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Bactriana. Collana di Studi Indo-Mediterranei, diretta da Carlo Saccone Atti del IV Convegno Internazionale di Iranistica (Bologna, 8-9 novembre 2018) promosso da: Dipartimento di Storia Culture e Civiltà (DISCI), Dipartimento di Lingue Letterature e Culture Moderne (LILEC), Progetto Internazionale IDA (Immagini e Deformazioni dell’Altro) del Centro di Ricerca FIMIM, “Quaderni di Meykhane. Rivista di studi iranici”, Centro Sa‘di-Shenasi di Shiraz, Centro Culturale Shahr-e Ketab (Book-City) di Teheran. Tra le spade e le alcove Tradizioni e letterature a confronto: dalla origini a Sa‘di e Petrarca a cura di Carlo Saccone e Nahid Norozi CENTRO ESSAD BEY 2019 2019 © Carlo Saccone e Nahid Norozi. All rights reserved 2019 Centro Essad Bey - Amazon Independently Published, Seattle (USA) ISBN: 9781694517012 Il Centro Essad Bey (CEB) è una libera comunità di studiosi e ricercatori, accademici e indipendenti, interessati a tematiche letterarie storico-religiose e geopolitiche in una prospettiva interculturale e interdisciplinare, che opera prevalentemente sul web su base volontaria e informale per la promozione di iniziative culturali. “Bactriana. Collana di Studi Indo-Mediterranei” (diretta da Carlo Saccone) La Bactriana individua un territorio situato tra l’Hindu Kush (l’antico Caucasus Indicus) e l’Oxus (oggi Amu Darya) che aveva il suo centro nella città di Battra (o Battria), corrispondente alla Balkh attuale nell’odierno nord dell’Afghanistan. Già parte dell’impero achemenide a partire dalla conquista di Ciro il Grande (VI sec. a.C.), fu via via sottomessa da Alessandro, dai Seleucidi, dai Sassanidi e infine dagli Arabi, entrando a far parte del califfato musulmano nel VII-VIII sec. d.C. Un momento particolarmente significativo della sua storia è segnato dalla fondazione di un regno grecobattriano (225 a.C., corrispondente all’incirca agli inizi dell’epoca dei Parti) che si rese indipendente dall’impero dei Seleucidi, e si sviluppò per oltre due secoli in direzione della valle dell’Indo sino a formare un più vasto regno indogreco. La lingua greca fu la lingua dell’amministrazione e della monetazione, ma la simbiosi di elementi greci, persiani, centroasiatici e indiani (uno degli ultimi re di stirpe greca, Menandro si convertì al buddismo, divenendo poi celebre come re Milinda) fu il tratto più caratteristico di questa civiltà che, per certi versi, ricorda un po’ la civiltà arabo-andalusa col suo caratteristico melting pot islamico-ebraico cristiano. In questa collana compaiono volumi dedicati all’approfondimento della storia e della cultura dei popoli indomediterranei, con particolare riguardo alla storia religiosa e della società, delle forme linguistiche, artistiche e culturali in senso lato, e alla storia delle esplorazioni e scoperte archeologiche. In copertina: scorcio sul giardino, dal mausoleo di Sa‘di in Shiraz INDICE Introduzione di Carlo Saccone e Nahid Norozi Aliasghar Mohammadkhani, Il mio Iran, la mia Italia. Uno sguardo a Sa’di e Petrarca Mario Mancini, L’epica di Ferdowsi: echi in Occidente Nahid Norozi, Atteggiamenti autoriali nel Vis o Ramin di Gorgāni e nel Tristano di Béroul Alberto Fabio Ambrosio, Come vestono gli uomini di Dio, tra mistica islamica e cristiana Carlo Donà, Re, leoni e spade: da Persepoli al medioevo europeo Adone Brandalise, Le ragioni dell’usignuolo e la “bella voce” dei poeti. Da Platone a Leopardi passando per ‘Attār Kurosh Kamali Sarvestani, Aspetti dell’umanesimo di Sa‘di Faezeh Mardani, Sa‘di in Italia. Uno sguardo alle traduzioni italiane del Golestān (Il roseto) Mitra Mazaherifard, A comparative study of the elements of love conventions in Saadi’s and Petrarch’s poetry Francesco Omar Zamboni, Dire ciò ch’è indicibile. Aporie filosofiche nelle mistiche speculative di Eckhart e ‘Attār Pietro Laureano, Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Carlo Saccone, Sa‘di e Petrarca: poeti che meditano sulla Morte Minoo Mirshahvalad, Two different European illustrations of Cyrus the Great: Machiavelli and Voltaire Ezio Albrile, Ermete, i magi e l’alchimia Maurizio Silvio Pistoso, Ricordo di Gianroberto Scarcia slavista e studioso del mondo russo e sovietico d’Asia Notizie sugli autori p.1 p.7 p.11 p.23 p.39 p.49 p.99 p.105 p.109 p.117 p.129 p.141 p.175 p.185 p.197 p.227 p.233 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Pietro Laureano Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini 1. I reconditi caratteri del giardino persiano “Da quando sono stata in Persia ho sempre cercato i giardini e non ne ho mai trovato alcuno”. Vita Sackville-West (1892-1962), la grande poetessa e paesaggista inglese, famosa per i suoi intensi rapporti con Virginia Woolf e per la realizzazione del Giardino del Castello di Sissinghurst nel Kent, ci sorprende e incuriosisce con questa affermazione riportata nel suo libro di viaggi a Teheran (Sackville-West, 1926). La scrittrice è conscia della grande reputazione dei giardini persiani e cita a proposito i versi di Hafiz e di Sa‘di con l’esaltazione dei prati profumati, disseminati di boccioli colorati. “Ma dove sono le aiuole, le bordure aromatiche e i roseti tanto declamati? niente di tutto questo. Eppure - dichiara - esistono giardini in Persia, sono fatti di alberi non di fiori”. Vita Sackville-West, coglie una caratteristica fondamentale della storia e della cultura dei paesi aridi dal Sahara, alla Persia, fino alla Cina. Non c’è terreno fertile nelle immense distese bruciate dal sole. I campi di fiori e le piante ornamentali sono un lusso impensabile per chi deve confrontarsi ogni giorno con l’aridità e l’erosione, la quasi completa assenza di pioggia e i caldi venti essiccanti. Tuttavia la poetica e la realtà del giardino persiano sono inconfutabili e descritte in importanti studi (Mahavash, 1994). Ne sintetizzo i caratteri in dodici punti: 1. il recinto o perimetro murato che dà luogo al pairidaeza letteralmente recinto, muro perimetrale da pairi circondare e daeza muro. Marca la differenza con lo spazio esterno privo di vegetazione, permette la visione dall’alto e ha tubature nelle murature o canalette in sommità 2. la porta o ingressi monumentali con portici di accoglienza, contemplazione, rappresentanza come gli apadana e aiwan, ivan o dalla volta a crociera con la struttura aperta nelle quattro direzioni il chahar taq 141 Pietro Laureano 3. la messa in scena dell’acqua con fontane, vasche (albirka) ripartitori, discese e vie d’acqua con canali superficiali che attraversano i padiglioni, strutturano la trama ripartita e i percorsi e creano piccoli e grandi bacini 4. la trama geometrica e ortogonale con moduli ripetitivi di particelle in piano o terrazzate. Il giardino non imita la natura ma non si impone ad essa. Le piante e siepi non sono artificialmente tagliate e modellate. Lo spazio è scenico ma non prospettico. Organizzazione e ordine sono definiti dalle tecniche messe in atto prime fra tutte quelle di irrigazione 5. lo charbagh, letteralmente quattro lotti, da quattro char e lotto bagh è la quadripartizione. Determina la struttura spaziale generale del giardino che tuttavia non sempre è così ripartito. Spesso ha un solo asse principale di via d’acqua (shahjuy), interrotta da una o più vasche, ai cui lati sono disposti i lotti coltivati. Charbagh è il simbolo della quadripartizione ripetuta nell’incrocio ortogonale dei canali, nelle strutture architettoniche, nelle quattro aperture dei padiglioni e nelle decorazioni. I termini bagh, e charbagh diventano generici per indicare un giardino 6. le architetture con le volte a crociera, gli affacci rivolti nelle quattro direzioni, con logge, verande, balconate (bayqan) poste sul perimetro, al centro, sui bacini e al termine dell’asse d’acqua in cui si rispecchiano 7. le decorazioni fatte di incisioni e motivi geometrici e floreali con precisi riferimenti al significato dei colori e dei numeri. I sostegni architettonici sono intagliati smaterializzandoli (muqqarnas) e facendo sembrare le strutture non appoggiate sulla terra ma discendenti dal cielo. Le pareti murarie sono completamente decorate con disegni, maioliche, vetri o specchi non lasciando nessuno spazio vuoto 8. lo spazio sotterraneo, fatto di cripto portici, grotte, bacini ipogei collegati alle torri di captazione del vento e climatizzazione (badgir) 9. l’andamento del terreno, a volte con parti più elevate evidenti altre volte non apparenti, ma sempre accuratamente studiato in funzione dell’irrigazione per gravità 10. l’ombra e la protezione fornita da fitte alberature sempre verdi, l’orientamento, il riparo dai venti e la divisione in particelle coltivate 11. l’esplosione di vegetazione, profumi e canti di uccelli contrapposta all’intorno arido 12. le opere esterne spesso non considerate come componenti il giardino ma fondamentali per l’approvvigionamento idrico come sorgenti, acquedotti, gallerie drenanti (qanat), le prese d’acqua dai fiumi con chiuse e ripartitori Possiamo ancora ammirare questi giardini associati a palazzi, ricche residenze, tombe, moschee, scuole religiose e caravanserragli. Costituiscono esempi relativamente recenti a causa della deperibilità dei giardini storici. Le tipologie tuttavia sono ancora quelle degli antichi giardini persiani con limitate evoluzioni avvenute nelle più recenti dinastie le Safavidi e Qajar dovute alle influenze occidentali con l’introduzione di fiori e piante. Il Bagh-e Fin realizzato da Abbas I il Grande (1571-1629), a Kashan ha cortili geometrici circondati da mura con bacini alimentati da un qanat su cui si specchiano splendidi padiglioni. Il Bagh-e Chehel Sotun costruito nel 1647 dallo Scià Abbas II a Isfahan celebre per il portico dalle colonne sottili che riproduce quelli achemenidi e i preziosi affreschi. Il Bagh-e Dolat Abad costruito nel 1750 come residenza dello scià Karim Khan Zand a Yazd famoso per la torre di captazione del vento (badgir) che con i suoi 33m è la più alta dell’Iran. Il Bagh-e Eram a Shiraz con gli edifici posti alla fine di lunghi percorsi d’acqua e il Baghe Shahzadeh a Mahan (Kerman) con scale e giardini terrazzati costruiti nel periodo Qajar nel XIX e XX sec. L’associazione tra giardino e paradiso è evidente nei nomi dei giardini come Bagh-e Hasht Behesht, giardino degli otto paradisi nella celebre piazza di Isfahan o Bagh-e Eram, giardino del 142 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini paradiso a Shiraz. I primi giardini di cui si hanno menzione storica sono quello realizzato da Ciro II il Grande a Pasargadae nel 546 BCE, di cui sono state rinvenute le tracce archeologiche, e le opere di Dario I il Grande a Persepoli nel 515 BCE. Il nome paradiso è usato da Senofonte nel V sec. BCE per indicare i giardini che lui poté visitare a Susa quando combatté per Ciro il Giovane nel 401 BCE (Senofonte, Economico). Il termine compare già nell’Avesta, il libro sacro della religione zoroastriana (I millennio – VI sec. BCE), due volte con il significano di piantare fiori o alberi attorno all’edificio. In Persia di solito c’era un terreno intorno a qualsiasi proprietà e tutte le abitazioni erano immerse in un piccolo giardino. Il termine con cui veniva designato è bagh, giardino, che in origine, significava lotto, pezzo di terra, quota, eredità, porzione o profitto. È stato applicato per riferirsi a una piantagione di alberi, cespugli o piante seminate. Le case iraniane, quindi, erano circondate già 3.000 anni fa da un giardino che, dal termine diffuso da Senofonte, è stato chiamato paradiso. Si trattava, come descritto di seguito nell’esempio della città di Sheki, di uno spazio produttivo. I giardini di fiori sono declamati dai grandi poeti persiani che creano il simbolismo e la lirica del giardino (Sacconi, 2018). Ma non è la poetica ad essere derivata dai giardini urbani e delle ricche dimore di nobili o mercanti. È vero piuttosto il contrario: i giardini dei principi sono stati realizzati a modello dei luoghi favolosi, mitici o spirituali declamati nelle odi e dei canti. L’epica, il racconto, il simbolismo, le idee e la religione ne forniscono le forme e i contenuti. L’origine della lirica e delle categorie simboliche va cercata nella storia produttiva, la realtà geografica