Insulae Diomedeae
Collana di ricerche storiche e archeologiche
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STORIA E ARCHEOLOGIA GLOBALE
DEI PAESAGGI RURALI IN ITALIA
FRA TARDOANTICO E MEDIOEVO
a cura di Giuliano Volpe
Contributi di
Sonia Antonelli, Paul Arthur, Lorenzo Baldassarro, Mila Bondi, Gian Pietro Brogiolo, Andrzej Buko,
Franco Cambi, Marco Campese, Consuelo Capolupo, Angelo Cardone, Marco Cavalazzi,
Alessandra Chavarría Arnau, Carlo Citter, Giuliano De Felice, Paola De Santis, Giovanni De Venuto,
Daniela De Francesco, Alessandra A.R. Di Biase, Riccardo Di Cesare, Cosimo Damiano Diella,
Emanuela D’Ignazio, Giacomo Disantarosa, Elisa Erioli, Pasquale Favia, Vincenzo Fiocchi Nicolai,
Girolamo Fiorentino, Giovanni Forte, Maria Teresa Foscolo, Alessia Frisetti, Vittorio Fronza,
Paola Galetti, Maria Teresa Giannotta, Tiziano Giovannelli, Roberta Giuliani, Roberto Goffredo,
Anna Maria Grasso, Enric Guinot, Emilio Martín Gutiérrez, Vasco La Salvia, Marco Leo Imperiale,
Danilo Leone, Mariateresa Lettieri, Daniela Liberatore, Alessandro Luciano, Giuliana Massimo,
Nicola Mancassola, Nunzia Mangialardi, Federico Marazzi, Maria Luisa Marchi, Giuseppe Muci,
Florinda Notarstefano, Donatella Nuzzo, Milena Primavera, Manuele Putti, Daniela Quadrino,
Mauro Rubini, Federico Salzotti, Giuspeppe Sarcinelli, Grazia Savino, Maria Carla Somma,
Lucrezia Spera, Giovanni Stranieri, Josep Torró, Maria Turchiano, Marco Valenti,
Alessandro Vella, Francesco Violante, Giuliano Volpe, Federico Zoni
ESTRATTO
© 2018 Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spirito
tel. 0805333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: info@edipuglia.it
ISBN 978-88-7228-790-3
ISSN 2352-5574
DOI http://dx.doi.org/10.4475/790
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale.
Il caso della Toscana
di Franco Cambi*, Federico Salzotti*
* Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali - Università degli Studi di Siena; franco.cambi@unisi.it, federico.salzotti@unisi.it
The drafting of the Landscape Plan of the Tuscany Region: the contribution of archaeology
This paper arises from the experience of the participation of a group of archaeologists in the drafting of the Landscape Plan of
the Tuscany Region in the years 2011-2015. In the light of the latest experience in the field of applied archaeological research
(Landscape Plans) it can be said that the ordering of archaeological record and its dynamic processing can result in more extensive developments. The promotion of appropriate insights can be the starting point for cognitive pathways aimed at describing (even very complex) planning problems inherent in the history of individual and specific geographic areas. Historical
and archaeological reconstruction therefore actively and directly contributes to the evaluation of the critical issues present in
the different horizons, takes part in the process of building the disciplines of use and helps to better target the pursuit of quality objectives in future planning.
Questo contributo nasce alla fine di una fase particolarmente lunga e intensa di dibattito sul tema della archeologia e storia globale dei paesaggi, coerentemente
collegata alla fase di sviluppo, di concertazione e di realizzazione dei Piani Paesaggistici o Piani di Indirizzo
Territoriale di alcune regioni: dopo la Puglia, arrivarono
la Toscana 1 e il Piemonte. Nel caso virtuoso della Puglia il Piano è stato accompagnato dalla Carta del Patrimonio Culturale 2. L’approccio pugliese appare innovativo per il modo in cui affronta il tema centrale e nevralgico del patrimonio regionale. Sono state elaborate
nuove cartografie tematiche, particolarmente efficaci:
- la Carta idrogeomorfologica;
- la Carta della naturalità, particolarmente importante ai
fini della descrizione del patrimonio naturalistico (aree
silvopastorali, zone umide, laghi, saline e altre configurazioni emergenti);
- la Carta della valenza ecologica del territorio, utile alla
valutazione dei guasti prodotti dalla aggressiva agricoltura contemporanea e, al tempo stesso, capace di progettare recupero e valorizzazione delle procedure agrarie
tradizionali. Con questa carta, come puntualmente avverte la pagina web, si tenta di superare il dualismo fra
aree di conservazione naturalistica e aree finalizzate allo
sviluppo economico;
- la Carta dei beni culturali, che intende promuovere un
percorso di unificazione del sistema informativo e di gestione delle varie categorie di beni finalizzato alla crea-
zione di un sistema e all’accrescimento delle potenzialità
di fruizione locale e collettiva.
Sorvolo, per motivi di spazio, su altri corredi cartografici, comunque di grande importanza nell’economia
generale del Piano pugliese: Carte delle morfotipologie
(urbane, territoriali e rurali), che hanno avuto spazio anche nel PP della Toscana, Carta dell’articolazione del territorio, Carta delle trasformazioni insediative (edificato
e infrastrutture), Carta della struttura percettiva e della visibilità, Carta dei paesaggi costieri (nel caso della Puglia).
Questo contributo vede altresì la luce dopo anni di
dibattito archeologico sostanzialmente incanalato lungo
tre percorsi talvolta tangenti, talvolta paralleli o addirittura divergenti:
- il ruolo crescente dell’archeologia globale nell’approccio territorialistico e della co-pianificazione (intesa
come approccio plurale alle geografie, non limitato ai
contenuti urbanistici, non mirato al solo profitto), dibattito faticoso e difficile come lo sono tutti i momenti di
grande crescita interdisciplinare, ma fecondo e sempre
vivace, mai sterilmente polemico;
- l’archeologia pubblica, nella quale la discussione è
pressoché continua ma serena;
- la riforma della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale, interessata da un dibattito non sempre
costruttivo, anzi, spesso fatto di posizioni irriducibili.
Quali che siano le posizioni in merito (e io sono convinto che la riforma sia condivisibile e indispensabile)
ci troviamo ad affrontare un momento di profondo ri-
Questo contributo rappresenta un aggiornamento del testo “Archeologia, storia e processi di territorializzazione” (Marson
2016, 129-148 ). I paragrafi 1 e 2 sono a cura di Franco Cambi;
i paragrafi 3-10 sono a cura di Federico Salzotti.
1
http://www.regione.toscana.it/-/piano-di-indirizzo-territoriale-con-valenza-di-piano-paesaggistico.
2
http://www.paesaggiopuglia.it/.
1. Premessa
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Franco Cambi, Federico Salzotti
pensamento sul tema del patrimonio culturale, del quale
troviamo traccia profonda nella letteratura recente 3.
La disciplina archeologica ha un approccio molto diretto con la contemporaneità. Lo storico Rossano Pazzagli individua proprio nella attrazione per la contemporaneità uno dei motivi per cui archeologi e storici
indagano il passato 4. All’attrazione per la contemporaneità va aggiunta la forte attrazione per la società contemporanea. Così si spiega anche l’entusiastico interesse
degli archeologi per la tecnologia, per le reti, per i social.
Una storia e una archeologia globale dei paesaggi
possono farsi, oggi, soltanto con un approccio diacronico e multidisciplinare. La spiegazione del funzionamento dei paesaggi del passato risiede talvolta nelle
tracce presenti negli assetti dei paesaggi contemporanei;
per contro, la definizione degli esiti dei paesaggi contemporanei va spesso ricercata nelle dinamiche dei paesaggi del passato 5.
