna ai vani. Dei molti ambienti scavati è quindi difficile ricostruire gli originali contesti
d’uso, essendo stati svuotati dai materiali senza procedere ad un’adeguata documentazione.
L’abitato si impostava direttamente sul banco roccioso, con gruppi di ambienti di forma allungata
aperti su assi stradali regolari, secondo una forma di organizzazione dello spazio urbano che in queste fasi
ebbe particolare fortuna in ambito punico6. Lo scavo di due vani (denominati Vano I e Vano II) ha fornito
importanti informazioni sull’edilizia privata (tecnica costruttiva in crudo, dati metrologici, articolazione
delle unità abitative tra spazi aperti e chiusi) e ha consentito di ricostruire uno spaccato della vita dell’abitato
punico visto che sono stati ritrovati, integralmente conservati, i piani pavimentali coperti dal materiale
in posto. Di particolare interesse è stata l’indagine condotta nel Vano I, del quale i vecchi scavi avevano
intaccato solo i livelli superiori.
Fig 2. Veduta aerea del pianoro (area A).
5
6
Le indagini sul campo nell’area sono state seguite in collaborazione con Tatiana Pedrazzi. L’elaborazione grafica qui
edite sono di Candelato (F.) e di Bonturi (M.); le foto sono di Oggiano (I.); i disegni della ceramica sono di Serra (G.).
Per un primo inquadramento della documentazione presentata si veda Botto - Candelato - Oggiano - Pedrazzi 2010.
Per la regolarità degli impianti urbani in ambito punico si veda Mezzolani 1994.
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Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
I due vani sono parte di una unica unità abitativa (figg. 3 e 4), articolata in diversi ambienti
di cui il Vano I rappresenta la parte coperta e il Vano II il cortile, comunicanti tra loro attraverso
un ampio ingresso posto nell’angolo NE del Vano I. Quest’ultimo fu costruito direttamente sulla
roccia, forse parzialmente livellata e ricoperta integralmente con uno strato di riempimento (US47),
che, opportunamente spianato, dovette fungere anche da piano di calpestio (US45). Le murature
(USS 6, 8, 15, 16), il cui elevato si conserva fino ad un’altezza massima di 1,15 nel muro S/SO,
poggiavano direttamente sulla roccia ed erano formate da pietrame di pezzatura assai varia, posto in
opera con malta di fango. Pur in assenza di corsi regolari di pietre, è evidente che i blocchi di grosse
dimensioni erano disposti nella parte bassa dei muri, direttamente a contatto con la roccia; essendo
sbozzati in modo irregolare, i blocchi necessitavano di essere fissati alla roccia tramite pietrame di
piccole dimensioni, posto a colmare i vuoti. Piuttosto inusuale è invece la collocazione nella parte
alta della muratura di blocchi di grandi dimensioni; allo stato attuale delle conoscenze non è possibile riferire tale anomalia costruttiva ad una scelta di tipo tecnico piuttosto che all’innalzamento del
piano di calpestio, con conseguente rimaneggiamento della muratura alla nuova quota7.
Fig 3. Il complesso dei vani abitativi indagati visti da Nord-Ovest
Direttamente sulla roccia era impostata anche una
struttura di forma quadrangolare regolare (US 42) addossata
al muro SO (USM 6), costruita con pietre irregolari di
varia dimensione. L’installazione non presenta tracce di
alcun tipo di rivestimento e sembra reimpiegare nella
costruzione alcuni elementi pertinenti a strutture precedenti
(fig. 5). Potrebbe trattarsi della base di una scala anche per
la posizione, in un angolo della stanza e di fronte al suo
ingresso. La scala garantiva l’accesso ad un piano superiore
realizzato in mattoni crudi la cui esistenza è ben testimoniata
dalla presenza di uno strato di crollo eccezionalmente ben
preservato, costituito da mattoni crudi di differenti colori
(giallo, bianco e violaceo), alcuni conservati in forma
pressoché integra (28 x 30 x 10 cm) (figg. 6-7)8. La parte
Fig 4. Pianta della fase di vita del Vano I.
7
8
Sulle tecniche costruttive nel mondo punico, si veda Prados Martìnez 2003.
Per un esempio di mattoni di diverso colore, si veda Bartoloni 2005, 11, fig. 2. Sull’uso dei mattoni crudi in
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Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
occidentale dell’ambiente doveva quindi essere ricoperta
da un tetto piano in argilla, secondo una tecnica in uso in
ambito fenicio e punico, nonché nei paesi levantini e nel
Nord-Africa fino ai giorni nostri9.
Fig 5. L’installazione in pietra addossata al muro (US Fig 6. Strato di crollo di mattoni crudi (US 37) nel
42), il piano pavimentale (US 45) e il focolare (US 46) Vano I.
Fig 7. Mattone crudo quasi integro dal crollo US 37.
Nella parte meridionale del vano erano immagazzinate alcune anfore commerciali, probabilmente cinque o sei esemplari quasi integralmente ricostruibili, poggiate lungo le murature e
addossate alla base della scala (US 42). Esse appartenevano prevalentemente al tipo Bartoloni D4
ma sono attestati anche singoli esemplari del tipo Bartoloni D1 e D710.
All’incirca al centro del vano si trovava un punto di fuoco (US 46; fig. 5), sul quale era
poggiato un grande tegame realizzato a mano, oltre a diversi frammenti di pentole (figg. 8-9).
9
10
altri siti punici di Sardegna, si vedano Bonetto - Ghiotto - Novello 2005 (per Nora), Cerasetti 1995, 31-36 (per
Tharros), Bartoloni 2005, 11 (per Sulcis). Per l’uso del pisé piuttosto che del mattone crudo nelle costruzioni
rurali puniche Van Dommelen (P.) - McLellan (K.) - Sharpe (L.), 171.