e culturale di queste terre e del lungo processo di adattazione e lavoro per renderle fertili e abitabili. I deserti sono i luoghi di origine delle prime coltivazioni. La pioggia non è mai sufficiente e devono essere applicati elaborati metodi di gestione dell’acqua. L’insieme di abitato, agricoltura e sistemi di captazione idrica costituisce l’Oasi. Le norme e le tecniche appropriate sono state definite in millenari processi di prova – errore durante i quali i popoli hanno più volte prevalso sulle condizioni ambientali ostili dei deserti ma ne hanno anche sperimentato la forza e capacità distruttiva. Nei miti e racconti di tutti i deserti si tramandano le saghe di città e civiltà distrutte. Gli studi e le ricerche archeologiche hanno documentato la storia riportata nel Corano (sura di Saba 34:16-17) del collasso nel VII sec CE della cosiddetta grande diga di Ma’rib che aveva creato la fortuna del popolo dei Sabei. La diga era un complesso sistema di ripartitori e sbarramenti d’acqua che per 2.500 anni aveva reso fertile il deserto nello Yemen fino alla sua distruzione che determinò la diaspora degli abitanti. All’altro capo del deserto arabico la città oasi di Petra, in Giordania, per migliaia di anni è stata la capitale del commercio dell’incenso e della mirra rifornendo le carovane grazie al suo complesso sistema di canali e giardini fino alla sua distruzione nell’VIII sec. CE per una inondazione dovuta alla mancata manutenzione del sistema di raccolta e protezione delle acque (Laureano, 1995). Innumerevoli sono le vicende di comunità a piccola scala che in situazioni di penuria e collasso hanno dovuto riprendere la vita nomade del deserto. Le oasi sono il primo giardino. Costituiscono il segno e la memoria di queste epopee, del difficile processo di adattamento e anche delle catastrofi, della caduta e l’agognata rinascita. Proprio per questo il giardino è così presente nell’immaginario e nella poetica. Dalla grande letteratura Persiana, alle Storie delle Mille e Una notte, alle miniature Moghul tutta la cultura arabo-musulmana sia lirica che scientifica o mistica ne è permeata. Questa poetica e simbolismo è all’origine dei giardini estetici e contemplativi che sono parte integrante delle ricche residenze, dimore di nobili e re di cui abbiamo descrizioni o che possiamo ancora ammirare. I giardini delle oasi dai tempi più remoti costituiscono la meta desiderata durante i lunghi percorsi delle carovane, la metafora del difficile cammino della 143 Pietro Laureano vita e del destino eterno, il sinonimo di protezione e appagamento. Rappresentano l’aspirazione e il premio per la condotta ossequiosa alla religione e le leggi, lo spazio di riflessione e contemplazione per il mistico, di soddisfazione per il mercante, di rappresentazione e celebrazione del principe, il rifugio recondito della voluttà e del desiderio. 2. Ecosistema e simbolismo dell’Oasi Nei deserti ogni più piccola particella coltivata, risorsa d’acqua o presenza vegetale non sono un dono gratuito della natura ma il risultato di impegno e cultura. Nel giardino produttivo delle oasi metodi ingegnosi sono usati per captare e gestire acque apparentemente inesistenti e creare la vita nel regno della desolazione. Le oasi non sono fenomeni naturali, frutto del caso, ma il prodotto dell’ingegno umano (Laureano, 1994). La loro realizzazione è collegata alla più antiche esperienze di domesticazione delle piante, di irrigazione tramite canalizzazioni e di protezione dei suoli. Lo spazio racchiuso in un perimetro murario accessibile da una porta, gli alberi sempreverdi posti a creare l’ombra, le costruzioni di terra cruda, i sistemi idraulici, le stesse grandi dune di sabbia sono realizzate e appropriatamente utilizzate dagli abitanti per mantenere un ambiente vivibile in situazioni estreme, tra le più inclementi del pianeta. Ogni singola pianta è introdotta e curata: è fertilizzata con i rifiuti organici; è irrigata con acque gelosamente amministrate. A volte imponenti reti di gallerie sotterranee raccolgono ogni goccia di umidità dalle sabbie. I sapienti sistemi di captazione idrica sfociano in camere ipogee di raccolta dell’acqua che fluisce sul suolo in una fitta trama di distribuzione superficiale e bacini. Gli alberi danno ombra e riparo dal sole e dal vento, mantengono il vapore d’acqua, favoriscono la formazione degli elementi biologici che compongono il terreno fertile, l’humus. Si crea un'interazione virtuosa di fattori in grado di innescare dinamiche positive in contrasto con la situazione dura e ostile (Fig. 1). Lo scorrimento dell’acqua in superficie serve a creare un microclima favorevole. Così l’umidità, diffusa dai canali di irrigazione e mantenuta dalla protezione delle piante, raggiunge il 90% quando nel deserto non supera il 5%. L’agricoltura è organizzata su tre livelli: la palma da dattero o il pioppo che creano una chioma protettiva; gli alberi da frutto che possono così crescere al riparo dai raggi del sole; gli ortaggi disposti al livello più basso in particelle irrigate. L’esplosione vegetale attira gli uccelli e l’oasi si satura dei loro suoni e dei profumi di altre piante aromatiche diffuse grazie ai semi da loro trasportati. La coltivazione produttiva è anche luogo estetico e di contemplazione. Utilità e sacro, lavoro e spirito, orto e giardino non sono separati. In questi ambienti la natura non perdona il benché minimo errore così l’accuratezza di ogni gesto, ripetuto in ottemperanza della tradizione, è garanzia di salvaguardia e di sopravvivenza. Si determina un sistema strettamente connesso affidato completamente alla cura degli abitanti. La vita dipende da regole il cui rispetto è assicurato dalla completa adesione tra le attività e la ritualizzazione di ogni compito. L’inosservanza potrebbe turbare l’ordine in cui sono strettamente collegati i luoghi, gli esseri viventi e tutta l’oasi. Le quote di appartenenza dell’acqua sono accuratamente gestite tramite la rete di distribuzione superficiale che si ramifica secondo le proprietà, divide per le eredità e riunisce nei matrimoni (Fig. 2). Così la planimetria dei giardini è una trama idro genealogica, storia fluida dell’oasi. Dai tatuaggi e le acconciature delle donne, alla organizzazione dei campi coltivati alla rete di canalizzazione, ai disegni augurali del tappeto matrimoniale si ripete uno stesso disegno. È il simbolo della fecondità che vivifica attraverso le generazioni. Non si tratta solo di una 144 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini astrazione metaforica. Le strutture idriche di captazione, l’abitato, i giardini realizzano un ecosistema capace di auto alimentarsi e rinnovarsi continuamente. L’acqua, condensata e captata nelle sabbie, scorre sotto le case, irriga la vegetazione, risale come linfa il tronco delle palme e ascende al cielo creando ulteriore umidità e un nuovo ciclo vitale. Il corpo e la terra, l’individuo e l’oasi, il microcosmo e il macrocosmo sono parte dello stesso processo (Fig. 3). 3. Origine e diffusione La parola oasi deriva dal greco, ma questo termine risale a tempi precedenti. In Egitto, il termine oasi appare già alla fine dell'Antico Regno in un’iscrizione della Sesta Dinastia (2350-2200 BCE) come wahat, ancora usato in Arabo e Farsi. Il geografo greco Strabone (64 BCE - 24 CE), nelle sue descrizioni d'Egitto, definisce le oasi in questo modo: "Gli egiziani chiamano oasi tutti i luoghi abitati circondati da vasti deserti, come isole nel mare aperto" (Geografia, libro XVII, capitolo 1, 5). Appaiono chiare le caratteristiche delle oasi: - insediamenti fatti dall'uomo (luoghi abitati); - tipici delle aree aride (circondati da vasti deserti); - situati in zone a cui si oppongono per condizioni di fertilità e vita possibile (come le isole in mare aperto). Le oasi sono costituite da piccole comunità locali in possesso delle conoscenze ambientali specifiche dei luoghi. Questi sono resi abitabili da dispositivi che richiedono notevoli sforzi per la loro realizzazione e manutenzione. L’incontro tra conoscenza e tecniche specializzate e l’esistenza di una forte motivazione contribuiscono a rendere possibile l’installazione e l’espansione delle oasi. L’oasi è frutto di un progetto specifico realizzato combinando natura e cultura e utilizzando abilità e competenze già esistenti in modo nuovo e diversificato. Nasce grazie all'unione delle conoscenze ambientali dei nomadi cacciatori-raccoglitori e pastori con le tecniche degli agricoltori e, spesso, dei pescatori. A questi si aggiungono i ruoli del patriarca, del signore della guerra, del leader politico o religioso, o del mercante. Una sola persona può interpretare tutte queste caratteristiche contemporaneamente divenendo il promotore del progetto oasi, stimolando e canalizzando gli impulsi e gli obiettivi che motivano lo stanziamento in luoghi specifici. La volontà di creare oasi può essere dovuta a: - Cambiamenti climatici e pressioni ambientali nei luoghi di insediamento che impongono trasformazioni nella gestione delle risorse naturali - la necessità di stabilirsi in aree minerarie situate in zone aride (selce, sale, rame) - l’organizzazione di insediamenti in luoghi strategici impervi - il controllo dei punti di soglia e scambio tra diversi ecosistemi - la fondazione di eremi e luoghi di rifugio spirituale - l’organizzazione su vasta scala di scambi commerciali attraverso le rotte delle carovane 145 Pietro Laureano La genesi dell'oasi come dispositivo completo, realizzata associando conoscenze e elementi di varia origine, utilizzati in un modo nuovo grazie all'alleanza e dalla simbiosi, è sintetizzata nei seguenti punti: • Prime esperienze che anticipano la creazione di oasi sono applicate nel Neolitico quando gruppi nomadi si stabilizzano nel realizzare opere monumentali e necessitano dell’uso della agricoltura per l’alimentazione. Sotto la pressione dei cambiamenti climatici e ambientali le tecniche per perpetuare la permanenza e l'investimento sociale in strutture, punti di sosta e luoghi rituali divengono sempre più elaborate. Per produrre il sostentamento di fronte alle mutevoli condizioni e affrontare situazioni difficili, si adottano competenze specializzate, sfruttano risorse diversificate e si realizza l'intensificazione agricola. • A partire dal III millennio, le popolazioni nomadi, rimaste al di fuori dei principali processi di creazione urbana che caratterizzarono il periodo, scelgono uno stile di vita agro-pastorale. Spinti da motivazioni e pressioni, attraverso l’interazione, l’alleanza, la simbiosi o l’assimilazione di coltivatori sedentari, mettono in comune uno specifico corpo di conoscenze che consente un salto nella complessità tecnologica e creano l’oasi come un sistema completo di condizioni di vita e di produzione. Grazie alle oasi comunità a piccola scala si installano in zone estreme necessarie per lo sfruttamento delle risorse minerarie strategiche del periodo o per controllore luoghi e percorsi in aree inospitali. • Il pacchetto conoscitivo del dispositivo oasi viene utilizzato da popoli in fuga, o comunità in cerca di protezione, eremi e luoghi spirituali dove è possibile praticare la fede e la passione mistica. • Nel I millennio grazie ai migliori attrezzi di scavo si sviluppa la tecnica delle gallerie drenanti che nel V secolo sono promosse dai grandi imperi per potenziare e diffondere le oasi e rafforzare il controllo sulle aree desertiche • La rete di oasi permette l’esistenza delle vie degli scambi commerciali attraverso le rotte carovaniere che, grazie all'estensione intercontinentale delle zone desertiche, hanno reso possibile il flusso di comunicazioni e scambi attraverso le terre emerse eurasiatiche. 