Un primo problema di impostazione concerne, rispettivamente, il punto di partenza della ricerca (archeologica) e gli obiettivi da raggiungere, che possono
essere di carattere diverso: tutela, valorizzazione, comunicazione. Nella prassi della ricerca archeologica
contemporanea capita sovente di dovere trovare soluzioni alternative alla conservazione complessiva dei resti, non di rado impedita dalla necessità di risolvere i cogenti problemi della società contemporanea. Talvolta,
non potendo salvare la materialità della storia di un luogo, si deve necessariamente provvedere a salvare il racconto della storia di quel luogo. In altra sede avevo descritto il caso paradigmatico del Terminal 5 dell’aeroporto londinese di Heathrow 6, aeroporto all’interno del
quale il viaggiatore in transito trova il racconto delle
lunghe storie e archeologie globali dei paesaggi succedutesi nel contesto (con ricostruzioni, vetrine, pannelli,
oggetti), dalla preistoria alla contemporaneità, rappresentata dalla costruzione dell’aeroporto e dalla sua utilizzazione. Il racconto utilizza come trama di riferimento l’uso del suolo e le sue trasformazioni nel tempo. Ad
una impossibile conservazione materiale (i numerosi e
complessi documenti archeologici reali) è stata preferita, con empirico pragmatismo, la costruzione di una
convincente narrazione storica. Il percorso conoscitivo
parte sempre dal documento considerato nella sua glo-
Volpe 2015 e 2016.
4
Pazzagli 2013.
3
balità e nella sua storicità, a prescindere dallo stato di
conservazione, dal valore estetico e dalla consistenza
monumentale, studiato con le procedure della propria
grammatica di riferimento. Alla grammatica del documento segue la grammatica dell’integrazione (ricostruzione delle funzioni che oggetti-strumenti-edifici-spazi
svolgevano nella vita della comunità) e quindi la grammatica delle interpolazioni, ricostruzioni “spinte” utili a
far capire come funzionavano le cose e i luoghi nei diversi momenti. Dal punto di vista dell’archeologo (globale) dei paesaggi questo risultato è l’unica alternativa
accettabile alla conservazione delle singole strutture e
configurazioni archeologiche. Questo esito, quantunque
di compromesso, scaturisce da un equilibrio fra documenti-integrazioni-interpolazioni e contribuisce alla
scrittura di un racconto storico comprovato dei paesaggi, disponibile e accessibile pubblicamente e socialmente.
Nel caso di Heathrow la archeologia dei paesaggi
viene sfidata a spostarsi verso il più elevato livello di approccio (la narrazione), proprio perché costretta a sacrificare, almeno parzialmente, la tutela dei dati materiali a
vantaggio della comunicazione. Questo caso estremo è
utile a dimostrare come il recupero delle specificità locali e la consapevolezza di poter formulare più aggiornate visioni del passato, da integrare nei contesti storici
attuali, consenta di far fronte, parzialmente, alla perdita
del documento archeologico tangibile.
Il lavoro sui Beni Archeologici nel contesto del Piano
Paesaggistico della Regione Toscana si colloca in un momento importante della storia della archeologia italiana.
Con gli anni ‘70 aveva avuto inizio una fase di generale
e forte crescita della disciplina. Dopo un ventennio di
profondo rinnovamento teorico e metodologico, negli
anni ‘90 l’archeologia italiana appare come una disciplina al tempo stesso caratterizzata da pluralità (per la
capacità di conservare varietà e ricchezza nei diversi
temi e periodi cronologici), da coerenza culturale (la
condivisa cultura dell’approccio stratigrafico agli insediamenti, ai reperti, ai contesti) e da un soddisfacente radicamento nella cultura e nell’immaginario collettivi,
grazie anche ad una serie di iniziative pubbliche di
grande successo. L’evento dei “Bronzi di Riace” va sicuramente letto nel contesto di un momento in rapida
5
Cambi 2011,15-30, 95-109, 117-143, 184-189, 225-235;
Cambi 2014; Volpe, Goffredo 2014.
6
Cambi 2014, con bibliografia precedente.
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana
evoluzione che vuole lasciarsi alle spalle gli anni di
piombo e approdare alla più “leggera” società dell’immagine. Ma è indubbio che dietro il roboante impatto
mediatico di queste icone bronzee, esiste un movimento
archeologico forte, che si sostanzia in mostre solide
come quelle del ciclo “Misurare la terra”, sul tema della
centuriazione romana. L’esito finale, almeno temporaneamente, va ravvisato nella progettualità degli anni ‘90
in tema di Parchi (ricordo qui l’esperienza della Società
Parchi della Val di Cornia) 7. Questa crescita ha consentito di coniugare maturità metodologica, affinamento dei
protocolli di ricerca e progresso tecnologico in maniera
armonica, cercando di trovare sempre nuovi equilibri fra
tutela, ricerca, didattica, comunicazione. L’archeologia
ha compreso entro schemi euristici e interpretativi coerenti oggetti-monumenti-paesaggi e si è fatta approccio
al contesto invece che soltanto all’oggetto o al monumento 8, dando così sostanza all’auspicio del vecchio
maestro Bianchi Bandinelli per cui con l’estendersi delle
ricerche archeologiche “in senso geografico, storico e
metodologico” doveva crescere una schiera di archeologi-storici capaci di indagare il passato con l’occhio rivolto al presente 9.
Il rapporto fra archeologie e geografie è maturato una
volta giunte a compimento la diffusione e il radicamento
del concetto di stratificazione, mediato attraverso le contaminazioni con le archeologie anglosassoni, francesi e
nordeuropee e la formulazione di una nuova teoria marxiana delle società del passato 10. Tre parole chiave erano
alla base di questa nuova archeologia italiana: diacronia,
sistematicità degli approcci, interdisciplinarietà. La novità consisteva tanto nell’originalità degli approcci
quanto nel desiderio di fare dell’archeologia un luogo di
partecipazione e di comunicazione: il passato come racconto per un vasto pubblico.
Il tema degli spazi, delle geografie dell’antichità, del
loro governo da parte delle comunità antiche, è cresciuto
in maniera sostanziale anche se discontinua, nel corso
degli anni ‘80.
Fra la fine degli anni ‘90 e il decennio scorso la comunicazione in archeologia ha assunto un rilievo ancora
Tosco 2009, 25-29; Cambi 2011, 234-236.
Si veda il concetto di Contesti Territoriali Stratificati applicato nel caso del Piano Paesaggistico della Regione Puglia e della
Carta dei Beni Culturali della stessa regione: De Felice, Sibilano,
Volpe 2009; Volpe, Di Zanni, Laurenza 2009; Cambi 2014. Da ultimo: Volpe 2015.
7
8
maggiore. La ricerca archeologica è stata sempre più
spesso impostata a partire dalla comunicazione e finalizzata alla costituzione di parchi-musei-ecomusei. Nella
“archeologia (globale) dei paesaggi” di oggi i documenti
archeologici sono basi solide sulle quali costruire nuovi
processi conoscitivi e, soprattutto, narrazioni. Una ricerca sui paesaggi può dirsi compiuta quando si riesce a
raccontare ad altri come erano fatti i paesaggi ora non
più visibili, come funzionavano, come erano visti e percepiti dai soggetti umani e sociali che vi vivevano: in
una parola, quando l’archeologo riesce a restituire alla
comunità presente un contesto archeologico nella sua
tangibilità tridimensionale.