Prados Martìnez 2003, 124.
Sulle produzioni anforiche sarde, oltre agli studi di Bartoloni (P.) e Ramon Torres (J.) (Bartoloni 1988 e Ramon
Torres 1995) si veda da ultimo il lavoro di Finocchi (S.) (Finocchi 2009: 400-407, 441-442).
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Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
Fig 8. Tegame dal punto di fuoco US 46.
Fig 9. Pentola dal punto di fuoco US 46
Il Vano I ha restituito materiali di varia natura che aprono alcune questioni circa la sua funzione. Oltre alle anfore commerciali di cui si è detto, sono venuti alla luce una coppetta (fig. 10),
frammenti di ceramica a vernice nera di produzione attica inquadrabili all’interno del V secolo a.C.
(figg. 11-13), bacini, un anello in bronzo (fig. 14), un vago di collana in pasta vitrea blu, una fusaiola
in pietra, tutti ritrovati sul piano o inglobati nel crollo (US 44) delle anfore11.
I frammenti delle forme ceramiche, quasi interamente ricostruibili, sono stati ritrovati sparsi
sul piano anche a distanza notevole l’uno dall’altro. Questo sembra indicare che fossero originariamente posizionati in alto, su mensole ad esempio, e che, cadendo, si siano sparpagliati sul pavimento.
L’analisi preliminare dei materiali consente di inquadrare la fase di vita dell’ambiente in un periodo
compreso tra il VI sec. (per la presenza di un’anfora Bartoloni D1- Ramon - T.1.2.1.1), il V sec. a.C. (per la
presenza di anfore del tipo e Bartoloni D4 - Ramon T.4.1.1.3), e il IV, momento a cui si ascrive l’abbandono
dell’edificio (per la presenza di un’anfore del tipo Bartoloni D7 - Ramon T- 4.1.1.3 e T-4.1.14).
Di un certo interesse, per la definizione della funzione del vano, è il ritrovamento di due
bruciaprofumi a coppe sovrapposte rinvenuti sul piano del Vano I (PL08A 44/3 e PL08A 45/1)
(figg. 15-17). La forma, poco attestata nell’area fenicia costiera ma nota a Cipro, da dove proviene tra l’altro il bell’esemplare in Red Slip del Tempio 1 di Kition-Kathari12, è invece ben nota
in Occidente, dove è presente in pressoché tutte le aree coloniali, per lo più in contesti funerari
o cultuali, in un arco cronologico compreso tra l’VIII e II sec. a.C. In ambito abitativo sono stati
rinvenuti a Cartagine13, Mozia14, nella Penisola iberica (si ricordano gli esemplari di Morro de
Mezquitilla e Santa Olalia)15, e in Sardegna, a Monte Sirai16.
11
12
13
14
15
16
La ceramica attica è in corso di studio da parte di Carlo Tronchetti.
Per un recente sintesi sulla forma si veda Botto - Campanella 2009.
Vegas 1999, 212-213, fig. 125, 2-4; Peserico 2007, 300 exx. 1676a e b; Bechtold 2007, 426-428, exx. 2400-2404.
Vecchio 2002, 258, tipo 151, tav. 51,1 (della seconda metà del VI sec. a.C.), tipo 51,2 (della fine del IV - III sec. a.C.).
Per Morro de Mezquitilla Shubart 1982, 43, fig. 4,a; per Santa Olalia Arruda 2002, 231, fig. 161, 2-5.
Marras 1981, 194, fig. 4, 6; Peserico 1994, 131-133, fig. 2, o-p; Balzano 1999, 92-102; Campanella 1999, 88-89,
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Fig 10. coppetta ritrovata sul piano del Vano I
Fig 11. Frammento di ceramica attica
Fig 12. Frammento di ceramica attica
Fig 13. Frammento di ceramica attica
fig. 19, 143. Gli esemplari si inquadrano tra il VIII e il II sec. a.C.
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Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
Fig 14. Anello di bronzo
Fig 15. Disegno del bruciaprofumi PL 08 A 44/3
Fig 16. Disegno del bruciaprofumi PL 08 A 45/
Fig 17. Bruciaprofumi PL 08 A 44/3 in situ sul pavimento del Vano I (US 44)
Sulla funzione di questo tipo di forma non c’è accordo tra gli studiosi17. In ambito cultuale
è verosimile che questa particolare forma fosse destinata alla deposizione di offerte votive (sa17
Per un recente riesame delle diverse opinioni circa la funzione si veda Najim 1996; Botto - Campanella 2009 a
cui si rimanda anche per la bibliografia relativa ai diversi insediamenti d’Oriente e Occidente in cui è attestata
la forma in contesti funerari e cultuali. Per gli aspetti funzionali in relazione all’ambito sardo si vedano Balzano
1999, 105-116; Campanella 1999, 88; Bartoloni 2000a, 102-103, Guirguis 2004, 85. Sui thymiateria fenici,
con particolare riferimento agli esemplari in bronzo, e sulla loro funzione così come testimoniata nelle fonti
archeologiche, iconografiche e letterarie si veda Mordstat 2008.
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Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
crifici non cruenti come offerte vegetali e alimentari), fossero esse bruciate (come indicherebbe
l’esistenza dello stelo forato di collegamento tra le due coppe che doveva, almeno originariamente, essere funzionale alla circolazione dell’aria in occasione della combustione delle sostanze collocate nella coppa superiore) oppure semplicemente deposte all’interno di questo singolare tipo
di oggetto che, per la sua peculiarità morfologica era già indicativo del tipo di offerta dedicata.
