Location via proxy:   [ UP ]  
[Report a bug]   [Manage cookies]                
Pasquale Gravina Scritti di botanica (1811-1812) a cura di Pasquale Orsini e Aurelio Manzi Comune di Pettorano sul Gizio Associazione Culturale “Pietro De Stephanis” Pettorano sul Gizio 2012 Pasquale Gravina Scritti di botanica (1811-1812) a cura di Pasquale Orsini e Aurelio Manzi Comune di Pettorano sul Gizio Associazione Culturale “Pietro De Stephanis” Pettorano sul Gizio 2012 © copyright 2012, Pettorano sul Gizio Comune di Pettorano sul Gizio www.comune.pettorano.aq.it Associazione Culturale “Pietro De Stephanis” www.pettorano.com Progetto graico ed impaginazione: Pasquale Orsini Si ringraziano le seguenti persone per l’aiuto fornito: Maria Rosa Agozzino (Bibl. Universitaria di Napoli); Antonio Borrelli (Bibl. Universitaria di Napoli); Marcello Cerrona (Bibl. Universitaria di Napoli); Eva D’Alberto; Raffaele De Magistris (Bibl. Universitaria di Napoli); Massimiliano Foresta; Panilo Ilario (Coop. Ardea); Antonio Monaco; Cristina Orsini; Ciro Pagliara (Bibl. Universitaria di Napoli). In prima di copertina: Brassica Gravinae, dipinto di Paolo Ricciotti (© 2011). In quarta di copertina: riproduzione della Brassica Gravinae dall’opera Flora Napolitana di Michele Tenore. ISBN 978-88-906796-0-5 Senza regolare autorizzazione è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico Indice Giuseppe Berarducci Presentazione vii Marcello Bonitatibus Presentazione ix Pasquale Orsini Pasquale Gravina: tra scienza e storia xi Aurelio Manzi Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxv Riferimenti bibliograici degli articoli qui pubblicati xlix Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona 1 Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del circondario di Scanno 13 Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina, prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante 45 Appendice: Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila 57 Presentazione Questa pubblicazione ha una duplice importanza. Da una parte rimette al centro dell’attenzione una igura come quella del medico e botanico pettoranese Pasquale Gravina (1779-1828), spesso dimenticata e sottovalutata dagli storici, dall’altra rende disponibili per la lettura scritti che sono di dificile reperimento anche nelle biblioteche specializzate di settore. A circa duecento anni di distanza, quindi, è di nuovo possibile leggere i risultati delle indagini botaniche che Gravina ha fatto nell’Abruzzo interno, in modo particolare nei territori di Pettorano, Scanno e Piano delle Cinquemiglia. Si tratta di notizie di grande rilievo per la storia di una regione che già all’epoca mostrava i segni di un’area economicamente depressa e culturalmente isolata. Infatti, solo pochi individui, come per esempio Pietro De Stephanis (1807-1894) e lo stesso Pasquale Gravina, riuscirono a formarsi altrove ed a tornare nel territorio di origine per dare un contributo “professionale” alla crescita ed allo svilippo. Nel nostro mandato amministrativo ci siamo posti come obiettivo il recupero e la pubblicazione degli scritti di insigni cittadini pettoranesi, che nei secoli scorsi hanno signiicativamente lasciato una traccia nei vari campi della cultura e della scienza. Pasquale Gravina rientra a pieno titolo fra questi personaggi e bisogna ringraziare Pasquale Orsini (storico ed inoltre assessore ai Beni Culturali del Comune di Pettorano sul Gizio) ed Aurelio Manzi (esperto botanico), per il lavoro che hanno svolto, approntando una nuova edizione di questi scritti e ricostruendone il background storico. Un ringraziamento va, inoltre, all’Associazione culturale “Pietro De Stephanis”, che ha partecipato alla edizione di questo volume con la competenza storica che la contraddistingue e con l’interesse che anche in questa occasione ha dimostrato per la diffusione della cultura. viii Inine, bisogna affermare che questa edizione costituisce, a nostro avviso, una speciale “opera pubblica”, di importanza pari ad un ponte, ad una strada, ad un muro etc. Ed in quanto tale – monumentum aere perennius – la consegniamo ai cittadini. Giuseppe Berarducci Sindaco del Comune di Pettorano sul Gizio Presentazione Pasquale Gravina è stato uno dei pettoranesi più illustri del secolo scorso. Fu medico e sindaco del paese, ma deve la sua fama soprattutto all’attività di botanico. In questa veste collaborò con Michele Tenore nella redazione della monumentale opera Flora napolitana, pubblicata in fascicoli nel periodo compreso tra il 1810 e il 1836, una delle prime ricognizioni loristiche realizzate nell’Italia meridionale che, ancora oggi, costituisce una risorsa importante per gli studiosi di botanica. A seguito di questa collaborazione, il Tenore attribuì il nome del medico pettoranese ad una delle piante studiate e che lo stesso Gravina gli aveva trasmesso: la Brassica Gravinae o Cavolo di Gravina. Purtroppo Gravina, come tanti intellettuali abruzzesi dell’epoca, è quasi sconosciuto a molti di coloro che si sono occupati e si occupano della storia della nostra regione. Con la pubblicazione di questo volume l’Associazione culturale “Pietro De Stephanis” vuole contribuire a superare questa ignoranza, aggiungendo un ulteriore tassello all’opera di ricerca e documentazione storica che ha avviato da qualche decennio. Fino ad oggi il nostro interesse è stato focalizzato soprattutto sulle tradizioni popolari, in particolare quelle di Pettorano; con questo libro allarghiamo il campo ad un tema che solo apparentemente si discosta dai nostri interessi abituali. Infatti, gli scritti di Pasquale Gravina che pubblichiamo, pur essendo stati prodotti dal medico pettoranese per documentare il patrimonio botanico il cui valore scientiico è illustrato da Aurelio Manzi, rappresentano una ricca miniera di informazioni anche sugli usi e costumi della popolazione, sulle attività produttive e sull’ambiente, in particolare di Pettorano, Scanno, e del Piano delle Cinquemiglia all’inizio dell’Ottocento. Lo evidenzia Pasquale Orsini nella introduzione quando afferma x che Gravina «ha voluto registrare puntualmente le diverse fasi dei suoi viaggi, i disagi dovuti alla conformazione del terreno e alla mutabilità del clima, le sue osservazioni sui vari aspetti dell’ambiente frequentato. Insomma, queste peregrinazioni, programmate al solo scopo di “erborizzare” (vale a dire per raccogliere piante), costituiscono una preziosa occasione per registrare tutta una serie di dati relativi agli usi che le persone facevano delle diverse specie di piante, ai luoghi visitati, alle vocazioni agricole dei vari territori». Gravina, insomma, non si limita a redigere aridi elenchi delle piante rinvenute, ma “racconta” i suoi “viaggi” e “peregrinazioni” botaniche sui monti circostanti il paese, coinvolgendo emotivamente anche il lettore digiuno di nozioni scientiiche. E questi “racconti” ci parlano, ad esempio, degli orapi, lo spinacio selvatico che cresce presso gli stazzi, oggi diventato uno degli ingredienti più ricercati della gastronomia tradizionale di eccellenza; del grano di solina, l’antica varietà di grano tenero la cui coltivazione caratterizzava le campagne della Valle Peligna, che sta riconquistando un posto di primo piano nell’alimentazione di qualità; dell’orzo mondato, coltivato nella nostra area soprattutto per essere somministrato ai malati; delle varietà di mais prodotte e di come questo cereale abbia cambiato le abitudini alimentari della popolazione; e poi di altre produzioni agricole, in particolare legumi, molte delle quali oggi scomparse. Proprio queste ultime, se fossero riprese, è presumibile possano avere facilmente un posto di onore nel panorama gastronomico regionale, integrando gli elementi sui quali innescare un nuovo processo di sviluppo del nostro territorio. Questo volume può dunque essere letto anche in questo senso: una testimonianza storica – sicuramente da approfondire ed integrare – dalla quale partire per progettare il futuro. Marcello Bonitatibus Presidente dell’Associazione Culturale “Pietro De Stephanis” Pasquale Orsini Pasquale Gravina: tra scienza e storia In questo libro si pubblicano tre scritti di Pasquale Gravina, editi per la prima volta nella rivista Giornale enciclopedico di Napoli negli anni 1811-18121. Di Pasquale Gravina non si hanno molte notizie biograiche. Pietro De Stephanis (1807-1894) ha scritto di lui queste poche righe: «riputato medico, e che forse contendea il primato a Giuseppe Liberatore, coltivò con intelligenza non comune la botanica. Scelto a Socio corrispondente dal R. Giardino delle piante per la provincia di Aquila, ne fece d’ogni maniera doviziosa raccolta, precipuamente delle piante che vegetano nelle nostre contrade. Egli ha perpetuato il suo nome nella Flora napoletana mediante la pianta da lui rinvenuta, la Brassica Gravinae del Tenore; il cui giornale enciclopedico conserva diverse dotte memorie scritte dal Gravina, ricche di cognizioni geologiche e botaniche. Nato il 17 settembre 1779, morì la notte precedente al 9 gennaio 1828»2. Si tratta dei seguenti articoli: Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 188-205; Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del Circondario di Scanno, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 2 (1812), pp. 3-49; Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina, prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 9 (1812), pp. 309-324. Su questi due ultimi articoli cfr. le segnalazioni bibliograiche in C. Minieri Riccio, Biblioteca storico-topograica degli Abruzzi, Napoli 1862, pp. 138 nr. 281, 466 nr. 1091. 2 P. De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento. Le mono1 xii Pasquale Orsini La famiglia Gravina è documentata a Pettorano nel corso del Settecento. Lo stesso De Stephanis, infatti, ricorda un certo Sigismondo Gravina, parroco – insieme a Nicolò Cicone – della chiesa di S. Nicola, fuori le mura del paese3: entrambi contribuirono alla ristrutturazione di questa chiesa dopo il terremoto del 1706. Inoltre, nel Catasto onciario di Pettorano sul Gizio, databile intorno alla metà del XVIII secolo, tra gli ecclesiastici secolari è registrato un certo Domenico Antonio Gravina, la cui abitazione è così descritta: «porzione di casa palaziata ove presentemente abita in contrada della porta di S. Nicola, conina Filippo Lancia consistente in quattro camere superiori, una cantina, e dispensa»4. Si tratta della casa che a lungo la famiglia Gravina ha abitato a Pettorano, attualmente al n. 30 di Via S. Antonio. Di Pasquale Gravina sappiamo che divenne medico condotto di Pettorano negli anni 1803-1806, come si ricava da una serie di delibere del Consiglio Comunale dell’epoca5, con uno stipendio di 160 ducati annui, anche se le ristrettezze economiche dell’Università non permettevano di coprire sempre l’intera cifra. L’ultima notizia relativa a questo incarico si ha il 9 giugno 1805, quando diversi cittadini di Pettorano presentarono al pubblico parlamento dell’Università una istanza afinchè il medico condotto non avesse un incarico di soli tre mesi (come era stato inizialmente stabilito) ma per l’intero anno. Il pubblico parlamento decise di prolungare la sua carica da setttembre 1805 ad agosto 1806, con la conferma dello stipendio graie di Pettorano, Roccavallescura, Campo di Giove, Pacentro, Cansano, Pentima, Raiano, Prezza, Vittorito pubblicate nel “Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato” di Filippo Cirelli, a cura di P. Orsini, Sulmona 2008, p. 46 (Pettorano sul Gizio). 3 Cfr. De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento cit., p. 32 (Pettorano sul Gizio). 4 Archivio di Stato dell’Aquila, Catasti onciari, Pettorano sul Gizio, vol. 261, pp. 1238-1239. 5 Cfr. Pettorano sul Gizio, Archivio storico comunale, Registro delle risoluzione del Consiglio Comunale 1801-1806. Pasquale Gravina: tra scienza e storia xiii a 160 ducati. Tuttavia, questa decisione doveva essere sottoposta all’approvazione della Regia Camera della Sommaria, in quanto non era assicurata la copertura economica. Negli anni 1810-1813 Gravina divenne sindaco di Pettorano. Per i soli anni 1812-1813 si sono conservati anche i registri delle deliberazioni del Consiglio Comunale da lui presieduto6. Oltre a queste notizie, non si conosce altro dettaglio della vita di Pasquale Gravina, che condivide con molti esponenti del mondo scientiico dell’Ottocentro abruzzese il quasi totale disinterresse da parte di storici e studiosi della cultura. La presente pubblicazione, pertanto, vuole riportare all’attenzione la sua attività scientiica nel settore della botanica, che lo condusse a collaborare all’imponente opera di Michele Tenore (1780-1861), Flora napolitana, edita dal 1811 al 18367. Lo stesso Tenore, infatti, nell’introduzione al primo volume scrive: «fortunatamente le peregrinazioni di molti miei allievi, e le mie proprie mi faceano ricco di una ampia collezione delle piante del Regno, quando incoraggiato dal Governo, ed assistito da una società di corrispondenti al Real Giardino Botanico, stabiliti, nelle provincie, mi sono trovato a portata di effettuire il mio progetto». E nella nota a piè di pagina precisa: Cfr. Pettorano sul Gizio, Archivio storico comunale, Registro delle deliberazioni Decurionali 1812-1816. 7 M. Tenore, Flora napolitana ossia descrizione delle piante indigene del Regno di Napoli, e delle più rare specie di piante esotiche coltivate ne’ giardini, I.1, Napoli 1811-1815; I.2 (tomo 2), Napoli 1811-1815; II.1 (tomo 3), Napoli [1824-1829]; II.2 (tomo 4), Napoli 1830; tomo 5, Napoli 18351836. La copia consultata è conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, segnatura 214.Banc. 12.D.3-7 (tavole: 214.Banc. 5.D.2024]; al seguente indirizzo internet si trova una edizione digitalizzata: http:// ortobotanico.unina.it/Libroonline/FloraNapolitana.htm [link veriicato il 29 ottobre 2011]. Quest’opera monumentale è stata pubblicata in fascicoli e costituisce una delle prime ricognizioni loristiche in Italia meridionale. La Flora Napolitana costituisce, tuttora, una risorsa importante per studiosi di botanica ed in particolare per coloro che si occupano della lora dell’Italia meridionale. 6 xiv Pasquale Orsini «sono stati nominati socii di questa corrispondenza i Signori Basilice, Casale, de Tommasi, Gravina, Gussone, Marinosci, Morcaldi, Notarianni, Petrolini, Rosano, Scarano»8. La collaborazione a questa importante impresa scientiica è documentata nei diversi volumi del Tenore. Il nome di Gravina è, infatti, esplicitamente citato per aver fornito notizie per le seguenti piante: Campanula aggomitolata9, Dripide spinosa10, Cavolo di Gravina, Campanola di Cavolini11, Coridalide a iori addensati12, Jeracio prenante13. Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., p. III e n. 10. Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., pp. 70-71: Campanula aggomitolata (nr. 69), lat. Campanula glomerata; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «trovasi nelle praterie aride e montuose delle provincie settentrionali del Regno, come alla Majella, al Matese, a Cerealto ec. La varietà A [foliis oblongis, loribus majoribus] è stata raccolta dal Sig. Gravina sulla montagna di Pacile presso Solmona; iorisce in luglio; è perenne» (p. 71). 10 Tenore, Flora napolitana I.1 cit., pp. 138-139: Dripide spinosa (nr. 149), lat. Drypis spinosa; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «nasce in Apruzzo, lungo le falde delle alte montagne, tra i cumuli di minute pietre calcaree, ne’ siti aprichi e meridionali. Nel mio viaggio del 1807 la raccolsi copiosamente presso Caramanico sulle falde di Monte Amaro; i Signori Gravina e De Angelis l’hanno raccolta presso Solmona ed in varj punti della Majella. Fiorisce in Luglio; vive due anni, rigermogliando nel secondo anno da i vecchi e secchi rami dell’anno precedente» (p. 139). 11 Tenore, Flora Napolitana, II.1 cit., pp. 201-202: Campanola di Cavolini (nr. 1336), lat. Campanula Cavolini; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «ambedue le varietà [A. Glabra; B. Hirta] nascono ne’ monti di Abruzzo, al Morrone, alla Majella, al piano di cinque miglia. La var. B. è stata raccolta dal sig. Gravina fra i macigni presso le foci di Scanno, iorisce in luglio. Perenne» (p. 202). 12 Tenore, Flora Napolitana, tomo 5 cit., p. 90: Coridalide a iori addensati (nr. 2438), lat. Corydalis densilora; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «fu raccolta la prima volta dal sig. Thomas al Monte Pecoraro sopra la Mongiana in Calabria; e quasi contemporaneamente mi fu inviata dall’Abruzzo ulteriore dal sig. Gravina, che dovette averla raccolta ne’ monti tra Pettorano e Scanno ed al piano di 5 miglia. Io la raccolsi al Pollino nel 1827; iorisce in luglio. Perenne». 13 Tenore, Flora Napolitana, tomo 5 cit., p. 197: Jeracio prenante (nr. 2814), lat. Hieracium prenanthoides; nella sezione “Osservazione” è riportato: «per non pronunziare su di un solo esemplare, ho riferito alla varietà 8 9 Pasquale Gravina: tra scienza e storia xv Per quanto riguarda in maniera particolare il Cavolo di Gravina, fu Tenore stesso a dargli questo nome in onore del suo allievo. È utile, pertanto, riportare per intero la descrizione di questa pianta14: «490. Cavolo di Gravina. Ital. Brassica Gravinae. Lat. Chou de Gravina. Franc. Foliis oblongis lyrato-runcinatis, lobis lateralibus integerrimis, extimo dentato, hispidis, petiolis trinervatis, caule hispido, calyce patulo, loribus luteis. Nobis. Fl. Nap. Prodr. pag. XXXIX. Tav. LXII. Descrizione. Dalla stessa radice spunta una gran quantità di foglie, che incestiscono, e compongono un denso gruppo; esse sono bislunghe lirato-runcinate asperse di peli rari con i lobi triangolari acuti intierissimi, ad eccezione del terminale ch’è il più grande ed è dentato; dalla stessa radice si elevano molti fusti deboli erbacei ascendenti ispidetti poco ramosi vestiti di foglie nella parte inferiore, e queste più strette delle radicali, più ispide e quasi pinnatiide; i iori sono disposti in cima de’ rami, in grappoli radicali; i calici prima di aprirsi sono turgidi, quasi globosi villosi, e simili a quelli delle altre specie; ne’ iori dichiusi essi restano colle foglioline mezzo aperte e prendono una tinta giallognola; le corolle sono di color giallo carico con i petali patenti ed alquanto smarginati; nell’interno del iore si osservano le 4 glandole lesiniformi descritte nel carattere del genere; i peduncoli sono ispidi; le silique sono lunghe circa un pollice, cilindriche tramezzate da rigoniamenti tondeggianti, e terminante da un corto stilo collo stimma semplice globoso. Luogo natale, ec. Fu raccolta la prima volta al Morrone in Abruzzo Ulteriore secondo, dal mio bravo allievo D. Pasquale Gravina; di poi l’ho trovata al Matese, ed in altri monti del Regno; iorisce in marzo; è perenne». di questa specie la pianta che ne ricevei dal mio compianto amico Pasquale Gravina, e da lui raccolta nelle montagne di Scanno». 14 Tenore, Flora Napolitana, I.2 cit., pp. 88-89. xvi Pasquale Orsini Anche per quanto riguarda altre piante è ipotizzabile – sulla base dei toponimi citati nella Flora napolitana – che Gravina avesse fornito a Tenore una serie di informazioni, pur non essendo citato esplicitamente il suo nome. Si tratta delle seguenti piante: Eliantemo a foglie di salcio15, Siderite siriaca16, Piantaggine vittoriale17. Degli articoli qui pubblicati, Rapporto de’ viaggi botanici (1811) e Giornale della peregrinazione botanica (1812) costituiscono i risultati delle ricerche botaniche previste per i primi due anni (1810-1811) dal Quadro isico botanico della Provincia dell’Aquila18, articolo apparso nel 1811 nel Giornale enciclopedico di Napoli e contenente una succinta descrizione del territorio della provincia dell’Aquila, con un relativo programma decennale di esplorazioni botaniche. Bisogna precisare che questo Quadro isico botanico è stato attribuito alla penna di Pasquale Gravina dalla critica storica19, ma nella pubblicazione originale manca qualsiasi riferimento certo al suo autore, motivo che ci ha spinto a pubblicarlo (al ine di una maggiore comprensione dei lavori dello stesso Gravina) ma in appendice. Il terzo articolo, la Memoria del 1812, invece, è un Tenore, Flora Napolitana, I.1 cit., pp. 297-298: Eliantemo a foglie di salcio (nr. 333), lat. Helianthemum salicifolium; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «nasce in Calabria nelle colline e ne’ campi sterili; in Abruzzo presso Pettorano ec. Fiorisce in Maggio; è annuo» (p. 298). 16 Tenore, Flora napolitana, I.2 ct., p. 15: Siderite siriaca (nr. 376), lat. Sideritis syriaca; nella sezione “Luogo natale” si riporta: «nasce sulle rupi de’ nostri monti in Abruzzo, insieme colla Stipa pinnata, adorna le falde delle montagne, che costeggiano la strada che dal Piano di cinquemiglia conduce a Pettorano, ed a Solmona; iorisce in giugno». 17 Tenore, Flora Napolitana, II.1 cit., pp. 150-151: Piantaggine vittoriale (nr. 1247), lat. Plantago victorialis; nella sezione “Luogo natale” è riportato: «nasce sulle falde de’ monti soleggiati e aridi; al monte Solaro, nell’isola di Capri, in Abruzzo al monte Rotella, al piano di cinque miglia, al luogo detto fontana dell’acero ed a Monte Corno; iorisce in luglio. Perenne» (p. 151). 18 Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 184-188. 19 Cfr. V. Giacomini, Ricognizione dell’opera scientiica di Michele Tenore nel primo centenario della morte (1861-1862), «Delpinoa», 3 (1962), pp. 1-75: 59. 