2. I Beni Archeologici nel quadro di un Piano Paesaggistico
Osservato dalla sua conclusione, l’esito raggiunto,
nel complesso percorso dialettico intrecciato fra Beni
Archeologici e Piano Paesaggistico appare soddisfacente. Maturati, pur in tempi diversi, i processi di contaminazione fra archeologia e stratigrafia e fra
archeologia e geografia 11, si può affermare che la archeologia contemporanea può proporsi come disciplina
capace di instaurare rapporti diversi con le consorelle e
di partecipare, conseguentemente, alla elaborazione di
linguaggi condivisi. Dal confronto multidisciplinare, pur
con le inevitabili difficoltà degli esordi, l’archeologia
esce in ogni caso arricchita ulteriormente anche sotto il
profilo metodologico (cfr. paragrafi successivi).
Fino a qualche tempo prima della elaborazione dei
Piani Paesaggistici della Puglia e della Toscana, si poteva affermare che la definizione di “bene archeologico”
nella prassi della ricerca evocava usualmente il concetto
di documento materiale (contesto, edificio, oggetto) utile
alla ricostruzione di uno spazio geografico in un determinato momento del passato. Anche passando ad un ambito più applicativo e spostandosi dal piano della ricerca
a quello della comunicazione,i beni archeologici e le elaborazioni che possono condursi sulla documentazione
9
Barbanera 2003, 277-282. Sul contesto: da ultimo Carandini
2017.
10
Sulle ricerche della sezione di Antichistica dell’Istituto
Gramsci: Cambi 2011, 37-41; Cambi 2014.
11
Tosco 2009; Cambi 2014; Volpe, Goffredo 2014. Altri riferimenti bibliografici di interesse possono essere reperiti negli apparati critici dei contributi citati in questa nota.
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Franco Cambi, Federico Salzotti
archeologica si erano rivelate utili nell’ambito della progettualità culturale e della creazione di musei, di parchi,
di attività di varia tipologia che in un determinato contesto geografico possono svolgersi.
Oggi si è fatto un ulteriore passo avanti. Si può affermare, anche alla luce delle esperienze più recenti nel
campo della ricerca archeologica applicata, quali i Piani
Paesaggistici delle Regioni Puglia e Toscana, che l’ordinamento della documentazione archeologica e la sua
elaborazione dinamica (cfr. paragrafi successivi) possono dare esito a più ampi sviluppi. L’applicazione di
adeguati approfondimenti sta mostrando di potere costituire il punto di partenza per percorsi conoscitivi finalizzati alla soluzione di problemi di assetto, anche
piuttosto complessi,insiti nella storia dei singoli e specifici spazi geografici.
La ricostruzione storico-archeologica concorre, dunque, in maniera pragmatica, alla valutazione delle criticità presenti nei diversi ambiti territoriali, partecipa al
processo di costruzione delle discipline d’uso e consente
di indirizzare meglio il perseguimento degli obiettivi di
qualità.
3. Obiettivi dell’unità di ricerca “Beni archeologici”
All’interno dell’opera di redazione del Piano Paesaggistico, l’unità di ricerca “Beni Archeologici” ha
avuto il compito di delineare lo status della conoscenza
archeologica del territorio toscano e di redigere le sintesi interpretative degli assetti paesaggistici dalla preistoria al medioevo, definite “processi storici di territorializzazione”.
Fino alla prima integrazione paesaggistica del PIT
(adottata nel 2009 ma non validata come Piano Paesaggistico dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali)
non vi era mai stato alcun coinvolgimento degli archeologi, né erano stati presentati contributi di carattere storico sull’evoluzione dei paesaggi. L’ingresso degli
archeologi nelle dinamiche di pianificazione paesaggistica ha quindi rappresentato per il contesto toscano un
significativo progresso e una spinta innovativa nella concezione del paesaggio, della sua conoscenza e della sua
regolamentazione.
L’attività dell’unità doveva originariamente perseguire due principali linee d’azione: la prima voleva essere mirata alla costruzione di un’ampia banca dati
comune per illustrare lo stato dell’arte e della cono-
scenza archeologica del territorio; la seconda prevedeva
invece il conseguente lavoro di interpretazione dell’archivio e quindi di ricostruzione delle dinamiche di formazione dei paesaggi storici.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’obiettivo è
stato esplicitamente individuato nella fusione delle due
principali banche dati disponibili per il territorio toscano:
quella interna all’ateneo senese (oltre 15.000 attestazioni) e quella della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 12 (circa 12.000 segnalazioni). Fin
dai primi incontri, nel gennaio 2012, si è trovata una non
scontata convergenza di interessi e di volontà nel perseguire il progetto. Le quattro parti interessate (Università
di Siena, Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, Direzione Regionale dei Beni Culturali e Paesaggistici e Regione Toscana) avevano concordato sulla
necessità di procedere all’unione dei due archivi. Il
Piano Paesaggistico rappresentava il contesto ideale per
incrociare le forze in campo e tentare di redigere un repertorio che, al netto degli inevitabili doppioni fra i due
dataset, avrebbe presumibilmente superato le 20.000 attestazioni totali. Dall’accordo fra i proff. Cambi e Valenti (Università di Siena) e l’allora Soprintendente
dott.ssa Maria Rosaria Barbera è scaturito l’allestimento
di un gruppo di lavoro impegnato a tradurre operativamente gli intenti approvati, sotto la regia della Regione
Toscana (dott.ssa Silvia Roncuzzi) e della Direzione Regionale (Dott.ssa Anna Maria Patera).
Parallelamente si è avviato il lavoro di definizione
dei contributi relativi alle ricostruzioni territoriali dei
venti ambiti riconosciuti dal PIT, per ciascuno dei quali
sono stati previsti quattro paragrafi diacronici (pre-protostoria, periodo etrusco, romano e medioevo), corredati
delle relative tavole cartografiche di riferimento, con
georeferenziazione dei siti e ipotesi delle direttrici di comunicazione.
4. Il quadro conoscitivo: banche dati e cartografie
La prima fase di lavoro nell’ambito del progetto è
stata dedicata alla ricerca di una soluzione per la piena
compatibilità dei due archivi oggetto della potenziale fusione. A tal fine è stato deciso di procedere alla realizzazione di un database appositamente dedicato al
12
Camilli 2007.
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana
progetto e uniformato il più possibile, per espressa volontà della Direzione Regionale, allo standard ministeriale (modello MODI, proprio in quei mesi in fase di
verifica e perfezionamento) e ai parametri dell’Istituto
Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD).
Al centro della discussione sono stati inizialmente gli
elementi di disomogeneità fra le tipologie di dato a livello giuridico e amministrativo, dal momento che differenti erano gli enti (e conseguentemente gli scopi) ad
averne curato la costruzione: sono emerse significative
differenze fra attività improntate alla ricerca e attività
mirate invece alla gestione “politica” del dato.
Il lavoro di comparazione degli archivi ha riguardato
anche la costruzione dei thesauri, lavoro che è risultato
piuttosto difficoltoso, paradossalmente, proprio per la
volontà di perseguire gli standard ministeriali, considerato che nel corso degli anni dal Ministero sono stati forniti modelli di catalogazione estremamente frammentati,
soggetti a continue rivisitazioni e non sempre funzionali.
Si è così deciso di utilizzare i vocabolari ministeriali solo
per alcuni aspetti, evitandone invece l’uso per altri
campi, in alcuni casi anche di primaria importanza: è il
caso delle definizioni interpretative, per le quali si è fatto
ricorso a una ristretta cerchia di macrocategorie insediative ritenute idonee per un uso di tipo amministrativo,
privilegiando i criteri di fruibilità e comprensione delle
entità schedate, evitando eccessive frammentazioni di
definizioni (appartenenti a criteri di lettura prettamente
scientifici). Il thesaurus si è così ridotto a soli nove valori: nucleo urbano; fortificazione; complesso insediativo; luogo di culto; area sepolcrale; sito produttivo;
insediamento sparso; frequentazione; traccia di infrastruttura.