I due frammenti provenienti dal Vano I di Pani Loriga sono pertinenti alla parte inferiore
di due bruciaprofumi distinti di cui evidentemente manca la coppa superiore. Le coppe inferiori,
entrambe caratterizzate da un fondo piatto e da una bassa carenatura, hanno un profilo vicino a
quelle degli esemplari provenienti dalla necropoli di Nora, databili agli ultimi del V sec. a.C.18.
Anche le dimensioni della coppa inferiore, ancora piuttosto ampie, ben si collocano in una fase
cronologica precedente all’epoca ellenistica, momento in cui il processo di restringimento del
recipiente inferiore, così come riscontrato nell’evoluzione morfologica del tipo, arriva ad una
completa assimilazione con un piede espanso19.
Sebbene l’esame dei reperti sia ancora in corso, si può affermare ragionevolmente che
la parte superiore delle coppe non fosse più presente nel momento in cui i due recipienti furono
usati nel Vano I. Si deve quindi immaginare che essi fossero originariamente utilizzati nella loro
funzione di oggetti integri in altro conteso (forse pure abitativo) e che, una volta rotti, la parte inferiore venisse usata all’interno del Vano I. Questa considerazione si basa anche sulla valutazione
della affidabilità stratigrafica delle unità scavate. Il contesto è infatti chiuso essendo il materiale
rinvenuto schiacciato sul pavimento e sigillato dal sovrastante crollo di mattoni crudi, tanto che
di quasi tutte le forme si sono potuti rintracciare i frammenti sparsi sul pavimento (pure, come si
è detto, a distanza notevole l’uno dall’altro). Nel riutilizzo dell’oggetto all’interno del Vano I si
potrebbe pensare che la due coppe fossero utilizzate come lucerne e che la base del vaso fungesse
da deposito di un combustibile misto di grassi animali e vegetali. Tuttavia l’assenza di tracce di
bruciato rende l’ipotesi non ulteriormente confermabile.
Il vano fu abbandonato repentinamente, tanto che tutto il materiale in esso contenuto
fu lasciato in situ. All’abbandono è connesso il crollo del tetto e della parte alta degli elevati in
mattoni, che provocò la frantumazione delle anfore commerciali su tutto il pavimento (fig. 18).
Fig 18. Anfore schiacciate sul pavimento di fronte all’ingresso del Vano I
18
19
Bartoloni - Tronchetti 1981, fig. 8, 60.9.6.
Campanella 1999, 88.
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In seguito all’abbandono, il vano dovette essere riutilizzato in forme e modi non meglio
documentati. Sicuramente nell’angolo sud-occidentale fu costruita una piccola installazione in crudo
(US 28) di cui non è possibile precisare la forma
e la funzione, dato che fu poi schiacciata dal crollo degli elevati in pietra. In questa installazione era
reimpiegata una macina in pietra spezzata (fig. 19)
alla quale originariamente era appoggiata un’anfora
di poduzione greco-occidentale.
L’ultima fase di crollo è quella degli elevati
in pietra (US 27): il crollo di pietre è conservato quasi
esclusivamente entro i limiti interni del vano, poiché
la parte esterna fu asportata durante i lavori di scavo
degli anni ’70.
L’esame tipologico delle forme, unitamente
a quello dei dati stratigrafici e delle analisi archeometriche, indica che il Vano I doveva essere destinato alla conservazione di diversi materiali: da un
lato le anfore commerciali, contenenti prodotti di
diversa natura tra i quali, almeno in un caso, una
salsa alimentare. Nella parte non coperta della stanFig 19. Strati di abbandono del vano dopo il crolza doveva trovarsi un focolare nel quale venivano lo dell’elevato in crudo
cotti alimenti (in pentole e sul tegame), mentre su
mensole dovevano essere poggiati vasi più delicati come le coppe attiche, coppe di uso comune
e i bacini, e oggetti di diversa natura come la fusaiola, la perlina e l’anello. La presenza di bruciaprofumi a coppe sovrapposte con funzione forse di lucerna (pure non usate vista l’assenza di
tracce di bruciato) orienta ad interpretare la funzione dell’ambiente come abitativa, forse come
stanza per la conservazione e successivo smercio di prodotti e oggetti, con affaccio sul Vano II che
comunicava direttamente con un asse viario di una certa importanza. La funzione di quest’ultimo
come cortile è infatti deducibile, oltre che dai dati della stratigrafia anche da tipo di reperti rinvenuti, molti dei quali collegati, a parte alcune anfore poggiate lungo la muratura sud (USM 15) e
di alcune ceramiche da mensa come piatti, ad attività di cottura e trasformazione degli alimenti:
tannur/tabouna, pentole, alari, bacini20.
[I.O.]
3. AREA B
L’Area B è stata individuata da chi scrive insieme a Federica Candelato nel corso delle
prospezioni condotte fra il 2006 e il 2007 lungo il declivio settentrionale dell’altura di Pani
Loriga21. La scoperta ha permesso di ipotizzare la presenza di strutture relative alla colonia
fenicia e punica anche su questo versante collinare (fig. 20). Gli scavi condotti a partire dal 2008
hanno confermato tale ipotesi, mettendo in luce un edificio di forma quadrangolare irregolare
20
21
Sulla cottura degli alimenti nel mondo punico si vedano i diversi studi di Campanella (L.) dedicati sia alle
tipologie ceramiche (dalla ceramica da cucina - Campanella 2009 a - ai tannur/tabouna, Campanella 2009b), sia
più in generale all’alimentazione (Campanella. 2008). Sui bacini Bellelli - Botto 2002.