15 Pasquale Gravina: tra scienza e storia xvii lavoro prodotto al di fuori di questo programma provinciale di indagini. Sulla rilevanza scientiica di questi testi e la loro collocazione nel contesto delle ricerche botaniche di inzio Ottocento si rinvia all’interessante contributo di Aurelio Manzi. Qui, invece, si vuole richiamare l’attenzione su alcuni aspetti, che possono sembrare “marginali” nell’economia di questi lavori, ma che in realtà si rivelano di un certo interesse. Colpisce, innanzitutto, in questi scritti l’esigenza narrativa e documentaria che ne fa qualcosa di più di un elenco di piante. In essi l’autore ha voluto registrare puntualmente le diverse fasi dei suoi viaggi, i disagi dovuti alla conformazione del terreno e alla mutabilità del clima, le sue osservazioni sui vari aspetti dell’ambiente frequentato. Insomma, queste peregrinazioni, programmate al solo scopo di “erborizzare” (vale a dire per raccogliere piante), costituiscono una preziosa occasione per registrare tutta una serie di dati relativi agli usi che le persone facevano delle diverse specie di piante, ai luoghi visitati, alle vocazioni agricole dei vari territori. Per comprendere meglio questo aspetto narrativo e documentario di Gravina, facciamo qualche esempio. Egli si inserisce nel dibattito relativo alla viabilità nell’altopiano delle Cinquemiglia. Infatti, quando scrive il primo articolo (1810-1811) si era da poco aperta la “Via Regia degli Abruzzi”, che collegava Napoli all’Aquila. Questa strada fu progettata da Andrea Pigonati (1734-1790), il quale dovette giustiicare con un libretto20 le ragioni di ammodernare un percorso (quello del Piano delle Cinquemiglia) invece di altri due esistenti (Quarto di S. Antonio e Quarto di S. Chiara), tagliando fuori Pescocostanzo dal collegamento diretto con Sulmona. Contro questa scelta del Pigonati furono fatte considerazioni tecniche e storiche di un certo interesse da parte di Giuseppe Liberatore (1756-1842)21, il quale metteva in discussione A. Pigonati, La parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona, Napoli 1783. 21 G. Liberatore, Ragionamento topograico-istorico-isico-ietro sul Piano Cinque Miglia: breve disamina..., Napoli 1789. 20 xviii Pasquale Orsini il percorso delle Cinquemiglia per il fatto che era considerato pericoloso soprattutto nei mesi invernali. Tuttavia, quando Liberatore pubblicò la sua opera erano già iniziati i lavori tra Pettorano e Rocca Pia. Gravina, quindi, approittando delle sue escursioni botaniche, torna sulla questione del tracciato del Piano delle Cinquemiglia e propone un percorso alternativo: «allorquando si apre la grande strada da Napoli negli Abruzzi, si tentò di farvi delle piantaggioni lungo la strada; ma nessuno albero di quanto ne furono sperimentati vi potè vegetare, e il più che sorpende si è che il solo che presenta una suficiente polpa di terreno, dove si fanno più o meno delle abbondanti ricolte di grano. L’uniformità e regolarità del Piano presentandoci per lo più le medesime piante ci lasciava il tempo di rilettere ad un progetto, che nell’atto istesso che dovea dare una strada propria e durevole, dovesse in tempo d’inverno rimanere scoverta in maniera, che le vetture dopo qualche intervallo della caduta della neve grossa, potessero avere il loro libero corso, e che i viandanti non la perdessero mai di vista. Il progetto è questo. Bisognerebbe deviare la strada nella metà del Piano e portarla dentro la Valle di Pantaniello nella seguente maniera. Partendo da Roccaraso invece di attraversare il guado di Portella si prenderebbe alla mano dritta andando dietro alla Catena delle Colline calcaree che separano il Piano da Pantaniello, coll’avvertenza di non aprire la strada nel fondo della valle, dove in tempo d’inverno vi si riuniscono degli immensi cumuli di neve, ma bensì tagliarla sul dorso delle Colline sudette, non allontanandosi dal fondo della valle che tre in quattro canne, e colla stessa proporzione si dovrebbe prolungare ino alla sommità che domina il luogo detto Taverna rotta. Da questo punto si entrerebbe nel Piano scendendo dolcemente e non lasciando mai la stessa direzione e gli stessi principj, cioè di tagliare la strada alla parte occidentale delle Colline sudette e non distante dal Piano sottoposto che tre in quattro canne, dove più, dove meno, terminando così sino alla Fontanella. Pasquale Gravina: tra scienza e storia xix In questa sola maniera si avrebbero i vantaggi di una strada solida, perchè tagliata sul masso vivo; riparata da’ venti perchè coverta dalle cime delle colline, e non potrebbe esser occupata da cumuli di neve, tagliata essendo sul pendio e non nella valle». Gravina contesta il tracciato della strada appena aperto per gli stessi motivi climatici chiamati in causa da Liberatore, e propone un nuovo percorso per aggirare lo spazio aperto del Piano delle Cinquemiglia, facendo afidamento, con ogni probabilità, sulla sua esperienza di frequentatore di quei luoghi. A proposito di Scanno e dintorni, Gravina riporta una serie di osservazioni interessanti, che costituiscono una specie di fotograia di quei luoghi: «Scanno ha un bel fabbricato, ha le strade larghe, e ben selciate ed una superba chiesa. È capoluogo del suo Circondario ed uno de’ più ricchi Comuni della Provincia. Esso contiene 2700 abitanti, tra i quali 30 preti sotto la direzione di un arciprete. Le donne vi sono estremamente belle, e coprono la testa con un arnese, che molto somiglia al turbante de’ Turchi. L’industria de’ Scannesi è la pastorizia nel suo vero signiicato. Essi oltre molte razze di cavalli, posseggono più di cento-venti-mila pecore tutte nere. Il cacio nero di Scanno è ricercatissimo e igura non solo nelle tavole de’ ricchi della Provincia, ma è in gran pregio nelle altre Provincie del Regno, e nella Capitale. Al Nord un mezzo miglio distante dall’abitato vi è il Lago di Scanno (che ha la supericie di un miglio quadrato) in cui si scarica il iume dello stesso nome, dopo aver conluito col torrente il Pisciarello. Vi si pescano in abbondanza delle trote, delle tinche, de’ gamberi, e un’immensa quantità di un piccolo pesce che chiamano volgarmente pisci. Il Lago è rinchiuso in mezzo alle due alte montagne di Terratta, e di Frattura, che formano le sue naturali ripe. All’est del medesimo giace il villaggio di Frattura, ed xx Pasquale Orsini al nord est quello di Villalago. Entrambi fanno parte del Circondario di Scanno, ed i loro abitanti hanno gli stessi costumi, la stessa industria de’ Scannesi, e partecipano de’ prodotti del Lago, che è così pescoso. Un mezzo miglio sotto Villalago dirimpetto al Romitorio di S. Domenico si veggono le scaturiggini del Sagittario, chiamato volgarmente la foce di Scanno, che si credono comunemente altrettante emanazioni del Lago suddetto. Il iume appena gonio da una immensità di rivoli, che scappano, e sgorgano dalle fessure de’ macigni, rapido s’imbocca per la Foce di una lunga valle, nella quale precipitando replicate volte con una profusione di vortici e di scherzi, inalmente dopo un corso di sette miglia sotto al Comune di Anversa communica un terzo delle sue acque al celebre Canale di Corinio, in grazia del quale s’inafiano le ora mai fertili campagne di Bugnara, di Prezza, di Solmona e di Pratola». Non si tratta, ovviamente, di notizie di prima mano, ma così riassunte disegnano una immagine d’insieme di quei luoghi. Ci sono i principali elementi distintivi di Scanno (il costume delle donne, l’attività armentizia, il formaggio nero, il Lago con i suoi pesci etc.) quasi a costituire una mini-guida turistica. A proposito di Pettorano sul Gizio, Gravina segnala due notizie interessanti, una sconsciuta e l’altra nota da altre fonti. La prima riguarda la presenza di alcune cave di pietra nel territorio del Comune: «vicino la Fonte dell’Acera vi è una bella cava di pietre selci, di cui se ne servono a far macine. Nella stessa direzione verso Vallelarga e Colasurdo ve se ne osservano delle altre e sono annunciate dall’aridezza del suolo che le copre e dal colore rossiccio del terreno; ed in questi luoghi spesso si trovano delle pietre globose al di fuori con una strato di sostanza calcarea dura e nel centro la selce di variato colore». Di queste cave di pietre, utilizzate per fabbricare le macine dei mulini, non si avevano altre notizie nelle fonti storiche Pasquale Gravina: tra scienza e storia xxi superstiti. L’altra notizia, che trova, invece, conferma in testi posteriori, è riportata a proposito dell’Acer campestris: «quest’albero ordinariamente serve per appoggiare la vite degli arbusti in Pettorano ed in pochi altri luoghi della Provincia». Si tratta di una modalità di coltivazione della vite, detta “alberata”22, attestata a Pettorano almeno ino alla prima metà dell’Ottocento, come conferma, circa 40 anni dopo, anche Pietro De Stephanis nella sua monograia su Pettorano23. Per quanto riguarda la fauna – che Gravina dovette abbondantemente incontrare nelle sue “peregrinazioni” – i suoi scritti editi sono poveri di informazioni. Tuttavia, secondo quanto riporta Silvio Bruno24, egli ebbe interessi faunistici, anche se le sue osservazioni in merito, ritenute di «meno e non largo interesse», rimasero «non sbrigate sulla carta» e inirono – non si sa per quale tramite – nella biblioteca di Giuseppe Tanturri (1823-1881) di Scanno25. Negli articoli qui pubblicati, tra le rare osservazioni sulla fauna, si può ricordare quella relativa all’orso durante un suo pernottamento alla Posta di Vallecorta: «la notte piovve dirottamente, e lo scricchiolare dell’acqua sopra il tetto della capanna mi deviò il sonno, che Sistema di coltivazione della vite, in uso nelle zone di pianura dell’Italia settentrionale (valle del Po) e di collina dell’Italia centrale: la vite viene maritata al tronco di un albero vivo (acero, frassino, olmo, pioppo ecc.); gli alberi sono piantati in ilari e le viti, una o più, nell’intervallo tra albero e albero. Sul sistema dell’ “alberata” cfr. E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari-Roma 19999 (prima ed. Roma-Bari 1961), pp. 270273, 396-403. 23 De Stephanis, Comuni della Valle Peligna a metà Ottocento cit., p. 72 n. 116 (Pettorano sul Gizio): «chiamasi albereti le ile di oppi cui si fanno inerpicare e attaccare le viti; e questi albereti sono piantati ne’ terreni irrigui, mentre la vigna bassa si coltiva in quelli di secca». 24 S. Bruno, Rettili, anibi e pesci del Parco Nazionale d’Abruzzo e dintorni. Reptilia, amphibia, pisces, numero 4, agosto 1995, Roma, p. 9. 25 La biblioteca di Giuseppe Tanturri è andata dispersa tra i vari eredi e, a seguito di una mia richiesta informativa presso gli attuali discendenti, non risultano manoscritti superstiti di Gravina. Per Tanturri cfr. G. Morelli, Giuseppe Tanturri (1823-1881). Medico, naturalista, storico di Scanno, Scanno 2007. 22 xxii Pasquale Orsini io tanto desiderava. Sull’albar del giorno si aggiunse un generale latrato de’ cani annunziando a’ pastori, che l’orso, come era il suo solito veniva a visitare le mandre». Dove, invece, Gravina risulta molto ricco di informazioni è, ovviamente, sui vari utilizzi delle piante. Per esempio, a proposito di una pianta tintoria, la Isatis tinctoria, detta volgarmente “Ammacca fauciglia”, Gravina riporta e discute un antico metodo di fabbricazione della materia – detta “guado” – usata per tingere in azzurro ilati e tessuti, facendo anche riferimento ad nuovo metodo messo a punto da Giuseppe Morina verso la ine del XVIII secolo e pubblicato a stampa nel 181126. Morina era stato premiato dalla Reale Accademia delle Scienze di Torino già nel 1791 proprio per il suo nuovo metodo di estrazione del colore azzurro dal guado27. Di grande interesse risultano alcune osservazioni sull’alimentazione delle classi popolari. Nell’articolo Memoria (1812) si susseguono alcune registrazioni nelle quali l’alimentazione dei contadini è accomunata a quella dei maiali e dei polli. Per esempio, a proposito della Segala scrive «farebbe un pane pesante, nero e colloso se non fosse combinato colla farina del frumentone, che lo rende in tal guisa mangiabile alla classe più numerosa del popolo»; e a proposito dei Fagioli neri grandi scritti afferma che «sono meno stimati de’ cannellini, e per lo più si consumano da’ contadini»; mentre per le Fave piccole ricorda che «i contadini la stimano una delle loro buone minestre, e quando la ricolta è ubertosa si dà a mangiare a’ porci per ingrassarli»; a proposito del Soroco rosso afferma: «li semi servono per ingrassare li majali ed il pollame, e qualche volta li contadini poveri ne fanno minestre, specialmente della rossa: usano altresì di macinarla o per combinarla col pane di granone o per farinata agli animali». Cfr. G. Morina, Del guado e modo da estrarne l’indaco, Napoli 1811; vd. pure la voce “guado” nel Nuovo dizionario universale tecnologico o di arti e mestieri e della economia industriale e commerciante, XXVI, Venezia 1840, pp. 528-335. 27 Cfr. G. Fumi, Fonti per la storia dell’agricoltura italiana (1800-1849). Saggio bibliograico, Milano 2003, pp. 47-48. 26 Pasquale Gravina: tra scienza e storia xxiii Importante per la storia sia alimentare sia economica dell’Abruzzo interno è quanto afferma a più riprese a proposito del Granodindia: «il granodindia oggi si è reso necesario quanto il grano, dove che trent’anni addietro era riserbato a solo oggetto d’ingrassare li majali. L’anno scorso si è osservato che li contadini avvezzi al pane duro e pesante di questa specie, erano contenti di comprarlo a car. 18 e 20 il tomolo, e rinunziare al prezzo del grano bianco non maggiore di carl. 24, perché il pane del grano non resisteva nè avrebbe potuto riempire il loro stomaco». Ed ancora, sotto la voce Grano bianco, aggunge: «ne’ paesi dove si coltiva il granodindia come Pettorano, Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e così si vicenda». Il granodindia, o mais, per il suo rendimento più ricco e più stabile rispetto ai cereali inferiori costituiva un mezzo importante per far fronte alle ricorrenti carestie. Dalla metà del Settecento il mais venne sostituendosi nell’alimentazione popolare ai cereali inferiori, frumento compreso, ino a divenire la base alimentare fondamentale sia dei più miseri sia dei contadini. Questo costituisce l’avvio di una fase avanzata dello sviluppo capitalistico nelle campagne: soprattutto con la sostituzione del mais al frumento come alimento base delle masse lavoratrici agricole si realizza la riduzione del costo di produzione, e pertanto quell’accorciamento del tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro stessa. Tutto ciò è ottenuto a costo di un peggioramento delle condizioni di alimentazione e di vita dei lavoratori28. Proprio questa surrogazione del granturco al frumento come base alimentare fondamentale per le masse contadine costituisce in Italia, a partire dal XVIII secolo, uno degli indici Cfr. E. Sereni, Agricoltura e mondo rurale, in Storia d’Italia, I, Torino 1972, pp. 135-252: 234-236. 28 xxiv Pasquale Orsini signiicativi dell’allargarsi dei rapporti di produzione capitalistici nelle campagne. Il fatto che nel Mezzogiorno tale surrogazione sia stata relativamente più lenta e più limitata, come anche il testo di Gravina documenta, va considerato come indice supplementare di un certo ritardo che in questa parte d’Italia, rispetto al nord del paese, si può constatare nei progressi della subordinazione complessiva dell’agricoltura alle leggi del nuovo modo di produzione capitalistico. Rimanendo nell’ambito alimentare, è interessante segnalare un particolare metodo di cottura ricordato a proposito dei Ceci bianchi: «l’uso è lo stesso degli altri legumi, cioè di mangiarli fatti a minestra. Tante volte però o per la natura del terreno o della stagione i ceci bianchi divengono insuscettibili di cottura, ed in questo caso si sospende nella pignatta una piccola dose di cenere ligata a una pezza, in grazia della quale in pochissimo tempo si spappano, acquistando molto miglior sapore». Insomma, come si può constatare, questi lavori di Pasquale Gravina offrono una ricca documentazione, oltre che sulla diffusione storica delle piante, anche sulla storia economica, alimentare, agricola ed ambientale del territorio abruzzese all’inzio dell’Ottocento. Ed il recupero di questi testi vuole essere un contributo alla conscenza di uno studioso che ha dedicato molte energie alla ricerca botanica ed alla documentazione storica di questo territorio. Aurelio Manzi Il contributo scientiico di Pasquale Gravina Gli ambiziosi progetti del Real Giardino delle Piante e della Flora Napolitana Nell’anno 1809, a Napoli, viene uficialmente inaugurato l’orto botanico (Real Giardino delle Piante) in via Foria. La nuova istituzione scientiica è pensata ed organizzata in grande, degna espressione di una capitale e delle sue alte tradizioni scientiiche. Ben presto si impone tra le istituzioni accademiche di riferimento per i botanici e gli appassionati “dell’amabil scienza” di tutta Europa e si inserisce tra le mete più ambite del “gran tour” che i rampolli dell’aristocrazia continentale compiono in Italia. L’orto partenopeo è voluto, fondato e diretto dal grande botanico napoletano di origine abruzzese, Michele Tenore (1780-1861), grazie al sostegno del governo francese, in particolare di un ministro sensibile al progresso della scienza, il molisano Giuseppe Zurlo. L’organizzazione del nuovo orto botanico è pensata, anche e soprattutto, in funzione della ricerca, in particolare dello studio delle piante del Regno. Tenore, infatti, progetta e organizza, in maniera meticolosa ed esemplare, lo studio e l’inventario dei vegetali del Regno di Napoli in funzione della pubblicazione di un’opera monumentale e di grande valenza scientiica la Flora Napolitana, data alle stampe nell’intervallo temporale 1811-1838. Questo lavoro consacra deinitivamente lo scienziato napoletano tra i padri nobili della botanica italiana ed europea. Il Regno di Napoli è il primo stato italiano a disporre di un “inventario scientiico” delle piante che crescono nel suo territorio. Rinasce con forza, proprio a Napoli, la moderna scuola di botanica italiana, grazie al Tenore e al suo allievo Giovanni Gussone (1787-1866) che dà alle stampe la Flora Sicula. La tradizione botanica napole- xxvi Aurelio Manzi tana non si origina dal nulla, affonda le sue radici su tradizioni solide e su personaggi di primo piano tra i quali Vincenzo Petagna e, soprattutto, Domenico Cirillo maestro dello stesso Tenore. Cirillo è una bella igura di scienziato e patriota che sceglie di abbracciare gli ideali della repubblica partenopea nel 1799, pagando con la morte il proprio impegno civico e le idee di giustizia e libertà. Michele Tenore avvia l’esplorazione sistematica delle province del Regno di Napoli per studiarne la lora e per raccogliere materiale al ine di arricchire le collezioni di vegetali dell’orto botanico. Lo studio delle risorse vegetali è inalizzato anche all’individuazione di piante selvatiche con potenzialità agronomiche, farmacologiche o industriali inespresse, utili per lo sviluppo economico della nazione. Per la sperimentazione e diffusione di alcune di queste essenze vegetali, anche quelle introdotte di recente da altri continenti, Tenore fa leva sulle società economiche, anch’esse istituite nelle province del Regno durante il periodo francese. In ogni capoluogo di provincia, le società economiche organizzano un “orto agrario” per favorire le ricerche e le sperimentazioni sulle piante nonché diffonderne le conoscenze sul territorio. I “soci” di questi benemeriti sodalizi si occupano di rilevare dati scientiici (climatici, fenologici, faunistici, loristici, geologici, ecc), nonché di perseguire innovazioni e sperimentazioni in diversi settori, in particolare in quello agronomico. Per la redazione della Flora Napolitana, Tenore individua un manipolo di collaboratori per portare avanti l’opera sistematica di esplorazione loristica del Regno, i cosiddetti “soci corrispondenti al Real Giardino delle Piante”. I collaboratori, cui spetta un compenso almeno in un primo momento, vengono scelti tra gli appassionati di botanica, spesso si tratta di medici, farmacisti, oppure agronomi e religiosi che Tenore conosce direttamente a Napoli all’Università. Lui stesso è medico, anche se ben presto abbandona l’attività clinica per dedicarsi, anima e corpo, alle scienze naturali. Compito dei corrispondenti è quello di raccogliere piante e semi, nelle province del Regno loro assegnate, da inviare a Napoli all’orto botanico. I corrispondenti studiano e relazionano anche sulla lora dei Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxvii territori di pertinenza, inviando campioni d’erbario al loro maestro e coordinatore. Partecipano in questo modo alla redazione del grande ed ambizioso progetto della Flora Napolitana. Tenore accende nel Regno, anche nelle località più sperdute e periferiche, quasi un sacro furore per la ricerca botanica. I suoi collaboratori girano le contrade del Regno segnalando e raccogliendo piante; annotando e registrando anche informazioni di carattere sociale, economico, agricolo ed antropologico. Alcuni di questi collaboratori, come nel caso di Gussone, diventeranno a loro volta botanici illustri, raggiungendo i livelli del maestro. Un progetto di ricerca ampio, moderno nella concezione ed organizzazione, che coinvolge decine di ricercatori ed appassionati, proprio nell’arretrato Mezzogiorno d’Italia. Lo stesso Tenore, infaticabile, viaggia nei territori del Regno. Visita i grandi gruppi montuosi e concentra le sue esplorazioni sull’Abruzzo, la terra posta più a settentrione, con le montagne più elevate dello stato napoletano. L’Appennino centrale di cui così scrive Filippo Parlatore, altro insigne botanico italiano, in un suo resoconto di viaggio del 1856: «[...] per essere quegli Appennini, a parer mio, il punto più importante per la lora italiana, congiungendosi in essi tante lore distinte. Ed in vero in essi hanno l’estremo conine meridionale alcune piante delle regioni polari, in essi sono altre proprie delle Alpi Centrali di Europa, in essi sono alcune specie che si possono considerare come distintive degli Appennini e da essi principiano i primi segni di una lora orientale» (Visconti, 1992). Tenore intensiica le sue esplorazioni con particolare enfasi per la Maiella, massiccio ricco di piante endemiche e relitti glaciali; scopre e descrive molte di queste specie tanto che la montagna, unitamente al Monte Baldo che sovrasta il lago di Garda, risulta il locus classicus, ossia la località di reperimento dei campioni loristici su cui le specie sono state descritte, maggiormente citato in Italia. Lo scienziato partenopeo organizza, almeno, tre spedizioni in Abruzzo inalizzate alle esplorazioni loristiche, negli anni 1829, 1831, 1834. Il suo arrivo nei piccoli centri costituisce un evento. I notabili del paese se Aurelio Manzi xxviii lo contendono, lo ospitano e lo ricoprono di mille attenzioni e gentilezze. Medici e farmacisti lo cercano per avere lumi su piante e loro proprietà farmacologiche. I contatti epistolari con Tenore continuano anche dopo, incoraggiati dalla sua disponibilità e socievolezza. È