L’ambizioso progetto di fusione è purtroppo rimasto
incompiuto (ci soffermeremo più avanti sulle cause e
sulle criticità emerse) e si è così portato a compimento il
lavoro di redazione delle sintesi storiche basandosi
esclusivamente sulla banca dati dell’Ateneo senese
(“Carta Archeologica” 13), opportunamente revisionata.
Sono state quindi utilizzate tutte le ricerche svolte sotto
l’Area di Archeologia Medievale (proff. Francovich e
Valenti) integrandone i dati con quelli prodotti in seno
alla cattedra di Archeologia dei Paesaggi (prof. Cambi).
Fra i progetti che maggiormente hanno contribuito al lavoro possiamo citare: “Carta Archeologica Toscana”,
“Carta Archeologica della Provincia di Siena” 14,
“Atlante dei Siti Fortificati d’Altura”, “Fra la Valle dell’Albegna e il Fiora”, “Il territorio di Populonia”, e
“Isola d’Elba. Territorio e bacini d’approvvigionamento”. Nel complesso, il repertorio utilizzato, alfanumerico e topografico, è stato basato sull’integrazione di
dati e informazioni di diversa scala ed estrazione, dalla
ricerca sul campo (scavi e ricognizioni topografiche) all’attività di schedatura (letteratura edita 15 e attestazioni
storiche 16) passando per il remote sensing (soprattutto
la lettura delle foto aeree 17).
L’intera banca dati del progetto è stata georeferenziata in coordinate Gauss-Boaga, sistema di riferimento
Monte Mario/Italy zone 1 (EPSG 3003), adottato dal
Piano Paesaggistico Toscano e parimenti utilizzato nei
progetti promossi all’interno del dipartimento senese.
Come base cartografica per le tavole finali sono stati
utilizzati i tematismi prodotti, all’interno del progetto,
dal gruppo “Atlante e quadro conoscitivo” in scala
1:250.000, evitando ovviamente di utilizzare i piani cartografici riferibili alla sfera antropica contemporanea. In
alcuni casi abbiamo anzi provveduto autonomamente
alla mappatura di alcune entità idrografiche che hanno
conosciuto significativi stravolgimenti nel tempo (area
paludosa nell’entroterra del promontorio piombinese, il
lago Prile nella Maremma grossetana, il corso della
Chiana, per molto tempo estesa palude, e la linea di costa
Fronza 2009.
14
Il progetto “Carta Archeologica della Provincia di Siena” ha
finora consentito di censire oltre 7.000 unità topografiche. Per una
panoramica sulle finalità e la metodologia del progetto si rimanda
a Salzotti 2012.
15
La principale fonte per l’edito archeologico regionale è indubbiamente costituita dall’“Atlante dei Siti Archeologici della
Toscana”, la cui pubblicazione è stata curata dal Prof. Torelli (Torelli 1992) nell’ambito del “Progetto Etruschi” (1985). L’opera ha
previsto la schedatura di oltre 3.500 siti e, nonostante alcuni limiti in fase di schedatura (in particolare l’assenza delle attestazioni medievali) e di georeferenziazione (talvolta approssimativa
o assente) rimane ancora oggi un valido punto di partenza per una
prima valutazione delle ricerche pregresse.
16
Un importante contributo è stato garantito anche dal “Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana”, un’opera in
cinque volumi pubblicato nel XIX secolo da Emanuele Repetti
(Repetti 1833-1846).
17
All’interno del dipartimento senese è stato promosso nei decenni scorsi un vasto progetto di lettura e georeferenziazione di
anomalie aeree. Il pluriennale lavoro, svolto da Marcello Cosci,
sulla base dei voli regionali (in particolare i voli GAI 1954 ed
EIRA 1976), ha permesso di passare al setaccio tutto il territorio
toscano, individuando oltre 4.200 tracce e anomalie successivamente georeferenziate su cartografia.
13
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Franco Cambi, Federico Salzotti
in corrispondenza dell’area pisana e della Versilia, soggetta a continue variazioni nel corso dei secoli).
A partire dai dati archeologici georeferenziati e dalla
suddetta base cartografica si è creata una tavola riassuntiva per ciascuna fase dei processi storici di territorializzazione di ciascuno dei venti ambiti PIT. Sono stati
quindi creati tematismi di carattere diacronico (un’esportazione per ciascuno dei quattro periodi storici riconosciuti) che sono stati successivamente restituiti mediante
una simbologia organizzata secondo le già citate macrocategorie insediative. La suddivisione del dataset per periodi storici estremamente vasti (pre-protostoria, periodo
etrusco, romano e medievale) ha comportato alcune forzature nell’organizzazione dei dati e una rappresentazione priva della prerogativa di contemporaneità
insediativa dell’insieme dei siti assemblati. Si può comunque affermare di aver generato tematismi rappresentativi non tanto di una specifica rete insediativa, ma
piuttosto delle presenze archeologiche, non necessariamente coeve: in pratica, un’indicazione di massima della
densità di occupazione antropica nelle differenti epoche.
Oltre alla rappresentazione dei siti schedati, si è resa
necessaria la ricostruzione delle direttrici di comunicazione, basata principalmente sullo studio del database e
solo parzialmente sulla bibliografia disponibile per ciascun comprensorio, soggetta comunque a una pur sommaria (considerati i ristretti tempi del progetto) selezione
critica delle informazioni. Il lavoro si è quindi basato
sull’osservazione della rete insediativa e dell’individuazione dei centri primari del popolamento, dai quali necessariamente dovevano passare le direttrici di traffico.
Una sommaria taratura del dato è stata svolta sulla base
delle variabili ambientali, in primis la conformazione
morfologica e idrografica (strutturazione dei crinali e dei
fondovalle, principali corsi d’acqua, ecc).
La procedura utilizzata non ha potuto garantire una
corretta ricostruzione della rete viaria (operazione di
fatto impossibile e che avrebbe comunque richiesto
un’indagine più approfondita e specifica, il vaglio critico delle fonti e una scansione cronologica decisamente
più ristretta) ma ha tuttavia voluto fornire una pur generica indicazione delle più probabili direttrici lungo le
quali, attraverso percorsi non precisamente ipotizzabili,
si sarebbero sviluppate le comunicazioni.
La scala di visualizzazione delle cartografie è condizionata dalla forma dell’ambito: le necessità di impaginazione della scheda hanno infatti imposto immagini di
19 cm di larghezza e conseguentemente abbiamo adot-
tato, caso per caso, scale che consentissero di rappresentare l’intero contesto nello spazio cartografico a disposizione. Si spiega così il ricorso a scale estremamente
differenziate, comunque comprese fra l’1:170.000 e
l’1:350.000.
5. Le sintesi interpretative: i “processi storici di territorializzazione”
Le sintesi finali sono scandite in quattro paragrafi
(ciascuno con relativa cartografia) corrispondenti ad altrettanti periodi storici: pre-protostoria, epoca etrusca,
romana e medioevo.
Le ricostruzioni storico-paesaggistiche di ciascun
ambito sono maturate da una vasta opera di ricerca basata principalmente sullo studio della banca dati disponibile, sulla lettura delle più significative sintesi
storico-archeologiche (alcune a carattere locale, altre
elaborate su scala regionale) e infine, in taluni casi, sulla
consultazione di siti web scientificamente affidabili. La
ristretta disponibilità temporale ha costretto ad escludere
la revisione totale delle fonti e ad assumere i contributi
più significativi, le sintesi incentrate su ambiti storici sostanzialmente corrispondenti alla divisione degli ambiti
PIT e, ove possibile, i contributi più recenti.