4. Creazione e perdita dei primi Paradisi L’oasi dipende dalla combinazione di abilità qualificate e l’addomesticamento di animali e piante adattati a questo scopo. Il complesso insieme di conoscenze con tecniche elaborate si realizza compiutamente durante la prima Età del Bronzo intorno al 3° millennio BCE, ma alcune caratteristiche appaiono dalle prime culture neolitiche. Queste si svilupparono dal 10.000 BCE quando a seguito delle modificazioni ambientali dovute alla fine dell’ultima glaciazione alcuni gruppi umani formarono insediamenti stabili. Al passaggio dal nomadismo alla sedentarizzazione concorrono due fattori fondamentali: la collaborazione e simbiosi tra nomadi e sedentari con l’alternarsi e intrecciarsi di questi modi di vita; l’applicazione di conoscenze agricole che dimostrarono i propri vantaggi proprio nei deserti. La scoperta del sito di Gobleki Tepe in Anatolia ha fornito la verifica di questi processi (Schimidt, 2011). Gobleki Tepe è la prima architettura e tempio mai realizzato. Questa struttura 146 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini cultuale formata da monoliti di pietra scolpiti disposti a circoli concentrici, risalente al 9.600 BCE, è l’opera di gruppi di cultura nomade paleolitica, espressione di un pensiero totemico e sciamanico. Per realizzarlo una comunità è dovuta rimanere stabile per lungo periodo. Si capovolge così la convinzione corrente che sia stata la scoperta della coltivazione nel Neolitico a determinare le comunità stabili. È vero piuttosto il contrario. La vita sedentaria ha preceduto l’agricoltura sviluppata a seguito della stabilizzazione avvenuta con la realizzazione della grande area di culto. La cultura, la cosmo-visione, il pensiero determinano le scelte. Sotto la spinta di innovatori e visionari si applicano le tecniche in modo nuovo e attuano trasformazioni del modello socio economico. Per creare Gobleki Tepe gruppi paleolitici sono divenuti sedentari e per sostenere la popolazione sono stati motivati ad applicare le conoscenze di piante ed animali di cui erano già in possesso per sviluppare la produzione agricola. Il determinarsi delle prime coltivazioni proprio negli attuali deserti è stato dovuto al fatto che in questi, grazie alla grande esposizione solare, si potevano garantire una resa rapida delle piante coltivate. Questo aspetto è cruciale perché qualsiasi intervento agricolo necessita un investimento nel tempo. Per averne i risultati occorre attendere che le piante crescano, selezionare le specie, conservare e seminare i grani. Più velocemente avviene questo ciclo più facile è verificare i vantaggi di investimento e insediamento stabile. L’affermazione della agricoltura nei deserti spiega l’enorme quantità di ritrovamenti archeologici ricchi di strumenti di selce, ceramiche e pietre per macinare e la alta concentrazione di opere di arte rupestre preistorica. Un immenso patrimonio di graffiti e dipinti, adorna numerose lastre di pietra e ripari sotto roccia alla base dei pinnacoli e pareti erose di arenarie e basalti nelle aree più sceniche e spettacolari dei deserti. Sono parte di una rete di luoghi di sosta stagionali, caratterizzati dalla presenza di punti d'acqua e ripari, sacralizzati da rituali e cerimonie ricorrenti. Le attuali aree deserte godevano di una disponibilità idrica migliore rispetto a quella odierna ma erano caratterizzate da un regime catastrofico, alternando piogge torrenziali con lunghi periodi di siccità, la creazione di paludi con la formazione di distese sabbiose. L’aridità era interrotta da periodi di forti piogge, che permisero la rigenerazione delle sorgenti montane, il flusso degli wadi (i fiumi a carattere sporadico del deserto) e il riempimento dei bacini lacustri situati nelle depressioni. Durante queste fasi umide, gli uomini tornano ad occupare le grandi pianure, i corsi degli wadi e i bordi dei grandi laghi. Per migliaia di anni, questi periodi umidi si sono avvicendati a periodi secchi fino a quando le fasi aride hanno predominato. La popolazione e le mandrie si concentrano su alcune aree. Qui il sovra pascolo e la pressione eccessiva sull’ambiente amplificano il processo di desertificazione fino al collasso completo dell’ecosistema. I siti delle pitture rupestri erano le nicchie di persistenza di condizioni ambientali vitali. Santuari di un mondo in via di distruzione. Apparivano luoghi miracolosi e beati rispetto alle condizioni circostanti. Nei graffiti e simboli rupestri si tramanda ancora il ricordo di quei paradisi perduti. 5. La poetica del giardino nell’alternanza nomadismo - sedentarizzazione Gruppi di pastori semi-nomadi hanno coesistito e si sono sviluppati parallelamente ai primi esperimenti sedentari del Neolitico. La non integrazione è dovuta alle persistenze culturali, basate sulle tradizioni del Paleolitico e al loro modo di vivere che trovava più agevole e armonioso il prelievo delle risorse dagli ambienti così come erano in natura escludendo lo sfruttamento agricolo. Questi nomadi e semi-nomadi possedevano conoscenze e stili di vita che si rivelarono strategici per 147 Pietro Laureano sopravvivere in tempi di crisi, consentendo loro di sviluppare e diffondere nuove tecniche. L’aumento della popolazione di questi gruppi è stato un evento cruciale nella storia delle regioni aride dall’Asia all’Arabia. Quando la situazione ecologica del deserto ha raggiunto l’equilibrio attuale verso la fine del terzo e l’inizio del secondo millennio BCE, il loro apporto è stato fondamentale. Le esperienze del nomade allevatore combinate con quelle del coltivatore forniscono le conoscenze ambientali e tecniche. Il quadro geografico e le vicende socio economico determinano la località d’insediamento. La cosmo-visione e il pensiero simbolico guidano la concezione, le forme e contenuti, e l’oasi è creata. La dinamica nomadismo sedentarizzazione, in relazione alla variabilità del clima, è determinante per la genesi della poetica e simbolismo del giardino. L’alternanza di fasi aride e umide hanno imposto di convivere con una natura in cui ambienti dove le dune delimitano depressioni saline sterili possono trasformarsi in praterie circondanti laghi ricchi di pesci e crostacei. Quando la situazione si inverte si devono applicare soluzioni per mantenere l’insediamento stabile in condizioni divenute difficili o scegliere le vie del deserto. I gruppi costretti al nomadismo hanno il ricordo ancestrale di luoghi e città perdute verdeggianti nell’aridità. Nelle loro migrazioni possono portare con sé solo lo stretto indispensabile, così la memoria di questo passato scomparso è affidato ai poemi ripetuti durante le veglie delle carovane e ai simboli trasmessi attraverso i piccoli oggetti di artigianato. Si dice che ogni gruppo nomade tramandi nelle particolari rappresentazioni dei suoi tappeti il disegno di ancestrali città e giardini perduti. Si spiega così l'apparente paradosso di popoli nomadi che hanno creato realizzazioni urbane e architetture straordinarie. Nomade e sedentario non sono condizioni genetiche di gruppi contrapposti ma il risultato delle vicende e necessità socio culturali. Nella storia si verificano conflitti e rapporti di dominio ma appena le condizioni lo rendono possibile la vita stabile è ricreata tramite la cooperazione, la simbiosi e la messa in comune della abilità necessarie. La gestione appropriata delle risorse necessita una collaborazione sociale, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione di lavori comuni per lo scavo di dighe e canali, la raccolta di acqua, la formazione e la protezione di terreno coltivabile. Il carattere del progetto, la sua dimensione lirica, la visione favolistica è frutto del lungo processo di attesa, memorizzazione e trasmissione maturato negli anni e le generazioni. Porta il segno dei percorsi infiniti delle carovane, della ripetitività senza tempo degli spazi deserti, del desiderio di protezione e conforto, dell’anelito al premio dopo la lunga espiazione. Quando il progetto agognato diventa una realizzazione concreta è stato reso essenziale dalla precarietà e le carenze, perpetuato tramite le astrazioni simboliche, sublimato nel racconto e il desiderio. La implacabile forgia della vita nel deserto misurata sui ritmi stagionali, ambientali e celesti ha conferito organizzazione, geometria, armonia e ambizione astrale. Ancora oggi nel Sahara le coltivazioni delle oasi si chiamano jennat, che significa giardino e Paradiso. 6. Oasi calde e oasi fredde: il ruolo centrale dell’Iran Le condizioni climatiche e le diversità geomorfologiche determinano le distinzioni fondamentali tra i tipi di oasi. Una differenza nella scala macroscopica è determinata dalle temperature che distinguono, all’interno delle regioni aride del pianeta, i deserti caldi e deserti freddi. I primi includono il Sahara, compresa l’Arabia, i secondi i deserti asiatici a nord e ad est dell’Himalaya. Secondo questa differenza si possono distinguere le oasi calde e le oasi fredde. Le oasi calde, oltre 148 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini all’aridità e alle variazioni termiche, si confrontano con temperature elevate; sono quindi basate su piante e animali in grado di resistere a queste condizioni. La loro distribuzione coincide con il limite di espansione di due componenti fondamentali dello spazio oasi: la palma da dattero (Phoenix dactiliphera) e il cammello a una gobba (Camelus dromedarius). La palma è la prima forma di protezione e creazione del suolo, mantiene un microclima umido, favorisce altre associazioni di flora e fauna, fornisce il legno per le case, foglie per i recinti agricoli e per fissare le dune e produce il dattero indispensabile per l’alimentazione nomade perché facilmente conservabile e trasportabile nelle lunghe tappe delle carovane. Il cammello permette di percorrere lunghe distanze, dà latte, carne e pelli. Per la sua alimentazione non pesa sulla produzione agricola poiché si nutre di piante selvatiche negli spazi del deserto. È diffuso in tutti i deserti caldi dal Sahara, all’Arabia e l’Iran. Gli altipiani deserti dell’Asia centrale sono caratterizzati dal completo isolamento dalle influenze oceaniche. Per questo motivo, e per la presenza di alte montagne che intercettano le piogge, hanno una mancanza di precipitazioni. Per cui, anche con basse temperature dovute alla latitudine e all'altitudine, sono estremamente aridi dando luogo ai deserti freddi. Qui il ruolo di protezione del suolo svolto dalla palma da dattero è fornito dal pioppo (Poplus nigra), la funzione alimentare adempiuta dal dattero dalla frutta secca, come uva passa e albicocche, il mezzo di trasporto è il cammello a due gobbe (Camelus bactrianus) addomesticato nella Bactriana antica regione dell’Hindu Kush nell’odierno nord dell’Afghanistan, che si adatta perfettamente alle temperature gelide e ai terreni rocciosi ed è diffuso in tutta l’Asia, dall’Iran alla Cina. Nel Sahara entrambe le componenti fondamentali delle oasi furono introdotte dall’esterno. Il dromedario è stato addomesticato in Oriente, la palma da dattero nell’Africa occidentale o nell’area che va dai confini dell’India all’Iran, lungo il Golfo di Oman e il Golfo Persico. Quest'ultima regione presenta caratteristiche strategiche per l'origine dell’oasi. L’Iran ha condizioni comuni sia ai deserti freddi dell’Asia Centrale sia quelli caldi dell’Arabia e il Sahara. È costituito da un mix di zone aride e semi aride circondate da catene di alte montagne ai piedi delle quali si collocano le città. Ha poca pioggia, dai 5-25 cm all’anno. Fa freddo d’inverno e caldo e secco d’estate, con venti violenti che spazzano l’intero altipiano e i deserti infuocati. È stato detto che queste condizioni rendono l’area un luogo inappropriato per la costruzione di giardini (Moynihan, 1980). Questo è vero se riferito ai giardini europei ma l’esatto contrario pensando al giardino come oasi. Per la sua posizione geografica, l’estensione, l’importanza dei suoi rilievi, la storia e la dimensione dei suoi deserti, l’Iran ha rappresentato nel tempo un'area strategica per lo sviluppo e la diffusione di sistemi di oasi. L’Iran ha un’altissima variabilità climatica e fito-geografica e una straordinaria diversità delle culture che si perpetuano in territori inaccessibile e ostili. La storia dell’Iran ha plasmato sé stessa al crocevia di imperi, immigrazioni e commerci, ed è stata forgiata nei deserti terribili del Grande Kevir e del Lut. Si determinano una cultura e un'identità che sono state chiamate né occidentali né orientali. È una definizione che si adatta perfettamente al ruolo storico di questa regione cerniera tra deserti caldi e deserti freddi. L’antica Persia a partire dalle conquiste di Ciro il Grande nel 550 BCE divenne il più grande impero del mondo esteso a Ovest dal