il caso del medico di Gessopalena, Nicola Pellicciotti che fu uno dei primi in Italia a diagnosticare casi di latirismo tra la popolazione dovuti ad un’alimentazione basata sulla cicerchia porporina (Lathyrus clymenum), un legume solitamente destinato ad usi zootecnici. Il Pellicciotti chiese al collega napoletano una conferma autorevole alle sue intuizioni che puntualmente arrivarono, unitamente ai complimenti per l’importante scoperta (Del Giudice, 1857; Pellicciotti, 1869; Manzi, 2006). Tenore invita e sprona sistematicamente i suoi collaboratori ed interlocutori a pubblicare le proprie scoperte, i resoconti di viaggio e le idee afinché possano essere divulgate, conosciute e discusse. Li favorisce in questo inviando e sostenendo lui stesso i manoscritti presso le redazioni delle riviste in Napoli. Non di rado, si registra anche qualche polemica tra i professionisti locali e il sommo botanico, come quella suscitata dal medico di Casoli Giuseppe Denobili il quale rivendicava la scoperta del giacimento di carbon fossile nel territorio di Roccascalegna, lungo la valle del torrente Rio Secco (Denobili, 1837; Gussone, Tenore, 1835). I corrispondenti per l’Abruzzo Tenore, per l’esplorazione loristica dell’Abruzzo, conida molto nella collaborazione di alcuni corrispondenti locali. I primi furono Francesco Antonio De Angelis, medico di Roccamorice, e Pasquale Gravina medico di Pettorano sul Gizio, come si evince anche da un articolo del 1836 apparso sulla rivista Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, di cui ignoriamo l’autore che si irma solo con le iniziali V.D.R: «e qui restar non possiamo del fare onorata memoria de’corrispondenti pensionati al Real Orto Botanico che nella Flora Napolitana sin dalla prima istituzione con tanto zelo collaborarono. Sono essi i signori Baselice, Casale, Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxix Cassitti, de Angelis, de Tommasi di Tarsia, Gravina, Gussone, Marinosci, Morcaldi, Notarjanni, Petrolini, Rosano, Scarano i cui nomi rimangono nella Flora Napolitana immortali per le denominazioni delle novelle piante». Successivamente, si aggiungono altri collaboratori e corrispondenti locali. Tra questi il farmacista Cecchetti (dal 1829) di Pizzoli che ospita ed accompagna Tenore, unitamente a Ernesto Mauri e Antonio Orsini, nei dintorni di Pizzoli nell’anno 1829. Di lui Tenore scrive: «[…] con gran zelo si applica allo studio della botanica» (Tenore, 1929). Cecchetti raccoglie piante essenzialmente nei dintorni di Pizzoli e sul versante nordoccidentale del Gran Sasso. Dal 1840, Ferdinando Mozzetti si propone come corrispondente volontario per la redazione della Flora Napolitana (Giacomini, 1962). Mozzetti era nato a Pagliara di Petrella Salto (Rieti). Grande giurista, ricopre importanti incarichi: magistrato ad Antrodoco, Manoppello, Penne, Nereto; procuratore generale all’Aquila e a Teramo, nonché presidente della Gran Corte Criminale dell’Aquila. Mozzetti, in odore di carboneria, è un sincero appassionato e cultore delle scienze botaniche, agronomiche e metereologiche; ricopre anche il ruolo di presidente della Società Economica di Teramo. È autore di diverse pubblicazioni scientiiche di carattere agronomico, meteorologico, inanche archeologico; descrive una nuova specie di zucca: Cucurbita farinae, introdotta in Abruzzo dalle Americhe da un certo sig. Farina di Sulmona. Tenore (1845) di lui scrive: «distinto cultore di botanica e di orticoltura». Lo stesso Antonio Orsini, famoso e poliedrico farmacista e naturalista di Ascoli Piceno, collabora alla Flora napolitana fornendo generosi dati e indicazioni al Tenore sulle piante dei monti abruzzesi, in particolare i Monti della Laga, i Monti Gemelli e il Gran Sasso (Cardarelli, 1971). Fece anche una lunga escursione loristica con Tenore e Mauri dal lago Fucino ai Monti della Laga (Tenore, 1829). A lui Tenore dedica diverse specie vegetali, alcune delle quali oggi cadute in sinonimia: Veronica orsiniana, Malcolmia orsiniana, Malva orsiniana, Carex orsinia. Tra i due collaboratori della prima ora, Francesco De Angelis, contribuisce alla Flora Napolitana dal 1810 ino, almeno, xxx Aurelio Manzi al 1834 quando il medico di Roccamorice accompagna sulla Maiella e nella Val Pescara Tenore insieme allo stesso Gussone ed Ernesto Capocci, quest’ultimo con il compito di misurare l’altitudine di alcuni complessi montuosi tra cui la Meta e il Morrone (Tenore, Gussone 1842; Capocci, 1834). Tenore ha grande stima del De Angelis a cui dedica due specie Polygala angelisia, oggi inclusa in Polygala alpestris, e Juncus angelisii, entità ricondotta nell’ambito di Juncus inlexus. Nella Flora Napolitana, nel descrivere quest’ultima specie, sull’amico di Roccamorice annota «l’incomparabile Francesco De Angelis, che mi accompagnava in quella peregrinazione, mio dilettissimo amico, e grandemente benemerito della nostra Flora» (Giacomini, 1961). Successivamente, in un viaggio in Abruzzo nel 1829, Tenore scrive: «in quel capoluogo dell’Abruzzo Citeriore (Chieti n.d.A.), ebbi il contento di abbracciare il mio antico allievo ed ottimo amico Signor Francesco Antonio De Angelis, che vi si era espressamente trasferito da Roccamorice, per recarci insieme in sua casa, e quindi alla Majella». Più avanti, nello stesso articolo (Tenore, 1829) continua: «allo scafone di S. Valentino presso il miglio 115 passano la Pescara le vetture che battono la strada di Chieti, ed io in quel medesimo luogo raggiunsi quella che vi si era espressamente recata per condurmi in Napoli. Ivi separar mi dovei dall’impareggiabile coppia de’ fratelli De Angelis, i quali, dopo avermi colmato di gentilezze di ogni maniera, avevano voluto tenermi compagnia ino a quel punto». Il maestro non dimentica il De Angelis anche nel resoconto del suo viaggio nel 1831: «eruditissimo D. Francesco de Angelis esimio collaboratore della Flora napoletana». Il medico di Roccamorice accompagna Tenore in diverse escursioni, almeno in quelle del 1829 e del 1834 sulla Maiella e nella vallata del Pescara. Nell’Archivio di Stato di Chieti, è conservato un interessante carteggio datato 1854 tra le intendenze di Aquila, Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxxi Chieti, il comune di Tocco da Casauria e il governo napoletano. Il governo, attraverso le sue intendenze abruzzesi, cerca di approvvigionarsi di una pianta che cresce sulla Maiella il “sillari o Seseli montanum” (nei documenti d’epoca), indispensabile per la produzione di un farmaco idoneo per combattere un morbo che imperversa nella capitale. In questo carteggio c’è anche una lettera di Francesco De Angelis indirizzata al sig. intendente di Chieti, datata 18 agosto 1854. Nella missiva il De Angelis risponde all’intendente che lo aveva interpellato sulla reale identità di una pianta spacciata per il “sillari”. Il De Angelis invia all’intendente un campione d’erbario della pianta richiesta con l’indicazione del luogo in cui Tenore l’aveva raccolta sulla montagna. Il campione d’erbario potrebbe essere quello conservato nel relativo fascicolo presso l’Archivio di Chieti, anche se ormai rovinato e dificilmente identiicabile. Peraltro, nella Sylloge della Flora Napoletana (Tenore, 1831), in tutto il Regno di Napoli Seseli montanum viene solo riportato per la Maiella e per il “Picco di Pietra Majura presso Pettorano”, il secondo dato, con molta probabilità, si riferisce a qualche raccolta effettuata dal Gravina. Il De Angelis pubblica l’articolo Statistica agronomica del circondario di Caramanico. Memoria del sig. Francesco Antonio de Angelis, membro della Società economica di Abruzzo Citeriore, sulla rivista Annali di Agricoltura, 5 (1820), pp. 193-233. L’opera di Pasquale Gravina L’altro antico corrispondente abruzzese del Tenore è Pasquale Gravina che collabora al progetto della Flora Napolitana già dal 1810. Tenore lo deinisce: «il mio bravo allievo» e a lui dedica la Brassica gravinae (Giacomini, 1961), specie erbacea di ambienti montani rupestri, endemica dell’Italia centromeridionale. È il Gravina per primo a raccogliere questa crucifera, ino ad allora sconosciuta, sul Morrone e nella Difesa di Pettorano, inviandola al maestro che la descrive dedicandola al suo scopritore. Gravina, purtroppo muore nel 1828, inter- xxxii Aurelio Manzi rompendo le sue ricerche sul territorio e la collaborazione con l’ambiente accademico napoletano. Tenore lo ricorda nei suoi scritti in diverse occasioni. In un volume sui crochi, scrivendo sullo zafferano (Crocus sativus), annota: «[…] mi son convinto che il vero C. sativo non è stato inora trovato spontaneo in verun luogo del regno. Per meglio accertarmene, ne ho richiesto i miei antichi allievi e collaboratori della Flora Napolitana Signori de Angelis e Gravina, che sulla pianta in Abruzzo hanno particolarmente lavorato» (Tenore, 1826). In un suo resoconto di viaggio in Abruzzo Citeriore (1832) riporta: «[…] ed i più dotti ed instancabili collaboratori della Flora napoletana, Sig. Gussone, de Angelis e Gravina» (Tenore, 1832). Uno dei quattro articoli qui pubblicati (attribuito al Gravina e forse concordato con il Tenore come i successivi), è la nota Quadro Fisico Botanico (1811), apparsa sul Giornale Enciclopedico di Napoli. Tenore, sin dal 1807, è redattore di questa rivista fondata l’anno precedente. Proprio sul Giornale Enciclopedico sia il Tenore che i suoi collaboratori pubblicano i contributi loristici in funzione della preparazione e stampa della Flora Napolitana. L’articolo del Gravina consiste in una breve descrizione della provincia dell’Aquila, l’Abruzzo Ulteriore II, l’area a lui assegnata per le indagini loristiche. Segue l’esposizione di un programma decennale di esplorazioni loristiche nei diversi comprensori montuosi dell’aquilano. Il Nostro non riesce a mantenere fede al suo programma e le uniche esplorazioni loristiche effettuate, le prime indicate nel programma, sono proprio quelle che interessano le montagne intorno a Pettorano e Scanno, nonché il Piano delle Cinquemiglia. Pasquale Gravina muore nel 1828 all’età di 49 anni. Forse la morte prematura o un’eventuale malattia invalidante, nell’ultimo periodo della vita, gli hanno impedito di portare a termine il programma di esplorazione loristica dell’Abruzzo Ultra II e di accompagnare nella regione lo stesso Tenore che, a partire dal 1829, attraversa diverse volte il Piano delle Cinquemiglia, lambendo l’abitato di Pettorano. Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxxiii Gli altri due articoli, Rapporto (1811) e Giornale (1812), contengono le relazioni relative ai viaggi di esplorazione loristica, proprio nelle aree sopra accennate, inalizzate alla raccolta di piante vive da inviare al giardino botanico di Napoli, attraverso il “procaccio”, una specie di corriere del tempo, nonché di campioni loristici da essiccare per agevolare lo studio delle piante del Regno. Il Gravina, tra giugno ed agosto del 1810, esplora i prati falciabili del Piano delle Cinquemiglia, i rilievi che lo circondano e le montagne che si frappongono tra Pettorano e Scanno, oggi parzialmente incluse nella Riserva Naturale Regionale “Monte Genzana Alto Gizio”. L’anno successivo, nell’agosto del 1811, compie un’altra escursione sulle montagne che sovrastano il Piano delle Cinquemiglia e quelle sopra Scanno, attualmente localizzate entro i conini del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Questa escursione, una vera e propria spedizione con guida e animali al seguito, inizia il 2 agosto e termina l’8 agosto. Il giorno 4, Gravina fa sosta a Scanno per l’intera giornata per riposare e conoscere meglio la bella cittadina peligna e il suo circondario. Nelle sue peregrinazioni trova rifugio e pernotta presso gli stazzi e le capanne dei pastori, le cosiddette poste dove i mandriani si stabiliscono con le gregge. Il racconto del Gravina evidenzia le fatiche e le privazioni isiche che i botanici e, in generale, i cultori di scienze naturali devono sostenere in nome della ricerca nelle aree montane abruzzesi. Ci si sposta a piedi o a dorso di cavallo o mulo, si dorme all’addiaccio o nelle capanne dei pastori, si è in balia del cattivo tempo, nonché dei grossi cani da pastore di guardia alle greggi, inanche di orsi e lupi che si aggirano nel comprensorio, qualche volta anche di briganti e malfattori. In entrambi i contributi, Gravina elenca le specie loristiche raccolte sia per l’orto partenopeo, sia come campioni d’erbario da studiare e confrontare. Molte di queste piante raccolte o segnalate verranno incluse nella Flora Napolitana dal Tenore che cita i luoghi di campionatura del Gravina, come nel caso di Dictamus albus, Geranium macrorrhyzum, Geranium tuberosum, Seseli montanum, Astrantia paucilora, Physalis alkekengi, Asphodelus albus. Alcune di queste risultano entità rare come nel caso xxxiv Aurelio Manzi di Dictamus albus o Geranium macrorrhyzum. Il Gravina segnala anche la presenza di una popolazione selvatica di Salvia oficinalis sul Monte Mattone di Pettorano. La segnalazione è interessante, in considerazione della rarità delle popolazioni selvatiche di questa specie in Italia. In Abruzzo, nuclei naturali di salvia sono noti solo per il Monte Salviano, presso Avezzano, e i rilievi che sovrastano Civita d’Antino, sempre nella Marsica. La stazione citata dal Gravina sul Monte Mattone è stata da noi indagata di recente, seppure parzialmente, con risultati negativi. È probabile che la popolazione di salvia si sia contratta oppure scomparsa a seguito dell’espansione del bosco sulle pendici meridionali del rilievo, idonee per questa labiata elioila. Il Gravina segnala, per il circondario di Scanno e Sulmona, anche piante oggi ritenute estinte nel territorio abruzzese, poiché non più segnalate in tempi recenti, oppure rarissime, in particolare Osmunda regalis, Hippuris vulgaris, Utricularia vulgaris, Poa palustris, tutte specie legate ad ambienti umidi, sistematicamente distrutti o manomessi nell’ultimo secolo a seguito di opere di captazione, regimazione dei corpi idrici e boniica delle aree impaludate. Riporta anche la presenza della mandragora (Atropa mandragora), probabilmente Mandragora autumnalis. La specie è divenuta rarissima, ino ad estinguersi in diversi contesti nazionali, a causa delle raccolte che in passato ne facevano erboristi, più spesso stregoni e guaritori, per le proprietà reali e presunte attribuite a questa pianta dalle forti caratterizzazioni magiche ed esoteriche. A queste se ne possono aggiungere tante altre tra cui Genista candicans (Teline monspessulana), un arbusto legato ai margini delle leccete e alle garighe, Ribes petraeum, Ornithopus perpusillus, Lepidium ruderale, Prunella grandilora, ecc. Il medico e botanico pettoranese guarda con attenzione le piante che hanno un interesse farmacologico o che risultano velenose, come le specie dei generi Aconitum, Veratrum, Digitalis, riporta gli usi nella medicina popolare di Salvia ethiopis (Salvia argentea), nonché l’uso fraudolento, da parte di qualche speziale, di Convallaria multilorum (Polygonatum multilorum) al posto dell’esotica e più costosa ipecacuana. Segnala la presenza di Gentiana lutea sul Genzana, rilievo montuoso Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxxv che trae il nome proprio dall’abbondanza della pianta. Gravina su questa montagna trova pochi esemplari, perlopiù danneggiati dall’attività di pascolo, si preoccupa di riportare a valle una certa quantità delle preziose radici. Un secolo più tardi, la genziana maggiore, sarà considerata pianta non più presente sulla montagna, probabilmente per l’eccessiva raccolta delle parti sotterranee da parte di pastori, erboristi o semplici raccoglitori che ne fanno incetta con inalità commerciali (Rovesti, Rovesti 1934). Le radici risultano sempre più richieste dal mercato per uso farmacologico e per la preparazioni di vini e altre bevande alcoliche aromatizzate. I due articoli sono ricchi di annotazioni di carattere etnobotanico. Nelle note, l’autore riporta gli usi eduli di tante piante, molte delle quali ancora oggi raccolte per inalità alimentari dalla popolazione abruzzese (Manzi, 1999). Dagli scritti si evince l’importanza di alcune specie per la tavola delle classi meno abbienti. Tra queste, il Gravina annota la rilevanza degli orapi, ossia Chenopodium bonus-henricus, lo spinacio selvatico raccolto dai pastori presso gli stazzi, inoltre Chenopodium album, Amaranthus blitum (Amaranthus lividus), Lactuca scariola (Lactuca serriola), Bunias erucago, Clematis vitalba, Papaver rhoeas, Sisymbrium nasturtium (Nasturtium oficinale), Sonchus oleraceus, Veronica beccabunga. Riporta anche l’esperienza di utilizzare i semi del pungitopo (Ruscus aculeatus), quale succedaneo del caffè, per la preparazione della bevanda omonima. Nella nota qui indicata con l’asterisco a p. 38, all’interno dell’articolo Giornale della peregrinazione botanica (1812), trascrive l’uso della minestra di cardilli e l’utilizzo nell’alimentazione anche della radice di questa pianta. La nota nell’articolo presenta una inesattezza nella numerazione, probabilmente per un refuso di stampa o dimenticanza dell’autore. Non sappiamo a quale specie possa essere attribuita, probabilmente a Sonchus oleraceus, seppure con qualche dubbio (Manzi, 1999). Gravina annota anche l’uso tintorio di alcune essenze vegetali. Riporta l’impiego delle foglie del mandorlo per tingere la seta, dei iori dell’Anthemis tinctoria per colorare di giallo lana e seta; inoltre scrive che dalle foglie dell’orniello si ricava xxxvi Aurelio Manzi una tinta gialla, dalla corteccia delle radici del noce «un bel color tabacco» per la lana, mentre dalla corteccia del melo selvatico si ottiene una colorazione gialla. Per quanto riguarda il guado o pastello (Isatis tinctoria), registra una prassi semplice e antiquata per l’estrazione dei principi coloranti, in seguito sostituita con metodiche più eficaci e produttive, individuate e divulgate anche dalle società economiche abruzzesi, in particolare quella di Chieti (AA. VV., 2009): «dopo li decisivi esperimenti del Sig. Morina evvi lungo a sperare, che si rigetti una volta quel metodo lungo e spesso adottato in molti luoghi della Provincia per preparare ed usare il guado. Niente meno, che dovea cogliersi l’erba della pianta, e unirla in grandi mucchi; guardare con attenzione il momento in cui i vermiciattoli che si sviluppano dietro la putrefazione fossero di colore rosso; quindi battere, ed impastare la massa putrefatta in grandi pile di legno per mezzo di grossi magli, riducendola e dividendola in grossi pani; che prosciugati al Sole entravano in commercio sotto questa forma. Tutto ciò non bastava, bisognava aver la sorte d’indovinare, qual grado di bollitura, quanto liscivio era necessario per ottenere il bleu da un pane di pastello, che non si sapeva se era della prima della terza o della sesta raccolta». L’attento medico pettoranese, riporta anche una interessante annotazione su Serratula tinctoria, pianta erbacea selvatica con grosse potenzialità tintorie: «la decozione della fronnicella (nome dialettale della pianta n.d.A.), somministra il più bello color giallo che io giammai abbia osservato. In Roccaraso, ed a Scanno formano delle belle tinte verdi usando il pastello con questa decozione». Anche un altro medico, Vincenzo Giuliani di Roccaraso, riporta la stessa “ricetta” per ottenere il colore verde nel corso del Settecento, ricorrendo all’Isatis e alla Serratula (De Panilis, 1991). Inoltre, riferisce dell’importanza di questa pianta per l’area degli Altopiani Maggiori, ove in giugno le donne si Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxxvii dedicavano alla raccolta della specie, in virtù delle ricercate qualità coloranti. Serratula tinctoria, in Abruzzo, risulta specie alquanto rara, localizzata solo nei Quarti e nel Piano delle Cinquemiglia nella zona degli Altopiani Maggiori, inoltre si rinviene sul Monte Pallano a ridosso di Atessa e in qualche altra stazione puntiforme (Conti, 1998). Giuliani riferisce anche dell’introduzione della coltivazione del guado a Roccaraso, nella prima metà del Settecento, per opera di immigrati da San Donato, probabilmente la cittadina laziale di San Donato Val Comino. Possiamo presumere che Gravina abbia raccolto le informazioni sull’uso tintorio di alcune specie vegetali a Roccaraso e, soprattutto, a Scanno, cittadina in cui l’arte di lavorare e tingere la lana con essenze vegetali ha costituito una tradizione fortemente radicata, praticata ino alla metà del XX secolo. Ferdinando IV di Borbone volle che, ad insegnare i segreti dell’arte di tingere le stoffe nelle seterie reali di San Leucio, fosse proprio una donna di Scanno, una certa Colomba Mancinelli (Rovesti, Rovesti, 1934). Nei due articoli sopra menzionati, si trovano importanti informazioni anche di carattere agronomico. Viene riportata la notizia dell’uso dell’acero campestre quale sostegno vivente per la vite nell’area di Pettorano e «in pochi altri luoghi della provincia». Una conferma della diffusione dell’alberata e della tradizione di “maritare” la vite agli aceri anche in contesti territoriali più a sud delle Marche e della provincia di Teramo. Nel primo decennio dell’Ottocento, risultano in coltura nella Valle Peligna il peperone e il girasole (Helianthus annuus); si tratta, in entrambi i casi, di specie di origine americana di cui inora risultano poco note le dinamiche di coltivazione e diffusione. Per quanto riguarda il peperone, la pianta è coltivata in Abruzzo già nell’anno 1752 in provincia di Chieti (Manzi, 2006), mentre per il girasole il dato riportato dal Gravina sembra essere il primo, in ordine temporale, per la regione. L’autore accenna anche alla presenza nel suo territorio della sulla (Hedysarum coronarium) quale foraggera coltivata. La pianta fu introdotta in Abruzzo proprio nei primi anni dell’Ottocento, forse dalla Calabria o da Malta. Il dato conferma la presenza di prati stabili a sulla, nel primo decennio del secolo XIX, anche nella Val- xxxviii Aurelio Manzi le Peligna e non solo sulle colline argillose della provincia di Chieti che costituiscono un ambiente decisamente migliore per questa leguminosa localmente nota come grampalupine. Un’altra nota interessante sotto l’aspetto agronomico è quella relativa alla barbabietola, nello speciico ad una varietà con radice rossa coltivata a Sulmona e in