I testi hanno mirato a una ricostruzione sintetica ed
essenziale delle principali vicissitudini storico-insediative, con un’attenzione particolare, laddove consentito
dal materiale a disposizione, a dati e informazioni pertinenti alle forme di interazione fra attività antropica e palinsesti ambientali. Sebbene siano stati considerati
preminenti, non sempre è stato possibile fornire un esauriente quadro degli assetti paesaggistici e, nel caso, si è
proceduto a una ricostruzione cronologica imperniata
principalmente sui quadri storici e insediativi assicurati
dai contenuti disponibili all’interno dell’archivio e nelle
fonti consultate. La logica conseguenza di tale approccio
è una certa disomogeneità fra gli ambiti a livello sia di
sintesi storiche utilizzabili, sia di dati georeferenziati disponibili. In altri termini, la ricostruzione dei processi
storici di territorializzazione è stata fortemente condizionata dallo stato della ricerca nelle varie aree della Toscana (a titolo esemplificativo possiamo citare la netta
differenza di dati schedati fra i “ricchi” ambiti senesi o
il piombinese, e altri ambiti della Toscana settentrionale
per i quali disponevamo di poche attestazioni). Tale dato
induce a valutare la maggiore o minore affidabilità delle
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana
sintesi prodotte e, al contempo, può rappresentare uno
stimolo, anche da parte dell’amministrazione regionale
e degli insegnamenti universitari, ad incentivare la ricerca in aree finora meno indagate.
6. La fusione delle banche dati: analisi di un fallimento alla luce del cronico problema della standardizzazione del dato archeologico
L’opportunità di produrre banche dati comuni in ambito regionale è stata ripetutamente auspicata negli ultimi decenni e unanime è sempre stata la convinzione
della necessità di una reale e ampia condivisione dei
dati 18. In vero, però, alle numerose dichiarazioni d’intenti hanno spesso corrisposto fallimenti, più o meno
giustificabili: le assurde posizioni protezionistiche sulla
proprietà del dato catastato e le immancabili difficoltà
tecniche sono stati i principali fattori ad ostacolare iniziative di questo tipo. Così, salvo lodabili quanto rare
eccezioni, rimane ancora lungi dall’essere condivisa e
realizzata l’esperienza della costruzione di archivi cumulativi per ciascuna regione italiana; ovviamente lo
stesso discorso può riproporsi a scala nazionale.
La nostra esperienza non è purtroppo sfuggita a questa tendenza. Terminata la fase di costruzione concettuale dell’archivio destinato all’unificazione delle due
banche dati si sono infatti verificate una serie di circostanze che hanno impedito di chiudere positivamente
l’esperienza nei ristretti tempi del progetto.
Le criticità sul tavolo della discussione sono state
molteplici e riassumibili nei punti di seguito elencati:
- sotto l’aspetto storico, e in seconda battuta tecnico-informatico, sussistono grossi problemi di allineamento
del dato fra i due archivi;
- sotto l’aspetto giuridico-normativo gli organi ministeriali hanno sollevato il problema della differenza fra i
propri siti (validati) e quelli dell’Ateneo senese, che
avrebbero dovuto passare attraverso una lunga e articolata verifica, considerato l’uso pubblico dei dati che si
sarebbe dovuto garantire;
- sotto l’aspetto cronologico vi è incongruenza fra una
banca dati che si ferma al periodo tardoantico (come da
competenza ministeriale) e un’altra che prevede invece
la schedatura anche di siti medievali (quella senese);
18
Valenti 2009.
- sotto l’aspetto della tempistica, i tempi del progetto
(inizialmente previsto in un anno, poi prolungati per ulteriori sei mesi) non sono stati sufficienti, anche e soprattutto alla luce dei punti illustrati precedentemente, a
garantire l’unificazione dei contenuti.
Alcune delle suddette criticità si sarebbero potute
superare con maggior tempo a disposizione, o meglio
ancora con un’approfondita fase preliminare di pianificazione del lavoro, che avrebbe consentito di affrontare
nel dettaglio gli aspetti più delicati dell’operazione e
quindi creato le condizioni per impiegare i due anni di
progetto nei soli aspetti operativi e compilativi. In particolare, sarebbe stato utile discutere preliminarmente
l’uso giuridico del dato e quindi il processo di validazione dell’archivio senese (processo impegnativo, considerati gli oltre 15.000 siti...), passaggio obbligato, secondo la Soprintendenza regionale, per una sua pubblica fruizione.
Siamo tuttavia convinti che la forza del progetto appena svolto possa essere individuata anche nell’aver
messo a nudo i limiti di un sistema di gestione del bene
culturale che rende estremamente difficoltosi il confronto e l’unione di dati su vaste realtà amministrative.
Un altro grande problema discende dalle difficoltà
tecniche di fusione fra due archivi basati su strutturazioni del dato e thesauri fra loro piuttosto differenti. Le
operazioni di allineamento del dato sarebbero state comunque complesse, dovendo far convergere in un contenitore (basato sul modello ministeriale MODI, con
vocabolari costruiti prevalentemente sui riferimenti
ICCD) due database con storie, modelli del dato e finalità marcatamente differenti. Tali criticità sono comuni
ad altre esperienze passate e sicuramente continueranno
a determinare gli esiti di analoghi progetti.
Dal momento che la gestione del bene culturale (e
del patrimonio archeologico) nel nostro paese è stata storicamente centralizzata sotto il controllo statale, riteniamo pertanto opportuna una riflessione, non priva di
contenuti critici, nei confronti di un sistema ministeriale
ancora lontano dal raggiungere uno standard di documentazione. Una delle problematiche più evidenti è costituita dalla generazione nel tempo di una serie, spesso
ridondante, di schede e di format di catalogazione, soggetti per di più a continue rivisitazioni. L’ingente apparato di moduli creato progressivamente dall’ICCD
rispecchia purtroppo un sistema che si è progressivamente sempre più avviluppato nelle sue prerogative burocratiche e compilative, perdendo di vista le esigenze di
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Franco Cambi, Federico Salzotti
praticità e semplicità d’uso degli strumenti preposti alla
gestione del patrimonio culturale. Lo stesso modello
MODI, adottato nella nostra esperienza, è apparso farraginoso e troppo articolato, risultando in compenso inadeguato nella gestione di informazioni basilari (es: gli
aspetti cronologici).
In questo quadro a poco sembra essere servita l’istituzione, nel 2007, della “Commissione paritetica per la
realizzazione del Sistema informativo archeologico delle
città italiane e dei loro territori”, il cui documento finale 19 ha indicato una serie di linee guida da adottare su
scala nazionale e sul cui rispetto sarebbero state chiamate a garantire e vigilare le Soprintendenze. Tali direttive prevedevano, fra le altre cose, raccordi istituzionali
in ogni regione tra soprintendenze e università, enti locali, istituti di ricerca, musei e privati. Evidentemente,
le indicazioni prodotte dalla Commissione ministeriale
non hanno avuto sufficiente seguito e l’iniziativa, anche
a distanza di anni, non ha avuto l’attesa ricaduta rispetto
agli intenti di partenza.
Per questo riterremmo opportuno evitare di perseguire obiettivi di condivisione del dato troppo ambiziosi,
preferendo piuttosto individuare poche categorie di dati
sui quali concentrare gli sforzi di standardizzazione, abbandonando le chimere della scheda perfetta per una documentazione completa e omogenea: i ripetuti fallimenti
di questi anni consigliano di concentrare gli sforzi sulla
definizione di pochi ed essenziali campi comuni con vocabolari concordati, che non impediscano alle singole
realtà di impostare modelli del dato autonomi e funzionali alle proprie esigenze e contemporaneamente di rispettare poche ma sostenibili norme di catalogazione. 20
7. Il Medioevo dimenticato: dalla ristrutturazione
delle Soprintendenze una soluzione?