Mediterraneo, comprendendo i deserti della Libia, dell’Egitto e l’altipiano anatolico, a Est fino all’Indo al di là del quale si trova il deserto del Thar nel Rajastan indiano. A nord arrivava fino ai Monti del Caucaso, il Mar Caspio e la Scizia che è la chiave per le grandi steppe uraliche, della Mongolia fino alla Cina con i deserti del Tklamacan e del Gobi. La Scizia, patria dei grandi nomadi eccellenti conduttori di carovane, comprende i deserti del Karakum e del Kizilqum tra il fiume Amu Darya (Oxus) e Syr Daya (Iassarte) che hanno giocato nella storia 149 Pietro Laureano un ruolo paragonabile a quello di altri grandi fiumi sede delle più antiche civiltà come il Tigre e l’Eufrate, il Nilo, l’Indo e il fiume Giallo. Sulle loro rive si estendono la Corasmia celebre per la sua giada e i suoi turchesi; la Battriana luogo di origine del cammello; la Sogdiana la cui capitale è Afrasiab, in seguito chiamata Samarcanda. Nella parte più orientale si apre valle di Fergana, dove i cinesi hanno collocato la mitica sede dei cavalli celesti, rinomata per le sue selle e armature. A Sud l’impero si estende lungo il Golfo Persico, il Golfo dell’Oman e il Mare Arabico comprendendo nella parte occidentale la Mesopotamia dove si sono sviluppate le prime città. Nella parte sud-orientale è in contatto con le civiltà della valle dell'Indo dove Harappa e Mohenjo-Daro risalenti al terzo e secondo millennio, sono antiche aree di agricoltura e domesticazione. Lo stretto di Hormuz rende facile raggiungere la penisola arabica e le antiche culture di Oman e Yemen. L'impero persiano achemenide per 200 anni dal 550 al 230 BCE governa su tutte queste aree, realizzando l’unificazione di gran parte del mondo conosciuto, e attraverso un sistema di strade, strutturate dalle oasi, promuove gli scambi e la diffusione delle tecniche e conoscenze dal Sahara all’India e l’Asia centrale. 7. Ai piedi del Caucaso i miti del ghiaccio e del fuoco 7.1 Il Paradiso di Zoroastro Il Caucaso è un’area strategica nella storia dell’umanità e lo sviluppo delle prime società. Percorso obbligato dei primi gruppi umani provenienti dall’Africa attraverso l’Arabia e area di diffusione verso l’Asia e l’Europa di tutte le successive migrazioni. In questa regione hanno origini popolazioni e miti e che risalgono alla civiltà Kurgan e alle prime culture indoeuropee, le saghe del fuoco e del ghiaccio. Sulle rive del Mar Caspio, nell’attuale Azerbaijan, il fenomeno geologico della fuoriuscita spontanea di fiamme dal terreno può essere all’origine dell’uso preistorico del fuoco e dei culti da esso derivato. La narrazione biblica del diluvio universale potrebbe avere riscontro proprio nelle alternanti inondazioni e regressioni del Mar Nero e il Mar Caspio dovute allo sciogliersi dei ghiacciai. Le montagne del Caucaso sono indicate come l’approdo dell’Arca di Noè. Ricerche scientifiche hanno dimostrato l’esistenza in queste aree della prima coltivazione della vite e della fabbricazione del vino che nella narrazione biblica si vuole introdotto proprio da Noè dopo il diluvio. Nel Gobustan sulle rive del Mar Caspio, è possibile ancora ammirare nei graffiti preistorici, risalenti a quasi 20.000 anni fa, la vita dei cacciatori nomadi e gruppi pastorali, gli esperimenti di domesticazione, le prime coltivazioni, le grandi barche, i carri e le feste e i riti della vita sociale. Un ruolo di rilievo era dato alle donne raffigurate in fogge di guerriere e con funzioni di comando. Le precise raffigurazioni di imbarcazioni richiamano i popoli Normanni, della Danimarca e la Scandinavia, i cui dei, secondo i loro miti, provenivano dal Caucaso. Le donne vichinghe combattevano insieme agli uomini. Le imbarcazioni, i drakkar, con cui dalla fine dell’VIII sec CE secolo all’XII sec. CE dominarono i mari appaiono straordinariamente simili a quelle rappresentate sulle rupi del Gobustan. Gli antichi Greci collocarono proprio nel Caucaso le vicende di Prometeo punito perché fornisce il fuoco all’umanità. Prometeo è il padre di Deucalione che insieme a sua moglie Pirra ricostituì la specie umana distrutta dal diluvio. Per farlo gettarono alle loro spalle delle pietre che si trasformarono in esseri umani. Il mito esprime il ruolo del giardino nella genesi della umanità perché liberare dalle pietre un terreno è il primo atto per coltivarlo. Nel Caucaso, intorno al I millennio BCE, nasce la religione zoroastriana diffusa, nel periodo achemenide, in tutto l’Iran e i cui templi sono ancora esistenti, come l’Ateshgah a Baku in 150 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Azerbaijan (Fig. 4). L’Avesta il libro sacro di Zoroastro riporta un racconto molto simile alle vicende bibliche del giardino dell’Eden. Ahura Mazda, la luce, aveva creato la prima coppia umana collocata in un meraviglioso giardino nei cieli. Questo era irrigato da molti canali, ricco di frutti e da lui nascevano quattro fiumi. Tutte le creature vi vivevano in assoluta perfezione. Ma Ahriman, uno degli spiriti incaricati di illuminare il giardino, lasciò cadere una torcia diffondendo il fuoco e, per punizione, fu scaraventato in basso divenendo il Signore delle tenebre. Nel conflitto che seguì l’Uomo, che era stato dalla parte di Ahriman, fu cacciato dalla residenza celeste ma Ahura Mazda gli indicò la via della redenzione raggiungibile attraverso la realizzazione dei giardini di cui gli insegnò la costruzione come paradisi in terra, a modello di quello celeste. I giardinieri depositari di queste conoscenze erano chiamati in persiano chaman. Nel paradiso zoroastriano, vahishit, (behesht) ricorre la ripartizione in quattro. Vi si trovano quattro palazzi: il dominio del Buon pensiero, delle Buone parole, delle Buone azioni e il più alto il Palazzo della Infinita Luce. I quattro elementi e i caratteri sacri celebrati nei padiglioni, terra (suolo, nutrimento) acqua (vegetazione), aria (vento, cielo) e fuoco (luce, piante) si ritrovano nelle culture locali. Gruppi caucasici erano gli Ari e gli Asi che si spostarono a Sud verso gli altipiani iranici, in Europa e in India. Linguisticamente è stata dimostrata la comune discendenza indoeuropea di pastori nomadi che all’occorrenza divengono agricoltori e costruttori di cittadelle su alture fortificate. In vestigia archeologiche risalenti al I millennio sono chiaramente visibili gli ingressi porticati e i templi con pianta quadripartita. Nell’incrocio della volta a crociera centrale si erge una torre con aperture nelle quattro direzioni, versione in pietra di più arcaiche strutture lignee. 7.2. Sheki, il giardino diventa città Antiche tipologie architettoniche e urbane si perpetuano nella città di Sheki posta lungo una delle diramazioni della via della seta alle pendici meridionali della catena del Caucaso, nell’attuale Azerbaijan. Nelle fonti medievali il nome della città si trova in varie forme: Shaka, Shekin. Si ritiene che la parola Sheki sia associata al nome delle tribù dei Sakas che vagavano nel settimo secolo CE dalle rive del Mar Nero al Caucaso meridionale e da lì all’Asia Minore attraverso Derbent. I risultati degli scavi archeologici nelle vicinanze della città, permettono di determinare la fondazione intorno al primo millennio BCE. Secondo fonti archeologiche, già nel III-V secolo CE i residenti della zona coltivavano i bachi da seta e ne producevano le stoffe. La mitica città di Asgard sede degli Asi venerati dai popoli Normanni è stata identificata in questa località. Gli Asi sono divinità dai caratteri molto umani la cui città Asgard aveva al suo interno splendidi palazzi e vi crescevano l’albero della vita, da cui sono derivati tutti i semi, e l’albero della conoscenza, l’asse del mondo. Gli Asi migrarono, seguendo il loro capo Odino, verso le terre del Nord, fermandosi in Svezia dove dettero luogo all’epopea vichinga. Gard ha la radice di recinzione, recinto così Asgard è la città giardino recintato degli dei. Nel 1772 CE Sheki fu distrutta da una inondazione e ricostruita seguendo precisamente le regole arcaiche che possiamo riconoscere ancora nei villaggi vicini. Per questo Sheki conserva le antiche forme urbane e architettoniche con il sistema idrico, i giardini, le strutture produttive della sericoltura e la peculiare organizzazione della casa e i campi coltivati. È un esempio ancora intatto di come l’integrazione tra produzione agricola e la poetica del giardino divengano città. Il modello è conosciuto come la nuova concezione urbana della città verde o città giardino che era stato applicato dal grande nomade delle steppe Timur Lang (Tamerlano) nella ricostruzione di Samarcanda nel 1370 CE e sviluppato dai suoi successori. Fu utilizzato nel grandioso impianto 151 Pietro Laureano dello Char bagh di Isfahan dai Safavidi nel 1600 CE (Fig. 5). La trama urbana della città di Sheki è determinata dal sistema di raccolta e distribuzione dell’acqua. La città è situata nel bacino idrografico del fiume Kish in uno spazio drenato da torrenti che sono stati nel tempo intercettati e trasformati in una rete di canali. A questo apporto idrico si aggiungono le acque provenienti dai ghiacciai montani e quelle meteoriche. La rete di distribuzione è diversificata distinguendo le acque in più e meno potabili secondo le differenti origini: potabile, piovana e di torrente. L’acqua potabile viene captata dallo scioglimento delle nevi e da sorgenti e incanalata con condutture di argilla alle abitazioni e agli edifici specialistici come gli hammam e le moschee. Questi marcano la suddivisione in contrade i mehalla, organismi di gestione sociale e di vicinato. L'acqua piovana viene drenata dal sistema di strade che sono organizzate secondo le linee di pendenza per sfruttare la gravità. Le stradine hanno un uso multifunzionale. Sono percorsi nei momenti secchi, formano una rete di torrentelli durante le precipitazioni e, costruite con un leggera inclinazione verso il centro, dove è incisa una canaletta, sono un sistema di drenaggio e di raccolta. Le acque convogliate al centro delle stradine sono indirizzate verso i giardini. La raccolta dell’acqua dei torrenti è realizzata con prese a monte permettendo di rifornire più a valle terreni a un livello superiore rispetto al corso idrico. Le acque intercettate arrivano in un sistema di vasche di sedimentazione per eliminare lo sporco e quindi vengono convogliate tramite canali di superficie. Sono acque meno potabili e, dato il maggior flusso, vengono utilizzate per l’irrigazione, le strutture dei mulini, la produzione della seta e per le pulizie. Le linee di trasporto idrico scorrono a cielo aperto interrotte da numerosi pozzi di decantazione e distribuzione. Piccole piscine quadrangolari servono a monitorarne il flusso e indirizzarlo secondo le norme e necessità di utilizzo. Tutto il sistema funziona attraverso un accurato controllo delle pendenze e delle portate d’acqua la cui destinazione finale sono le coltivazioni. L’irrigazione viene effettuata per gravità con le canalizzazioni superficiali più importanti lungo le strade principali su cui si diramano le bande ortogonali dei campi. Dalla strada principale si dipartono uno o più solchi di distribuzione dell’acqua che servono rispettivi giardini tramite chiuse che regolano il flusso. I giardini sono completamente murati con l’abitazione collocata con il lato lungo nel margine Nord, sulla strada. Qui la costruzione presenta una superficie continua senza aperture e l’ingresso si fa per una porta nel giardino. L’edificio è piccolo con i tetti a spiovente senza comignoli. Il tipo di base ha un piano o due e planimetria allungata formata di due stanze o poco più. Il lato dell’edificio, verso il giardino, ha una profonda veranda, il seyyan, rivolta a Sud o Sud-Est coperta da un alto tetto di legno. La facciata sul giardino, costruita in mattoni di terra o pietra, è decorata con motivi geometrici e intonaci di colore ocra, bianco brillante, gessi scolpiti e pannelli di legno incisi. La veranda è ornata da alte colonne di legno spesso istoriate in modo elaborato. Altre decorazioni abbelliscono il tetto e le cornici in legno dell’attico le cui finestrature sono spesso realizzate con l’elaborato mosaico di vetri colorati della tradizione locale chiamato shabaka. Il giardino, elemento strutturante