altre zone della provincia. In ambito europeo, le prime notizie relative alla coltivazione di una varietà a radice rossa di barbabietola risalgono al XVI secolo e fanno riferimento al Trentino e alla Germania. Nelle Marche, nelle stesso periodo, risultano coltivate barbabietole con foglie rosse (Manzi, 2006). Ecco la nota del Gravina: «in Solmona, ed in altri luoghi della Provincia si coltiva una varietà di Bietola di nome rapa-rossa. L’uso più comune è della radice che si mangia in insalata, o facendola cuocere nell’acqua, o sotto la brace. La forma esteriore della radice medesima è piuttosto globosa, e dividendola presenta o il colore rosso-bianchiccio, o il bianco-rossiccio. Presentemente di questa varietà mediante i semi inviati da Solmona se ne fa un’estesa coltivazione nel Real Giardino delle Piante di Napoli per comodo di coloro, che volessero istituire de’ saggi per l’estrazione dello zucchero di barbabietole. Difatti il sapore dolce e zuccheroso che nella radice si sviluppa per mezzo della bollitura, ed il suo peso, tante volte perviene a 30, e 40 libbre fanno con fondamento presumere, che il risultato in zucchero non debb’essere, che abbondante». Nel Regno di Napoli la coltivazione delle barbabietole per la produzione dello zucchero fu incentivata proprio negli anni in cui il Nostro scriveva i suoi contributi loristici ed agronomici, durante il regno di Gioacchino Murat. L’ultimo articolo, in ordine di tempo, pubblicato dal Gravina interessa proprio l’agricoltura in provincia dell’Aquila, Memoria (1812), apparso sempre sul Giornale Enciclopedico di Napoli. Le notizie riportate dal Gravina su questo lavoro, nonostante le aspettative prodotte nel titolo, riguardano essenzialmente il circondario di Sulmona. Si tratta di uno spaccato interes- Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xxxix sante sulle coltivazioni in uso, sulla diversità agronomica e le tradizioni agricole delle campagne peligne. Colpisce la diversità delle piante in coltura, almeno tra i cereali e legumi. Una varietà oggi decisamente ridotta ed appiattita su poche specie e cultivar imposte dal mercato ormai globalizzato. Il primo dei cereali nell’elenco è la solina, un’antica varietà di grano tenero, forse in uso già dai Romani e radicata nelle regioni Abruzzo e Molise. Gravina riporta «l’uso di farne pane di eccellente qualità, del quale, esclusa la classe povera, si nutre tutto il resto degli abitanti». Un pane peraltro che si prestava per essere conservato a lungo, confermando in questo modo la tradizione orale contadina abruzzese che reputa la solina, tuttora, il frumento migliore per la paniicazione (Manzi, 2006) e le impressioni raccolte dal Torcia (1793) nel suo viaggio nel territorio dei Peligni sul inire del Settecento. Seguono gli altri grani teneri aristati o mutici, oggi completamente dimenticati, inoltre la segale, i farri e gli orzi tra cui un inedito orzo marzuolo distico e mutico, ossia privo di ariste, quest’ultima caratteristica non più riscontrabile negli orzi distichi ancora coltivati nella regione. Tra le righe si proilano abitudini alimentari ormai desuete come quella di fare il pane mischiando la farina di segale con quella di mais, il cosiddetto parrozzo diffuso, ino al secolo scorso, in molti contesti montani abruzzesi. L’autore conferma la pratica di seminare la segale nei terreni da poco disboscati (grano della cesinazione), prassi ampiamente documentata nelle montagne teramane sin dal XVIII secolo. Dal grano carosella, una vecchia varietà di grano tenero privo di reste, invece, si otteneva un pane bianco e leggero. Ben altro era il pane ottenuto dalla spelta (Triticum aestivum spelta), oggi non più coltivata. Da questo farro, proprio dei climi freddi ed umidi, si otteneva un «pane di pessima qualità, non potendosi giammai collo staccio separare le glume che racchiudono il seme e che passa insieme colla farina». L’orzo mondato veniva coltivato, essenzialmente, per essere somministrato ai malati, una consuetudine che nella regione è documentata sin dalla preistoria. Tra i cereali minori, nei primi anni dell’Ottocento, erano ancora diffusi sia il panico (Setaria italica) che il sorgo (Sorghum bicolor). Entrambi destinati all’alimentazione del xl Aurelio Manzi bestiame, anche se con il sorgo (Gravina speciica la varietà a seme rosso) i ceti meno abbienti preparavano minestre e farinate per l’alimentazione umana, come nel medioevo quando questi cibi costituivano una componente sostanziale nella dieta della popolazione. Nella Valle Peligna, la coltivazione del mais (granodindia) risulta ben radicata e diffusa già nel primo decennio dell’Ottocento. Da prodotto di prevalente uso zootecnico, come annota il Gravina, diviene una derrata strategica per l’alimentazione degli uomini. La piana di Sulmona, grazie alla disponibilità di acque ad uso irriguo, viene considerata «il magazzino della Provincia» per quanto riguarda la produzione del nuovo cereale di origine americana. Risultano in coltura tre diverse varietà di mais: bianco, ordinario, della quarantina, quest’ultima cultivar tuttora in uso in alcune aree della provincia. La disponibilità a costi decisamente inferiori del granturco, rispetto al frumento, cambia le abitudini alimentari della popolazione. La pizza di mais e inanche il pane di farina di mais, mista ad altre farine tra cui quella di segale, grano e persino di sorgo, ben presto si impongono quale cibo quotidiano delle classi povere, unitamente alla polenta. Verranno diagnosticati anche in Abruzzo, qualche decennio più tardi, i primi casi di pellagra, una grave avitaminosi collegata ad un’alimentazione costituita esclusivamente o prevalentemente di granone (Manzi, 2006). La diffusione del mais nelle campagne cambia anche la millenaria rotazione agraria grano-maggese adottata dal mondo greco-romano. Al mais si avvicenda il grano e, solo il terzo anno, si sceglie o meno di lasciare il campo a riposo (maggese), aumentando sensibilmente la produttività dei terreni. Interessante, a tale proposito, è la testimonianza del Gravina: «ne’ paesi dove si coltiva il granodindia come Pettorano, Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e così si vicenda». Nell’articolo incuriosisce la grande diversità dei legumi in coltura. Tra i fagioli vengono descritte 12 diverse varietà appartenenti alle due specie Phaseolus vulgaris e Phaseolus coc- Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xli cineus, entrambe di origine americana, il cui radicamento nelle campagne abruzzesi sembra abbia preceduto di molto tempo la diffusione di altre colture provenienti dal Nuovo Mondo. Ad esse si somma il fagiolo gentile con l’occhio nero, ossia l’unico fagiolo presente in Italia prima della scoperta dell’America Vigna unguiculata, specie di origine indiana già in uso presso i Romani. In Abruzzo, la coltivazione di questa specie oggi sembra del tutto abbandonata, eccetto proprio la Valle Peligna ove il fagiolo dall’occhio viene ancora seminato e consumato; tuttora conosciuto con il vecchio nome di fagiolo gentile, oppure minutillo o monachella (Di Santo, Silveri, 2004). Tra i legumi vengono enumerate e descritte anche specie di cui oggi si è persa la memoria, nonostante rivestissero in passato un grosso interesse alimentare, zootecnico ed economico, almeno per le aree montane. È il caso della lenticchia (conosciuta come miccola nella zona degli Altopiani Maggiori e nell’Alto Molise), in particolare la “lenticchia di Valloscura”, una varietà di lenticchia a seme piccolo (microsperma) coltivata nei decenni addietro, essenzialmente, sulle pendici dei rilievi che sovrastano il Piano delle Cinquemiglia, nel territorio di Valloscura, l’attuale Roccapia. Gravina, non nascondendo il suo entusiasmo, di questa lenticchia scrive: «questa specie è la più stimata di tutti i legumi, non solo per la squisitezza del sapore, ma per la sua piccolezza. Ciò che fa meraviglia è la sua particolare coltura. Si semina ne’ terreni sterili e boreali delle montagne, arando il terreno per metà di quello che meriterebbe seminandosi il grano […]. Le lenticchie di Valloscura sono le più ricercate e si vendono a ducati 8 il tomolo. Nelle colline che sovrastano al Piano delle Cinquemiglia, e che sono reputate le più sterili, allignano così bene che non può desiderarsi di meglio». Le lenticchie coltivate più in basso si caratterizzavano per le maggiori dimensioni del seme (macrosperma). A quote inferiori, le lenticchie venivano attaccate dai parassiti e i semi, per essere conservati per periodi lunghi, venivano preventivamente lessati «per evitare il tarlo cui vanno soggettissime». xlii Aurelio Manzi Un altro legume, proprio delle aree montane, di cui scrive il Gravina è il pisello robiglio (Pisum sativum arvense), riportato sotto la voce riveglie. Essenza oggi non più coltivata, ma in passato frequente nelle aree montane del Gran Sasso meridionale, Maiella e Altopiani Maggiori. I semi, conservati secchi, venivano consumati dai montanari nel periodo invernale: un piatto della tradizione culinaria di Pescocostanzo era rappresentato proprio da sagne e revejje. Gli stessi trovavano un impiego frequente per l’alimentazione del bestiame. Il Gravina annota: «[…] può dirsi che questa specie sia il solo legume de’montagnoli. In Valloscura, Rivisondoli, Roccaraso ec. usano coltivarle comunemente: sono intanto poco stimate». Tra gli altri legumi destinati all’alimentazione umana, Gravina enumera tre varietà di ceci: bianchi, rossi e neri; inoltre la cicerchia (Lathyrus sativus), che lui individua con il vecchio nome di ghieglie, di cui cita le varietà bianche e nere fratesche. Tra le fave, quelle piccole erano le più diffuse. I semi, dalle dimensioni ridotte, venivano conservati secchi per farne minestre. Le fave pugliesi, caratterizzate dai semi più grandi, risultavano meno consuete delle precedenti e questo ci lascia propendere per una diffusione più recente: «la coltura però ne è ristrettissima, non facendosene uso ordinariamente che come ortaggio mangiandosi prima della loro maturità. Chi le conserva per la provvista le impiega per lo più a farne il macco». Molti sono i legumi coltivati ad uso zootecnico, anche se spesso la fame e la carestia ne facevano cibo d’emergenza per gli stessi uomini. È il caso della veccia (Vicia sativa), della farchia, probabilmente la cicerchiola (Lathyrus cicera), degli orobi o ervi (Vicia ervilia). Quest’ultima specie, conosciuta in ambito nazionale sotto la voce mochi, costituiva una importante specie foraggera e da granella per l’ingrasso del bestiame, cibo energetico per gli animali da lavoro e per quelli malati o deboli. I mochi venivano diffusamente coltivati nelle aree Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xliii montane d’Abruzzo; oggi, però, la specie è da ritenere quasi scomparsa. Le ultime coltivazioni nel Piano delle Cinquemiglia si sono protratte ino ai primi anni del XXI secolo, qualche sparuta coltivazione residuale sopravvive ancora sulle falde del Gran Sasso meridionale (Manzi, 2008). Nell’articolo si riporta anche un altro legume sotto la denominazione di ova di trotte. Risulta dificile capire a quale specie l’autore si riferisca. Tenore (1831) attribuisce questa espressione dialettale abruzzese a Vicia cordata (Vicia sativa cordata). In altri contesti regionali la stessa denominazione individua Lathyrus cicera oppure Pisum elatius, pianta selvatica considerata il progenitore del pisello coltivato (Manzi, 2006). Corposa è la trattazione della voce canapa. Questa pianta tessile era ampiamente coltivata nella piana peligna caratterizzata da suoli profondi, abbondanza idrica e buona disponibilità di letame, requisiti essenziali per la sua coltura alquanto esigente. Gravina ci informa che nella Conca Peligna, la cittadina di Raiano costituiva il mercato principale della canapa, mentre per la Conca del Fucino il primato spettava a Pescina. Spiega anche il signiicato del toponimo cannapine che, oltre ad individuare i campi assoggettati alla coltura della canapa, indica in maniera più generale i terreni fertili, pianeggianti e ben concimati. Si dilunga sulle pratiche agronomiche e sulle metodiche di macerazione per l’estrazione della ibra. D’altronde, anche la sua Pettorano vanta un’antica tradizione nella lavorazione di questa importante ibra la cui coltivazione fu sostenuta dai Cantelmo, l’importante famiglia feudale che fece realizzare anche le strutture adibite alla macerazione della pianta per l’estrazione delle ibre indispensabili alla produzione di corde (Monaco, 1980). Interessanti sono anche le notizie relative alla diffusione di alcune specie foraggere che si afiancano alla sulla, di cui aveva dato notizia nel contributo precedente, nello speciico una specie di trifoglio (Trifolium incarnatum) e il ieno greco Trigonella foenum-graecum, quest’ultima pianta coltivata in passato anche per uso medicinale. Ormai già nei primi anni dell’Ottocento, almeno, nella Valle Peligna, i prati artiiciali seminati a leguminose costituiscono una realtà di tutto rilievo, xliv Aurelio Manzi un’innovazione agraria dalle notevoli ricadute economiche e sociali. Nei suoi contributi, Gravina trascrive i nomi volgari e dialettali delle piante, sia selvatiche che coltivate, precedendo di diversi decenni le intuizioni di un altro medico poliedrico che riponeva grande iducia nella scienza, Gennaro Finamore, padre dell’etnograia ed antropologia culturale in Abruzzo. Il primo ad iniziare una raccolta sistematica dei itonimi popolari in Abruzzo per la redazione di una “Botanica popolare” (Manzi, 2001). Gravina si premura di annotare nei sui scritti anche tante altre osservazioni e rilessioni, rivelando uno spirito curioso ed aperto. Riporta interessanti notizie su Scanno: la tradizione pastorale di allevare pecore dal vello nero, le famose pecore carfagne la cui lana era destinata, essenzialmente, alla confezione degli abiti del clero. Ci informa del “cacio nero di Scanno” che è «ricercatissimo e igura non solo nelle tavole de’ ricchi della Provincia, ma è in gran pregio nelle altre Provincie del Regno e nella Capitale». È il primo a fornire notizie sull’ittiofauna del lago: trote, tinche, gamberi e «un pesce che chiamano volgarmente pisci», forse la specie ittica oggi conosciuta come rovella. Gravina propone anche un tracciato alternativo alla strada che taglia il Piano delle Cinquemiglia, per evitare il suo attraversamento proprio nel fondovalle, onde scongiurare pericolose disavventure, con esiti anche fatali, ai viaggiatori che d’inverno attraversavano l’altopiano in balia delle proverbiali bufere. Gravina, medico condotto, botanico, sindaco del suo paese, si rivela un uomo nuovo, moderno che ripone grande iducia nella scienza, pensa ed opera per il progresso civile della società. Fa parte di quel manipolo di uomini di provincia, quasi sempre laureati in medicina, che indagano e descrivono il proprio territorio, spesso in silenzio e in ombra, lontani dai fasti e dagli onori delle università ed accademie. Costituiscono, il più delle volte, la “manovalanza”, i raccoglitori dei dati, i cosiddetti “corrispondenti locali” di cui si servono gli accademici e gli scienziati uficiali del tempo. Spesso, però, hanno intuizioni geniali capaci di incidere sul corso della ricerca, di indirizzare il dibattito intellettuale e inluenzare il pensiero scien- Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xlv tiico. Guardano speranzosi al futuro, ritengono il progresso delle conoscenze scientiiche lo strumento indispensabile per il miglioramento delle condizioni umane, anticipano di alcuni decenni il Positivismo. A questi uomini, troppo spesso sconosciuti o negletti, dobbiamo tanto non solo per il progresso delle conoscenze scientiiche, ma anche per lo sviluppo e la crescita della società umana, anche nelle aree più depresse o e nelle valli più nascoste del Paese. Bibliograia AA. VV., 2008 – Per erbe e per tinture nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Quaderno n. 4, Associazione Tintura Naturale Maria E. Salice, Milano. Capocci E., 1834 – Viaggio alla Meta, al Morrone ed alla Maiella, «Annali Civili del Regno delle Due Sicilie», VI, pp. 112-125. Conti F., 1998 –An annoted checklist of the lora of the Abruzzo, «Bocconea», 10, pp. 1-275. Cardarelli C., 1971 – Il “sor Antonio”. Antonio Orsini pioniere delle scienze naturali, Tipograia La Rapida, Fermo. Del Giudice F., 1857 – Nocevole azione che spiega il Lathyrus alatus sull’economia animale nuovamente veriicata dal sig. Nicola Pellicciotti di Gesso Palena nell’Abruzzo Citeriore, «Annali Civili del Regno delle Due Sicilie», pp. 82-83. De Nobili G., 1837 – Il litantrace di Roccascalegna, «Giornale Abruzzese», 11, pp. 65-177. De Panilis E., 1991 – Vincenzo Giuliani: ragguaglio istorico della Terra di Roccaraso e del Piano delle Cinquemiglia, Bottega d’Erasmo, Padova. Giacomini V., 1962 – Ricognizione dell’opera scientiica di Michele Tenore nel primo centenario della morte (18611862), «Delpinoa», 3, pp. 1-75. Gussone G., Tenore M., 1835 – Osservazioni Fisico-Geognostiche fatte in un viaggio per diversi luoghi delle provin- xlvi Aurelio Manzi cie di Terra di Lavoro e di Abruzzo, nella state del 1834 dai sig Gussone e Tenore per disposizione della Reale Accademia di Scienze, «Annali Civili del Regno delle due Sicilie», 9, pp. 58-74. Manzi A., 1999 – Le piante alimentari in Abruzzo. La lora spontanea nella storia dell’alimentazione umana, Editrice Tinari, Villamagna. Manzi A., 2001 – Flora popolare d’Abruzzo. I nomi dialettali delle piante, l’etimologia, i detti e i proverbi popolari, le antiche varietà colturali, Editrice Carabba, Lanciano. Manzi A., 2006 – Origine e storia delle piante coltivate in Abruzzo, Editrice Carabba, Lanciano. Manzi A., 2008 – I legumi della montagna abruzzese, Edizioni Talea, Atessa. Monaco P., 1980 – Pettorano sul Gizio nella Corona radiosa dei Cantelmo, Tipograia “La Moderna”, Sulmona. Pellicciotti N., 1869 – Sul Lathyrus alatus e sulla nocevole azione, «Giornale Abruzzese di Medicina e Chirurgia Pratica», 49-54, pp. 65-68. Rovesti G., Rovesti P., 1934 – Flora oficinale del Parco Nazionale d’Abruzzo e della zona limitrofa, «Rivista Italiana Essenze e Profumi», 16, pp. 197-221. Tenore M., 1826 – Memoria sulle specie e varietà di crochi della Flora Napolitana, Tipograia Marotta e Vanspandoch, Napoli. Tenore M., 1829 – Succinta relazione del viaggio fatto in Abruzzo ed in alcune parti dello Stato Pontiicio dal Cavalier Tenore nell’està del 1829. Letta all’Accademia Pontaniana nella tornata de’6 settembre dello stesso anno, Stamperia Società Filomatica, Napoli. Tenore M., 1831 – Sylloge plantarum vascularium Florae Neapolitane hucusque detectarum, Tipograia Fibreni, Napoli. Tenore M., 1832 – Relazione del viaggio fatto in alcuni luoghi di Abruzzo Citeriore nella state del 1831, Dalla Tipograia di Pasquale Tizzano, Napoli. Tenore M., 1845 – Catalogo delle piante che si coltivano nel R. Orto Botanico di Napoli corredato dalla pianta del medesimo e di annotazioni, Tipograia dell’Aquila, Napoli. Il contributo scientiico di Pasquale Gravina xlvii Tenore M., Gussone G., 1842 – Memorie sulle peregrinazioni eseguite dai soci ordinari signori M. Tenore e G. Gussone lette alla Reale Accademia delle Scienze nel 18341838, Stamperia Reale, Napoli. Torcia M., 1793 – Saggio itinerario nazionale nel paese de’ Peligni fatto nel 1792, Napoli (ristampa anastatica a cura di Polla Editore, Cerchio, 1986). V. D. M., 1836 – Il Real Orto Botanico, «Annali Civili del Regno delle Due Sicilie», fasc. 22. Visconti A., 1992 – Filippo Parlatore. Mie memorie, Sellerio Editore, Palermo. Riferimenti bibliograici degli articoli qui pubblicati Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 188-205. Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del Circondario di Scanno, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 2 (1812), pp. 3-49. Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina, prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. VI, nr. 9 (1812), pp. 309-324. Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila, «Giornale enciclopedico di Napoli», an. V, nr. 4 (1811), pp. 184-188. Rapporto de’ viaggi botanici eseguiti nelle montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona del corrispondente Pasquale Gravina Il di 14. giugno usciti da Pettorano alle sei ci dirigemmo sul Piano di Cinque Miglia. L’oggetto del viaggio non era già di erborizzare sulle montagne che chiudono il Piano suddetto, rimanendo in parte ancora coverte dalla neve; ma bensì di visitare e scorrere le belle praterie site nel mezzo del medesimo e le altre, altrettanto belle, site sotto la Comune di Rivisondoli. Ci determinammo ad eseguire il viaggio in tale epoca attesa la stagione che favoriva la perfetta inlorescenza delle piante, ed atteso il pochissimo tempo rimasto per falciarsi, né in seguito avressimo avuto miglior occasione di percorrere praterie più elevate di queste. Dopo tre ore di cammino entrammo nel Piano di Cinque Miglia. Questo giace al sud della Provincia dell’Aquila in un punto de’ più alti degli Appennini, avente un estensione di cinque miglia in lunghezza sopra quattro di larghezza in una supericie perfettamente piana. Dalla parte del nord vi si entra per un solo guado chiamato la Fontanella, e dalla parte del sud si esce per una simile apertura detta La Portella, al ovest è chiuso dalla gran montagna di Chiarano, ed al’est da una catena di colline calcaree, che lo separano dalla Valle di Pantaniello, che egualmente è circoscritta dalla montagna di Rivisondoli. L’ammasso loro è tutto calcareo e di seconda formazione essendo tutto stratiicato. È degno di rimarcarsi però che la sola montagna di Chiarano è coverta da’ boschi, le altre montagne cioè quella di Rivisondoli e tutto il gruppo delle colline che separano il Piano da Pantaniello sono nude affatto e non vi alligna nemmeno una Cespuglio, come in tutto il resto del Piano di Cinque Miglia. 