Quello del medioevo “dimenticato” è un problema
abbondantemente discusso in archeologia e non poteva
non riflettersi anche sui Piani Paesaggistici, rappresentando un grosso nodo insoluto nella gestione del bene
culturale e paesaggistico attraverso le competenze ministeriali. Secondo la vecchia strutturazione, infatti, rientravano nella sfera d’interesse delle Soprintendenze
Carandini 2008, 199-207.
20
Salzotti 2009.
19
archeologiche solamente i siti archeologici con cronologia fino al periodo classico (V-VI secolo d.C.). In pratica, tutto ciò che riguardava l’archeologia medievale e
post-medievale, non rientrava pienamente in nessuno
degli organi di gestione ministeriale: non nell’ambito
delle Soprintendenze archeologiche, per le suddette limitazioni di carattere “cronologico”, ma nemmeno (se
non formalmente) nella sfera d’azione e di interesse di
quelle storico-architettoniche e paesaggistiche, il cui interesse si focalizzava principalmente sul patrimonio
sommerso.
Una simile anomalia non poteva non riflettersi anche
nella gestione di un piano paesaggistico, come evidenziato dalla nostra esperienza, a causa proprio di questo
vuoto di competenze nella gestione del patrimonio archeologico, dagli aspetti connessi alla tutela (un sito archeologico medievale non possiede i requisiti per essere
considerato bene paesaggistico come “lettera m”) a
quelli della programmazione territoriale (come valorizzare un contesto archeologico se non viene qualificato
come tale?). Anche nella ricostruzione dei quadri conoscitivi il problema non trova soluzione se non attraverso
l’auspicabile intervento di competenze extra-ministeriali, nella speranza di disporre sul territorio di realtà accademiche (libere di occuparsi dei periodi post-classici)
impegnate in progetti di censimento topografico. Un simile “silenzio” informativo assume ancora maggior peso
se pensiamo che viene oscurato un vasto periodo (un
millennio) vitale nella formazione dei territori, costituendo il necessario trait d’union fra i paesaggi antichi
e quelli moderni, che così tanto hanno ereditato e conservato dalle fasi medievali.
La recente ristrutturazione delle Soprintendenze, oggetto di non poche polemiche e al centro di un’attenta e
critica osservazione dei suoi sviluppi 21, andrà valutata
anche nella capacità di gestire meglio la diacronia dei
paesaggi e quindi di superare le barriere cronologiche
nella gestione del patrimonio archeologico. È ancora
presto per esprimere giudizi sull’organo ristrutturato, ancora alle prese con una fase di stabilizzazione e di ricerca di equilibri e di un nuovo modus operandi, ma la
speranza è proprio quella che una strutturazione più agile
e meno settoriale possa permettere di superare tali anomalie e riuscire a gestire in misura più funzionale e lo21
Per una panoramica del dibattito sviluppatosi intorno alla ristrutturazione delle Soprintendenze uniche si rimanda a Volpe
2016, 11-27.
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana
gica il patrimonio da censire, tutelare e valorizzare anche
nell’ambito delle più vaste dinamiche di pianificazione
territoriale.
8. Raccordi istituzionali: la necessità di un nuovo e
più attivo ruolo per le Università
La gestione dei beni paesaggistici e culturali ispirata
ai principi del Codice richiede una forte interazione e
una fattiva collaborazione fra gli organi statali e regionali, oltre che capacità di coinvolgimento di soggetti esterni. In quest’ottica è auspicabile un atteggiamento di
marcata impronta inclusiva delle principali competenze
disponibili sul territorio, a partire dalle realtà accademiche, affinché possano essere chiamate dalle Regioni a
confrontarsi con gli organici ministeriali, in un’ottica di
dialogo e condivisione di strumenti e banche dati. In
virtù di quanto affermato, l’esperienza toscana non può
ritenersi perfettamente compiuta per quanto concerne la
redazione dei quadri conoscitivi (fallito il tentativo di
unificare i due principali database disponibili per il territorio), mentre è stata decisamente positiva sul versante
della tutela, raggiungendo ottimi risultati dall’azione
congiunta di Regione e Soprintendenza Archeologica. I
differenti esiti delle due iniziative trovano forse una corrispondenza anche nella strutturazione e nei compiti
degli organi statali preposti al coordinamento del settore.
Facciamo riferimento ai Segretariati Regionali del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
(al tempo del progetto nominate Direzioni Regionali),
che svolgono appunto il ruolo di raccordo fra Stato e Regione e che hanno così permesso di instaurare rapporti
prolifici e duraturi, basati sulla progressiva conoscenza
delle parti in causa e su un rapporto di collaborazione
maturato, perfezionandosi, nel tempo. Tale funzione non
viene però garantita abbastanza, se non saltuariamente,
nei confronti di terzi e le difficoltà emerse nella
costruzione dell’archivio unitario testimoniano dei rischi
che si presentano in mancanza di confronti continui e
preliminari fra le parti in causa.
Riteniamo quindi fondamentale che il raggio
d’azione dei Segretariati possa e debba estendersi in
forma sistematica anche agli Atenei. La gestione del
bene culturale non può infatti limitarsi agli aspetti della
tutela, ma deve necessariamente spingersi, anche e soprattutto in funzione dei piani paesaggistici, alla valorizzazione, per la quale è fondamentale una profonda
conoscenza del territorio e del suo patrimonio. Per
questo motivo, le università, cui spetta come finalità primaria proprio la ricerca, non possono rimanere escluse
da tali dinamiche e devono essere coinvolte, con pari
dignità, nei processi di costruzione della conoscenza e
nelle dinamiche di una pianificazione consapevole, che
sappia valorizzare la storia e le identità paesaggistiche
degli ambiti. Gli Atenei, qualora abbiano svolto significativi lavori di censimento della risorsa archeologica,
possono proporsi come validi referenti, a patto di poter
ricevere adeguate risorse per svolgere un lavoro indirizzato, a questo punto, non solo alla sfera scientifica, ma
anche a quella amministrativa.
Un duplice impegno che preveda per le università
l’organizzazione di ampie raccolte di dati territoriali e
per le amministrazioni locali e regionali uno sforzo a
promuovere ed incentivare tali aspetti della ricerca, sia
per un’opera di salvaguardia del patrimonio, sia per una
progettazione di spazi e monumenti fruibili dalle comunità e dai flussi turistici. Questa la strategia, a nostro
avviso, per la promozione di linee di sviluppo condiviso
che possano produrre significativi risultati nel mediolungo termine e possano porre le basi per una più semplice costruzione e organizzazione dei contenuti dei
piani paesaggistici, nel rispetto di tutte le loro prerogative.
9. Bilanci finali e obiettivi auspicabili: la necessità
degli osservatori permanenti e della formazione di
nuove figure professionali
Concludendo, riteniamo opportuno redigere un sintetico bilancio finale sull’esperienza maturata e su quelli
che abbiamo individuato come obiettivi auspicabili per
una migliore gestione dei dati archeologici all’interno
delle dinamiche di pianificazione paesaggistica.
In primis ci sembra giusto rimarcare come rappresenti un significativo progresso il fatto che le amministrazioni regionali comincino finalmente a vedere nella
componente storica uno dei caratteri imprescindibili per
la completa comprensione dei contesti territoriali e uno
strumento attraverso il quale valorizzare e ripensare i
paesaggi attuali e futuri. Allo stesso modo, appare
lungimirante la scelta di cercare e promuovere nuovi
contributi da discipline finora ignorate (in particolare
quelle riconducibili ai Beni Culturali, troppo a lungo
considerate come corollario delle dinamiche decision567
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Franco Cambi, Federico Salzotti
ali) e nuova linfa dall’intervento delle strutture di ricerca.