Desidero esprimere un sentito ringraziamento a Federica Candelato, che oltre a seguire con impegno lo scavo
dell’Area B ha redatto l’apparato grafico e fotografico del presente lavoro; i disegni dei reperti sono stati elaborati
da Remo Forresu, curatore del Museo Archeologico di Santadi, e da, Elisa Sousa Barbosa, dell’Università di
Lisbona, a cui va tutta la mia gratitudine. Sono grato anche a Dominique Frère e alla sua équipe per il proficuo
scambio di idee avuto in occasione della selezione e dello studio dei materiali di Pani Loriga. Sulle prospezioni
e sulle prime indagini archeologiche all’area B cf. Botto - Candelato - Oggiano - Pedrazzi 2010.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
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Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
(11/11,70 x 9,30/9,69 m) (fig. 21). La struttura, orientata a N secondo gli angoli, è suddivisa
in tre ambienti rettangolari (ambienti 1, 2 e 4)22 la cui realizzazione si pone, come vedremo
meglio in seguito, agli inizi del V sec. a.C., cioè a partire dalle prime fasi della presenza
cartaginese in Sardegna. Non si esclude però la possibilità che l’area fosse frequentata anche
nei momenti finali della fase fenicia, come indiziato da alcuni frammenti ceramici rinvenuti
nelle preparazioni dei più antichi battuti pavimentali.
L’edificio della fase cartaginese risulta suddiviso in tre ambienti i cui piani pavimentali sono
collocati a quote differenti. Infatti, i vani sopra indicati presentano un dislivello in senso S-N, con il
vano meridionale (n. 4) posto ad una quota superiore rispetto agli altri in conformità con l’andamento
del banco naturale. Va inoltre rilevato che l’intera struttura, legandosi sia sul settore SO che su quello
NE ad altri vani, doveva sicuramente far parte di un più ampio complesso disposto su gran parte del
versante collinare settentrionale (fig. 22). Riguardo all’edificio indagato, si tratta verosimilmente
di una struttura polifunzionale, a giudicare da diversi elementi, che vanno dalla tecnica edilizia alla
divisione degli spazi, da alcuni accorgimenti architettonici alla natura e dislocazione dei materiali.
Nell’ambiente 1 (fig. 21) è stata messa in luce nel settore NE una bassa banchina che corre su tre
lati, mentre dispersi su tutta la superficie pavimentale sono stati recuperati alcuni materiali significativi
(vaghi di collana in pasta vitrea, pendenti in ceramica, un’anfora miniaturistica, vasi d’importazione
dall’Attica e dall’Etruria), che farebbero ipotizzare l’esistenza di un sacello. L’apertura, parzialmente
distrutta, era posizionata sul lato lungo esterno, in corrispondenza dell’angolo SO, in modo che il
fedele una volta entrato avesse sul fondo, di fronte a sé, lo spazio sacro destinato alle offerte.
Fig 20. Localizzazione delle aree di scavo dell’ISCIMA (A e B) e delle principali evidenze
archeologiche della collina di Pani Loriga.
22
Denominati inizialmente Saggi 1, 2 e 4. L’area esterna a sud-ovest della grande struttura corrisponde al Saggio
n. 3.
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Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
Fig. 21. Rilievo della struttura principale dell’Area B, con aggiornamento alla campagna del 2009.
Fig 22. Foto dell’area di scavo alla fine della campagna 2009. In primo piano sono evidenziate le strutture
che si legano ad occidente all’edificio tripartito di forma quadrangolare citato nel testo.
L’adiacente ambiente 2, invece, per la presenza di ceramica prevalentemente da cucina,
trasformazione e conserva indicherebbe uno spazio funzionale alla preparazione di cibi e allo
stoccaggio di piccole riserve alimentari, collegato, grazie ad un’apertura in seguito obliterata,
all’adiacente ambiente 4. Quest’ultimo doveva essere parzialmente scoperto. Il rinvenimento di
numerosi frammenti relativi ad almeno due tannūr/tabouna indicherebbe la presenza di una specie
di cortile, in cui poter espletare alcune funzioni fondamentali come ad esempio la cottura del pane,
ma anche di altri alimenti23.
Passando ad un esame più dettagliato della situazione di scavo e dei materiali rinvenuti,
si deve innanzi tutto notare che presso l’angolo sud-orientale dell’ambiente 2 è stata documentata
una tamponatura (US1024) (fig. 23) del passaggio che metteva in comunicazione questo ambiente
con il 4. A tale struttura successivamente fu addossata una banchina (US1041), in prossimità della
quale erano alloggiate su un livello pavimentale in battuto (US1039) tre anfore frammentarie (fig.
24), registrate durante lo scavo come Vasi 5, 6 e 7. La banchina che si appoggia anche al muro
23
Cfr. Campanella 2001 e Campanella 2009b, 470-485.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
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Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
occidentale (US1025) che costituisce il lato corto del vano, è formata da alcuni blocchi di pietra
trachitica di medie e grandi dimensioni.
Fig 23. Vano 2: particolare della tamponatura (US1024), della banchina (US1041) e delle anfore coperte
dal crollo della struttura US1038.
Fig 24. Vano 2: le anfore in corso di scavo.
Delle tre anfore sopra citate, il Vaso 5 (fig. 25) è riferibile molto verosimilmente al tipo D4
di Bartoloni, databile nell’ambito del V sec. a.C.: si tratta della prima forma anforica prodotta in
Sardegna dopo che l’isola era passata sotto il controllo di Cartagine24. L’anfora è stata rinvenuta in
situ schiacciata dal crollo della struttura in cui si trovava. Infatti, se ne conserva intatta solo la metà
inferiore, protetta dall’alloggiamento in cui era stata posizionata, mentre la metà superiore, più esposta,
è andata completamente distrutta. Purtroppo a causa della pendenza del terreno e del dilavamento
dovuto agli agenti atmosferici molti frammenti sono andati dispersi, in particolare quelli dell’orlo e
delle anse, per cui l’attribuzione risulta incerta. Il nostro frammento, comunque, è particolarmente
24
Bartoloni 1988, 47, fig. 9 in alto a s. = Ramon Torres 1995, 175-176, 285, fig. 238 (T-1.4.4.1.) = Botto et
alii 2005, 71, fig. 2 (gruppo C), in cui sono pubblicati tre esemplari provenienti da Pani Loriga. Per il tipo in
questione cf. da ultimo l’importante contributo sui materiali di Nora di Finocchi 2009, 400-407, 441-442.