2 Pasquale Gravina Il piano suddetto è celebre per l’orridezza dell’inverno, per la gran quantità di neve che vi cade e per i turbini ed uragani che sovente si prende giuoco de’ poveri viandanti: anzi la sua massima celebrità pare che derivi dal numero immenso de’ viaggiatori che vi hanno perso la vita. L’infelice circostanza della morte non dipende dall’intensità del freddo che per due o tre ore di cammino non potrebe affatto inluire sulla vita dell’uomo, lo smarrimento della strada è la sola cagione di simili sciagure. Difatti coloro che si sono introdotti nel piano suddetto colti essendo da nebbia densa o dallo spolverio della neve è impossibile che possano battare la strada che viene cancellata dalla neve che incessantemente cade, o dalla medesima trasportata dal terribile contrasto de’ venti: ne basta evitare il passaggio del piano nel tempo che vi è burrasca, per lo più avviene che in mezzo al miglior tempo di una serenità perfetta si suscitano i turbini, la nebbia, la neve; ed il passaggiero ingannato si rattrova nel rischio evidente di perdere la vita: imperocchè essendo il piano suddetto aperto in due soli punti cioè nella Fontanella e nella Portella è dificile, anzi impossibile, di rinvenire le aperture suddette, e costantemente si va ad urtare rincontro la montagna di Chiarano, donde non potendo facilmente retrocedere o per la notte che sopravviene o per i grandi nevazzj che non possono sormontarsi, si va a perdere la vita irremisibilmente. Or siccome coloro che debbono penetrare ne tre Abruzzi, debbono attraversare questo Piano, in tutti i tempi si è pensato dal Governo di riparare a simili inconvenienti. Allorquando si apre la grande strada da Napoli negli Abruzzi, si tentò di farvi delle piantaggioni lungo la strada; ma nessuno albero di quanto ne furono sperimentati vi potè vegetare, e il più che sorpende si è che il solo che presenta una suficiente polpa di terreno, dove si fanno più o meno delle abbondanti ricolte di grano. L’uniformità e regolarità del Piano presentandoci per lo più le medesime piante ci lasciava il tempo di rilettere ad un progetto, che nell’atto istesso che dovea dare una strada propria e durevole, dovesse in tempo d’inverno rimanere scoverta in maniera, che le vetture dopo qualche intervallo della caduta della neve grossa, potessero avere il loro libero corso, e che i Rapporto de’ viaggi botanici (1811) 3 viandanti non la perdessero mai di vista. Il progetto è questo. Bisognerebbe deviare la strada nella metà del Piano e portarla dentro la Valle di Pantaniello nella seguente maniera. Partendo da Roccaraso invece di attraversare il guado di Portella si prenderebbe alla mano dritta andando dietro alla Catena delle Colline calcaree che separano il Piano da Pantaniello, coll’avvertenza di non aprire la strada nel fondo della valle, dove in tempo d’inverno vi si riuniscono degli immensi cumuli di neve, ma bensì tagliarla sul dorso delle Colline sudette, non allontanandosi dal fondo della valle che tre in quattro canne, e colla stessa proporzione si dovrebbe prolungare ino alla sommità che domina il luogo detto Taverna rotta. Da questo punto si entrerebbe nel Piano scendendo dolcemente e non lasciando mai la stessa direzione e gli stessi principj, cioè di tagliare la strada alla parte occidentale delle Colline sudette e non distante dal Piano sottoposto che tre in quattro canne, dove più, dove meno, terminando così sino alla Fontanella. In questa sola maniera si avrebbero i vantaggi di una strada solida, perchè tagliata sul masso vivo; riparata da’ venti perchè coverta dalle cime delle colline, e non potrebbe esser occupata da cumuli di neve, tagliata essendo sul pendio e non nella valle. Via facendo raccogliemmo le piante seguenti: Veronica prostrata Tordylium Apulum Saxifraga bulbifera Citisus bilorus Centaurea nov. sp. Alyssum campestre Calendula stellata Rhinanhus villosus Polygonum bistorta Anthyllis vulneraria Gypsophyla saxifraga Trattanto si approssimò la notte ed entrammo a Rivisondoli verso le 7. pomeridiane. Dopo aver quivi dormito la mattina ben presto scendessimo alla praterie di Roccaraso e vi raccogliessimo: 4 Pasquale Gravina Thlapsi alliaceum Lathyrus palustris ? Thlapsi perfoliatum Hyacinthus romanus Quindi retrocedendo verso Pettorano fra i seminati raccogliemmo: Cheiranthus Bocconi Xeranthemum annuum Cistus obscurus –– punctatus ? Convolvulus cantabrica Astragalus depressus Edipnois n. sp. Campanula speculum var. villosa Cynoglossum columnae Medicago minima Lungo la strada inalmente ed in qualche luogo incolto: Thlapsi saxatile Ballotta nigra Campanula mollis, var. dichotoma Isatis tinctoria Tutte le suddette piante descritte, per quanto mi fossi informato non hanno nome conosciuto triviale all’infuori del Rhynanthus villosus, che chiamano iamma, perchè quando è abbondante in un terreno distrugge e non fa vegetare il grano, e dell’Isatis tinctoria, la quale è chiamata ammacca fauciglia. Le piante raccolte furono trapiantate nel giardino di deposito per raccoglierne con più commodo le semenze. Non molto dopo si avanzò la stagione e ci andavamo disponendo per salire alla montagna per fare una spedizione di piante al Real Giardino. Uscimmo da Pettorano il dì 4. Luglio alle ore quattro e prendemmo l’imboccatura della Valle di Freano, dove sorge il iume Gizzo che fertilizza le belle campagne di Pettorano d’Introdacqua e di Solmona. Questa Valle lunga e profonda è rivolta al nord ed è sormontata da scogli calcarei tagliati a perpendicolo e da rupi inaccessibili. Nella parte laterale e superiore è coverta da boschi che si vanno a perdere alla cima della montagna detta della Fascia. Rapporto de’ viaggi botanici (1811) 5 La formazione di tali montagne essendo a strati e questi inclinati costantemente al nord, le varie sorgenti del Gizzo, e de’ ruscelli di Freano, della Pennina e dell’Acera sono parimenti dalla parte nord. Lungo la strada raccogliemmo: Prunella grandilora Saxifraga rotundifolia Scutellaria columnae Osservando che il fondo della Valle non ci sodisfaceva per il poco numero delle piante, pensammo d’internarci nel bosco colla iducia di appagare la nostra avidità a trovare delle belle piante. Penetrassimo addentro urtando incontro a’ faggi, piegando la testa per evitare gli urti de’ rami, ma tutti questi sforzi non erano ancora corrisposti. Vicino ad una scaturigine detta Pennina ci rallegrassimo nel trovare il Lilium Martagon ed il polyp. ilix mas, e non fu possibile di vedere piante migliori di queste; forse per la foltezza del bosco. Stanchi da questo tentativo riguadagnammo la Valle e ci riunimmo con vetturino a Valle Fredda, dove ci dovea attendere. Proseguimmo il nostro cammino per inoltrarci alla vetta della montagna e deviando continuamente raccolsimo: Statice pseudarmeria Coronilla valentina1 Rumex scutatus2 Atractylis gummifera Aconitum licoctonum3 Laserpitium siler4 Lamium garganicum Chenopodium bonus henricus5 Volgarmente sferra cavallo. Salfari piccoli e nasce sotto le fessure di macigni, ed è impossibile svellerlo con le radici intiere. 3 Volgarmente creduto il Napello. 4 Volgarmente Sellero montano. 5 Volgarmente detto Orobo ed è comunissimo vicino i letamai nelle montagne dove pascolano le pecore. Ne’ paesi di montagne se ne servono per le minestre e per l’insalate. 1 2 6 Pasquale Gravina Poco dopo mezzodì che il sole era divenuto insoffribile cominciò a sofiare un caldo venticello ed in un batter di occhi si oscurò il cielo giusto dove noi eravamo, nel tempo istesso che in tutto il resto era sereno. Immediatamente ci venne sopra una grandinata così veemente ed impetuosa che per evitarla ciascuno di noi si smarrì dentro del bosco, e non ci venne fatto di riunirci che dopo qualche ora. Ripigliammo il nostro cammino verso la Fonte dell’Acera, dove in alcuni luoghi si conservava intatta la neve. Ci lasciammo dietro il bosco e vi raccogliemmo la sola Inula montana. Vicino la Fonte dell’Acera vi è una bella cava di pietre selci, di cui se ne servono a far macine. Nella stessa direzione verso Vallelarga e Colasurdo ve se ne osservano delle altre e sono annunciate dall’aridezza del suolo che le copre e dal colore rossiccio del terreno; ed in questi luoghi spesso si trovano delle pietre globose al di fuori con una strato di sostanza calcarea dura e nel centro la selce di variato colore. Erano le 4. pomeridiane, e sebbene ci eravamo proposto di dormire a Frattura, Villaggio che restava immediatamente sotto alla cima della montagna che poco mancava a raggiungersi, pure il timore di incontrare de’ ladri ed il maltrattamento della grandine ci fece retrocedere e rientrammo a Pettorano sul far della notte: così ebbe luogo la prima spedizione. Nel dì 17. luglio 1810 andammo ad erborizzare sulla montagna di Pietra Majura che giace all’est di Pettorano. Essa è vestita di boschi e di macchie ed è fertilissima di piante medicinali. Le dificoltà di questa peregrinazione non consistevano a far delle lunghe corse, dovea farsi attenzione a dirigersi bene dentro del basso ed evitare i profondi burroni che lo dividono; perchè altrimenti dovevamo sempre tornar indietro, e perdere del tempo ogni volta che il vetturino che recava la cassa, la creta, il mosco ec. non potea intersecargli. Ad onta delle precauzioni di cui sempre premuravamo la nostra guida, quelle non servivano che ad accrescere il nostro imbarazzo, e ci trovavamo sovente arrestati da precipizj e dalla strettezza degli alberi che ci chiudevano il cammino. Concertammo più volte col vetturino a poterci riunire col ischio con Rapporto de’ viaggi botanici (1811) 7 un grido ma questo mezzo si limitava a poca distanza. Vero però che i nostri travagli erano a ciascun intervallo compensati nel rinvenire delle utili piante; raccolsimo: Saxifraga cotyledon Polypodium aculeatum Geranium aconitifolium Centaurea cuprina Linum strictum Anemone hepatica Melampyrum sylvaticum Convallaria multilora6 Dictamnus albus Asperula cynanchica Sideritis romana –– montana Stachys decumbens Trifolium pratense, var. alpestre –– arvense Dopo aver errato nel bosco suddetto per otto ore continue, inalmente ne uscimmo dalla parte superiore e cercammo di ristorarci al gran picco propriamente di Pietra Majura nel quale vi è scavata una superba Grotta. L’eminenza del sito, l’aria fresca che vi si respirava e la serenità del cielo ci fecero ben presto dimenticare i travagli sofferti, e fummo in istato di rassettare le piante nell’erbario e disporre meglio le piante vegetanti, che per mancanza di tempo e per la iacchezza si erano poste alla rinfusa dentro la cassa. Frattanto si avanzò la sera ed andassimo a dormire a Canzano. La mattina seguente uscimmo di buon ora e pigliammo la direzione delle Coppe. Questo luogo quasi piano resta dietro la montagna di Pacile ed è addetto esclusivamente al pascolo delle pecore. Tuttochè cambiavamo spesso la direzione pure raccolsimo poche piante: Verbascum pulverulentum7 Volgarmente detta Cordone di S. Francesco: ha la radice carnosa e qualche speziale fraudolentemente l’ha sostituita all’ipecuacana: ma i suoi effetti sono terribili: eccita vomito, diarrea, dolori, e sinimenti. 7 Volgarmente detto Tasso barbasso. 6 8 Pasquale Gravina Stachis germanica Aconitum Napellus Alyssum lunarioides Salvia ethiopis8 Digitalis ferruginea Allium sphaerocephalum –– pallens Aethusa meum. Vol. Meo barbuto Piegammo in seguito verso Pacile e ci affrettammo di guadagnare la parte occidentale e prendere al di sotto la strada di Solmona. Raccolsimo: Artemisia abrotanum Campanula glomerata Gnaphalium arenarium Scabiosa ochroleuca Ed ebbe luogo la seconda spedizione di piante vegetanti al Real Giradino. Nel dì 31 luglio dovea salirsi alla montagna di Macchia longa che è la più alta di quelle che chiudono al sud la Vallata di Solmona. Essa è sita all’est di Valloscura e dalla sua parte del sud domina il Piano di Cinque Miglia. Nelle sue falde vi sono de’ boschi e de’ pascoli per le pecore. Siccome il tempo era caldissimo lasciammo Pettorano prima delle quattro per trovarci a mezzo cammino allora quando usciva il sole. Pigliammo la strada di Sondico tagliata sopra un vallone scosceso e profondo e via facendo ci imbattemmo più volte con de’ mietitori, che facilmente credeano che andassimo a cavar tesori. Dopo cinque ore di salita arrivammo al bosco della montagna suddetta. Per buona sorte non incontrammo tante dificoltà nel penetrarvi come nel bosco di Pietra Majura: pochi erano i burroni, e gli alberi lasciavamo fra loro sempre dello spazio, che offriva molto commodo al vetturino, che ci seguiva, ne si diede il caso di smarrirci. Raccolsimo le più belle piante in piccolo spazio di terreno: Gentiana cruciata Volgarmente chiamata bambagiuola pilosella e se ne servono comunemente per essiccare la piaghe delle gambe. 8 Rapporto de’ viaggi botanici (1811) 9 Betonica alopecurus Dentaria pentaphylla Doronicum althaicum Cacalia alpina9 Malva moschata Scorzonera ? Pedicularis comosa Senecio saracenicus Epilobium montanum Senecio sylvaticus Carduus carlinoides Crepis dioscoridis Aconitum Napellus, in moltissima quantità ec. Verbascum sp. n. Alle quattro pomeridiane eravamo usciti dal bosco e non vi restava che l’ultima parte della montagna fatta da picchi e rocce calcaree senza ombra di vegetabili. Fra alcune fessure di esse trovammo il Semperviruum aracnoideum ed il globiferum. Dovea pertanto salirsi la montagna sudetta per iscendere e pernottare a Pescocostanzo. Cosa che fu eseguita fra poche ore contrastando con uno de’ più terribili venti del nord che ci obbligava a volgergli le spalle e torcere il cammino. Il giorno seguente eravamo determinati di erborizzare sulla montagna del Quarto di S. Chiara che conina colla Provincia di Chieti e procurammo di avere una guida. Il vetturino incominciò a protestare che era impossibile ricondurre sulla Montagna i suoi animali, giacchè, ed era purtroppo vero, le frequenti cadute, inevitabili ne’ viaggi botanici, gli avevano di molto indeboliti. Noi pure eravamo malconci e riiniti da un cammino di 17 ore continue fatto nel giorno antecedente; e sebbene il sonno ci avesse ristorati risolvemmo di restituirci in casa per la volta del Piano di Cinque Miglia. Ed ebbe luogo le terza spedizione. Per porre ine al lavoro di quest’anno secondo il quadro isico botanico della Provincia vi rimaneva di salire alla Montagna del Pilosello, che separa Valloscura da Scanno e Scanno 9 Volgarmente cococcioni. 10 Pasquale Gravina da Pettorano. Questa è una montagna boscosa ed elevata forse quanto Macchialonga e contiene degli ottimi pascoli. Animati dal desiderio di fare una bella cassa di piante pel Real Giardino uscimmo da Pettorano il dì 28. agosto 1810 un ora avanti giorno, traversammo il bosco di Pratocupo senza raccogliere una pianta. Arrivammo alla strada delle Trassere e nella Posta Vecchia della Fascia trovammo un bosco di Aconitum licoctum. Erano le undici e vi volea un’altra ora di cammino per recarci alla sommità della montagna: aflitti per non trovar piante proseguivamo a salire, ma ognuno si può immaginar come. Raccogliemmo: la Centaurea nigra, l’Athamantha Oreofelinum ?, l’Heracleum sibiricum, l’Arabis alpina, la Biscutella laevigata ma nessuna di esse si potè spedire a Napoli verdeggiante. L’Athamantha nasce fra le fessure de’ macigni ne si può svellere colle radici intiere. L’Heracleum sibiricum è una pianta alta otto palmi circa ed ha una radice corrispondente, ed ama la foltezza del bosco. L’Arabis alpina e la Biscutella laevigata erano tutte siorite ed appena ne ricuperammo un saggio per l’erbario. Saliti che fummo piegammo dalla parte di Scanno dove sono i migliori pascoli della montagna, e dove il terreno è coverto da una zolla ina che sembra la lanugine della terra. Andammo alla Posta della Genzana, detta così per la gran quantità di Gentiana lutea che vi alligna: ma non vi trovammo che le punte delle costole delle foglie rosicate dagli animali. Per non perdere l’occasione fecimo svellere alla nostra guida una quantità di radici per conservarle a qualche bisogno. Erano le 4. pomeridiane e fummo involti da una densa e fredda nebbia, ne più si dubitò che il viaggio era de’ più infelici. Proseguire il cammino era lo stesso che perdere il tempo attesa l’oscurità della nebbia; tornare in casa non era convenevole a cagione della distanza, e siccome aveamo provvisione per un altro giorno risolvemmo di passar la notte nella Posta delle Cruci di Frattura. Qui si tralasciano i patimenti, gli inconvenienti di quella nottata; deve soltanto avvertirsi che la nebbia fu costante ino alle 6. del giorno seguente. Fatto giorno ci rimettemmo in moto risoluti di non tornare se non si fosse empita di piante la cassa di spedizione. Costeggiammo all’ovest del Pilosello e trovammo molta quantità di Rapporto de’ viaggi botanici (1811) 11 Paeonia oficinalis e l’Anthyllis barbaiovis. Ripiegammo dalla parte di Scanno ino a Costa di Secina e non si rinvenne che l’Echynops sphaerocefalus, ed una specie di cardo. Ci astenemmo di raccogliere simili piante per non aggravarci di un peso inutile giacchè erano coltivate nel Real Giardino. Frattanto vennero le 10 ed il tempo ricominciò ad intorbidarsi e cominciò a cadere una pioggia minuta accompagnata da nebbia. Vedendonsi chiaramente che la sorte ci perseguitava e che non potea farsi capitale di un simile viaggio, rimontammo dalla parte detta de Colli verso Valloscura e ci ricoverammo alla meglio. Per riprendere la strada di Pettorano dovemmo attraversare le macchie di Valiaduna ed il Vallone dell’Orsolina, dove strada facendo raccogliemmo il Viburnum Lantana, il Ribes rubrum var., Daphne laureola ec. ec. Con un viaggio di due giorni nemmeno si potè empire la cassa di spedizione il dì 30. agosto procurammo di raccogliere qualche altra pianta intorno al iume e precisamente il Senecio baldensis ? ma era siorito. Pigliammo l’Inula dissenterica, la Genista tinctoria e così si rimediò per l’ultima cassa consegnata al Procaccio il dì seguente. Giornale della peregrinazione botanica eseguita nelle montagne del circondario di Scanno dal Sig. Pasquale Gravina Secondo l’ordine de’ lavori botanici stabilito nel quadro isico della Provincia, la peregrinazione di quest’anno dovea eseguirsi nella montagna di Chiarano, e sue adiacenze, ed io ne aveva issato la mossa alla metà di luglio. Pur nondimeno alcune circostanze riguardanti la sicurezza del mio viaggio, e li temporali che a tale epoca inierivano ne’ diversi luoghi del Distretto, mi diedero forte motivo non solo di posporre la gita suddetta, ma mi obbligarono dell’intutto a cambiare disegno. Trattanto per non perdere il momento il più favorevole della stazione deliberai di percorrere le montagne del Circondario di Scanno, dove sperava delle agevolazioni alla mia intrapresa. Lasciai Pettorano alle 4 della mattina de’ 2 agosto 1811. Coll’idea di rendermi sulla montagna di Rotella situata al nordest del Piano di Cinquemiglia, ed occuparmi in questa prima giornata a raccogliere molti saggi della Gentiana cruciata, della Malva Moschata dell’Aconitum napellus, della Pedicularis comosa, e di altre piante, che in dall’anno scorso avea rimesse vegetanti al Real Giardino, e che la loro bellezza dal Direttore del Giardino suddetto in quest’anno avea ricevuto l’incarico di raddoppiarne la spedizione. M’incamminai a tale oggetto per la strada di Sondico, e dopo 4 ore di salita già era alla Posta di Macchialonga, che rimane all’est, e sopra Valloscura1. Non vi volle molto a riconoscere la Gentiana cruciata di cui raccolsi una quantità, che era in iore. Dovea non molto distante incontrarsi la malva moschata? ma non fu possibile. Si attraversò il bosco colla iPosta nel linguaggio de’ pastori vuolsi intendere il luogo centrale del pascolo, dove sono isse le mandre, che chiamano stazzi, ed una capanna. La capanna ordinariamente è fatta da larghi e bassi muri di pietre senza calce e da un tetto di legno coverto anche di pietre. 