Del resto la valorizzazione del paesaggio necessita di
una riconsiderazione globale del sistema di gestione nel
suo complesso, legando conoscenza, tutela e programmazione in un’unica soluzione e favorendone la sua promozione a motore (e non elemento di contorno) della
politica statale e nazionale 22.
Siamo altresì convinti del fatto che nella costruzione
dei piani conoscitivi, l’archeologia non possa e non
debba limitarsi alla definizione dei quadri insediativi
storici, ma piuttosto riuscire a elaborare nuove chiavi di
lettura, finora sostanzialmente trascurate, legate invece
alla contemporaneità: ruderi, monumenti e aree archeologiche sono infatti non solo testimonianze del passato,
bensì elementi caratterizzanti anche il paesaggio odierno. In quanto luoghi di rilevanza culturale, sociale e turistica, tali siti possono e devono essere considerati potenziali centri nodali all’interno delle strategie di valorizzazione e di salvaguardia. Facendo un’opportuna autocritica, va riconosciuto che l’occhio dell’archeologo
si sofferma solo occasionalmente (e marginalmente)
sulla dimensione contemporanea del passato e ignora,
anche all’interno dei repertori, quelle informazioni,
spesso elementari e facilmente leggibili, che si rivelerebbero invece particolarmente utili per la gestione del
territorio. Facciamo riferimento a una serie di parametri
che consentirebbe una più immediata identificazione
delle aree a vocazione “culturale” e dei siti in grado di
concorrere alla realizzazione di organiche politiche di
valorizzazione. Servono, quindi, non solo cartografie
storiche ma anche mappature aggiornate del potenziale
culturale a disposizione delle amministrazioni, attraverso la quale incentivare la creazione di sistemi virtuosi
per lo sviluppo sostenibile del territorio e del tessuto sociale delle comunità.
Allargando il discorso a un quadro più generale, occorre infine sottolineare la necessità di approcci integrati
e condivisi che trovino nella scala d’intervento paesaggistico il punto di partenza per una proficua collaborazione a difesa del patrimonio, inteso in senso lato. La
lotta per la preservazione del paesaggio interessa, infatti,
svariati ambiti disciplinari, fra i quali l’archeologia rappresenta una parte significativa, non tale tuttavia da poter
conseguire importanti risultati in forma autonoma. Superare l’isolamento della comunità archeologica signi22
Settis 2010.
fica riuscire ad allacciare contatti e intraprendere iniziative comuni, intercettare e coinvolgere vari soggetti con
i quali progettare azioni di difesa del patrimonio e contemporaneamente di fruizione compartecipata di spazi,
siti, comprensori. Se dopo anni di tentativi e sperimentazioni, l’interdisciplinarietà è ormai componente acquisita nelle dinamiche di costruzione del sapere
scientifico, manca forse ancora la capacità di affrontare
anche la tutela e la valorizzazione in un’ottica di condivisione di finalità e strategie, affinché l’archeologia pubblica possa essere parte di un più ampio sistema (e di
maggiori risorse) a difesa di più ampi interessi. Fino a
che non si troverà una vasta convergenza di competenze,
risorse, figure accademiche e professionali gravitanti attorno a più estese tematiche, infatti, nessuna singola disciplina operante a difesa del territorio troverà mai la
necessaria rappresentanza e la forza per proporre soluzioni e imporre posizioni, a maggior ragione quando
scomode. In definitiva, vediamo nel “sistema paesaggio” un elemento di aggregazione che possa consentire,
anche alle cosiddette discipline minori, di unire sforzi e
intenti al fine di trovare un ormai imprescindibile maggior peso politico.
In quest’ottica, la strategia della cooperazione e dell’approccio policentrico 23 non può non passare dall’intreccio di relazioni e collaborazioni con e fra i vari
soggetti operanti sul territorio, dallo Stato (e i relativi organi ministeriali) ai Comuni, includendo ovviamente il
mondo della ricerca e quello dei numerosi musei disseminati in tutta Italia.
Considerata l’importanza che stanno assumendo i
piani paesaggistici nella governance del territorio, riteniamo infine che sarebbe auspicabile (per quanto, ne
siamo consapevoli, utopico), da parte delle amministrazioni regionali, riuscire, nel tempo, a integrare nei propri organici una serie di figure professionali, fra le quali
un archeologo, in grado di lavorare a tempo pieno e continuativo agli aspetti specifici della gestione paesaggistica. La soluzione potrebbe essere individuata nella
creazione di laboratori/osservatori permanenti, all’interno delle Regioni, per effettuare un costante monitoraggio del territorio e per lavorare con continuità alle
politiche di preservazione e valorizzazione dei paesaggi.
Un gruppo di lavoro che sia figlio di un indirizzo strategico regionale chiaro e in grado di evolversi nel tempo
23
Brogiolo 1997.
568
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Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana
mediante rilevazioni periodiche effettuate sul territorio,
mappature in costante aggiornamento e un dialogo ininterrotto fra gli enti amministrativi e le differenti risorse
che possono, a vario titolo, contribuire al perseguimento
di un disegno complessivo organico e compartecipato.
In vero, qualcosa di simile è già stato promosso con
l’istituzione degli Osservatori sul Paesaggio, nati sulla
spinta della Convenzione Europea del Paesaggio e del
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Ma in questo
caso si tratterebbe di collegare a tali Osservatori un polo
centrale che possa coordinare l’attività dei presidi distribuiti sul territorio, con figure professionali di varia
estrazione e formazione che sappiano porsi come elementi di raccordo fra l’istituzione centrale, gli enti
esterni e la società civile.
L’idea di un laboratorio/osservatorio permanente
consentirebbe di dotare le amministrazioni regionali di
un gruppo di specialisti nei vari settori ritenuti strategici
alla gestione del territorio, che possano svolgere, a
tempo pieno e con un riconosciuto ruolo istituzionale,
studi e attività di coordinamento nel proprio ambito specifico. Si verrebbe così a costituire un team con forti e
specifiche competenze, in grado di interloquire non solo
dal punto di vista tecnico ma anche da quello scientifico
(avendo quindi piena coscienza dei metodi, delle potenzialità e delle problematiche delle singole discipline) sia
all’interno delle amministrazioni che nel rapporto con
enti, istituzioni, amministrazioni locali e cittadinanza.
Una struttura così composta rappresenterebbe inoltre un nucleo già rodato e perfettamente istruito al momento di procedere all’aggiornamento dei piani
paesaggistici. Questi si baserebbero su un lavoro svolto
in forma continuativa, sfruttando rapporti e relazioni intessuti attraverso un dialogo costante e rappresenterebbero così il compimento di articolati processi di
monitoraggio, tanto del territorio quanto delle risorse in
grado di compartecipare alla costruzione di virtuose dinamiche di tutela, pianificazione e valorizzazione.