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Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
vicino al fondo di due esemplari integri del tipo D4
provenienti dalla necropoli punica di Monte Sirai
e attualmente esposti nel Museo Archeologico
Comunale “F. Barreca” di Sant’Antioco25.
Le altre due anfore (Vasi 6 e 7), preservate
solo nella metà superiore, erano addossate alla
prima sul lato settentrionale e avevano la bocca
rivolta verso il basso. La posizione non deriva
dal crollo della struttura dovuto all’abbandono
dell’area, ma è frutto molto probabilmente di una
scelta operata in antico. Si tratta di due anfore
cronologicamente precedenti al tipo D4 e riferibili
alle ultime produzioni fenicie di Sardegna (figg. 26- Fig 25. Disegno dell’anfora 5 del tipo Bartoloni D4
(V sec. a.C.).
27). Corrispondono infatti al tipo D3 di Bartoloni,
prodotto sull’isola nel corso del terzo quarto del VI sec. a.C., come attestato dagli strati di distruzione
dell’insediamento di Cuccureddus di Villasimius26. Esemplari del tutto identici ai nostri provengono
dalla necropoli ad incinerazione di Pani Loriga27, dove sono stati rinvenuti all’interno di tombe a fossa
in cui erano stati deposti insieme al corredo funebre secondo un rituale ben documentato anche nella
vicina Monte Sirai28.
Fig 26. Disegno dell’anfora 6 del tipo Bartoloni D3 Fig 27. Disegno dell’anfora 7 del tipo Bartoloni D3
(ca. 550-525 a.C.).
(ca. 550-525 a.C.).
Le anfore 6 e 7 devono aver avuto quindi una vita abbastanza lunga a partire dagli ultimi
decenni del VI sec. a.C. e sino ad un momento imprecisato nel corso del V secolo, quando furono
investite dal crollo della struttura in cui si trovavano. In questo lasso di tempo si sono probabilmente
25
26
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28
Bartoloni 2007, 83-84. Per i disegni delle due anfore cf. rispettivamente Bartoloni 1983, 40, 50, fig. 6 d e
Bartoloni 1988, 47, fig. 9.
Per il tipo cf. Bartoloni 1988, 46, fig. 8 in basso a s. = Ramon Torres 1995, 174 fig. 237 (T-1.4.2.1.) = Botto et
alii 2005, 70-71, fig. 2 (gruppo C). Per valutazioni riguardo agli esemplari di Cuccureddus cf. Bartoloni 2000b.
Sul tipo cf. da ultimo Finocchi 2009, 400-407, 415-441.
Tore 1975, fig. 2 (tomba n. 29/XVI) = Tore 1995, 247, fig. 5 = Tore 2000, 338, fig. 5.
Bartoloni 1999, 197-199 fig. 3; Guirguis 2008, 1636-1638, fig. 4 a; Guirguis 2010a, 106-107, fig. 169.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
- 159
Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
fessurate sul fondo, per cui sono state tagliate intenzionalmente al fine di preservare la parte buona
del recipiente. Il dato si evince dall’osservazione delle fratture che presentano superfici regolarizzate.
Le due anfore sono quindi state riutilizzate in periodo punico come contenitori di alimenti, ponendo
la bocca dei vasi verso il basso a contatto con il piano roccioso regolarizzato. Nelle vicinanze delle
anfore sono stati recuperati alcuni frammenti di scisto frammisti a grumi di argilla, che testimoniano
la cura con cui è stato allestito il piano di appoggio dei vasi. All’interno dell’anfora 6 (fig. 28) erano
presenti un imbuto quasi integro, che doveva avere in origine un’ansa a giudicare dall’impronta
dell’attacco (fig. 29), e un frammento di parete di anfora infisso verticalmente nel riempimento, che
per la sua particolare forma potrebbe essere interpretato come una “paletta” (fig. 30).
Fig 28. Foto dell’imbuto contenuto all’interno dell’anfora 6.
Fig 29. Foto della “paletta” contenuta all’interno dell’anfora 6.
160 - VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
L’associazione di anfore dei Tipi Bartoloni D3
e D4 trova un significativo confronto nella tomba a
camera di via Belvedere a Sulci, che presenta almeno
quattro deposizioni inquadrabili fra il 520 e il 480 a.C.29.
Per quel che concerne l’ambiente 2 di Pani Loriga, la
presenza negli strati pavimentali su cui poggiavano le
anfore di una coppa carenata a vernice nera di produzione
attica databile al 480/470 a.C.30 permette di collocare
il nostro contesto in un ambito (fig. 31) cronologico
all’incirca contemporaneo a quello sulcitano. Le due
situazioni sopra esaminate sono quindi indicative di
una continuità nel Sulcis fra la fase fenicia e quella
punica, che contrasta con il quadro storico sino ad oggi
prospettato di un intervento cartaginese sull’isola spesso
traumatico per i centri coloniali di impronta vicinoorientale31. La realtà appare più complessa e per alcuni
centri, come ad esempio Pani Loriga e Nora, la presenza
della metropoli nord-africana sembra concretizzarsi
sin dall’inizio in un impegno edilizio di notevole
impatto32. Questo mutamento di prospettiva storica si
riflette, inevitabilmente, anche in un diverso approccio
allo studio delle classi ceramiche, per le quali accanto Fig 30. Foto dello scavo dell’anfora 6 con
all’interno l’imbuto e la paletta.
a fenomeni di cambiamento dovuti alla consistente
immissione sul suolo sardo di elementi nord-africani
emergono in modo sempre più evidente, almeno per la
Sardegna sud-occidentale, aspetti di conservatorismo33.