dell’organizzazione urbana, è il punto terminale del sistema idrico di Sheki. Nel giardino la casa è collocata in una posizione perimetrale con il lato lungo dove si trova la veranda che si affaccia sull’area coltivata. Ai margini sono disposti gli alberi più grandi, noce, castagno e gelso. Quest’ultimo è importante perché fornisce il cibo principale per il baco da seta. Le colture orticole sono costituite da piante stagionali come cetrioli, cavoli e grano suddivise per tipologie e intervallate da alberi da frutta più piccoli come noccioli, meli, peri, 152 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini melograni, nespoli. Questa parte del giardino è suddivisa in sottosezioni secondo le colture. Il canale principale, attraversa il giardino, per rifornire il proprietario successivo. Insieme alla casa, il campo coltivato è il fulcro dell'economia della vita sociale, produttiva e familiare. Il complesso abitato e agricolo è una struttura produttiva e autosufficiente basata su processi di coltivazione e manifattura. L’attività principale è quella della produzione di seta. A questo scopo il tetto della abitazione assolve a funzioni importanti in modo ingegnoso. I tetti come si è detto non hanno comignoli e il modo in cui viene evacuato il fumo costituisce un sistema elaborato multifunzionale. Il fumo dei caminetti posti al piano sottostante non viene convogliato all’esterno ma si sparge nell’attico e disperso attraverso la copertura. Si ottengono così molteplici risultati: un ambiente sterile per seccare i bozzoli; la cura del legno i cui parassiti e insetti sono uccisi dal fumo; la protezione delle coperture dal peso della neve perché la dispersione del fumo la riscalda, la scioglie e ne impedisce l’accumulo. Soluzioni di questo tipo, che nella semplicità delle strutture costruttive sono ingegnose ed elaborate, derivano dall’affinamento di esperienze arcaiche in costruzioni realizzate con materiali smontabili e riutilizzabili. È probabile che il tetto traspirante derivi dai villaggi di capanne a pali di legno del nomade. In questi le grandi sale comuni avevano un posto per il fuoco al centrale dove per ampliare e creare un volume più elevato la copertura si intersecava con travature ortogonali. La costruzione in questo punto di una torre da cui si disperde il fumo determina la tipologia costruttiva del tempio a pianta quadripartita con torre centrale di tradizione caucasica origine delle chiese e moschee locali. Elaborati dispositivi architettonici di gestione microclimatica e ambientale sono presenti negli edifici più complessi di Sheki, come il palazzo del Khan, i caravanserragli e le fortificazioni. Sheki è stata la capitale del Khanato fondato nel 1743, durante il regno di Nader Shah, ed era uno degli stati feudali più forti tra i khanati caucasici che si formarono come regni indipendenti alla fine della dinastia Safavide (1501-1722). Dopo la distruzione totale nel 1772 il Palazzo del Khan è stato ricostruito in una nuova posizione all'interno della Cittadella come principale edificio dominante la città. Il palazzo è un capolavoro architettonico (Fig. 6). Le dimensioni contenute di soli due piani non si discostano dalla tipologia della casa di base di Sheki. Utilizzando gli stessi elementi costruttivi si realizza un’opera eccezionale senza ricorrere a grandiosità di dimensioni e magniloquenza. La posizione scenica riproduce lo stesso rapporto della casa manifatturiera con il giardino. La parte posteriore cieca verso la strada è rivolta a Nord. La facciata di ingresso a Sud è stata posizionata in funzione di due grandi alberi di platano che all’epoca della costruzione avevano oltre 200 anni e ora ne hanno 500. Questi danno ombra e riparo alla struttura creando un portico vegetale. La solennità dei tronchi e la maestosità delle chiome sono integrate nel progetto così la forza della natura diviene parte della architettura. L’edificio si afferma non rivaleggiando nelle dimensioni ma tramite il disegno, la geometria, il significato. L’intera facciata è completamente decorata, ripartita dai fregi, scavata dalle nicchie, cesellata nelle volte, impreziosita dalle vetriate colorate e da caleidoscopi di specchi. Si sviluppa in un solo piano bidimensionale senza giochi prospettici e di volumi così non c’è una gerarchia di elementi e, da qualsiasi punto, la visione è la stessa. Le decorazioni conferiscono varietà e intersecarsi di forme con lo stesso effetto che si ha nei tappeti dove, su una superficie piana, il disegno determina dimensioni molteplici. L’interno è un’esaltazione dello stesso procedimento (Fig. 7). Si celebra e rappresenta la sovranità, ma non con la gerarchia dei volumi e la imponenza delle dimensioni. Le stanze hanno tutte un semplice modulo costruttivo ma sono completamente decorate, dalle pareti, alle vetrate colorate delle shabaka, al soffitto totalmente istoriato. Si è immersi in un mondo di fiori, piante, 153 Pietro Laureano vegetazione e animali stilizzati o naturalistici, avvolti dalla luce filtrata dal mosaico delle vetrate, rapiti dalle trame e dalle sensazioni. Le decorazioni ripetono uno stesso racconto ribadito dal simbolismo dei disegni e dei colori. Sono stati usati solo pigmenti naturali per realizzare i quattro colori fondamentali che richiamano i quattro elementi in un caleidoscopio di significati. Il giallo è terra e cibo, perché i campi maturi sono gialli, ed è anche il colore della maestà, infatti al sovrano si deve la prosperità. Il verde è acqua, vegetazione e vita. Il blu è il colore del cielo e della divinità. Il rosso è fuoco, è la fiamma guizzante e la pianta che ondeggia, è la donna che porta in sé il ciclo del sangue, la passione e le nascite. Il palazzo, specchio della sovranità, riflette al suo interno l’intera città con i suoi giardini. Nella ripetizione, gli annidamenti e le molteplici dimensioni, inscena il ciclo delle stagioni, il lavoro e lo svago, la guerra e la pace, la vita e la morte, il tutto nell’uno. 8. Dilmun, l’oasi isola, paradiso dei Sumeri I confini meridionali dell’impero achemenide si estendono dalla Mesopotamia lungo il Golfo Persico, Il Golfo dell’Oman e il Mare Arabico fino alla valle dell’Indo comprendendo civiltà che, tramite le navigazioni e gli scambi commerciali, hanno sviluppato fenomeni culturali comuni. Hanno tutte un rapporto molto particolare con la natura in cui la coltivazione, la creazione di luoghi panoramici di osservazione, contemplazione e simbolici, le piantagioni di alberi lungo i fiumi e nei giardini avevano un carattere insieme produttivo e sacro. I Sumeri dal 4.000 BCE occuparono le terre tra il Tigri e l’Eufrate inglobando le culture neolitiche semite di Obaid, Uruk e Ur diffuse in tutto il deserto arabico. Alla cultura di Obaid si devono le prime esperienze idriche nella costruzione di pozzi, superfici di captazione, argini e canali, i recinti e trincee sub circolari, gli allineamenti di pietre cosiddetti a buco di serratura, gli estesi campi di tumuli. A partire da queste i Sumeri dettero luogo nel 3.000 BCE alle civiltà urbane. Fulcro delle città era la Ziggurat, una piramide terrazzata a più piani. Sulla cima si trovava un tempio utilizzato come osservatorio astronomico e alla base i magazzini per conservare il cibo e le risorse della città. Dai disegni riportati in tavolette di argilla sui gradoni terrazzati risultano alberi e vegetazione proprio come nei più tardi giardini pensili di Babilonia noti come una delle meraviglie del mondo antico. Sono evidenti i caratteri comuni con i palazzi del paradiso Zoroastriano posti su terrazze sovrapposte. Anche l’uso del chahar taq, la struttura aperta alle quattro direzioni, e le divisioni quadripartite geometriche dei padiglioni dei Giardini Persiani fanno parte di concezioni, motivi geometrici e simbolici propri alla Mesopotamia, le civiltà della Valle del Sindh, in Pakistan, fino all’India. Le antiche civiltà dell'Indo si svilupparono parallelamente a quelle del Tigri, dell'Eufrate e del Nilo. Quando dal terzo millennio si formarono complessi urbani lungo i fiumi, ai margini di queste aree, in Arabia e nei deserti di Iran, Pakistan e India, si intensifica la produzione alimentare grazie alla cultura nomade e alla pastorizia, la caccia e pesca, con pieno sfruttamento delle varie risorse dell'ambiente desertico. La vicinanza delle sponde facilita il commercio tra le due rive del Golfo Persico. La linea costiera è frastagliata da depressioni ed estuari di wadi. Le numerose isole sono separate tra loro e dalla costa da mari poco profondi che sono facilmente attraversati dai cammelli, grazie alla testa posta più in alto di quella di altri animali. Così il deserto e il mare si compenetrano alternando aridità estreme, savana arborea, paludi e lagune. La grande bio diversità, la presenza di differenti ecotoni, nicchie e micro ambienti specifici ha come riflesso la diversità culturale e la formazione di competenze diversificate. Il progressivo adattamento e la specializzazione forgia 154 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini gruppi con le conoscenze necessarie per la sopravvivenza: contadini con cereali e animali, costruttori di abitazioni di terra cruda; pastori nomadi abitanti nelle tende con i loro animali; commercianti pescatori che vivono in capanne con il basamento in pietra e copertura globulare di giunco. Ogni gruppo, organizzato in clan familiari sviluppa e amplifica le competenze nel proprio settore: agricolo, pastorale, marittimo. Nell’alternarsi delle condizioni climatiche si può ricorrere di volta in volta all’adattamento opportuno, garantendo la sussistenza. La differenza tra i gruppi non è etnica né ideologica. Secondo le necessità gruppi nomadi possono compiere una opzione sedentaria, tornare alla vita brada dei deserti o praticare le attività marittime. Quando la scelta sarà la cooperazione e l’alleanza in luoghi stabili, si avrà la creazione dell’oasi di mare. Nel Golfo Persico l’isola del Bahrain è stata riconosciuta come la mitica Dilmun, l’isola oasi - paradiso dei testi sumeri, da cui la palma e le altre piante coltivate sarebbero pervenute all'umanità. Nell’oasi isola si praticava in modo intensivo la coltivazione della palma da dattero. L’enorme quantità di tumuli sepolcrali ritrovata ne attestano la caratteristica di luogo sacro. Alla ricerca del Paradiso si recò il re divinizzato di Uruk, Gilgamesh, le cui gesta sono narrate nel primo poema epico della storia dell'umanità. La più antica attestazione del suo nome compare nella lista degli dei rinvenuta a Fara sull’Eufrate nell’attuale Iraq risalente al 2.600/2.450 BCE. Il racconto è giunto a noi su tavolette di argilla in diverse versioni, sumero, accadico, elamita e babilonese. Noto come l’Epopea di Gilgamesh contiene, tra l’altro, la prima narrazione del diluvio universale e della pianta dell’immortalità. Vi si dice che quando il dio Enlil scatena il diluvio universale distruggendo l’umanità il dio Enki salva un uomo, chiamato Ziusudra o Utanapištim a cui affida la costruzione dell’arca e la salvezza di tutte le specie. In premio ottenne la vita eterna grazie ad una pianta coltivata a Dilmun, il giardino paradiso affidatogli. Gilgamesh compie il suo viaggio e, immergendosi in un canale, trova la pianta dell’immortalità che poi perde mangiatagli da un serpente. Le ricerche archeologiche hanno confermato che alla fine del terzo millennio BCE, il centro di Dilmun passò da al-Hasa, nel deserto arabico collegata sino ad allora alla costa da un sistema di paludi e canali, all’isola di Bahrain dove la città fortificata di Qahalat el Bahrain ne divenne la capitale. Questo spostamento coincide con il fatto che Dilmun divenne la principale potenza mercantile nel commercio del Golfo. I ritrovamenti dei celebri sigilli di Dilmun mostrano la estensione in molti altri siti nella regione del Golfo fino all'Oman e allo Yemen e i rapporti commerciali dalla Mesopotamia all’India e l’Africa. La flessibilità delle strategie di sussistenza, insieme alla sua posizione geografica favorevole su una delle principali rotte commerciali del mondo antico, ha dato a Dilmun la capacità di svilupparsi in una civiltà unica e la capacità di sopravvivenza in una regione inospitale (Potts, 1983). L’oasi di mare ha forma