1 14 Pasquale Gravina ducia di trovare ne’ luoghi visitati altra volta, alla stessa epoca, l’Aconitum nappellus, il Doronicum althaicum, ed altre belle piante, ma dopo aver errato alcune ore uscii di speranza, giacché tutto si scorgeva consumato dagli animali, che vi avevano incessantemente pascolato a cagione della siccità precorsa. Non pertanto il Cynoglossum appenninum di cui raccolsi i semi li hyeracium molle, et grandilorum, e la plantago argentea trovate in certe balze, mi convinsero, che il tempo non era impiegato in vano. Il cielo in seguito divenuto torbido, e piovoso mi costrinse a prender ricovero nella Posta di Rotella, sita all’estremità della montagna, dove mi convenne a restare sino alla mattina seguente. Le piante trovate nel corso della giornata non comprese le più communi, e quelle che erano state inviate nell’anno scorso al Real Giardino furono: Euphorbia myrsinites –– cypariassias Cardus corymbosus Ten. Thymus acinoides Ten. Campanula linifolia Dentaria bulbifera Silene nutas Plantago argentea Doronicum Columnae Ten. Per adempiere all’oggetto della peregrinazione la sera de’ 3 agosto dovea dormire a Scanno. Di buon’ora perciò presi la strada di S. Iri, che mena al Piano di Cinquemiglia, ed arrivai in quest’ultimo luogo alle otto della mattina. Cammin facendo raccolsi molti saggi della Drypis Spinosa. Attraversato il piano suddetto, che non mi diede niente da osservar di nuovo, m’introdussi per le Bocche di Chiarano dove trovai a dovizia l’Arbutus uva ursi, il ribes grossularia, ed il ribes rubrum. Proseguii il cammino per la via del Titolo, oltrepassai Juvano, ed entrai a Scanno alle 5 pomeridiane. Le piante trovate, e scelte nel resto della giornata prima di entrare a Scanno furono: Cardus Carlinaefolius Thesium linophyllum Geranium sanguineum Giornale della peregrinazione botanica (1812) 15 Orobus vernus Asphodelus albus Cnicus afer Il giorno di domenica 4 di agosto fu di riposo, e per quanto mi permisero le circostanze, presi conto di alcuni oggetti relativi alla situazione politica e naturale di Scanno, e del suo Circondario. Il Comune di Scanno è situato al sud-ovest della Provincia dell’Aquila nel centro del ramo della catena degli Appennini, che divide la Vallata di Solmona da quella di Celano. Esso giace nel fondo di una valle, sopra una collina calcarea, che deve considerarsi come una prolungazione della montagna di Preccia, che gli sovrasta al mezzo giorno. All’est vien separato dalla Montagna della Piaja per mezzo del vallone dove scorre il iume detto di Scanno. All’ovest è separato egualmente, e chiuso dalla montagna del Monte per mezzo del torrente, chiamato Pisciarello. La piccola distanza delle riferite montagne, la loro parallela direzione dal nord al sud, non che la posizione quasi perpendicolare all’orizzonte, sono le vere ragioni, che il soggiorno di Scanno sia opaco, e senza ventilazione. Nel rimanente Scanno ha un bel fabbricato, ha le strade larghe, e ben selciate ed una superba chiesa. È capoluogo del suo Circondario ed uno de’ più ricchi Comuni della Provincia. Esso contiene 2700 abitanti, tra i quali 30 preti sotto la direzione di un arciprete. Le donne vi sono estremamente belle, e coprono la testa con un arnese, che molto somiglia al turbante de’ Turchi. L’industria de’ Scannesi è la pastorizia nel suo vero signiicato. Essi oltre molte razze di cavalli, posseggono più di cento-venti-mila pecore tutte nere. Il cacio nero di Scanno è ricercatissimo e igura non solo nelle tavole de’ ricchi della Provincia, ma è in gran pregio nelle altre Provincie del Regno, e nella Capitale. Al Nord un mezzo miglio distante dall’abitato vi è il Lago di Scanno (che ha la supericie di un miglio quadrato) in cui si scarica il iume dello stesso nome, dopo aver conluito col torrente il Pisciarello. Vi si pescano in abbondanza delle trote, 16 Pasquale Gravina delle tinche, de’ gamberi, e un’immensa quantità di un piccolo pesce che chiamano volgarmente pisci. Il Lago è rinchiuso in mezzo alle due alte montagne di Terratta, e di Frattura, che formano le sue naturali ripe. All’est del medesimo giace il villaggio di Frattura, ed al nord est quello di Villalago. Entrambi fanno parte del Circondario di Scanno, ed i loro abitanti hanno gli stessi costumi, la stessa industria de’ Scannesi, e partecipano de’ prodotti del Lago, che è così pescoso. Un mezzo miglio sotto Villalago dirimpetto al Romitorio di S. Domenico si veggono le scaturiggini del Sagittario, chiamato volgarmente la foce di Scanno, che si credono comunemente altrettante emanazioni del Lago suddetto. Il iume appena gonio da una immensità di rivoli, che scappano, e sgorgano dalle fessure de’ macigni, rapido s’imbocca per la Foce di una lunga valle, nella quale precipitando replicate volte con una profusione di vortici e di scherzi, inalmente dopo un corso di sette miglia sotto al Comune di Anversa communica un terzo delle sue acque al celebre Canale di Corinio, in grazia del quale s’inafiano le ora mai fertili campagne di Bugnara, di Prezza, di Solmona e di Pratola. Procurata a stenti una guida, che mi si disse ottima, la mattina de’ 5 agosto uscii di Scanno per la via delle Prata, e dopo 2 ore di cammino il giorno mi spuntò a Costa Scannese. Per valicare questa montagna, che era tutta scoscesa mi convenne smontar di cavallo, e camminare per altre 3 ore sulle proprie gambe sino a Pantano. Il suolo che io batteva, ingrato alle mie ricerche, non presentava altre piante che li verbaschi, i roveti, e molte altre delle più comuni. La guida mi faceva sperare intanto, che a Pantano avrei soddisfatta la propria curiosità. Pantano è un luogo piano di notabile estenzione chiuso e circondato dalle montagne di Chiarano, di Juvano, e di Zimassa. La sua supericie ordinariamente verde, bagnata di tratto in tratto da piccoli rigagnoli, che vi formano de’ vaghi ristagni di acqua, abbellita da frequenti boschi2 del Veratrum Nigrum et album, e della bella Digitalis ferrugginea, ricrea l’occhio del naturalista, che immezzo all’orridezza de’ boschi e de’ burroni 2 Il primo è chiamato volgarmente vesàtro, ed il secondo elleboro bianco. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 17 trova questo luogo di frescura. Quivi raccolsi in abbondanza le suddette tre piante, ed arrivato al canale della Villetta che è l’estremità di Pantano, ripiegai per la strada delle Impietrature, e mi diressi a Ferrueglio, dove mi ristorai per la seconda volta. Una colonna di grossa pioggia proveniente da un temporale, che si scaricava sopra la vicina montagna di sette-Frati mi obbligò a rimaner sotto la capanna de’ pastori sino alle 3 pomeridiane. Dopo una corsa simile il solo geranium machrorhizum meritò di esser posto nella cassa, e nell’erbario. Per andare a dormire alla posta di valle Corta si dovè prendere la strada di campitello attraversando in un angolo il bosco di questo nome. Richiamando l’attenzione, e poco curando l’acqua, che mi bagnava ad ogni urto di albero raccolsi l’alchemilla hybrida in faccia ad un macigno incrostato dell’Hipnum praelongum, o sia lana di pietra volgare. Trovai in seguito la Lunaria rediviva, Geranium varium, Scrophularia vernalis, Daphne mezereum, Seleli montanum. Giunto alla estremità della montagna nell’atto, che scendea alla volta di Vallecorta mi vennero a salutare più di venti cani, che non mi avrebbero fatto passar oltre, se al rumore o non fossero sopravvenuti alcuni pastori, i quali ebbero la bontà di scortarmi per un altro miglio sino alla Posta di Valle Corta. Quivi dormii insieme con sedici pastori, non compresa la guida, e due altri individui che mi seguivano. La notte piovve dirottamente, e lo scricchiolare dell’acqua sopra il tetto della capanna mi deviò il sonno, che io tanto desiderava. Sull’albar del giorno si aggiunse un generale latrato de’ cani annunziando a’ pastori, che l’orso, come era il suo solito veniva a visitare le mandre. Dietro quest’ultimo strepito mi determinai a partire per erborizzare di buon ora sulle adiacenze di Valle Corta. Mi convenne attraversare il bosco dello Schiappitto per salire sulle dirupate cime della montagna, che lo coronavano, contrastando coll’umidità del suolo, e coll’acqua, che il vento faceva cadere da’ faggi. Uscito al largo raccolsi Gentiana aculis volgarmente genzianella; raccolsi altresì: Astrantia minor Dianthus superbus 18 Pasquale Gravina Orchis variegata Serapias latifolia Soddisfatto di aver incontrato dopo tante ricerche la genzianella, ripiegai dentro del bosco prendendo la strada della Fonte dello Schiappito senza trovare più alcuna pianta che per me fosse riuscita nuova. Alle 9 mi restituii a Valle Corta per riprendere gli animali ivi lasciati cogli attrezzi della peregrinazione. Intanto la nebbia che strisciava sul dorso delle montagne, e le nuvole, che spesso oscuravano il sole predicevano la pioggia che non tardò a venire. Da una parte era annojato vedermi ogni dì bagnato dall’acqua, ma dall’altra mi riputava felice di non esser a portata de’ temporali, che ordinariamente si limitavano a qualche prossima montagna. Per salire al Caraparo si dovè prendere la strada del bosco di Terraegna appartenente in buona parte alla Comune di Peschiaseroli. Questo bosco estesissimo vien formato di altissimi faggi, di olmi, e di aceri. Esso poggia sulle falde di due alte montagne che terminano in una gran valle nella direzione del sud al nord, e sopra un suolo rossiccio carico di ocra di ferro. Per la mia guida che millantava una consumata pratica di peregrinazioni e di montagne, tutto era facile. Essa decise che dovevamo introdurci pel fondo della valle, a mezzo cammino piegare a dritta, e prender una piccola strada che a dirittura menava al Caraparo. Così fu in seguito. Allora quando ci credavamo vicini di uscire dalla foresta, noi ci trovammo così imbarazzati, che i disagi sofferti ne’ giorni antecedenti ci parvero veri divertimenti. Smarriti per non veder più traccia di strada; in un luogo in cui non si scovriva nemmeno il cielo per la foltezza del bosco; in un luogo il più scosceso che si possa immaginare; dove gli alberi caduti, e fradici accrescevano la dificoltà di uscirne, e con una minuta pioggia che ci aveva bene inzuppati, ognuno può indovinare di che si trattasse. Io era certo di trarmi fuori del bosco, ma la situazione degli animali, che venivan carichi, era molto critica; tanto più che non vi restava altro mezzo che guadagnar l’altura. Le mie cure dunque, e di chi mi seguiva, furono tutte rivolte a quest’oggetto. A forza di replicate giravolte, tagliando spesso de’ rami, che si oppone- Giornale della peregrinazione botanica (1812) 19 vano al passaggio, e coll’intrepidezza ed ostinazione, che si richiede in tali circostanze, si venne allo scoverto senz’altro inconveniente, che quello della stanchezza. Preso appena ristoro m’ingegnai di salire a piccole riprese alla punta del Caraparo, che è uno de’ più alti e alpestri gioghi degli Appennini, che ingombrano la Provincia. Quivi giunto è che si scopre a colpo di occhio uno dè più belli e pittoreschi orizzonti. Si osserva all’occidente il Fucino, che è il più grande lago del Regno; all’oriente si scorge la Majella, che è la più grande Montagna nell’appennino Abbruzzese. Le numerose montagne che per tutte le direzioni si aggruppano, e si frappongono in così fatto spazio, non presentano ordinariamente, che valli, e boscaglie, e foreste; e scogli, e burroni e rupi e precipizii. In ordine alla geologia e se debbono considerarsi tutte come calcaree di seconda formazione, altre non essendo la roccia che le compone, che la pietra calce compatta, la pietra di calce semplice, la roccia a base di calce, con qualche vena di marmo. Mettendo in rassegna le piante vive raccolte nella giornata, mi avvidi, che da Valle Corta sino a Caraparo non si era rinvenuta una sola pianta, che avesse attirata la mia attenzione. Mi diedi dunque la premura di erborizzare ponderatamente sulle alture della Cisterna, e della Cateratta così alte, e non senza sorpresa raccolsi: Gnaphalium sylvaticum Lychnis quadridentata Solidago Virgaurea Crysanthemum ceratophylloides Veronica aphylla Il veratrum album il nigrum, e la gentiana lutea trovate in migliore stato d’iniorescenza servono per raddoppiarne i saggi nell’Erbario. Approssimandosi la notte mi ritirai alla piccola Posta del Caraparo. La mattina de’ 7 agosto mi disposi a tornare a Scanno, per riposare il resto della giornata. Presi la direzione del vallone, o per dir meglio di un viottolo straripevole, e intersecato da’ macigni e da’ burroni. Strada facendo raccolsi l’angelica archangelica, Orchis fragrans Ten., Viburnum lantana. 20 Pasquale Gravina Alle dieci della mattina rientrai a Scanno. L’indomani 8 di agosto salii alla montagna di Frattura sita all’est del Lago di Scanno. Non ebbi niente da osservarvi di nuovo per riguardo alla natura della montagna, che era simile alle altre percorse ne’ giorni antecedenti, ma vi raccolsi delle belle, e rare piante. Esse furono: Anthemis pyretrum Geranium pheum Illecibrum capitatum Euphrasia off. var. alpina Campanula fragilis var. alpina Gentiana campestris La peregrinazione ebbe termine in questo stesso giorno. Nella mattina de’ 9 agosto dopo aver spedito al Procaccio in Solmona la cassa delle piante vive pel Real Giardino, abbandonai Scanno, e la sera medesima mi restituii in Pettorano. Saggio della lora del Distretto di Solmona Acer campestre3. Volgarmente Nocchia. –– platanoides. Volg. Acero. Cresce in tutte le montagne del Distretto. Achillea millefolium. Millefoglio. Off. –– nobilis Aconitum lycoctonum. Strozzalupo. Cresce in abbondanza alla Fonte dello Schiappito ed alla Posta vecchia di Pratocupo. Fiorisce di luglio. Off. –– napellus. Napello. Fiorisce di luglio, e trovasi sopra il bosco di Macchialonga. Off. Adianthum capillus Veneris. Capelvenere. Aegylops ovata. Aegopodium podagraria. Bracalà. Off. Aethusa meum. Meo Barbuto. Fiorisce di agosto, e trovasi alla difesa di Pettorano. Off. Quest’albero ordinariamente serve per appoggiare la vite degli arbusti in Pettorano ed in pochi altri luoghi della Provincia. 3 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 21 Agrimonia eupatorium. Agrimonia. Fiorisce di giugno. In tutte le colline. Off. Agrostemma githago. Ruesela. Fiorisce di maggio fra i seminati. Aira caryophyllea. Ajuga reptans. Alchemilla hybrida. Fiorisce di agosto nel bosco di Campitello. Alsine media. Alyssum campestre. –– lunarioides. Fioriscono amendue di maggio, e crescono ne’ ciglioni de’ terreni aridi. Althea cannabina. –– Oficinalis. Altra oficinale. Amaranthus blitum4. Abbietone, Vritili grandi. Cresce a dovizia in tutti i terreni grassi vicini all’abitato. Ammi majns. Amygdalus communis5. Mandorlo. –– persica. Pesco. Si coltivano entrambi. Anagallis arvensis. Cecagalline. Anchusa Barrelieri. Fiorisce in giugno nel Lago detto di Pettorano. –– Oficinalis. Buglossa. –– undulata –– italica. Fioriscono tutte e tre nel mese di maggio lungo le strade, e ne’ terreni incolti. Andryala lanata. Anemone hepatica. Erba della Trinità. Fiorisce a giugno nella Valle di Frevano. Anethum graveolens. Aneto. Fiorisce di luglio nella Difesa di Pettorano. –– foenicolum. Finocchio. Si coltiva. Il volgo mangia le punte degli abbietoni o uritili tanto a minestra che ad insalata. 5 Col decotto delle frondi del mandorlo communemente si tinge la seta in un bel color di pappagallo. 4 22 Pasquale Gravina Angelica archangelica. Angelica odorata. Fiorisce di luglio nella montagna del Caraparo. Off. Anthemis tinctoria6. Fiorisce di maggio a settembre in tutte le strade, e ne’ terreni incolti. –– cotula. –– altissima. Fiorisce di giugno all’Orto del Diavolo. –– pyrethrum. Piretro. Fiorisce di luglio nella montagna di Frattura. Off. Allium sphaerocephalon ? –– pallens. Fioriscono entrambi di luglio nella Difesa di Pettorano. Alopecurus paniceus. Anthillis vulneraria. Fiorisce di giugno nelle colline e boscaglie. Antirrihinum Linaria. Linaria. Off. –– Cymbalaria. Cimbalaria. Off. –– purpureum. –– Orontium. –– minus. –– spurium. Fioriscono tutti in giugno. Apium graveolens. Sellero. –– petroselinum. Prezzemolo. Si coltivano entrambi. Anthoxanthum odoratum. Aquilengia vulgaris. Arabis alpina. Fiorisce di giugno nella Fonte della Fascia. –– turrita. –– thaliana. Arbutus uva ursi. Uva ursina. Fiorisce di agosto e trovasi in abbondanza nel Piano di Cinque Miglia alle Bocche di Chiarano. Off. Arctium lappa. Bardana. Fiorisce di luglio ne’ bordi delle strade. Off. Arenaria haeteromalla. Fiorisce di maggio nelle fessure de’ macigni alla Difesa di Pettorano. –– trilora. –– bilora: entrambe ioriscono di giugno. –– rubra. Col decotto di iori secchi dell’anthemis tinctoria si ottiene una color giallo da tingere la lana, e la tela. 6 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 23 –– sasciculata. –– Serpyllifolia. Aristolochia rotunda. Aristologia. Abbonda nelle montagne ne’ terreni cesinati. Off. Arnica doronicum. Fiorisce di giugno nell’Orto del Diavolo. Artemisia abrotanum. Abrotano. Fiorisce di settembre nella montagna di Pacile. Off. –– absynthium. Si coltiva. –– vulgaris. Fiorisce di settembre specialmente negli argini de’ formali che innafiano gli terreni. Volg. Artemisia. Arum maculatum. Arone. Fiorisce di agosto. Off. Arundo donax. Canna ordinaria. Si coltiva. Asarum Europaeum. Asaro. Fiorisce di agosto. Asclepias vincatoxicum. Vincetossico. Asparagus acutifolius. Asparago ordinario. Fiorisce di agosto frà i roveti. Asperula cynanchica. Fiorisce di giugno. –– arvensis. Asphodelus albus. Volg. Porrazzo. Fiorisce di giugno ne’ prati di Pettorano. Asplenium ruta muraria. Ruta muraria. –– Scolopendrium. Lingua cervina. Scolopendrio. Off. Astrantia minor. Fiorisce di agosto fra le macchie de’ ginepri a Valledicorta. Astragalus depressus. Atractylis gummifera. Fiorisce di luglio nel Piano di Cinque Miglia. Atopa Mandragora. Mandragora. Fiorisce di aprile. Off. Avena fatua. –– fragilis. Fiorisce di luglio. Bellis perennis. Bellide ordinaria. Beta vulgaris7. Bietola, foglia molla: abbonda ne’ terreni In Solmona, ed in altri luoghi della Provincia si coltiva una varietà della bietola col nome di rapa-rossa. L’uso più comune è della radice che si mangia in insalata, o facendola cuocere nell’acqua, o sotto la brace. La forma esteriore della radice medesima è piuttosto globosa, e dividendola presenta o il color rosso-bianchiccio, o il bianco-rossiccio. Presentemente di questa varietà mediante i semi inviati da Solmona se ne fa un’estesa coltivazione nel Real Giardino delle piante di Napoli per comodo 7 24 Pasquale Gravina ingrassati dal concime. Betonica oficinalis. Betonica. Fiorisce di giugno nel Mattone di Pettorano. –– alopecurus. Bidens tripartita. Biscutella apula. –– laevigata. Fiorisce di luglio sopra la strada delle Trazzere. Borago oficinalis. Boragine. Si coltiva. Brassica Austriaca. Fiorisce di maggio nella valle di Frevano. –– Gravinae. Ten. Fiorisce di aprile nella Difesa di Pettorano. –– minor. Bromus secalinus. Segala di Orto. –– pinnatus. –– arvensis. –– sterilis. Bryonia alba. Brionia. Fiorisce di luglio ed è frequente nelle siepi vive. Bryum murale. Bunias erucago8. Matrone. Fiorisce di maggio a settembre ne’ terreni maggesati. Buphthalmum asteroides. Buxus sempervirens. Bosso. off. Bupleurum. sp. nova. Fiorisce di giugno nella Difesa di Pettorano. –– rotundifolium. Idem. Balsamita vulgaris. Menta romana. Si coltiva ne’ giardini. Cacalia alpina. Cococcioni. Fiorisce di luglio ed abbonda ne’ boschi di Macchialonga e dello Schiapparo. di coloro, che volessero istituire de’ saggi per l’estrazione dello zucchero di barbabietole. Difatti il sapor dolce e zuccheroso che nella radice si sviluppa, per mezzo della bollitura, ed il suo peso, che tante volte perviene a 30, e 40 libbre fanno con fondamento presumere, che il risultato in zucchero non debb’essere, che abbondante. 8 Il matrone forma in tutti i mesi dell’anno una delle minestre più ricercate dei nostri campagnuoli. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 25 Calendula oficinalis. Calendula. –– stellata. Fiori di giugno ne’ terreni aridi ed incolti. Campanula linifolia. Fiorisce di luglio ne’ roveti dell’estremità delle montagne. –– fragilis. Var. Alpina. Fiorisce di agosto fra gli scogli della Foce di Scanno. –– speculum. –– hybrida. –– graminifolia. –– rapunculus. –– glomerata. Cannabis Sativa. Canapa. Si coltiva. Capsicum annuum. Piparuoli volgarmente detti, siano tondi siano lunghi. Si coltivano generalmente negli orti. –– baccatum. –– grossum Cardamine hirsuta. Fiorisce di aprile sopra delle muraglie. –– chelidonia –– pratensis. Carduus pycnocephalus. Fiorisce di maggio, e di giugno. Carduus carlinoides. –– carlinaefolius. –– corymbosus. Ten. Fioriscono tutti nel mese di luglio alla Difesa di Pettorano. –– lanceolatus. –– crispus. –– leucographus. Fiorisce di luglio a Macchialonga. Carlina acaulis. Rapagnuola volg. –– vulgaris. Carlina. Carpinus betulus. Carpino. Cresce in tutte le selve del Distretto. Caucalis grandilora. I semi sono chiamati pulci delle vigne. Fiorisce di maggio. –– heptaphylla –– arvensis. Centraurea nigra. Fiorisce di maggio frà li seminati. –– galactites. –– calcitrapa. 26 Pasquale Gravina –– alba. –– cuprina. –– Centaurium. –– solstitialis. –– phrygia. –– cyanus. Fiorisce di maggio tra li seminati. –– splendens. –– montana. Fiorisce di giugno. –– coriacea. Fiorisce a maggio tra li seminati. Cerastium tomentosum. –– Columnae. Ten. –– vulgatum. –– latifolium. –– anomalum. Fioriscono tutti di giugno e si trovano nelle colline apriche. Cerinthe major. –– minor. Chaerophyllum sylvestre. Fiorisce di agosto ne’ boschi di Pratocupo e Macchialonga. –– temulum. Cheyranthus cheiri. Viola gialla. Fiorisce a maggio sopra le muraglie. –– incanus. Viola rossa. Si coltiva. –– Bocconi. Fiorisce di luglio lungo le strade. Chelidonium majus. Celidonia. –– glaucium. Piante communi. Chenopodium Bonus Enricus9. Orabo. Fiorisce di maggio ne’ letamai delle Poste. –– Album10. Vritili Volg. Fiorisce di maggio a settembre ne’ terreni grassi vicini all’abitato. –– bothrys. Chlora perfoliata. Chrysanthemum coronarium. Occhio di Bue. –– Segetum. Degli orapi sono ghiottissimi tutti montagnuoli sì ad uso di minestra, che d’insalata. 10 Il volgo ne fa lo stesso uso come si è detto n. 4. 9 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 27 –– leucanthemum. –– Achilleae. –– ceratophylloides. Fiorisce di luglio alla Fonte dell’Acera. Cicer arietinum. Cece bianco volg. Si coltiva. Cichorium intybus. Cicoria campestre. Circaea lutetiana. Cistus punctatus. –– obscurus. –– guttatus. –– salvifolius. –– canus. –– lavandulifolius. Tutti ioriscono di giugno nelle colline aride. Clematis viticella. Vitella Volg. –– vitalba. Entrambi nelle siepi vive. Clinopodium vulgare. Clypeola jonthlaspi. Colchicum Autumnale. Colchico, Inganna Pastore. Fiorisce di settembre nella Difesa di Pettorano. Colutea arborescens. Conium maculatum. Cicuta volg. Convallaria polygonatum. Cordone di S. Francesco. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano. Convolvulus cantabrica var. Allion. Fiorisce di giugno ne’ terreni aridi, ed incolti. –– Sepium. Campanello. –– arvensis. Coniza saxatilis. –– squarrosa. Coriandrum testiculatum. Fiorisce di giugno in mezzo alle vigne. Cornus mascula. Grugnale volg. –– Sanguinea. Sanguariello. Coronilla valentina. Sferra cavallo. Fiorisce di giugno. Corylus Avellana. Avellana volg. Cotyledon umbilicus. Concanella, ombelico di Venere. Abita nelle muraglie. Crataegus monogyna. –– aria. Salvastriello. Fiorisce di maggio frà le siepi vive. 28 Pasquale Gravina Crepis Dioscoridis. –– barbata. –– rigida. Croton tinctorium. Fiorisce di agosto nelle vigne sotto Pacile. Cucubalus Behen. –– bacciferus. Fiorisce di luglio nelle siepi. Cucumis melo. Mellone a pane volg. Si coltiva. –– Sativus. Cedriuolo melangola volg. Si coltiva. Cucurbita lagenaria. Cucuzza a iaschette. Si coltiva. –– pepo. Cucuzza, cocuzzillo volg. –– Citrullus. Mellone ad acqua volg. Anche si coltivano tutte due le ultime specie. Cyclamen Europaeum. Scoccia piattelle volg. Panporcino. Per tutte le strade. Cynara scolymus. Carcioffo. Si coltiva. Cynoglossum oficinale. Lingua di cane. –– lanatum. Fiorisce di maggio lungo le strade di campagna. –– appenninum. Fiorisce di giugno nella Difesa di Rivisondoli. Cynosurus aureus. Cytisus nigricans. –– bilorus. Entrambi volg. Catrinelle. –– laburnum. Majo volg. Nelle siepi. Cuscuta Europaea. Cuscuta. Off. Dactylis glomerata. Falasca volgare. Daphne laureola. Trovasi ne’ luoghi ombrosi de’ boschi, e la chiamano olivella volg. –– mezereon. Fiorisce di maggio e matura i semi di settembre ed ottobre. Trovasi da Campitello andando a Valledecorta, ed al Pratillo. Daucus mauritanicus11. Pastinaca volg. Delphinium consolida. –– Ajacis. Appena questa pianta spunta a marzo, si coglie per far parte dell’insalate dette communemente di iume. 11 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 29 Dentaria bulbifera. Fiorisce di giugno e cresce ne’ boschi di Macchialonga e nel Pratillo. Dianthus caryophyllus. –– superbus. –– barbutus. –– prolifer. Son chiamati volg. tutti Garofani di Montagna. Dictamnus albus. Dittamo bianco volg. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano, e nella montagna di Roccacasale. Digitalis ferruginea. Fiorisce di luglio lungo le strade. Se ne servono ordinariamente a cardare i panni. Doronicum althaicum. Fiorisce di giugno alle Croci di Frattura. –– Columnae. Fiorisce di giugno a Macchialonga. Draba verna. –– muralis. Drypis spinosa. Fiorisce di giugno a Barbatosa prima di entrare al Piano di Cinque Miglia. Echinops sphaerocephalon. Fiorisce a luglio a Costa di Secina. Echinum vulgare. –– violaceum. –– Italicum. Fioriscono di agosto in tutte le strade. Epilobium montanum. Fiorisce di giugno a Macchialonga. –– vulgare. –– hirsutum. Equisetum arvense. Coda di cavallo volg. –– palustre. Erigeron acre. Ervum hirsutum. –– lens. Lenticchia volg. Si coltiva. –– hervilia. Oroba Gliervi volg. Si colt. Erysimum oficinale. Erisamo ordin. –– Barbarea. –– Alliaria. Fiorisce di maggio vicino le siepi. –– praecox. Fiorisce di maggio nel bosco di Pratocupo. Evonymus Europaeus. Berretta di cardinale, Fusaino. È frequente nelle siepi. Eupatorium cannabinum. Fiorisce di giugno vicino i ruscelli e ne’ luoghi palustri. Volg. Eupatorio, cannavara. 30 Pasquale Gravina Eryngium Amethystinum. Eringio. Nelle vigne e nelle colline è frequentissimo. Euphrasia oficinalis var. alpina. Fiorisce di agosto a Valle Cardosa. –– latifolia. –– viscosa. –– odontites. Euphorbia myrsinites. –– Cyparissias. –– helyoscopia. –– Sylvatica. –– paralias. –– lathyris. –– pilosa. –– Esula. –– spinosa. –– nova. –– segetalis. Tutte le sudette specie si trovano frequentemente nel basso, e nelle montagne; e volgarmente si chiamano, Titimaglio. Fagus sylvatica. Faggio. Tutti i boschi del Distretto sono formati dal faggio. Ferula communis. Festuca luitans. –– elatior. Ficus carica. Fico. Fico pazzo volg. Fragraria vesca. Fragola. Nelle boscaglie. Fraxinus ornus12. Ornello volg. Fumaria oficinalis. Fumaria. Galeopsis ladanum. Galium aparine. Lappa volg. –– verum. –– palustre. –– purpureum. –– aristatum. Col decotto delle foglie dell’ornello communemente si tinge in giallo la lana, e le tele. 12 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 31 Genista candicans. –– tinctoria. Fioriscono amendue di giugno. Gentiana cruciata. Fioriscono di agosto vicino la Posta di Macchialonga. –– lutea. Fiorisce di luglio alla Posta della Genziana volg. Genziana Maggiore. –– utriculosa. Fiorisce di maggio alla Difesa di Rivisondoli. –– campestris. Fiorisce di agosto a Valle Cardosa. –– acaulis. Volg. genzianella. Fiorisce di giugno fuori il bosco dello Schiappito. –– centaurium. Gentaurio ofic. Geranium macrorrhizum. Fiorisce di agosto alla via dell’Impietrature. –– cicutarium. –– moschatum. –– robertianum. –– columbinum. –– triste. –– rotundifolium. –– molle. Tutte le suddette specie sono frequentissime vicino le siepi e ne’ ciglioni de’ terreni. –– tuberosum. Fiorisce di maggio fra i seminati. –– aconitifolium. Fiorisce di luglio alla Difesa di Pettorano. –– Phaeum. Fiorisce di giugno al bosco del Pratillo. Geum urbanum. Carioillata. Fiorisce di giugno a Pacile, ed alle Coppe. Gladiolus communis. Fiorisce di maggio fra i seminati. Glecoma hederacea. Edera terrestre. Globularia Alypum. Fiorisce di luglio alla Grotta di Pietra Majura. –– vulgaris. Gnaphalium stoechas. Perpetuino. Si coltiva. –– arenarium. Tumarella volg. Fiorisce di luglio in tutte le colline aride. –– Sylvaticum. Fiorisce di agosto alla Cateratta del Caraparo. Gypsophyla saxifraga. Fiorisce di luglio nelle muraglie dirute. 32 Pasquale Gravina Hedypnois tubaeformis. Ten. Fiorisce di maggio alla Croce del Carmine di Pettorano. Hedera helix. Edera. Hedysarum coronarium. Volg. Sulla. Si coltiva per uso di prati. Helianthus tuberosus. –– annuus. Girasole volg. Si coltivano. Heliotropium Europaeum. Helleborus hymalis. Palmaddessa volg. Fiorisce nel corso dell’inverno lungo le strade. Heraclaeum Sybiricum. Fiorisce di luglio alla via delle Trazzere dentro del bosco. Herniaria glabra. Erba turca. –– hirsuta. Crescono entrambe nelle vigne e lungo le strade di campagna. Hesperis tristis ? Fiorisce di aprile fra li seminati di Fonte Varuscio in Pettorano. Hieracium sylvaticum ? –– molle. –– grandilorum. Tutti e tre ioriscono di luglio a Macchialonga. Hordeum vulgare. Humulus lupus. Fiorisce di settembre nelle sponde del iume di Pettorano. Hyacynthus romanus. Fiorisce di maggio nelle praterie di Rivisondoli. –– botryoides. –– comosus. Vampagiuoli. Fioriscono di maggio fra li seminati. Hyoscyamus albus. –– niger. Giusquiamo. Hyoseris radiata. Hypericum perforatum. Perforata. Hypnum praelongum. Lana di Pietra volg. Hyppocrepis comosa. Hyppuris vulgaris. Hypoachaeris radicata. Hyssopus oficinalis. Issopo. Fiorisce di settembre alle coste di Fascia, e Pietracantagallo. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 33 Illecebrum capitatum. Fiorisce di luglio fra li macigni del primo vallone del Lago di Scanno che porta alle Croci di Frattura. Ilex aquifolium. Agrifoglio volg. Imperatoria ostruthium. Imperatoria. Inula dysenterica. Fiorisce di agosto lungo i ruscelli. –– montana. Fiorisce di giugno a Fossa Liborio. Iris germanica. –– pseudoacorus. Fiorisce di aprile sopra le mura dirute. Isatis tinctoria13. Ammacca fauciglia volg. Guado pastello. Fiorisce di maggio fra i seminati, ed in ogni altro luogo. Juglans regia14. Noce. Juncus campestris. –– aculeatus. Giungo. Juniperus cummunis. Ginepro. Cresce in tutte le montagne. Lactuca scariola15. Pizzuchera volg. Fiorisce di maggio nelle maggesi e ne’ seminati. –– saligna. Lamium purpureum. –– amplexicaule. –– communis. Urtica morta volg. –– biidum Cyr. Dopo li decisivi esperimenti del Sig. <Giuseppe> Morina evvi lungo a sperare, che si rigetti una volta quel metodo lungo e spesoso adottato in molti luoghi della Provincia per preparare ed usare il guado. Niente meno, che dovea cogliersi l’erba della pianta, e unirla in grandi mucchi; guardare con attenzione il momento in cui i vermiciattoli che si sviluppano dietro la putrefazione fossero di color rosso; quindi battere, ed impastare la massa putrefatta in grandi pile di legno per mezzo di grossi magli, riducendola e dividendola in grossi pani; che prosciugati al Sole entravano in commercio sotto questa forma. Tutto ciò non bastava, bisognava aver la sorte d’indovinare, qual grado di bollitura, quanto liscivio era necessario per ottenere il bleu da un pane di pastello, che non si sapeva se era della prima, della terza o della sesta raccolta. 14 Col decotto della corteccia delle radici della noce si tinge la lana in un bel color di tabacco. Del medesimo colore sono tinti gli abiti di tutti gl’Indrodacquesi, che formano una popolazione di 5000 anime. 15 Prima che la pianta iorisca si coglie dal volgo per uso di minestra. 13 34 Pasquale Gravina –– garganicum. Fiorisce di giugno frà li roveti nella Valle di Frevano. –– lexuosum. Ten. Lapsana stellata. Laserpitium siler. Sellero montano. Lathyrus palustris. Fiorisce di maggio nelle praterie di Rivisondoli. –– haeterophyllus. Fiorisce di giugno vicino le siepi de’ vigneti. Lavandula spica. Spiconardo volg. Ora cresce spontanea sopra le vigne del Mattone di Pettorano. Laurus nobilis. Lauro. Si coltiva. Leontodon taraxacum. Dente di Leone. –– bulbosum. Lepidium ruderale. Fiorisce di maggio sino a settembre lungo la strada Consolare dirimpetto al Canale di Pettorano. Ligustrum vulgare. Ligustro. Lilium bulbiferum. Fiorisce di giugno nel bosco della Pennina. –– Martagon. Idem. Linum strictum. –– tenuifolium. Entrambi ioriscono di aprile nella Difesa di Pettorano. Lythospermum arvense. –– purpureo-caeruleum. Fiorisce di aprile fra li seminati. Lolium temulentum. Luglio. Lonicera caprifolium. Sugamele. Fiorisce di aprile nelle siepi vive. Lotus corniculatus. Lychnis dioica. –– quadridentata. Fiorisce di agosto vicino la cisterna del Caraparo. –– los cuculi. Si coltiva. Lunaria rediviva. Fiorisce di luglio al bosco di Campitello. Lycopodium denticulatum. Lycopus hyssopifolium. Malva moschata. Fiorisce di luglio vicino la Posta di Macchialonga. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 35 –– rotundifolia. Marrubium album. –– nigrum. Entrambi volg. marrueglio. Trovansi da per tutto. Matricaria parthenium. Fiorisce di giugno alla Fonte della Fascia. Medicago minima. Fiorisce di maggio. –– polymorpha. Melampyrum cristatum. Melissa oficinalis. Cidronella volg. Fiorisce di maggio. –– calamintha. Mentha pulegium. Pulegio. –– sylvestris. Mentastro. –– viridis. Mercurialis perennis. Mercorella. –– annua. Mnium hygrometricum. –– serpyllifolium. Nelle grotte, e ne’ muri vecchi rivolti al nord. Melittis melissophyllum. Fiorisce di maggio alla Difesa di Pettorano. Momordica Elaterium. Cocomero Asinino. È frequente nella Difesa di Canzano. Morus niger. Moro. Si coltiva. Myosotis scorpiodes. Myrtus communis. Mortella volg. Narcissus poeticus. Fiorisce di maggio ne’ prati di Pesco Costanzo, e Rivisondoli. Nepeta cataria. Nigella arvensis. Nigella. Orobus vernus. –– niger. Fioriscono di maggio. Ophrys arachnitis. Fiorisce di aprile alla Difesa di Pettorano. Oenanthe istulosa. –– crocata. Oenothera biennis. Olea Europaea. Olivo. Si coltiva. Ononis Spinosa. Resta bue. Fiorisce di giugno alla Pinciara di Pettorano. 36 Pasquale Gravina Onosma echioides. Fiorisce di giugno. Origanum vulgare. Origano. Orchis latifolia. Fiorisce di giugno alla Difesa di Rivisondoli. –– fragrans nob. –– mascula. –– variegata. Fioriscono queste due ultime di giugno al Pratello. Ornithogalum nutans. Ornithopus perpusillus. –– compressus. Orobanche major. Neva volg. Osmunda regalis. Osmunda. Paeonia oficinalis. Peonia. Fiorisce di luglio alla Fonte della Fascia. Papaver rhoeas16. Papavero erratico; Zitella volg. –– somniferum. Si coltiva. Parietaria off. Erba murale. Pedicularis comosa. Fiorisce di giugno a Macchialonga. Phalaris utriculata. Physalis alkekengi. Fiorisce di settembre nel Campo di Pettorano. Phytolacca decandra. Lacca volg. Pistacia therebinthus. Verro putino volg. Cresce ne’ boschi. Pimpinella saxifraga. Fiorisce di maggio a Pietra Majura. –– tragus. Idem. Plantago major. Cinque nervi. Volg. –– altissima. –– argentea. Fiorisce di giugno vicino la Fonte dell’Acera. Plumbago Europaea. Poa trivialis. –– alpina. –– vivipara. –– pratensis. –– palustris. Polycarpon tetraphyllum. 16 Prima, che la pianta iorisce se ne fa lo stesso uso enunciato n. 15. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 37 Polygala vulgaris. –– major. Fioriscono di maggio nella Difesa di Pettorano. Polygonum aviculare. Communissimo. –– bistorta. Bistorta. Fiorisce di maggio nel Piano di Cinque Miglia. Polypodium aculeatum. –– ilix mas. Crescono nel fondo de’ burroni opachi della Pennina. Populus tremula. Pioppo. Portulaca oleracea. Porchiacca volg. Potentilla reptans. Cinquefolio volg. –– argentea. Fioriscono di luglio nel folto della Difesa di Pettorano. Poterium sanguisorba. Pimpinella volgare. Prunella vulgaris. –– grandilora. Fiorisce di giugno nella Valle di Frevano. Primula veris. Fiorisce di maggio nella Difesa di Rivisondoli. Prunus spinosa. Prugnolo. Volg. Pugno. Commune nelle siepi. Psoralea bituminosa. Pteris aquilina. Felce. Pyrus communis. Perazzo selv. –– malus17. Melazzo, melo selvaggio. Quercus robus. Quercia. –– cerris. Cerro. –– helix. Licina. Ranunculus sceleratus. Visciola volg. –– icaria. –– muricatus. –– lanuginosus. –– bulbosus. –– arvensis. Reseda lutea. Fiorisce di giugno sopra le mura. –– undulata. Col decotto della corteccia interna del melo selvaggio si tinge in giallo la lana, e la tela. 17 38 Pasquale Gravina Rhamnus paliurus. Vicaca volg. Forma parte delle siepi vive. –– ziziphus. Giuggiola. Si coltiva. Rhynanthus cristagalli. Fiamma volg. Fiorisce di maggio frà li seminati delle montagne, ed allorchè predomina gli aduggia intieramente. Ribes grossularia. Uva spina volg. Fiorisce di maggio nel Piano di Cinque Miglia. –– nigrum. –– rubrum. –– petraeum. Tutte e tre vegetano nella Valle dell’Orsolina, e chiamansi volg. Uva di Orso. Rosa canina. Cinosbato, Rattaculo volg. Rosmarinus oficinalis. Cresce al Mattone di Pettorano . Rubia tinctorum. Rubia volg. Rubus fruticosus. Mirica difratta volg. –– caesius. Fiorisce di giugno. Rumex acutus. Lampazzaro volg. –– bucephalophatus. –– aquaticus. –– scutatus. Fiorisce di maggio frà li macigni della Fonte dell’Acera. –– Acetosa major. Fiorisce alla stess’epoca ne’ prati del Lago di Pettorano. Ruscus aculeatus18. Pungitopo volg. Il decotto de’ semi del pungitopo, preparasi come il caffè di America, ad alcuni miei amici è riuscito ottimo a questo uso. * Tra Febraro, e Marzo, che appena si vede spuntare dal terreno questa pianta, se ne scava la radice, che riviensi carnosa, e succulenta, se ne separa la parte legnosa, e si fa cuocere nell’acqua. Così preparata o si ricuoce nel brodo, e forma una delle più squisite minestre; o s’impasta col iori di farina, e si frigge o nell’olio, e nella sugna e forma una delle vivande più ricercate nella Vallata Solmontina. Nel mese di Aprile quando l’erba di questa pianta comincia ad armarsi di aculei, e prima, che iorisce si coglie per farne le minestre dette di cardilli, che non lasciono di essere delle più delicate tra noi e saluberrime. Nell’autunno inalmente questa istessa pianta cessa di veggetare, e ciò non ostante dal torso superiore della radice fradiciato dalle piogge spuntano de’ piccoli funghi chiamati volgarmente cardarelle, ricelle, i quali non solo 18 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 39 Ruta graveolens. Ruta. Abbonda nella Difesa di Pettorano. Salix alba. Salcio. –– viminea. Vetica volg. Salvia oficinalis. Abbonda nel Mattone di Pettorano. –– sclarea. Erba puciara volg. –– Aethyopis. Pilosella. Cresce a Pacile. –– verbenaca. Sambucus ebulus. Eboli. –– nigra. Sambuco grande. Samulus valerandi. Sanicula Europaea. Saponaria oficinalis. Saponaria. –– bellidifolia. Fiorisce di Maggio nelle Praterie del Lago di Pettorano. Satureia graeca. –– montana. Saxifraga tridactylites. Fiorisce di aprile sopra le mura. –– cotyledon. Fiorisce di luglio a Pietra Majura, e fuori il bosco dello Schiappito. –– rotundifolia. Fiorisce di giugno nella Valle di Frevano. Scutellaria Columnae. Fiorisce di maggio nella Valle di Frevano. Secale villosum. Ordinario ne’ muri diruti. Sedum album. –– relexum. Selinum Monnieri. Sempervirivum globiferum. –– aracnoideum. Trovansi sulla vetta di Macchialonga fra li macigni. Senecio vulgaris. –– jacobaea. –– sylvaticus. Fiorisce di giugno a Macchialonga, e dentro Valloscura. Serratula arvensis. riescono ottimi a mangiarsi secchi, ma secchi si conservano benissimo per molti usi di cucina (nell’elenco a ine articolo, questa nota occupa il numero 17, ma non ha corrispondenza nel testo. N.d.A). 40 Pasquale Gravina –– tinctoria19 abbonda ne’ prati di Roccaraso, e la chiamano Fronnicella. Fiorisce di maggio. Sideritis romana. –– montana. Fioriscono di aprile. Silene baccifera Wild. –– nutans. Fiorisce di giugno a Macchialonga. Synapis erucoides. Fiorisce di settembre alla vigne delle Pietre Reggie. Seseli montanum. Fiorisce di luglio al picco di Pietra Majura. Sisymbrium nasturtium20. Nasturzio Crescione. Commune in tutti i rigagnoli. –– Columnae. Fiorisce di maggio alla Croce del Carmine di Pettorano. Sium latifolium. Smilax aspera. Salsa paesana. Smyrnium olusatrum. Solanum dulcamara. Dulcamara. –– Lycopersicum. Pomadori volg. Si coltiva. –– melongena. – molognana. Si coltiva. –– nigrum. Solatro volg. Communissimo. Sonchus oleraceus21. Cascigno volg. Communissimo. –– palustris. Sorbus domestica. Solidago virga aurea. Fiorisce di agosto a Valle Cardosa. Stachys germanica. Fiorisce di luglio alle Coppe. –– decumbens. –– palustris. –– arvensis. Statice pseudomeria. Fiorisce di giugno nel Piano di Cinque Miglia a Taverna Rotta. Stellaria holostea. Fiorisce di aprile fra li Roveti. La decorazione della fronnicella somministra il più bello color giallo che io giammai abbia osservato. In Roccaraso, ed a Scanno formano delle belle tinte verdi usando il pastello con questa decozione. 20 Si mangia communemente nell’insalate di iume come si è detto n. 11. 21 Dal volgo si mangia, come si è detto nn. 15, 16. 19 Giornale della peregrinazione botanica (1812) 41 –– dichotoma. –– nemorum. Stipa pinnata. Fiorisce di maggio sulle balze di Pietra Majura. Symphytum tuberosum. Syringa vulgaris. Tanacetum vulgare. Tanaceto. Taxus baccata. Tasso. Abbonda nel bosco della Pennina. Teucrium scordium. Scordio. –– chamaedrys. Camedrio. –– chamaepitis. Camepizio –– Polium. Poliere, Polio. Abbondano in tutte le colline. Thalictrum aquilegifolium. Fiorisce di giugno alla ine della Valle di Frevano. Thlaspi bursapastoris. Borsapastore volg. –– perfoliatum. –– saxatile. Fioriscono di aprile. –– alliaceum. Fiorisce di maggio ed abbonda nell’argine della forma delle Fratte di Roccaraso. Thymus serpyllus. –– acinoides Ten. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano. Tordylium apulum. Tragopogon pratense. Barba di capra. –– Dalechampii. Fiorisce di aprile alla Difesa di Pettorano. Tribulus terrestris. Trifolium alpestre. Fiorisce di giugno alla Difesa di Pettorano. –– repens. –– melilotus. –– arvense. –– resupinatum. –– stellatum. Trigonella corniculata. Triticum repens. Gramigna. Tussilago Petasites. Typha Latifolia. Paglia per le sedie. Ulmus campestris. Olmo. 42 Pasquale Gravina Urtica urens. Urtica, Ardica volg. –– pilulifera. Valantia cruciata. Utricularia vulgaris. Valeriana oficinalis. Valeriana Silvestre. Fiorisce di maggio ne’ prati, e ne’ margini de’ fossi di aqua. –– rubra. Fiorisce di luglio in molti luoghi di Pietranzieri. –– locusta. Fiorisce di maggio sopra le colline di Pantoniello. –– calcitrapa. Idem. –– coronata. Veratrum album. Ellebero bianco. Fiorisce di luglio, ed è in abbondanza al canale della Villetta, a Campitello, ed alla Cisterna del Carparo. –– nigrum. Vesatro. Volg. Fiorisce e va sempre unito col precedente. Verbascum nigrum. Tasso barbasso. Communissimo in tutte le strade. –– tapsus. Idem. –– pulverulentum. N. sp. Fiorisce di maggio sino a settembre in tutte le montagne in tutti i Pascoli. –– n. sp. Idem Verbena Oficinalis. Verbena Off. Veronica beccabunga22. Beccabunga off. Erba grassa volgare. Fiorisce di aprile ne’ margini de’ ruscelli, e de’ iumi. –– acinifolia. Fiorisce di maggio nel Piano di Cinque Miglia, ne’ bordi della strada di Pantaniello e nelle praterie di Rivisondoli, e Roccaraso. –– Chamaedrys. Fiorisce di aprile negli argini de’ formali di acqua frà Pontederci e la forma di Pettorano. –– aphylla. Fiorisce di luglio su li macigni del Caraparo nella Cisterna. –– anagallis. Va sempre unita colla beccabunga. –– prostrata. –– haederifolia. –– arvensis. –– acinifolia. 22 L’uso di questa pianta è lo stesso enunciato n. 11. Giornale della peregrinazione botanica (1812) 43 –– agrestis. Tutte le suddette specie sono communissime, e ioriscono tra marzo, ed aprile. Vicia onobrychioides. Fiorisce di maggio nella Difesa di Pettorano. –– lutea. –– Cracca. –– ornithopodioides. Vinca major. –– minor. Vinca per vinca Off. Viola canina. Viola Off. –– lutea. –– calcarata. Fioriscono entrambe di maggio, e si trovano unite nel principio della salita che da Taverna Rotta conduce a Pantaniello. Viburnum Lantana. In mezzo alle boscaglie del Distretto. Xanthium spinosum. Per tutte le strade. Xeranthemum annuum. In tutte le colline apriche. Memoria sulle qualità del suolo, coltura, tempo della semina, prezzo medio, uso, quantità necessaria di semenza per ciascuna specie di cereali, legumi ec. che si coltivano nella Provincia di Aquila; per servire di schiarimento alla collezione di semi inviata all’Orto Agrario del Real Giardino delle piante; del signor Pasquale Gravina corrispondente al medesimo per la detta Provincia 1. Grano bianco, solia. Triticum hybernum ? Ordinariamente si semina di novembre e dicembre nelle vallate e nelle radici delle montagne ne’ terreni di buon fondo, che siano stati maggesati. Ne’ paesi dove si coltiva il granodindia come Pettorano, Pacentro, Introdacqua ec. il terreno non riposa mai, seminandosi il grano appena ricolto il granodindia, e così a vicenda ec. Per un’opera di terreno si richiede un tomolo di semenza. L’opera qui è valutata per 34340 palmi quadrati napoletani. L’uso è di farne pane di eccellente qualità, del quale, esclusa la classe povera, si nutre tutto il resto degli abitanti. Il suo prezzo medio è di carlini 24 il tomolo. 2. Grano Rosciola. Si distingue dal bianco per la sua spica di color rossastro. Alligna benissimo ne’ terreni di montagne dove affatto vegeterebbe il grano bianco. Nel Piano di Cinquemiglia, Scanno, Roccaraso, Canzano ec. si semina di agosto per mietersi nello stesso mese dell’anno seguente. L’uso è il medesimo che del grano bianco, ma se ne fa un pane inferiore e di minor proitto. Il suo prezzo vale 2 o 3 carlini meno del bianco. Questa specie non deve confondersi colla Rosciola che si coltiva nella Provincia di Chieti, la quale è superiore di molto 46 Pasquale Gravina al nostro grano bianco per le sue buone qualità e frutto maggiore. 3. Grano Carosella. Si distingue dagli altri grani per la spica che è sfornita di arista e dalla bianchezza e lucidezza dell’acino. Ama li terreni ingrassati e ben coltivati. Oggi intanto pochissimi la seminano per non essere corrisposti dalle tante spese di coltura necessaria, quantunque potessero facilmente ottenerne un prodotto doppio del grano bianco. Se ne forma un pane inapprezzabile per la sua bianchezza e leggerezza: tenutolo per qualche giorno s’indurisce ed acquista un gusto molto inferiore a quello del grano bianco conservato in egual tempo. Generalmente un tomolo di carosella pesa un quinto circa meno del grano bianco. Per lo addietro si coltiva ne’ terreni di montagna come era Valloscura, Castro ec. Le brinate però che tanto lo maltrattano ne han fatta dimenticare la coltura. 4. Grano nero baffone. Triticum turgidum ? Si distingue dagli altri grani per la sua spica lunga, quadrangolata colle glume ed ariste di color nero. Si semina ordinatamente a fossi, come si dice, ne’ terreni grassi e meglio coltivati, nel tempo medesimo che si semina il bianco, e per lo più una tal semina ha luogo tra le vigne un anno, o due anni dopo la loro piantaggione: in simili casi il prodotto tante volte sorpassa il venti ed il trenta per uno. Il pane può paragonarsi a quello della carosella, col quale conviene per tutto il resto. 