Nelle produzioni anforiche il passaggio dalla fase
fenicia a quella punica si manifesta nell’evoluzione dal
tipo D3 al tipo D4 di Bartoloni. Tale fenomeno presenta
una lunga fase di gestazione nella quale le due tipologie
tendono talvolta a sovrapporsi cronologicamente, a causa
di meccanismi produttivi dettati da situazioni politico- Fig 31. Disegno della coppa carenata a
economiche che ancora ci sfuggono, ma che vengono vernice nera di produzione attica databile
al 480/470 a.C.
puntualmente registrate dall’indagine archeologica34.
Tornando all’ambiente 2, l’ipotesi che le anfore tipo D3 siano state riutilizzate come
contenitori per lo stoccaggio di prodotti alimentari eliminando la parte rotta e regolarizzando le
fratture di quella conservata, trova un interessante confronto ad Olbia in un edificio collocato
nel cuore della città antica interpretato dagli archeologi che lo hanno scavato come magazzino,
oppure come bottega adibita alla vendita al dettaglio di merci varie, fra cui carni macellate e pesce
sotto sale35. L’edificio, sigillato da un crollo alla fine del IV - inizi III sec. a.C., presentava al suo
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Bernardini 2007; Bernardini 2008a, 655-658, fig. 9; Bernardini 2008b, 510, fig. 25; Bernardini 2009, 28, nota 65,
fig. 27, con ampia selezione fotografica delle forme ceramiche rinvenute.
La datazione del vaso si deve a Carlo Tronchetti, a cui è stato affidato lo studio delle ceramiche greche provenienti
dagli scavi ISCIMA di Pani Loriga. Per il tipo cf. Sparkes - Talcott 1970, tipo C “concave Lip”.
Cf. per es. Bondì (S.-F.) in Bartoloni et alii 1997, 70-72; Bernardini 2004, 35-42.
Per il primo di questi centri cf. Botto - Candelato - Oggiano - Pedrazzi 2010; per Nora cf. Bondì 2005; Botto
2007; Bonetto 2009, 79-82; Oggiano 2009; Bondì 2010.
Bernardini 2008b, 513-514; Bernardini 2009, 28-29; Guirguis 2010a, 190-193.
In proposito cf. anche Pisanu 1997, 45; Finocchi 2009, 402-406.
Sanciu 2000; Cavaliere 2004-2005, 249-250; Cavaliere 2010, 1747.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
- 161
Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
interno numerose anfore con il taglio tipico dei vasi usati come forme aperte per lo smercio al
minuto. In un caso, inoltre, è stata riscontrata la picchiettatura preparatoria funzionale al taglio del
recipiente36.
Come accennato in precedenza, l’ambiente 2 all’origine era in collegamento con il 4 tramite
un accesso successivamente tamponato. Questo intervento potrebbe essere messo in relazione con
una risistemazione generale dell’area nel corso del V sec. a.C., nella quale è probabile che sia
stato realizzato l’ambiente 4 così come appare nella pianta di scavo qui presentata. Si sarebbe
quindi passati da una specie di cortile parzialmente coperto ad un ambiente rettangolare allungato,
molto verosimilmente scoperto, a giudicare dai due ampi passaggi collocati sui lati corti della
struttura. Dopo la risistemazione, l’ambiente 4 sarebbe servito da raccordo fra l’edificio composto
dagli ambienti 1 e 2 e un’altra struttura indiziata dalla presenza di un muro che corre in direzione
NO-SE (fig. 21).
Grazie alle analisi archeometriche condotte dall’équipe coordinata da Dominique Frère,
dell’Université de Bretagne Sud, si è potuta circoscrivere la natura dei prodotti presenti nelle
anfore e in altri vasi rinvenuti durante lo scavo37. Per quel che concerne il contenuto dell’anfora
D4 (Vaso 5), i dati analitici parlano di grasso animale, senza essere in grado però di stabilire se
si tratti di pesce o carne, e di olio vegetale, probabilmente di oliva. Si presentano quindi due
possibilità riguardo all’uso del contenitore: la prima prevede che inizialmente l’anfora sia stata
utilizzata per il trasporto di olio e solo successivamente per quello di carne o pesce conservati
verosimilmente nel sale secondo una tecnica ampiamente documentata nell’antichità. La seconda
possibilità prevede invece che l’anfora sia stata destinata sin dall’origine al trasporto di carne o
pesce conservati nell’olio. In effetti, la conservazione di alimenti nell’antichità poteva avvenire in
modi diversi38. Il sistema più utilizzato nel mondo fenicio e punico doveva essere con il sale o con
la salamoia, cioè con una soluzione di acqua con una forte concentrazione di cloruro di sodio39.
Tuttavia non si possono escludere altre tecniche. Per esempio, secondo Ignazio Sanna che ha
diretto i recenti scavi nella laguna di Santa Giusta, presso l’insediamento coloniale di Othoca, le
carni macellate rinvenute nelle anfore recuperate in mare potevano essere conservate con l’ausilio
di prodotti spezianti e aromatizzanti (uva passa, mandorle, pinoli e pigne intere)40.