circolare ancora riscontrabile in oasi di depressioni caratterizzate dalla presenza di acqua affiorante come a Siwa in Egitto. È dovuta all’esistenza di un punto centrale, pozzo o polla d’acqua e canalizzazioni a settori di cerchio sviluppo del modello della cultura neolitica di Obaid. Con il modificarsi de metodi di captazione e distribuzione cambia anche il modello spaziale dell’oasi. Le ricerche archeologiche condotta da Serge Cleuziou e Maurizio Tosi in Oman hanno mostrato l'esistenza di oasi del 3.000 BCE, situate vicino alle miniere di rame di cui hanno permesso lo sfruttamento (Cleuziou e Tosi, 2007). Queste hanno prosperato per tutto il terzo millennio attraverso la coltivazione, all'ombra di palme da dattero, di grano e sorgo e l’allevamento di asini, buoi, pecore, capre e cammelli. La struttura era quella dei pozzi fortificati diffusi in tutta l’Arabia formati da torri o recinti circolari con al centro un pozzo collegato a sistemi di canali nel 155 Pietro Laureano palmeto come quelli rinvenuti a Hili nell’oasi di al Ain. Si sviluppa la tecnica dei canali superficiali che spesso si intersecano tra di loro in quadripartizione chiamati falaj. Per l’esaurimento delle risorse idriche questi siti furono abbandonati nel secondo millennio e riutilizzati intorno al 1300 BCE grazie all'introduzione delle gallerie drenanti sotterranee. Si tratta di una tecnica che, dove non esistono acque apparenti, permette di estrarle dal sottosuolo e canalizzarle in superficie utilizzando solamente la gravità. Le gallerie drenanti, qanat, sono citate in un'iscrizione del settimo secolo del re assiro Sargon II e sono menzionate dallo storico greco Polibio nel secondo secolo BCE (Polibio, storie X, 28). Sono descritte nelle cronache cinesi della dinastia Han nel 53 BCE (II Libro di Han, Storia della Regione occidentale) e sono presenti in molti manuali agricoli di tradizione araba, la monumentale opera dall'agricoltura nabatea dal 1° secolo CE al trattato di Al Karagi dell’XI secolo CE. Le gallerie sono scavate per chilometri lungo il pendio con un allineamento quasi orizzontale al terreno, perfettamente calcolato al fine di mantenere una leggera pendenza e permettere il trasporto dell’acqua nei luoghi di coltivazione. Il loro modo di operare è determinato dalle situazioni ambientali variando da una funzionalità di semplice convogliamento d’acqua, simile ad un acquedotto sotterraneo quando nelle situazioni a monte ci sono sorgenti, a una vera e propria capacità di produrre acqua, tramite la captazione di microflussi e il vapore atmosferico, nelle situazioni iperaride (Laureano, 2012). Ai qanat sono abbinati una serie di altri dispositivi come mulini e frantoi sotterranei e sistemi di climatizzazione come i badgir le cui torri captano e distribuiscono il vento nella abitazione raffrescato tramite il passaggio nella canalizzazione. La tecnologia delle gallerie drenanti diventa un fattore determinante per la creazione di oasi che a partire dal primo millennio sono sviluppate su grandi estensioni territoriali dagli imperi per strutturare le carovaniere intercontinentali. La diffusione è attestata in molteplici aree geografiche con una grande varietà di denominazioni: qanat in Iraq e Iran, karez in Cina lungo la via della seta, falaji Oman, surangan in India khettara in Marocco, foggara in Algeria, guettara e m’louka in Tunisia madjirat, cimbras, mine, zanias in Spagna, cunicoli, ingruttati, bottini in Italia, mambo in Giappone. La rete di oasi struttura il commercio attraverso le vie carovaniere che, grazie alla diffusione inter continentale dei deserti nel vecchio continente, permettono gli scambi sull’intera Terra emersa eurasiatica e ne rendono possibile anche la circolazione delle idee e concezioni. 9. Specchio del cielo e mondo sotterraneo: i bacini d’acqua di Shushtar Nell’Iran Sud Occidentale, il Kuzestahn, al confine con l’attuale Irak si sviluppò dal 2400 al 539 la civiltà Elamita in rapporto con gli antichi regni mesopotamici dei Sumeri e degli Accadi, loro successori. La capitale elamita era Susa, oggi un importante sito archeologico, 60 km a nord-ovest dell’attuale Shushtar. A Chogha Zambil trenta chilometri a sud-ovest di questa stessa città si eleva il più grande centro cultuale di questa civiltà, una ziggurat di antica tradizione sumera, risalente al 1.275 - 1.240 BCE (Fig. 8). L’area, completamente desertica, è attraversata dal fiume Karun parte del bacino idrografico dell’Eufrate. Le popolazioni hanno nel tempo sviluppato tecniche ingegnose per sfuggire l’arsura e utilizzare le risorse del fiume. Siamo abituati a considerare la Ziggurat un monumento isolato che si eleva verso il cielo tralasciando la parte non visibile della struttura, quella semi sotterranea, realizzata nella massiccia mole e collegata alla rete di lavori di scavo e idraulici, opere fondamentali per la comprensione del complesso nel contesto urbano e ambientale. Sono state 156 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini rinvenute superfici impermeabilizzate con bitume, canali per intercettare l’acqua, e ingegnosi dispositivi di camere scavate in successione per filtrarla. È difficile comprenderne tutti gli usi specialmente rispetto a quelli agricoli e vegetali deperibili e di problematica individuazione archeologica. Numerose tecniche sono ancora diffuse nella regione per difendere le piante dalle temperature usando cavità scavate per la coltivazione. La vite, che si ramifica in altezza, viene piantata in profonde buche. La chioma emerge dal terreno per captare i raggi del sole mentre la gran parte della pianta rimane al riparo nel sottosuolo dove può usufruire di protezione e umidità realizzando veri e propri giardini sotterranei. La terra di scavo viene ammassata in cumuli a terrazza funzionali per l’inerzia termica, per altre attività agro pastorali e liturgie familiari. Conosciamo solo una piccola parte di queste opere che dovevano realizzare una complessità di interazioni, sia pratiche che simboliche, tra l’uso dello spazio sotterraneo e il tumulo che, come la ziggurat monumentale, si eleva verso il cielo. Un esempio della organizzazione a scala urbana della gestione dell’acqua è riscontrabile nella città di Shushtar (Fig. 9) che realizza nella varietà ed elaborazione delle funzioni una meraviglia dall’alto valore scenico e simbolico. In mezzo al deserto i palazzi, le logge, i giardini e le terrazze di Shushtar si ergono intorno a un bacino, specchio del cielo, in cui si riversano acque di provenienza non apparente da cui, come in un gorgo abissale, spariscono in cavità sotterranee senza alcuna fuoriuscita visibile. Il risultato è ottenuto grazie a un sistema complesso di scavi, movimento e accumulo di terra e opere idrauliche che organizzano e modellano, secondo la gravità e il flusso d'acqua, l'intera città e il paesaggio su una vasta scala territoriale. Grazie a queste opere, le inondazioni del fiume Karun sono state regolate e convogliate verso il deserto dove per mezzo di argini e canali, bacini e serbatoi creano spazi per l'agricoltura e anche la pesca. L’abitato antico è collocato intorno a una grande area che è stata tutta scavata per formare, nei depositi alluvionali della pianura desertica, una depressione. Qui vengono indirizzate le acque del fiume Karun, che scorre vicino la città. Il fiume è sbarrato più a monte con una diga di ripartizione per deviarne una parte fino alla depressione attraverso il canale Gargan che corre in alcuni tratti a vista e in altri sotterraneo. L'acqua è convogliata nel sottosuolo passando al di sotto dell’abitato fino a sgorgare nella depressione. In questa il livello dell’acqua è tenuto ancora più basso da ulteriori cavità che ne garantiscono il deflusso. Si crea così un salto di quota alla fuoriuscita dei tunnel che si aprono sulle pareti tutto intorno e danno luogo a numerose cascate d’acqua. L’aumento della velocità dei flussi e le cadute d’acqua vengono utilizzate per azionare le macine di mulini nelle cavità lungo il perimetro del bacino. I flussi sono regolati attraverso un sistema di dighe, chiuse, ripartitori, tunnel, canali e bacini a vari livelli che creano questo sorprendente paesaggio formato da laghi nel fondo di pozze e crateri artificiali in cui si riversano cascate. L’acqua circola grazie al calcolo preciso delle line di gravità a partire degli sbarramenti sul fiume attraverso le gallerie alimentando i bacini ipogei nelle case che così hanno acqua corrente e un sistema continuo di raffrescamento. Le abitazioni grazie alle canalizzazioni sotterranee, l’architettura adatta allo scopo, lo spessore delle pareti, i materiali costruttivi e i condotti di areazione che collegano le cavità alle torri del vento, godono di condizioni climatiche ottimali. Di numerosi ambienti sotterranei ora in abbandono non si conoscono gli usi e potevano essere dedicati all’allevamento, lo stoccaggio o lavorazioni e produzioni artigiane. L’estensione e vastità delle cavità fa pensare a attività di tipo agro pastorale e manifatturiero estese ed elaborate. Non è possibile dare una precisa datazione delle opere idriche perché continuamente utilizzate nel tempo sono oggetto di continuo riuso e di interventi che si sovrappongono per periodi 157 Pietro Laureano estremamente lunghi. Le più antiche strutture risalgono alla civiltà elamita quando si realizzarono i grandi lavori di sterro canalizzando le acque del fiume Karun. Durante il periodo del grande impero iraniano, dal 550 BCE al 330 BCE, furono eseguiti acquedotti e dighe di ripartizione sul canale Gargar, controllando e suddividendo le acque, per azionare i mulini. L'imponente galleria che trasporta le acque del fiume Karun verso la città e i suoi campi, risale al Re dei Re Achemenide, Dario il Grande (521-485 BCE) ed è tuttora conosciuta come Nahr e Dariun, il canale di Dario (Fig. 10). È possibile che le esperienze a Shushtar negli intensi lavori di ingegneria idraulica sotterranea abbiano dato origine alla tecnologia dei qanat a cui le dinastie regnanti dettero impulso. Il qanat rinvenuto nell’oasi di Kharga in Egitto è stato datato proprio all’epoca della occupazione Persiana. I sovrani achemenidi crearono il contesto favorevole e adottarono le istituzioni giuridiche necessarie di antica origine mesopotamica per lo sviluppo delle tecnologie idriche locali in tutto l’impero e nei paesi collegati e usarono la realizzazione di giardini e palazzi a scopo di propaganda e immagine politica. Le dinastie regnanti hanno promosso queste attività attraverso norme e con interventi diretti nelle opere a più larga scala. I nobili e i ricchi potevano permettersi i costi di opere imponenti, come scavare i qanat, modellare il terreno, importare le piante, progettare e architettare il giardino. Questo diventa il centro di sperimentazione di buone pratiche e di affermazione di immagine. Proprio nelle terre aride, non c’è niente di meglio per mostrare la potenza e la dignità che trasformare la zona in un luogo abitabile e piacevole. Tuttavia, tranne nel caso di totale e nuova fondazione da parte di un sovrano, gli insediamenti e città sono il risultato di una continua applicazione e sviluppo locale a cui contribuisce la cooperazione e tutta la comunità. Le opere idriche, in particolare, poiché indispensabili per vivere, sono introdotte fino dal primo insediamento e, nel tempo, costantemente restaurate ed elaborate. Aumentano a tale punto di complessità e imponenza che spesso la stessa tradizione locale le attribuisce al volere di un potente sovrano. Questi, per avere promosso un’opera, finanziato il restauro o l’ingrandimento di quelle esistenti, è ricordato, nelle fonti di archivio, in targhe di iscrizione o nella memoria comune, come l’unico realizzatore. A Shushtar si comprende come il complesso ed elaborato sistema idrico sia risultato di un lungo processo di elaborazione le cui radici rimontano alla storia e le pratiche dei popoli. La maggior parte delle case e dei palazzi iraniani erano collegati con sistemi di captazione di acque, spazi sotterranei giardini facenti parte di una cultura diffusa e antica. Nelle campagne numerosi tecniche erano messe in atto per gestire le acque, potabilizzarle, ombreggiare il terreno, proteggere e fertilizzare le piante. Oltre che le opere funzionali come prese d'acqua, ponti, dighe, sbarramenti, fosse, cumuli di terra, torri di misurazione e controllo dell’acqua, canali, condotte sotterranee, condotte forzate, condotti di areazione, grandi bacini vi sono anche strutture simboliche come luoghi di culto sotterranei, bacini di purificazione, tumuli, fonti battesimali e sale per abluzioni. Tutte le religioni hanno considerato l’acqua l’elemento fondamentale nei culti e le cerimonie. Ognuna ha lasciato le sue tracce come i templi della divinità dell'acqua Elamita, Anahita, celebrata sui giardini pensili delle Ziggurat o su semplici cumuli di terra; i quattro elementi di culto zoroastriano del periodo Achemenide rappresentati nell’Avesta con i quattro fiumi che dalla montagna si riversano nei 4 giardini; i bacini ottagonali delle liturgie sabee e le sale di abluzione dell’Islam. L’inserimento di piante e la realizzazione di aree verdi, intrinseci alla cultura dei popoli dei deserti, sono sempre stati reputati in Iran uno strumento per avere la possibilità di ascendere al Paradiso tanto che tagliare o sradicare alberi è considerata un’azione malaugurata. Questo sentimento religioso popolare e le competenze agricole e produttive del mondo rurale, agro pastorale e delle oasi, sono la base per la creazione della città. 