5. Grano a raspi, a raciappo. Triticum compostum. Si distingue questa specie dalla spica fatta a racemi o sia a grappoli. In tutto il rimanente si può applicare il num. 4. È da sapersi inoltre, che le tre specie suddette di carosella, baffone ed a raspi sono preferibili alle altre per la fabbricazione dell’amido. 6. Segala Le segala può dirsi il grano della cesinazione e di tutti li terreni dove non alligna il grano bianco, come sono tutte le cime Memoria sulle qualità del suolo (1812) 47 delle nostre montagne. Si semina nel mese di Agosto e si raccoglie nello stesso mese dell’anno vegnente. Il terreno ha dovuto riposare almeno un anno. Farebbe un pane pesante, nero e colloso se non fosse combinato colla farina del frumentone, che lo rende in tal guisa mangiabile alla classe più numerosa del popolo. La quantità della semina è di un tomolo per opera. Il suo prezzo medio è di carl. 16. 7. Orzo vestito, majatico volg. Si semina, si raccoglie, si coltiva come il grano bianco, colla differenza che l’uso n’è limitato a’ soli animali. Il suo prezzo medio è di carlini 16 il tomolo. 8. Orzo mondato La coltura di questa specie di orzo è molto ristretta, facendosene uso più per malattie, che per gli animali. È vendibile a minuto. Per tutt’altro si può applicare il num. 7. 9. Farro oridinario. Triticum spelta. L’uso del farro si riduce a farne minestre dopo averlo sminuzzato sotto la macina e spogliato delle sue glume. Il suo prezzo è di carl. 15. Per tutt’altro conviene col num. 1. 10. Farro mondo È meno richiesto dell’antecedente, perché più duro a cuocersi e meno sapido: il suo prezzo è minore di qualche carlino del farro ordinario. Per tutt’altro conviene col num. 1. 11. Orzo marzuolo Si distingue dall’orzo num. 7 dalla spica bilaterale, e sfornita di arista. Si semina dalla ine di dicembre sino alla ine di febbrajo, e si raccoglie a giugno. Si coltiva a preferenza nella Vallata di Celano. In tutto il resto conviene col num. 7. 48 Pasquale Gravina 12. Lenticchie piccole, Miccole. Questa specie è la più stimata di tutti li legumi, non solo per la squisitezza del sapore, ma per la sua picciolezza. Ciò che fa meraviglia è la sua particolar coltura. Si semina ne’ terreni sterili e boreali delle montagne, arando il terreno per metà di quello che meriterebbe seminandosi il grano; e ciò ha luogo ordinariamente alla ine di agosto: senz’altro dippiù si raccolgono le lenticchie in agosto dell’anno seguente. La quantità della semenza per ciascun’opera è di un quarto di tomolo: il suo prodotto ordinario è il cinque, il sei per uno. Le lenticchie di Valloscura sono le più ricercate e si vendono a ducati 8 il tomolo. Nelle colline che sovrastano al Piano di Cinquemiglia, e che sono riputate le più sterili, allignano così bene che non può desiderarsi di meglio. Queste medesime lenticchie poi seminate dal basso e ne’ terreni migliori tralignano sensibilmente, s’ingrossano, divengono di cattivo sapore e facilmente incrudeliscono colla bollitura. 13. Lenticchie grandi Sono più comuni delle antecedenti, ma meno stimate. Si coltivano nel basso nella stessa maniera. Si seminano di dicembre e gennaro, e si raccolgono di luglio. Qualora vogliono serbarsi per provvista, debbono lessarsi per evitare il tarlo cui vanno soggettissime. Il loro prezzo ordinariamente è la metà delle piccole. 14. Fagiuoli bianchi piccoli napoletani Questa specie è la più adottata nella Provincia. Si coltivano in abbondanza nelle Vallate di Solmona, dell’Aquila e di Celano. Si seminano di maggio, giugno, luglio ne’ terreni rigatorj concimati e ben zappati; dopo un mese che si sono innalzati sul terreno si sarchiano e si rincalzano. Nel corso dell’està s’innafiano sette, a dieci volte secondo il bisogno, e si raccolgono a Ottobre. Il loro prezzo è di carl. 25 il tomolo: e per un’opera di terreno vi si richiede un tomolo di semenza. Memoria sulle qualità del suolo (1812) 49 15. Fagiuoli bianchi cannellini Si coltivano come i precedenti: si seminano a preferenza nelle stoppie appena mietuto il grano. Il territorio di Solmona ne somministra a dovizia per l’aumento dell’irrigazione del Canale di Corinio. Sono stimati meno degli antecedenti, e si vendono qualche carlino meno. 16. Fagiuoli piccoli gentili. Fascioletta volg. Sono più stimati de’ bianchi napoletani per la loro bianchezza, picciolezza e sapore, ma la coltura ne è ristretta a pochi: il loro prezzo è di carl. 30 il tomolo. In tutto il resto convergono col num. 14. 17. Fagiuoli gentili coll’occhio nero Si può applicare in tutta l’estensione il num. 16. 18. Fagiuoli neri grandi scritti Sono meno stimati de’ cannellini, e per lo più si consumano da’ contadini. Il prezzo è di carl. 20 il tomolo. Veggasi pel resto il num. 14. 19. Fagiuoli neri piccoli, detti Zecchetelle volg. Si seminano insieme co’ bianchi napoletani, con neri ed altri, e dificilmente se ne hanno scelti. 20. Fagiuoli a pagnotta rossi Prima d’indurirsi il seme di questa specie, si mangia fresca con tutti li baccelli senza l’inconveniente de’ ili che accompagnano le altre specie allorchè son cotte. Sono poco comuni: il loro prezzo è lo stesso de’ cannellini. 21. Fagiuoli del Re volg. Da poco tempo in quà si sono resi comuni. Sono stimati meno de’ fagiuoli neri grandi, ed il oro prezzo è qualche carlino meno de’ medesimi. 22. Fagiuoli della Regina Del tutto simili a’ precedenti, colla differenza che in uno anno se ne possono fare due ricolte abbondantissime senza 50 Pasquale Gravina nessun pericolo di cattivo esito. Seminandosi di aprile e maggio si raccolgono a luglio, e riseminandoli a luglio si raccolgono a ottobre. Simigliante coltura però sfrutta il terreno. Per resto veggasi il num. 14. 23. Fagiuoli Tedeschi Del tutto simili al num. 21. 24. Fagiuoli turcheschi bianchi Si seminano a maggio lungo i fossi ed i canali di acqua, piantandoli nel terreno a qualche distanza l’uno dall’altro: crescono e si alzano in maniera che per sostenerli hanno bisogno di frasche. I iori sono grandi e di una bellezza sorprendente. Somministrano un abbondante ricolto, e si mangiano freschi come i fagiuoli a pagnotta num. 20. 25. Fagiuoli turcheschi neri Del tutto simili a’ precedenti num. 24. 26. Fagiuoli ad occhi di pernice Somigliano in tutto a’ num. 24 e 25. È da rimarcarsi intanto che la circostanza di coltivarli ne’ margini de’ fossi e de’ canali di acqua, di cui non ne possono mancare nemmeno di un giorno, li rende poco comuni e dificilmente se ne vendono; e ciò sia detto per le specie n. 24, 25 e 26. 27. Ceci bianchi 28. Ceci rossi 29. Ceci neri I più comuni e stimati sono i bianchi; li rossi lo sono meno, e poco e niente li neri. Tutti si coltivano frammezzo alle vigne seminandoli da Dicembre sino a tutto febbrajo per raccoglierli a giugno. Il prezzo de’ ceci bianchi è di carl. 30 il tomolo. L’uso è lo stesso degli altri legumi, cioè di mangiarli fatti a minestra. Tante volte però o per la natura del terreno o della stagione i ceci bianchi divengono insuscettibili di cottura, ed in questo caso si sospende nella pignatta una piccola dose di Memoria sulle qualità del suolo (1812) 51 cenere ligata a una pezza, in grazia della quale in pochissimo tempo si spappano, acquistando molto miglior sapore. 30. Ghieglie bianche o sia Cicerchie 31. Ghieglie nere fratesche Queste due specie si coltivano nella stessa maniera che i ceci. Il loro prezzo è di carl. 15 il tomolo. 32. Riveglie o Piselli pugliesi Si seminano di aprile ne’ terreni di montagna come si fa del grano, e si raccolgono di agosto: può dirsi che questa specie sia il solo legume de’ montagnoli. In Valloscura, Rivisondoli, Roccaraso ec. usano di coltivarle comunemente: sono intanto poco stimate. La quantità della semenza è di mezzo tomolo per ciascun’opera. Il prezzo è di carl. 15. 33. Ova di trotte. È una specie di legumi li più vistosi. Si coltiva come li ceci fra le vigne. Non è tanto comune per altro, ed il suo prezzo è di carl. 15. 34. Fave piccole Questa specie di fave si coltova generalmente in tutta la Provincia ne’ terreni sativi di secca o di riga. Si semina da dicembre a febbrajo o per solchi o per fossi, si sarchia ad aprile e si raccoglie a giugno. La quantità di semenza è di mezzo tomolo per opera. Il suo prezzo è di carl. 16 il tomolo. I contadini la stimano una delle loro buone minestre, e quando la ricolta è ubertosa si dà a mangiare a’ porci per ingrassarli. 35. Fave pugliesi Si seminano come le antecedenti e sono stimate molto di più di esse. La coltura però ne è ristrettissima, non facendosene uso ordinariamente che come un ortaggio mangiandosi prima della loro maturità. Chi le conserva per la provvista le impiega per lo più a farne il macco. 52 Pasquale Gravina 36. Veccia Non è che si faccia coltura particolare di questa specie, ma si sostiene per mezzo del grano fra mezzo al quale si semina e si propaga. Siccome poi dal medesimo facilmente si separa per la sua igura, così si ha anche distintamente e serve per ingrassare li colombi. 37. Loglio Il num. antecedente si può applicare al loglio, ma colla differenza, che si trova vendibile e serve per nutrire il pollame. Il suo prezzo ordinario è la metà del grano bianco. 38. Orobi, Ervi volg. Si seminano di dicembre a febbrajo ne’ terreni leggieri come si fa del grano. La quantità di semenza è mezzo tomolo per opera. Pochi giorni prima che maturi il seme si falciano, si seccano, si conservano ne’ fenili e serve di squisito foraggio a’ buoi ed altri animali in tempo d’inverno, ed allorchè soffrono delle malattie di debolezza. I paesi che mancano di prati naturali come è la Vallata dell’Aquila, ne fanno una particolare industria. I semi secchi e maturi servono precisamente per nutrire li piccioni. Il prezzo è di carl. 15 il tomolo. 39. Farchia Si coltiva come gli oribi, ed è un’altra specie di prato artiiziale, facendone lo stesso uso come si è detto num. 38. 40. Granodindia bianco 41. Granodindia ordinario Queste due specie si coltivano alle volte distintamente, altre volte confuse l’una coll’altra. Il granodindia oggi si è reso necesario quanto il grano, dove che trent’anni addietro era riserbato a solo oggetto d’ingrassare li majali. L’anno scorso si è osservato che li contadini avvezzi al pane duro e pesante di questa specie, erano contenti di comprarlo a car. 18 e 20 il tomolo, e rinunziare al prezzo del grano bianco non maggiore di carl. 24, perché il pane del grano non resisteva nè avrebbe potuto riempire il loro stomaco. Memoria sulle qualità del suolo (1812) 53 La Vallata di Solmona in preferenza delle altre può dirsene il magazzino della Provincia. I campi bagnati dal Gizzo, dal Sagittario e dall’Aterno sono tutti addetti alla coltura del granone. Si semina o col sarchio o coll’aratro in distanza di qualche palmo l’uno acino all’altro nel mese di aprile. Di maggio si sarchia e si rincalza col terreno: a ottobbre si raccoglie. Si procura d’innafiarlo secondo il bisogno dove il terreno è rigabile; dove è di secca rimane in balia della stagione, la quale rare volte è piovosa di luglio ed agosto. La quantità di semenza è di un ottavo di tomolo per opera. Il suo prezzo è carl. 12. Il bianco è meno stimato dell’ordinario. 42. Granodindia, detto quarantino Differisce dal precedente per la sua precoce maturità e dalla spica che produce alquanto più sottile dell’altra specie che nella sua estremità porta sempre un pennacchietto. Se si semina di aprile si raccoglie a luglio, e se si semina di giugno dopo mietuto l’orzo si raccoglie a settembre. Questa specie è costante, ma non possono riguardarsi per tali le due specie 40, 41 ed un’altra specie di rosso scuro, le quali dipendono dalla varietà del terreno, coltura, stagione, ec. osservandosi continuamente che il rosso diviene bianco, il bianco rosso, e così degli altri. 43. Canapa. Canabis sativa Generalmente la canapa si coltiva nella Vallata di Solmona e di Celano, ma nella prima Rajano può chiamarsene l’emporio, e nell’altra Piscina. La canapa si semina ne’ terreni piani, soggetti all’irrigazione, e che siano stati concimati o dalle mandre portate sul terreno istesso, che è il più desiderabile, o pure da una tal quantità di letame di stalla, che non sia di bue, che copra tutta la supericie del terreno in un’altezza non minore di due dita trasverse. In tutta la Provincia i migliori terreni sono chiamati cannapine anche allora, che non vi si coltiva la canapa. Dentro di maggio si semina la canapa, arando due o tre volte il terreno nel tempo istesso ed in direzione opposta: dopo di ciò si sparge il seme come si fa del grano, ma in una quantità quadrupla, cioè tomola quattro per opera; quindi si va eguagliando il terreno con bidente o col sarchio, ma più 54 Pasquale Gravina sovente si usa un gran rastrello tirato da’ buoi, che riesce il più adatto strumento a coprire il seme, e a rendere la supericie del terreno egualissima e piana. Immediatamente lo spazio seminato si divide in porche per mezzo de’ solchi, dentro de’ quali deve incanalarsi l’acqua per l’irrigazione, che ha luogo appena terminata l’apertura de’ solchi suddetti. Nel caso che non piova, la canapa deve innafiarsi in ogni otto giorni, e così continuare sino alla sua maturità, che per lo più avviene nella ine di agosto e principi di settembre. Sorprende chicchessia la rapida vegetazione di questa pianta dovuta alla forza del concime, dell’umido e del caldo combinato insieme. Essa ordinariamente si eleva all’altezza di palmi sette alla ine di Luglio. Circa questo tempo si cava lo spadone, che è la pianta che ha i soli iori maschi, e quindici o venti giorni dopo si cava la canapa che contiene i semi già maturi, i quali si separano dalla pianta per mezzo di un grosso palo battendoli contro il terreno. Per la macerazione vi si richiedono più di giorni quindici, segnatamente quando il tempo non è caldo. Questa per lo più si esegue ne’ fossi scavati dappresso al podere, dove si fa entrare ed uscire un rigagnolo di acqua. Finalmente si maciulla, se ne formano delle matasse di rotola quattro l’una, e sotto questa forma entra in commercio. Il prezzo della canapa è di carl. 10 la decina, e quello de’ semi di carl. 18 il tomolo. 44. Lino. Linum usitatissimum La coltura del lino nelle Province è più ristretta della canapa, tuttavolta però deve dirsi che vada acquistando maggior credito, che per lo addietro. Si semina di settembre ne’ terreni sativi di secca ed in quelli di riga, e si raccoglie alla ine di maggio: poco importa se il terreno sia sterile, sia o no concimato, poiché ordinariamente si osserva che la stagione più o meno decide della bontà e quantità del prodotto. Si prepara ed entra in commercio come la canapa: a differenza che il suo prezzo è di carl. 16 la decina e la semenza di carl. 14 il tomolo. Per un’opera di terreno inalmente si richiede un quarto di tomolo di semenza. Memoria sulle qualità del suolo (1812) 55 45. Piselli Si coltivano li piselli più per uso di ortaggi, che per conservarli secchi, e per questa ragione non sono vendibili per provviste. 46. Panico Questa è un’altra specie di prato artiiziale. Si semina e si raccoglie per lo più due volte l’anno, di maniera che se si semina di aprile o maggio, si raccoglie a luglio ed agosto, e seminata di agosto si matura a settembre o ottobre. La quantità della semenza necessaria per ciascun’opera è di un tomolo, spargendosi sul terreno come si fa del grano. Serve per ingrassare li buoi, li cavalli ec. qualora si mangi fresca, e secca serve di foraggio nell’inverno come la farchia n. 39. 47. Soroco nero, Melica 48. Soroco rosso, Melica Si coltivano entrambe come il granodindia n. 40 e 41 tanto ne’ terreni sativi che di riga; si seminano alla stessa epoca, si sarchiano ec. Se ne fanno delle granate per ispazzare, allorchè si sono tolti li semi. Li semi servono per ingrassare li majali ed il pollame, e qualche volta li contadini poveri ne fanno minestre, specialmente della rossa: usano altresì di macinarla o per combinarla col pane di granone o per farinata agli animali. Non è facile comprarla ne’ mercati, poiché si coltiva generalmente per uso proprio. 49. Speltra sbeuza volg. Questa specie di farro si coltiva ne’ terreni di montagne, come Castel di Sangro, Roccacinquemiglia, Montenero, Toroli ec. Si semina di marzo ed aprile come si fa del grano, e si raccoglie a luglio. Se ne fa un pane di pessima qualità, non potendosi giammai collo staccio separare le glume che rinchiudono il seme e che passano insieme colla farina. Il prezzo è lo stesso della segala. 50. Erba prata. Trifolium incarnatum. Si semina di febbrajo, marzo ed aprile; si coltiva come il panico, e se ne fa lo stesso uso num. 46. 56 Pasquale Gravina 51. Fieno greco. Trigonella foenum graecum Propriamente il ieno greco si coltiva più per uso di medicina, che per altro, ma siccome l’erba di questa pianta tanto fresca che secca s’impiega per foraggio agli animali, pare che abbia un doppio uso e debba prender luogo fra le altre specie di prati artiiziali. Si semina ad aprile come si fa del panico num. 46 ne’ terreni arati e concimati, e si raccoglie di agosto. I semi hanno un particolar uso dandoli agli animali che soffrono debolezza, e che meritano di esser riscaldati. Essi perciò sono vendibili a minuto. Appendice Quadro Fisico Botanico della Provincia dell’Aquila La seconda Provincia di Abruzzo 2. Ulteriore è situata al NordOvest del Regno, e propriamente nel centro degli Appennini che la separano dalle altre Provincie del Regno. Essa al nordest ha per limiti le montagne dell’Amatrice, di M.S. Francesco, di M. Corno, di Castel del Monte, di Ofena, di Forca di Penne, che coninano colla Provincia di Teramo: gli altri limiti poi nella stessa direzione sono il Morrone, la Majella che coninano colla Provincia di Chieti. Al nord est ha le montagne di Pesco Costanzo, di Rocca Cinque Miglia e di Caste di Sangro che coninano col Contado di Molise. Al sud vi è la montagna di Chiarano, di Villetta, di Peschiasseroli, di Gioja le quali coninano con Terra di Lavoro. All’ovest inalmente le montagne della Valle di Roveto, Capistrello, Cappadocia di Tagliacozzo, Colle Vecchio, Ponte Rocchiano, di Cicoli le quali coninano collo Stato Romano in Sabina. 1. I monti sudetti e tutti gli altri che sono dentro la Provincia sono calcari e di seconda formazione, la loro composizione non essendo che a strati. Le specie di pierte sono, la pietra di calce compatta, la pietra di calce semplice, la pietra di calce macchiata di giallo, brecce a base di calce con qualche vena di marmo ec. 2. I iumi principali sono l’Aterno, il Sagittario e il Gisso, che conluiscono nella Vallata di Solmona e formano a Popoli la Pescara. Vi è il Sangro che passa sotto Castello di Sangro e quindi attraversa la Provincia di Chieti. 3. I laghi sono quello di Fucino e di Scanno. 4. Può inoltre considerarsi la Provincia divisa in tre Vallate, cioè di Solmona, di Celano e dell’Aquila. 58 Pasquale Gravina 1. La Vallata di Solmona detta ancora contado di Valva è situata al sud est della Provincia e rinchiude buona parte del Distretto di Solmona. Sebbene sia la più piccola delle altre due Vallate, nondimeno il buon uso che si fa delle acque del iume Gisso, del Sagittario e del iume Aterno, la rende superiore alle altre per la grande estensione de’ vigneti, di pioppeti e per l’abbondanza di ogni sorte di frutta e di vettovaglie. L’irrigazione che forma la sorgente delle sue ricchezze, è quella stessa che forma l’abbellimento della campagna e lo stato di verdura che vi domina in quasi tutte le stagioni, specialmente dopo la riapertura del Canale di Corinio fatta per ordine dell’attuale provvido Governo. I viaggi botanici in questa parte sarebbero di pochissimo frutto essendo tutto messo a coltura. 2. La Vallata di Celano che è al sud-ovest della Provincia ha nel suo centro il lago di Fucino il più grande del Regno, avendo un estenzione di 12. miglia di lunghezza sopra nove di larghezza. Esso è celebre per l’Emissario di Claudio che mettea freno alle sue grandi inondazioni che tuttavia prosieguono. Ortucchio è stato sommerso; Avezzano, Lugo, Trasacco, S. Benedetto, sono minacciati dalla medesima sorte. Ne anche quì il botanico trarrebbe gran partito da’ suoi viaggi essendo tutto coltivato o inondato. 3. La più grande dell’altre è la Vallata dell’Aquila che rimane nel centro quasi della Provincia: essa però è la più sterile, e sarebbe quasi inutile il percorrerla. 5. I luoghi dunque ove dovrebbonsi con vantaggio eseguire delle botaniche peregrinazioni pel corso di anni dieci sono i seguenti. A. Nel primo anno dovrebbero scorrersi le montagne che chiudono al sud la Vallata di Solmona, e sono le montagne di Canzano, di Pesco Costanzo, di Pettorano, di Valloscura, di Scanno e di Frattura, dette anche di Pacile, Pietra Maiura, Macchialonga, Piano di Cinque Miglia, Pilosello, Fonte della Fascia, Valle Cardosa ed Orto del Diavolo. 2. Nel secondo anno la gran montagna di Chiarano, che incomincia all’ovest del Piano di Cinque Miglia, conina con Roccaraso, Barrea, Villetta, Scanno sino a Picinisco in Terra di Lavoro. Quadro Fisico Botanico (1811) 59 3. Nel 3. anno le montagne di Campodigiove e la parte Occidentale della Majella. 4. Nel quarto la parte occidentale del Morrone, che abbraccia il Vellanito di Solmona e le montagne di Pratola, Pentima a Roccacasale. 5. Nel quinto le alte montagne che sono al ponente di Scanno, cioè di Villalago, Anversa, S. Sabastiano, Aschi, Ortona e Cocullo. 6. Nel sesto le montagne di Peschiaseroli, Picinisco, Gioja ec. 7. Nel settimo la montagna di Gagliano, Forca Caruso e Baulli. 8. Nell’ottavo le montagne di Ofena, Forca di Penne e Castel del Monte. 9. Nel nono Monte Corno o sia il Gran Sasso d’Italia. 10. Nel decimo le montagne dell’Amatrice Leonessa, Monte Reale ec. Pasquale Gravina (1779-1828) è stato un medico e botanico di Pettorano sul Gizio. È stato socio corrispondente del Reale Orto Botanico di Napoli e collaboratore dell’opera di Michele Tenore, Flora Napolitana (edita a Napoli in 10 volumi negli anni 1811-1836). Ha pubblicato articoli scientifici nella rivista Giornale enciclopedico di Napoli negli anni 1811-1812, nei quali ha raccolto i risultati delle sue esplorazioni floristiche nei territori montani di Pettorano, Rocca Pia, Scanno e Piano delle Cinquemiglia, attualmente compresi entro i confini del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, del Parco Nazionale della Majella e della Riserva Naturale Regionale Monte Genzana Alto Gizio. A lui Tenore dedicò una pianta con il nome di Brassica Gravinae. ISBN 978-88-906796-0-5