L’anfora 6, appartenente al tipo D3 di Bartoloni, deve aver avuto una vita particolarmente
lunga, perché fabbricata verosimilmente nel terzo quarto del VI sec. a.C. e ancora in uso nel corso
del V secolo. Il dato emerge anche dalle analisi archeometriche, dal momento che quest’ultime
permettono di distinguere differenti utilizzazioni del recipiente. Infatti, le pareti interne dell’anfora
sono state impermeabilizzate con resina di Pinaceae trattata a caldo. Ciò significa che all’origine
il vaso doveva essere destinato al trasporto di alimenti quali vino o salse di diversa natura, di cui
purtroppo non è rimasta traccia41. L’analisi degli strati di deposito rinvenuti all’interno dell’anfora
ha evidenziato la presenza sia di grasso animale sia di olio di oliva. Si tratta di una situazione
analoga a quella riscontrata nell’esemplare appartenente al tipo D4, che testimonia come le due
anfore furono riutilizzate nell’ambiente 2 per lo stoccaggio di alimenti simili.
Nell’anfora 6 sono stati rinvenuti un imbuto e una “paletta” ricavata tagliando e
regolarizzando la parete di un’anfora. Si tratta di due reperti eccezionali, di cui si hanno ben
pochi confronti. Riguardo al primo, un prototipo in area levantina è stato individuato a Tell Abu
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41
Cavaliere 2000, 71-72. Per l’utilizzo a Olbia delle anfore da trasporto anche per la conservazione stanziale di
derrate cf. Cavaliere 2010, 1751.
Botto - Oggiano 2012.
Campanella 2008, 37-40.
Cfr. per es. Fernández Uriel 1992, 334; Campanella 2008, 82.
Del Vais - Sanna 2009, 132-133.
Su questa tecnica di rivestimento adottata sulle anfore fenicie cfr. Botto 2004-2005; Bordignon et alii 2005, 207211.
162 - VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
Hawam42, nell’attuale stato di Israele. Il reperto proviene dallo Strato III, la cui datazione, ancora
controversa, si può indicativamente fissare fra il 1025/1000 e il 750/725 a.C. In ambito occidentale
alcuni imbuti in ceramica tornita sono stati messi in luce nella Penisola Iberica. Sebbene siano in
numero limitato la loro diffusione risulta ampia, con attestazioni che vanno dall’Andalusia alla
foce dell’Ebro includendo la Murcia e la regione di Valencia43. Gli specialisti spagnoli tendono
quasi sempre a collegare questo strumento con la produzione di miele, che doveva rivestire
nell’economia delle comunità iberiche una certa importanza44. Anche nel mondo fenicio45 la
produzione e commercializzazione di questo alimento deve aver avuto un ruolo significativo: il
miele come prodotto energizzante era utilizzato in cucina nella preparazione di numerosi piatti,
inoltre poteva essere aggiunto al vino per migliorarne la qualità46. Ma un’altra funzione è stata
evidenziata dagli archeologi iberici per questa particolare forma ceramica. Per esempio, in uno
degli ambienti dell’edificio di “La Mata” (fine VI- fine V sec. a.C. ca.), in Extrenmadura, sono
state messe in luce infrastrutture destinate alla preparazione del vino47. La produzione di vino è
testimoniata anche dall’analisi dei residui organici rinvenuti nell’intonaco di una delle vasche di
decantazione, mentre tracce di questo alimento sono state individuate in un imbuto e in alcune
anfore48 (fig. 32). Il quadro si completa con le analisi polliniche che hanno portato al recupero di
vinaccioli di Vitis vinifera non distanti dall’ambiente indagato49.
Fig 32. Disegno e foto dell’imbuto rinvenuto a “La Mata”, da Rodríguez Díaz 2004.
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Herrera - Gómez 2004, 265, tav. XXXV, 288.
Page et alii 1987; Fernández Uriel 1992, 331-332, fig. 2; Bonet Rosado - Mata Parreño 1997, 44-45.
Bonet Rosado - Mata Parreño 1997, 45-46.
Fernández Uriel 1992, pp. 328-332; Campanella 2008, 84-85.
Juan-Tresserras - Matamala 2004a, 285; Bordignon et alii 2005, 211, con bibl. prec.
Rodríguez Díaz - Ortíz Romero 2004, 140-148.
Juan-Tresserras - Matamala 2004b, 444.
Pérez Jordà 2004, 420-421.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
- 163
Massimo BOTTO, Ida OGGIANO
Le analisi archeometriche effettuate sull’imbuto di Pani Loriga non hanno rilevato tracce
né di miele né di vino, ma di olio vegetale e grasso animale. Il dato deve essere incrociato con
i risultati ottenuti dalle analisi condotte sugli altri campioni indagati. Per esempio, le analisi
effettuate su un mortaio50 rinvenuto nell’ambiente 4 (fig. 33) hanno evidenziato la presenza
di grasso animale dimostrando che questa tipologia ceramica era funzionale alla macinazione
di diversi generi di alimenti. Oltre ai cereali, la cui lavorazione in assenza di residui organici
purtroppo non è rilevabile dalle moderne tecniche di laboratorio, possiamo ora affermare che
all’occorrenza venivano trattati sia la carne che il pesce. Nel nostro caso, per esempio, non si
esclude la possibilità che venissero macinate alternativamente farina di grano e farina di pesce.
Dalle fonti antiche sappiamo infatti che da un loro impasto si potevano ricavare delle gallette
particolarmente gustose e nutrienti51. L’insieme di questi dati permette di ipotizzare che negli
ambienti 2 e 4 venissero elaborate pietanze a base di carne e/o pesce condite con olio vegetale
successivamente travasate in anfore riutilizzate come contenitori da conserva perché rotte e non
più funzionali al trasporto di cibi.
Fig 33. Disegno del mortaio rinvenuto nel vano 4.
Riguardo alla “paletta”, le analisi di laboratorio hanno evidenziato la presenza di numerosi
componenti. Innanzi tutto olio vegetale e resina di Pinaceae, che devono essere posti in relazione
con la funzione primaria dell’anfora da cui è stato ricavato lo strumento. Infatti, la parete interna
dell’anfora non risulta trattata con pece, per cui la resina individuata deve corrispondere al
prodotto commerciato. Attestazioni di questo tipo sono già note in Sardegna a conferma del grande
interesse che nell’antichità era riservato a tale genere di materie prime52. Inoltre, la presenza
di olio vegetale confermerebbe l’importanza assunta da tale alimento durante la colonizzazione
fenicia e quella punica, come evidenziato dalle analisi gascromatografiche condotte in passato sia
su anfore53 sia su teglie e pentole54 rinvenute in Sardegna.