158 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini 10. Dalla Persia all’Europa: le ceneri di Persepoli Le prime fonti storiche dell’introduzione nella cultura occidentale del giardino persiano risalgono a Senofonte. Questi era uno dei 10.000 spartani che parteciparono alla celebre spedizione come mercenari di Ciro il Giovane che fu satrapo delle provincie di Lidia, Licia e Cappadacia dal 408 BCE al 401 BCE anno della sua morte. Senofonte descrive il giardino di Sardi chiamato il pairi daeza e riporta le parole di Ciro il Giovane, che lo aveva realizzato, al generale spartano Lisandro: “Ho piantato tutti gli alberi. Ho misurato i lotti e fatto scavare le buche. Posso persino mostrarti i molti alberi che ho piantato di persona” (Senofonte, Economico, 48-51). Ciro il Giovane perpetua una tradizione risalente ai suoi grandi predecessori Ciro II il Grande, imperatore dal 559 al 530 BCE, e Dario I dal 522 al 486 BCE che avevano fondato rispettivamente le capitali di Pasargadae e Persepoli dotate di splendidi giardini. A Pasargadae le fotogrammetrie hanno rivelato la trama ortogonale dei giardini. Di Persepoli riferisce Erodoto che Serse imperatore dal 486 al 465 BCE vi aveva compiuto importanti lavori supervisionando la costruzione della Porta delle Nazioni, la Sala delle Cento Colonne e il completamento dell’Apadana, e aveva ordinato a tutti i governatori delle città all'interno dell’Iran, o in altre città dell'impero anche al di fuori dei confini, a realizzare giardini ad esempio del pairi daeza a cui fa riferimento quando menziona le strutture che ha costruito. Persepoli, conquistata quasi senza combattere nel 330 BCE, è stata deliberatamente incendiata e distrutta da Alessandro il Grande tramandato, per questa e altre efferatezze, nella memoria persiana come uno scellerato saccheggiatore e devastatore. Molto si è dibattuto sui motivi di questa azione ritenuta estranea allo spirito di Alessandro che in altre occasioni si era dimostrato rispettoso del passato storico ed estimatore della cultura persiana. L’ipotesi più accreditata è la vendetta per la distruzione di Atene da parte di Serse nel 480 BCE. Diodoro Siculo la ritiene un’azione preventivamente decisa ed eseguita in un eccesso di delirio dionisiaco. Dopo alcuni mesi di permanenza, portati via i tesori saccheggiati, che avevano richiesto un carico di 10.000 muli e 5.000 cammelli, Alessandro e i suoi compagni, festeggiano la vittoria con un simposio. Istigati da Taide, una cortigiana ateniese, che voleva vendicare i santuari greci bruciati dai Persiani, ebbri di vino e in preda all’esaltazione formano un corteo dionisiaco con fiaccole in mano accompagnati da suonatori di flauti e zampogne. Alessandro per primo avrebbe scagliato la torcia nella reggia di Serse dando inizio alla furia incendiaria (Diodoro 17, 72, 1-6). Le ricerche archeologiche a Persepoli hanno confermato la vicenda attraverso il ritrovamento di uno strato di cenere che copre il palazzo che fu costruito da Dario e sviluppato da Serse e Artaserse I. La città non fu mai ricostruita ma le sue vestigia sono tuttora la splendida testimonianza della gloria degli imperatori Achemenidi. Persepoli è collocata ai piedi della parete scoscesa di una montagna a cui si appoggia per uno dei 4 lati dove sono scolpite le tombe reali (Fig. 11). È formata da una terrazza artificiale di pietra calcarea di 440X300 metri alta 14 metri realizzata scavando, riempiendo e livellando la roccia naturale. Al di sotto scorrono i tunnel per le acque di scarico e un grande serbatoio è scavato nella parte orientale della montagna. La terrazza si elevava a sua volta in 4 livelli ricchi di magnifici complessi come il grande Apadana, il Palazzo delle Cento Colonne, il Tachana, disposti secondo una pianta ortogonale. Sono adornati da possenti colonnati, imponenti architravi, portici slanciati, statue colossali di sfingi e tori alati e murature di pietra rivestite di piastrelle di smalto colorato. L’accesso alla prima terrazza si fa tramite la splendida scalinata a doppia rampa simmetrica divisa 159 Pietro Laureano in due tratti, i primi in direzioni opposte, i secondi convergenti verso la Porta di Tutte le Nazioni e il viale delle processioni. I rilievi e le incisioni scolpite sulla pietra della parte sud dell’Apadana mostrano l’esistenza di piante come il loto, riconoscibile dai dodici petali, la palma e gli alberi di pino e cipresso disposti in file ordinate su terrazzamenti. Illustrano il percorso della processione composta da delegazioni che venivano da ogni parte del mondo a recare omaggi al Re dei Re e Re di Tutte le Nazioni (Fig. 12). La città è la celebrazione di questa cerimonia, rito di propaganda politica e sentimento religioso. La scalinata monumentale di ingresso ha una pendenza minima per permettere agli offerenti una salita solenne. Attraverso giardini e vie d’acqua le delegazioni procedevano verso le terrazze successive dai cui portici, padiglioni e aiwan li osservavano i dignitari divisi, nei rispettivi ripiani, in quattro gerarchie crescenti: i nobili, i funzionari, gli amministratori e la famiglia reale. Persepoli non è una capitale burocratica, è una città immagine fatta per mostrare; non respinge con fortificazioni e mura, si presenta su un podio; non si chiude, accoglie per celebrare. È un giardino paradiso, armonia degli elementi, ascesa verso il cielo. Ancora oggi, osservandone le rovine, si può capire che Alessandro rimase abbagliato dalla città, fino ad allora tenuta segreta come uno scrigno prezioso, tanto che i Greci non ne conoscevano nemmeno l’esistenza. Capì che Persepoli avrebbe per sempre tramandato la gloria dei suoi nemici trasmettendo il messaggio di sublime bellezza, grandezza e filosofia del mondo persiano. Per questo ha dovuto distruggerla. Ma, così, ne ha fatta propria l’idea e contribuito a diffonderla. Alessandro fu allievo di Aristotele il quale si narra gli avesse chiesto una pianta e un libro da ogni luogo raggiunto. In tutto il mondo ellenistico, dalle città-oasi nel deserto alle grandi capitali di fondazione, furono creati giardini di sperimentazione e adattamento di piante e animali alla stregua di quelli persiani, da cui derivarono le forme e la concezione. A Petra sono stati rinvenuti bacini d’acqua con padiglioni quadripartiti e i Seleucidi e Tolomei realizzarono ad Alessandria in Egitto giardini come luoghi di contemplazione, ispirazione e conoscenza. Già Zoroastro insegnava in un giardino. I suoi 4 elementi sono ognuno alla base della concezione dei filosofi presocratici dell’Anatolia e Pitagora ne celebrò la sacralità nel simbolo della tetractys (il sacro quattro). Si dice che Pitagora avesse ricevuto gli insegnamenti dei Magi, la casta sacerdotale zoroastriana, tenesse la sua scuola in una grotta e coltivasse erbe officinali. Nella Grecia post-Alessandro le influenze persiane si estesero in misura sempre maggiore. Teofrasto, il creatore della botanica, ereditò da Aristotele la conduzione del Liceo, dove l’insegnamento si svolgeva in modo peripatetico, camminando sotto i portici di un giardino e all’ombra di un platano. Epicuro (342-270 BCE) possedeva un giardino dove fondò la sua scuola che lasciò in eredità ai sui discepoli che avessero continuato gli studi di filosofia. L’interesse per i giardini si perpetua attraverso il mondo romano e bizantino. Lo storico Ammiano Marcellino, che partecipò alle campagne militari romane in Persia nel 370 BCE, nella sue Res Gestae, descrive un grande giardino nei pressi di Ctesifonte in cui si conservavano vari tipi di piante e animali, con padiglioni dipinti da scene di caccia. L’esercito romano diffuse in Occidente il culto misterico di Mitra, preposto nella religione zoroastriana, ad accompagnare le anime in Paradiso. Era celebrato il solstizio di inverno in ipogei in seguito, spesso, trasformati in chiese e fu identificato con l’Arcangelo Michele. Le ville romane erano fattorie produttive con corti porticate a giardino. Nelle ricche dimore di Pompei e Roma gli affreschi riprendono i temi di decorazioni di piante e animali di tradizione ellenistica e bizantina. Dall’atrio delle ville romane derivano i chiostri, da claustrum luogo chiuso, giardini murati di meditazione e produzione diffusi in tutta Europa dal movimento monastico. La realizzazione di eremi e cenobi cristiani era sentita come la creazione di un paradiso nel deserto. 160 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Durante i primi secoli del cristianesimo i monaci si ritirarono proprio nei deserti dell’Egitto e della Libia, regione che sotto la dinastia dei Tolomei, era chiamata la Tebaide e aveva la responsabilità della navigazione sul Mar Rosso e sull'Oceano Indiano. I monasteri basiliani, benedettini e cistercensi rispondevano a regole precise di costruzione e orientamento. Il chiostro, hortus conclusus, racchiuso da mura, ha il pozzo nel centro della quadripartizione che, con sincretismo religioso, è identificata come il simbolo della croce. Nel giardino si praticava la meditazione silenziosa e la preghiera ma anche si coltivavano ortaggi, frutta, erbe medicinali e si sperimentavano tecniche di irrigazione e agricoltura. I monasteri con la promozione di conoscenze e tecnologia, la conservazione e riproduzione dei libri antichi divengono l’ossatura di quel processo di rinnovamento di tutta l’Europa che sfocia nel Rinascimento. A questi sviluppi contribuiscono i contatti e gli scambi con il mondo musulmano che nella sua espansione intercontinentale diffonde tecniche idriche, coltivazioni e il simbolismo del giardino. Nel XIII secolo si crea a Salerno il giardino dei semplici, il primo orto botanico europeo, in cui si coltivavano piante officinali e che rappresentava il punto di arrivo delle prime classificazioni sistematiche e delle scienze mediche. A queste conoscenze contribuirono le competenze, dottrine e scuole islamiche che dall’VII al XIII sec. CE fanno sentire la loro influenza in tutto il Sud Italia veicolate dalle conquiste e anche dalle divergenze, scontri e diaspore che ne seguirono. Sono note le contrapposizioni, conflitti e scissioni che contraddistinguono la storia dell’Islam. La prima grande divisione è quella tra Sunniti depositari dell’ortodossia libertaria e indipendentista dei gruppi nomadi che volevano un affidamento elettivo del potere alla morte del profeta Maometto e gli Sciiti propugnatori della discendenza del genero del profeta Alì che fu assassinato. I primi hanno storicamente caratterizzato la cultura araba, i secondi quella persiana favorevole a un sistema dinastico consono alla sua tradizione imperiale. Nei primi secoli dell’Islam la dinastia Ommayyade, di fede sunnita, conquista tutta l’Africa settentrionale e l’Andalusia servendosi di guerrieri e condottieri yemeniti in possesso delle conoscenze idrauliche e metodi di coltivazione nelle zone aride. Successivamente con il predomino degli Abbasidi si attua il sopravvento dello sciismo