All’interno di una simile struttura dovrebbe trovare
posto anche la figura di un archeologo che abbia sviluppato un curriculum tale da poter assolvere a una serie di
funzioni riconducibili, fra le altre, a:
- rappresentanza scientifica dell’amministrazione regionale nel confronto con gli organi ministeriali;
- raccordo fra amministrazione ed enti di ricerca al
fine di promuovere e incentivare studi mirati alla ricostruzione delle stratificazioni paesaggistiche;
- pianificazione di progetti di carattere archeologico
su scala regionale, con il fine di favorire, attraverso programmi concordati sulle rispettive esigenze, la promozione di forme di ricerca e valorizzazione che possano
avere ricadute positive sul territorio;
- ricerca di finanziamenti esterni alla Regione attraverso i quali promuovere la ricerca sul territorio e sugli
assetti urbani, coinvolgendo i soggetti idonei alla realizzazione di progetti strategici nella gestione del paesaggio regionale;
- consulenza e orientamento, per quanto concerne gli
aspetti archeologici, delle pratiche di pianificazione ai
livelli amministrativi gerarchicamente inferiore alla Regione;
- gestione della risorsa archeologica mediante sistemi
informativi territoriali;
- costruzione di banche dati (operando, se possibile,
nell’ambito dell’integrazione di archivi esterni) per la
creazione di coperture cartografiche rappresentative non
solo del rischio archeologico, ma anche e soprattutto del
potenziale culturale del territorio di riferimento, fondamentale per la promozione di forme di valorizzazione
integrata e sostenibile.
- attività di sensibilizzazione culturale e di promozione del patrimonio archeologico regionale presso le
comunità e all’interno dei circuiti turistici;
- coordinamento e guida delle specifiche attività degli
Osservatori sul Paesaggio.
Una figura professionale complessa e originale, non
improntata esclusivamente alla tutela né alla ricerca, ma
principalmente alla gestione del bene archeologico in
ambito tecnico-amministrativo, pur avendo piena coscienza e conoscenza della disciplina archeologica e
delle sue problematiche. Uno specialista che sappia ottimizzare le risorse e i processi di costruzione dell’informazione archeologica sul territorio e che possa, al
contempo, aiutare gli amministratori nei processi di pianificazione e valorizzazione paesaggistica.
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INDICE
Storia e Archeologia globale dei paesaggi rurali in Italia fra Tardoantico e Medioevo, di Giuliano Volpe
La piattaforma WikiCARE_Italia: un progetto di rilevante interesse per la ricerca partecipata, di Alessandra Chavarría Arnau
OpenArcheo2: un sistema informativo per gestire e produrre conoscenza storico-archeologica, di Vittorio Fronza, Marco
Valenti
Il progetto “CARE” nella Puglia centro-settentrionale: primi dati e riflessioni, di Roberta Giuliani, Angelo Cardone, Nunzia
Maria Mangialardi, Giuliana Massimo
Assetti insediativi, sistemi socio-economici e cultura materiale nella Puglia longobarda. Il caso di Faragola, di Giovanni De
Venuto, Roberto Goffredo, Maria Turchiano, Giuliano Volpe
L’archeologia nella macchina del tempo: la Time Machine 10 anni dopo, di Giuliano De Felice, Lorenzo Baldassarro
Paesaggi tardoantichi ed altomedievali dell’Ager Lucerinus, di Maria Luisa Marchi, Giovanni Forte, Grazia Savino
Sulle tracce del cibo. Le analisi dei residui organici nelle ceramiche per la ricostruzione dei paesaggi della Puglia
settentrionale tra Tardoantico e Medioevo, di Maria Teresa Giannotta, Pasquale Favia, Danilo Leone, Mariateresa Lettieri,
Florinda Notarstefano, Maria Turchiano, Giuliano Volpe
Note topografiche sull’Apulia medievale nell’Iter de Londinio in Terram Sanctam di Matthew Paris, di Francesco Violante
Archeologia dei paesaggi nella Puglia centrale: il territorio di Terlizzi in età tardoantica e altomedievale, di Marco Campese,
Paola De Santis, Mariateresa Foscolo
Bari prima dei Normanni: la città nell’alto medioevo e la documentazione archeologica. Primi dati da una, ricerca in corso, di
Donatella Nuzzo
Archeologia dei paesaggi costieri e subacquei a Cala San Giorgio Bari. Campagne 2013-2014, di Giacomo Disantarosa
Le attività di ricerca dell’Università del Salento sui paesaggi rurali medioevali nella Puglia Meridionale, di Paul Arthur
Dinamiche insediative e demografiche nella Puglia meridionale in età Medievale, di Giuseppe Muci
Cultura materiale e monete tra abitati rurali e città: trend di lungo periodo nella Puglia meridionale in età medievale, di Marco
Leo Imperiale e Giuseppe Sarcinelli
Ambiente, clima e agricoltura del Salento medievale: le dinamiche di un millennio alla luce dei dati paleo-archeobotanici, di
Anna Maria Grasso, Milena Primavera, Girolamo Fiorentino
Sistemi insediativi, sistemi agrari e territori del Salento settentrionale (IV-XV sec.), di Giovanni Stranieri
Cristianizzazione e paesaggio insediativo nella Campania altomedievale. La schedatura del progetto CARE per le province di
Benevento e Avellino e lo studio integrato sulla valle del Volturno, di Federico Marazzi, Consuelo Capolupo, Alessia Frisetti,
Alessandro Luciano
Le chiese del suburbio di Roma e del Lazio: stato della ricerca e aspetti metodologici, di Vincenzo Fiocchi Nicolai, Lucrezia
Spera
Ricognizione e analisi delle fonti scritte per il progetto CARE: primi dati sull’incidenza dell’edificio cultuale sulle dinamiche
del popolamento rurale alla luce della documentazione laziale, di Daniela De Francesco
Il Cicolano nella documentazione farfense: edifici di culto e strutture insediative fino all’anno Mille, di Tiziano Giovannelli
Chiese e insediamenti nei territori di Terracina e Fondi, di Daniela Quadrino
La chiesa rurale di S. Giovanni Battista a Paganico Sabino (Rieti), di Emanuela D’Ignazio
Chiese e insediamenti nei territori di Formia-Gaeta e di Minturno, con alcune note sull’isola di Ventotene, di Alessandro Vella
Paesaggi e insediamenti in un’area montana: il caso del territorio valvense tra persistenze e trasformazioni, di Maria Carla
Somma, Sonia Antonelli, Vasco La Salvia
Le trasformazioni del paesaggio urbano di una colonia latina: il foro di Alba Fucens dalle fasi dell’impianto alle ultime
frequentazioni, di Riccardo Di Cesare, Daniela Liberatore
La necropoli di Campo della Fiera (Orvieto) tra VI e XV sec. d.C.: dati archeoantropologici e pratiche funerarie, di Danilo
Leone, Alessandra A.R. Di Biase, Cosimo Damiano Diella, Mauro Rubini
Sistemi integrati di fonti e metodi per lo studio degli assetti territoriali in aree campione dell’Italia settentrionale medievale,
di Paola Galetti, Mila Bondi, Marco Cavalazzi, Elisa Erioli, Nicola Mancassola, Federico Zoni
Il ruolo dell’archeologia in un Piano Paesaggistico Regionale. Il caso della Toscana, di Franco Cambi, Federico Salzotti
Analisi territoriali sulla formazione e strutturazione dei paesaggi medievali nella Toscana meridionale, di Manuele Putti
Paesaggi e sistemazioni agrarie nel basso corso dell’Adige da Montagnana al mare, di Gian Pietro Brogiolo, Carlo Citter
Archeologia globale dei paesaggi fluviali e costieri della Sardegna: la foce del Tirso e le aree umide del golfo di Oristano tra
antichità e medioevo, di Barbara Panico, Pier Giorgio Spanu
El río Guadalete durante el siglo XV: interacción sociedad y medio ambiente, di Emilio Martín Gutiérrez
Espansione cristiana e trasformazioni agrarie nel sud della Corona d’Aragona. L’impatto delle conquiste nei paesaggi e negli
ecosistemi di al-Andalus, di Josep Torró, Enric Guinot
Edilizia residenziale in legno di età medievale nei territori della Polonia: problemi di ricerca, di Andrzej Buko