Le analisi archeometriche hanno individuato altri componenti che più direttamente
devono essere posti in relazione con la funzione della paletta: si tratta di polifenoli e di un
lievito, la Saccharomyces cerevisiae, connessi con i processi di vinificazione. In particolare, la
Saccharomyces cerevisiae ha un ruolo attivo nella fermentazione del mosto che porta tuttavia alla
formazione di una pellicola superficiale che deve essere rimossa per non compromettere lo stesso
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L’esemplare presenta basso profilo troncoconico con orlo a fascia convessa e piede indistinto a fondo esterno
concavo. Il tipo è presente in area centro-mediterranea già in contesti della seconda metà del VII sec. a.C., anche
se la massima diffusione si riscontra nel VI e la forma continua ad essere prodotta nel V sec. a.C. Al riguardo cf.
Bellelli - Botto 2002, 282-284; Campanella 2009a, 256-262; Bechtold 2010, 18, fig. 9, 6. Per esemplari in ambito
etrusco di dimensioni ridotte cf. le osservazioni di Vincenzo Bellelli, in Bellelli - Botto 2002, 291-293, 299-300.
Campanella 2008, 79.
Fanari 1993; Botto 2004-2005, 9-11, fig. 2.
Bordignon et alii 2005, 215-216.
Pecci 2008, 262.
164 - VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
Pani Loriga: campagne di scavo 2007-2008
processo di fermentazione55. Secondo l’ipotesi formulata da Dominique Frère la paletta doveva
servire proprio per rimuovere questa pellicola.
L’anfora 7 ha restituito tracce di grasso animale, al pari degli altri contenitori esaminati.
Il dato innovativo è rappresentato dal fatto che le analisi hanno evidenziato la possibilità che
l’anfora abbia potuto contenere prodotti a base di latte, in particolare formaggio. Al riguardo si
ricorda che “per la produzione del formaggio è necessaria la cagliata, cioè un agglomerato ottenuto
aggiungendo al latte il caglio, tratto dallo stomaco dei ruminanti, e facendo coagulare la caseina
presente nella bevanda”56. La presenza di cera d’api, inoltre, potrebbe indicare che l’anfora abbia
contenuto anche miele. Dalle fonti classiche sappiamo che sia il formaggio fresco (casei recentis)
che il miele sono due componenti essenziali per la preparazione della puls punica57. Catone il
Censore ci ha tramandato la ricetta di questo piatto affermando che “la farinata alla cartaginese
si cuoce così: metti in acqua una libbra di semola di grano e lasciala bene a mollo; poi versala
in un recipiente pulito e aggiungivi tre libbre di formaggio fresco, mezza libbra di miele e un
uovo; amalgama bene tutti questi ingredienti e travasa in altra pentola” (De Agri Cultura, 85)58. Si
tratta di un piatto altamente nutriente in cui venivano mescolati miele, formaggio, uova e grano.
Quest’ultimo doveva essere precedentemente macinato, verosimilmente in grossi bacini, che sono
ben attestati negli ambienti 2 e 4.
L’ipotesi sopra presentata è senza dubbio stimolante, tuttavia va segnalato che la presenza
di cera d’api nell’anfora 7 potrebbe dipendere da altri fattori. Sappiamo infatti che questo
prodotto veniva spesso utilizzato per impermeabilizzare e chiudere ermeticamente i recipienti
che dovevano trasportare generi alimentari59. Inoltre, Dominique Frère ha avanzato l’ipotesi che
l’anfora potesse trasportare idromele, una bevanda alcolica molto diffusa nell’antichità ottenuta
miscelando un 30% di miele con un 70% di acqua60.
In conclusione, i dati di scavo combinati con lo studio dei materiali e delle analisi
archeometriche concordano nell’indicare negli ambienti 2 e 4 degli spazi destinati alla produzione,
conservazione e cottura di alimenti. Vista la posizione decentrata dell’edificio rispetto al nucleo
dell’abitato e la sua probabile collocazione in prossimità di un percorso carraio, si potrebbe
ipotizzare l’allestimento di una bottega per le esigenze alimentari delle persone in entrata e uscita
dall’insediamento. Inoltre, l’interpretazione dell’ambiente 1 come sacello apre nuove prospettive
d’indagine, dal momento che non si esclude la possibilità che nei vani attigui venissero confezionati
alimenti da offrire alla divinità titolare del luogo di culto61.
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61
Tchernia - Brun 1999, passim.
Campanella 2008, 85.
Spanò Giammellaro 2004, 424-425; Campanella 2008, 85.
Cugusi - Sblendorio Cugusi 2001, 166-167.
Bordignon et alii 2005, 211, con bibl. prec. Per l’utilizzo della cera d’api per impermeabilizzare pentole e teglie
cf. Pecci 2008, 262-263.
Cf. per es Mc Govern 2004, 264-265, 280-281; Botto 2009, 187-188.
Sulle offerte rituali in santuari sia in ambito vicino-orientale sia coloniale cf. Spanò Giammellaro 2004, 422-424,
429; Campanella 2008, 60-61; Delgado - Ferrer 2011. Per gli aspetti epigrafici cf. ad es. Amadasi Guzzo 1993.
Sulle offerte alimentari in spazi funerari cf. Niveau de Villedary y Mariñas - Castro Páez 2008, 38-45.
VIIème congrès international des études phéniciennes et puniques
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