e l’antica cultura persiana permea tutto il mondo islamico. Il califfo abbaside Al Mansour fonda nel 762 CE la nuova capitale in Irak sul Tigri nel luogo di un antico giardino persiano dal nome Bagh Dad e che da questo sarà chiamata Baghdad. Alla città fu data una pianta circolare con due assi che si incrociano al centro nella forma quadripartita dove fu collocata la Casa della Saggezza che raccolse le traduzioni di tutti gli antichi libri persiani e riunì i più grandi studiosi da tutto il mondo. La forma circolare era già presente nella vicina Ctesifonte celebre per il grande Iwan di terra cruda alto 40m e largo 27 e i suoi giardini, capitale della dinastia persiana Sasanide. La struttura circolare richiama gli antichi luoghi di culto zoroastriani come il giardino Firooz Abad in Iran, un cerchio sacro che racchiude un bacino tondo da cui l'acqua fluisce per le coltivazioni. Un astrologo ebreo e uno persiano tracciarono il perimetro di fondazione di Baghdad spargendo sulla sabbia nafta che, infiammata con torce, visualizzò in un cerchio di fuoco la forma della futura capitale. Sono evidenti i rapporti con lo zoroastrismo da sempre l'anima della cultura persiana. Si conferma la relazione tra giardino e città caratteristica dei popoli del deserto. Nei nuovi impianti urbani si applica la forma e il simbolismo dei giardini e nello sviluppo ed evoluzione storica la città si estende sulla trama idro-agricola. Nella consuetudine iraniana la città si rappresenta nella strada principale tra i giardini. La quadripartizione è un elemento della vita urbana dotandosi di edifici scenici e funzioni di svago e passatempo. Le abitazioni sono collocate in base alle norme e dispositivi che regolano i giardini in particolare la distribuzione dell’acqua, gli spazi sotterranei e le torri di areazione. L'importanza delle varie parti 161 Pietro Laureano della casa è caratterizzata dalla vista sul giardino e gli spazi verdi. L’iwan, la veranda o una semplice alcova, sono considerati gli spazi più importanti e disposti lungo l’asse del giardino. Con l’Islam il simbolismo è assunto, rinnovato e reinterpretato in un continuo sincretismo. La quadri ripartizione rappresenta il mondo, i quattro elementi, regole e geometrie che trascendono la sfera terrestre. La professione di fede islamica è caratterizzato dalla doppia negazione: non c’è Dio all’infuori di Dio. Questa è riconosciuta nella quadripartizione come l’incrocio dei due assi che si negano e si congiungono al centro nell’unità. Dal IX al XIII sec. BCE la dottrina ismaelita, una estremizzazione dello Sciismo, diventa un movimento politico da cui sorsero i Fatimidi che dominarono in Egitto, Africa settentrionale, Sicilia con forti presenze in tutto il Sud Italia. Base del movimento era il pensiero nomade e libertario dei clan del deserto e anche l’operosità di piccoli coltivatori e commercianti. I Fatimidi diffusero nuove varietà di cedri, aranci e limoni, le coltivazioni dello zafferano, il carrubo e il pistacchio, raffinate tecniche di irrigazione di origine babilonese ed egiziana e nuovi ingegnosi congegni idraulici. Il loro gusto nel piantumare e crescere ulivi, melograni, mandorli, albicocchi, peri, e numerose varietà di agrumi si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo tanto che in Sicilia le coltivazioni produttive vengono ancora oggi chiamate giardini. L’ismaelismo era una religione esoterica e il potere fatimida si basava allo stesso tempo su un impero inter continentale, una setta religiosa e una organizzazione segreta. Fuori dai domini, in posizioni inaccessibili a controllo di risorse strategiche e vie commerciali, vengono creati capisaldi fortificati come nelle Rabatane, di Tursi, Tricarico e Pietrapertosa in Basilicata, e a Frassineto, La Garde Freinet (Jabal al-qilal, monte degli alberi), e Ramautelle (Ramat Allah), in Provenza, quest’ultimi opera di dissidenti ommayadi andalusi. Le conoscenze islamiche nell’idraulica e la creazione di oasi si fondono con la tradizione berbera del controllo del territorio senza organizzazione statale tramite presidi e granai fortificati su vette inaccessibili. Su crinali a sorveglianza di itinerari, via fluviali e risorse preziose per gli scambi internazionali, come il legname e la pece per la navigazione, in luoghi privi di acqua e di suolo vengono create coltivazioni, insediamenti urbani e empori commerciali. Come nel movimento di monaci guerrieri sviluppato nei successivi ribat almoravidi questi complessi fortificati sono allo stesso tempo centri di diffusione spirituale, speculazione filosofica, conoscenze naturali e addestramento. La loro attività è di difficile ricostruzione perché gli affiliati potevano dissimulare la loro fede religiosa e avevano una condotta basata sulla concezione della storia fatta di periodi di manifestazione e di occultamento. La numerologia, il pensiero neo pitagorico e gnostico hanno un ruolo fondamentale che si riflette nella concezione architettonica e nei giardini. Raffinate realizzazioni sono i sistemi d’acqua Aglabidi a Kairouan (Fig. 13), in Tunisia con la splendida moschea e il suo minareto a piani sfalsati come una Ziggurat (Fig. 14), i giardini di Palermo, Granada e Siviglia dove le sale d’acqua sotterranee e i criptoportici hanno il nome di giardini persiani (Fig. 15). Al crollo della dinastia Fatimide il movimento si perpetuò nella celebre setta degli Assassini di cui è noto l’uso della simbologia del giardino (P. Filippani-Ronconi, 1973). Marco Polo descrive il giardino di Alamut ai piedi del Caucaso da dove il loro capo Hasan I Sabbah, conosciuto come il Vecchio della Montagna, comandava agli adepti distribuiti in rifugi inaccessibili di tutto il mondo i delitti che condizionarono le vicende politiche del periodo. I seguaci inebriati e storditi dall’hashish, da cui è derivato il termine assassino, venivano risvegliati in questo giardino di delizie dove potevano godere di cibi prelibati e donne bellissime. Ritenendo di essere in Paradiso erano convinti di tornarvi appena morti, così erano disposti a dare la vita in qualsiasi momento e pronti a ogni 162 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini impossibile missione. Al di là delle esagerazioni di colore e la forzatura di presentare come fanatici drogati quelli che erano colti e ispirati uomini di fede la vicenda di questi sicari, che ebbero un ruolo importante in seno all’Islam sciita durante le crociate, contribuì alla leggenda del giardino dimostrandone il valore propagandistico e favorendone il mito nelle epoche successive. La propensione conoscitiva enciclopedica e sincretica del Rinascimento vede nel giardino la summa di tutti questi aspetti: luogo mitico della creazione, della vita e della fertilità, metafora di spiritualità e fede, spazio di esaltazione dei sensi, ispirazione letteraria e artistica, rappresentazione e celebrazione del potere, ma anche laboratorio di piante, animali e tecniche, centro di formazione, insegnamento e speculazioni filosofiche. Anticipate dalle realizzazioni di Sicilia e Napoli, a Firenze si creano giardini sintesi delle nuove idee rinascimentali e delle concezioni neopitagoriche e neoplatoniche (Fig. 16). Nel 1462 Marsilio Ficino, fonda per incarico di Cosimo de’ Medici l’Accademia neoplatonica che ebbe la sua sede nella Villa medicea di Careggi e il suo splendido giardino. A Pisa si realizza nel 1543 un giardino botanico a cui seguono quello di Padova che, con la sua forma circolare quadripartita racchiudente riquadri dalle precise regole matematiche e significato numerologico, è la sintesi delle concezioni botaniche pratiche e magico simboliche. A Roma in Vaticano la prima cattedra di botanica fu istituita nel 1513 parallelamente a un giardino dei semplici a cui si dedicò anche Leonardo da Vinci che basava la sua ricerca sull’attenta osservazione della natura. Il giardino è luogo di indagine analitica, sperimentazione e individuazione di leggi e armonie non separabili dall’incanto e la contemplazione: lo scorrere dell’acqua, le sue turbolenze, l’intersecarsi dei cerchi di propagazione d’onda in una vasca, la distorsione ottica di uno stelo immerso, l’umidità che risale all’interno del fusto, la forza che ne spinge la crescita, il conteggio dei petali di un fiore, il suo sbocciare e deperire, la fragranza che permane, l’eterno ritorno della memoria. L’opera di Leonardo innesca quel processo di sintesi tra speculazione filosofica e applicazioni pratiche che darà impulso a tutta la scienza occidentale. Nel 1512 Leonardo ridisegna le proporzioni umane così come erano state indicate nel manuale di architettura da Vitruvio (80 BCE circa - 20 BCE circa). Raffigura la quadripartizione con l’uomo vitruviano inserito in un quadrato e in un cerchio. Nelle opere di autori precedenti risultava difficile fare coincidere le estremità delle mani e dei piedi con le forme geometriche. La soluzione geniale ed estremamente avanzata di Leonardo è ottenere la corrispondenza sdoppiando il personaggio in due immagini sovrapposte. Così, tramite il movimento e l’evoluzione, si ha l’armonia dell’uomo, misura del cosmo. Oggi a fronte delle catastrofi ambientali, la crisi urbana e il collasso degli ecosistemi la visione olistica che il giardino esprime è sempre più attuale. Non c’è un giardino in Persia? Ma se il giardino è un’oasi e questa è un modello di armonia e responsabilità ambientale, allora sono un giardino tutti i luoghi, dell’animo o del reale, che abitiamo con conoscenza e amore. Il giardino è il luogo dove le ispirazioni e le idee si riflettono nel divenire, si alimenta la memoria e si rendono concrete le passioni; è lo spazio dell’immaginario e della pratica, della conoscenza e della esperienza, del profumo e della rosa. Il giardino insegna che la presenza umana si realizza in un ciclo di trasformazione ed evoluzione, nel continuo deperire e apparire, nell’alternanza dell’essere e il nulla. Dalle ceneri di Persepoli si perpetua il messaggio di quel luogo recintato, pairidaeza, nato dalla terra, l’acqua, il cielo e il fuoco del deserto. Se c’è un paradiso è in terra è qui, è qui, è qui. Sa‘di (Fig. 17) 163 Pietro Laureano Riferimenti: S. Cleuziou, M. Tosi, In the shadow of the ancestors: the prehistoric foundations of the early Arabian civilization in Oman, Muscat, 2007 P. Filippani-Ronconi, Ismaeliti ed “Assassini”, Basilea, 1973. N. Gholamreza, Persian Gardens , Payam publisher, Tehran 2006 Khansari, Mehdi et al., The Persian Garden: echoes of paradise, Mage Pub, 1997. P. Laureano, Abitare il deserto: il giardino come oasi, in Il Giardino Islamico, Electa, Milano, 1994. P. Laureano, La Piramide Rovesciata, il modello dell'oasi per il pianeta Terra, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. P. 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L’abitato viene mantenuto fresco dall’aereazione fornita dai tunnel e fornisce rifiuti per fertilizzare i campi. L’acqua scorre superficiale nei giardini un una rete di diramazioni ripartita secondo le proprietà. Il sistema gestisce la risorsa idrica in un ciclo di utilizzo che non solo è compatibile con le quantità rinnovabili disponibili, ma le aumenta (Laureano 1995). 166 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Fig. 4 Tempio del fuoco XVII sec., Baku Azerbaijan Fig. 5 Isfahan, Charbagh, XVI sec., Iran 167 Pietro Laureano Fig. 6 Palazzo del Khan, Sheki XVIII sec., Azerbaijan Fig. 7 Palazzo del Khan interno, Sheki, Azerbaijan 168 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Fig. 8 La Ziggurat di Chogha Zambil, II millennio A.C., Iran Fig. 9 Shushtar, Iran 169 Pietro Laureano Fig. 10 Il sistema dei canali sotterranei VI-V sec. A.C., Shustar, Iran Fig. 11 Persepoli, Iran 170 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Fig. 12 Fregio con terrazzamenti e offerenti, Persepoli Fig. 13 Bacini Aghlabidi, IX sec., Kairouan, Tunisia 171 Pietro Laureano Fig. 14 Quadripartizione e Minareto della grande moschea di Kairouan VII-IX sec., Tunisia Fig. 15 Bacini ipogei nei Giardini dell’Alcazar XII-XIV sec., Siviglia Spagna 172 Tra Persia e Europa. Struttura e simbolica delle oasi e dei giardini Fig. 16 Certosa di Firenze XIV sec., il chiostro rinascimentale quadripartito, Italia Fig. 17 Mausoleo di Sa‘di, Shiraz, Iran 173